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BHAGAVAD GITA
Il Dharma globale
per il terzo Millennio
Capitolo 18
Traduzione e commento a cura di
Parama Karuna Devi
Copyright © 2015 Parama Karuna Devi
All rights reserved.
ISBN-13: 978-1482556988
ISBN-10: 1482556987
edizioni
Jagannatha Vallabha Vedic Research Center
telefono: +91 94373 00906
E-mail: [email protected]
Website: www.jagannathavallabha.com
© 2015 PAVAN
Sede indiana:
PAVAN House
Siddha Mahavira patana,
Puri 752002 Orissa
Capitolo 18
Moksha yoga
Lo yoga della liberazione
Il meraviglioso viaggio di conoscenza in compagnia di Krishna e
Arjuna ci ha portato dalla consapevolezza della confusione e
delusione del Visada yoga al primo passo nella realizzazione
trascendentale - il concetto di atman, il Sé spirituale che si incarna
in questo mondo indossando corpi materiali per evolversi verso la
perfezione o realizzazione, che culmina nella forma spirituale
perfettamente sviluppata, la siddha deha. Mentre il secondo
capitolo (Sankhya yoga) ci mostrava come distinguere tra spirito e
materia (il soggetto e l'oggetto dell'azione), il terzo capitolo ci ha
mostrato cosa fare con entrambi: questo è il Karma yoga (l'azione
o verbo o predicato che sostiene l'affermazione dal punto di vista
della sintassi). Nel quarto capitolo siamo arrivati alla discussione
sullo scopo della vita, che è l'acquisizione della conoscenza
(jnana), la direzione in cui dovremmo incanalare le nostre azioni e
i nostri sforzi per elevarci dal livello in cui ci limitiamo a fare il
nostro lavoro perché ci si aspetta che lo facciamo.
Attraverso i fattori strumentali di conoscenza e distacco (vairagya,
tyaga o sannyasa, capitolo 5) siamo diventati capaci di focalizzare
Parama Karuna Devi
la mente sul giusto stato di consapevolezza o realizzazione
spirituale (dhyana, capitolo 6) e di applicare questa visione alla
nostra vita pratica quotidiana (vijnana, capitolo 7), alle nostre
relazioni e alle nostre scelte. Nel capitolo 8 (Taraka yoga)
abbiamo visto che la realizzazione spirituale è allo stesso tempo lo
strumento, lo scopo e l'essenza della liberazione, per cui
diventiamo capaci di contemplare costantemente il Brahman
Supremo in noi stessi: questa è la somma e l'essenza di tutti gli
insegnamenti e le pratiche dello Yoga. Questo è il grande segreto
(raja guhya, capitolo 9): come vedere Dio in noi stessi e in tutti gli
esseri, e allo stesso tempo come la sorgente e il fondamento
immutabile di ogni esistenza. Attraverso la meditazione costante
su Dio si raggiunge la perfezione più alta. Abbiamo così visto che i
concetti di rinuncia (sannyasa) e liberazione (taraka) sono
collegati con la concentrazione e l'applicazione della giusta
consapevolezza in tutte le nostre azioni (dhyana, vijnana). Ma su
cosa dovremmo meditare (dhyana)?
Nei capitoli 10 e 11 (Vibhuti yoga e Visva rupa darshana yoga)
Krishna ha spiegato chiaramente come bisogna meditare sui poteri
e sulla forma universale di Dio (la Virata rupa o Visva rupa) e nel
capitolo 12 abbiamo appreso che questa meditazione non è
soltanto teorica, ma si deve sviluppare in sincero servizio di amore
e devozione (bhakti), che consiste nel compiere tutti i propri doveri
nella consapevolezza trascendentale. Nel corso di questo servizio
d'amore, la cosa più importante consiste nel comprendere
chiaramente quale sia il nostro dovere - in quale posizione ci
troviamo e in che modo dobbiamo relazionare con tutto ciò che è
attorno a noi. Per questo, dobbiamo comprendere in che modo il
principio personale (il sé o purusha) è in relazione con la natura (o
prakriti spirituale e materiale) e come i due siano in realtà uno
anche se sembrano distinti. Il capitolo 13 ci ha aperto gli occhi al
riguardo.
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Bhagavad gita: capitolo 18
Similmente, il capitolo 18 dichiarerà che tutti i doveri (sarva
dharman, 18.66) sono in realtà una sola cosa - che consiste
nell'unione intima con il Supremo (18.65). Questo è il segreto
supremo (paramam guhyam, 18.67) e la conclusione della
Bhagavad gita.
La discussione sui guna o modalità della natura materiale è stata
quindi interrotta dal capitolo 15 per ricordarci lo scopo ultimo di
tutte le altre istruzioni della Bhagavad gita: la realizzazione della
Personalità suprema di Dio, Purushottama.
Dopo aver discusso le caratteristiche e gli effetti delle qualità
materiali o guna (che dobbiamo gestire in questo mondo per
compiere i nostri doveri) ci apprestiamo ora a studiare l'ultimo
capitolo della Bhagavad gita, che ne riassume il contenuto
generale e lo scopo - un po' come aveva fatto il secondo capitolo e offre una conclusione che costituisce la partenza per la fase
successiva nella scienza della Trascendenza.
Moksha, la liberazione dai condizionamenti materiali, non è la
destinazione finale del nostro viaggio ma piuttosto segna l'inizio
della vera vita, dell'azione veramente significativa, e della piena
realizzazione della dimensione spirituale introdotta all'inizio del
dialogo dagli insegnamenti di Krishna sull'atman. Questo è
confermato dal verso 18.54.
Pe coloro che desiderano continuare la loro evoluzione nella
Trascendenza, raccomandiamo di studiare, dopo la Bhagavad gita
le 108 Upanishad e i 18 Purana. Poiché la Bhagavad gita fa parte
del testo del Mahabharata, uno studente sincero farà uno sforzo
per leggere anche questa voluminosa opera e la sua controparte, il
Ramayana scritto da Valmiki Rishi. A quel punto si sarà pronti a
studiare il famoso Vedanta sutra, che è considerato lo scopo, la
somma e la sostanza di tutti gli inni vedici delle Samhita.
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Parama Karuna Devi
In questo nostro lavoro offriamo una Appendice che comprende un
breve riassunto del Mahabharata e la famosa Gita mahatmya ("le
glorie della Bhagavad gita") scritta da Adi Shankara Acharya.
VERSO 1
arjunah uvaca: Arjuna disse; sannyasasya: del sannyasa; maha
baho: tu che hai braccia potenti; tattvam: la verità; icchami: io
desidero; veditum: conoscere; tyagasya: di tyaga; ca: e; hrisikesa:
o Hrishikesha; prithak: differenza; kesi nisudana: uccisore di Kesi.
Arjuna disse:
"Potente Krishna, Signore dei sensi, uccisore di Kesi, desidero
conoscere la verità sulla differenza tra tyaga e sannyasa.
Il capitolo sullo yoga della liberazione inizia con l'argomento
cruciale della rinuncia: moksha è semplicemente la libertà dai
condizionamenti materiali, e può essere raggiunta soltanto
rinunciando alle identificazioni materiali e agli attaccamenti
(ahankara e mamatva) di cui Krishna ha parlato per tutta la
Bhagavad gita.
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Bhagavad gita: capitolo 18
Questi sono simbolicamente personificati dall'asura Kesi, ucciso
da Krishna nella sua Vrindavana lila.
Abbiamo visto che il capitolo 5 era dedicato alla scienza della
rinuncia (sannyasa yoga) e specificamente nei versi da 5.1 a 5.6 e
5.13, e quindi nell'introduzione a quel capitolo abbiamo dato un
breve riassunto della storia dell'ordine di sannyasa nella tradizione
induista o varna ashrama dharma. Poiché l'argomento è collegato
anche con il contenuto del capitolo 18, invitiamo i nostri lettori a
rinfrescarsi la memoria consultando il capitolo 5. La questione del
sannyasa è stata discussa anche nei versi 3.4, 3.30, 4.41, 6.1, 6.2,
6.4, 8.11, 9.28, 12.6, mentre tyaga è stata spiegata nei versi 12.11,
12.12, e 16.2. Il concetto di rinuncia viene quindi presentato a due
llivelli, rispettivamente esteriore e interiore, o potremmo dire
regolato e spontaneo.
Krishna ha affermato chiaramente che il semplice sannyasa
esteriore non è sufficiente (3.4, 5.2), ma bisogna raggiungere un
livello più profondo di consapevolezza di rinuncia anche senza il
bisogno dei requisiti esteriori del sannyasa ashrama (5.3, 5.4, 6.1,
6.2). E' perfettamente chiaro che le semplici regole non sono
soltanto insufficienti in sé stesse ma anche estremamente difficili e
dolorose da seguire specialmente in Kali yuga (5.6), proprio come
è difficile e doloroso (nonché insufficiente) limitarsi a meditare
sull'impersonale non manifestato (12.5). Dunque è indispensabile
il servizio attivo al Supremo e a tutti gli esseri (sarva bhuta hite,
12.13-14, 12.6).
Come vedremo nel prossimo verso, il sannyasa si riferisce
all'abbandonare fisicamente quelle azioni che non sono considerate
direttamente utili al servizio trascendentale, mentre tyaga si
riferisce a uno stato di consapevolezza per il quale si compie
qualsiasi attività in uno spirito completamente libero dall'egoismo.
Questo livello viene conosciuto come avadhuta, ed è più alto e più
difficile da raggiungere rispetto alla posizione convenzionale dei
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Parama Karuna Devi
sannyasi, perché un avadhuta non è legato da alcuna regola,
mentre i sannyasi devono seguire strettamente le regole delle
scritture prescritte per il loro specifico ordine di vita. Per esempio,
un sannyasi non può avere una residenza, un conto in banca, una
fonte regolare di introiti o più possedimenti rispetto a quegli
oggetti tradizionali che può trasportare a mano - più
specificamente, un bastone per camminare (danda) e un piccolo
contenitore per l'acqua (kamandalu).
I sannyasi digambari ("vestiti dalle direzioni dello spazio") non
indossano abiti, ma se un sannyasi desidera indossare qualcosa,
dovrebbe essere un semplice perizoma fatto con della stoffa
vecchia e consunta gettata via da altri, e dovrebbe mangiare in
modo semplice mendicando di porta in porta, senza dipendere da
nessuno e senza tenere da parte nulla per il giorno successivo. Non
può rimanere nello stesso luogo per più di tre giorni, e deve
viaggiare a piedi e da solo, senza usare portantine o altri veicoli,
cavalcare animali eccetera. Anche se viene insultato o aggredito,
non può difendersi ma deve sempre comportarsi come l'amico di
tutti gli esseri, e rimanere fermamente situato nella consapevolezza
trascendentale senza alcuna identificazione materiale, affiliazione
o attaccamento - semplicemente deve essere pronto a morire in
qualsiasi momento. Non può praticare la professione
dell'insegnante, impegnarsi in dibattiti o partecipare a una causa,
fazione o setta. Si possono fare eccezioni speciali a queste regole
in caso di emergenza o circostanze straordinarie, ma comunque il
principio della rinuncia deve essere compreso adeguatamente e
applicato onestamente.
Per meglio esplorare l'argomento, è bene leggere le Upanishad
specificamente dedicate alla rinuncia o sannyasa, elencate qui di
seguito: Nirvana Upanishad, Maitreya Upanishad (o
Maitrayaniya Upanishad), Sannyasa Upanishad, Kundika
Upanishad e Aruneya Upanishad nel Sama Veda; Yajnavalkya
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Bhagavad gita: capitolo 18
Upanishad,
Satyayani
Upanishad,
Jabala
Upanishad,
Paramahamsa Upanishad, Bhikshaka (o Bhikshuka) Upanishad e
Turiyatita Upanishad nel Sukla Yajur Veda; Teji bindu Upanishad,
Avadhuta Upanishad, Katha rudra Upanishad, Varaha Upanishad
e Brahma Upanishad nel Krishna Yajur Veda; Parivraka (Narada
parivrajaka) Upanishad, Paramahamsa parivajaka Upanishad e
Para brahman Upanishad nell'Atharva Veda. Anche i versi 2 e 3
della Kaivalya Upanishad, e i versi dal 3.2.5 al 3.2.9 della
Mundaka Upanishad parlano del sannyasa. Poiché è impossibile
citare qui tutti i passaggi da tali testi così importanti, invitiamo i
nostri lettori a consultare la nostra traduzione completa delle 108
Upanishad principali, pubblicata dal nostro Jagannatha Vallabha
Vedic Research Center.
VERSO 2
sri bhagavan uvaca: il Signore meraviglioso disse; kamyanam
karmanam: le attività compiute per soddisfare qualche desiderio;
nyasam: rinuncia; sannyasam: il sannyasa; kavayah: gli studiosi;
viduh: sanno; sarva karma phala tyagam: la rinuncia ai frutti di
tutte le azioni; prahuh: chiamano; tyagam: tyaga; vicaksanah: gli
esperti.
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Parama Karuna Devi
Il Signore meraviglioso disse:
"Gli studiosi sanno che il sannyasa consiste nel non impegnarsi
nelle attività intese a soddisfare qualche desiderio personale,
mentre gli esperti dicono che tyaga consiste nell'essere
distaccati dai risultati creati da ogni tipo di azione.
In altre parole, bisogna rinunciare all'attaccamento egoistico ai
benefici che si possono ottenere dalle proprie azioni, non
rinunciare alle azioni in sé: karmany evadhikaras te ma phalesu
kadacana, ma karma phala hetur bhur ma te sango 'stv akarmani,
“Hai certamente il diritto di compiere le azioni ma non di godere
dei frutti delle tue azioni. Non cercare di diventare la causa dei
risultati dell'azione, ma non attaccarti all'inazione" (2.47).
Krishna stabilisce qui una distinzione di consapevolezza
utilizzando due definizioni differenti: kavayah e vicaksanah,
rispettivamente "studiosi" e "persone realizzate" (o "persone
esperte", cioè quelli che hanno veramente esperienza). La forma
singolare di questi nomi è kavi e vicaksi; il termine kavi significa
anche "poeta" o "letterato", mentre la parola vicaksi è un composto
di vica ("in modo completo") e aksi ("che vede").
Si comprende dunque che la definizione di sannyasa è usata più
teoricamente o tecnicamente come strumenti scientifico di
categorizzazione sociale e religiosa, mentre la definizione di tyaga
si applica specificamente al proprio sviluppo spirituale personale,
praticato ogni giorno in tutte le attività. Il sannyasa quindi non è
altro che un supporto esteriore per tyaga, e non può essere
considerato né sufficiente né indispensabile per raggiungere il
successo. Troviamo conferma di questo concetto nella descrizione
del sistema del varna-ashrama dharma nel Bhagavata Purana
(11.18.28): jnana nistho virakto va, mad bhakto vanapeksakah, sa
lingan asramams tyaktva cared avidhi gocarah, "Una persona che
è fermamente stabilita nella conoscenza e nel perfetto distacco, che
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Bhagavad gita: capitolo 18
è completamente devota al Supremo e non ha altri desideri o
aspirazioni può elevarsi al di sopra delle regole e dei segni
distintivi tipici degli ashrama."
In questo verso la parola caret rappresenta effettivamente un
chiaro incoraggiamento a seguire tale strada, e potrebbe essere
tradotta anche come "dovrebbe elevarsi". Perché? Perché la rigida
osservanza delle regole delle classi sociali è molto utile negli stadi
iniziali dello sviluppo spirituale, ma quando si progredisce fino
alla liberazione, diventa un peso e può anche ostacolare il vero
lavoro. Le regole sono come stampelle, che sono essenziali per gli
invalidi ma diventano un fardello inutile per le persone in gamba
che viaggiano e lavorano. Perciò Krishna dirà chiaramente nel
verso 18.65 che bisogna lasciarsi dietro tutti i vari sva dharma o
regole del sistema religioso e sociale e semplicemente concentrarsi
sullo yoga, l'unione trascendentale con il Supremo.
La vera rinuncia o sannyasa consiste nell'abbandonare il desiderio
per le attività egoistiche, cioè il kamya e naimittika karma. Più
avanti (18.5-6) Krishna affermerà chiaramente che i nitya karmani
(yajna, dana, tapas) non devono mai esserre abbandonati. In
effetti, bisognerebbe soltanto rinunciare ai risultati di tutte le
azioni, perché questa è la definizione di rinuncia (tyaga, 18.6).
Questo è confermato anche nello Yoga Vasistha di Valmiki Rishi:
na karmani tyajeta yogi karmabhist yajate hy asav iti, "uno yogi
non dovrebbe abbandonare il dovere prescritto, perché il dovere
stesso rinuncerà allo yogi (cioè cadrà da solo) quando ha raggiunto
il giusto livello."
A questo proposito possiamo citare un famoso verso attribuito a
Krishna Chaitanya: naham vipro na ca nara-patir napi vaisyo na
sudro, naham varni na ca griha-patir no vanastho yatir va, kintu
prodyam paramananda purnamrtabdher, gopi bhartuh pada
kamalayor dasa dasa anudasa, "Non sono un brahmana, uno
kshatriya, un vaisya o un sudra, non sono un brahmachari, un
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Parama Karuna Devi
grihastha, un vanaprastha o un sannyasi. Sono semplicemente il
servitore di chi serve i piedi di loto del consorte delle gopi,
l'oceano di suprema felicità estatica".
Sul piano materiale, la naturale ricerca della felicità e del piacere
prende diverse forme. Il piacere più grande nel mondo materiale è
il sesso, ma quando questa energia non viene incanalata in modo
appropriato può trasformarsi nelle forme di lussuria che sono fama,
prestigio, posizione, potere e adorazione, che non sono più
meritevoli o spirituali ma semplicemente più sottili e nascoste (e
quindi più pericolose). Poiché ciò è dovuto all'azione delle leggi
della natura come la forza di gravità, nessuno può sfuggire a
questo pericolo. Persino le istituzioni religiose e gli spiritualisti che
si trovano in posizioni elevate sono soggetti a questo grande
pericolo. Spesso la politica è stata paragonata al sesso, e ha gli
stessi meccanismi e scopi: in verità la politica è particolarmente
pericolosa per coloro che hanno accettato l'ordine di rinuncia della
vita. Quante volte abbiamo visto i confratelli trasformarsi in
padrini mafiosi? Il problema è che poiché siamo impegnati nel
servizio d'amore a Dio, quando non amiamo ci troviamo
necessariamente a cadere nella lussuria. E così scatta l'ultima
trappola dell'illusione: la falsa liberazione nella forma del
sannyasa artificiale.
In questa posizione, la tendenza ad agire per la ricerca del piacere
può facilmente portare l'anima condizionata a indulgere in varie
perversioni nascoste o segrete, e poi a metterci sopra un bel
coperchio a tenuta stagna in nome dell'immagine pubblica, della
decenza, dell'ordine sociale e del rispetto per religione e tradizione.
Spesso questo porta a ricercare il piacere in modo veramente
negativo, attraverso pratiche degradate, sadiche e masochistiche
che risultano disgustose per le persone normali. Queste forme di
gratificazione dei sensi non sono meritorie o libere dal peccato
come alcuni credono, e in effetti sono molto più pericolose della
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Bhagavad gita: capitolo 18
normale sana gratificazione dei sensi: scegliere quella strada non
porta all'evoluzione ma al disastro totale. Troviamo la parola
vicaksanah anche alla conclusione degli insegnamenti di Krishna a
Uddhava (Bhagavata Purana 11.25.33): tasmad deham imam
labdhva, jnana vijnana sambhavam, guna sangam vinirdhuya,
mam bhajantu vicaksanah, "Così, poiché hanno ottenuto un
adeguato corpo materiale che permette conoscenza e saggezza, le
persone esperte e intelligenti si purificano da tutti i guna materiali
e dovrebbero impegnarsi al mio servizio."
Lo scopo originario del sannyasa è espresso dal suo significato
letterale come composto di sat nyasa, "consacrare il proprio corpo
a Sat (la Trascendenza)". Nella tradizione vedica e specialmente
negli insegnamenti del Tantra troviamo che chi adora la Divinità
compie il kriya ("dovere") chiamato nyasa, che consiste nel porre
dei mantra (bija mantra e nama mantra) sulle varie parti del corpo
per purificarlo e spiritualizzarlo, rendendolo adatto ad entrare in
contatto con la Divinità. Il kara nyasa è l'applicazione sulle mani
(polpastrelli e giunture delle dita), mentre l'anga nyasa è
l'applicazione alle membra principali e persino agli organi del
corpo. Utpatti e samhara nyasa consistono nel ciclo completo di
santificazione o dedicazione del proprio corpo. Un esempio offerto
dal Bhagavata Purana è in riferimento al Narayana kavaca (6.8.411).
Tutti questi rituali e queste pratiche vengono superati quando il
potere della consapevolezza trascendentale ha distrutto tutte le
identificazioni materiali e gli attaccamenti, e quindi il corpo è stato
completamente spiritualizzato. Bisogna però fare estrema
attenzione a non cadere nella trappola del falso ego travestito da
"grande avadhuta" o "grande devoto" che crede di poter fare
qualsiasi cosa gli passi per la mente - comprese azioni
grossolanamente contrarie al dharma - affermando di essere
"trascendentale e al di sopra delle regole", a volte persino
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Parama Karuna Devi
sfoggiando l'abito del sannyasi. Ogni azione adharmica (papa) è in
sé la prova che la persona in questione non si trova affatto sul
livello trascendentale (7.28).
VERSO 3
tyajyam: tyaga; dosa vat: difettosa; iti: così; eke: alcune persone;
karma: attività; prahuh: dicono; manisinah: grandi pensatori;
yajna dana tapah karma: i doveri che consistono in sacrificio,
carità e austerità; na: non/ mai; tyajyam: devono essere
abbandonati; iti: così; ca: e; apare: altri.
"Alcuni filosofi affermano che tutte le attività sono
accompagnate da difetti e quindi devono essere abbandonate.
Altri dicono che yajna, dana, tapas non devono mai essere
abbandonati.
Nella nostra introduzione al capitolo 3 (Karma yoga) abbiamo
discusso della vecchia controversia tra i sostenitori del Purva
mimamsa e quelli dell'Uttara mimamsa, conosciuti anche
rispettivamente come karma kanda e jnana kanda o advaita.
Krishna ha parlato della categoria del karma kanda come dei veda
vada rata (2.42, 2.43, 2.44, 2.45) o di coloro che sono attaccati alla
lettera dei Veda e sono incapaci di vedere al di là del ciclo del
samsara e non possono così raggiungere la liberazione.
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Bhagavad gita: capitolo 18
Gli accademici coloniali credevano che il Purva mimamsa si
riferisse a tempi più antichi in cui l'intera società vedica era
concentrata interamente sulla via ritualistica, adorando i Deva allo
scopo di elevarsi ai pianeti superiori, e che soltanto in tempi
relativamente recenti la filosofia vedica abbia sviluppato la
comprensione metafisica sottile espressa nelle Upanishad e
finalmente l'adorazione personalista (quasi "monoteista") di
Purushottama come troviamo nei Purana e nella Bhagavad gita
(contenuta nel Mahabharata), che generalmente collegano con il
concetto abramico di Dio.
L'accademia convenzionale ha persino assegnato un periodo
storico a ciascuna di queste "fasi" calcolate secondo il "progresso
lineare" dell'umanità insegnato nelle scuole, in cui la civiltà vera e
propria sarebbe iniziata soltanto circa 5000 anni fa in medio
oriente, con le prime città sumere. Questo vecchio paradigma è
basato sulla famosa teoria dell'invasione ariana, secondo la quale il
sanscrito, la conoscenza vedica e la civiltà vedica sarebbero stati
introdotti in India soltanto verso il 2000 avanti l'era corrente da
orde di nomadi provenienti dal Caucaso, che invasero il
subcontinente indiano e resero schiavi i popoli dravidici indigeni,
pacifici ma primitivi.
Questo è generalmente etichettato come il "periodo rigvedico" in
cui i brahmana sarebbero stati una specie di stregoni di magia nera
che celebravano strani sacrifici animali per compiacere gli dei
della guerra, primitivi e assetati di sangue, come Indra e Rudra.
Uno studente sincero della conoscenza vedica non si lascerà
confondere da questa spazzatura coloniale, che per ammissione
stessa dei suoi ideatori aveva lo scopo di demolire l'autorità della
tradizione originaria vedica.
Il fatto è che l'intera conoscenza vedica è un sistema coerente e
articolato, che esiste simultaneamente ed eternamente nella sua
15
Parama Karuna Devi
completezza, ma offre diversi gradi di approccio per ciascun
individuo secondo il particolare livello di evoluzione.
Così la parola purva ("prima, iniziale") non si riferisce a qualche
periodo storico più antico nel subcontinente indiano, ma alle prime
fasi di sviluppo di ciascun individuo, che deve essere sostenuto e
nutrito dalla società attraverso il giusto sistema del varna-ashrama
con la promessa di benefici materiali (in questa vita e nella
prossima) che è particolarmente efficace per attirare le anime
meno evolute.
A questo proposito, il termine uttara ("più alto") che contrappone
l'Uttara mimamsa al Purva mimamsa va compreso come "corso
superiore di studi" che si sviluppa in yoga o advaita come spiega
chiaramente Krishna nella Bhagavad gita. Questo è confermato
anche dal nome stesso della categoria dei Purana ("antichi"), che
assurdamente gli indologi coloniali considerano "i testi vedici più
recenti". Se sono chiamati "antichi", come fanno a essere i testi più
recenti? Non ha senso.
Krishna offre la sintesi perfetta tra le due prospettive nella forma
di Karma yoga o tyaga, che consiste nel compimento dei doveri
prescritti come richiesto da tempo luogo e circostanze, per lo
scopo più alto di servire il Supremo, senza alcun attaccamento
egoistico o identificazione. Questa posizione è stata spiegata da
tutte le possibili angolazioni nel corso della Bhagavad gita e sarà
nuovamente riassunta in questo ultimo capitolo.
Quando un mimamsaka diventa purificato dopo molte vite di
attività sattviche, comincia a capire che anche le azioni virtuose
comportano una certa misura di difetti, o di avidità e violenza
(3.38). Questo sarà affermato chiaramente nel verso 18.48 con
l'esempio del fuoco e del fumo; ovviamente ciò vale ancora di più
per la situazione della gente sfortunata che vive in Kali yuga.
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Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 4
niscayam: certamente; srnu: ascolta; me: me; tatra: là; tyage: a
proposito della rinuncia; bharata sat tama: o migliore tra i
discendenti di Bharata; tyagah: tyaga; hi: in verità; purusa
vyaghra: o tigre tra gli uomini; tri vidhah: tre tipi di;
samprakirtitah: è dichiarato ufficialmente.
"Ascoltami, o migliore tra i discendenti di Bharata, o tigre tra
gli uomini. In verità è detto che esistono tre tipi di rinuncia.
I tre tipi di rinuncia che Krishna descriverà nei versi seguenti sono
determinati dalle influenze dei guna spiegate nei capitoli
precedenti (14, 16, 17); la rinuncia in sattva o bontà (o anche in
suddha sattva) è sempre benefica, mentre la rinuncia in rajas o
avidità ha risultati temporanei e limitati, e la rinuncia in tamas o
ignoranza porta risultati negativi.
Idealmente, i sadhu nell'ordine di rinuncia della vita dovrebbero
essere veri santi (situati in suddha sattva), persone che hanno
raggiunto il livello di brahma bhuta e il cui contatto è il tesoro più
prezioso, puro e benedetto che un essere umano possa trovare in
questo mondo, Queste persone non vedono gli altri da una
prospettiva sessuale, come maschi e femmine, ma semplicemente
come come anime spirituali, parti del Supremo, servitori spirituali
di Purushottama. Queste grandi anime sono perfettamente
soddisfatte in sé stesse e non hanno bisogno di nulla per sé stesse,
non chiedono e non si aspettano nulla: non sono interessate alla
gratificazione dei sensi. Praticano l'autodisciplina naturalmente e
17
Parama Karuna Devi
facilmente, e sono impegnati 24 ore al giorno nel servizio non
egoistico al Supremo e a tutti gli esseri.
Un secondo gruppo di religiosi celibi è leggermente meno
avanzato, ma comunque molto rispettabile: è composto di persone
sincere che praticano la spiritualità e sono situati in sattva o bontà
materiale, e cercano diligentemente di impegnarsi nell'autodisciplina per controllare i propri sensi e fanno del loro meglio per
servire il Supremo. E' una buona posizione per un brahmachari,
ma non è molto sicura per un sannyasi, perché un brahmachari
può entrare nella vita di famiglia se necessario, mentre un
sannyasi non può rinunciare alla rinuncia e diventare un vantasi
("uno che mangia il proprio vomito").
Il terzo gruppo è tipicamente composto da uomini che sono rimasti
frustrati dalla vita materiale - hanno tentato ma hanno fallito oppure pensano che per essere spiritualisti (e ottenere il successo o
benefici spirituali) sia necessario abbandonare ogni piacere e
felicità. Seguono coscientemente o inconsciamente la filosofia
dell'uva acerba. Ma riusciranno a impegnarsi positivamente in
qualche lavoro spirituale buono, o diventeranno semplicemente un
disturbo per sé stessi e per gli altri?
Se si elevano a sattva e suddha sattva saranno in grado di fare
progressi, ma se si stabiliscono in rajas (egoismo e avidità) e
tamas (ignoranza), diventerano aridi, crudeli, insensibili, violenti,
orgogliosi e vanagloriosi, rovinando così le loro possibilità di
progresso spirituale e dando un pessimo esempio che confonderà
gli altri.
Se pensano di aver raggiunto un livello elevato semplicemente a
causa delle apparenze esteriori (come il colore e la forma degli
abiti eccetera) non potranno rendersi conto della propria stupidità
finché Madre Maya organizzerà per loro una rovinosa caduta. Di
solito queste persone sono attratte dall'idea di ottenere potere sopra
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Bhagavad gita: capitolo 18
altri (cioè dare ordini per la loro vita privata) e anche una
posizione onorata in società, opportunità speciali per fama, profitto
e altri benefici materiali simili.
Il quarto gruppo (che è completamente tamasico) non è neppure
degno del nome di rinuncia, perché è composto da ipocriti e
imbroglioni, che approfittano deliberatamente e cinicamente
dell'abito che indossano in modo artificiale, per procurarsi
guadagni e gratificazione dei sensi.
Queste persone credono di essere molto furbe e scelgono la vita
del religioso semplicemente perché garantisce vitto e alloggio,
facilità di riposo e pochissimo lavoro, sufficiente rispetto dalla
società e talvolta ottime occasioni di gratificazione dei sensi.
Quando non ottengono denaro, facilitazioni o adorazione (che
credono siano loro dovuti semplicemente a causa dell'abito che
portano), si arrabbiano e cercano di vendicarsi.
VERSO 5
yajna dana tapah karma: le attività di sacrificio, carità e austerità;
na: mai; tyajyam: devono essere abbandonate; karyam: dovere;
eva: certamente; tat: quello; yajnah: sacrificio; danam: carità;
tapah: austerità; ca: e; eva: certamente; pavanani: che purificano;
manisinam: persino i grandi saggi.
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Parama Karuna Devi
"I doveri che consistono in sacrificio, carità e austerità non
devono mai essere abbandonati, poiché sacrificio, carità e
austerità certamente purificano persino i grandi filosofi.
Le attività sacre prescritte dalle scritture e compiute per il vero
bene della gente (yajna, o sacrificio), la distribuzione di generi di
prima necessità alla gente (dana), e il duro lavoro al servizio del
Supremo (tapas) non vanno mai abbandonati.
Alcuni illusi accettano la posizione di sannyasi per vivere come
parassiti della società senza svolgere alcun vero lavoro, con l'idea
di ottenere automaticamente rispetto, servizio e speciali
facilitazioni materiali dalla massa della gente, sottrarsi alle
responsabilità familiari o acquisire potere in qualche istituzione
religiosa: questa rinuncia non dà mai i veri frutti del sannyasa. Al
contrario, porta solo sofferenze per tutti e certamente una
disastrosa caduta in futuro.
Secondo il sistema autentico e originario dei varna e degli
ashrama, i doveri di yajna, dana e tapah possono prendere forme
diverse per meglio adattarsi allo scopo delle attività specifiche. I
brahmana devono compiere tutti i doveri richiesti in ogni
successivo ashrama (come brahmachari, grihastha, vanaprastha e
sannyasi), mentre gli kshatriya solitamente si limitano a compiere i
doveri degli ashrama fino al livello di vanaprastha. I vaisya
solitamente rimangono nel grihastha ashrama per consigliare e
sostenere i loro dipendenti, mentre dai sudra non ci si aspetta
alcuna forma di rinuncia. Questo naturalmente non significa che le
persone di questi varna inferiori non possono entrare negli
ashrama successivi, perché possono fare tale scelta se lo
desiderano, se sono abbastanza forti e qualificati, e se hanno
compreso bene le regole che dovranno seguire.
Nel brahmachari ashrama, il compimento dello yajna è una
pratica di apprendimento e viene fatta a turno e insieme ad altri
20
Bhagavad gita: capitolo 18
studenti sotto l'attenta guida del guru. Il suo dana consiste
semplicemente nell'offrire il proprio servizio e nell'andare ogni
giorno a raccogliere donazioni per il guru, e tapah consiste solo
nel seguire le istruzioni del guru.
Nel grihastha ashrama, lo yajna deve essere celebrato
regolarmente ogni giorno a seconda delle proprie possibilità, e
deve includere il compimento non egoistico dei propri doveri
sociali e professionali al servizio della società. Più specificamente,
ha lo scopo di ripagare il nostro debito (rina) attraverso i pancha
maha yajna per servire Dio, i Deva, i Rishi, i propri antenati, gli
ospiti (compresi gli esseri umani meritevoli) e gli animali utili.
Dana consiste nel fornire cibo e abiti e in generale nel prendersi
cura degli altri tre ashrama, mentre tapah consiste nel disciplinare
la propria gratificazione dei sensi per rimanere in sattva e
all'interno dei confini di dharma (satya, daya, sauca). A proposito
delle cerimonie rituali, il grihastha deve solo compiere le
procedure sattviche, poiché non c'è mai alcuna prescrizione
obbligatoria per i sacrifici animali o altri rituali influenzati da
rajas o tamas.
Nel vanaprastha e sannyasa ashrama, la pratica di yajna si
concentra sempe più sulla meditazione interiore, come spiegato in
Aranyaka e Upanishad; al proposito possiamo commentare che
aranya e vana sono sinonimi precisi che significano "foresta", e
ciò indica che dopo aver esaurito la necessità dell'adorazione
ritualistica dei naimittika e kamya karmani, una persona sobria si
trasferisce dalla palude dei coinvolgimenti materiali (2.52) alla
foresta trascendentale della libertà.
Questo era indicato dal passaggio tra i versi 3.9 e 3.17, e dal 3.18
al 3.20. Lo stadio di sannyasa si concentra completamente sulle
attività spirituali come yajna, dana e tapas, abbandonando
completamente ogni preoccupazione materiale. Ma anche i
sannyasi devono lavorare duramente al servizio della società,
21
Parama Karuna Devi
assistendo con tutte le risorse utilizzabili coloro che ne hanno
bisogno.
Non c'è contraddizione tra il Purva mimamsa e l'Uttara mimamsa,
poiché entrambi sono tappe nel viaggio della realizzazione
trascendentale, e verrano superati e integrati entrambi quando
arriviamo allo Yoga. Krishna ha già dichiarato: tapasvibhyo 'dhiko
yogi jnanibhyo 'pi mato 'dhikah, karmibhyas cadhiko yogi tasmad
yogi bhavarjuna, "Lo yogi è superiore all'asceta ed è considerato
anche più grande dell'erudito, e più grande di coloro che compiono
le attività rituali. Dunque, o Arjuna, dovresti essere uno yogi"
(6.46). L'asceta è il sannyasi, l'erudito è il vanaprastha e colui che
compie le attività rituali è il grihastha; similmente la perfezione
del brahmana è l'ascesi, il distacco dai beni materiali e dalle
posizioni e l'astensione dalla gratificazione dei sensi, quella dello
kshatriya la conoscenza materiale e spirituale per poter governare,
e quella del vaisya è il compimento delle cerimonie rituali con le
quali purifica e distribuisce regolarmente le ricchezze che ha
accumulato. Il brahmachari non è ancora qualificato come
adhikari e il sudra è tenuto soltanto ad offrire un sincero servizio
ad altri.
VERSO 6
etani: tutte queste; api: certamente; tu: ma; karmani: attività;
sangam: associazione; tyaktva: abbandonando; phalani ca: e i
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Bhagavad gita: capitolo 18
risultati; kartavyani: dovrebbero essere compiute per dovere; iti:
così; me: mia; partha: o figlio di Pritha; niscitam: senza alcun
dubbio; matam: opinione; uttamam: la migliore.
"O figlio di Pritha, ti dico senza alcun dubbio che la cosa
migliore è compiere tutte le attività sacre come doveri,
abbandonando l'identificazione e i frutti di tali attività.
Per comprendere adeguatamente questo verso, dobbiamo
concentrarci su tre parole: sangam, phalani, kartavyani.
In tutta la Bhagavad gita, Krishna ha dichiarato molte volte che
sanga ("associazione", "contatto", "appartenenza", "affiliazione")
deve essere libera dalle illusioni materiali di identificazione e
attaccamento. Al proposito, è bene consultare i versi 2.46, 2.47,
2.48, 3.9, 4.20, 4.23, 5.10, 5.11, 11.55, 12.18, 15.3, 15.5, e anche
(dalla prospettiva negativa) 2.62, 3.26, 13.22, 14.6-8, 15.4. Il
concetto di contatto o associazione si riduce all'identificazione
come karta ("chi compie l'azione"), come spiegato nel verso 3.27.
In quel contesto vediamo che l'idea di rimanere liberi dal contatto e
dall'identificazione con l'azione si applica automaticamente ai
risultati o benefici del compimento dei propri doveri, e questo
significa che bisogna fare il proprio dovere in modo non egoistico,
senza essere attaccati ai benefici grossolani e sottili che ne
derivano. Si tratta di un concetto totalmente rivoluzionario per
coloro che vengono da una società pragmatista (cioè egoista), in
cui il profitto e il vantaggio personale (individuale o collettivo) è la
norma, e l'idea di qualcuno che lavora senza aspettarsi benefici
personali o crediti viene considerata stupida o ridicola, e persino le
creature naturali e la conoscenza eterna sono soggetti alla
commercializzazione, alla registrazione all'ufficio brevetti e al
copyright. Eppure questo compimento non egoistico del proprio
dovere è l'unico metodo con cui la società umana può prosperare e
garantire progresso ed evoluzione a tutti i suoi componenti.
23
Parama Karuna Devi
Qualsiasi sociologo onesto e intelligente può creare proiezioni di
studio basate su questo scenario, e invariabilmente le troverà
perfette e caratterizzate dal successo. Nella società vedica nessuno
viene pagato per qualche lavoro specifico - stipendi o parcelle o
commissioni o compensi. Tutti lavorano gratis e ottengono ciò che
è necessario per vivere semplicemente perché è giusto e naturale, e
ricevono ricchezze (artha) come riconoscimento generale del loro
valore personale.
I vaisya producono direttamente il cibo (annam bahu kurvita, tad
vratam, Taittirya Upanishad, Brighu valli, 3.9.1) e consumano la
quantità necessaria per sé stessi e i loro subordinati (sudra, ecc),
non soltanto nella forma grezza ma anche nella forma di altri beni
che possono essere ottenuti tramite il baratto con altri produttori o
artigiani, come abiti, pentole e contenitori, strumenti e così via.
Poi danno una quantità adeguata della ricchezza in eccesso (come
prodotti alimentari e altri beni) ai brahmana come donazione
(dakshina, bhiksha) e agli kshatriya come tributo. Una certa
quantità viene immagazzinata per le emergenze e ulteriori sviluppi
agricoli, e se ancora c'è un sovrappiù, viene usato per acquistare
altri beni di valore da tenere da parte per il beneficio futuro della
società in generale.
Non ci sono scansafatiche perché i brahmana, i guru e gli
kshatriya si assicurano che tutti siano adeguatamente e felicemente
impegnati a seconda dei loro effettivi guna e karma e
addestramento. Allo stesso tempo ci si prende cura di tutti, e tutti
sono orgogliosi e felici del proprio lavoro che contribuisce al bene
dell'intero corpo sociale. Come nel funzionamento sano e naturale
del corpo e delle sue parti, i vari organi lavorano senza
attaccamento egoistico ma automaticamente ottengono tutto ciò di
cui hanno bisogno; la bocca gusta il cibo ma lo fa scendere
immediatamente allo stomaco perché sia adeguatamente digerito (e
anche lo stomaco diventa pienamente soddisfatto) e sia distribuito
24
Bhagavad gita: capitolo 18
a ogni organo e cellula del corpo. In questo modo non c'è posto per
paura, odio, invidia, pigrizia, stress o insoddisfazione, perché la
comunicazione e la collaborazione sono perfette.
La definizione di phala come "frutto dell'azione" in riferimento a
karma yoga e sannyasa yoga ci porta alla mente il bellissimo
esempio di una persona che pianta un albero da frutta in un luogo
pubblico, così che tutti potranno riceverne le benedizioni e i
benefici. La situazione nella società umana è attualmente così
degradata che la gente non soltanto custodisce gelosamente i
propri giardini e orti, ma evita persino di piantare alberi nel proprio
terreno recintato perché si è stancata di farsi rubare e distruggere la
frutta da saccheggiatori, ladri e scimmie invidiose.
Il risultato è che tutti soffrono e rimangono nella privazione,
comprese le stupide scimmie. Phala come frutto dell'azione è
spiegato nei versi 2.43, 2.47, 2.49 (i kripana sono le persone
attaccate a questi frutti), 2.51 (manisinah sono coloro che non sono
attaccati a tali frutti), 4.20, 5.4, 5.12, 5.14, 6.1 (anasritah, "senza
prendere rifugio" in tali frutti), 7.23, 9.28 (il distacco dai frutti è
chiamato sannyasa yoga), 12.11, 12.12, 17.11, 17.12, 17.17, 17.20,
e 17.25.
Il termine kartavya, "ciò che deve essere fatto", descrive l'azione
doverosa, che va compiuta sulle basi di dharma, cioò le
considerazioni etiche o coscienza. Contrariamente alle ideologie
dispotiche e ignoranti in cui si danno ordini alle persone e le si
costringe ad eseguire azioni anche contrarie alla propria
intelligenza o coscienza etica, nel sanatana dharma o cultura
vedica il concetto di dovere è sempre basato sulla scelta
intelligente di un atto consapevole di libertà personale. Senza
libertà non ci può essere evoluzione o progresso, e certamente non
ci può essere soddisfazione o felicità.
25
Parama Karuna Devi
VERSO 7
niyatasya: del dovere prescritto; tu: ma; sannyasah: rinuncia;
karmanah: le attività; na: mai; upapadyate: dovrebbe essere fatta;
mohat: dovuta all'illusione; tasya: di loro; parityagah:
abbandonando; tamasah: a causa di tamas guna; parikirtitah: è
stato spiegato.
"Non bisognerebbe mai rinunciare alle attività del proprio
giusto dovere. E' stato spiegato che chi le abbandona a causa
dell'illusione si trova sotto l'influsso dell'ignoranza.
Abbiamo visto che tamas (l'ignoranza) produce pigrizia, stupidità,
confusione e inerzia, e che a volte le persone stupide confondono
tali sintomi per nobili caratteristiche sattviche. Più avanti (18.32)
Krishna dirà molto chiaramente che tamas confonde le persone e
fa loro scambiare dharma per adharma, e adharma per dharma.
E' molto facile osservare questo fatto nell'attuale società asurica
degradata, che è governata soprattutto da tamas con una certa
misura di rajas.
Parlando di sannyasa, abbiamo visto molti uomini che portano
vesti color zafferano, ocra o rosa e si presentano come grandi
rinunciati, che vivono in una perenne apatia, irresponsabilità e
pigrizia, vaneggiando ogni tanto nel loro sonno dell'intelletto con
tirate sulla vita sessuale delle persone sposate, e si svegliano
soltanto quando vedono qualche opportunità di raccogliere
26
Bhagavad gita: capitolo 18
donazioni dal pubblico sfruttando il buon nome e i meriti del
fondatore della loro organizzazione, per ottenere seguaci che li
adoreranno e serviranno, o per impegnarsi in giochi di potere
politico e lotte istituzionali, o perseguitare attivamente i dissidenti,
specialmente quelli che offrono solidi argomenti logici o
presentano la versione vedica genuina e originaria. E anche tutte
queste cose insieme, se hanno abbastanza tempo ed energia.
Alcuni dei più cattivi potrebbero obiettare che tali attività di
persecuzione di eretici e infedeli costituiscono il loro particolare
servizio alla società, ma nel sistema vedico non c'è nessuna
raccomandazione al proposito. A differenza delle ideologie
abramiche e degli altri sistemi totalitari e imperialisti, la civiltà
vedica insegna chiaramente che rinunciati e spiritualisti non
devono mai tentare di imporre credenze o comportamenti religiosi
o ideologici alla gente, o interferire nella vita personale e nelle
scelte delle persone (o chiedere ad altri di farlo). Sannyasi, sadhu
e brahmana possono soltanto offrire insegnamenti e consigli, a
voce o per iscritto, e con il proprio esempio personale.
D'altra parte, gli kshatriya e altre persone del governo, che si
occupano di far rispettare la legge e l'ordine, possono intraprendere
azioni materiali soltanto per fermare aggressioni violente contro i
praja - i membri della società, umani o animali. Non ci dovrebbe
essere una "polizia della moralità", o persecuzione di dissidenti o
conversioni forzate. Se i falsi religiosi diventano un disturbo per la
società predicando apertamente in favore dell'aggressione violenta
contro persone innocenti, dovrebbero essere sfidati a dibattito dai
brahmana, i loro seguaci dovrebbero essere controllati affinché
non mettano in pratica tali insegnamenti e le potenziali vittime
dovrebbero essere aiutate a difendersi fino alle estreme
conseguenze (la morte dell'aggressore).
Soltanto in emergenze estreme l'assemblea dei brahmana può
usare il potere spirituale (brahma tejas) per lanciare una
27
Parama Karuna Devi
maledizione che elimini un governante adharmico e malvagio che
non è stato sconfitto in duello da kshatriya dharmici, ma dopo che
il cattivo re è stato detronizzato, i brahmana non prenderanno mai
il suo posto per controllare il governo, né individualmente né
collettivamente, anche se fossero capaci di fare un buon lavoro
come governanti. Se un brahmana grihastha decide di fare un
simile passo, perde la sua posizione di brahmana e diventa uno
kshatriya a tutti gli effetti, con i relativi diritti, doveri e limiti, ma
comunque la sua posizione rimane rispettabile.
Un sannyasi invece (a prescindere dal varna al quale apparteneva
in precedenza) non può assolutamente avere qualcosa a che fare
con il governo o la politica; se dovesse violare tale rigida
proibizione diventerebbe automaticamente oggetto di ridicolo per
la società intera. Bisogna quindi riflettere molto attentamente
prima di entrare nell'ordine di rinuncia, specialmente considerando
che in Kali yuga non viene richiesto a nessuno di prendere
sannyasa - anzi, è persino sconsigliato. In caso di emergenza
estrema e di gravissimo pericolo per le persone buone e innocenti,
un sadhu o sannyasi può temporaneamente assumere un ruolo di
kshatriya per respingere la violenza di invasori o criminali, se non
sono rimasti kshatriya che possano svolgere questo compito. In
questo caso però i sadhu possono solo compiere il dovere dello
kshatriya senza lasciarsi invischiare in qualche misura nelle lotte
per il potere politico, il lusso e il desiderio di controllare la vita
personale e le credenze dei sudditi.
Una persona arrogante che pretende adorazione, servizio,
gratificazione dei sensi, profitto e speciali facilitazioni o posizioni
materiali perché indossa l'abito del sannyasi o del sadhu e si rifiuta
di impegnarsi in attività utili per il bene di tutti gli esseri (con la
scusa della "rinuncia") non ha in realtà alcuna realizzazione
trascendentale ed è controllato da tamas. Perciò coloro che lo
accettano come guru o superiore, e gli offrono ricchezze e servizio
28
Bhagavad gita: capitolo 18
riceveranno una parte delle sue conseguenze karmiche negative e
svilupperanno la sua stessa mentalità e atteggiamento, perpetuando
il disastro sociale.
Come Krishna ha già detto molto chiaramente, tutti dovrebbero
lavorare seriamente e onestamente per il bene della società:
niyatam kuru karma tvam karma jyayo hy akarmanah, sarira
yatrapi ca te na prasiddhyed akarmanah, "Impegnati nelle attività
del tuo dovere, perché l'azione è meglio dell'inazione. Senza
lavorare è impossibile perfino mantenere il corpo" (3.8). Le uniche
creature che non svolgono un lavoro utile nell'universo ma vivono
a spese di altri senza dare nulla di valido in cambio sono chiamate
parassiti.
In questo verso notiamo la parola niyatam che è imparentata con
niyama ("le attività regolate in cui bisogna impegnarsi"), come
controparte di yama (le "astensioni regolate"). Abbiamo trovato la
stessa parola nel verso 7.20 per indicare il metodo prescritto per
l'adorazione dei Deva, nel verso 4.29 per indicare la corretta
pratica scientifica del pranayama yoga e nel verso 6.15 per
indicare la corretta pratica di meditazione (dhyana yoga)
sull'atman.
Come abbiamo visto nel sistema scientifico dei varna e ashrama,
questi niyata (o nitya, "eterni") karmani o kartavyani possono
variare a seconda di guna, karma, addestramento e circostanze, ma
comunque tutti hanno bisogno di rimanere sempre pienamente
impegnati e in modo non egoistico, altrimenti la mente e l'anima
non saranno soddisfatte.
Questo è confermato nel Bhagavata Purana: sa vai pumsam paro
dharmo yato bhaktir adhoksaje, ahaituki apratihata yayatma
suprasidati, "La più alta perfezione dello sva dharma consiste nel
compiere i propri doveri in uno spirito di servizio, dedizione e
amore, senza interruzione e senza egoismo" (1.2.6).
29
Parama Karuna Devi
La parola upapadyate ("non è giustificato", "non è corretto", "è
indegno", "è al di sotto dello standard") appare anche nel verso 2.3,
in cui Krishna dice ad Arjuna che ritirarsi dal campo di battaglia
sarebbe per lui una disgrazia, e nel verso 6.39, quando Arjuna dice
a Krishna che altri sono meno qualificati di lui per dissipare i
dubbi.
Molte persone nate come discendenti di grandi antenati hanno
trascurato o abbandonato i propri doveri a causa di ignoranza e
avidità, e i loro figli e nipoti sono diventati così degradati che il
loro comportamento e le loro conclusioni possono essere
facilmente riconosciuti come asurici, eppure a causa della
confusione e dell'illusione continuano a pensare di essere situati in
una posizione elevata nella società come brahmana, acharya,
gosvami e così via, anche se non fanno alcuno sforzo per compiere
i doveri prescritti o purificare la propria esistenza.
Anzi, sono lieti di passare molto tempo a guardare stupidi
programmi televisivi e film immorali, ma non hanno tempo per
leggere le scritture o praticare anche la più breve meditazione del
sandhya vandana e non seguono alcuna regola o restrizione nella
loro dieta.
Che dire di consacrare il loro cibo - hanno preso l'abitudine di
mangiare cose non vegetariane e diventano persino aggressivi e
offensivi verso coloro che osano parlare dei benefici del
vegetarianesimo. Hanno dunque perso ogni intelligenza e buon
senso, e sono scivolati in una vita d'inferno.
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Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 8
duhkham: sofferenza; iti: così; eva: certamente; yat: che; karma:
lavoro; kaya klesa: difficoltà fisiche; bhayat: per paura; tyajet:
abbandona; sah: lui/ lei; kritva: facendo; rajasam: sotto l'influsso
di rajas; tyagam: rinuncia; na: non; eva: certamente; tyaga
phalam: i risultati della rinuncia; labhet: ottiene.
"Certamente una persona che abbandona i propri doveri a
causa della paura o di difficoltà fisiche o di sofferenza sta
agendo sotto l'influsso di rajas, e non può ottenere i risultati
della rinuncia.
Nel commento al verso 4 abbiamo parlato di questa categoria di
rinunciati come di coloro che hanno abbracciato la filosofia
"dell'uva acerba". Molti celibatari - sannyasi o brahmachari a vita
- hanno scelto tale posizione perché sanno che sposarsi e lavorare
in una regolare occupazione professionale richiede molto impegno
e molti sforzi, e comporta grandi difficoltà e problemi.
Nel migliore dei casi, queste persone rimangono come bambini
innocenti riguardo a ciò che molti chiamano "le cose del mondo",
ma questo solitamente li rende immaturi e irresponsabili.
Naturalmente questa considerazione non si applica a coloro che si
sono sviluppati spiritualmente al di là delle identificazioni e
limitazioni materiali, e dimostrano con coerenza e stabilità i
sintomi descritti negli shastra a questo proposito.
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Parama Karuna Devi
Non tutti però possono vantarsi di essere sullo stesso piano di
Narada Muni e dei suoi fratelli i quatto Kumara, che rimasero
celibatari ma non erano certamente immaturi nella loro
realizzazione.
Il metro di misura è offerto qui da Krishna: la differenza tra una
persona matura e responsabile e un bambino irresponsabile è che
l'adulto si impegnerà nel proprio dovere anche se non si sente
attratto a quelle attività per qualche motivo - quando è stanco,
oppure quando l'azione richiede un certo grado di sofferenza o
scomodità, cioè kaya klesa (sofferenza del corpo o fatica) o dukha
(sofferenza mentale), e così via.
Le persone immature che giocano a fare gli spiritualisti
solitamente si comportano in modo sciocco come bambini che
passano da un impegno all'altro cercando di evitare il lavoro in
generale, e cambiano posizione a capriccio, interessati solo ai
diritti e non ai doveri. Amano spettegolare l'uno dell'altro e degli
altri, cercano di procurarsi giocattoli migliori rispetto a quelli dei
loro compagni di gioco, usano le Divinità come bambole e i divya
lila come fiabe affascinanti a scopo di intrattenimento.
Possono recitare la parte del grande devoto, del guru, del re, del
segretario generale, del presidente, dell'erudito e così via, ma senza
comprendere veramente ciò che tali ruoli comportano nel mondo
reale, perché invariabilmente abbandonano le loro responsabilità e
non si preoccupano mai di rimediare ai danni che hanno fatto.
I bambini si spaventano facilmente e hanno bisogno di essere
protetti e rassicurati dai grandi, e si annoiano specialmente quando
si tratta di leggere e studiare o svolgere altri compiti impegnativi
ma produttivi, e quindi cercano di evitarli il più possibile. Non si
curano veramente di produrre qualche buon risultato tangibile, ma
si affidano alla fantasia e ai sogni ad occhi aperti, o alle bugie vere
e proprie.
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Bhagavad gita: capitolo 18
Le persone superficiali e materialiste, che sono generalmente
piuttosto immature loro stesse, tendono a confondere la mentalità
infantile con quella trascendentale - in questo modo la società cade
facilmente preda di conquistatori e tiranni spietati e manipolatori
che non si fanno alcuno scrupolo a sviare, maltrattare, imbrogliare
e sfruttare i bambini di qualsiasi età.
Coloro che rinunciano al giusto dovere per paura delle difficoltà e
della fatica non sono veramente rinunciati e quindi non otterranno
il risultato della rinuncia (tyaga phalam) descritto negli shastra. Al
massimo otterranno un po' di adorazione a buon mercato dalle
persone ignoranti e una vita facile a spese del pubblico, ma al
momento della morte dovranno rinascere di nuovo per pagare i
debiti e recuperare il tempo perduto lavorando due volte più
duramente e affrontando il doppio dei problemi che normalmente
gli esseri umani devono incontrare.
Abbiamo un'esperienza personale di questo fatto, e siamo molto
preoccupati per coloro che non sono consapevoli di ciò che li
aspetta in futuro; non è nostra intenzione criticare, ma vogliamo
offrire preziose informazioni e avvertimenti per aiutare le persone
ad evitare sofferenze future che non sarebbero necessarie ma sono
causate da scelte poco sagge in questa vita.
Questo verso mostra che la paura è un risultato di rajas, poiché ha
origine dal desiderio di ottenere ciò che è piacevole e dal desiderio
di evitare ciò che non è piacevole. La paura è stata associata alla
collera nei versi 2.56, 4.10 e 5.28, in cui Krishna ha affermato
chiaramente che deve essere superata e abbandonata.
Una persona in tamas rimarrà pigra e indifferente verso l'impegno
in qualche vero lavoro utile, poiché è interessata soltanto alla
violenza e alla gratificazione immediata dei sensi; generalmente
non è consapevole dei pericoli e quindi potrebbe apparire
intrepida.
33
Parama Karuna Devi
Una persona in sattva invece è adulta emotivamente e
mentalmente, e si sacrifica serenamente e deliberatamente per
compiere il dovere prescritto, senza temere le conseguenze perché
è distaccata da gioie e dolori che sono i frutti dell'azione (phalan)
come ha spiegato ripetutamente Krishna nella Bhagavad gita.
VERSO 9
karyam: il dovere che va compiuto; iti: così; eva: certamente; yat:
che; karma: lavoro/ azione; niyatam: prescritto; kriyate: viene
compiuto; arjuna: o Arjuna; sangam: associazione; tyaktva:
abbandonando; phalam: il risultato; ca: e; eva: certamente; sah:
lui/ lei; tyagah: rinuncia; sattvikah: in sattva guna; matah:
considerato.
"O Arjuna, bisogna certamente compiere le attività del
proprio dovere prescritto, ma rinunciando al risultato (di tali
attività). Questa è considerata rinuncia in sattva.
Per la maggior parte delle persone nella nostra attuale società,
l'idea di rinuncia si basa sul celibato o libertà dal matrimonio e
dalle responsabilità familiari, così in generale uno è considerato
sannyasi se non è ufficialmente sposato e non ha figli. Dovremmo
però notare che qui Krishna usa il termine tyaga e non sannyasa,
poiché una persona che è già entrata ufficialmente nell'ordine di
sannyasa non ha modo di impegnarsi in alcuna attività che possa
34
Bhagavad gita: capitolo 18
creare frutti o doveri riguardo a matrimonio, figli o impegno
professionale. Si può entrare nel sannyasa solo dopo aver
completato e risolto tutti questi doveri e le faccende in sospeso, e
le rigide regole del sannyasa assicurano che non verrà dato inizio
ad alcun ulteriore debito karmico. In altre parole, Krishna dà molta
più importanza a tyaga che al sannyasa.
Secondo la cultura vedica tradizionale, ogni uomo ha un debito
naturale (rina) da pagare ai propri genitori e antenati per i benefici
che ha ottenuto nascendo - una buona casa con sicurezza e affetto,
sostegno emotivo e finanziario, educazione fondamentale nella
preservazione di sé e nell'etica, e così via. Questo debito si paga
tenendo alto il buon nome della famiglia (con il proprio
comportamento ineccepibile) e producendo almeno un figlio che
continui la discendenza e celebri i rituali per gli antenati
scomparsi.
Dunque il matrimonio è un dovere specifico per tutti i membri dei
varna superiori - brahmana, kshatriya e vaisya. I sudra non hanno
questo dovere perché non sono in grado di compierlo, o in altre
parole non hanno il guna e karma necessario per farlo;
generalmente celebrano il rituale semplicissimo del matrimonio
gandharva e hanno figli per affetto e non per dovere, ma
comunque si prendono cura fedelmente della propria famiglia.
Questo ci porta a un punto di enorme importanza: generare dei
figli non è una cosa da farsi alla leggera, per un istinto biologico
naturale (come fanno gli animali ordinari) o come tradizione
culturale o aspettativa sociale. Il Bhagavata Purana (5.5.18)
afferma chiaramente: gurur na sa syat, sva jano na sa syat, pita na
sa syaj janani na sa syat, daivam na tat syan, na patis ca sa syan,
na mocayed yah samupeta mrtyum, "Una persona non dovrebbe
(osare di) diventare guru, membro di un clan, padre o madre,
autorità rispettabile o marito se non è in grado di liberare dalla
morte i propri subordinati".
35
Parama Karuna Devi
Che significa questo? Tutti coloro che hanno preso un corpo
materiale dovranno morire (2.18, 2.27), perciò come si può
liberare qualcuno dalla morte? Qui "morte" indica l'identificazione
con il corpo materiale, perché è soltanto il corpo materiale che
muore (2.13, 2.17, 2.18, 2.20, 2.30). Possiamo dunque essere
liberati dalla morte soltanto se i nostri superiori ci vedono e ci
trattano come anime spirituali eterne (atman/ brahman) e non
come corpi materiali: questo significa che prima di avventurarsi
nella posizione di responsabilità di custode di un'altra creatura,
bisogna essere pienamente stabiliti sul livello trascendentale, o
almeno capaci di comportarsi a quel livello (brahma achara).
Vediamo qui che padre e madre sono menzionati sullo stesso
livello del guru, e in effetti il ruolo di genitore è ancora più
decisivo e cruciale del ruolo di qualsiasi insegnante. Non si può
essere un vero insegnante spirituale se si incoraggia la gente a
generare molti figli semplicemente per accrescere il numero dei
membri di una comunità basata sull'identificazione con il corpo,
senza l'adeguata preparazione etica e spirituale, o magari persino
senza quel minimo di istruzione e cura che persino gli animali
forniscono ai loro piccoli. "Fare" un figlio non è un atto
semplicemente fisico come "fare" una torta, gli esseri umani non
sono animali da riproduzione, e nessuna gravidanza dovrebbe
essere considerata un errore, un danno o una seccatura, così che la
donna debba "sgravarsi e tornare in strada". Se una persona ha un
forte desiderio di amore romantico e sessuale, dovrebbe sposarsi,
avere rapporti sessuali sani e generare felicemente un bambino se
si verifica una gravidanza.
La rinuncia in sattva consiste nel prendersi cura doverosamente di
moglie e figli per tutto il tempo necessario, senza aspettarsi in
cambio nulla da loro - né servizio né adorazione. In nessuna
circostanza l'idea della rinuncia religiosa o spirituale può essere
usata per giustificare l'abbandono della moglie e specialmente dei
36
Bhagavad gita: capitolo 18
bambini, rifiutandosi di assumersi la responsabilità per il loro
mantenimento e la loro protezione.
Questo ci porta anche al delicato argomento del controllo delle
nascite e dell'aborto; se una persona ha semplicemente un
problema di lussuria ormonale e non è pronta ad assumersi la
responsabilità di una famiglia, deve usare dei contraccettivi per
evitare la gravidanza.
Prima dell'avvento delle ideologie abramiche venivano usati molti
metodi naturali (speciamente estratti di erboristeria) per prevenire
gravidanze indesiderate, e nessuno aveva mai pensato che fossero
immorali in qualche modo. Non erano considerati una cosa
"contraria alle leggi della natura che assegnano la punizione della
gravidanza per il peccato della gratificazione dei sensi". Erano
semplicemente medicine come tutte le altre.
Affermare che i contraccettivi sono contrari alle leggi di Dio
perché permettono ai peccatori di sfuggire alle conseguenze delle
loro azioni è come dire che i digestivi sono peccaminosi e
dovrebbero essere criminalizzati e puniti, perché permettono ai
ghiottoni di sfuggire alle giuste sofferenze e ai danni del consumo
occasionale di alimenti in eccesso, o che è contro la legge di Dio
aggiustare le fratture ossee che sono conseguenza di un errore di
valutazione nel saltare un ostacolo o correre giù per una collina.
Nei tempi antichi era estremamente raro (se non inaudito) per una
donna scegliere deliberatamente di abortire, ma non perché l'aborto
fosse proibito o punito dalla legge o dalla persecuzione sociale.
Innanzitutto non esisteva il concetto di "figlio illegittimo"; il fatto
stesso di essere stato concepito rendeva un bambino perfettamente
valido, autentico e legittimo, e nessuno avrebbe anche solo osato
pensare di maltrattare un qualsiasi bambino o mancare di rispetto a
lui/ lei o a sua madre per la sua nascita cosiddetta "immorale".
37
Parama Karuna Devi
In tutte le culture non-abramiche, la maternità è riverita come sacra
in sé stessa, e non considerata una "contaminazione" o una "perdita
di onore" in alcun caso. Inoltre, l'aborto è una faccenda molto
seria, perché comporta sempre acute sofferenze fisiche e mentali
per la madre e considerevoli rischi, anche quando viene permesso
legalmente ed eseguito in modo competente e corretto dal punto di
vista medico. Se una donna fa questa scelta estrema, bisogna
comprendere che non ha alternative migliori ed è veramente
disperata.
Nella civiltà vedica, una qualsiasi donna che per qualsiasi motivo
non aveva il sostegno attivo di un marito per allevare un figlio
poteva prendere rifugio in un ashrama (come per esempio la
madre di Lava e Kusha, e la madre di Prahlada) senza dover
diventare per tutta la vita una discepola dedicata ed esclusiva del
guru dell'ashrama, o fare voti di stretta disciplina o austerità.
Inoltre, non esisteva il concetto di rapporto sessuale "prematrimoniale" o "extra-matrimoniale" per il semplice fatto che
l'atto sessuale in sé era considerato una forma legale e legittima di
matrimonio (vedere il matrimonio gandharva, per esempio). Le
persone che si sposavano in questo modo erano libere di vivere
insieme o separatamente come credevano meglio di comune
accordo, senza essere criticate dalla società o ancora peggio dalle
"autorità religiose". I matrimoni multipli (quando non violavano i
principi etici di base come la veridicità e la compassione) erano
accettati come normali e legittimi, e non condannati.
Sappiamo che Veda Vyasa era nato dall'incontro sessuale casuale
di sua madre Satyavati con il Rishi Parasara, e che i suoi genitori
non vissero mai assieme - anzi, sembra che non abbiano avuto
ulteriori contatti. Certamente quando il re Santanu chiese a
Satyavati di sposarlo, non risulta da nessuna parte che qualcuno
abbia chiesto l'opinione o il permesso di Parasara, e Satyavati
divenne la regina madre ufficiale dei futuri eredi al trono.
38
Bhagavad gita: capitolo 18
Nessuno pensò, nemmeno per un istante, che Satyavati avrebbe
dovuto nascondere l'esistenza di un figlio nato da un rapporto
precedente, e anzi Vyasa venne rispettosamente chiamato a corte
per aiutare i suoi fratellastri ad ottenere figli che potessero
continuare la dinastia.
Persino la prostituzione era considerata normale e accettabile ai
tempi vedici. Era una professione perfettamente legale e
rispettabile, non perseguitata né soggetta a qualche limite o
sanzione, e non aveva "protettori" parassiti che sfruttavano le
ragazze, perché nessuno si sarebbe mai sognato di cercare di fare
del male a una prostituta. E naturalmente non c'erano tratta di
esseri umani o schiavitù sessuale. Tutte le prostitute potevano
muoversi liberamente e facilmente e cambiare mestiere e posizione
sociale, perciò i loro figli avevano tutte le opportunità di ricevere
una buona istruzione e impegnarsi in occupazioni professionali
differenti da quella della madre.
In una società così civile nessuna donna aveva bisogno di uccidere
un figlio indesiderato, e se commetteva veramente questa azione
(come Gandhari e Ganga) nessuno la criticava.
In questo verso, karya ("dovere") è l'azione eticamente appropriata
che va compiuta in quella particolare circostanza, e indica il
lavorare in modo costruttivo o produttivo e anche l'accettare le
difficoltà e le sofferenze collegate con quella particolare
situazione. L'espressione sanga tyaktva, "abbandonando
l'associazione", significa che uno non si deve identificare o
rimanere attaccato alle azioni o alle loro conseguenze;
nell'esempio del matrimonio e della famiglia, un uomo veramente
rinunciato vede la moglie e i figli come parti del corpo di Dio,
creature e servitori di Dio, e non come parti del proprio corpo,
proprie creature e propri servitori. Soltanto in questo modo sarà
capace di proteggerli dalla morte.
39
Parama Karuna Devi
Ovviamente questo si applica anche alle madri, e non solo ai padri,
ma non ci risulta di aver mai visto una donna abbandonare il
proprio bambino con il pretesto della rinuncia religiosa o spirituale
- tranne quando vi viene costretta da altri.
VERSO 10
na dvesti: non odia; akusalam: spiacevole; karma: azione; kusale:
piacevole; na anusajjate: non diventa attaccato; tyagi: una persona
rinunciata; sattva samavistah: concentrato su sattva; medhavi: chi
è intelligente; chinna samsayah: che ha tagliato via tutti i dubbi.
"Una persona rinunciata che è situata in sattva non odia ciò
che è spiacevole e non si attacca a ciò che è piacevole. Con
l'intelligenza supera tutti i dubbi (sul dovere).
Il concetto di azione doverosa e distaccata viene ripetuto qui per
maggiore chiarezza e viene associato con le espressioni dvesti e
anusajjate. Le parole dvesti e dvesa ("odia" e "odio" come
contrario di raga o "attrazione") erano già state menzionate nei
versi 2.57, 2.64, 3.34, 5.3, 7.27, 9.28, 12.13, 12.17, 13.7, 14.22, e
certamente raccomandiamo ai nostri lettori di rinfrescarsi la
memoria rileggendo quei versi e osservando l'uso di termini
opposti di paragone, in una gamma che va da abhinandati ("loda"),
40
Bhagavad gita: capitolo 18
a raga ("attacamento", "gusto"), kanksati ("aspira", "desidera"),
iccha ("si augura", "sogna"), priya ("piacevole", "amato"), e
hrisyati ("prova piacere/ gioia").
Troviamo la parola sajjamanah per esempio nel Bhagavata
Purana come "attaccato mentalmente" agli oggetti materiali creati
dai guna (11.25.12), o attaccato alle attività del mondo materiale
(8.5.44). L'aggiunta del prefisso anu rafforza il concetto, indicando
coerenza o una situazione prolungata.
La parola kusala indica "gioia, piacere, felicità", ma anche "abilità,
fortuna, buon augurio, situazione favorevole, situazione religiosa,
buona discriminazione". Certo akusala è l'esatto opposto, e può
rappresentare una vasta gamma di cose spiacevoli e cattive,
comprese quelle che chiameremmo "un lavoro difficile" riferito a
situazioni e anche a persone.
Questo verso afferma chiaramente che bisogna compiere il proprio
dovere in modo libero dall'egoismo anche quando comporta aspetti
spiacevoli o anche la possibilità di fallimento. Al proposito,
possiamo applicare la stessa considerazione che abbiamo fatto sul
comportamento infantile e capriccioso paragonato al
comportamento responsabile di adulti coraggiosi e dalla mente
ferma.
Krishna ha già parlato della necessità di superare l'attaccamento
alle cose favorevoli nei versi 2.57, 9.28 e 12.17; questo non
significa che non dovremmo fare alcuna distinzione tra subha e
asubha (buon augurio e cattivo augurio), ma piuttosto che non
dovremmo essere attaccati né all'uno né all'altro nel compimento
dei nostri doveri (karma, karmani). Un corollario di questa
istruzione indica che non dobbiamo dipendere troppo
dall'astrologia e dai rimedi astrologici o dar loro troppa
importanza, ma dobbiamo semplicemente utilizzarli come
indicazioni generali o un consiglio che potrebbe essere favorevole.
41
Parama Karuna Devi
Mentre la prima parte del verso è focalizzata sulla determinazione
nel compiere senza egoismo le attività del proprio dovere, senza
repulsione e senza attaccamento, la seconda parte del verso collega
questo atteggiamento con la vera rinuncia (tyaga), una posizione
stabile sul piano di bontà (sattva samavistha), intelligenza e
saggezza (medha), e quella chiarezza di pensiero che dissipa i
dubbi (chinna samsaya) con la luce della conoscenza e della
realizzazione. E' importante comprendere che i dubbi (samsaya)
dovrebbero essere affrontati e risolti nel modo appropriato, e non
semplicemente sottovalutati o ignorati, perché questa è la
differenza tra sattva e tamas. Chi non dubita mai di niente non sta
usando bene l'intelligenza (medha), ma chi non riesce mai a
superare i dubbi attraverso una ricerca e una verifica adeguata è
sciocco e pigro (2.7, 2.37, 3.2, 4.40, 4.41, 4.42, 5.1, 5.25, 6.23,
6.39, 7.1, 8.5, 10.7, 12.8, 18.6).
La parola medha ("intelligenza", "saggezza", "comprensione") è
particolarmente interessante, anche in riferimento ai famosi yajna
chiamati asvamedha e gomedha, che gli indologisti coloniali
descrissero - in modo errato e tendenzioso - come ordinari sacrifici
animali, rispettivamente di un cavallo e di una mucca.
Il fatto è che tali yajna erano intesi ad adorare e servire i principi
chiamati asva e go, e non a uccidere gli animali associati con
questi nomi, come vediamo per esempio nell'espressione pitri
medha usata per indicare le offerte ai pitri o antenati (vedere
Bhagavata Purana 9.10.29, riferito a Ramachandra).
Troviamo nell'Atharva Veda (sukta 52, 53 e 54) una lunga
elaborazione sul fatto che il termine asva indica kala, il tempo, "un
cavallo che scorre continuamente con sette raggi e centinaia di
assi"). Così come il cavallo Kala è il padre, la mucca Bhumi (il
pianeta Terra, e per estensione tutti i pianeti) è la madre; il "ritorno
a casa" delle mucche si riferisce quindi al punto in cui i sistemi
planetari ritornano in una particolare posizione o "casa".
42
Bhagavad gita: capitolo 18
La parola bhumi è strettamente collegata con bhuta, che significa
"essere", "esistenza" o "elemento", a indicare specificamente
un'esistenza che è venuta ad essere attraverso l'aggregazione dei
vari elementi materiali dell'universo.
Una chiara conferma del profondo significato simbolico di questi
rituali si trova nel famosissimo Purusha sukta (Rig Veda, 10.90),
che ancora oggi deve essere recitato in tutti i rituali di sacrificio:
"Il Purusha ha mille teste, mille occhi e mille gambe. Riempie
l'universo ovunque, anche se è alto soltanto dieci dita. Questo
Purusha è tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà, ancora più
grande del potente Signore dell'immortalità, che cresce con il
nutrimento. Tutte le creature costituiscono un quarto della sua
esistenza, mentre i tre quarti sono la vita eterna nel mondo che non
è soggetto alla distruzione... Da lui è venuto ad essere il Viraja, e
ancora dal Viraja è apparso il Purusha... Gli Dei prepararono il
sacrificio e l'offerta sacrificale era il Purusha stesso: lo nutrirono
con erba, lo unsero di balsami. Dalla carne della vittima sacrificale
vennero creati il burro chiarificato, le creature dell'aria, gli animali
selvatici e domestici, gli inni del Rig e del Sama e i mantra e i
rituali, dai quali nacque lo Yajur. Dal corpo del Purusha ebbero
origine i cavalli e i bovini, il bestiame che ha due file di denti...
quando divisero la carne del Purusha, quante porzioni
prepararono? I brahmana erano la sua bocca, le sue braccia erano
gli kshatriya, le gambe i vaisya, e i piedi i sudra. La luna nacque
dalla sua mente, il sole dal suo occhio, Indra e Agni dalla sua
bocca, Vayu dal suo respiro. Dal suo ombelico nacque lo spazio
interplanetario, dalla sua testa i pianeti celesti e dai suoi piedi la
Terra, e dal suo corpo tutti i sistemi planetari... Io conosco questo
grande Purusha, che risplende come il sole e trascende l'oscurità, e
chi lo conosce in questo modo raggiunge la liberazione in questa
stessa vita - anzi, non c'è altra via per la liberazione. Il Signore
dell'universo vive nell'universo, e appare in molte forme senza mai
nascere... Io offro il mio omaggio al Brahman eternamente
43
Parama Karuna Devi
risplendente, che ha dato il potere divino agli Dei, che è il guru
degli Dei e il loro Sommo Anziano."
Per rafforzare il collegamento tra questo concetto e l'argomento di
sannyasa e tyaga, vorremmo citare qui un verso tratto dal Brahma
vaivarta Purana: asvamedham gavalambham sannyasam pala
paitrkam devarena sutotpattim kalau panca vivarjayet, "In questa
era di Kali si devono tralasciare cinque pratiche: l'asvamedha
yajna, il gomedha yajna, l'accettazione dell'ordine di sannyasa,
l'offerta di oblazioni agli antenati, e il generare dei figli con la
moglie del proprio fratello".
Certo, questo è dovuto al fatto che la società umana ha perduto le
sue migliori qualità e la gente non è più capace di compiere queste
pratiche nel modo corretto, non perché tali pratiche siano primitive
o immorali per "gli esseri umani evoluti e civilizzati" dei nostri
giorni, come alcune persone sciocche e ignoranti sono state indotte
a credere.
VERSO 11
na: non; hi: in verità; deha bhrita: da coloro che portano un corpo;
sakyam: è possibile; tyaktum: abbandonare; karmani: tutte le
attività; asesatah: senza fine; yah: una persona che; tu: ma; karma
phala tyagi: chi rinuncia ai risultati dell'azione; sah: lui/ lei; tyagi:
(veramente) rinunciato; iti: così; abhidhiyate: è detto.
44
Bhagavad gita: capitolo 18
"In verità per coloro che sono incarnati non è possibile
abbandonare i propri doveri, che sono molti, perciò chi rimane
distaccato dai risultati delle attività è considerato il vero
rinunciato.
La parola chiave in questo verso è deha bhritah, "coloro che
portano un corpo", che indica la complessa rete di esigenze,
influenze, qualità, attività e conseguenze che dobbiamo gestire
mentre siamo ancora incarnati in questo universo. Questo punto
sarà confermato di nuovo nel verso 18.40: na tad asti prithivyam
va divi devesu va punah, sattvam prakriti jair muktam yad ebhih
syat tribhir gunaih, "Non c'è nemmeno una sola persona, in questo
mondo o nel mondo dei Deva, che sia libera dall'influenza dei tre
guna creati dalla prakriti".
Nel verso 3.8 Krishna aveva affermato: niyatam kuru karma tvam
karma jyayo hy akarmanah, sarira yatrapi ca te na prasiddhyed
akarmanah, “Devi compiere le azioni doverose, perché l'azione è
meglio dell'inazione. Senza agire è impossibile persino mantenere
il corpo, che è il veicolo (del Sé)". Questa idea è rafforzata dall'uso
del termine bhrit, strettamente imparentato con il verbo bibharti,
"mantiene".
Persino coloro che affermano di aver cessato ogni attività devono
comunque procurarsi qualche forma di nutrimento (aria, luce, ecc)
e rifugio, e la loro mente continua a creare presentazioni e
distrazioni o a concentrarsi su qualcosa, anche se fosse semplicemente la completa ignoranza.
E perché dovrebbero mantenere un corpo se non lo usano per fare
qualcosa di buono in questo mondo? Se non hanno bisogno di un
corpo, è meglio che lo lascino e smettano di sprecare spazio su
questo affollato pianeta, perché la loro cosiddetta astensione dai
legami karmici non è altro che vita vegetativa immersa nella
pigrizia di tamas.
45
Parama Karuna Devi
Il corpo ci è stato dato come strumento e veicolo di grande valore,
e dobbiamo usarlo adeguatamente per il servizio di tutti gli esseri
in pagamento del nostro debito (rina) verso i Deva, i Rishi, i Pitri e
tutti gli altri benefattori del mondo.
L'espressione karmani asesatah indica che le attività doverose
sono innumerevoli e non hanno mai fine. Certo, questo non
significa che ogni individuo deve compiere tutte queste attività
contemporaneamente, perché il numero immenso si riferisce alle
possibilità o opportunità di impegno nell'amministrazione
dell'universo secondo il proprio guna e karma individuale.
Il karma come dovere è determinato dal guna o qualità, come
vedremo più avanti in questo capitolo, specialmente applicato alla
società umana, ma persino i Deva e le creature che sono al di sotto
del livello umano hanno dei doveri da compiere, come possiamo
facilmente vedere ogni giorno.
Il sole risplende doverosamente, il vento soffia secondo leggi
precise, e persino le formiche lavorano infaticabilmente per
trasportare i loro carichi per il beneficio della comunità - non
soltanto per assicurare cibo e provviste alla loro comunità nel
formicaio, ma anche per rimuovere i detriti e pulire l'ambiente.
Persino uno scarabeo stercorario e un lombrico di terra hanno un
lavoro molto importante e rispettabile nell'amministrazione del
mondo, perché smantellano i rifiuti e li riciclano sotto forma di
fertilizzante utilizzabile per la crescita degli alimenti vegetali.
Nella società umana come tra tutti gli esseri, l'Anima dell'anima
(antaryami paramatma) guida il jivatman a cercare le circostanze e
le esperienze che sono appropriate per il suo sviluppo, perciò
vediamo che la nostra coscienza ci dice, in modo naturale e
spontaneo, che siamo attratti a una particolare occupazione
piuttosto che a un'altra. Ovviamente tale attrazione può essere
soltanto temporanea e strumentale per la nostra educazione, come
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Bhagavad gita: capitolo 18
per esempio un breve esperimento in un'attività che ha catturato la
nostra fantasia in modo eccessivamente idealizzato, pieno di
equivoci che hanno bisogno di essere chiariti attraverso una
verifica diretta. La cosa migliore sarebbe di completare questa fase
in età precoce, nella casa del guru (guru kula) dove gli studenti
vivono come suoi figli adottivi, tutti allo stesso livello, e sono
impegnati in ogni tipo di compito e possono accedere a tutti i tipi
di addestramento, almeno in via sperimentale. Ma può essere
affrontata anche più tardi nella vita. In ultima analisi sono il guru,
l'assemblea dei brahmana e il re che hanno la responsabilità di
valutare e verificare lo sva dharma di ciascun individuo a seconda
del suo guna e karma, o naturali tendenze e capacità, e aiutare e
sostenere ciascun individuo nello sviluppo del suo pieno potenziale
e rimanere adeguatamente impegnato. Possiamo dunque
comprendere che il fatto che persone non qualificate occupino
queste posizioni di così cruciale responsabilità costituisce una
minaccia estrema alla società intera e può devastare la vita di tutti.
Le persone intelligenti dovrebbero essere sempre attente ed
esaminare con cura le conclusioni e il comportamento di guru,
brahmana e rappresentanti del governo per assicurarsi che
facciano il loro lavoro adeguatamente, altrimenti dovranno essere
rimossi dalla loro posizione. Nel sistema vedico questo viene
effettuato generalmente in modo passivo, con l'ostracismo, poiché
gli individui non qualificati vengono smascherati e la gente li
evita. Possiamo vederne la dimostrazione, per esempio, quando gli
abitanti di Hastinapura si dimostrarono desiderosi di lasciare
Duryodhana e la capitale per trasferirsi nella nuova città dei
Pandava, Indraprastha. I cittadini di Ayodhya stavano per fare la
stessa cosa quando Rama venne esiliato, e desistettero soltanto per
ordine diretto di Rama, che spiegò loro che sarebbe andato a vivere
nella foresta come gli asceti per qualche anno e poi sarebbe
tornato.
47
Parama Karuna Devi
Ai nostri giorni, la situazione è diventata così degradata che
abbiamo bisogno di ricominciare quasi da zero per ricostruire le
fondamenta di una società sana, e questo deve iniziare dalla testa.
Abbiamo bisogno di un nuovo corpo di srestha (3.21), brahmana
qualificati che hanno la giusta conoscenza e la giusta realizzazione,
e le applicano visibilmente in pratica nella propria vita. Queste
persone agiranno come guru dell'intera società, addestrando e
impegnando chiunque liberamente e senza pregiudizi, semplicemente verificando i loro effettivi guna e karma. Il cieco
pregiudizio di nascita del sistema di caste non ha nulla a che fare
con il sistema dei varna dell'autentica civiltà vedica, e deve essere
eliminato da ogni procedimento legislativo e amministrativo del
governo.
VERSO 12
anistam: non desiderabile; istam: desiderabile; misram: misto; ca:
e; tri vidham: tre tipi; karmanah: di attività; phalam: risultato;
bhavati: diventa; atyaginam: per coloro che non sono rinunciati;
pretya: dopo la morte; na: non; tu: ma; sannyasinam: per i
sannyasi; kvacit: in qualsiasi momento.
"Dopo la morte, coloro che non erano rinunciati dovranno
affrontare le conseguenze delle loro attività - non desiderabili,
desiderabili e miste. I sannyasi invece non vi sono legati.
48
Bhagavad gita: capitolo 18
Un sannyasi autentico ha già sperimentato e superato la morte
quando ha abbandonato tutte le identificazioni materiali, gli
attaccamenti, le relazioni e affiliazioni, i desideri, le imprese e così
via. Qualsiasi residuo di reazioni karmiche generate dalle sue
attività precedenti è stato consumato dalle austerità che ha
accettato mentre ancora viveva nel corpo, perciò al momento della
morte non ci sono più legami con il suo corpo materiale. Questa è
la vera ragione per cui i sannyasi non sono legati dal karma.
Vediamo in questo verso che Krishna usa i due termini tyaginam e
sannyasinam simultaneamente, a indicare che devono essere
presenti entrambi i fattori - la rinuncia spirituale ai frutti delle
azioni e la rinuncia fisica alla posizione di karta ("autore
dell'azione") e alle attività che non sono strettamente necessarie.
Nel sistema vedico tradizionale, una persona evoluta deve lasciare
la casa dopo aver raggiunto l'età di 50 anni (pancasa urdhvam
vanam vrajet). Questo è confermato anche dall'esempio personale
di innumerevoli grandi personalità - generalmente brahmana e
kshatriya e specialmente sovrani - offerto nelle storie di Purana,
Upanishad e altri testi vedici.
Dopo aver passato un periodo sufficiente come residente della
foresta (vana prastha) in una vita tranquilla, semplice e solitaria,
un uomo dovrebbe prepararsi ufficialmente alla morte entrando
nell'ordine di sannyasa, che è già considerato "morte sociale".
Di solito questa cerimonia si osserva all'età di 75 anni, quando
l'aspettativa di ulteriore sopravvivenza è piuttosto corta, e la vita di
famiglia ha perso molto del suo significato. Il sannyasi prende un
nuovo nome e si rende totalmente irriconoscibile da quelli che
sono stati i suoi parenti e amici, e abbandona ogni collegamento
con gli impegni professionali e rituali. Smette di cucinare e di
prendersi cura del proprio corpo e degli effetti personali, e
sopravvive da un momento all'altro e da un giorno all'altro, sempre
49
Parama Karuna Devi
pronto a lasciare il corpo in qualsiasi momento. Questo è il vero
significato del sannyasa. Una persona che si trova in questa
posizione non è legata in alcun modo.
E' facile comprendere come il concetto di sannyasa sia stato
associato al concetto del mondo come semplice illusione (brahma
satya, jagan mithya). Un sannyasi percepisce il periodo che gli
resta da vivere nel corpo come un semplice sogno, un'illusione
temporanea che ben presto crollerà e dalla quale si sveglierà alla
realtà eterna della pura esistenza spirituale.
Alcuni commentatori nella linea impersonalista spiegano la parola
phala (come in karma phala, o "risultati delle azioni") come un
composto di pha da phalgu ("privo di sostanza") e la da layam
("scomparsa", termine imparentato con pralaya, "distruzione").
Così, poiché il sannyasi ha già realizzato che i karma phala sono
semplice illusione, non rimarrà legato ad essi al momento di
lasciare il corpo. Da un sogno passerà a un altro sogno con una
nuova nascita, o ancora meglio si sveglierà al nirvana.
Si tratta però di una posizione molto semplicistica, che assomiglia
alla conclusione dell'uva acerba o alle fantasie di bambini
immaturi; una consapevolezza basata su sogni e illusioni non
appartiene a sattva o visuddha sattva ma a tamas, e se si diffonde
tra la gente in generale può causare seri danni perché confonde i
grihastha facendo loro pensare che assenteismo e irresponsabilità
siano legittimi o addirittura più nobili dal punto di vista spirituale
rispetto al giusto impegno nelle attività del proprio dovere.
Questo è ciò che Krishna ha spiegato nel capitolo 3, quando ha
affermato che anche lui si impegna nell'azione, semplicemente per
dare il buon esempio alla società (3.22-26), perché personalmente
non ha alcun interesse egoistico da perseguire cercando risultati
dalle azioni.
50
Bhagavad gita: capitolo 18
Questo è anche il motivo per cui i sannyasi non dovrebbero mai
entrare in contatto con kshatriya, rappresentanti del governo,
leader attivi della società e persone sposate; al massimo possono
avvicinarsi alle loro case una volta al giorno e rimanere fuori dalla
porta per il tempo necessario a ricevere gli avanzi del pasto della
famiglia.
Non c'è dunque alcun bisogno di vedere il karma phala come
semplice fantasmagoria illusoria, e in tutta la Bhagavad gita
Krishna ha ripetutamente presentato una via molto migliore (lo
yoga), come possiamo vedere facilmente nei versi 2.47, 2.51, 4.20,
5.12, 5.14, 6.1, 9.28, 12.11, 12.12, 17.11, e anche nei versi 2.39,
2.48, 2.50, 3.9, 3.19, 3.28, 3.31, 4.14, 4.15, 4.21, 4.23, 4.24, 4.32,
4.37, 4.41, 5.2, 5.3, 5.10, 6.1, 9.27, 11.55, 12.6, 13.30, 16.24, e
17.23.
La parola pretya ("dopo la morte") è strettamente imparentata con
preta ("gente morta" cioè fantasmi), poiché al momento della
morte si lascia il corpo grossolano ma generalmente si conserva il
corpo sottile che potremmo chiamare "fantasma". In un certo
senso, tutti diventano fantasmi per un certo periodo di tempo,
poiché generalmente la reincarnazione non è immediata; lo spirito
del deceduto può rimanere attorno al suo cadavere e ai luoghi e
alle persone della sua vita precedente, se vi è troppo attaccato, e in
questo modo perde un'opportunità cruciale di progresso e di
evoluzione.
Se al momento della morte siamo capaci di lasciarci dietro tutte
queste identificazioni e attaccamenti e proseguire nel nostro
viaggio, otterremo una nuova opportunità di reincarnazione
secondo il risultato delle nostre attività passate e dei nostri desideri
(karma phala), altrimenti potremmo rimanere incastrati tra due
vite come un fantasma vero e proprio, anche per un tempo molto
lungo, e questo è sicuramente una situazione spiacevole.
51
Parama Karuna Devi
Le circostanze create dal nostro karma passato possono essere
piacevoli (ista), spiacevoli (anista) o più probabilmente una
mistura (misra) di cose piacevoli e spiacevoli. La parola istam è
molto interessante perché significa "piacevole" ma anche
"desiderato, preferito, scelto".
Quindi Krishna sta dicendo qui che dopo la morte ci troveremo
davanti circostanze attese e inattese, che sono la manifestazione
delle nostre paure e dei nostri desideri, perché sia attrazione (raga)
che repulsione (dvesa) sono poli magnetici per la materializzazione
di eventi. Per questo motivo bisogna situarsi su un livello di
neutralità, e non semplicemente rifiutare la vita materiale e gli
oggetti come negativi e indesiderabili - perché ciò che neghiamo e
reprimiamo diventa facilmente sempre più forte nella nostra mente
e attira esattamente ciò che non vogliamo ottenere.
Odio, risentimento e paura legano l'anima condizionata con catene
ancora più forti di quanto facciano amore e attaccamento, e
normalmente i nemici giurati rinascono come gemelli oppure
diventano marito e moglie o genitore e figlio in una vita
successiva. Un razzista o una persona che odia attivamente una
particolare nazionalità, comunità o casta molto probabilmente
rinascerà proprio in quell'ambiente, così come un uomo che odia le
donne (o una donna che odia gli uomini) si sta preparando una
prossima nascita come membro del sesso opposto. Certo, questo si
applica solo alle circostanze della nascita, e non cambia automaticamente l'atteggiamento e le credenze dell'individuo. Ma
certamente offre un'ottima opportunità di apprendimento.
Quando applichiamo questo concetto alla pratica del celibato come
rinuncia alla vita sessuale, è facile comprendere che un vero
sannyasi deve rimanere neutrale, non turbato e non ossessionato da
pensieri sessuali negativi coltivati o espressi per condannare o
odiare la sessualità.
52
Bhagavad gita: capitolo 18
Quando tyaga, la rinuncia, viene considerata in modo dualistico
come l'opposto di bhoga ("godimento del piacere") si trova ancora
sul piano condizionato e la sfortunata vittima di questa illusione
oscillerà avanti e indietro dall'una all'altra. Questo accade perché ci
si considera ancora il beneficiario (purusha) e si pensa di aver
rinunciato a qualcosa che era in realtà un proprio diritto o proprietà
legittima; questo egotismo si basa sulla falsa identificazione con il
corpo materiale e con la posizione, per esempio come "uomo",
mentre le "donne" sono viste come corpi e oggetti di piacere. Il
fatto che un celibatario non si impegna fisicamente in attività
sessuali è totalmente secondario e certamente non è sufficiente a
risolvere il problema (3.6).
Quando siamo neutrali, non pensiamo a noi stessi come il karta,
isvara o bhogi (16.14), e non pensiamo di avere qualche merito per
aver rinunciato all'azione, alla dominazione o alla gratificazione.
Non pensiamo nemmeno a noi stessi come uomini o donne, ma
solo come atman.
Un vero sannyasi non parla delle donne e non pensa alle donne,
perché vede tutti gli esseri incarnati come jivatman, anime
spirituali, parti del corpo di Dio, perciò per lui non ci sono
"donne". Non condanna le donne e non le teme, non proibisce loro
di andare in giro o stare in sua presenza quando cammina o siede
da qualche parte. Non parla in modo sprezzante delle donne, non
manca di rispetto alle donne, non odia le donne. Per lui non ci sono
"donne" o "uomini", ma solo anime spirituali che indossano vari
tipi di corpi.
Alcuni commentatori hanno cercato di collegare istam con il
paradiso o svarga, anistam con l'inferno o naraka, e misram con la
Terra e la società umana, ma si tratta di un tentativo di giustificare
e convalidare concetti vedici associandoli a concetti abramici. Non
è necessario, e in effetti può portare molta confusione.
53
Parama Karuna Devi
VERSO 13
panca: cinque; etani: queste; maha baho: tu che hai braccia
potenti; karanani: le cause; nibodha: comprendi; me: da me;
sankhye: nella scienza del Sankhya; krita ante: alla conclusione;
proktani: descritte; siddhaye: per la perfezione; sarva karmanam:
di tutte le attività.
"O potente (Arjuna), dovresti comprendere che secondo il
Sankhya ci sono cinque fattori necessari per il perfezionamento di tutte le attività.
Nel verso 1, Arjuna aveva chiamato Krishna maha baho, "tu che
hai braccia potenti", e adesso Krishna gli restituisce il
complimento, dopo averlo chiamato bharata sattama e purusa
vyaghra, rispettivamente "migliore tra i Bharata" e "tigre tra gli
uomini".
In questo capitolo Krishna sta spiegando come moksha (la
liberazione) può essere raggiunta lavorando sinceramente e senza
egoismo per il bene universale, e i riferimenti alla forza fisica
indicano che tale lavoro deve essere fatto investendo sufficiente
energia e sforzo in pratica, e non soltanto con teorie e vaghe
meditazioni.
La parola nibodha ("dovresti comprendere") è imparentata con la
parola buddhi, e quindi indica il giusto uso dell'intelligenza. La
forza fisica in sé non è molto efficace, se non viene coordinata e
54
Bhagavad gita: capitolo 18
diretta dal giusto uso di intelligenza e strategia - esattamente
l'argomento che Krishna spiegherà nei prossimi versi.
Che cos'è la strategia? E' l'arte e la scienza di pianificare le risorse
per il loro utilizzo efficace a ottenere uno scopo; poiché
l'espressione dice nibodha me ("dovresti comprendere da me")
possiamo concludere che la cosa migliore è imparare la scienza
della strategia direttamete dalle autorità migliori, dalle persone più
esperte.
Abbiamo visto che il Sankhya ("conteggio, enumerazione") è la
scienza che combina fisica e metafisica e categorizza gli elementi
dell'universo e i loro collegamenti. E' detto che la parola sankhya è
un composto di due radici - san da samyak ("completamente") e
khya da khyayante ("descritto").
L'espressione krta ante ("alla fine dell'azione") può essere qui
applicata a diversi livelli; un significato può indicare la fine o lo
scopo delle azioni o attività in sé stesse, e un altro significato può
indicare la conclusione del lavoro di compilazione della letteratura
Sankhya.
In entrambi i casi comporta un senso di finalità direttamente
collegato con l'idea di pianificazione strategica. Bisogna
approfittare adeguatamente della possibilità offerta da un corpo
umano (18.11) perché i fantasmi (18.12) non sono in grado di agire
per il proprio progesso o per il bene dell'universo e il servizio del
Supremo.
La scienza dell'azione non è certamente un argomento facile, come
Krishna ha già sottolineato: kim karma kim akarmeti kavayo 'py
atra mohitah, tat te karma pravaksyami yaj jnatva moksyase
'subhat, "Persino gli esperti possono rimanere confusi su ciò è che
karma e ciò che è akarma. Ti dirò la scienza del karma, e
conoscendola diventerai libero da ogni negatività" (4.16).
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Parama Karuna Devi
Questo capitolo è dedicato alla liberazione (moksha) ed è iniziato
parlando di rinuncia (sannyasa e tyaga), ma non dovremmo essere
sorpresi nel vedere che Krishna continua la discussione parlando di
azione e lavoro: sannyasah karma yogas ca nihsreyasa karav
ubhau, tayos tu karma sannyasat karma yogo visisyate, “Entrambe
queste vie - sannyasa e karma yoga - portano al beneficio
supremo, ma il karma yoga è meglio del sannyasa" (5.2).
VERSO 14
adhisthanam: il luogo; tatha: similmente; karta: l'autore
dell'azione; karanam: gli strumenti; ca: e; prithak vidham: di
diversi tipi; vividhah: vari; ca: e; prithak: differenti; cestah:
sforzo; daivam: destino; ca: e; eva: certamente; atra: qui;
pancamam: il quinto.
"La posizione, l'autore dell'azione, gli strumenti e lo sforzo
possono essere di diversi tipi. Il quinto fattore è il destino.
L'espressione adhi sthana significa "luogo", e include il corpo, i
suoi guna naturali e karma precedenti, la posizione nel tempo e
nello spazio, le particolari circostanze di comunità o società o
cultura, tempo e luogo, le facilitazioni offerte da una nascita buona
o cattiva (entrambe possono essere molto utili) e così via. Si tratta
del punto di partenza dal quale possiamo iniziare il nostro lavoro e
56
Bhagavad gita: capitolo 18
il nostro viaggio, perciò è estremamente importante comprendere e
verificare dove ci troviamo veramente.
La parola karta significa "chi fa", cioè "l'autore dell'azione", e
indica il motivo o la decisione dell'azione, perciò vediamo che
questa definizione è normalmente usata nel sankalpa o
dichiarazione ufficiale dello scopo all'inizio dei rituali religiosi.
Parecchie persone possono essere impegnate nel compimento di un
rituale, specialmente se si tratta di una celebrazione complessa e
importante, ma il merito del sacrificio e i risultati vanno al karta, la
persona che ha preso l'iniziativa di realizzare l'evento e fornisce
tutti i materiali necessari e il compenso per i sacerdoti.
Sappiamo che il concetto di karta è relativo: prakriteh
kriyamanani gunaih karmani sarvasah, ahankara vimudhatma
kartaham iti manyate, “Tutte le attività sono in realtà compiute
dalle qualità della natura, ma una persona sciocca confusa
dall'egotismo pensa, 'sono io a fare'" (3.27). In questo verso,
comunque, la definizione viene usata per indicare l'agente
soggettivo, che è l'origine della scelta di impegnarsi nell'azione, e
non la forza che determina il particolare tipo di azione, che è
costuita dalla prakriti. Il jivatman ha comunque una certa misura
di libero arbitrio, con il quale può scegliere se impegnarsi
nell'azione oppure no, mentre la modalità dell'azione è controllata
dai guna o dalla natura.
La parola karana ("gli strumenti"), si riferisce agli organi di senso
- quelli di percezione e quelli di azione - che costituiscono gli
strumenti interiori o personali del nostro lavoro. Si può nascere in
una buona famiglia di esperti chirurghi e avere sufficiente
intelligenza e desiderio di svolgere quel lavoro, ma se si è ciechi o
sordi non si potranno ottenere gli stessi risultati che sono possibili
con facoltà visive e auditive adeguatamente funzionali. Questo è
dunque un fattore importante. Dobbiamo ricordare che karana
(con la prima a lunga) significa appunto "causa".
57
Parama Karuna Devi
Al proposito, possiamo ricordare il verso 13.21: karya karana
kartritve hetuh prakritir ucyate, purusah sukha duhkhanam
bhoktritve hetur ucyate, "La prakriti è definita come la causa e
l'origine dell'azione, mentre il purusha è la causa della percezione
di gioia e sofferenza" (13.21); questo può aiutarci a mettere nella
giusta prospettiva karta e karana.
La parola cesta significa "sforzo, impresa, tentativo, movimento" e
indica la quantità di energia che il karta investe nell'azione. Alcuni
commentatori affermano che il termine è un composto di ca ("e",
"ancora") e ista ("desiderato", "scelto"), a indicare che è necessario
tentare ancora e ancora per ottenere lo scopo che ci si è prefissi.
Come si dice, il successo viene raggiunto con una certa
percentuale di ispirazione e una quantità molto maggiore di fatica.
La parola daivam è molto interessante. Generalmente viene
tradotta come "destino" e in quanto tale daivam comprende la
somma totale delle reazioni karmiche delle nostre attività
precedenti e dei nostri desideri, ma non è limitato a un risultato
meccanico di eventi. Nella prospettiva vedica niente è veramente
impersonale, nemmeno le leggi della natura materiale, poiché il
disegno progettuale di ogni esistenza è la conoscenza.
Il destino quindi non è differente dalla consapevolezza o piano di
Dio (deva), benché certamente non sia ciò che è presentato dalle
ideologie abramiche. Dio non ricompensa e non punisce nessuno,
non assolve dai peccati e non giudica le persone, e non condanna
nessuno a una particolare situazione.
Una reazione alle nostre attività precedenti ha semplicemente lo
scopo di istruirci, dimostrando la reciprocità di tutta l'esistenza e la
percezione. Con ogni scelta e decisione, sia positiva che negativa,
mettiamo in moto delle conseguenze e otteniamo dei risultati ista, anista e misra - che andranno a realizzare i nostri desideri o ci
insegneranno che quei desideri non erano poi un'idea così brillante.
58
Bhagavad gita: capitolo 18
Alcuni commentatori traducono daivam in questo verso come
paramatman, l'Anima dell'anima, che accompagna sempre il
jivatman in tutte le sue successive incarnazioni e lo guida verso le
azioni e reazioni che sono necessarie per la sua evoluzione. A
questo proposito hanno citato l'aforisma esa hi drasta srasta, "il
testimone è il creatore" (Prasna Upanishad 4.9), a indicare che
l'antaryami paramatman, che è il creatore e l'origine del jivatman,
può vedere e comprendere tutti i desideri del cuore dell'anima e
organizza le circostanze adatte per realizzare le esperienze, e poi
guida il jivatman verso di esse e attraverso di esse. Nella
prospettiva vedica però l'essere umano ha comunque una certa
misura di libertà per scegliere in quali azioni vuole impegnarsi.
Possiamo paragonare il destino a un potente fiume sul quale ci
troviamo a viaggiare. La corrente è forte e ci trasporta in una
direzione specifica, e quindi costituisce un fattore importante da
tenere in considerazione, però abbiamo la libertà di usare i remi
per muovere la nostra barca e guidarla a nostro piacere, per
esempio verso la riva, dove la corrente rallenta.
Lungo il corso del fiume ci saranno delle rapide, e là potremo
soltanto concentrarci sul compito di sopravvivere al salto e tenere
la testa fuori dall'acqua il più possibile, ma ci saranno anche delle
secche o guadi (tirtha) poco profondi dove potremmo uscire
addirittura dal fiume e riposarci sulla riva, e magari costruire una
barca nuova e migliore.
Con un investimento sufficiente di tempo e sforzo possiamo
persino costruire delle dighe o scavare un nuovo letto per il fiume,
in cui altri potranno viaggiare - ma l'acqua scorrerà sempre verso
l'oceano, per quanti sforzi facciamo per deviare il suo corso.
Lo scopo della vita e il processo fondamentale di reincarnazione e
liberazione rimarranno dunque sempre uguali per tutti.
59
Parama Karuna Devi
VERSO 15
sarira: dal corpo; vak: dalla parola; manobhih: dalle (attività o
facoltà) mentali; yat: ciò che; karma: azioni; pra arabhate: inizia
(con uno scopo); narah: un essere umano; nyayyam: appropriato;
va: oppure; viparitam: altrimenti/ contrario; va: oppure; panca:
cinque; ete: questi; tasya: di quello; hetavah: le cause.
"Qualsiasi azione buona o cattiva viene compiuta da un essere
umano con il corpo, la parola o la mente, è causata da questi
quattro fattori.
La parola nara significa "uomo", ma possiamo certamente dedurre
che qui include sia uomini che donne, considerando che gli esseri
umani come specie possiedono una certa misura di libero arbitrio e
strumenti per le azioni compiute da corpo (sarira, tanu, o kaya),
parola (vak) o mente (manasa). Qui manas è espressa nella forma
plurale (manobhih) come già nei versi 2.56, 7.1, 9.34, 11.49 e
18.65, a indicare i differenti livelli e le varie modalità delle
funzioni della mente, per esempio la mente cosciente e il
subcosciente.
I termini tecnici sanscriti per le azioni compiute con il corpo, la
parola e la mente sono saririka o kayika, vacika e manasika
rispettivamente e si applicano a tutte le attività compresa la pratica
del sadhana yoga o spirituale e il calcolo delle reazioni karmiche
secondo le differenti circostanze.
60
Bhagavad gita: capitolo 18
Per esempio in Kali yuga o in circostanze particolarmente difficili,
le attività mentali compiute con una buona motivazione e di natura
buona hanno lo stesso effetto, o addirittura un effetto migliore
rispetto a quelle compiute con la parola o il corpo per lo stesso
scopo, mentre le offese mentali (cioè le attività negative compiute
soltanto nella mente) sono considerate molto meno gravi rispetto
alle offese fisiche. Questo si spiega con il fatto che l'ambiente
fisico, che include il corpo e i sensi, sta creando influenze negative
ed è molto più facile per una persona commettere effettivamente
azioni negative che azioni positive. Certo, quando si fa la scelta di
continuare a pensare a una determinata azione, si crea comunque
una certa misura di reazioni karmiche poiché ci si associa con
l'oggetto dell'azione (2.62); l'accumulo di queste reazioni e contatti
eserciterà un'influenza sempre più forte sulla manifestazione
successiva di azioni attraverso la parola e poi al livello del corpo.
La responsabilità dell'individuo e i risultati di ciascuna azione
dipendono dalla precisa quantità di libero arbitrio di cui si gode al
momento in cui l'azione viene compiuta. Per esempio, uno schiavo
che è costretto a rubare o uccidere, o un bambino o un carcerato
che sono costretti a mangiare cibi non vegetariani non sono ritenuti
responsabili delle conseguenze delle loro azioni. I responsabili
sono coloro che li mettono in quelle situazioni, e saranno loro a
dover affrontare le conseguenze karmiche. Persino una donna che
è costretta a uccidere il proprio figlio con l'aborto a causa della
pressione della famiglia o della società rimane libera dalle
conseguenze karmiche inerenti all'uccisione di un bambino in
circostanze ordinarie.
D'altra parte, se una persona che si trova in una posizione di potere
- ricchezze, salute, energia, tempo, posizione, strumenti e così via trascura di onorare anche un piccolo dovere o compiere una
piccola buona azione, o sceglie di commettere anche solo una
piccola cattiva azione, la reazione karmica sarà molto più grave.
61
Parama Karuna Devi
L'espressione pra arabhate significa "inizia a compiere,
intraprende" e indica che la cosa più importante in ogni azione non
è tanto il successo del completamento, ma la scelta deliberata di
iniziarla e investirvi tempo ed energia.
Già questo crea la reazione buona o cattiva, e porta meriti o
demeriti, perché il completamento e il successo non dipendono
unicamente dal karta (l'attore soggettivo) e da cesta (lo sforzo).
Ciò è confermato nei versi 3.7, 4.19, 14.12, 14.25, 18.25, 18.48.
I due tipi di azione descritti in questo verso sono nyayyam e
viparitam. Nyaya significa "ragione, logica" e indica le azioni
intelligenti e ragionevoli che sono chiamate dharmiche o virtuose
in modo positivo.
La parola viparitam significa "contrario, opposto" e si riferisce al
contrario delle attività ragionevoli, chiamate vikarma, azioni
cattive o adharmiche secondo la prospettiva vedica.
Queste definizioni sono molto interessanti perché contrariamente
ad altre ideologie, la tradizione vedica considera i meriti e demeriti
delle azioni sulla base di valori etici, coscienza e specialmente
intelligenza e ragione.
Krishna ha già presentato il buddhi yoga (lo yoga dell'intelligenza)
come il criterio più alto per l'azione (2.39, 2.49, 2.50, 2.51, 2.53,
3.1, 4.18, 6.43, 8.7, 10.10, 12.8, 12.14, 15.20) e buddhi
(l'intelligenza) come un requisito fondamentale (2.41, 2.44, 2.52,
2.63, 2.65, 2.66, 3.2, 3.26, 3.40, 3.42, 5.20, 5.28, 6.9, 6.21, 10.4).
La religione vedica della Bhagavad gita non ha nulla a che vedere
con le credenze cieche e l'obbedienza delle ideologie abramiche,
che la maggior parte degli atei considera come il vero e autentico
(o addirittura l'unico possibile) modello di religione.
62
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 16
tatra: là; evam: così; sati: essendo; kartaram: di chi fa; atmanam:
sé stesso; kevalam: soltanto; tu: ma; yah: lui/ lei; pasyati: vede;
akrita buddhitvat: a causa di una lacuna nell'intelligenza; na: non;
sah: lui/ lei; pasyati: vede; durmatih: stupido.
"Perciò chi si considera l'unica causa dell'azione è illuso, a
causa di una mancanza di intelligenza.
L'espressione tatra evam sati significa letteralmente "stando così le
cose" e collega questo verso a quello precedente. L'espressione
atmanam kevalam può essere applicata a due livelli di significato:
il livello ordinario significa "solo a sé stessi" come nella
traduzione primaria del verso, mentre a un livello più alto significa
"soltanto l'atman". In questo secondo caso la traduzione recita,
"chi considera l'atman come causa dell'azione è confuso da una
mancanza di comprensione".
Abbiamo già visto che il purusha non è mai veramente impegnato
in alcuna azione, ma semplicemente sente e percepisce. Abbiamo
anche visto che il verso 3.27 chiamava apertamente "stupido"
(vimudha) chi crede di essere l'unica causa e padrone delle proprie
azioni: prakriteh kriyamanani gunaih karmani sarvasah, ahankara
vimudhatma kartaham iti manyate, "Tutte le azioni sono compiute
in realtà dalle qualità della natura, ma uno sciocco confuso
dall'egotismo pensa, 'io sto facendo questo'". Il concetto di karta
("autore dell'azione") deve essere quindi compreso bene.
63
Parama Karuna Devi
Esiste in effetti un principio soggettivo dell'azione chiamato karta
(18.14), ma non è lui a controllare esclusivamente e a trarre
beneficio dall'azione (2.47). Perciò Krishna in questo verso usa i
termini durmatih ("incapace di comprendere facilmente") e akrita
("imperfetto").
Non dobbiamo scioccamente assumerci il pieno credito del nostro
successo, perché possiamo soltanto essere lo strumento (nimitta
matra, 11.33) della Consapevolezza più alta e vasta; questo
certamente non significa che non dovremmo ottenere
riconoscimenti per il nostro lavoro, o che qualcun altro può
reclamare credito o riconoscimenti per il lavoro che abbiamo fatto
noi, sostituendo il nostro nome con il suo, per esempio come
autore di un libro che abbiamo scritto. La verità dei fatti va
riconosciuta e ciascuna persona deve essere apprezzata per il suo
contributo: tasmat tvam uttistha yaso labhasva jitva satrun
bhunksva rajyam samriddham, mayaivaite nihatah purvam eva
nimitta matram bhava savya sacin, "Alzati dunque, o grande
arciere, e ottieni fama dalla tua vittoria contro i nemici, e poi godi
della prosperità del regno. Io ho già ucciso tutti questi guerrieri: tu
devi semplicemente diventare lo strumento della vittoria." (11.33).
Riconoscere la nostra posizione subordinata alla Coscienza
suprema, come strumenti nel grande piano della vita, non equivale
certo alla falsa modestia o alla mancanza di autostima di chi non è
capace di accettare un complimento o un incoraggiamento o di
comprendere il valore del proprio lavoro. Uno strumento non può
assumersi tutto il merito di un buon lavoro, ma può e certamente
dovrebbe ricevere il credito dovuto a uno strumento valido. Per
questo Krishna dice nel verso 11.33, yaso labha, "ottieni fama" e
bhunksva rajyam, "godi del regno".
La conoscenza vedica non è soggetta a diritti d'autore. Non
possiamo dire che Vyasa abbia commesso plagio utilizzando il
lavoro dei molti Rishi che scrissero gli inni originari delle samhita,
64
Bhagavad gita: capitolo 18
e benché sia conosciuto come il compilatore dei Veda non ha mai
preteso la "proprietà intellettuale" o cercato di impedire ad altri di
scrivere ulteriori commenti o trattati sulla conoscenza vedica.
Eppure, Vyasa è onorato come l'insegnante originario dei Veda in
questa era. Il sistema vedico riporta regolarmente, "questa persona
disse", "quella persona disse", e molto spesso l'individuo che parla
afferma chiaramente che sta citando argomenti espressi da qualcun
altro che aveva già parlato delle stesse cose. La conoscenza è
eterna e nessuno può affermare di averla "creata", ma è un fatto
che agli individui va riconosciuto il credito di particolari
composizioni o presentazioni.
Il padre di Vyasa, Parasara, scrisse alcuni degli inni del Rig Veda
(dedicati ad Agni e Soma) e la Parasara dharma samhita. Atri
Rishi (manasa putra di Brahma e primo dei Sette Rishi) è l'autore
del quinto mandala del Rig Veda, chiamato anche Atri samhita.
Agastya Rishi, un altro dei Sette Rishi, è l'autore di un testo
originario dell'Ayur Veda (ora perduto, ma menzionato in opere
successive), del Nadi jyotisha (un trattato di astrologia), del
famoso Lalita sahasranama stuti ("i 1000 nomi di Lalita", la Dea
Madre) e del famoso Aditya hridayam sukta. La moglie di
Agastya, la principessa Lopamudra del regno di Vidarbha,
collaborò al Lalita sahasranama e compose personalmente uno
degli inni del Rig Veda.
Gautama Maharishi, un altro dei Sette Rishi, è l'autore di molti
sukta del Rig Veda, del Bhadra sukta nel Sama Veda, e del
Gautama Dharma sutra, considerato il primo dei Dharma shastra.
Vasistha, un altro dei Sette Rishi, Guru di famiglia dell'avatara
Rama, è l'autore del settimo mandala del Rig Veda e della
Vasistha samhita. Gli insegnamenti di Vasistha sono riportati
anche da Valmiki Rishi (autore del Ramayana) nel suo famoso
Yoga Vasistha. Pulastya, uno dei Sette Rishi, figlio diretto di
Brahma, ricevette da Brahma il Vishnu purana e lo trasmise a
65
Parama Karuna Devi
Parasara Rishi. Bharadhvaja, un altro dei Sette Rishi, è famoso per
aver scritto il Vimanika shastra (un trattato di aereonautica e
astronautica, ora perduto).
E' detto che Angira, autore della maggior parte dell'Atharva Veda,
sia tuttora dignitario alla corte di Yama su Pitriloka, il pianeta
inter-dimensionale dove vivono gli antenati virtuosi. Atharva è
l'autore di molti inni dell'Atharva Veda; in effetti l'Atharva Veda è
stato composto appunto da questi due Rishi, e per questo motivo è
conosciuto anche con il nome di Atharvangirasa samhita. Kausika,
Vasistha, Kasyapa, Saunaka, Vamadeva, Meghatithi, Priyamegha,
Nodha, Savya, Nrimegha, Kusta, Pracheta, sono autori di altri inni
dell'Atharva Veda.
Kanva è autore di vari inni del Rig Veda dedicati ad Agni, Yupa,
Marut, Brahmanaspati, Varuna, Mitra, Aryaman, Pusha, Rudra e
Soma. Medhatithi scrisse parecchi inni del Rig Veda dedicati ad
Agni, Nirmathya Havaniya Agni, Idhmah Samiddha Agni,
Astanunapat,
Narasamsah,
Ilah,
Barhih,
Devirdvarah,
Ushasanaktha, Daivya, Hotara, Pracetasa, Sarasvati, Ila, Bharati,
Tvashta, Vanaspati, Svaha Akrutayoh Agni, Visve Deva, Indra,
Maruta, Tvashta, Mitra Varuna, Dravinoda Agnih, Asvini (ritu
devatah), Indra Varuna, Gayatri, Padani, Brahmanaspati, Soma,
Dakshina, Sadaspati, Narasama, Maruta, Ribhu, Asvini, Savita,
Devyah, Varuna, Anyagnayah, Dyava-prithivya, Prithivi, Vishnu,
Ayu, Vayu, Marutvan, Pusha, Apah e Pura-ushnik. Praskanva
Rishi scrisse alcuni inni del Rig Veda dedicati ad Agni, Usha,
Ashvini e Surya.
Ci sono state anche parecchie Rishika (Rishi femmine) tra gli
autori originari dei Vedas: Ghosha (2 sukta nel decimo mandala
del Rig Veda), Vagambhrina (Vac sukta del Rig Veda), Maitreyi,
moglie di Yajnavalkya (10 inni del Rig Veda). Gargi, l'autrice della
Gargi samhita, è menzionata nella Yajnavalkya samhita e Brihad
aranyaka Upanishad in occasione di un famoso dibattito
66
Bhagavad gita: capitolo 18
filosofico. Visvavara, Sikata, Nivavari, Apala e Visvavara della
famiglia di Atri, Angirasi Sarasvati dalla famiglia di Angirasa,
Yami Vaivasvati, Sraddha, Surya, Indrani, Urvasi, Sarama, Juhu e
Paulomi Saci sono altre donne che scrissero una quantità di sukta
originari, che vennero poi elaborati successivamente in altri testi
vedici.
Più avanti in questo capitolo Krishna parlerà ancora
dell'intelligenza secondo i tre guna, e dell'effetto delle azioni
compiute sotto i vari tipi di comprensione. Alcune persone credono
che tutte le interpretazioni e opinioni debbano essere rispettate
come ugualmente valide, ma questa non è l'istruzione di Krishna anzi, è proprio il contrario (18.32).
VERSO 17
yasya: del quale; na: non; aham kritah: senso di identificazione
con l'azione; bhavah: natura/ sentimento; buddhih: intelligenza;
yasya: del quale; na: non; lipyate: (è) toccato; hatva api: persino
uccidendo; sa: lui/ lei; iman: questo; lokan: mondo; na hanti: non
uccide; na nibadhyate: (e) non è legato (dalle reazioni).
"Chi non è toccato dall'egotismo dell'identificazione con
l'azione è una person intelligente. Persino quando uccide non
sta uccidendo, e non è legato (dalle reazioni).
67
Parama Karuna Devi
La parola ahankrita ("io ho fatto") è un sinonimo di ahankara ("io
sono quello che fa") menzionato parecchie volte come l'illusione
dell'identificazione materiale (2.71, 3.27, 7.4, 12.13, 13.6, 13.9,
16.18, 17.5, 18.53, 18.58, 18.59). Questo ahankara è un elemento
materiale come la mente, lo spazio, l'aria, il fuoco e così via;
finché restiamo nel mondo materiale non possiamo liberarcene, ma
dobbiamo imparare a gestirlo. Per questo Krishna in questo verso
dice na lipyate, "non è toccato".
E' la stessa cosa con i guna - finché siamo incarnati nel mondo
materiale dovremo avere a che fare con i guna inferiori di rajas e
tamas, perché verremo in contatto con essi regolarmente e
continuamente. La cosa migliore è dunque imparare a usarli senza
venirne toccati e controllati. Possiamo usare il tamas per dormire
profondamente e far riposare il corpo e la mente, e possiamo usare
rajas per spronarci all'azione quando c'è pericolo di diventare
troppo attaccati alla comodità e perdere interesse nell'investire
molti sforzi nel compimento del dovere. Sattva è una qualità di
equilibrio e tende al distacco, perciò a contatto con l'ahankara o
l'identificazione separata può sviluppare un rigidità che si
trasforma facilmente in tamas a causa dell'oscuramento materiale
della coscienza.
La soluzione, come abbiamo già visto, consiste nel superare
l'identificazione anche con il sattva materiale ed elevarsi al suddha
sattva, che è la qualità della bontà non contaminata dall'identificazione materiale. Ma questo significa che bisogna superare
l'ahankara.
In che modo possiamo superarlo? Sarebbe come cercare di
superare l'acqua o il fuoco o la terra. Non possiamo liberarci da
questi elementi, perché sono presenti anche nel nostro stesso
corpo. Dobbiamo riconoscere il fatto che l'azione viene condotta
dalla prakriti attraverso la coscienza del purusha, sotto la guida del
paramatma, Purushottama.
68
Bhagavad gita: capitolo 18
Dobbiamo usare l'ahankara proprio come usiamo l'acqua o il
fuoco o la terra - attentamente, con intelligenza, conoscenza e
distacco, senza venirne influenzati. Possiamo dirigere il potere di
identificazione verso il livello trascendentale, nella direzione
dell'atman o realizzazione spirituale, e della bhakti o devozione al
Supremo. La chiave di questo processo è bhava (con la seconda a
lunga) che significa "sentimento, natura" e a un livello più alto,
"consapevolezza".
Quando è applicato direttamente all'azione, questo significa che
non dovremmo avere alcun motivo egoistico personale, né
individuale né collettivo. L'egoismo collettivo consiste nell'agire
per l'esclusivo beneficio della propria famiglia, gruppo etnico,
circolo di amici o tribù, comunità, sesso, razza, nazione o anche
specie, senza considerare il bene di tutti gli altri. Il concetto di
egoismo si basa sulla dualità, cioè l'idea errata che siamo separati
dagli altri esseri e dalle altre esistenze, e che quindi possiamo
ottenere benefici da un'azione che danneggia altri.
Per rimanere liberi da questa illusione dobbiamo sempre
considerare il bene di tutti gli esseri prima di impegnarci in
qualsiasi azione; le attività strettamente collegate con la nostra
sopravvivenza - come l'uccisione di aggressori di ogni tipo e il
consumo ragionevole e appropriato di cibo e altre risorse - non
sono considerate egoistiche perché fermando un aggressore gli
stiamo in realtà impedendo di commettere un crimine, e poiché la
nostra esistenza ha un valore maggiore di quello del cibo e delle
altre risorse, specialmente quando seguiamo le istruzioni degli
shastra e viviamo per il servizio della comunità universale (Virata
rupa) e il bene di tutte le creature (para upakara).
Questo è confermato direttamente nel verso 5.25: labhante
brahma nirvanam risayah ksina kalmasah, chinna dvaidha
yatatmanah sarva bhuta hite ratah, "Coloro che vedono la Realtà
raggiungono il brahma nirvana perché sono stati purificati da ogni
69
Parama Karuna Devi
colpa e hanno spezzato tutte le illusioni dualistiche, impegnandosi
a lavorare per il bene di tutti gli esseri viventi". Anche il verso 12.4
usa le stesse parole: te prapnuvanti mam eva sarva bhuta hite
ratah, "mi possono raggiungere se sono sinceramente interessati al
bene di tutti gli esseri".
Il verso 13.31 è particolarmente esplicito: yada bhuta prithag
bhavam eka stham anupasyati, tata eva ca vistaram brahma
sampadyate tada, "Quando si è addestrati a vedere tutti gli esseri
situati in uno, anche quando sono separati, si raggiunge la
posizione del Brahman." Anche altri versi presentano questo
concetto, spiegando inoltre che Dio è presente in tutti gli esseri
come vita e coscienza: 5.29, 7.5, 7.6, 7.9, 7.10, 8.4, 8.22, 9.5, 9.8,
9.13, 9.29, 10.20, 10.22, 10.39, 11.15, 11.43, 12.13, 13.16, 13.17,
13.28, 14.3, 14.4, 15.13 e 15.14.
Dunque coloro che agiscono per invidia e odio verso altri esseri
vengono chiaramente definiti come asura: ahankaram balam
darpam kamam krodham ca samsritah, mam atma para dehesu
pradvisanto 'bhyasuyakah "Prendendo rifugio nell'ahankara, nella
forza fisica, nell'arroganza, nella lussuria e nella collera, mostrano
invidia e odio verso di me, poiché io risiedo nel loro stesso corpo
come nel corpo degli altri" (16.18), e karsayantah sarira stham
bhuta gramam acetasah, mam caivantah sarira stham tan viddhy
asura niscayan, "Devi sapere che sono certamente asura, perché
provocano stupidamente sofferenze e danni a tutti gli esseri e
anche a me, poiché io risiedo nel corpo" (17.6).
L'espressione hatvapi sa imal lokan na hanti na nibadhyate
riecheggia una delle prime istruzioni offerte da Krishna: ya enam
vetti hantaram yas cainam manyate hatam, ubhau tau na vijanito
nayam hanti na hanyate, "Chi conosce questo (atman/ brahman)
non pensa di uccidere o essere ucciso; in entrambe (le posizioni) sa
che non si uccide veramente e non si è uccisi" (2.19).
70
Bhagavad gita: capitolo 18
Una persona che ha superato l'illusione della dualità ed è attaccata
al bene di tutti gli esseri come cellule di un singolo corpo
passeranno all'azione per rimuovere soltanto quelle parti del corpo
che stanno danneggiando il corpo intero, come i tessuti cancrenosi
o le escrescenze tumorali. In questo modo sta effettivamente
lavorando per il bene di tutti gli esseri, perciò non dovrà subire
reazioni negative per la cosiddetta uccisione di quelle cellule.
Naturalmente l'asportazione chirurgica deve sempre essere l'ultima
risorsa: Krishna e i Pandava lo dimostrarono ampiamente negli
eventi del Mahabharata che portarono alla battaglia sul campo di
Kurukshetra, dove Krishna e Arjuna stanno parlando per il nostro
bene.
Dobbiamo capire inoltre che non possiamo nasconderci dietro le
gerarchie e gli ordini cattivi provenienti dai nostri superiori nella
catena di comando, o accampare la scusa che un tipo di essere è
meglio di un altro perciò l'esistenza degli esseri migliori sarà
beneficiata se eliminiamo quelli "non così buoni" (che non sono
colpevoli di aggressione). Nel lavoro per il dharma non c'è posto
per la disonestà e i trucchetti.
VERSO 18
jnanam: conoscenza; jneyam: l'oggetto della conoscenza; pari
jnata: chi comprende; tri vidha: di tre tipi; karma: dell'azione;
71
Parama Karuna Devi
codana: lo slancio/ la motivazione; karanam: gli strumenti (i
sensi); karma: l'azione; karta: chi agisce; iti: così; tri vidhah: tre
tipi; karma sangrahah: i fattori/ componenti dell'azione.
"Ci sono tre fattori scatenanti per l'azione: la conoscenza,
l'oggetto della conoscenza e il soggetto della conoscenza. Tre
fattori sono necessari per l'azione: gli strumenti per l'azione,
l'azione stessa e il soggetto dell'azione.
L'espressione tri vidha ("di tre tipi") si può applicare anche alle
caratteristiche determinate dalla particolare influenza di ciascuno
dei tre guna o modalità della natura materiale, come ha spiegato
Krishna nei capitoli precedenti. Nel verso successivo Krishna
parlerà chiaramente dei sintomi specifici della conoscenza,
dell'azione in sé e del soggetto dell'azione secondo sattva, rajas e
tamas, ma nei capitoli precedenti abbiamo visto che anche gli
oggetti della conoscenza (gli oggetti dei sensi) e gli strumenti della
conoscenza (i sensi di percezione e azione) sono caratterizzati da
guna specifici. L'esempio migliore è la descrizione dei tre tipi di
cibi e delle corrispondenti preferenze di gusto nel verso 17.7.
Nel verso 13.3 Krishna aveva definito la conoscenza come la
conoscenza dello kshetra (oggetto) e dello kshetra jna (soggetto),
perciò in effetti possiamo aggregare i fattori di oggetti dei sensi e
sensi sotto la categoria di soggetto dell'azione (karta) che Krishna
descriverà nel verso seguente. La parola codana è molto
interessante. In altri contesti è stata usata per indicare
"incoraggiamento" o "istruzioni delle scritture" (codana laksano
artho dharma, "il significato di dovere dharmico è ciò che viene
indicato dalle scritture", Purva mimamsa sutra 1.1.2), ma anche
"motivazione", "induzione", e "impeto", "ispirazione" e persino
"manifestazione sottile" (come nel disegno progettuale di uno
strumento tecnico). L'abbiamo tradotta come "slancio,
motivazione, fattore scatenante" ma potremmo chiamarla anche
"catalizzatore".
72
Bhagavad gita: capitolo 18
Alcune persone credono che la conoscenza dell'azione e del sé non
costituisca una scienza precisa e concreta e quindi tutte le opinioni
siano ugualmente valide, ma si tratta di un errore molto grave.
Nella civiltà vedica e in tutte le culture pre-abramiche, la gente era
capace di vedere il forte collegamento tra fisica e metafisica, tra lo
kshetra e lo kshetra jna. In tempi più recenti, i fisici occidentali si
sono gradualmente liberati dal pregiudizio accademico abramico e
hanno dimostrato che a livello subatomico la realtà non esiste
veramente finché non la misuriamo.
L'esperimento di John Wheeler sul concetto di scelta ritardata era
già stato proposto nel 1978 usando raggi di luce fatti rimbalzare da
specchi, ma ci sono voluti ancora 40 anni prima di raggiungere il
pieno successo nella procedura, usando un interferometro MachZehnder e atomi di elio ultrafreddi metastabili, dispersi da luce
laser in uno stato di sospensione conosciuto come condensato
Bose-Einstein. Gli atomi sono stati espulsi finché non è rimasto
soltanto uno; questo atomo prescelto è stato poi fatto cadere
attraverso una coppia di raggi laser che formavano uno schema di
incroci che disperdeva la rotta dell'atomo. Poi è stato aggiunto un
secondo schema casuale che ricombinava la rotta, ma soltanto
dopo che l'atomo era già passato per il primo stadio. Questa
seconda fase portava interferenze costruttive o distruttive, che
sarebbero state normali se l'atomo avesse attraversato i due
percorsi come fanno le onde. Ma l'aggiunta del secondo schema
non ha causato alcuna interferenza, come se l'atomo avesse scelto
un unico percorso; tale comportamento è stato interpretato come la
prova che l'atomo non aveva ancora determinato la propria natura
prima di essere misurato per la seconda volta. Soltanto quando
l'atomo veniva misurato al termine del percorso si manifestava il
suo carattere di onda o di particella. Questo conferma la teoria di
Bohr, per cui non si può ascrivere un comportamento di onda o
particella a un determinato oggetto di osservazione prima che
abbia avuto luogo la misurazione.
73
Parama Karuna Devi
Gli scienziati erano già rimasti sorpresi dalle predizioni della fisica
quantistica sull'interferenza (dello kshetra jna sullo kshetra)
applicate alla luce (che è ovviamente un'onda) ma il recente
esperimento ha applicato lo stesso principio agli atomi, che sono
oggetti complicati, che hanno una massa e interagiscono con i
campi elettrici. Un Rishi vedico non sarebbe stato affatto sorpreso.
Per stare all'altezza dei progressi nella conoscenza nel campo della
ricerca scientifica convenzionale, dobbiamo distaccarci dalle
informazioni imperfette e talvolta fuorvianti che ci sono state
passate come verità assolute e indiscutibili durante i nostri primi
anni di scuola. Lo stesso vale per l'archeologia, la paleontologia e
specialmente per la storia, in cui le cronache e le teorie sono state
fabbricate con motivazioni incredibilmente tendenziose per
nascondere alla gente la verità dei fatti.
In riferimento alla Bhagavad gita e a questo verso, dobbiamo
comprendere che la realtà e l'azione sono molto più profonde di ciò
che sembrano in superficie, perciò bisogna mantenere una mente
aperta per considerare tutti i fattori. La conoscenza vedica non si
basa sulla fede cieca, ma è indispensabile avere una certa misura di
fiducia nell'insegnante in modo da diventare capaci di condurre i
nostri esperimenti di verifica diretta nelle precise condizioni che
garantiranno il successo. Se agiamo a capriccio, trascurando i
parametri di base (sangraha) che sono la base dell'esperimento,
comprometteremo la procedura e avremo risultati fuorvianti.
Un altro punto interessante da notare è che il termine sangraha è
imparentato anche con il concetto di "comprensione",
"illuminazione", come il "ricevere" (la stessa derivazione logica
del termine latino data) e "raccolta" (di informazioni o fattori).
Nella prospettiva della bhakti, questo verso è stato spiegato come
il procedimento per impegnarsi nel servizio devozionale, dove
jnana è sambandha (la relazione tra il bhakta e Isvara), jneya è
abhidheya (l'impegno nel servizio attivo a Isvara), e jnata è
74
Bhagavad gita: capitolo 18
prayojana (il raggiungimento della perfetta unione con Isvara).
Questi sono dunque considerati i fattori di base che ispirano
l'azione, mentre gli ingredienti dell'azione sono il bhakta (karta), il
bhajana o meditazione attiva su Isvara (come karma o dovere
secondo la vaidhi o raganuga bhakti), e il rasa o bhava
(sentimento) che costituisce il siddha deha o il corpo spirituale del
devoto (che naturalmente include i sensi). Questo è Narada
pancaratra: hrisikena hrisikesa sevanam, bhaktir ucyate, "La
definizione di bhakti è usare i propri sensi al servizio del Signore
dei sensi".
VERSO 19
jnanam: conoscenza; karma: azione; ca: e; karta: colui che fa; ca:
e; tri dha: di tre tipi; eva: certamente; guna bhedatah: classificati
secondo i guna; procyate: è detto; guna sankhyane: analizzando i
guna; yatha vat: così come sono; srnu: ascolta; tani: quelli; api:
anche.
"La conoscenza, l'azione e il fattore soggettivo sono certamente
categorizzati secondo i tre guna. Ascolta la loro descrizione
secondo le qualità specifiche.
In questo verso il termine guna è usato nel suo significato
fondamentale di "qualità", "modalità", "caratteristica", specificamente applicato alle tre categorie di sattva, rajas e tamas.
75
Parama Karuna Devi
Similmente, Krishna usa qui il termine sankhya in modo elegante
come indicazione simmetrica che ci ricorda il sistema filosofico
del Sankhya che riconosce la natura e le qualità dei vari
componenti della Realtà, introdotto nel capitolo 2 come spirituali e
materiali (sat o asat, 2.16).
Ora, vale la pena di spendere un attimo a chiederci come mai il
secondo capitolo era intitolato al Sankhya, quando in realtà parla
soltanto dell'atman/ brahman come distinti dalla manifestazione
materiale, e raccomanda persino di distaccarsi dalle varie categorie
dell'universo materiale, che sono semplicemente manifestazioni
dei tre guna (2.45).
Il seme di questa comprensione è contenuto nel significato più
profondo del verso successivo: yavan artha udapane sarvatah
samplutodake, tavan sarvesu vedesu brahmanasya vijanatah,
"Qualunque valore si trovi in uno stagno, si trova ad ogni modo
anche in un lago più grande, e similmente tutto ciò che è contenuto
nei Veda può essere trovato in una persona che ha realizzato la
conoscenza del Brahman" (2.46).
Questo indica che la conoscenza analitica delle varie categorie
dell'universo materiale non è opposta alla scienza del Brahman, ma
piuttosto la realizzazione del Brahman contiene tutte le altre
categorie di conoscenza ed esistenza. Superando l'illusione della
dualità (2.45, 4.22, 5.3, 5.25, 7.27, 7.28, 15.5) si penetra il mistero
della non-differenza tra purusha e prakriti, come abbiamo visto
ampiamente elaborato nel capitolo 13, anch'esso iniziato con le
domande di Arjuna a proposito di kshetra e kshetra jna, jnana e
jneya (13.1).
Questo è in verità il modo in cui Krishna ha iniziato i suoi
insegnamenti nel capitolo 2, e lo stesso punto continuerà ad essere
centrale per la comprensione della Bhagavad gita, del Vedanta
sutra e anche degli inni vedici (13.5).
76
Bhagavad gita: capitolo 18
Nel verso 13.6 e nei versi successivi, Krishna elenca le categorie di
realtà che sono generalmente considerate l'argomento del Sankhya,
perciò possiamo vedere il forte collegamento tra i due argomenti il Sankhya o l'enumerazione analitica delle categorie della realtà, e
il concetto di purusha e prakriti, o shaktiman e shakti.
Il collegamento tra il Sankhya e la scienza dei tre guna viene
illustrato nelle descrizioni della creazione dell'universo, al quale
Krishna ha fatto riferimento nei versi 7.6, 9.8, 10.32, 14.3, 15.4.
Per esplorare maggiormente l'argomento dobbiamo però esaminare
gli insegnamenti dei Purana, e specialmente del Bhagavata
Purana. Nel verso 4.11.16 vediamo per esempio questa
affermazione: evam pravartate sargah sthiti samyama eva ca,
guna vyatikarad rajan mayaya paramatmanah, "O re, la creazione,
la conservazione e la distruzione (dell'universo) avviene tramite
l'interazione dei guna dell'energia del Paramatma". L'argomento
della creazione primaria viene spiegato nel Bhagavata Purana
(terzo canto, capitoli dal 25 al 32) dall'avatara Kapila, che spiegò
in origine il sistema Sankhya e che elabora in quei capitoli anche
sulla scienza dell'azione, in particolare riguardo al dovere
prescritto e alla bhakti. Diamo qui di seguito un breve riassunto di
quella descrizione.
La combinazione statica dei tre guna, le tre influenze della natura,
è l'aggregato degli elementi che compongono la natura, e viene
chiamato pradhana. Questi elementi sono i cinque elementi
grossolani, i cinque elementi sottili, i quattro sensi interiori, i
cinque sensi di percezione e i cinque organi di azione. I cinque
elementi grossolani sono la terra (energia in forma solida), acqua
(energia in forma liquida), fuoco (energia in forma di luce e
calore), aria (energia in forma gassosa) e spazio. I cinque elementi
sottili corrispondenti sono l'odore, il sapore, il colore, il contatto e
la vibrazione sonora. I sensi di percezione sono il naso, la lingua,
gli occhi la pelle e le orecchie, e i sensi di azione sono quelli che ci
77
Parama Karuna Devi
permettono di parlare, muoverci, lavorare, generare ed evacuare. I
sensi sottili interni sono la mente, l'intelligenza, l'ego e la
consapevoleza materiale. Il venticinquesimo elemento è il tempo la manifestazione esteriore della Divinità che inizia la creazione e
vi mette fine - mentre il ventiseiesimo elemento è la presenza
dell'anima.
All'inizio l'anima è consapevolezza pura, chiara e serena, libera da
ogni distrazione, ma quando si identifica con la materia, i principi
elementali della creazione manifestano i vari elementi materiali.
La falsa percezione del sé focalizzata in sattva manifesta la mente.
L'identificazione materiale focalizzata in rajas manifesta
l'intelligenza, con le sue funzioni come il dubbio, la corretta
comprensione, la comprensione errata, la memoria e il sonno,
come anche i sensi di percezione e di azione, che dipendono
rispettivamente dall'intelligenza e dall'energia vitale.
L'identificazione materiale focalizzata in tamas produce gli
elementi materiali, a iniziare dall'elemento sottile del suono, che a
sua volta produce lo spazio e il senso dell'udito. Dall'esistenza
dello spazio si sviluppa il senso del tatto, e poi l'aria. L'interazione
dell'aria con il senso del tatto produce il concetto delle forme dei
corpi, determinate dal destino di ciascun individuo. L'evoluzione
delle fome genera il fuoco (luce e calore) e gli occhi acquistano la
capacità di percepire forme e colori. L'interazione del fuoco con la
percezione visuale evolve l'elemento del gusto, che produce
l'acqua e il senso che percepisce il gusto (la lingua). Benché sia in
origine uno solo, il gusto si sviluppa in varie categorie come
astringente, dolce, amaro, pungente, acido e salato, entrando in
contatto con diverse sostanze. L'interazione dell'acqua con la
percezione del gusto sviluppa l'elemento sottile dell'odore, che
manifesta la terra e il senso dell'odorato.
Quando tutti questi elementi diventano differenziati, il Signore
Supremo entra personalmente nella creazione insieme con il
78
Bhagavad gita: capitolo 18
tempo, l'azione e i guna, dando vita all'Uovo Cosmico. All'interno
dell'Uovo Cosmico, Vishnu (Hari) lo divide in 14 sistema planetari
che compongono il suo corpo.
Le parti del corpo del Virata Purusha, il Signore universale, si
manifestano come i vari componenti della natura - la bocca è il
potere di parlare e il Deva del fuoco, le narici sono il senso
dell'odorato e il prana e così via.
A questo punto i jivatman vengono introdotti nell'universo e
nascono a seconda dei loro specifici guna e karma. In questo modo
contempliamo la Divinità come presente nel nostro stesso corpo e
nell'universo e simultaneamente distinto da essi. Quando l'essere
vivente si trova in questa posizione, non è soggetto all'influenza
dei guna, delle identificazioni temporanee e del senso di possesso,
proprio come il sole rimane distaccato dal proprio riflesso
nell'acqua.
VERSO 20
sarva bhutesu: in tutti gli esseri; yena: dal quale; ekam: uno;
bhavam: sentimento/ natura; avyayam: imperituro; iksate: vede; a
vibhaktam: non diviso; vibhaktesu: in (tutte) le (manifestazioni)
separate; tat: quella; jnanam: conoscenza; viddhi: dovresti sapere;
sattvikam: in sattva guna.
79
Parama Karuna Devi
"Dovresti sapere che la conoscenza in sattva guna vede l'unica
esistenza imperitura in tutti gli esseri, non divisa benché
manifestata in molte forme differenti.
La prima e più vera forma di conoscenza è basata sul sattva, la
qualità di esistenza che è più vicina a sat e satyam - l'esistenza
trascendentale che è la verità suprema. Per meglio comprendere
questo verso, dovremmo ricordare che la parola bhuta ("essere")
indica un essere vivente o jivatman e anche una forma di esistenza
("essere") in cui l'essere vivente si trova in questo mondo come
risultato del suo guna e karma. L'intelligenza sattvica vede dunque
tutti i jivatman come cellule dello stesso corpo universale del
paramatman - una sola cosa, eppure distinte e categorizzate a
seconda della loro particolare funzione e posizione. Inoltre,
l'intelligenza sattvica vede tutte le condizioni di vita - subha e
asubha, sukha e duhkha, eccetera - come parti dello stesso grande
piano dell'evoluzione del jivatman, proprio come molte classi
diverse presentano differenti materie nello stesso corso scolastico
per dare una preparazione completa agli studenti. Entrambe queste
prospettive e il loro significato sono state confermate molte volte
nel testo della Bhagavad gita.
La parola bhava (con la prima a lunga) viene usata qui per indicare
l'Essere supremo, e con ottime ragioni. Abbiamo visto in
commenti precedenti che questa parola include i significati di
"essere, stato dell'essere, situazione, esistenza, natura" e anche
"sensazione, sentimento, gusto" e persino "cuore" (come nel verso
10.11). Brahman, il Purushottama, è consapevolezza ed esistenza:
raso vai sah, rasam hy evayam labdhvanandi bhavati, "E' gusto, e
chi lo trova diventa felice", (Tattirya Upanishad, 2.7.1).
Questa definizione di bhava include sia atman che brahman,
perché entrambi sono avyaya ("imperituro", "eterno"), ma questo
sentimento o conoscenza risplende più luminoso quando non è
oscurato (na lipyate) dalla copertura di identificazione materiale
80
Bhagavad gita: capitolo 18
separata (niente ahankara - na aham krto) come abbiamo visto nel
verso 18.17. Atman e brahman sono uno, e allo stesso tempo
distinti come i due uccelli che siedono sullo stesso albero; questo è
stato confermato fin dall'inizio delle istruzioni di Krishna, nel
verso 2.12.
Questa simultanea differenza e non-differenza tra Isvara e jiva
viene spiegata non soltanto in termini di quantità, ma anche in
termini di relazione, come abbiamo visto nel capitolo 13. Il
jivatman è simultaneamente sia purusha che prakriti, proprio come
il Brahman è simultaneamente purusha e prakriti: tale
differenziazione è soltanto funzionale ma consente lo spazio
necessario per le relazioni o la "danza" simboleggiata dalla rasa
lila con le gopi a Vrindavana. In quel lila, il parama purusha è
Krishna e la parama prakriti è Radha, mentre sul livello
subordinato, la prakriti è la bhakti delle gopi, mentre il purusha è
il bhava delle gopi, che non è differente da Krishna stesso.
E in effetti abbiamo visto nel capitolo 13 un'affermazione che è
molto simile al verso che stiamo studiando ora: avibhaktam ca
bhutesu vibhaktam iva ca sthitam, bhuta bhartri ca taj jneyam
grasisnu prabhavisnu ca, "Benché indiviso, appare come se fosse
diviso nei molti esseri nei quali risiede. E' il sostegno di tutti gli
esseri, e deve essere conosciuto come il potente Vishnu, che divora
ogni cosa" (13.17). A sua volta, questo verso è collegato con la
meditazione sulla Virata Rupa o Kala Rupa, radiosa come il fuoco
e il sole, che divora l'universo, che abbiamo visto nel capitolo 11,
specialmente dal verso 11.10 all'11.32, che rivela finalmente nel
suo pieno splendore ciò che era stato soltanto suggerito nei versi
precedenti - 5.16, 8.10, 10.11, 10.21, e 10.36,
Ecco un esempio: divi surya sahasrasya bhaved yugapad utthita,
yadi bhah sadrisi sa syad bhasas tasya mahatmanah, "Se migliaia
di soli sorgessero simultaneamente nel cielo, quello splendore
sarebbe simile alla radiosità del grande Atman" (11.12).
81
Parama Karuna Devi
Di nuovo, questo sarà confermato nel verso 13.8, che spiega il
Sankhya e l'unità/ differenza tra purusha e prakriti: jyotisam api
taj jyotis tamasah param ucyate, jneyam jnana gamyam hridi
sarvasya visthitam, "Viene descritto come la luce in tutte le cose
radiose, al di là dell'oscurità. E' stabilito nel cuore di ogni cosa, e
deve essere conosciuto attraverso la coltivazione della conoscenza"
(13.18). E che cosa è la grande radiosità del Brahman, il
brahmajyoti, se non l'emanazione di tutte le manifestazioni shakti,
svamsa e vibhinnamsa dell'unica grande Realtà? Coloro che hanno
la vera conoscenza possono dunque vedere il Paramatman che
esiste in tutti gli esseri: vidya vinaya sampanne brahmane gavi
hastini, suni caiva sva pake ca panditah sama darsinah, "I saggi e
gli eruditi guardano allo stesso modo il brahmana che è gentile e
colto, la mucca, l'elefante, e anche il cane e il selvaggio" (5.18).
I due prossimi versi illustreranno i sintomi di una mente che
funziona sotto rajas e tamas; mentre possiamo chiamare il modello
sattvico di comprensione con il nome di "conoscenza" (jnana) o
"intelligenza (buddhi), la mentalità tamasica non corrisponde alla
definizione, e quindi il termine non appare nel verso 23. Mentre
studiamo i tre tipi di conoscenza (18.20-22), azione (18.23-25) e
autore o fattore soggettivo (18.26-28) dovremmo ricordare che
questi includono la posizione, lo strumento e lo sforzo menzionati
nel verso 18.18. La conclusione di questa elaborazione (18.30) è
che soltanto le persone sattviche sono in grado di comprendere
l'argomento del sannyasa/ tyaga e moksha che costituisce il centro
di questo capitolo. Più avanti Krishna spiegherà ancora i diversi
tipi di intelligenza (18.31-32), determinazione o sforzo (18.33-35),
e felicità (18.36-39). Dopo aver riaffermato l'importanza dei guna,
Krishna descriverà i doveri dei diversi tipi o categorie di esseri
umani nella società secondo i tre guna (18.41-49). Solo in seguito
Krishna parlerà direttamente di trascendere le posizioni e le
identificazioni materiali (sarva dharman parityajya, 18.66), pur
continuando a svolgere i propri doveri (18.56-57) come autentico e
82
Bhagavad gita: capitolo 18
puro servizio devozionale trascendentale al Supremo (18.55,
18.58, 18.61-62, 18.64-66). E questa è l'istruzione finale della
Bhagavad gita.
VERSO 21
prithaktvena: a causa della distinzione; tu: ma; yat: che; jnanam:
conoscenza; nana bhavan: molte nature; prithak vidhan: differenti
tipi; vetti: conosce; sarvesu bhutesu: in tutti gli esseri; tat: quella;
jnanam: conoscenza; viddhi: dovresti comprendere; rajasam: nel
rajas guna.
"Sappi che la conoscenza influenzata da rajas è la mentalità
che vede diverse nature in tutti gli esseri come separati l'uno
dall'altro.
Abbiamo già visto in molti versi che l'influenza di rajas crea
avidità e attaccamento per lo sfruttamento egoistico e il godimento
della natura materiale. Il concetto stesso di egoismo e avidità
implica dualità e separazione di interessi, perché pretendere
qualcosa per sé stessi significa impedire ad altri di accedervi. E'
importante comprendere qui che superare la dualità costituisce un
insegnamento fondamentale che deve essere applicato ai bhuta gli esseri viventi e anche le condizioni dell'essere. Non bisogna
mai cadere nella trappola di credere che non ci siano differenze tra
sat e asat, dharma e adharma, vidya e avidya, o che tutte le
83
Parama Karuna Devi
opinioni e "modi di vita" siano ugualmente validi. E' una questione
di buon senso: chiunque può vedere che una particolare azione
porterà delle conseguenze, e l'azione opposta porterà altre
conseguenze.
Una mentalità rajasica impedirà all'intelligenza discriminante di
scegliere l'azione eticamente valida e la porterà a scegliere
l'individuo o gruppo che otterrà un beneficio separato dall'azione.
Dunque il karma ("azione, dovere") sarà visto in termini di
vantaggio antitetico piuttosto che vantaggio generale, basato sulla
particolare identità separata del beneficiario dell'azione
contemplata, come se differenti categorie di esseri avessero
differenti nature.
In una società sattvica come la civiltà vedica originaria (in Satya
yuga) la gente non aveva un concetto rigido di proprietà privata, e
certamente non lo applicava alle risorse comuni fondamentali
come la terra, l'acqua, gli animali, le piante o anche il cibo.
Quando la società è vista come una singola unità armoniosa di
persone che collaborano e condividono i beni, ciascuno riceve
automaticamente ciò che è necessario per vivere in modo decente,
e non esiste il crimine tra gli esseri umani - né furti, né frodi, né
aggressioni violente. L'idea della carità ha lo scopo di far circolare
e distribuire la ricchezza piuttosto che di ottenere qualche merito
personale (17.20).
Quando rajas aumenta nella società, si sviluppano avidità,
egoismo e attaccamento, e la mentalità di sfruttamento crea un
paradigma di scarsità, l'impulso ad accumulare cereali e altri
alimenti, e la chiara delimitazione e separazione della propria terra
o territorio, famiglia e animali domestici. Di conseguenza la gente
si sente vuota, bisognosa e impaurita, si preoccupa del futuro e
della propria protezione, perché percepisce negli altri lo stesso
seme della paura, il desiderio di appropriazione esclusiva, e
l'ombra della perdita e della morte.
84
Bhagavad gita: capitolo 18
Nella coltivazione della conoscenza, la differenza di opinione si
sposta dalla complementarietà alla competizione e rivalità; mentre
in Satya yuga c'era soltanto il desiderio di comprendere meglio ed
illuminarsi a vicenda, in Treta yuga con l'aumento di rajas
vediamo che i dibattiti cominciano a preoccuparsi di stabilire un
vincitore, che dimostra così la propria superiorità rispetto agli altri
studiosi. Lo studio della filosofia e della teologia si separano dalle
scienze fisiche, e il concetto di storia lineare appare a disturbare la
costante consapevolezza e conoscenza dell'intera manifestazione
cosmica, spirituale e materiale. Il sentimento divisivo crea le
diverse classi di occupazione nella società umana, e la differenza
di ruoli e tendenze tra uomini e donne. Portata all'eccesso, questa
influenza rajasica diventa irragionevole e distruttiva, come la
logica di tagliare un pezzo di stoffa da un'estremità della coperta
per aggiungerlo all'estremità opposta con l'idea che ciò renderà più
grande la coperta, o di fare un debito per pagarne un altro.
L'identificazione con il corpo diventa più forte e si sviluppa il
pregiudizio di nascita, che crea molte sofferenze e danni agli
individui e alla società in generale. Le persone rimangono
facilmente confuse sulla natura dell'atman, e si sviluppano
upadharma e nastika darshana che diventano religioni popolari
adatte a persone meno intelligenti e più pigre, che amano credere
che l'atman sia temporaneo o limitato al corpo (per razionalizzare
e giustificare la propria avidità) o preferiscono avere semplicemente una serie di regole e celebrazioni per le interazioni sociali e
per un senso di affiliazione (per razionalizzare e giustificare la
propria superficialità).
Quando rajas viene ulteriormente contaminato da tamas
(ignoranza), la società umana diventa asurica e infernale, perché il
concetto di sfruttamento e godimento delle risorse viene scollegato
dal lavoro vero e proprio, e ricorre all'aggressione violenta e alla
distruzione (vandalismo, sadismo).
85
Parama Karuna Devi
Abbiamo visto questo sviluppo descritto nel capitolo sulla
differenza tra le caratteristiche daivi e asuri: idam adya maya
labdham imam prapsye manoratham, idam astidam api me
bhavisyati punar dhanam, asau maya hatah satrur hanisye
caparan api, isvaro 'ham aham bhogi siddho 'ham balavan sukhi,
"Oggi ho acquisito tutto questo, e otterrò ancora di più, tanto
quanto desidera la mia mente. Questa ricchezza è mia, e aumenterà
sempre più. Ho ucciso quel mio nemico, e ucciderò anche gli altri.
Io sono il signore e il padrone, io sono il beneficiario. Io sono
perfetto, potente e felice."(16.13-14). Questa mentalità inizia da
rajas a causa del senso di dualità e separazione, in cui si ha
l'impressione di poter ottenere piacere facendo del male ad altri, e
l'idea sattvica del sano godimento della propria parte legittima in
una società di collaborazione viene sostituita dall'accumulo
egoistico di possedimenti e potere. Questo egoismo rafforza
l'ahankara (l'identificazione con corpo e posizione) e il mamatva
(l'attaccamento a possedimenti e affiliazioni) finché abhimana
(arroganza e orgoglio) riempie l'intero orizzonte dell'anima
condizionata, che non riesce più a vedere nient'altro. E' l'ignoranza
intrinseca costituita dall'identificazione materiale che sintonizza la
consapevolezza con l'influenza più bassa di tamas, in cui
l'intelligenza è completamente coperta dall'oscurità. Questa non è
certamente la via per la liberazione.
VERSO 22
86
Bhagavad gita: capitolo 18
yat: ciò che; tu: ma; krtsna vat: come completamento; ekasmin: in
uno; karye: nell'azione; saktam: attaccato; ahaitukam: senza
ragione; a tattva artha vat: che non dà il giusto valore alla realtà;
alpam: pochissimo; ca: e; tat: quello; tamasam: in tamas guna;
udahritam: è descritto.
"La mentalità ristretta che vede come dovere un solo metodo
esclusivamente, al quale ci si attacca irrazionalmente, e che
non dà la giusta importanza alla realtà, è descritta come
controllata da tamas.
Le ideologie abramiche e i loro derivati (comunismo, capitalismo,
globalismo, e anche alcune sette di fedi originariamente non
abramiche che sono state contaminate in seguito da credenze e
concetti abramici) sono l'esempio perfetto di mentalità tamasica,
poiché ciascuna di esse (e ciascuna delle loro sette secondarie) si
presenta come l'unico, autentico, possibile o permissibile metodo o
sistema di vita, ed è apertamente determinata a demonizzare e
distruggere tutte le altre credenze od opinioni, a prescindere dal
loro effettivo merito e dai benefici che possono portare agli
individui e alla società. Il settarismo può trovarsi anche in altri
gruppi e causare attriti, reciproca mancanza di rispetto e persino
scontri occasionali, ma a parte le sette abramiche (e derivati) non
ci sono esempi storici di qualche particolare ideologia che ha
costretto la gente a convertirsi e si è impegnata nel cercare di
eliminare fisicamente tutte le altre ideologie.
Dobbiamo comprendere molto chiaramente questo punto, perché
in Kali yuga la gente è immersa in tamas e quindi è piuttosto
stupida (manda sumanda matayo manda bhagyah hy upadrutah,
"pigra, sciocca, sfortunata e soprattutto sviata", Bhagavata Purana
1.1.10) e tende a cadere vittima di equivoci e confusione. A volte
questa stupidità e ignoranza arriva al punto di scambiare le
credenze e le affiliazioni ideologiche per cultura etnica o
addirittura per identità razziale, perciò se non accettiamo o
87
Parama Karuna Devi
rispettiamo le ideologie abramiche, che sono pericolosamente
adharmiche, siamo accusati di essere razzisti e intolleranti e di
odiare la diversità culturale.
Chi lancia queste stupide accuse non conosce nemmeno il
significato delle parole "razza" e "cultura", e non capisce che una
persona che si converte a una setta abramica non cambia certo il
proprio DNA. Il colore della sua pelle e i lineamenti del suo viso
rimangono esattamente gli stessi - sempre che, naturalmente, non
si usino metodi artificiali come il candeggiamento della pelle, le
tinture, la chirurgia estetica e simili, che possono alterare l'aspetto
esteriore ma certamente non il DNA e la configuazione genetica, e
hanno effetto su chiunque, a prescindere dalle particolari credenze
o pratiche religiose.
Inoltre, le persone ignoranti e sciocche non si curano di verificare
il fatto che la diversità culturale e le tradizioni etniche raramente
scompaiono con la conversione a una particolare religione, e la
gente tendenzialmente continua a usare il proprio particolare stile
di abbigliamento, ad avere gli stessi gusti alimentari, a parlare la
stessa lingua, a preferire un certo tipo di musica e di divertimenti, e
così via - a meno che, naturalmente, le autorità religiose o
governative facciano sforzi separati per bandire le tradizioni
etniche precedenti e impongano con la forza nuovi modelli di vita,
e in ogni caso la totale uniformità (eka asmin karya) si può
ottenere e mantenere soltanto quando tamas è abbastanza forte e
profondo. Quindi in ultima analisi l'uniformità dipende ancora da
tamas, da quanto viene assorbita dalla popolazione.
Esistono due posizioni opposte e ugualmente stupide - una dice
che tutte le opinioni e le credenze sono ugualmente valide (o
ugualmente non valide) e l'altra dice che soltanto la propria
opinione è valida a priori semplicemente perché ci si crede.
Entrambe queste posizioni sono influenzate da tamas e
costituiscono un ostacolo per il progresso e la felicità di individui e
88
Bhagavad gita: capitolo 18
società. Il fatto è che ci saranno sempre molte opinioni, alcune
delle quali hanno più merito e altre meno; tutte dovrebbero quindi
essere valutate individualmente sulla base del loro grado di
intelligenza, senso etico, fattibilità ed effetti benefici su individui e
società in generale. Il merito o demerito di una particolare
opinione non ha nulla a che fare con la posizione sociale o storica
della persona o persone che l'hanno proposta, o anche con il
semplice numero delle persone che la sostengono. Il voto della
maggioranza non è una garanzia del valore di ciò che viene
approvato, perché una maggioranza composta da persone
adharmiche, criminali o imbecilli sosterrà quello che preferisce
secondo la propria particolare prospettiva. Talvolta si dice che la
democrazia è ben rappresentata dall'idea di due capre e cinque lupi
che votano insieme su cosa si mangerà per cena, o su quale sia il
tipo di alimentazione più corretto.
Affermare che una particolare opinione ha un valore assoluto
perché "l'ha detto Dio" (a chi? e chi lo può provare?) o più
realisticamente, "perché l'hanno detto i preti di Dio", è una
posizione tamasica e può essere accettata soltanto da persone che
sono già influenzate dall'ignoranza. Le persone rajasiche
accetteranno invece un'opinione perché fa loro comodo (perché
serve i loro obiettivi personali) e le persone sattviche accetteranno
un'opinione perché appare valida alla luce dell'intelligenza e del
buon senso, mentre le persone tamasiche accetteranno un'opinione
per apatia, per paura e per la confusione creata da un'astuta
propaganda.
Una mentalità tamasica è per natura attratta a qualche particolare
oggetto materiale o proiezione, che vede come l'Essere eterno e
perfetto, il giusto centro della sua attenzione, adorazione e
servizio, ma il vero problema è che diventa troppo attaccata (sakta)
e aggressiva contro tutti coloro che non condividono la stessa
credenza.
89
Parama Karuna Devi
Tale mentalità è irrazionale, illusoria, confusa e irrilevante
riguardo al vero scopo della vita o al bene della società. Potrebbe
presentare una credenza ideologica, una setta religiosa, una classe
sociale, una razza, o un gruppo di qualche altro tipo - persino una
organizzazione religiosa, una sampradaya, e così via. Potrebbe
essere centrata su una persona potente, come un politicante, una
stella del cinema, dello sport, della cultura, della religione e così
via, un personaggio di fantasia o persino un rakshasa o spirito
malvagio come abbiamo visto nei capitoli precedenti (9.25, 17.4).
L'influenza di tamas costringerà una persona sciocca ad adorare e
attaccarsi fortemente (saktam) a questo centro della sua attenzione,
al punto di sostenerlo contro ogni logica e ragione, e con ogni
possibile violenza, inganno e cattiveria.
In questo verso le parole ahaitukam ("senza ragione") e a-tattvaartha ("senza significato") indicano le caratteristiche tamasiche di
mancanza di ragionamento, fede cieca, scarso interesse per
comprendere o scoprire la realtà o i fatti.
La parola alpam ("minimo") indica una mentalità molto ristretta,
ossessionata da piccole cose e dettagli irrilevanti come i
pettegolezzi sulle celebrità, e può essere collegata all'espressione
duratma che è il contrario di mahatma. Questa visione meschina
presenterà per esempio lo yoga come una pratica di esercizio fisico
per la salute, intesa a stimolare i chakra inferiori, e presenterà il
tantra come un pretesto per ottenere facilmente favori sessuali da
seguaci sciocchi, mangiare preparazioni non vegetariane e bere
alcolici per scopi ricreativi e per l'egoistica gratificazione dei sensi.
Similmente la parola karye, che significa "in ciò che deve essere
fatto", può riferirsi a una forma scolpita o immagine, a indicare il
fervore religioso di coloro che danno maggiore importanza ai
materiali e alla forma specifica della Divinità come idolo di pietra,
metallo o legno, piuttosto che al principio divino che si manifesta
in quella vigraha per la bhakti di chi la venera.
90
Bhagavad gita: capitolo 18
Le persone tamasiche, che hanno poca intelligenza (alpa medhasa,
7.23), adoreranno superficialmente la forma senza comprenderla
profondamente, e quindi il risultato di tale adorazione sarà di breve
durata e molto limitato, anche se la vigraha fosse una delle varie
forme Vishnu tattva.
VERSO 23
niyatam: regolata; sanga rahitam: senza associazione; araga
dvesatah: senza attaccamento o repulsione; krtam: fatta; aphala
prepsuna: senza il desiderio egoistico di goderne i risultati;
karma: azione; yat: che; tat: quella; sattvikam: in sattva guna;
ucyate: è detta.
"Quell'azione che è compiuta in modo regolato, senza
identificazione o affiliazione, senza attaccamento o repulsione,
senza il desiderio egoistico di goderne i risultati, è descritta
come appartenente a sattva.
La parola niyatam si riferisce alle azioni regolate compiute in
modo stabile e sinceramente, per dovere, come giusto e benefico
impegno o sadhana (yata, 2.60, 3.8, 4.21, 4.28, 4.30, 5.25, 5.26,
6.10, 6.12, 6.15, 6.19, 6.36, 6.43, 6.45, 7.3, 7.20, 7.29, 8.11, 9.14,
12.11, 12.14, 15.11, 18.7, 18.9, 18.46, 18.47).
91
Parama Karuna Devi
Queste azioni possono talvolta essere difficili o impegnative, ma
abbiamo bisogno di fare qualche sforzo per rimanere regolari nella
pratica; anche se non raggiungessimo il pieno successo, la quantità
di sforzi che abbiamo investito nel tentativo porterà buoni risultati
- proprio come a scuola dobbiamo fare gli esercizi e i compiti, in
classe e a casa, per poter imparare e praticare e diventare perfetti.
Nella tradizione induista vedica, queste azioni sono chiamate nitya
karma, o nitya karmani (plurale), e costituiscono le attività che
secondo Krishna non devono mai essere abbandonate (18.3).
Non dobbiamo però pensare che tali doveri siano esattamente gli
stessi per tutti in ogni momento, perché il concetto fondamentale
consiste nell'impegnare le proprie risorse e capacità (guna e
karma) e queste possono essere parecchio diverse da una persona
all'altra, o persino per la stessa persona in differenti circostanze o
fasi del suo progresso individuale. Abbiamo dunque bisogno della
guida saggia ed esperta di guru, shastra e sadhu per diventare
capaci di comprendere quale sia esattamente il nostro dovere (sva
dharma) in ogni particolare circostanza.
Parecchie volte abbiamo elaborato sul termine sanga; qui
ripeteremo soltanto che significa non solo "contatto, associazione",
ma anche "affiliazione, appartenenza, identificazione" (sa-anga,
"membro insieme") rispetto a un gruppo particolare piuttosto che
all'intero corpo universale della Virata Rupa di cui tutti facciamo
parte. Perciò la nostra sanga ("associazione") dovrebbe essere
liberata (da tutte le identificazioni materiali e attaccamenti)
altrimenti dovremmo liberarcene, per poter raggiungere il livello di
mukta sanga - un passo essenziale verso moksha, la liberazione.
Alcuni commentatori traducono raga come "amore" o
"assorbimento", ma non è corretto. L'amore è sempre un
sentimento positivo e ha il potere di portare la libertà; purtroppo la
definizione di "amore" è stata parecchio inflazionata e dirottata
usandola in modo scorretto per indicare lussuria, attaccamento,
92
Bhagavad gita: capitolo 18
senso di possesso, attrazione, infatuazione, godimento e così via.
Anche il concetto di "assorbimento" trasmette un senso di
concentrazione e meditazione che certamente non deve essere
abbandonato per poter raggiungere moksha.
La parola raga in realtà significa "attaccamento" ed è strettamente
collegata con il tipo di identificazione (ahankara), basato sulla
percezione egotica, separatista e dualistica indicata dalla sua
controparte dvesha ("repulsione, odio"). Chi si identifica con il
corpo materiale vi sarà molto attaccato e investirà un sacco di
tempo e risorse nel cercare di mantenerlo nella forma migliore
possibile. Chi si identifica con la mente sarà molto attaccato alle
attività mentali - lettura in generale, indovinelli, parole crociate,
ricerche erudite, e così via - e investirà di conseguenza tempo,
sforzo e risorse. Chi si identifica con un particolare gruppo sarà
attaccato a quel gruppo o alla sua ideologia, e similmente investirà
e lavorerà in quella direzione. In tutti questi casi, poiché corpo,
mente e affiliazione a un gruppo sono temporanei, l'anima
condizionata sperimenterà paura, sofferenza, disperazione e
confusione al momento della perdita, a causa della morte o di altri
fattori. La stessa cosa vale per dvesha ("odio, repulsione") e questo
è il motivo per cui dobbiamo abbandonare entrambi, come indica il
prefisso privativo a applicato alla parola composta.
Quindi l'unico raga che deve essere accettato è quello che non ha
dvesha, perché è focalizzato sul Supremo, sul piano liberato e
trascendentale. Questo significa che dobbiamo diventare attaccati
alla nostra identità spirituale originaria e autentica di atman, parte
del brahman, e impegnare tutto il nostro potenziale - tempo, sforzi
e risorse - nel perseguire quella consapevolezza e quell'impegno.
Poiché l'atman/ brahman è eterno e non cambia mai, non ci sarà
mai perdita, e quindi automaticamente paura e confusione
scompariranno. Su quel livello siamo liberati dalle conseguenze
dell'azione materiale perché non ci identifichiamo con l'azione
93
Parama Karuna Devi
stessa o con i suoi risultati, e non vi siamo attaccati (aphala
prepsuna), ma semplicemente accettiamo ciò che viene per la
grazia del Supremo come prasadam o benedizione, e lo usiamo nel
modo migliore possibile come ulteriore opportunità di servizio
universale. Questo si chiama visuddha sattva.
Il livello di sattva materiale è una specie di addestramento
preparatorio o apprendistato per il livello di visuddha sattva o
trascendenza; nel linguaggio della letteratura sulla bhakti possiamo
definire il sattva materiale come vaidhi bhakti (servizio
devozionale regolato) e il visuddha sattva come raganuga bhakti
(servizio devozionale spontaneo). Mentre il primo è più che altro
un esercizio meccanico e richiede ancora qualche sforzo, il
secondo livello è libero da ogni attrito causato dalla
contaminazione materiale, e quindi non c'è resistenza che si
opponga allo svolgimento delle nostre attività.
Di nuovo, il piano del sattva materiale deve essere osservato
attentamente e protetto da ogni contaminazione, altrimenti c'è il
serio pericolo di scivolare nel tamas invece di raggiungere il
livello più alto di visuddha sattva.
Questo può succedere a causa dell'influenza dell'ignoranza per cui
sanga rahitam viene interpretato "senza collegamento con altri o
con il resto del mondo" (come nell'indifferenza egotistica centrata
su sé stessi), a-raga-dvesa viene interpretato come "tutto è la
stessa cosa perché non mi interessa" (come nel trascurare i valori
dharmici di base) e apahala prepsuna viene interpretato come
"non m'importa quale sarà il risultato delle mie azioni" (come
nell'egoismo che accompagna la gratificazione dei sensi,
l'aggressione, l'appropriazione indebita e lo sfruttamento di altri).
Queste considerazioni si applicano sia agli individui che ai gruppi,
comprese le comunità, le tradizioni e le organizzazioni religiose.
94
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 24
yat: che; tu: ma; kama ipsuna: da chi desidera godere; karma:
azione; sa ahankarena: con egotismo; va: oppure; punah: di
nuovo; kriyate: è fatta; bahula ayasam: con enormi sforzi; tat:
quella; rajasam: nel rajas guna; udahritam: è detta.
"Ma l'azione che è compiuta con egotismo, con grandi sforzi,
da chi vuole goderne (il risultato) è descritta come influenzata
da rajas.
Abbiamo visto che rajas è caratterizzato dall'avidità e dalla
lussuria piuttosto che dalla "passione" come si crede generalmente.
La definizione di "passione" sul dizionario è "emozione come
distinta dalla ragione", e "un sentimento intenso e travolgente", "un
affetto ardente", "forte affinità, desiderio o devozione verso
qualche attività, oggetto o concetto".
La "passione" è dunque un fattore neutrale che può anche essere
diretto verso sattva o addirittura verso il livello spirituale e
trascendentale, il che contraddice l'uso della definizione per
l'influenza di rajas, che è attaccata alla materia, avida e lussuriosa.
L'equivoco è nato probabilmente dall'applicazione di "passione" al
concetto di desiderio travolgente, interpretato erroneamente come
necessariamente e invariabilmente basato sulla lussuria e non
sull'amore, come corollario della errata interpretazione e
applicazione della definizione di "amore" di cui abbiamo già
discusso.
95
Parama Karuna Devi
Esiste una differenza chiara e importante tra amore e lussuria, e se
non siamo capaci di comprenderla non potremo mai progredire
nella scienza della vita spirituale e della Realtà Trascendentale. La
gente tende a confondere le due cose a causa dell'ignoranza e della
degradazione imposte dai parametri culturali asurici attraverso le
convenzioni sociali e la propaganda ideologica, che spesso
indossano il manto della religione o dell'insegnamento moralistico.
Nondimeno, ogni essere umano ha la capacità innata di vedere la
differenza tra i due concetti - lussuria e amore - grazie al suo senso
etico naturale o coscienza, e anche alla luce di intelligenza e buon
senso. Mentre la lussuria è focalizzata sul godimento egoistico,
l'attaccamento e il desiderio di possedere e sfruttare, l'amore è
caratterizzato da uno spirito di servizio e sacrificio di sé, e dal
desiderio di dare felicità e piacere all'oggetto del proprio affetto.
Entrambi i sentimenti o percezioni (bhava) sono basati
sull'emozione piuttosto che sulla ragione, ed entrambi possono
essere razionalizzati e incanalati attraverso l'intelligenza e la
logica. Entrambi possono essere travolgenti ed entrambi sono
basati sul desiderio, ma gli effetti sono diametralmente opposti,
specialmente per la nostra evoluzione personale e per le
conseguenze karmiche che verranno generate. Mentre l'amore
libera, la lussuria è causa di prigionia; mentre l'amore porta felicità
incondizionata, la lussuria porta costante sofferenza e paura.
Alcuni religiosi, influenzati dall'ideologia abramica che demonizza
la natura, il corpo e il piacere dei sensi, affermano che nel mondo
materiale l'amore non può esistere, e che ciò che chiamiamo
"amore" non è altro che lussuria. Ma questo non è vero. L'amore
materiale esiste ed è influenzato da sattva, mentre l'amore
spirituale è influenzato da visuddha sattva, e la lussuria è
influenzata da vari gradi di rajas e tamas.
Negando l'esistenza e il valore dell'amore materiale sattvico, questi
ignoranti religiosi stanno reprimendo la tendenza sana e naturale
96
Bhagavad gita: capitolo 18
verso la felicità e il piacere di sattva, ma tale tendenza non può
scomparire, e quindi verrà distorta quando i seguaci confusi sono
condotti a credere che possono avere gioie immediate e relazioni in
questo mondo soltanto attraverso rajas e tamas in un modo
pervertito, egoistico, o persino violento e degradante.
Abbiamo visto questo meccanismo automatico manifestarsi molte
volte e distruggere la vita di innumerevoli persone: è dunque
veramente necessario chiarire questo equivoco per salvare la gente
da gravissimi pericoli.
Il vero amore sattvico (incluso l'amore materiale diretto verso le
creature e non soltanto verso il Creatore) è sostenuto naturalmente
da dharma (satya, daya, sauca, tapas) e quindi sublima il desiderio
e lo innalza addirittura al livello della divinità (7.11), culminando
sul piano del visuddha sattva nella passione trascendentale
dell'estasi del bhakti rasa e bhakti bhava diretti verso l'Esistenza
Suprema, anch'essa fatta di sentimenti: raso vai sah, rasam hy
evayam labdhvanandi bhavati, "Dio è sentimento, e
raggiungendolo, si diventa felici", (Tattirya Upanishad, 2.7.1).
Il desiderio in sé non è fonte di degradazione, e può addirittura
diventare una potente spinta verso l'evoluzione se viene diretto e
incanalato nel modo corretto.
Bisogna osservare però che il kama ("desiderio") menzionato in
questo verso (kama ipsuna, 18.24) non è del tipo divino, perché è
descritto come strettamente associato con ahankara (saahankarena), che è precisamente l'identificazione egotistica ed
egoistica, e l'attaccamento che caratterizzano la lussuria. E'
desiderio ed emozione incanalati verso lo sfruttamento e la
separazione, e inevitabilmente porterà sofferenze e danni.
L'espressione bahula ayasa, "con grande sforzo", è collegata
direttamente con il concetto di sa ahankara, "con egotismo".
97
Parama Karuna Devi
E' importante comprendere che l'impegno spirituale (yata, nitya
karma) deve essere proporzionale e adatto alle capacità
dell'individuo, come conferma il verso 9.1 su sukham kartum ("da
compiere felicemente/ facilmente").
Il concetto di sukham ("gioia") non è condannato nella Bhagavad
gita, anzi viene incoraggiato come un'aspirazione naturale
dell'essere vivente, della quale possiamo godere anche se non
dobbiamo attaccarci troppo (2.15, 2.66, 4.40, 5.3, 5.13, 5.21, 6.21,
6.27, 6.28, 6.32, 9.1, 10.4, 16.23). Analizzeremo ulteriormente
l'argomento della gioia e del piacere nei versi dal 18.36 al 18.39.
E' vero che nel corso dei nostri doveri sattvici e spirituali in questa
vita dobbiamo investire un certo sforzo e tollerare delle difficoltà e
persino delle sofferenze, ma non ci viene mai richiesto di fare degli
sforzi che sono superiori alle nostre forze o addirittura di andare a
cercare deliberatamente la sofferenza, perché nella sofferenza non
c'è alcun valore intrinseco.
L'idea di sofferenza come merito religioso in sé, chiamato
"penitenza" e caratteristico delle ideologie abramiche è in realtà di
origine asurica, come vediamo chiaramente affermato nei versi
16.9, 16.10, 16.18, e specialmente 17.19. La giusta via sta dunque
nel mezzo - lontano dalla pigrizia indifferente e dalla trascuratezza
create da tamas, e anche lontano dallo sforzo eccessivo non
necessario e dallo stress causati dal tentativo egotistico e arrogante
di stabilire la propria superiorità sotto l'impulso di rajas.
Non abbiamo bisogno di far vedere a tutti che siamo grandi devoti,
coraggiosi rinunciati, fedelissimi religiosi o personalità
straordinarie in qualche altro modo, perché tutto ciò si basa
sull'ahankara e sul bahula ayasa, e non farà molta impressione a
Dio o alle persone che hanno veramente realizzato la
Trascendenza.
98
Bhagavad gita: capitolo 18
Al massimo queste esibizioni di megalomania potranno vincere il
favore degli sciocchi ignoranti e creduloni e procurarci
temporaneamente seguaci e ricchezze, ma non ne vale certo la
pena, perché non potremo tenere il passo e ben presto ci verranno
meno le forze e dovremo cadere, per diventare dei cinici
imbroglioni (che mantengono una falsa facciata per le "relazioni
pubbliche") o semplicemente abbandonando il campo e tornando
alla ordinaria vita materialistica come abbiamo visto succedere in
molti esempi.
Non è difficile da capire: possiamo fare l'esempio dell'esercizio
fisico. Se vogliamo raggiungere e mantenere un certo livello di
buona forma fisica, dobbiamo stabilire un programma progressivo
che si trovi nel raggio delle nostre effettive possibilità, e praticare
regolarmente senza sforzarci troppo. Se facciamo jogging,
dobbiamo iniziare con una distanza breve a una velocità moderata,
poi aumentiamo molto gradualmente un giorno dopo l'altro,
osservando attentamente gli effetti sul nostro corpo e sulla nostra
mente, e se necessario riposando per uno o due giorni per
recuperare le energie. Non ci buttiamo immediatamente a fare una
maratona di corsa di 40 km senza la giusta preparazione,
semplicemente per impressionare amici e vicini di casa, perché se
lo facessimo potremmo finire all'ospedale con danni permanenti
che limiterebbero seriamente le nostre attività future e
porterebbero le tipiche sofferenze e confusione che risultano dalle
azioni rajasiche.
I nostri doveri come il sadhana spirituale e l'impegno nelle attività
professionali (che possono venire considerate come servizio
spirituale) devono essere personalizzati sotto la guida diretta di un
insegnante esperto, e regolate secondo tempo, luogo, circostanze e
capacità individuali. L'approccio impersonalista, che tratta tutti "in
modo trascendentale" artificialmente, senza curarsi di verificare
l'effettivo guna e karma e il livello di evoluzione di ciascun
99
Parama Karuna Devi
individuo, non è certamente in visuddha sattva ma in tamas, come
vedremo nel prossimo verso.
VERSO 25
anubandham: del legame futuro/ delle conseguenze; ksayam:
distruttivo; himsam: crudele; anapeksya: compiuto senza
attenzione; ca: e; paurusam: non sanzionato dalla Divinità; mohat:
nato dall'illusione; arabhyate: viene iniziato; karma: lavoro/
attività; yat: che; tat: quello; tamasam: in tamas guna; ucyate: è
detto.
"Quelle attività che sono causa di legame, che sono distruttive,
compiute senza cura, dettate dall'odio e inventate senza avere
autentica conoscenza, nate dall'illusione, sono descritte come in
tamas.
L'espressione anu bandham qui è molto interessante. La parola
anu significa "seguendo, regolarmente, strettamente, dietro
qualcuno, collegato, connesso, successivo", e bandham significa
"legame". Possiamo dunque applicare tutti questi significati per
definire le caratteristiche dell'azione o dovere tamasico. Uno di
essi è "schiavitù", poiché l'azione viene compiuta in quanto si è
costretti a farlo, con la violenza, il ricatto o semplicemente perché
non ci sono alternative.
100
Bhagavad gita: capitolo 18
Un altro significato ovvio è che le attività (o "doveri") in tamas
creano conseguenze negative per sé stessi e per gli altri, come per
esempio le occupazioni professionali di ladri e rapinatori e
truffatori.
Un altro significato indica un'attività (o "dovere") compiuta
semplicemente per imitazione e conformismo, perché "questa è la
tradizione", o "si è sempre fatto così", senza veramente
comprendere il suo scopo o significato, e quindi con un rischio
molto alto di equivoci, errori e fallimenti. Simile a questa
interpretazione, possiamo aggiungere la situazione di coloro che si
impegnano in attività professionali, sociali o religiose a causa di
uno spirito gregario di "gang", qualcosa che i conformisti fanno
normalmente quando sentono di aver trovato un gruppo veramente
di moda o un club che dà loro un senso di appartenenza esclusiva e
cameratismo.
Un altro significato si riferisce alle attività che producono
assuefazione e dipendenza (specialmente le pratiche
masochistiche) o attività compulsivo-ossessive, come i giuramenti
(o voti) a vita fatti per egotismo, che possono causare
complicazioni inaspettate e persino gravi danni in futuro, e come
minimo provocheranno senso di colpa, paura, confusione e
depressione nel caso che ci si trovi nell'impossibilità di continuare
la pratica a causa di circostanze inevitabili. Questi impegni
vengono presi senza valutare veramente la propria forza personale
o lo scopo della vita, e spesso in modo irresponsabile e
irragionevole, ma creano legami e reazioni.
La parola ksaya significa "distruzione, perdita"; nella stessa
famiglia etimologica uno ksha-tra è "chi protegge dalla
distruzione". Qualsiasi attività (o "dovere") influenzata
dall'ignoranza causa generalmente danni a sé stessi e ad altri
(16.19, 17.6); nella categoria della distruzione dovremmo
includere anche la perdita della fiducia e della fede, la perdita
101
Parama Karuna Devi
dell'innocenza e dei buoni sentimenti, la perdita di crediti e meriti
karmici, e la perdita di intelligenza, buon senso e buona volontà.
Un condizionamento tamasico (chiamato anche "lavaggio del
cervello" o "programmazione") imposto come "addestramento" da
famiglia, scuola, comunità o organizzazione indebolirà la mente
dell'individuo e distruggerà il suo potenziale e le sue opportunità di
successo futuro, e a volte anche la possibilità di una vita sana e
normale con relazioni e impegni positivi.
Una parola di avvertimento anche agli psicologi e agli psichiatri
che seguono l'approccio comportamentale secondo gli esperimenti
di Pavlov con i cani: una mente davvero scientifica accerterà
innanzi tutto la realità dei fattori prima di iniziare qualsiasi
esperimento o procedura. I loro metodi potranno essere utili con
persone che sono già profondamente immerse nel tamas e hanno
bisogno di essere trattate al livello più basso della consapevolezza,
come gli animali, e condizionate meccanicamente anche solo per
comportarsi in modo accettabile, perché non sono capaci di
imparare in altro modo, ma esistono anche esseri umani più evoluti
con un potenziale maggiore (magari non ancora pienamente
sviiluppato, come generalmente vediamo nei bambini) che
potrebbero venire danneggiati dalle procedure.
La parola himsa è stata già analizzata in altri versi. Significa
"violenza" nel senso di odio e aggressività, crudeltà e malizia, e
desiderio di fare del male e causare sofferenza. Le ideologie
abramiche danno un valore positivo alle punizioni corporali e alla
penitenza inflitta a sé stessi e ad altri, specialmente seguendo
"l'esempio ideale" di Gesù Cristo che viene mostrato in uno stato
di angoscia, piegato dalle torture e dalle estreme sofferenze
chiamate "passione". Questo concetto si sviluppa dall'odio
intrinseco verso il corpo e la sua origine naturale attraverso la
nascita da una madre, chiamata "peccato originale", dal quale il
credente deve essere purificato tramite le sue sofferenze o le
102
Bhagavad gita: capitolo 18
sofferenze di un capro espiatorio che ne prenda il posto. Questa è
pazzia tamasica in una forma gravemente distruttiva, e non può
assolutamente portare alla liberazione o alla realizzazione
spirituale. L'ignoranza normalmente causa crudeltà e insensibilità,
e quando viene portata all'estremo, persino pazzia delusionale con
tutte le perversioni del caso.
La parola anapeksa significa "indifferente, senza considerazioni";
è stata usata in senso positivo nel verso 12.16 applicata
all'indifferenza verso le circostanze che potrebbero distrarci dal
nostro giusto dovere. In questo verso la definizione è usata in
senso negativo, applicata all'indifferenza verso l'azione stessa - che
viene compiuta in modo trascurato, pigro, distratto, cercando
scorciatoie, o senza sincerità, attenzione o devozione. Si applica
anche all'indifferenza verso le sofferenze e i problemi che si
causano agli altri, e all'indifferenza verso i principi dell'etica o
dharma, verso la decenza o la bontà. Un'altra applicazione del
termine si riferisce al menefreghismo verso le conseguenze
dell'azione, i suoi svantaggi e demeriti, e le possibilità di successo;
questo approccio può sembrare simile all'atteggiamento sattvico,
ma non è ispirato dal coraggio e dallo spirito di sacrificio nel
compimento del proprio dovere, perciò rimane sul livello
dell'irresponsabilità e dell'inettitudine.
Anche la parola paurusam è molto interessante. Si riferisce al
livello umano, sul quale la mente può fabbricare molti metodi
diversi basati sulla speculazione e la fantasia, sull'idea del proprio
potere e delle proprie capacità; è l'opposto di a-paurusa, una
definizione usata per indicare la conoscenza vedica (apauruseya,
"sovrumana"), che viene realizzata - direttamente "vista" - dai rishi
nella sua completezza e perfezione. In questo verso, paurusam si
riferisce a qualche attività o dovere che è stato inventato o
fabbricato artificialmente, a capriccio, senza riferimenti alle
scritture, ma per servire qualche scopo materiale.
103
Parama Karuna Devi
Questo significato è rafforzato dal termine seguente, mohat, "per
illusione", che può indicare una percezione illusoria del proprio
potere e della propria forza, che non ci permette di comprendere
veramente se siamo in grado di compiere quell'azione oppure no.
La combinazione di questi significati dà l'impressione di ciechi che
guidano altri ciechi, brancolando attorno nel buio, eppure
affermano che sanno benissimo dove stanno andando - una
situazione che si può facilmente riconoscere in molti aspetti della
società attuale, specialmente nella maggior parte dei campi
accademici di psicologia, sociologia, politica, e via dicendo. Il
cosiddetto metodo ascendente empirico per acquisire la
conoscenza non è condannato dalla civiltà vedica, ma non gli viene
dato un gran valore in sé stesso, anche a causa della vasta quantità
di informazioni e conoscenza che è già disponibile perché la
possiamo studiare. Vediamo per esempio in matematica e fisica
che il processo di apprendimento fa buon uso della conoscenza
offerta dagli scienziati precedenti, e noi approfittiamo felicemente
di formule e teoremi e "leggi" e altre pietre miliari di conoscenza
universalmente riconosciute e accettate in questi campi, nonostante
il fatto che possono non essere accurate al 100% e vengano
talvolta contraddette da scoperte successive. Eppure, sarebbe
stupido pensare che ciascuno debba riscoprire completamente
(invece di verificare) di persona ogni singolo frammento di
conoscenza che è attualmente disponibile grazie al lavoro degli
scienziati precedenti.
La parola arabhyate è interessante; significa letteralmente "viene
iniziato" e si riferisce al fatto che i risultati dell'azione sono meno
importanti dell'atto di darle inizio. Mentre la conclusione
dell'attività risulta da un certo numero di fattori e costituisce
l'effetto accumulato di tentativi precedenti, il dare inizio a
un'azione è un importante passo che già crea increspature nel
mondo e nel nostro territorio karmico.
104
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 26
mukta sangah: libero da ogni associazione; an aham vadi: senza
egotismo; dhriti: con determinazione; utsaha: con entusiasmo;
samanvitah: provvisto di; siddhi asiddhyoh: nel successo e nel
fallimento; nir vikarah: senza cambiare; karta: colui che agisce;
sattvika: in sattva guna; ucyate: è detto.
"Una persona che si impegna nel dovere senza attaccamento
all'associazione, senza egotismo, ma piena di determinazione
ed entusiasmo stabili davanti a successo o fallimento, è detta
(situata) in sattva guna.
L'espressione mukta sanga era già stata menzionata nel capitolo
sul Karma yoga: yajnarthat karmano 'nyatra loko 'yam karma
bandhanah, tad artham karma kaunteya mukta sangah samacara,
“Le azioni devono essere compiute come sacrificio, altrimenti in
questo mondo causano legami e ulteriori azioni. Perciò, o figlio di
Kunti, dovresti compiere le tue attività con uno spirito di sacrificio,
rimanendo libero dall'associazione con la materia" (3.9). Il
concetto è stato menzionato di nuovo nei versi 2.47 (sangam
tyaktva), 4.23 (gata sangasya muktasya), 5.10 (sangam tyaktva),
5.11 (sangam tyaktvatma), 11.55 (sanga varjita), 12.18 (sanga
vivarjita), 15.5 (jita sanga dosa), 18.6 (sangam tyaktva), 18.9
(sangam tyaktva), 18.23 (sanga rahitam). La parola sanga è un
composto di sa+anga, che significano rispettivamente "con" (sa) e
"membro" o "parte" (anga).
105
Parama Karuna Devi
Contiene quindi i significati di "unione, contatto, confluenza,
associazione, concluso, completo, con tutte le parti, attaccato,
attaccamento, rapporto sessuale" e anche "guerra, conflitto". Una
parola strettamente imparentata, sangha, contiene i significati di
"associazione, società, organizzazione, gruppo, folla, ordine
religioso, chiesa, compagnia, assemblea, cemento composito".
E' chiaro che Krishna ci sta mettendo in guardia contro il problema
dell'identificazione e dell'appartenenza a qualche tipo di "sanga/
sangha" specialmente per quanto riguarda le azioni e il dovere, e
non soltanto a causa dell'attaccamento al risultato delle nostre
azioni. Le due cose in realtà sono strettamente collegate, perché
quando scegliamo di mantenere un senso di identificazione e
affiliazione con un particolare gruppo (cadendo così nell'illusione
della dualità di interessi) diventiamo attaccati ai risultati delle
nostre azioni perché vogliamo offrire tali risultati al rafforzamento
del nostro particolare gruppo, e non alla società nel suo insieme e
alla Consapevolezza, dove dovrebbero invece essere diretti.
Questa mentalità è influenzata da rajas (prithak, "separazione",
18.21) e tamas (anu, "seguendo", 18.25), non da sattva o suddha
sattva, perciò se qualcuno cerca di venderci questo approccio come
se fosse trascendentale, sappiamo come rispondere. La situazione è
particolarmente grave quando qualcuno cerca di arruolarci o
sfruttarci per l'interesse di un gruppo (organizzazione, matha e
simili) usando il nome di Dio ("diventa un devoto di Dio") e poi
esige che noi adattiamo le nostre credenze e pratiche secondo le
linee politiche dell'organizzazione perché siamo suoi "membri" e
la nostra fedeltà e obbedienza va all'organizzazione innanzi tutto,
senza considerare le vere istruzioni di Dio.
Certamente possiamo notare che una sanga/ sangha può essere
sotto l'influenza di sattva, rajas o tamas; una sanga/ sangha
sattvica sottolineerà l'importanza della "unità" per esempio come
"lavoro di squadra e collaborazione" piuttosto che sulla
106
Bhagavad gita: capitolo 18
separazione del settarismo, quindi i risultati saranno radicalmente
diversi. Una forte influenza di tamas incoraggerà non soltanto il
settarismo e la competizione contro altri gruppi, ma causerà anche
intolleranza, comportamenti offensivi e persecuzione fisica delle
altre sangha. Più ci eleviamo nel sattva, più ogni cosa diventa
migliore; il livello più alto è il piano trascendentale, in cui siamo
uniti (sanga) con la Realtà intera (brahman, paramatma,
bhagavan), e quindi sanga diventa yoga.
Per tutti coloro che stanno lottando con i guna ci sono anche altre
considerazioni. E' detto, krite mantra prayoge va, tretayam tantra
sadhane, dvapare vyuha racane, saktih sanghe hi sa kalau, "In
Satya yuga il potere si trova in mantra e yoga, in Treta yuga il
potere si trova in tantra e sadhana, in Dvapara yuga il potere si
trova nella strategia e nella pianificazione, e in Kali yuga si trova
nella collaborazione". Persino al livello più basso, la forza di
sanga può essere usata in modo benefico sulle persone che sono
profondamente immerse nel tamas come la maggior parte di coloro
che vivono nel Kali yuga.
Usando con attenzione e abilità il potere di tamas (anu, o
conformismo) e rajas (prithak, o settarismo) sotto la guida
illuminata di un guru veramente qualificato, individui che
sarebbero casi disperati possono essere portati al livello di base
della vita umana e a un comportamento accettabile, impegnandoli
in attività che creeranno punya e aumenteranno sattva (3.6). Ma il
guru deve essere veramente qualificato, perché ciò che è medicina
per qualcuno sarà veleno per un altro, e l'illusione impersonalista
che tutti (o tutti gli individui etichettati artificialmente nella stessa
categoria senza adeguata verifica) dovrebbero essere trattati nello
stesso modo causerà certamente molti danni e perdite alla società
intera.
Per i neofiti e i praticanti più deboli sulla via del progresso
spirituale, persino il potere di ahankara e mamatva può essere
107
Parama Karuna Devi
incanalato in una buona direzione - sattva e suddha sattva incoraggiandoli a identificarsi come devoto di Dio (specialmente
del proprio ista deva), come sadhaka, karyakarta, e così via, e
sviluppare un senso di appartenenza e di possesso (associazione)
nei confronti di Dio, guru, shastra, sadhu, e così via.
Se tale associazione (sanga) è veramente qualificata e
spiritualmente orientata (in sattva o preferibilmente in suddha
sattva), ci sarà di aiuto invece che di ostacolo nel nostro progresso,
grazie al buon esempio, all'ispirazione, all'incoraggiamento, alle
istruzioni e al sostegno. Se seguiamo veramente questi parametri di
sattva e suddha sattva, persino l'associazione con individui che
sono meno evoluti di noi (come i nostri studenti o subordinati o
dipendenti) ci sarà di beneficio, perché manterrà la buona energia
(emozione o bhava) attiva e in circolo nella nostra consapevolezza,
e questo ci renderà più aperti all'ispirazione e alle dirette istruzioni
del Paramatman. Persino la saggezza popolare afferma che si può
imparare molto mentre si insegna ad altri.
Sattva, la bontà, ci influenza a diventare liberi da ahankara e
mamatva, o perlomeno ad applicarli al livello più alto e puro
possibile, usando la nostra posizione e le nostre risorse nel servizio
al Supremo e a tutti gli esseri, senza egoismo. Quando lavoriamo
in questo spirito puro di servizio, troviamo perseveranza (dhriti) ed
entusiasmo (utsaha) nell'azione stessa, perché la soddisfazione
deriva da un lavoro ben fatto e dall'aver trovato il proprio posto nel
mondo, compiendo adeguatamente i doveri specifici del nostro
vero guna e karma. Questo lavoro doveroso viene svolto per sé
stesso, senza il bisogno di farsi notare o di essere sostenuti o spinti
da altri.
La parola dhriti significa "determinazione, perseveranza,
pazienza", e deve essere sostenuta da utsaha, "entusiasmo", perché
i buoni risultati non arrivano da soli e dobbiamo continuare a
spingere e tentare e applicare sforzo e lavoro intelligente, e
108
Bhagavad gita: capitolo 18
dobbiamo anche continuare a farlo con un sorriso e un
atteggiamento proattivo. Dobbiamo vedere le difficoltà come
opportunità piuttosto che come ostacoli, in modo da imparare a
utilizzare qualsiasi cosa venga messa sul nostro cammino dalla vita
e dal destino (daivam). Rimanere liberi da ahankara e mamatva
(an aham vadi) è possibile anche quando lavoriamo con
determinazione, entusiasmo e orgoglio, e troviamo la
soddisfazione e un buon mantenimento nelle nostre attività.
Dobbiamo semplicemente ricordare "sto solo facendo il mio
lavoro" e "sono felice di poter essere utile".
Quando siamo equilibrati verso successo e fallimento (siddhi
asiddhi), non è per indifferenza o stupidità, ma per un approccio
proattivo e ottimista: siamo capaci di vedere ogni passo come
valido in sé e persino il fallimento può essere usato per imparare e
costruire il futuro successo. Questo si applica sia ai successi e
fallimenti che abbiamo già sperimentato sia a quei risultati futuri
che sembrano probabili o inevitabili nel corso del giusto
compimento del nostro dovere.
Asiddhi significa "imperfezione" ed è uno splendido modo di
considerare qualsiasi cosa sia meno che perfetta, in ordine
discendente da 99% a 0%. Riconosciamo la nostra posizione
attuale e poi lavoriamo per progredire, con determinazione ed
entusiasmo, afferrando tutte le buone occasioni e scrollandoci di
dosso i sentimenti negativi, senza lasciarci distrarre e sviare.
Coltivare determinazione e perseveranza significa che dobbiamo
essere regolari, cercare di trovare un programma funzionale e fare
un po' ogni giorno, anche se poco, e poi riprendere i nostri sforzi
con rinnovata energia se per qualche motivo abbiamo dovuto
fermarci per qualche tempo.
Questo concetto è rafforzato dalla parola nirvikara, "senza
cambiamento", a indicare che una volta presa la decisione con
intelligenza e saggezza, dobbiamo rimanere con fermezza sulla via
109
Parama Karuna Devi
senza ripensamenti e senza lasciarci scoraggiare da difficoltà o
perdite, perché niente che abbia valore può essere ottenuto senza
una certa misura di sacrifici. Entusiasmo significa che troviamo
piacere nel nostro lavoro (su sukham, 9.1) e vi investiamo tutto
quello che abbiamo, senza riserve, senza esitazioni, senza
trattenerci e senza paura. Sattva è la chiave per il successo
progressivo e duraturo.
VERSO 27
ragi: molto attaccato; karma phala: i risultati dell'azione; prepsuh:
desiderando intensamente; lubdhah: avido; himsa atmakah: di
natura crudele; asucih: impuro; harsa soka anvitah: caratterizzato
da gioie e dolori; karta: colui che fa; rajasah: in rajas guna;
parikirtitah: è dichiarato.
"Una persona che agisce per attaccamento per i risultati del
suo lavoro, spinta da un intenso desiderio e dall'avidità,
distratta da euforia e tristezza, che non ha pulizia o
compassione, viene descritta come un lavoratore in rajas.
Abbiamo visto che una persona sattvica è sempre equilibrata e
stabile di fronte alle varie situazioni e può rimanere con la mente
lucida e nervi d'acciaio - è il leader senza paura, il consigliere che
può guidare le persone ordinarie fuori da ogni tipo di guaio. Poiché
non è avida, vive felicemente con qualsiasi gioia, ricchezza e
successo possa ottenere senza troppo stress, e di conseguenza
110
Bhagavad gita: capitolo 18
godrà di una salute relativamente buona e di grande pace mentale.
Al contrario una persona rajasica sarà sempre agitata mentalmente,
trasportata qua e là da potenti emozioni e desideri (prepsuh), da
euforie e depressioni (harsa soka), vittimizzata dall'invidia e quasi
accecata dalla visione ristretta e miope tipica dell'egoismo.
Sarà dunque incapace di comprendere che i metodi artificiali che
sta usando oggi per sostenere la sua vita stressata e ottenere
successi immediati finirà per pesare sulla sua salute fisica e
mentale, sulle relazioni, e persino sulle occasioni di godere di ciò
che ha accumulato - ricchezze, proprietà, posizioni e così via. Una
persona rajasica (uomo o donna) è egoista, e ciò non la rende
molto popolare nonostante tutti i suoi sforzi di guadagnarsi una
buona posizione sociale, e certamente non sarà mai capace di avere
una relazione veramente soddisfacente, basata sull'amore e
sull'affetto. Poiché chiede, "e io cosa ci guadagno?" prima ancora
di ascoltare quello che gli altri hanno da dire, sta distruggendo
brutalmente sul nascere qualsiasi buon sentimento e si sta
tagliando fuori da qualsiasi vero progresso evolutivo, perché il suo
interesse rimane incollato al profitto materiale grossolano nella
forma di gratificazione dei sensi, possesso e dominio.
Il termine ragi ("attaccato") indica lussuria, che è molto differente
dall'amore, anche quando si parla di relazioni personali. Che dire
degli oggetti materiali e delle ricchezze, una persona rajasica
continua a soffrire e rimane triste perché nessuna relazione può
veramente soddisfare la sua fame. Mangia continuamente, sempre
di più, e poi vomita in modo da poter essere in grado di mangiare
ancora - questo si applica anche alle relazioni, come vediamo nel
caso di persone che hanno sviluppato una sorta di
tossicodipendenza per il sesso superficiale, il flirting e la vita
sociale priva di significato. Un avaro (kripana) è avido e insazabile
(lubdhah) e invidioso delle proprietà e dei successi degli altri, ma
non è mai capace di godere veramente dei propri successi e
111
Parama Karuna Devi
proprietà, perché sta sempre pensando allo scopo successivo e
soprattutto ha paura di perdere ciò che già possiede. Così alla fine
soffre più di un vero povero, perché almeno la persona che non
possiede nulla non ha paura di perdere ciò che non ha. Questo si
collega anche all'espressione himsa atmaka, che può essere
interpretata a diversi livelli.
Su uno di questi livelli, himsa atmaka significa "chi ha una natura
violenta e crudele", ma vediamo che generalmente le persone
violente hanno anche l'abitudine di fare del male a sé stesse, in un
modo o nell'altro. In un'interpretazione molto diretta, possiamo
vedere che le persone rajasiche tendono a commettere suicido più
facilmente, a causa delle depressioni terribili e disperate che
attraversano quando perdono l'oggetto del loro attaccamento ricchezze, buon nome, carriera, famiglia, una relazione romantica
o sessuale, il successo al quale aspiravano o che sognavano.
Ma ci si può fare molto male anche con l'abuso di droghe o
semplicemente con lo stress e l'eccessiva pressione mentale, il
brivido della paura, o qualche strano desiderio di morte come nel
caso di quei matti che credono sia divertente andare a nuotare con
gli squali, arrampicarsi su rocce pericolose, fare bungee jumping o
paragliding, o guidare a massima velocità di notte senza fari o sulla
corsia sbagliata dell'autostrada, e così via. Tali attività vengono
compiute senza alcun beneficio per la società o per gli individui,
ma semplicemente per stimolare la produzione di adrenalina e
provare un'emozione forte.
Certo, il problema è che l'effetto dello stimolo ha una curva
discendente; ogni forma di ebbrezza produce effetti collaterali - il
mal di testa e gli altri sintomi dopo una sbornia, crisi da astinenza,
rigetto, assuefazione, desensibilizzazione o eccessiva sensibilizzazione, reazioni e dipendenza. Dopo che l'effetto piacevole è
passato, il tossicodipendente si sente peggio del normale e a lungo
andare avrà bisogno di consumare una dose pericolosa della
112
Bhagavad gita: capitolo 18
sostanza semplicemente per sentirsi "normale", e per sentire lo
stimolo rischierà spesso l'overdose.
La tossicodipendenza causa inoltre allucinazioni molto spiacevoli,
depressioni disperate, rabbia e accessi di violenza, ansietà,
paranoia, tendenze schizofreniche e molti altri disturbi mentali;
provoca dolori in tutto il corpo, nausea e molti altri problemi fisici,
soprattutto a causa dei danni a cervello e fegato.
Questo si può osservare in vari gradi in coloro che consumano
sostanze che danno dipendenza, come erbe psicotropiche e
stimolanti (da quelle leggere e talvolta benefiche come
teobromina, caffeina, cannabis, nicotina e bevande leggermente
alcoliche, a quelle più forti e pericolose come datura, psilocibina e
così via) e ancora di più in ordine crescente di gravità con liquori,
eroina, morfina e altri derivati dell'oppio, cocaina e altre droghe
normalmente usate per secoli in varie culture, e a quelle recenti
sintetiche, i cocktail chimici come LSD, anfetamine, meth e roba
simile, come anche i farmaci prescritti legalmente, e persino i
solventi commerciali (sniffati da alcuni bambini di strada) e così
via.
E' interessante notare che lo stesso stimolo e danni simili possono
essere causati da sostanze naturali prodotte dal nostro stesso corpo
- specialmente la ghiandola pituitaria e altre - in particolari
condizioni di stress o eccitazione come pericolo, fatica, sforzo
fisico e così via.
Si tratta di endorfine neuropeptidi, l'ormone adrenalina (conosciuto
anche come epinefrina) e i vari neurotrasmettitori dopamine
prodotti da un particolare approccio rajasico verso il sesso, il gioco
d'azzardo, i video game, l'esercizio fisico, il rischio o il pericolo, il
successo sociale, l'attenzione personale, l'abuso di sostanze
psicotropiche e persino alcuni tipi di musica.
113
Parama Karuna Devi
E' interessante anche notare che per ottenere l'effetto di produzione
di dopamine non è veramente necessario assumere la sostanza o
compiere l'azione collegata - è sufficiente che la mente entri in uno
stato di anticipazione o ricordo del consumo o dell'attività relative
attraverso i sensi interiori (antah karana). Le tossicodipendenze e
l'abuso di droga sono tipici di persone fortemente influenzate da
rajas e tamas; il tipo rajasico usa queste sostanze come stimolo,
mentre il tipo tamasico usa le stesse sostanze per attutire o
bloccare sensazioni, emozioni o pensieri spiacevoli.
Alla fine però sia l'euforia che la depressione, e anche
l'oscuramento di tutte le sensazioni, sono causa di sofferenza e
degradazione, prima o poi. Certo, esiste una categoria più oscura di
persone asuriche che si comporta anche peggio, sviluppando una
specie di tossico dipendenza per il provocare dolore, sofferenza e
morte ad altri "per divertimento"; il numero di queste sfortunate
anime sta crescendo sotto la pressione di ciò che va sotto il nome
di "cultura" e "intrattenimento", e l'accumulo dei risultati karmici
sarà disastroso.
Una persona che dà tanta importanza alla gratificazione dei sensi,
all'acquisizione e al possesso e alla posizione, come se fossero
permanenti e potessero definire il nostro scopo nella vita attraverso
identificazione e attaccamento, guarderà certamente le persone in
un modo impuro (asuci), pensando sempre a come potrà ottenere
da loro qualche beneficio o guadagno, e frequenterà volentieri
cattive compagnie di persone sporche di mente, che sembrano
offrire maggiori opportunità di benefici materiali - il che accade
piuttosto spesso.
Ciò si applica anche al contatto con gli oggetti e le acquisizioni
materiali, perché una persona rajasica non sta a vedere se i suoi
guadagni sono puri o impuri - come disse il famoso imperatore
romano, "pecunia non olet" ("il denaro non puzza").
114
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 28
ayuktah: non impegnato/ senza collegamento (con lo yoga o le
scritture); prakritah: materialistico; stabdhah: ostinato; sathah:
ingannatore; naiskritikah: distruttivo; alasah: pigro; visadi: triste;
dirgha sutri: che rimanda sempre; ca: e; karta: uno che fa;
tamasa: in tamas guna; ucyate: è detto.
"Una persona che agisce in tamas guna non è impegnata (in
attività utile), è materialista, testarda, bugiarda, pigra, triste e
rimanda sempre (gli impegni).
La parola a-yukta è l'esatto contrario di yukta (2.39, 2.50, 2.51,
2.61, 3.26, 4.18, 5.6, 5.7, 5.8, 5.12, 5.21, 5.23, 6.8, 6.14, 6.17,
6.18, 6.29, 6.47, 7.17, 7.18, 7.22, 7.30, 8.8, 8.10, 8.14, 8.27, 9.14,
9.22, 9.28, 9.34, 10.10, 12.1, 12.2, 17.17), una parola che Krishna
usa come sinonimo di yogi (3.3, 4.25, 5.11, 5.12, 5.24, 6.1, 6.2,
6.8, 6.10, 6.15, 6.19, 6.27, 6.28, 6.31, 6.32, 6.42, 6.45, 6.46, 6.47,
8.14, 8.23, 8.25, 8.27, 8.28, 10.17, 12.14, 15.11). Rileggendo
questi versi saremo capaci di comprendere più profondamente il
significato di questa definizione. Yukti, o yoga, include i significati
di "impegno, collegamento, servizio, azione consapevole, azione
utile, relazione" e può essere considerato l'opposto della mentalità
separatista che deriva dall'illusione della dualità. Tra i vari
significati di ayukta troviamo "disoccupato, instabile, irregolare,
scollegato, senza fondamenta o base, senza riferimento a un
metodo o agli shastra, irresponsabile, pigro, incompleto".
115
Parama Karuna Devi
Ciò è confermato dai versi che parlano direttamente di coloro che
sono ayukta: nasti buddhir ayuktasya na cayuktasya bhavana, na
cabhavayatah santir asantasya kutah sukham, “Una persona che
non è collegata/ impegnata (nello yoga) non può comprendere
bene le cose. Chi non è impegnato (nello yoga) non può ottenere
buoni risultati, o trovare la pace. E come ci può essere felicità
senza pace?" (2.66), e yuktah karma phalam tyaktva santim apnoti
naisthikim, ayuktah kama karena phale sakto nibadhyate, "Uno
yogi abbandona l'attaccamento ai risultati delle attività e quindi
trova la pace duratura. Chi non è uno yogi rimane legato ai risultati
dell'azione che desiderava ottenere con il lavoro" (5.12).
La parola prakrita deriva direttamente da prakriti ("natura")
applicata alla natura materiale, perciò indica una persona che vede
la vita come una semplice manifestazione della natura materiale,
come fanno gli animali. In sé stessa, la definizione non è offensiva
o negativa, ma limita l'intelligenza e le attività dell'individuo al
livello materiale. Il termine contiene dunque i significati di
"materialista, spontaneo, ingenuo, sempliciotto, sentimentale,
passivo, senza cultura, analfabeta, grossolano".
A un livello più profondo, può indicare una persona che è schiava
della natura del corpo, cioè della mente e dei sensi, e concentra la
consapevolezza soltanto sulle loro richieste, senza preoccuparsi
delle conseguenze.
Queste due interpretazioni riflettono le qualità di rajas e tamas.
D'altra parte, la parola stabdha è certamente negativa; significa
"testardo, rigido, ostinato, arrogante, impudente" ed è stata usata
nel verso 16.17 per descrivere la natura asurica. La parola sathat è
ancora peggio, poiché significa "manipolatore, ingannatore, astuto,
furtivo, imbroglione, segreto, ipocrita".
Il termine naiskritika significa letteralmente "disfacimento", e
indica un comportamento distruttivo, che insulta e tortura altri,
116
Bhagavad gita: capitolo 18
cercando di creare problemi e distruggere ciò di cui hanno bisogno
per vivere. Contiene anche i significati di "avaro, cattivo, passivo
aggressivo, ricattatore".
La parola alasa significa "indolente, languido, pigro" mentre
visadi significa "depresso, triste, negativo" come nei sentimenti di
Arjuna nel primo capitolo della Bhagavad gita. L'espressione
dirgha sutri significa "procrastinare, rimandare, pasticciare,
perdere tempo" come quando ci si mette un mese per fare il lavoro
di un giorno o si "ammazza il tempo" con qualche gioco stupido.
Il Bhagavata Purana (1.16.9) elabora ulteriormente: mandasya
manda prajnasya, vayo mandayusas ca vai, nidraya hriyate
naktam, diva ca vyartha karmabhih, "Persone pigre e ignoranti/
sciocche, che vivono pochi anni, passando le notti a dormire e i
giorni a sprecare le ore in occupazioni prive di utilità."
VERSO 29
buddheh: dell'intelligenza; bhedam: la differenza; dhriteh: della
determinazione; ca: e; eva: certamente; gunatah: a seconda dei
guna; tri vidham: tre tipi di; srnu: ascolta; pra ucyamanam: come
sono descritti; asesena: in molti modi; prithaktvena: differenti;
dhananjaya: o Dhananjaya.
"O Dhananjaya, ci sono anche tre tipi di intelligenza e
determinazione, a seconda dei guna. Ascolta, te li descrivo.
117
Parama Karuna Devi
La parola buddhi ("intelligenza, comprensione") è stata usata
spesso nella Bhagavad gita come fattore fondamentale nella
realizzazione del sé e nel progresso in conoscenza e saggezza
verso la liberazione. Krishna ha già introdotto il concetto nel verso
2.39: esa te 'bhihita sankhye buddhir yoge tv imam srinu, buddhya
yukto yaya partha karma bandham prahasyasi, “Ho spiegato il
Sankhya Yoga - ora ascolta il Buddhi Yoga. O Arjuna, attraverso
questa applicazione dell'intelligenza e della giusta comprensione
sarai liberato dai legami del karma". Poi continua ad elaborare sul
Buddhi Yoga dal verso 2.49 al 2.53, e a parlare dell'importanza di
intelligenza e comprensione, culminando nel verso 2.63: krodhad
bhavati sammohah sammohat smriti vibhramah, smriti bhramsad
buddhi naso buddhi nasat pranasyati, “La collera diventa
confusione e la confusione diventa perdita della memoria. Quando
la memoria viene meno, l'intelligenza va perduta, e quando
l'intelligenza è perduta, si cade nella distruzione."
Di nuovo Krishna metterà in rilievo l'importanza dell'uso della
propria intelligenza, specialmente nei versi 5.20, 6.9, 6.21, 6.43,
8.7, 10.10, 12.8, 12.14, 15.20. E' interessante il fatto che buddhi
("intelligenza") e dhriti ("determinazione") siano menzionate
insieme in questo verso, perché l'intelligenza senza determinazione
non sarà sufficiente per eseguire le azioni fino al giusto
completamento, mentre la determinazione senza intelligenza è
semplice ostinazione che ci fa rimanere attaccati a scelte sbagliate
e dannose.
La parola bheda significa "classificazione", ma anche "divisione,
differenziazione, separazione", e in questo senso può essere
collegata con viveka, la funzione discriminante dell'intelligenza
che ci fa comprendere la differenza tra sat e asat, tra dharma e
adharma, tra vidya e avidya. Dunque a un livello primario, bheda
in questo verso si riferisce alla distinzione tra le tre diverse
categorie di intelligenza e determinazione secondo i tre guna, ma a
118
Bhagavad gita: capitolo 18
un livello più profondo vediamo che bheda in quanto viveka
diventa anch'essa un fattore insieme a buddhi e dhriti, per la fase
preliminare dell'azione, quando si fa la scelta di compierla
(arambha, 3.4, 4.19, 12.16, 14.12, 14.25, 18.48).
L'espressione pra ucyamanam significa "come è stato detto", e si
riferisce all'elaborazione che Krishna offrirà nei versi successivi e
che viene presentata come particolarmente accurata dai termini
asesena ("completamente") e prithaktvena ("distintamente"). E'
anche interessante notare che il significato primario di asesena è
"senza fine", che in questo contesto si riferisce alle innumerevoli
suddivisioni secondarie (prithak) delle caratteristiche dei tre guna
quando si accoppiano e si intrecciano l'uno con l'altro.
Dunque oltre alle tre modalità primarie conosciute come sattva,
rajas e tamas (che raramente si trovano allo stato puro, perché
continuano ad interagire tra loro), abbiamo sattva-sattva, sattvarajas, sattva-tamas, rajas-rajas, rajas-sattva e rajas-tamas, tamastamas, tamas-rajas e tamas-sattva. Inoltre, nelle persone
individuali (e anche negli oggetti materiali e nelle situazioni)
possiamo trovare anche sattva-rajas-tamas, sattva-tamas-rajas,
rajas-sattva-tamas, rajas-tamas-sattva, e così via con molte
combinazioni (anzi infinite combinazioni, perché continuano a
cambiare con il tempo e l'azione) differenti, in cui la definizione
mostra la preminenza di un guna sugli altri secondo la posizione
relativa nella parola composta.
Così per esempio sattva-rajas è una combinazione in cui una
persona ama lavorare duramente per il bene della società, e
sebbene goda del dinamismo del proprio impegno e di una varietà
di stimoli per l'intelligenza, e abbia un gusto per i benefici e i
piaceri insiti nel suo lavoro e nella sua posizione sociale, quando
deve scegliere tra l'onestà e il successo sceglierà immediatamente
l'onestà e userà la propria ricchezza e posizione senza egoismo.
119
Parama Karuna Devi
D'altra parte una persona rajas-sattva tenderà ad essere più
orgogliosa e approfitterà della propria posizione per ottenere onori
e attenzioni speciali, anche se esteriormente e superficialmente
rimarrà un gentiluomo raffinato e persino un filantropo.
Una persona sattva-rajas-tamas lavorerà onestamente per il bene
degli altri, godendo moderatamente dei benefici e dei piaceri
collegati a tale impiego, ma sarà gelosa della propria pivacy e
attaccata a famiglia, clan, gruppo etnico eccetera; per di più, se si
presenta l'occasione, può scegliere di usare la propria posizione per
dare benefici speciali a coloro che considera "il suo clan", anche se
non sono qualificati o meritevoli. Una persona sattva-tamas-rajas
sarà un individuo di buone maniere, un lavoratore buono e onesto,
ma se deve scegliere metterà il proprio interesse davanti a quello
della società e difenderà ferocemente la propria posizione.
Krishna accenna elegantemente a questa mescolanza di influenze
che caratterizza i ruoli della società umana rivolgendosi ad Arjuna
con il nome di Dhananjaya ("conquistatore di ricchezze"), riferito
al servizio che Arjuna compì per suo fratello Yudhisthira
specialmente in occasione del Rajasuya yajna, quando Arjuna
prese la posizione di supremo comandante dell'esercito e seguì il
vagabondare del cavallo nei vari regni per raccogliere tributi e
donazioni dai loro governanti in segno di rispetto e collaborazione
con Yudhisthira.
Questo non significa che Arjuna stesso sia confuso dall'influenza
dei guna; significa che il suo ruolo nella società è inevitabilmente
basato su una mistura di caratteristiche che hanno origine dai guna,
e quindi deve gestirli: na tad asti prithivyam va divi devesu va
punah, sattvam prakriti jair muktam yad ebhih syat tribhir gunaih,
"Non esiste nemmeno una sola persona, in questo mondo o nel
mondo dei Deva, che sia libera dalle influenze dei tre guna creati
dalla prakriti" (18.40).
120
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 30
pravrittim: impegno; ca: e; nivriittim: rinuncia; ca: e; karya
akarye: ciò che deve essere fatto e ciò che non deve essere fatto;
bhaya abhaye: ciò che bisogna temere e ciò che non bisogna
temere; bandham: imprigionamento; moksam: liberazione; ca: e;
yah: quello; vetti: chi conosce; buddhih: intelligenza; sah: quello;
partha: o figlio di Pritha; sattviki: in sattva guna.
"O figlio di Pritha, l'intelligenza sattvika è quando si sa cosa
deve essere accettato e cosa deve essere rifiutato, quali azioni
vanno compiute e quali non devono essere compiute, ciò che si
deve temere e ciò che non si deve temere, ciò che porta la
liberazione e ciò che porta imprigionamento.
Questo verso ci ricorda, per contrasto, il verso 16.7: pravrittim ca
nivrittim ca jana na vidur asurah, na saucam napi cacaro na
satyam tesu vidyate, "Gli asura non hanno una conoscenza corretta
riguardo all'impegno e alla rinuncia. Non hanno purezza, buon
comportamento o veridicità."
Comprendiamo quindi che gli asura sono in realtà stupidi (alpa
buddhayah, 16.9) e tendono a fare sempre le scelte sbagliate, che li
legheranno sempre più e li trascineranno ai livelli più bassi
dell'esistenza (16.19-20). In questo processo, il paramatman si
limita a permettere loro di agire tramite l'atto di volontà della
consapevolezza (tan aham ksipami, mam aprapya): sarebbe
sbagliato dire che Dio è responsabile di tale degradazione, o che
121
Parama Karuna Devi
tale esistenza infernale (naraka, 1.42, 1.44, 16.16, 16.21) in cui si
trovano gli asura sia una sorta di punizione ordinata da Dio, come
affermano le ideologie abramiche. E' tutta questione di ciò che
facciamo con il nostro libero arbitrio: come un genitore amorevole,
Dio semplicemente ci assiste e ci sostiene nelle nostre esperienze
educative mentre cerchiamo di trovare la felicità, anche nel modo
sbagliato e contro i buoni consigli di shastra e sadhu.
Inoltre, né il paradiso (svarga) né l'inferno (naraka) sono eterni nessuna condizione materiale di piacere o dolore è mai eterna,
poiché tutte le gioie e le sofferenze hanno un inizio e una fine e
sono causate dal contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi (per
quanto sottili e raffinati): matra sparsas tu kaunteya sitosna sukha
duhkha dah, agamapayino 'nityas tams titiksasva bharata, “O
Arjuna, il contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi causa gioia e
dolore proprio come il freddo in inverno e il calore in estate.
Queste sensazioni sono temporanee: vanno e vengono, e dovresti
semplicemente tollerarle." (2.14).
Qui possiamo anche collegare questo concetto con l'affermazione
su ciò che si deve temere e ciò che non si deve temere (bhaya
abhaye): dovremmo aver paura soltanto di fare la scelta sbagliata,
di preferire l'adharma al dharma, perché tutte le nostre azioni
negative porteranno una conseguenza proporzionale nel futuro,
prima o poi, causando ulteriore imprigionamento nel ciclo di
nascite e morti. D'altra parte non dovremmo temere la morte o la
perdita in sé stesse, perché con la giusta consapevolezza possiamo
utilizzarle per il nostro progresso verso la liberazione. E non
dovremmo mai avere paura di Dio, perché Dio non è nostro
nemico.
A Dio non interessano i meriti o demeriti di individui o gruppi:
nadatte kasyacit papam na caiva sukritam vibhuh, ajnanenavritam
jnanam tena muhyanti jantavah, "Il Signore onnipotente non
considera i meriti o demeriti delle persone. Ciò che accade è
122
Bhagavad gita: capitolo 18
dovuto soltanto agli stessi esseri viventi, che sono confusi poiché
la loro conoscenza è coperta dall'ignoranza" (5.15).
Questo significa che in qualsiasi momento possiamo scegliere di
cambiare il corso della nostra vita e stabilirci gradualmente su una
via migliore. A Dio non interessa se qualcuno non gli è fedele o
non gli obbedisce: samo 'ham sarva bhutesu na me dvesyo 'sti na
priyah, ye bhajanti tu mam bhaktya mayi te tesu capy aham, "Sono
ugualmente ben disposto verso tutti gli esseri. Non odio nessuno e
non favorisco nessuno. Eppure, quando qualcuno mi offre un
sincero servizio in devozione, anch'io gli rendo servizio con amore
e devozione" (9.29). In questa prospettiva, è sensato affermare che
Dio è buono e amorevole.
Le parole pravritti ("fare, seguire, impegnarsi") e nivritti
("rinunciare, abbandonare") sono alquanto importanti, perché
costituiscono il centro focale dell'equilibrio tra i due poli opposti di
sat-asat, dharma-adharma, vidya-avidya, e così via. La scelta non
è tra due prospettive o darshana della Realtà, o tra una credenza e
l'altra, ma tra due direttive d'azione che porteranno automaticamente e naturalmente conseguenze opposte, come paura o mancanza di paura (bhaya abhaya), liberazione e prigionia(moksam
bandham), e quindi dovrebbero essere compiute o rifiutate (karya
akarya). Le leggi della natura non si preoccupano se noi crediamo
o non crediamo: se buttiamo un sasso contro il cielo, il sasso
tornerà indietro a colpirci in modo totalmente neutrale, beccando
un credente proprio come farebbe con un non-credente.
Altri commentatori hanno definito questi due concetti come vihita
("appropriato, stabilito, organizzato, ordinato, doveroso,
determinato, destinato, prescritto dagli shastra") e pratisiddhe
("inadatto, omesso, negato, rifiutato, proibito dagli shastra"). Non
dovremmo però interpretare questa approvazione delle scritture
come qualche tipo di comandamento settario, perché questo non ha
niente a che vedere con la mentalità vedica.
123
Parama Karuna Devi
L'enfasi sul sostegno delle scritture viene espressa per contrastare
la tendenza delle persone ad affidarsi al conformismo sociale o
laukika sraddha, che è un'opinione condivisa da alcune o molte
persone, ma non sostanziata da alcun fatto o fonte autorevole - in
altre parole, una superstizione popolare.
VERSO 31
yaya: per la quale; dharmam adharmam ca: dharma e adharma;
karyam ca akaryam: ciò che deve essere fatto e ciò che non deve
essere fatto; eva: certamente; ca: e; ayatha vat: non chiaramente;
prajanati: che comprende; buddhih: intelligenza; sah: quella;
partha: o figlio di Pritha; rajasi: in rajas guna.
"O figlio di Pritha, il tipo di intelligenza che non comprende
chiaramente qual è la differenza tra dharma e adharma, o cosa
va fatto e cosa non va fatto, è controllato da rajas.
Il significato primario di questo verso è che le persone rajasiche
non si preoccupano del dharma, ma soltanto del proprio vantaggio
materiale personale, perciò scelgono di etichettare le conclusioni e
comportamenti come dharmici o adharmici a seconda dei loro
interessi e credenze personali.
Similmente, danno legittimità alle proprie azioni, impegni o rifiuti
a seconda del grado di beneficio materiale che possono ottenerne
124
Bhagavad gita: capitolo 18
(kama ipsuna, 18.24) o da quanto sembra attraente l'attività stessa
(akusalam kusale, 10, istam anistam, 12) e preferenze personali
(raga, dvesa, lobha, bhaya).
Nel nostro commento precedente abbiamo menzionato la
differenza tra shastra buddhi ("comprendere attraverso le
scritture") e laukika sraddha ("credenza popolare"); la giusta
comprensione dei principi eterni della conoscenza come sono stati
contemplati direttamente dai rishi ("anime realizzate") è illuminata
da sattva, mentre l'influenza di rajas porta le persone (loka) a
sviluppare particolari credenze (sraddha) secondo i loro interessi
egoistici.
L'avidità non si applica soltanto alla lussuria sessuale o
all'acquisizione di denaro e altri possedimenti materiali. Include
anche forme più sottili di gratificazione dei sensi come fama,
nome, adorazione, posizione sociale, riconoscimenti, onori, e così
via. Si espande anche nell'egoismo collettivo, l'avidità e l'aumento
di potere come vediamo nei movimenti settari e nelle ideologie
intolleranti.
Questo si applica facilmente alla distinzione tra pravritti e nivritti
su vari livelli di significato, ma in ogni caso il concetto centrale
qui è ayathavat, che significa "sbagliato, non vero, non
completamente compreso, scorretto, equivocato". Krishna ci sta
dando lo strumento di misura per verificare il valore di tutte le
possibili conclusioni e comportamenti; uno dei darshana principali
nella tradizione Vedica è Nyaya, che significa letteralmente
"logica". Perciò tutte le conclusioni e i comportamenti devono
essere passati accuratamente attraverso il setaccio degli argomenti
logici, della verifica diretta e degli esempi dalle scritture autentiche
compilate da persone veramente realizzate.
Abbiamo visto molto volte Krishna dire enfaticamente ed
esplicitamente che dobbiamo superare l'illusione della dualità
125
Parama Karuna Devi
(dvandva, 2.45, 4.22, 5.3, 5.25, 7.27, 7.28, 15.5) e ha anche
ripetuto lo stesso concetto di atteggiamento equanime verso
situazioni opposte nei versi 2.14, 2.15, 2.38, 2.48, 2.50, 2.56, 2.57,
2.64, 3.30, 3.34, 5.19, 5.20, 6.7, 6.8, 6.9, 6.29, 6.31, 6.32, 12.13,
12.15, 12.16, 12.17, 12.18, 12.19, 13.10, 13.28, 13.29, 14.24,
14.25, 18.50, 18.51. Purtroppo, le persone influenzate da rajas e
tamas rimangono incapaci di comprendere correttamente questo
punto, e immaginano che l'unico modo per superare la dualità
consiste nel negare il valore di viveka, l'intelligenza discriminante.
Questo problema è creato anche dall'atteggiamento fondamentalmente dualistico per il quale ci si aspetta che l'individuo diventi
ufficialmente affiliato a una particolare ideologia e vi rimanga
esclusivamente fedele, in una forma di egoismo allargato anch'esso
influenzato da rajas, e quindi abbandoni il giusto uso
dell'intelligenza discriminante, delegandolo ai "leader" o alle
"autorità" che sono considerate "i guardiani della tradizione".
Vediamo questo problema per esempio nella dicotomia tra i
"seguaci delle scuole dvaita" e i "seguaci dell'advaita", come se
dvaita fosse una realtà totalmente diversa in opposizione
all'advaita e non semplicemente una prospettiva differente della
stessa Realtà. Questi due gruppi sono spesso erroneamente
presentati come pravritti marga e nivritti marga.
Nell'approccio tipicamente abramico, il campo opposto è
considerato non semplicemente in errore (o "di comprensione
incompleta") ma pericolosamente malvagio (cioè satanico), perché
la fedeltà a una particolare affiliazione ideologica si basa sulla
paura di commettere il peccato di "infedeltà" manifestato
apprezzando il valore di qualche affermazione presentata dal
campo opposto.
Questa idea è totalmente aliena rispetto al sistema originario
vedico, in cui tutti i vari darshana sono rispettati come prospettive
126
Bhagavad gita: capitolo 18
diverse, purché siano d'accordo sui principi fondamentali universali ed eterni - del dharma (sanatana dharma), che non
hanno niente a che vedere con credenze o prospettive o con la
scelta di un ista devata. Questo è il motivo per cui l'induismo è
così ampio da non aver paura di "eretici" o "infedeli" e ascolta con
mente aperta tutte le buone idee: a no bhadra kritavo yantu
visvatah, "che ciò che è buono possa venire a noi da ogni
direzione" (Rig Veda, 1.89.1)
VERSO 32
adharmam dharmam: adharma (come) dharma; iti: così; yah: che;
manyate: considera; tamasa avrita: coperto dall'ignoranza; sarva
arthan: in tutti i valori/ tutte le imprese; viparitan: nella direzione
sbagliata; ca: e; buddhih: intelligenza; sah: quella; partha: o figlio
di Pritha; tamasi: in tamas guna.
"O figlio di Pritha, il tipo di intelligenza influenzata da tamas
crede che adharma sia dharma, e poiché è coperto dalle tenebre
sceglie sempre la direzione sbagliata in ogni impresa.
Mentre le persone rajasiche decidono per opportunismo ciò che è
dharma secondo il loro particolare interesse materiale egoistico, le
persone tamasiche scambiano regolarmente il dharma per
adharma, e l'adharma per dharma. Non dicono, "non so cosa sia il
dharma", o "non esiste il dharma", ma piuttosto hanno opinioni
127
Parama Karuna Devi
molto rigide e quindi causano i peggiori danni agli individui e alla
società, poiché cercano continuamente di imporre l'adharma come
dharma su tutti gli altri. Semplicemente come nota a margine,
dovremmo ricordare che i principi fondamentali del dharma sono
veridicità, compassione, onestà, autocontrollo e così via; qualsiasi
"insegnamento religioso" che vada contro questi principi è
chiaramente dettato da tamas.
La parola avrita significa "coperto" e si riferisce alle tenebre
dell'ignoranza e della stupidità che sono quasi palpabili, come una
fitta nebbia sulla quale l'individuo o il gruppo tamasico proietterà
le proprie credenze cieche. Un'altra applicazione del termine
avrita si riferisce alla stratificazione di vari tipi di sporcizia,
concetti errati, credenze infondate o mal riposte, sovrapposizioni
culturali scorrette, e idee contrastanti e capricciose accumulate
durante le nostre varie esperienze.
Il punto è che questi concetti rimangono separati e opposti, senza
alcun tentativo di riconciliarli in un quadro armonioso e sensato;
vengono semplicemente sovrapposti senza giusta discriminazione
anche se l'immagine è veramente mostruosa - come una pila di
diapositive o trasparenze di un oggetto visto da diverse posizioni e
prospettive. L'espressione yah manyate ("pensa") riassume l'intero
problema delle opinioni ordinarie infondate e non verificate, che
siano proprie o di qualcun altro, presentate come fatti autentici o
verità. Generalmente queste opinioni sono create da un'osservazione superficiale priva di vera conoscenza, come quando una
persona di mente semplice vede un macchinario che funziona o un
veicolo che si muove, e pensa che l'oggetto stia agendo in modo
indipendente, senza alcun operatore.
L'espressione sarva arthan significa letteralmente "tutti i
significati, tutti gli scopi, tutti i valori" e si applica sia alla teoria
che alla pratica. Anche la parola viparitam ("direzione sbagliata")
è molto interessante; esprime l'idea di "totalmente opposto,
128
Bhagavad gita: capitolo 18
sottosopra", in cui la percezione è esattamente l'opposto della
realtà.
Ora, commettere qualche errore lungo il cammino non è un
problema molto serio, perché possiamo imparare e correggerci e
diventare ancora più forti e saggi di prima, ma camminare nella
direzione sbagliata è un problema serio che deve essere preso in
debita considerazione il più velocemente possibile per evitare di
perdere un sacco di tempo e di energie. Non dovremmo aver paura
di abbandonare una strada sbagliata, se dopo aver sperimentato in
modo corretto, per un periodo ragionevolmente lungo, ci rendiamo
conto che ci sta portando in effetti nella direzione opposta.
La cieca fedeltà a un'ideologia settaria per la quale si accettano
idee positive soltanto da un particolare gruppo è certamente
diversa dalla determinazione di seguire onestamente e seriamente
un metodo applicando tutti i requisiti necessari. Una volta che lo
studente ha scelto un guru, dovrebbe seguire fedelmente il metodo
e applicarlo senza scorciatoie, ma le domande dovrebbero sempre
essere incoraggiate (pariprasnena, 4.34).
Uno studente intelligente non dovrebbe chiudere gli occhi "per
lealtà" davanti alle evidenti contraddizioni ed errori o incoerenze
negli insegnamenti o comportamenti del guru; uno studente ha non
soltanto il diritto ma anche il dovere di fare domande rilevanti
(rispettosamente ma chiaramente) per verificare se abbia
effettivamente mal compreso qualcosa. Un guru genuino dovrebbe
accogliere lietamente queste domande come un'ottima occasione di
aiutare lo studente a comprendere come teoria e pratica vanno
applicate alle varie circostanze di tempo, luogo e persona, e se
qualche errore è stato effettivamente commesso per distrazione o
per qualche altro motivo, il guru autentico sarà lieto di correggere
l'errore. Altrimenti, lo studente dovrebbe capire che il guru non è
autentico, e che non c'è offesa o errore nell'abbandonare un falso
guru.
129
Parama Karuna Devi
L'assurdo concetto della cieca fedeltà ideologica, che non è altro
che intollerante settarismo e cieca fede, è stato confermato
dall'accademia convenzionale, fondata e diretta per molti secoli
come strumento di propaganda per l'espansione abramica e per il
controllo della società; nelle prime scuole e università dell'era
attuale, tutti gli studenti dovevano prendere i voti sacerdotali nella
chiesa cristiana e tutti gli altri avevano la proibizione di imparare a
leggere e scrivere. Poi la chiesa sceglieva gli studenti più astuti e
fedeli indottrinandoli e verificando le loro convinzioni attraverso
esami prima di dare loro maggiore conoscenza con la quale
potevano controllare la società per il beneficio della chiesa soprattutto come preti e altri ecclesiastici, ma anche come
insegnanti di scuola o università, intellettuali, scrittori e traduttori,
medici, avvocati e notai, magistrati e giudici, diplomatici e
consiglieri di governanti.
E' ampiamente giunta l'ora di liberare l'induismo da questa
influenza disastrosa e ristabilirne la gloria autentica e originaria;
questo va fatto separando (viveka) ciò che è veramente conoscenza
insegnata dai Veda da ciò che è semplicemente una stratificazione
di sporcizia - non diversamente dal fare il bagno a un bambino e
buttare via l'acqua sporca.
In questa luce, le istruzioni offerte ripetutamente da Krishna sul
distanziarsi dal sanga (come corollario di ahankara e mamatva)
sono particolarmente preziose (2.47, 4.23, 5.10, 5.11, 11.55, 12.18,
15.5, 18.6, 18.9, 18.23, 18.26).
Dobbiamo liberarci dalla paura di non essere "abbastanza leali" a
un campo o all'altro, un gruppo o l'altro, una scuola o un'altra, una
tradizione o l'altra, un'organizzazione o l'altra, perché questa paura
è un ostacolo al vero progresso e all'evoluzione. Ci impedisce di
riconoscere le cose buone come buone e le cose cattive come
cattive, a prescindere da chi le ha dette o fatte, e certamente questo
approccio non porta alla liberazione.
130
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 33
dhritya: determinazione; yaya: per la quale; dharayate: che
sostiene; manah prana indriya kriyah: le attività della mente, del
prana e dei sensi; yogena: attraverso la pratica dello yoga;
avyabhicarinya: senza interruzione; dhritih: determinazione; sah:
quella; partha: o figlio di Pritha; sattviki: in sattva guna.
"O figlio di Pritha, la determinazione sattvica è ciò che sostiene
le doverose attività di mente, prana e sensi attraverso la pratica
ininterrotta dello yoga.
Possiamo vedere da questo verso che Krishna applica la
definizione di yoga a tutte le le attività doverose che un essere
umano compie con la mente, il prana e i sensi. La pratica
dell'astanga yoga ("ottuplice impegno") consiste di otto parti:
yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana e
samadhi, e tutte queste possono essere applicate ugualmente a tutti
i metodi come hatha, kriya, raja, karma, jnana e bhakti. In realtà
queste sono tutte prospettive dello stesso approccio di "unione"
con il Supremo, in quanto tutte le definizioni dello yoga sono
semplicemente pratiche di sostegno al significato centrale e
fondamentale di yoga.
Buddhi o vidya include jnana, vijnana, sankhya, sannyasa e
moksha, spiega la verità su prakriti e purusha, ci mostra la visva
rupa e ci mette in guardia sugli effetti dei guna e sui sintomi della
natura daivi e di quella asuri. Possiede anche gli attributi di taraka
131
Parama Karuna Devi
e vibhuti, e ci porta alla realizzazione di Purushottama attraverso la
bhakti nella giusta azione doverosa o karma.
E' dunque molto importante applicare la viveka sattvica alla nostra
comprensione dello yoga, altrimenti la determinazione verrà
applicata alla visione rajasica o tamasica, e il risultato non sarà
altrettanto buono.
Per esempio, molti insegnanti di yoga non qualificati saltano
allegramente i requisiti fondamentali di yama e niyama, ed evitano
accuratamente di dire ai loro studenti cosa dovrebbero essere
dhyana e samadhi, mentre Patanjali stesso inizia i suoi Yoga sutra
dedicando l'intero primo capitolo a parlare del samadhi e della
realizzazione di atman/ brahman come l'unico scopo dello yoga.
Non c'è un solo verso negli Yoga sutra di Patanjali che affermi che
lo scopo dello yoga è dimagrire o alleviare lo stress o curare le
varie malattie fisiche con asana e pranayama, o di vedere le belle
lucine e i colori nella propria mente. I vari esercizi tecnici nella
meditazione e purificazione di nadi e chakra sono stati aggiunti
alla tradizione dello yoga da una quantità di insegnanti sulla base
della loro esperienza personale, ma in nessuna circostanza i loro
insegnamenti o testi possono essere considerati sullo stesso piano
degli shastra originari dello yoga, e certamente non dovrebbero
essere presentati sotto l'etichetta di "vero/ migliore yoga" come
metodi per ottenere semplicemente una buona forma fisica o
alleviare lo stress in modo da poter continuare con una vita
materialistica in cui non si applicano né yama né niyama.
Il riferimento alle sofferenze c'è (Yoga sutra, 2.11-2.16) ma
semplicemente per affermare che devono essere affrontate nella
mente, distaccandosi da esse.
La Bhagavad gita è più specifica sul gestire in pratica i problemi
fisici, ma raccomanda semplicemente attenzione e moderazione
132
Bhagavad gita: capitolo 18
nel lavorare, mangiare e dormire: yuktahara viharasya yukta
cestasva karmasu, yukta svapnavabodhasya yogo bhavati duhkha
ha, "Per chi controlla in modo consapevole il consumo di cibo, è
controllato nell'andare in giro, fa sforzi controllati nel compiere i
propri doveri ed è regolato nel dormire e stare sveglio, lo yoga
distrugge le sofferenze" (6.17).
Anzi, la definizione fondamentale di yoga è il controllare ed
eliminare le fluttuazioni della consapevolezza (yogas citta vritti
nirodhah, Yoga sutra, 1.2) per focalizzarla sul puro atman/
brahman (tada drastuh sva rupe avasthanam, Yoga sutra, 1.3)
abbandonando tutte le altre identificazioni (vritti sarupyam iti
ratra, Yoga sutra, 1.4) e superare le percezioni errate (vrittayah
pancatayah klista aklistah - pramana, viparyaya, vikalpa, nidra,
smritayah, Yoga sutra, 1.5, 1.6) incluse tutte le fantasie e
proiezioni della mente basate sulla falsa conoscenza (viparyayo
mithya jnana a tad rupa pratistham, Yoga sutra, 1.8). Tutte le
visualizzazioni di fantasia sono quindi escluse molto
esplicitamente da Patanjali: sabda jnana anupati vastu sunyo
vikalpah, "Le descrizioni o la conoscenza delle cose che sono prive
di vera realtà sono chiamate fantasie (e in quanto tali devono
essere abbandonate)" (Yoga sutra, 1.9).
Gli unici due metodi autentici per ottenere lo scopo dello yoga
sono il distacco emotivo e la pratica costante della meditazione
sull'atman (abhyasa vairagyabhyam tan nirodhah, Yoga sutra,
1.12) insieme con la diretta meditazione su Isvara (tat param
purusa khyater guna vaitrisnyam, Yoga sutra, 1.16) o
semplicemente devozione a Isvara (isvara pranidhanad va, Yoga
sutra, 1.23). Bisogna stare molto in guardia verso qualsiasi
insegnante di yoga che cerchi di complicare maggiormente le cose,
specialmente in Kali yuga quando gli esseri umani hanno bisogno
di semplificare le procedure e renderle più pratiche e utili per le
possibilità limitate delle persone di questa era.
133
Parama Karuna Devi
La parola dharayate in questo verso si riferisce ovviamente a
dharana ("sostenere"), che è la pratica costante di focalizzare la
consapevolezza sull'oggetto di meditazione desiderato. Alcuni
esercizi preliminari per i neofiti includono la contemplazione della
fiamma di una lampada o di un mandala o yantra, ma in ogni caso
bisogna evitare di usare forme immaginarie come forme
geometriche scelte casualmente, oggetti materiali ordinari o simili
distrazioni, grossolane o sottili. Questo dharana può essere
compiuto con successo soltanto se le precedenti parti dell'astanga
yoga sono state padroneggiate, da yama e niyama (astensioni e
pratiche) a pratyahara (ritirare i sensi dagli oggetti dei sensi).
Le riassumeremo brevemente qui: yama consiste di ahimsa (non
violenza, compreso il rigido vegetarianesimo), satya (veridicità e
onestà), asteya (astensione dall'appropriazione indebita e
dall'eccessivo consumo di risorse), brahma acharya (comportarsi
come brahman), aparigraha (non accettare doni o pagamenti),
mentre niyama consiste di saucha (pulizia e purezza, compresa la
purificazione rituale e i samskara), santosha (rinunciare alla
ricerca per la gratificazione dei sensi e per i possedimenti), tapas
(tollerare le difficoltà nel compimento dei propri doveri) e
svadhyaya (studio delle scritture su atma vidya e brahma vidya).
Senza essere fermamente stabiliti in queste pratiche,
"padroneggiare" asana e pranayama non significa nulla, perché si
applicherà soltanto al corpo e non avrà alcun effetto sulla mente, e
in alcuni casi potrebbe avere persino effetti contrari, come
l'aumento della pressione del sangue, dolori fisici e così via, a
parte uno sfortunato accrescimento dell'egotismo (ahankara) e
dell'arroganza (abhimana).
Molte persone interpretano erroneamente lo scopo di asana e
pranayama (e dei vari kriya) come una specie di esercizi per
intrattenimento o per impressionare la gente, magari facendo
ballare lo stomaco nella sua cavità o passando una sottile garza di
134
Bhagavad gita: capitolo 18
cotone dentro la bocca e fuori dal naso, o dimostrando complicate
contorsioni o equilibri precari in posizioni strane ed esotiche. Ma il
significato della parola asana è "posto per sedersi", e lo scopo
dell'asana è sedersi in meditazione; la varietà di posizioni e di
movimenti ha il solo scopo di addestrare il corpo a rimanere fermo
e tranquillo, in modo da non disturbarci o distrarci dalla
meditazione - che consiste nel concentrare la consapevolezza
sull'atman/ brahman. Questo punto è confermato da altri
commentatori con l'espressione nirbheda brahma anusandhana,
"diventare uniti nel brahman senza alcuna differenza/
interruzione". Le dimostrazioni fisiche sensazionalistiche offerte
da alcuni yogi hanno unicamente lo scopo di impressionare e
attirare le persone sciocche e di mente semplice, e ispirare una
certa meraviglia e reverenza per la capacità di fare cose
straordinarie; un vero studente dello yoga non si lascia distrarre da
questi trucchi.
Similmente, la parola pranayama significa "controllo del prana", e
si esegue attraverso il controllo della respirazione - non consiste
semplicemente nel controllo del respiro. Proprio come l'equilibrio
immobile del corpo è utile per stabilizzare e focalizzare la mente,
la circolazione del prana e la respirazione vanno ridotte e infine
fermate per facilitare la cessazione di tutti i movimenti della mente
(yogas citta vritti nirodhah, Yoga sutra, 1.2). Bisogna poi fare
esattamente la stessa cosa con i sensi attraverso il pratyahara
(letteralmente "dirigere il consumo eliminando") cosa che include
non solo la pratica di limitare la quantità di cibo consumato da
bocca e stomaco, ma anche dell'altro "cibo per i sensi" attraverso
l'udito, la vista, il tatto, l'odorato, il ricordo e il desiderio
(attraverso gli antah karana o sensi interiori).
Questo non comporta la totale astensione ma piuttosto il controllo
e il distacco (5.8, 5.9) come confermano i versi 6.16 e 6.17 e
specialmente questo verso con l'espressione manah prana indriya
135
Parama Karuna Devi
kriyah, "le attività della mente, del prana e dei sensi". Tale
controllo deve essere costante, ininterrotto, stabile, libero da
deviazioni, come espresso dal termine avyabhicari, che significa
"fermezza, nessun cambiamento, nessuna adulterazione".
Nell'approccio chiamato da Patanjali isvara pranidhana questa
avyabhicarini bhakti costituisce il samadhi come suddha bhakti, o
devozione che non è toccata da alcuna altra considerazione tranne
l'amore e il servizio per il Supremo.
VERSO 34
yaya: dalla quale; tu: ma; dharma kama arthan: dharma, kama e
artha; dhritya: la determinazione; dharayate: che sostiene;
arjuna: o Arjuna; pra sangena: a causa dell'attaccamento; phala
akanksi: chi desidera i risultati (delle azioni); dhritih:
determinazione; sah: quella; partha: o figlio di Pritha; rajasi: in
rajas guna.
"O figlio di Pritha, quella determinazione che sostiene dharma,
kama e artha a causa del desiderio per i loro benefici viene
(prodotta) da rajas guna.
Ci vuole certamente molta determinazione per impegnarsi
sinceramente e regolarmente nel duro lavoro richiesto per ottenere
il successo in dharma, artha e kama. La civiltà vedica non
condanna questa ricerca del successo ma piuttosto la descrive
come purusha artha, "scopi della vita", poiché il purusha è la
136
Bhagavad gita: capitolo 18
consapevolezza vivente che abita nel corpo. Perché tale lavoro
porti veramente al successo in questa vita e nella prossima,
bisogna iniziare da dharma, altrimenti i risultati finali saranno
disastrosi, anche se superficialmente potrebbe sembrare che si
possono ottenere benefici più velocemente e facilmente senza
curarsi del dharma (18.31).
Nel suddha sattva trascendentale, ogni azione è una offerta sacra
nell'unione con il Supremo: yat karosi yad asnasi yaj juhosi dadasi
yat, yat tapasyasi kaunteya tat kurusva mad arpanam, "O Arjuna,
tutto ciò che fai, tutto ciò che mangi, tutto ciò che sacrifichi, tutto
ciò che dai, tutto ciò che sopporti nel compimento del tuo dovere fallo per me" (9.27).
Sul piano materiale, la differenza tra sattva (14.6, 14.16, 17.11,
17.17, 17.20, 18.9-10, 18.20, 18.23, 18.26, 18.30) e rajas (14.7,
14.17, 17.12, 17.18, 17.21, 18.21, 18.24, 18.27, 18.31) è che in
sattva si lavora senza egoismo per il bene di tutti gli esseri, in
piena conoscenza e consapevolezza, senza essere distratti da gioie
e dolori, mentre in rajas si lavora per acquisire ricchezze,
gratificazione dei sensi, posizione, potere, per sé stessi o per il
proprio gruppo, e si rimane attaccati e identificati con il risultato
dell'azione. Le attività religiose compiute sotto l'influsso di rajas
rimangono inoltre materiali e creano legami.
L'espressione pra sangena mette nuovamente in rilievo sanga
("contatto, associazione, affiliazione, appartenenza") come il
fattore principale dell'azione sotto l'impulso di rajas. E' la
separazione egoistica degli interessi (prithaktvena, 18.21) per cui
si separa sé stessi e il proprio gruppo dal resto dell'universo e
quindi dal corpo della Virata Rupa e dalla suprema assoluta
consapevolezza del Brahman.
E' interessante notare che in questo verso Krishna elenca prima
dharma e poi immediatamente kama prima di artha; questo indica
137
Parama Karuna Devi
che sotto l'influenza di rajas l'acquisizione di beni di valore è
meramente diretta alla gratificazione dei sensi e ai desideri
personali. In sattva, l'acquisizione di cose di valore è diretta invece
al bene dell'intera società e comunità di esseri, e quindi kama viene
ottenuto automaticamente per tutti, senza alcuno sforzo separato,
come dovrebbe effettivamente essere. Questa è la chiave per
l'autentico successo: karmanah sukritasyahuh sattvikam nirmalam
phalam, rajasas tu phalam duhkham ajnanam tamasah phalam,
"E' detto che sattva dà risultati immacolati nella forma di doveri
compiuti correttamente, mentre rajas produce sofferenza e tamas
produce ignoranza" (14.16).
VERSO 35
yaya: per la quale; svapnam: sogni; bhayam: paura; sokam:
lamento; visadam: negatività; madam: pazzia; eva: certamente;
ca: e; na: non; vimuncati: si abbandona; durmedha: stupida;
dhritih: determinazione; sa: quella; partha: o figlio di Pritha;
tamasi: in tamas guna.
"O figlio di Pritha, la determinazione che è in tamas guna è
caratterizzata dalla stupidità e non riesce ad andare oltre i
sogni, la paura, il lamento, la tristezza e l'illusione.
Questo è certamente il tipo di determinazione che possiamo
osservare più comunemente tra la gente dei nostri tempi. Persino
138
Bhagavad gita: capitolo 18
coloro che si considerano grandi attivisti dharmici raramente
vanno oltre le belle promesse o le teorie sterili e le proteste.
Quando si offre loro qualche vera proposta pratica, si spaventano e
scompaiono.
In Kali yuga la gente è immersa in tamas ed è quindi piuttosto
stupida (manda sumanda matayo manda bhagyah hy upadrutah,
"pigri, sciocchi, sfortunati e soprattutto sviati" (Bhagavata Purana
1.1.10), e mandasya manda prajnasya vayo mandayusas ca vai,
nidraya hriyate naktam diva ca vyartha karmabhih, "Queste
persone pigre, sciocche e ignoranti sono indebolite dalla cattiva
salute; passano le notti a dormire e i giorni impegnandosi in
attività insensate" (Bhagavata Purana 1.16.9).
I rakshasa e gli asura umani sono molto interessati ad approfittare
di questa situazione, perché le persone stupide possono essere
controllate più facilmente, come pecore che rimangono passivamente in fila al mattatoio ruminando un po' di foraggio anche se
vedono benissimo che i loro compagni vengono trascinati via e
uccisi. Questo è perché viene loro offerto svapna o sogni e favole
(come la descrizione dei piaceri del paradiso, il surrogato di
felicità attraverso i beni di consumo e i servizi del terziario, gli eroi
e le avventure fittizie dei film e così via) e bhaya o paura (le
immaginarie torture dell'inferno e le vere torture e persecuzioni in
questa stessa vita), soka creando una crisi dopo l'altra per distrarre
la gente e rendere la loro vita più miserevole (così che non hanno
tempo o energia per qualcosa che non sia la semplice sopravvivenza) e offrendo capri espiatori da biasimare e odiare (così che
non cerchino di scoprire la vera causa della loro infelicità) e con
mada, incoraggiando l'ubriachezza e le tossicodipendenze attraverso un sottile equilibrio di manipolazione basato su proibizione,
vergogna e senso di colpa. Come diceva Orwell: convincere la
gente che l'ignoranza è forza, la libertà è schiavitù, la guerra è
pace, l'oppressione è amore, le vittime sono gli offensori o i
139
Parama Karuna Devi
criminali, e la verità è qualsiasi cosa ci viene detta di credere, di
volta in volta.
Le ideologie tamasiche hanno sempre trattato le masse del popolo
come pecore, persino chiamando i loro leader apertamente come
"pastori", e hanno ripetutamente sacrificato molte creature
innocenti (umane e non umane) nei loro olocausti di sangue per il
piacere sadico degli esseri malvagi che adorano.
Lo strumento principale che hanno usato in questi ultimi 3000 anni
per mantenere la gente nel tamas è l'imposizione della stupidità e
dell'ignoranza collettive, specialmente attraverso la distruzione
fisica di libri, librerie, insegnanti, scuole, università. e la
proibizione di coltivare qualsiasi conoscenza non sia strettamente
sotto il loro controllo. Questo principio è stato applicato in modo
più o meno completo in differenti periodi e regioni in proporzione
al potere sociale, finanziario e militare acquisito da tali ideologie.
Nelle loro scritture troviamo molte affermazioni apertamente
contrarie all'intellettualità, che condannano non soltanto la
saggezza, l'intelligenza e la conoscenza ma persino l'esperienza
diretta e la cieca obbedienza all'ideologia ufficiale. In Europa,
persino l'insegnamento basilare del leggere e scrivere venne
proibito per molti secoli, dal 300 al 1600, riservando questo
privilegio a preti e monaci, che erano gli unici ad avere il permesso
di tenere biblioteche.
Le persone ordinarie (i laici) avevano la proibizione di leggere
indipendentemente persino la Bibbia; le traduzioni nelle lingue
volgari (popolari) erano strettamente proibite e i traduttori
venivano messi al rogo per la loro disobbedienza alla legge.
Intellettuali e persino re tentarono di opporsi a questa tirannia, ma
soltanto nel 1400 con il Rinascimento italiano e francese la
situazione cominciò a migliorare, grazie al patronato di ricchi
aristocratici, che attraverso la corruzione riuscirono a mettere
alcuni dei loro uomini sul trono papale.
140
Bhagavad gita: capitolo 18
Il recupero è stato però molto graduale, lungo e difficile e ancora
oggi rimane incompleto, poiché l'ideologia abramica è stata
inculcata così profondamente nel subcosciente collettivo che
persino coloro che cercano di eliminare la sua influenza nella
cultura e nella società continuano a portare avanti anche
inconsapevolmente i suoi concetti fondamentali come se fossero
verità oggettive, o le uniche verità possibili. Per esempio, vediamo
molti atei (per definizione, "persone che non credono nell'esistenza
di Dio") che si impegnano allegramente nell'insultare Dio (un Dio
di cui esteriormente negano l'esistenza) e concludono a priori che
tutte le religioni sono contrarie all'etica naturale e alla coscienza, e
hanno lo scopo di rimbecillire, opprimere, schiavizzare e sfruttare
la gente in questa via con la falsa promessa di una futura felicità in
paradiso.
Attualmente, è molto chiaro che soltanto un sistema ideologico
solido, profondo, vasto, coerente, pratico, scientifico ed etico come
la conoscenza e la civiltà originaria vedica ha il potere intrinseco
di risolvere il problema e salvare la società umana dal completo
disastro.
Tutte le ideologie abramiche cercano stupidamente di risolvere i
problemi applicando le stesse meccaniche fallimentari che hanno
creato il problema inizialmente (18.32).
Per esempio per affrontare il problema delle gravidanze
indesiderate delle minoreni e degli abusi sessuali sui bambini, le
scuole introducono l'educazione sessuale obbligatoria - ma invece
di cercare di prevenire lo sfruttamento dei bambini mettendoli in
guardia sui pericoli, questi programmi impegnano attivamente i
bambini a imparare a fare sesso in tutti i modi possibili. Questo,
insieme all'ossessione sulle "prodezze sessuali" e sull'appetibilità
sessuale come status symbol generale pubblicizzati dai mass media
e dalla società, crea una pressione sui bambini perché dimostrino
di essere "all'altezza" facendo più sesso possibile anche se il loro
141
Parama Karuna Devi
sviluppo ormonale non ha ancora creato alcun desiderio sessuale.
Similmente, per risolvere il problema della diffusione della
criminalità, il governo privatizza il sistema carcerario con contratti
con aziende commerciali che richiedono una garanzia di
"occupazione" del 90 o 100% dei loro istituti, e così polizia e
magistratura sono spinte a incarcerare sempre più persone,
compresi i bambini, anche per infrazioni molto lievi. In queste
prigioni, i carcerati sono esposti a una vita molto dura e alla
compagnia di persone che insegnano loro a diventare veri
criminali, e dopo il rilascio vengono rifiutati dal mercato del
lavoro a causa dei loro precedenti penali e non hanno altra scelta
che applicare le loro nuove abilità per sopravvivere.
La "guerra contro la droga" è condotta imbottendo le persone fin
dalla prima infanzia con ogni tipo di sostanze tossiche - dal fluoro
nell'acqua potabile e nei dentifrici agli additivi chimici nel cibo
industriale, ai metalli pesanti nei vaccini e ai farmaci dannosi
(come il Ritalin) prescritti per la cosiddetta sindrome da
distrazione - e assicurando una posizione elevata come preziosi
beni commerciali e culturali o servizi a sostanze e comportamenti
che danno dipendenza come le bevande alcoliche, la caffeina, la
nicotina, il gioco d'azzardo, l'ossessione sessuale, i videogame e
così via. Questo è rafforzato dall'applicazione di tecniche di
manipolazione emozionale e dal proporre standard non realistici di
accettabilità sociale e obiettivi della vita.
Sprecare risorse, "ammazzare il tempo" ed evitare qualsiasi lavoro
utile sono considerati sintomi di una posizione di alta classe nella
società, e niente viene considerato troppo stupido quando si tratta
di spendere soldi o "divertirsi". E' considerata normale la tendenza
al rimbecillimento nei programmi televisivi, nei testi delle canzoni
e negli stili musicali, nella letteratura, nei mass media
dell'informazione, nella commedia, nelle barzellette popolari, nei
film e in generale nell'industria dell'intrattenimento.
142
Bhagavad gita: capitolo 18
Fin dalla più tenera età alla gente viene insegnato che è lodevole
dedicare tempo e attenzione a guardare partite di sport
professionistici e telenovele e sceneggiati a puntate, seguire i
pettegolezzi e la vita privata delle celebrità, o diventare
ossessionati da automobili e motociclette, fitness fisica, diete di
moda, fashion e trend, commercializzazione delle relazioni
(specialmente attraverso la "celebrazione di giornate speciali"
acquistando e regalando beni di consumo), la commercializzazione
del valore personale (attraverso status symbol come la posizione di
carriera, i titoli accademici, la bellezza della propria moglie, la
propria forma fisica o bella presenza, fino al modello dell'auto che
si possiede e il costo delle scarpe e dei vestiti che si indossano), i
cosiddetti reality show, giochi a premi, show di prestigiatori,
sistematica disinformazione dei media e un uso superficiale dei
social media e degli apparecchi elettronici.
I risultati disastrosi degli studenti nelle scuole e l'analfabetismo
degli adulti vengono addebitati all'introduzione degli insegnamenti
della teoria di Darwin sull'evoluzione, come contraria alle basi
delle ideologie abramiche e dunque "immorale". Per soddisfare i
gusti più degradati del pubblico e fornire stimoli per l'adrenalina, i
produttori cinematografici favoriscono la glorificazione della
criminalità vera e propria, specialmente creando terrificanti
personaggi che torturano orribilmente e macellano persone
innocenti, sempre più sfacciatamente ad ogni nuovo film, così che
si considera un successo quando gli spettatori escono dal cinema in
preda alla nausea. Ma se qualcuno prende l'iniziativa di protestare,
non sollevano obiezioni contro Jason o Freddy - ma contro
l'innocuo Harry Potter.
Altri approcci tipicamente tamasici sono il metodo "a senso
obbligato" (18.22) con un'ipertrofia di legislazione, imposizione
della legge e burocrazia, per cui tutto ciò che non è obbligatorio
diventa proibito e illegale, creando così una proliferazione
143
Parama Karuna Devi
esagerata di posizioni professionali improduttive e insensate,
dedicate a complicare le cose semplici e a tormentare la brava
gente.
Per darsi importanza e confondere gli ingenui, questi
amministratori inutili spesso presentano metodi assurdi e inventati
a capriccio (18.25) nella speranza che in qualche modo possano
funzionare, e aumentano la dose se diventa chiaro che non stanno
funzionando.
Sopra di tutto questo, c'è il generale gioco del passare il secchio
del biasimo, in cui tutti frignano, maledicono e protestano contro
gli altri, senza veramente sapere chi o cosa sia veramente
responsabile per i particolari problemi - e senza mai impegnarsi in
un lavoro pratico e proattivo per risolverli.
Il sognare (svapna) di cui parla questo verso non è semplicemente
l'eccessiva importanza data ai normali sogni durante il sonno e ai
sogni ad occhi aperti (che in quantità moderata sono generalmente
utili per la salute) ma si può applicare anche alle false pratiche di
"meditazione" inventate da persone che non sono qualificate per
giusta conoscenza e realizzazione.
La presenza esagerata di svapna nelle società tamasiche si osserva
anche nell'ipertrofia ed eccessiva importanza data alla pubblicità
commerciale, alle storie di fiction prive di qualsiasi contenuto utile
in pratica, a tutte le forme di realtà virtuale, giochi su internet,
avatara di internet, cosplay, effetti speciali generati da computer e
così via, mentre mada indica non solo l'ebbrezza causata da vini e
liquori, ma anche tutti gli altri tipi di dipendenze e illusioni,
compresa la pazzia pura e semplice.
144
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 36
sukham: felicità; tu: ma; idanim: adesso; tri vidham: tre tipi di;
srnu me: ascolta da me; bharata rshabha: o migliore tra i
discendenti di Bharata; abhyasat: con la pratica; ramate: si gode;
yatra: dove; duhkha antam: la fine delle sofferenze; ca: e;
nigacchati: si raggiunge.
"O migliore tra i discendenti di Bharata, ci sono tre diversi tipi
di felicità. Ora ascolta da me come praticandone una si può
ottenere il piacere e mettere fine alle sofferenze.
Tutti cercano la felicità: questa è la natura dell'anima, che è
chiamata anche anandamaya, "fatta di felicità". Benché l'atman sia
puro sat, cit, ananda, il jivatman condizionato continua a correre
qua e là nel tentativo di trovare il piacere nel mondo esteriore.
In questo verso però Krishna non usa la parola ananda, ma la
parola sukha, che è solitamente accompagnata dal suo opposto
polare duhkha, "sofferenza". Siamo qui di fronte dunque a quel
tipo di felicità che si ottiene attraverso l'azione nel mondo dei
guna. L'espressione abhyasat significa "costantemente, ottenuta
con la pratica" e indica che l'ottenimento di qualsiasi tipo di felicità
non è una faccenda istantanea ma richiede una certa quantità di
sforzo e lavoro.
Che cos'è questa felicità materiale? L'acquisizione del piacere e la
cessazione della sofferenza. Al livello più fondamentale, la felicità
145
Parama Karuna Devi
è semplicemente l'assenza di sofferenza, specialmente di dolore
fisico, che può veramente travolgere e cancellare qualsiasi altra
cosa dalla consapevolezza. Anche il dolore fisico però può venire
sperimentato in modo diverso a seconda del nostro livello
individuale di evoluzione e addestramento; il corpo umano ha il
potere di interrompere consapevolmente la sensazione di dolore
per continuare a lavorare per uno scopo superiore, e di contro
l'atteggiamento mentale verso il dolore può renderlo ancora più
intollerabile attraverso il rafforzamento emotivo e l'identificazione.
In questa ultima parte della Bhagavad gita, Krishna sta ancora
parlando del potere onnipresente dei guna in questo mondo, perché
finché abbiamo un corpo e una mente, dobbiamo gestirli e usarli
nel modo giusto. Si tratta di un campo di conoscenza
estremamente importante: ya evam vetti purusam prakrtim ca
gunaih saha, sarvatha vartamano 'pi na sa bhuyo 'bhijayate, "Chi
conosce il purusha e la prakriti, e le varie modalità dei guna, non
dovrà più rinascere, in qualunque situazione si trovi" (13.24).
Dopo aver spiegato i tre tipi di felicità, Krishna commenterà: na
tad asti prithivyam va divi devesu va punah, sattvam prakriti jair
muktam yad ebhih syat tribhir gunaih, "Non c'è nemmeno una sola
persona, in questo mondo o nel mondo dei Deva, che sia libera
dall'influenza dei tre guna creati dalla prakriti" (18.40).
Possiamo ricordare un'affermazione molto simile nel capitolo 7:
daivi hy esa guna mayi mama maya duratyaya, mam eva ye
prapadyante mayam etam taranti te, "Questa mia energia divina
che si manifesta come i tre guna è molto difficile da superare, ma
coloro che prendono rifugio in possono facilmente varcare questa
illusione" (7.14). Ecco la via della salvezza: mentre continuiamo a
navigare tra i guna in questo mondo, nel nostro corpo e nella
nostra mente, dobbiamo mantenere la nostra consapevolezza, i
nostri desideri, le nostre identificazioni e attaccamenti sul livello
trascendentale, che è la Realtà suprema di atman/ brahman: ye
146
Bhagavad gita: capitolo 18
caiva sattvika bhava rajasas tamasas ca ye, matta eveti tan viddhi
na tv aham tesu te mayi, "Devi sapere che certamente tutte quelle
forme di esistenza create da sattva, rajas e anche da tamas
derivano da me soltanto, ma io non sono in loro; piuttosto, sono
loro ad essere in me" (7.12). Il verso 7.12 era accompagnato da
un'altra meravigliosa affermazione, che ci mosta la giusta via da
percorrere: balam balavatam caham kama raga vivarjitam,
dharmaviruddho bhutesu kamo 'smi bharatarsabha, "O Arjuna, io
sono la forza del forte che è libero da egoismo e attaccamento. In
tutti gli esseri, io sono il desiderio che non è contrario al dharma"
(7.11).
Questo divino desiderio dharmico è la ricerca della felicità nella
direzione vera e corretta, e si basa sull'amore invece che sulla
lussuria egoistica; l'oggetto più alto d'amore è certamente la
Personalità suprema di Dio, e possiamo cominciare a sviluppare
questo amore prima di tutto ascoltando o leggendo le sue attività a
sostegno del dharma. Ciò era già stato affermato nel capitolo 4:
yada yada hi dharmasya glanir bhavati bharata, abhyutthanam
adharmasya tad atmanam srijamy aham, paritranaya sadhunam
vinasaya ca duskritam, dharma samsthapanarthaya sambhavami
yuge yuge, janma karma ca me divyam evam yo vetti tattvatah,
tyaktva deham punar janma naiti mam eti so 'rjuna, “O Arjuna,
ogni volta che il dharma declina e l'adharma cresce, io mi
manifesto. Discendo personalmente yuga dopo yuga per
proteggere i buoni, distruggere i malfattori e ristabilire il dharma.
Chi conosce veramente la natura divina delle mie nascite e delle
mie attività non dovrà più nascere nuovamente dopo aver lasciato
il corpo, ma viene a me." (4.7, 4.8, 4.9).
Questo è il metodo più autentico per raggiungere la felicità e la
cessazione delle sofferenze: mam upetya punar janma
duhkhalayam asasvatam, napnuvanti mahatmanah samsiddhim
paramam gatah, "Poiché mi hanno raggiunto, non devono più
147
Parama Karuna Devi
rinascere in questo mondo, che è la causa delle sofferenze e
dell'impermanenza. Queste grandi anime hanno già raggiunto il
livello più alto di perfezione" (8.15).
VERSO 37
yat: ciò che; tat: quello; agre: all'inizio; visam iva: come veleno;
pariname: alla fine; amrita: nettare; upamam: simile a; tat: quello;
sukham: felicità; sattvikam: in sattva guna; proktam: è descritta;
atma buddhi: la comprensione del sé; prasada jam: che deriva
dalla soddisfazione.
"La felicità che sembra veleno all'inizio ma è nettare alla fine
viene descritta come di natura sattvica e nasce dalla
comprensione del sé e dalla soddisfazione della mente.
Il significato più diretto di questo verso si riferisce al sadhana,
l'impegno deliberato di corpo, mente e sensi nella pratica della
consapevolezza e dell'azione spirituale, abbandonando ogni altra
preoccupazione almeno durante il periodo regolarmente stabilito
per la meditazione: sankalpa prabhavan kamams tyaktva sarvan
asesatah, manasa ivendriya gramam viniyamya samantatah, yato
yato niscalati manas cancalam asthiram, tatas tato niyamya itad
atmany eva vasam nayet, "Abbandonando completamente tutti i
desideri e i piani sorti dai processi mentali, bisogna controllare la
mente e tutti i sensi regolandoli in ogni applicazione. La mente è
instabile e impaziente di vagare qua e là. Ogni volta che si
148
Bhagavad gita: capitolo 18
allontana, bisogna riportarla sotto controllo e regolarla in modo
che rimanga concentrata sull'atman." (6.24, 6.26).
Questo è anche esattamente il modo in cui Patanjali definisce lo
yoga: yogas citta vritti nirodhah, (Yoga sutra, 1.2) tada drastuh
sva rupe avasthanam, per focalizzarsi sul puro atman/ brahman
(Yoga sutra, 1.3) vritti sarupyam iti ratra, abbandonando ogni altra
identificazione (Yoga sutra, 1.4) e superare le concezioni errate
cioè vrittayah pancatayah klista aklistah - pramana, viparyaya,
vikalpa, nidra, smritayah (Yoga sutra, 1.5, 1.6).
E' importante comprendere che non c'è bisogno di abbandonare le
attività del nostro dovere, che includono il pianificare e desiderare
per raggiungere il successo - proprio come Arjuna aveva bisogno
di concentrarsi sulla strategia mentre si impegnava nella battaglia
di Kurukshetra.
Molte volte Krishna ha spiegato che bisogna rinunciare non
all'azione in sé, ma all'attaccamento egoistico per i risultati
dell'azione (2.47, 2.64, 3.3, 3.4, 3.5, 3.7, 3.8, 3.9, 3.25, 3.26, 3.28,
3.30, 3.31, 3.33, 4.14, 4.15, 4.20, 4.21, 4.23, 4.24, 4.37, 4.41, 5.2,
5.10, 5.12, 5.13, 5.14, 6.1, 7.29, 7.30, 9.28, 12.11, 12.12, 12.14,
13.21, 18.2, 18.6, 18.7, 18.8, 18.9, 18.17, 18.23, 18.30).
Comprendiamo così che la pratica del sadhana consiste
nell'imparare a controllare la mente e focalizzarla (dharana,
dhyana, samadhi) sull'oggetto preciso che vogliamo esaminare,
senza permetterle di correre in altre direzioni: vyavasayatmika
buddhir ekeha kuru nandana, bahu sakha hy anantas ca buddhayo
‘vyavasayinam, “O Arjuna, l'intelligenza che è costantemente
focalizzata è l'unica autentica in questo mondo. Coloro che non si
concentrano disperdono la propria intelligenza in innumerevoli
ramificazioni poco importanti" (2.41).
Quando abbiamo una consapevolezza forte e sincera delle attività
del nostro dovere compiute come servizio al Supremo, ogni
149
Parama Karuna Devi
piccola azione diventa trascendentale e degna della nostra piena
concentrazione: yat karosi yad asnasi yaj juhosi dadasi yat, yat
tapasyasi kaunteya tat kurusva mad arpanam, "O Arjuna, tutto ciò
che fai, ciò che mangi, che sacrifichi, che doni, che sopporti nel
compimento dei tuoi doveri - fallo per me" (9.27). E ancora: gata
sangasya muktasya jnanavasthita cetasah, yajnayacaratah karma
samagram praviliyate, "Chi ha messo fine a tutte le associazioni e
ha stabilito fermamente la propria consapevolezza nella
conoscenza, adora Yajna (Vishnu) poiché tutte le sue azioni
diventano servizio devozionale. Tutto il suo karma viene così
distrutto." (4.23)
Per praticare lo yoga non è necessario allontanarsi da famiglia e
società e abbandonare i propri doveri. All'inizio bisogna fare uno
sforzo in più per trovare un posto e un momento dove stare in
solitudine (6.10, 13.11) e imparare a concentrarsi senza distrazioni,
ma lo scopo è ottenere la realizzazione diretta: naiva kincit
karomiti yukto manyeta tattva vit, pasyan srinvan sprisan jighrann
asnan gacchan svapan svasan, pralapan visrijan grihnann
unmisan nimisann api, indriyanindriyarthesu vartanta iti
dharayan, "Lo yogi pensa, ‘io non sono l'autore di alcuna azione'.
Chi conosce la verità si impegna nelle attività del vedere, ascoltare,
toccare, odorare, mangiare, andare, sognare, respirare, prendere,
lasciare, accettare, aprire e chiudere gli occhi, ma vede che i sensi
dovrebbero naturalmente essere impegnati negli oggetti dei sensi e
non si identifica con essi." (5.8, 5.9).
Questo è il modo per impegnare i guna nei guna: tattva vit tu
maha baho guna karma vibhagayoh, guna gunesu vartanta iti
matva na sajjate, “O Arjuna, chi conosce le cose come sono
veramente è capace di comprendere le varie qualità e attività, e
quindi impegna i guna nell'interazione con i guna appropriati:
questa consapevolezza lo mantiene libero dall'attaccamento"
(3.28).
150
Bhagavad gita: capitolo 18
Il termine prasada che si trova alla fine di questo verso (prasada
ja) era già stato menzionato all'inizio delle istruzioni di Krishn:
raga dvesa vimuktais tu visayan indriyais caran, atma vasyair
vidheyatma prasadam, prasade sarva duhkhanam hanir
asyopajayate, prasanna cetaso hy asu buddhih paryavatisthate
adhigacchati, “Una persona che si è liberata dall'attrazione e dalla
repulsione per gli oggetti dei sensi mantiene il controllo di sè nelle
sue azioni e si regola (in corpo, mente e sensi) ottiene la
soddisfazione. Questo prasadam (benedizione) causa la
distruzione di tutte le sofferenze, dà pace alla mente e stabilisce
ben presto la comprensione corretta." (2.64, 2.65).
VERSO 38
visaya: gli oggetti dei sensi; indriya: (e) i sensi; samyogat:
dall'unione; yat: ciò; tat: che; agre: all'inizio; amrita upamam:
paragonabile al nettare; pariname: alla fine; visam iva: come il
veleno; tat: quella; sukham: felicità; rajasam: in rajas guna;
smrtam: è ricordata.
"Quella felicità che deriva dal contatto dei sensi con gli oggetti
dei sensi è come nettare all'inizio e come veleno alla fine, ed è
descritta come proveniente dal rajas guna.
Imparare ad essere soddisfatti di ciò che ricevamo naturalmente e a
godere in pace dei piaceri sani e dharmici può essere difficile
151
Parama Karuna Devi
all'inizio, perché richiede un certo addestramento. Un bambino
tende ad essere egoista perché la sua sopravvivenza richiede
costanti cure e attenzioni dagli adulti; prova piacere e ride quando i
suoi bisogni sono soddisfatti e piange quando non lo sono. In una
situazione di tale impotenza non c'è abbastanza spazio nella
consapevolezza per altre considerazioni oltre al costante senso di
insicurezza e paura.
Secondo il sistema di civiltà vedica, un bambino viene coccolato
fino ai 2 o 3 anni di età, quando diventa capace di comprendere il
collegamento tra le azioni e le loro conseguenze. A quel punto i
familiari generalmente cominciano a educare il bambino con
insegnamenti e non soltanto con l'esempio come hanno fatto fin da
prima della sua nascita.
Comunque il bambino non viene generalmente punito per i suoi
errori e la sua sicurezza e immagine di sé non sono messe in
pericolo. Dopo aver compiuto i 5 anni dalla nascita, i bambini
venivano mandati a vivere nella casa del guru per essere istruiti; il
guru e sua moglie diventavano i genitori adottivi e gli altri studenti
diventavano i loro fratelli per un certo numero di anni a seconda
delle loro possibilità individuali.
Grazie al nuovo ambiente e alle molte interessanti opportunità di
impegno, i bambini dimenticavano facilmente le cattive abitudini
precedenti e l'eccessiva familiarità che potevano aver sviluppato
per la tolleranza dei loro familiari. Comunque anche nella casa del
guru lo studente veniva trattato con molto affetto e cura, e mai
maltrattato o punito severamente; la disciplina non comprendeva
mai le punizioni corporali o altri metodi che potevano danneggiare
la salute dell'autostima nel bambino.
Particolare importanza veniva data a sviluppare il potenziale
effettivo del bambino con rafforzamenti positivi e riconoscimenti,
e specialmente con la pressione dei compagni e una sana
152
Bhagavad gita: capitolo 18
competizione tra studenti, che erano incoraggiati ad associarsi
strettamente in piccoli gruppi sulla base dell'età, del talento e delle
tendenze. A parte l'insegnamento accademico, gli studenti
venivano addestrati gradualmente a impegnarsi in noiosi servizi
manuali come i lavori di casa, e a osservare una stretta disciplina
riguardo ai pasti e alla ricreazione nel tempo libero. Per esempio,
veniva loro insegnato che potevano mangiare soltanto sedendosi
insieme e dopo aver ricevuto il permesso dal guru, e consumare
soltanto gli alimenti autorizzati dal guru.
Tutti gli studenti portavano con orgoglio gli stessi abiti austeri e le
insegne del brahmachari e andavano in giro in gruppi per
raccogliere prodotti della foresta (legna, frutta, erbe e così via) ed
elemosine dalla gente del villaggio (cereali, e così via) da
presentare al guru per condividerle nell'ashrama; in questo modo,
attraverso il sostegno dei compagni, imparavano a comportarsi in
modo responsabile, appropriato, cortese e libero dall'egoismo in
tutte le circostanze.
Per coloro che non avevano la fortuna di venire istruiti in una vera
gurukula (il che oggi comprende praticamente la totalità della
popolazione globale, tranne un numero minimo di persone) questo
addestramento nel controllo dei sensi deve essere appreso da soli
in età adulta. Eppure il principio è sempre lo stesso, e possiamo
trovare le istruzioni necessarie nella Bhagavad gita. Questo verso
ci mette in guardia sull'attaccamento alla gratificazione dei sensi,
che è piacevole all'inizio ma termina nella frustrazione. La parola
samyoga significa "impegno, servizio, meditazione, contemplazione" e indica la scelta deliberata di concentrare l'attenzione
sulla gratificazione dei sensi piuttosto che sul proprio dovere e
sulla consapevolezza della propria vera identità (che è il significato
di brahma achara). Non è certamente come apprezzare e godere in
modo sano delle cose buone che ci arrivano naturalmente durante
il giusto compimento del nostro dovere.
153
Parama Karuna Devi
Possiamo fare un ottimo esempio con le relazioni di coppia: il
matrimonio dovrebbe essere basato sull'amore e il dovere, e non su
gratificazione dei sensi e lussuria, altrimenti dopo un breve periodo
di infatuazione non rimane più nulla quando l'attrazione fisica
diminuisce. Allora cominciano i guai, perché la gravidanza è la
conseguenza naturale dell'unione sessuale, e se la relazione era
basata sulla gratificazione dei sensi, il marito avrà l'impressione di
essere stato in qualche modo sostituito dal bambino nelle
attenzioni della moglie, e i cambiamenti fisici e mentali della
maternità potrebbero rendere la moglie meno attraente dal punto di
vista sessuale. La routine quotidiana della vita e i doveri
diventeranno faticosi e noiosi, e la coppia comincerà a scambiarsi
accuse fino al punto di risentimento e disprezzo, e spesso l'uomo si
dileguerà, talvolta cercando gratificazione sessuale da altre donne.
Possiamo vedere la radice del problema nella parola visa
("veleno") usata nel verso insieme al suo derivato visaya ("oggetti
dei sensi"). Un veleno potrebbe non essere immediatamente
riconoscibile quando lo beviamo e potrebbe addirittura avere un
sapore dolce, ma ben presto avrà effetto sulla nostra salute,
distruggendo la forza e l'intelligenza, facendoci perdere coscienza
e infine uccidendoci. Questo si applica a tutti i tipi di gratificazione
dei sensi, che possono essere sani soltanto quando vengono
consumati con moderazione e nel modo corretto; un veleno spesso
può agire anche come medicina, ma deve essere preso nella giusta
dose e nelle circostanze specifiche, altrimenti avrà l'effetto
opposto. Un ottimo esempio è il cibo salato, acido o speziato, che è
stato menzionato nel verso 17.9 come preferito specificamente
dalle persone in rajas; in piccole quantità e nelle giuste condizioni
del corpo e dell'ambiente (stagione e così via) questi ingredienti
possono essere estremamente benefici alla nostra salute, ma se li
consumiamo in eccesso si produce assuefazione e la nostra salute
ne risente sempre più.
154
Bhagavad gita: capitolo 18
La stessa cosa vale per le sensazioni di caldo e freddo, anch'esse
presentate come esempio di gratificazione dei sensi nel capitolo 2:
matra sparsas tu kaunteya sitosna sukha duhkha dah,
agamapayino 'nityas tams titiksasva bharata, “O Arjuna, il
contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi provoca gioia e dolore
proprio come il freddo e il caldo in estate e in inverno. Si tratta di
sensazioni temporanee; vanno e vengono, e dovresti semplicemente cercare di tollerarle senza essere confuso e distratto dal tuo
dovere" (2.14). E' certamente piacevole avere cose fredde in estate
(gelati, bevande ghiacciate e tuffi nell'acqua fresca) e cose calde in
inverno (un camino acceso, un letto caldo, contatto con corpi vivi,
minestra fumante e cibo appena cucinato e così via). Ma non ci
piace avere cose fredde in inverno e cose calde in estate; in effetti
gli stessi oggetti che ci davano tanto piacere in una stagione ci
faranno soffrire nella stagione opposta.
Una persona intelligente viaggerà dunque attraverso questi alti e
bassi senza rimanere attaccata né agli uni né agli altri, ma
accettandoli con moderazione quando sono favorevoli al suo
servizio nel compimento del proprio dovere.
VERSO 39
yat: ciò che; agre: all'inizio; ca: e; anubandhe: nelle conseguenze
future; ca: e; sukham: la felicità; mohanam: illusoria; atmanah:
riguardo a sé; nidra: sonno; alasya: pigrizia; pramada: pazzia;
155
Parama Karuna Devi
uttham: sorta da; tat: quella; tamasam: in tamas guna; udahritam:
è detta.
"Quella felicità che si basa sull'identificazione illusoria
dall'inizio alla fine, e nasce da sonno, pigrizia e pazzia, è detta
originata da tamas guna.
Questo verso afferma chiaramente che la felicità offerta da tamas
non è che oblio e perdita di consapevolezza riguardo a sé stessi non soltanto sul vero sé o atman spirituale - ma persino sulla
propria identificazione materiale.
Alcune persone dicono, "l'ignoranza è felicità", e in effetti
possiamo vedere che sul livello di tamas, la totale illusione e
pazzia può dare una specie di beatitudine all'anima confusa, che è
incapace di percepire la sua vera posizione e degradazione.
Per un tossicodipendente o un ubriaco riverso sul marciapiede,
l'ebbrezza fa cessare temporaneamente la sofferenza e dà una
sensazione illusoria di felicità, e soltanto gli altri sono in grado di
vedere le loro vere condizioni.
Persino quando l'effetto anestetizzante dell'intossicazione svanisce
e soffrono orribilmente nel corpo e nella mente, la loro
consapevolezza rimane coperta dall'identificazione illusoria e dagli
attaccamenti, e sono incapaci di migliorare la propria condizione.
Poiché guna e prakriti sono sempre in movimento, ci saranno dei
brevi lampi di consapevolezza persino nell'essere umano più
degradato, ma quel momento sarà esattamente il contrario della
felicità, e l'unica via d'uscita da quella terribile situazione sarà una
nuova rinascita in un corpo animale, in cui l'anima condizionata
riuscirà per lo meno a smettere di farsi del male e comincerà la
disintossicazione. Per un maiale, la felicità è semplicemente
rotolarsi nel fango puzzolente e trovare degli escrementi gustosi da
mangiare; questo si accorda perfettamente con il tipo di sensi,
156
Bhagavad gita: capitolo 18
mente e corpo che ha acquisito, e le sue attività non saranno
distruttive e auto-inflitte come nel caso del drogato.
Se un animale soffre, è un problema che deriva dall'esterno, che
consumerà il suo karma passato senza creare ulteriore cattivo
karma per il futuro; la durata di questa esperienza dipende dal
bagaglio karmico specifico dell'individuo, e se cerchiamo di
impegnare il maiale su un livello di vita più sattvico, si sentirà
alienato e potrebbe persino arrabbiarsi con noi. Non ha senso
sforzarsi di cambiare la sua natura; anche se naturalmente non
dobbiamo maltrattarlo, non dovremmo nemmeno sprecare tempo
ed energia a cercare di educarlo.
Per questo motivo Krishna ci dice che non dobbiamo confondere la
mente delle persone che sono immerse nel tamas: na buddhi
bhedam janayed ajnanam karma sanginam, josayet sarva karmani
vidvan yuktah samacaran, "Una persona che ha conoscenza non
dovrebbe confondere la mente degli ignoranti che sono attaccati
alle loro azioni, ma dovrebbe piuttosto aiutarle a impegnarsi in
tutte le attività in uno spirito di collaborazione, dando personalmente un buon esempio" (3.26).
Certo c'è una enorme differenza tra un maiale e un essere umano,
poiché manusya jati (la nascita come essere umano) già contiene il
potenziale per l'educazione e il progresso evolutivo a un livello che
gli animali inferiori non possono mai raggiungere; questa
evoluzione però deve essere una scelta personale e non può essere
imposta dall'esterno. Ogni aiuto esteriore deve agire nella forma di
assistenza nell'impegno positivo e proattivo che combatterà la
tendenza tamasica alla pigrizia e favorirà l'aumento della tendenza
di rajas o avidità.
In casi molto rari o eccezionali, il potere del contatto
trascendentale può elevare un'anima condizionata dalle tenebre
tamasiche, ma anche in quel caso purificazione e progresso devono
157
Parama Karuna Devi
avvenire attraverso l'impegno attivo in servizio pratico e utile in
modo che ogni traccia di tamas sarà espulsa con il sudore.
Altrimenti è inevitabile la ricaduta.
In questo verso, la parola anubandha si riferisce alle conseguenze
future che porteranno imprigionamento, e può essere tradotta come
"alla fine" come nei due versi precedenti abbiamo visto la parola
parinama, che significa letteralmente "trasformazione" (come in
parinama vada, "la dottrina della trasformazione").
Questo indica che sia sattva che rajas richiedono un cambiamento
o trasformazione - una in meglio, l'altra in peggio - mentre tamas è
un fattore che immobilizza, come le corde o le catene che legano
un prigioniero (anubandha).
Come abbiamo già visto, l'intossicazione o pra mada ("ciò che
rende pazzi") è una causa/ effetto fondamentale perché tamas
ottenebra la consapevolezza di sé; questo si applica a tutti i tipi di
assuefazione e comportamenti che distolgono la nostra coscienza
dalla percezione della realtà, comprese le scariche di adrenalina
che annegano le sensazioni e ottundono il cervello.
Lo stesso effetto può essere ottenuto facilmente con l'ossessiva
identificazione e attaccamento come in moha ("illusione"),
l'inazione o inerzia, l'insensibilità e irresponsabilità al punto della
condizione catatonica come in alasya ("pigrizia"), o semplicemente un circolo vizioso di sonno eccessivo come in nidra
("sonno"). In tutte queste condizioni, l'anima condizionata cerca la
felicità permanente e non soltanto un sollievo temporaneo dalla
fatica, perciò "odia i lunedì" e sogna una vacanza che duri tutta la
vita, in cui non farà assolutamente nulla ma tutti i suoi piaceri e le
sue necessità saranno realizzati dal lavoro di qualcun altro.
Troviamo affermazioni molto simili nelle istruzioni di Krishna a
Uddhava: sattvikam sukham atmottham, visayottham tu rajasam,
158
Bhagavad gita: capitolo 18
tamasam moha dainyottham, nirgunam mad apasrayam, "La
felicità in sattva si trova nel sé, la felicità in rajas si trova negli
oggetti dei sensi, e la felicità in tamas si trova nell'illusione e nella
degradazione. Ma la felicità trascendentale si trova in me"
(Bhagavata Purana 11.25.29). Dovremmo ricordare qui che
dicendo "me" Krishna intende la Consapevolezza suprema e la
Realtà conosciuta con i nomi di Brahman, Paramatma, Bhagavan.
A questo proposito, possiamo osservare la distinzione tra l'atman
menzionato per il sattva e il paramatman menzionato per visuddha
sattva: la percezione dell'atman ("sé") può variare a seconda del
grado di sattva o bontà, indicato dall'uso etimologico legittimo
della definizione di atman per riferirsi alla consapevolezza
spirituale e al purusha, alla jiva, alla mente e persino al corpo.
Dobbiamo dunque comprendere che tutti i tipi di felicità che
possiamo trovare in noi stessi senza cercare una fonte esteriore
sono sattvici e ci fanno bene.
Ma poiché i guna si muovono costantemente nella ruota del
samsara, persino la felicità sattvica rimane non-permanente e se
vogliamo una soluzione definitiva e una posizione duratura
dobbiamo elevarci sopra tutti i guna: traigunya visaya veda
nistraigunyo bhavarjuna, nirdvandvo nitya sattva stho niryoga
ksema atmavan, "La conoscenza dei tre guna si basa soltanto sugli
oggetti dei sensi. O Arjuna, dovresti distaccarti da tutti e tre questi
guna e situarti in quella pura bontà che non è soggetta al
cambiamento. Chi conosce l'atman diventa libero da ogni dualità e
trova protezione nel distacco." (2.45).
159
Parama Karuna Devi
VERSO 40
na: non; tat: quello; asti: c'è; prithivyam: sulla terra; va: oppure;
divi: nel cielo; devesu: tra i deva; va: oppure; punah: di nuovo;
sattvam: esistenza; prakriti jaih: nati dalla natura; muktam: libero;
yat: che; ebhih: da questi; syat: ci sarà; tribhir gunaih: dai tre
guna.
"Né su questa terra né nei cieli tra i Deva l'esistenza può essere
libera dall'influenza di questi tre guna, che sono generati dalla
natura.
In questo verso l'espressione divi devesu è piuttosto interessante. Il
termine divi significa letteralmente "cielo, luminoso, scintillante" e
viene usato per indicare i sistemi planetari superiori, dove ogni
cosa è radiosa - corpi, terra, edifici e così via - perché gli elementi
materiali sono illuminati da sattva, con una minima influenza di
rajas e una quasi completa assenza di tamas.
L'espressione tat sattvam, divisa all'inizio di ciascuna delle due
righe, significa "quella esistenza" o "quella mente" a indicare che
Svargaloka è una dimensione più alta della vita ma è comunque
all'interno del regno materiale sotto il controllo della mente.
I materialisti spesso confondono il paradiso con la dimensione
spirituale, ma non si tratta della stessa cosa. Il concetto di paradiso,
specialmente nelle ideologie abramiche che lo considerano la
posizione eterna e più alta possibile, è ancora carico di idee
160
Bhagavad gita: capitolo 18
materialistiche di gratificazione dei sensi e una sovrapposizione
culturale subcosciente spesso confonde gli induisti che pensano
che il mondo spirituale o Vaikuntha sia una specie di paradiso
dove i devoti di Vishnu o Krishna vanno dopo la morte per godere
di una vita eterna di piaceri celestiali.
Il Bhagavata Purana (3.15.13-23, 4.12.35) dà una breve
descrizione dei pianeti Vaikuntha all'interno di questo universo,
chiamato Svetadvipa o Dhruvaloka, dove Brahma e gli altri Deva
si recano quando vogliono avvicinare Karanodakasayi Vishnu e
dove viene creata una certa sembianza di tempo e spazio per
facilitare la comprensione e la comunicazione con le anime
incarnate. Ma anche in questa proiezione annacquata della
Consapevolezza trascendentale vediamo chiaramente che tutto là
esiste per il servizio e il piacere di Bhagavan, e non come
manifestazione di opportunità di gratificazione dei sensi come
ricompensa per i fedeli defunti. Senza le limitazioni imposte dalla
percezione dualistica materiale, come tempo e spazio, il mondo
spirituale o param dhama (8.21, 10.11, 11.38, 15.6) è un eterno e
completo presente, non manifestato e senza cambiamenti (avyakta)
nella perfetta unione con il Supremo, perciò non può essere
descritto (adhoksaja). E' il Supremo stesso, al di là di dualità e
non- dualità.
Non c'è contraddizione tra questo verso e i versi in cui Krishna ci
ha esortato a liberarci dai guna (2.45, 7.14, 14.20, 14.23, 14.25,
14.26), poiché questo verso e gli altri che si riferiscono al grande
potere dei guna (3.5, 3.27, 3.29, 4.13, 7.13, 7.14, 13.15, 13.20,
13.22, 13.24, 14.5, 14.18, 14.19, 15.10, 18.19, 18.29) parlano
dell'influenza dei guna sulla propria esistenza - mente, sensi,
corpo, oggetti circostanti, circostanze di vita - e mai sul vero sé o
atman.
Grazie alla sua natura intrinseca trascendentale, l'atman non può
mai essere toccato o cambiato dai guna, proprio come un diamante
161
Parama Karuna Devi
non è mai veramente toccato o cambiato dagli strati di sporcizia
che si accumulano attorno ad esso. La consapevolezza del sé può
essere coperta o oscurata soltanto temporaneamente, ma l'autentico
distacco basato sulla conoscenza realizzata è sufficiente a liberarlo
da queste identificazione: ciò si chiama moksha. L'argomento dei
guna e il procedimento per trascendere i guna è spiegato
dettagliatamente da Krishna anche a Uddhava nella famosa
Uddhava gita, contenuta nel Bhagavata Purana (canto 11, capitoli
dal 7 al 29); abbiamo intenzione di produrre una pubblicazione
separata su questo argomento.
E' importante comprendere che la liberazione deriva dal distacco
autentico e permanente nato dalla conoscenza realizzata, e non
dalla semplice assenza di un collegamento fisico con un corpo
materiale. La liberazione dai condizionamenti materiali non viene
automaticamente al momento della morte; anche se è un fatto che
la morte ci libera dalle sofferenze di un corpo gravemente
daneggiato, se abbiamo ancora identificazioni materiali e
attaccamenti dovremo prendere una nuova nascita in un altro corpo
materiale: jatasya hi dhruvo mrityur dhruvam janma mritasya ca,
tasmad apariharye 'rthe na tvam socitum arhasi, "Poiché chi è
nato dovrà necessariamente morire, e chi è morto dovrà rinascere
nuovamente. Non ha senso preoccuparsi di qualcosa che è
inevitabile." (2.27). Il nostro scopo non è semplicemente "essere
liberati dal corpo", ma diventare liberati da tutti i desideri illusori,
gli attaccamenti e le identificazioni che provocano lo sviluppo di
un corpo dopo l'altro.
Questo si applica non soltanto al livello terrestre (prithivi) ma
anche a quello celeste (divi devesu) all'interno dell'universo
materiale: a brahma bhuvanal lokah punar avartino 'rjuna, mam
upetya tu kaunteya punar janma na vidyate, mam upetya punar
janma duhkhalayam asasvatam, napnuvanti mahatmanah
samsiddhim paramam gatah, "O Arjuna, tutti questi mondi, dal
162
Bhagavad gita: capitolo 18
pianeta di Brahma in giù, sono luoghi dai quali si ritorna, ma per
chi mi ha raggiunto non c'è più rinascita. Poiché sono arrivati a
me, non devono più prendere una nuova nascita in questo mondo,
che è la causa di sofferenza e impermanenza. Queste grandi anime
hanno già raggiunto il livello più alto della perfezione." (8.16,
8.15).
Questo significa che dobbiamo raggiungere la realizzazione
dell'atman/ brahman ben prima del momento di lasciare il corpo:
saknotihaiva yah sodhum prak sarira vimoksanat, kama
krodhodbhavam vegam sa yuktah sa sukhi narah, "Chi in questa
vita, prima di lasciare il corpo, è capace di sostenere gli attacchi di
lussuria e collera, è uno yogi e un essere umano felice." (5.23)
La liberazione può e deve essere ottenuta già in questa vita: gata
sangasya muktasya jnanavasthita cetasah, yajnayacaratah karma
samagram praviliyate, "Chi ha messo fine ad ogni associazione e
ha la consapevolezza fermamente stabilita nella conoscenza, adora
Yajna (Vishnu) attraverso le sue azioni. Tutto il suo karma viene
così distrutto." (4.23)
Ciò è necessario perché per vivere in un corpo bisogna agire
continuamente e questo ci mette inevitabilmente a contatto con i
guna: na hi kascit ksanam api jatu tisthaty akarma krit, karyate hy
avasah karma sarvah prakriti jair gunaih, "Mai, in nessun
momento, una persona può rimanere senza agire anche per un solo
istante, perché è costretta all'azione da tutti i guna nati dalla
prakriti." (3.5).
Per raggiungere la liberazione bisogna semplicemente mantenere
la propria consapevolezza fermamente (samadhi) sull'identità
trascendentale di atman/ brahman, che è neutra e distaccata
rispetto ai guna, pur continuando a lavorare con essi : prakriteh
kriyamanani gunaih karmani sarvasah, ahankara vimudhatma
kartaham iti manyate, tattva vit tu maha baho guna karma
163
Parama Karuna Devi
vibhagayoh, guna gunesu vartanta iti matva na sajjate, "Tutte le
attività sono in effetti compiute dai guna, ma una persona sciocca
confusa dall'egotismo pensa, 'io sto facendo'. Chi conosce le cose
come stanno veramente è capace di comprendere i vari guna e
karma, e quindi impegna i guna nell'interazione con i guna
appropriati: questa consapevolezza lo mantiene libero
dall'attaccamento" (3.27, 3.28).
Nel prossimo gruppo di versi, Krishna espanderà il concetto in una
breve descrizione del guna e karma dei quattro varna o categorie
occupazionali della società umana, che costituiscono le linee guida
per una vita sattvica e basata sul progresso che porta gradualmente
alla liberazione (dharma, artha, kama, moksha). Dopodiché,
Krishna spiegherà chiaramente che anche compiendo i propri
doveri occupazionali, è possibile stabilirsi sul livello della
liberazione mantenendo la propria consapevolezza focalizzata sulla
Realtà trascendentale, nelle realizzazioni successive di Brahman,
Paramatma, Bhagavan. Questo è il livello nirguna, dove tutte le
differenze nei doveri materiali perdono significato, e si è pronti a
compiere senza egoismi qualsiasi servizio al Supremo (18.66).
Questa sarà la conclusione della Bhagavad gita.
VERSO 41
brahmana: dei brahmana; ksatriya: degli kshatriya; visam: dei
vaisya; sudranam: dei sudra; ca: e; parantapa: o Parantapa;
164
Bhagavad gita: capitolo 18
karmani: le attività; pra vibhaktani: sono categorizzate; sva
bhava: per la loro natura individuale; pra bhavaih: prodotta da;
gunaih: i guna.
"I doveri dei brahmana, kshatriya, vaisya e sudra sono
categorizzati secondo la loro natura specifica prodotta dai
guna.
L'espressione karmani pravibhaktani indica che i doveri dei
quattro varna sono differenti, e questa differenza viene
determinata dalla particolare natura (sva bhava) di ciascuna
categoria, prodotta dall'influenza dei guna. Alcuni commentatori
hanno tradotto la parola pra bhava come "per nascita", e l'hanno
interpretata come una conferma del pregiudizio di casta per cui si
può appartenere a un particolare varna soltanto se si è nati al suo
interno.
Questa interpretazione è profondamente scorretta e ha causato
immensi danni alla società induista e alla società umana in
generale, perché in qualche modo ha creato l'idea che le persone
nate in un varna alto - specialmente i brahmana - non hanno
bisogno di qualificarsi, mentre le persone che non sono nate in
quella posizione non potranno mai qualificarsi come tali e non si
dovrebbe nemmeno permettere loro di tentare.
Il pregiudizio di casta è pesantemente influenzato da tamas e da
Kali yuga, ed è la causa del graduale indebolimento e del crollo
sociale, politico, economico della società indiana, specialmente da
quando astuti invasori e colonialisti hanno approfittato pienamente
di questa debolezza e l'hanno aggravata per i loro scopi specifici.
Purtroppo ci sono ancora molte persone, specialmente tra i
brahmini di nascita non qualificati, che continuano a difendere il
pregiudizio di nascita, affermando che le differenti caste hanno un
DNA completamente diverso, come una mucca è differente da un
elefante o da un cane.
165
Parama Karuna Devi
Ma questo argomento genetico, così approssimativo e fallace, non
spiega come mai il DNA di un membro di una casta alta non
mostra alcun cambiamento nel caso in cui l'individuo in questione
"perda la casta" quando viene ostracizzato dalla comunità o si
converte a una religione differente dall'induismo.
Il fatto è che non esiste un solo verso, nella Bhagavad gita o nella
vasta raccolta degli shastra (sruti e smriti) che affermi che la
categorizzazione e i doveri dei quattro varna sono determinati
dalla nascita. Anzi, esiste ampia documentazione sulle procedure
di suddhi, prayascitta e diksha di recupero, usate regolarmente e
per un gran numero di persone che sono state accolte nel passato
nel sistema dei varna come vratya, sino alla posizione più alta di
brahmana. Questo sistema è stato interrotto soltanto negli ultimi
200 anni, da quando il regime britannico ha introdotto il
censimento basato sulle caste che codifica rigidamente le posizioni
ereditarie come diversi gruppi razziali.
Il verso 4.13 aveva già affermato: catur varnyam maya sristam
guna karma vibhagasah, tasya kartaram api mam viddhy
akartaram avyayam, "I quattro varna sono stati creati da me sulla
base di differenti guna e karma, ma benché io ne sia l'artefice, io
sono immutabile e distaccato dall'azione".
La posizione di ciascun individuo nel sistema civile della società
umana descritto nella tradizione vedica è determinato unicamente
dalle particolari tendenze o guna e dalle attività o karma; nel
sistema originario vedico il proprio dovere o sva dharma è
determinato automaticamente dal karma individuale, tanto che i
due termini sono normalmente intercambiabili, tranne che nel caso
di vikarma o "azioni negative" che non sono prescritte per
nessuno.
Il concetto di karma come dovere è quindi strettamente collegato
con i concetti di sva dharma e sva bhava; la differenza tra dharma
166
Bhagavad gita: capitolo 18
e bhava è simile alla differenza tra dharma e karma, perché ci può
essere un asuri bhava (7.15, 9.12, 16.4, 16.5, 16.19, 16.20) che è
opposto a dharma.
In altre parole, non può mai esserci un "dharma criminale" come
alcuni sciocchi casteisti vorrebbero farci credere, perché si
tratterebbe di una contraddizione in termini. Se una persona è nata
in una famiglia o comunità di criminali, non è certamente suo
dovere restare in tale situazione e portare avanti "l'eredità culturale
e le credenze di famiglia". Anzi, è espresso dovere di tutte le
persone civili e specialmente dei brahmana aiutare coloro che
vogliono riformarsi e purificarsi e trovare un posto adatto
all'interno della società umana chiamato varnashrama dharma:
krinvanto visva aryam, "Che tutti diventino arya" (Rig Veda
9.63.5).
In questo verso le prime tre classi occupazionali sono unite in una
sola parola composta (brahmana-kshatriya-visam) mentre i sudra
sono menzionati separatamente, poiché brahmana, kshatriya e
vaisya sono dvi-ja ("nati due volte") e quindi hanno il dovere di
compiere le attività delle loro specifiche responsabilità
professionali e anche i tradizionali rituali vedici chiamati nitya
karmani ("doveri regolari"). Per definizione, i sudra non hanno i
guna adatti per tali doveri, e quindi non viene loro richiesto di
compierli; se lo desiderano possono impegnarsi in vari tipi di
attività religiose o allenarsi per passare a un varna superiore, sotto
la guida esperta di un brahmana qualificato, e se sviluppano i
guna adatti, possono ricevere il riconoscimento e l'impegno che è
più adatto a loro.
Contrariamente all'ideologia abramica, in cui un particolare tipo di
nascita viene decretato e sanzionato misteriosamente e
indiscutibilmente da Dio e quindi non può essere cambiato per
tutta la vita (e poi basta, perché la reincarnazione non è
considerata), la civiltà vedica insegna che si ottiene un particolare
167
Parama Karuna Devi
corpo in circostanze particolari a causa delle proprie attività
precedenti e dei propri desideri, e che quindi la situazione può
essere modificata in qualsiasi momento modificando
adeguatamente le proprie attività e i propri desideri. Non soltanto
questo concetto viene spiegato teoricamente, ma è anche
dimostrato attraverso gli esempi pratici di molte famose
personalità la cui storia è narrata nella letteratura vedica
tradizionale.
Jabali (Satyakama Jabala), Valmiki, Gautama, Janasruti, Citraratha
sono spesso citati come individui nati totalmente al di fuori del
sistema dei varna (si potrebbe dire "fuoricasta") eppure divennero
riconosciuti come grandi brahmana e Rishi. La storia di
Satyakama Jabala, figlio di una prostituta che non sapeva
nemmeno chi fosse il padre, è particolarmente nota perché è
riportata nella Chandogya Upanishad (4.4.1-5). Il grande Vasistha
era figlio dell'apsara Urvasi, nato da un incontro casuale. Veda
Vyasa nacque dall'incontro sessuale casuale di una donna
appartenente alla comunità dei pescatori; ebbe un figlio brahmana
altamente qualificato (Sukadeva), due figli kshatriya (Pandu e
Dhritarastra) e un figlio che era situato su un livello di
consapevolezza completamente trascendentale al sistema dei
varna (Vidura). Parasara stesso era nato da Adrisyati Chandaluni.
Aitareya Rishi, autore dell'Aitareya Upanishad, era nato da una
madre sudra.
Nell'Aitareya Brahmana (2.19) troviamo la storia di Ailusha Rishi,
che era figlio di una prostituta e lui stesso era una persona
degradata e un giocatore d'azzardo; divenne però sinceramente
interessato alla conoscenza vedica e con il tempo fu riconosciuto
come Rishi e Acharya. D'altra parte, sappiamo che il famoso
rakshasa Ravana (e i suoi fratelli) erano i nipoti di Pulastya Rishi.
Visvamitra figlio di Maharaja Gadi era uno kshatriya non soltanto
per nascita ma anche per guna e karma, ma decise di diventare un
168
Bhagavad gita: capitolo 18
brahmana e raggiunse il suo scopo dopo un lungo e difficile
addestramento. Viene menzionato insieme a Maharaja Vitahavya
nel Mahabharata rispettivamente in Adi Parva capitolo 174 e
Anusasana Parva, capitolo 30, perché entrambi salirono da una
nascita kshatriya alla posizione di famosi brahmana. L'Hari
vamsa (29.7-8) afferma che tra i discendenti di Gritsamada figlio
di Vitahavya ci furono molti brahmana, e anche kshatriya, vaisya
e sudra.
La posizione di brahmana venne raggiunta da Suceta, Prakasa,
Pramiti (famosi esperti in Vedas e Vedanga), e anche da Sunaka,
che era di nascita sudra e divenne il padre del famoso Saunaka
Rishi (che narrò il Bhagavata purana ai Rishi riuniti a
Naimisharanya). D'altra parte tra i discendenti del grande
brahmana Rishi Bharadvaja troviamo il re Vitaka, un grande
kshatriya, che ebbe due figli (Nara e Garga); Nara continuò la
dinastia con una discendenza kshatriya, mentre Garga divenne un
brahmana.
Un altro kshatriya che divenne brahmana e generò una
discendenza di brahmana fu Maharaja Dhrista, menzionato nel
Bhagavata purana (9.2.16-17). Di nuovo il Bhagavata Purana
(9.2.22) nomina per la stessa ragione Maharaja Agnivesya (più
tardi conosciuto come Jatukarma Rishi), figlio di Devadatta, i cui
discendenti brahmana divennero famosi come gli Agnivesyayana.
Jahnu Muni era nato come il figlio del re Hotra, discendente del
santo re Aila della Chandra vamsa (Bhagavata Purana 9.15.1-4),
Kanva Rishi era nato nella dinastia di Maharaja Puru e suo figlio
Medhatithi fu l'antenato del brahmana Praskanna (Bhagavata
Purana 9.20.1-7). Similmente la posizione di brahmana venne
raggiunta da Gargya il figlio del re Sini, dai tre figli del re
Duritakshaya chiamati Trayyaruni, Kavi e Puskararuni (Bhagavata
Purana 9.21.19), dai vaisya Nabhaga e Dista (Bhagavata Purana
8.18.3), da Ajamidha e suo figlio Priyamedha (che appartenevano
169
Parama Karuna Devi
alla dinastia del re Bharyasva) e dai suoi discendenti come il
grande Rishi Mudgala, Satananda e Kripacharya (Bhagavata
Purana 9.21.21, 9.21.31). L'Hari vamsa (31.33-35) afferma che
Maharaja Bali ebbe cinque figli kshatriya ma anche altri figli che
divennero brahmana e iniziarono discendenze di brahmana. Il
Bhagavata Purana ci informa inoltre che tra i 100 figli del re
Rishabhadeva, 81 divennero brahmana (Bhagavata Purana
5.4.13).
VERSO 42
samah: controllo della mente; damah: controllo dei sensi; tapah:
controllo del corpo; saucam: pulizia; ksantih: tolleranza; arjavam:
semplicità; eva: certamente; ca: e; jnanam: conoscenza teorica;
vijnanam: conoscenza applicata; astikyam: fede nell'autorità dei
Veda; brahma karma: le attività del brahmana; svabhava jam: nati
dalla sua natura specifica.
"Le attività (e doveri) del brahmana, determinate dalla sua
particolare natura, sono il controllo della propria mente, dei
propri sensi e del proprio corpo, la pulizia, la tolleranza, la
semplicità, la conoscenza teorica e pratica, e il vivere secondo
gli insegnamenti dei Veda.
La parola astikyam ("fede nei Veda") è strettamente collegata con
la parola astika ("che crede nell'autorità della conoscenza vedica")
usata nella categorizzazione tradizionale dei darshana; possiamo
170
Bhagavad gita: capitolo 18
ricordare qui che tra i darshana dharmici ce ne sono tre che sono
descritti come na-astika ("che non riconoscono l'autorità della
conoscenza vedica"): Buddhismo, Jainismo e il materialismo
agnostico di Charvaka. Queste ideologie sono ancora considerate
compatibili con il sanatana dharma poiché riconoscono la validità
dei principi eterni e universali dell'etica (dharma), ma non sono
all'altezza del sistema civile (arya) dei varna e ashrama, e quindi
sono chiamati upa-dharma.
In questo verso Krishna stabilisce chiaramente che non può
esistere un brahmana agnostico, poiché si tratterebbe di un
ossimoro o contraddizione in termini, come dire "acqua secca" o
"calor freddo". Astikya è una caratteristica fondamentale per cui
una persona è riconosciuta come brahmana, perciò se tale qualità
non è presente, l'individuo in questione può essere al massimo un
brahma bandhu, o "parente di brahmana". E' importante
comprendere che questa fede è nella conoscenza vedica autentica e
originaria. Non si riferisce a una particolare credenza in un Dio
personale, perché la conoscenza vedica contempla anche la
prospettiva dell'impersonalismo (akshara, 12.3, non-manifestato,
7.24), benché Krishna affermi che si tratta di una forma di
meditazione particolarmente difficile e non necessaria (12.5).
Perciò il termine nastika non può essere tradotto come "ateo" nel
senso abramico.
La coppia di attributi precedenti, jnana-vijnana, è riferita ad astika,
perciò indica una fonte solida e verificabile, e non qualche
opinione di seconda mano o credenza popolare (laukika sraddha)
come talvolta viene considerato l'induismo. Questo significa
inoltre che si può certamente studiare e rispettare gli insegnamenti
dei commentatori vedici o guru, ma che tali scritti non devono mai
essere considerati sullo stesso livello della sruti originaria, perché
le loro presentazioni sono state necessariamente adattate ai loro
particolari desa, kala, patra e quindi non richiedono a un
171
Parama Karuna Devi
brahmana di avere una fede implicita in essi. La cieca fedeltà a
una sampradaya contro gli insegnamenti dei Veda originari
squalifica dunque una persona dalla categoria dei brahmana.
Questo significa inoltre che gli insegnanti a pagamento che
dipendono da istituzioni accademiche non possono essere
considerati brahmana, perché i brahmana insegnano soltanto sotto
la propria responsabilità e danno il valore supremo alla verità e alla
conoscenza sopra ogni altra cosa. D'altra parte il sistema
accademico costringe le persone a conformarsi con ciò che viene
insegnato, anche contro la verità e l'etica, e contro il bene degli
studenti.
Il successivo karma (attività caratteristica, dovere, qualificazione,
occupazione) del brahmana è arjavam, una definizione che
contiene i significati di "semplicità, onestà, veridicità, schiettezza".
Purtroppo alcune persone confondono la semplicità con la stupidità
o l'ignoranza. La stessa cosa si applica a kshanti, che significa
"tolleranza, capacità di perdonare", spesso confusa con
l'indifferenza o l'apatia, la trascuratezza o l'assenteismo, o anche la
mancanza di responsabilità. Le altre qualità sono sama e dama
(controllo dei propri sensi interiori ed esteriori, specialmente
manasa, jihva, udara e upasta - mente, lingua, stomaco e genitali),
tapah (austerità, che consiste nell'affrontare coraggiosamente le
difficoltà) e sauca (pulizia e purezza).
Queste sono state discusse in molti versi precedenti, specialmente
dal 13.8 al 13.12 dove Krishna ha descritto il vero significato di
jnana; quella lista deve essere considerata come contenuta
nell'espressione jnana vijnana di questo verso. Chi non dimostra le
qualità e attività elencate in questo verso non può essere veramente
considerato un brahmana.
Nel Bhagavata Purana (7.11.21) Narada Muni afferma: samo
damas tapah saucam santosah ksantir arjavam, jnanam,
172
Bhagavad gita: capitolo 18
ayacyutatmatvam satyam ca brahma-laksanam, "Le qualità che
caratterizzano un brahmana sono il controllo della propria mente e
dei propri sensi, l'austerità e la tolleranza di fronte alle difficoltà, la
pulizia, la soddisfazione interiore, la tendenza a perdonare, la
semplicità, la conoscenza, la compassione, la veridicità, e la
completa sottomissione alla Personalità suprema della Divinità".
Nel Mahabharata (Vana Parva capitolo 180), Maharaja
Yudhisthira afferma: dharmas ca satyam ca damas tapas ca
amatsaryam hris titiksanasuya, yajnas ca danam ca dhrtih srutam
ca vratani vai dvadasa brahmanasya, "Un brahmana deve
comportarsi sempre in accordo al dharma (i principi etici).
Innanzitutto deve essere veritiero e capace di controllare i propri
sensi. Deve essere austero, distaccato, umile e tollerante. Non deve
invidiare nessuno. Deve essere esperto nel compimento dei
sacrifici e distribuire i propri beni in carità. Deve essere
determinato nello studio delle scritture vediche e nelle attività
religiose: queste sono le 12 qualità fondamentali di un brahmana."
E ancora, sudre tu yad bhavel laksana dvije tac ca na vidyate, na
vai sudro bhavec chudro brahmano na ca brahmanah, "Se queste
qualità (elencate come caratteristiche dei brahmana) si trovano in
un sudra (cioè una persona nata in una famiglia sudra), quella
persona non deve mai essere chiamata sudra, proprio come un
brahmana (cioè una persona nata in una famiglia di brahmana)
non è un brahmana se manca di queste qualità."
Troviamo descrizioni del carattere dei brahmana autentici anche
nelle samhita originarie come nel Rig (2.22.2, 5.34.6, 6.63.5,
7.103.1), Atharva (5.17.9), Yajur (26.2); ecco un esempio:
brahmana saha saumino vacamarkrat brahma krinvantah
parivatsarinam adhvaryayo gharminah sisvidhana avirbhavanti
guhya na kecit, "Un brahmana è sempre gentile e parla
dolcemente, è sempre impegnato in attività spirituali al livello più
alto della consapevolezza, offre rivelazioni sulla conoscenza,
173
Parama Karuna Devi
riconosce il merito in altri e non nasconde nulla" (Rig Veda
7.103.8).
Ancora il Mahabharata fornisce ulteriori chiarimenti in merito
(Anusasana Parva 163.8, 26, 46), quando Shiva dice a Parvati:
sthito brahmana-dharmena brahmanyam upajivati, ksatriyo vatha
vaisyo va brahma-bhuyah sa gacchati, ebhis tu karmabhir devi
subhair acaritais tatha, sudro brahmanatam yati vaisyah
ksatriyatam vrajet, etaih karma-phalair devi suddhatma
vijitendriyah, sudro'pi dvija-vat sevya iti brahmabravit svayam,
sarvo'yam brahmano loke vrttena tu vidhiyate, vrtte sthitas tu
sudro'pi brahmanatvam niyacchati. Ecco la traduzione: "Se
kshatriya o vaisya si comportano come brahmana e si impegnano
nelle occupazioni dei brahmana, quelle persone raggiungono la
posizione di brahmana. Nello stesso modo, un sudra può diventare
un brahmana e un vaisya può diventare uno kshatriya. O Devi,
grazie al compimento di queste attività e all'applicare le istruzioni
degli Agama (le scritture vediche che contengono le istruzioni per i
rituali) anche una persona nata in una famiglia di sudra privi di
qualificazioni può diventare un brahmana. In questo mondo, una
persona nasce in una famiglia di brahmana come risultato delle
sue tendenze, perciò un sudra che manifesta le tendenze di
brahmana e agisce come brahmana automaticamente diventa
brahmana." Il Bhagavata Purana (7.11.35) conferma: yasya yal
laksanam proktam pumso varnabhivyanjakam, yad anyatrapi
drsyeta tat tenaiva vinirdiset, "Chiunque dimostri le caratteristiche
di brahmana, kshatriya, vaisya o sudra appena descritte, deve
essere classificato nella categoria sociale corrispondente."
Abbandonare lo studio e la pratica delle scritture vediche
(svadhyaya tyaga) rimane comunque la più grave causa di
degradazione per un figlio di genitori brahmana. La Manu samhita
(2.157, 2.172) afferma, yatha kastha-mayo hasti yatha carmamayo mrgah yas ca vipro'nadhiyanas trayas te nama bibhrati, "Un
174
Bhagavad gita: capitolo 18
brahmana che non studia i Veda è paragonabile a un elefante o
cervo fatto di cuoio, che viene chiamato elefante o cervo ma non
può agire come tale. Dobbiamo sapere che finché un brahmana
non è qualificato nella conoscenza vedica, rimane sullo stesso
livello di un sudra."
La Manu samhita (4.245) afferma, uttamanuttaman gacchan
hinam hinams ca varjayan, brahmanah sresthatam eti
pratyavayena sudratam, "A seconda delle compagnie buone o
cattive che frequenta, un brahmana può elevarsi in modo
straordinario o cadere nella posizione di sudra."
Il Mahabharata (Santi parva, 189.7) dichiara, himsanrta-priya
lubdhah sarva-karmopijivinah krsna saucaparibhrasthas te dvijah
sudratam gatah sarva-bhaksyaratirn ityam sarva-karmakaro
'sucih tyakta-vedastvanaca rah sa vai sudra iti smrtah, "Un
brahmana che commette atti di violenza (come per esempio il
consumo di alimenti non vegetariani), che mente e inganna, che è
avido, impuro, o si impegna in qualsiasi attività per guadagnarsi da
vivere, si degrada alla posizione di sudra. Precisamente poiché
mangia e beve qualsiasi cosa senza discriminazione ed è attaccato
alle cose materiali e all'idea di fare soldi, ha abbandonato il
dharma vedico e il comportamento etico, ed è chiamato sudra."
Tradizionalmente, un brahmana viene considerato caduto dalla sua
posizione sociale se commette delle violazioni contro la pulizia o
purezza (saucam), per esempio consumando alimenti non
vegetariani, bevande alcoliche, o anche cibi vegetariani che siano
stati cucinati da sudra (sudranna pustam), come conferma il
Kurma purana: nadyac chudrasya vipro'nnam mohad va yadi
kamatah sa sudra-yonim vrajati yas tu bhunkte hy-anapadi.
Questo è il motivo per cui un brahmana non va mai a mangiare al
ristorante, ed è estremamente attento a ciò che acquista al mercato.
175
Parama Karuna Devi
VERSO 43
sauryam: eroismo; tejah: carisma; dhritih: determinazione;
daksyam: abilità; yuddhe: in battaglia; ca: e; api: anche;
apalayanam: stabilità; danam: carità; isvara bhavah: senso di
leadership; ca: e; ksatram: dello kshatriya; karma: attività e
doveri; svabhava jam: nati dalla sua specifica natura.
"Le attività (e i doveri) dello kshatriya, determinate dalla sua
particolare natura, sono l'eroismo, il carisma, la
determinazione, l'inventiva, la fermezza in battaglia, la carità e
il senso di leadership.
Il Bhagavata Purana conferma: sauryam viryam dhritis tejas,
tyagas catmajayah ksama, brahmanyata prasadas ca, satyam ca
ksatra laksanam, "Le caratteristiche dello kshatriya sono eroismo e
cavalleria, determinazione, carisma, distacco dai possedimenti,
controllo di sé, obbedienza ai brahmana, soddisfazione e
veridicità" (Bhagavata Purana 7.11.22) e tejo balam dhritih
sauryam, titiksaudaryam udyamah, sthairyam brahmanyam
aisvaryam, ksatra prakritayas tv imah, "Carisma, forza fisica,
determinazione, eroismo, tolleranza, generosità, resistenza,
fermezza, devozione ai brahmana e senso di leadership sono le
qualità naturali degli kshatriya" (Bhagavata Purana, 11.17.17).
Una persona che non dimostra tali qualità in pratica non è uno
kshatriya ma un impostore e un usurpatore, o il discendente
imbelle di antenati illustri.
176
Bhagavad gita: capitolo 18
Proprio come arjavam (semplicità) e kshanti (tolleranza) non
vanno confuse con stupidità e apatia, le caratteristiche dello
kshatriya devono essere comprese correttamente. L'espressione
isvara bhava ("sentimento di controllo") fa riferimento al
sentimento del Signore (isvara). La tendenza a controllare non è
una cosa negativa, purché non significhi maltrattare la gente e
opprimerla per imporre la propria volontà su quella degli altri per
capriccio.
Se la persona che ama dare ordini è qualificata e addestrata, e
capace di guidare, dirigere e organizzare gli altri, la società
dovrebbe apprezzare questa qualità e usarla in modo positivo
invece di considerarla fonte di risentimento sulla base della
convinzione illusoria che tutti gli esseri umani sono perfettamente
uguali. L'unica uguaglianza che dovrebbe esistere nella società è
uguale accesso alle opportunità di qualificarsi; secondo la
particolare natura (talenti e tendenze, o guna e karma) di ciascun
individuo, alcune persone diventeranno più qualificate per alcuni
particolari doveri, e altre saranno più adatte per altri doveri, e altri
ancora avranno sempre bisogno di farsi dire cosa fare e
dipenderanno da altri per la protezione e il mantenimento.
Certamente il rispetto e l'obbedienza devono essere ispirati, non
pretesi. Un vero leader risplende per il proprio valore e carisma
(tejas, saurya) e naturalmente attira la fiducia e la lealtà delle
persone buone. Un vero kshatriya è sempre in prima linea, davanti
a tutti gli altri, nel pieno della battaglia, ed è l'esempio migliore per
tutti. Lavora più duramente e più ore di chiunque altro ed è sempre
pronto (24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana) a sacrificare la
propria gratificazione dei sensi, comodità, possedimenti e vita
personale (vivendo e morendo) per il bene del regno e dei praja che il regno sia una grande nazione o un villaggio, un quartiere
urbano o un qualsiasi gruppo di persone che sono disposte a farsi
guidare da lui.
177
Parama Karuna Devi
Uno kshatriya autentico si assume la responsabilità non solo per i
propri fallimenti ma anche per le sconfitte collettive, ispira e
incoraggia gli altri e li aiuta ad elevarsi e progredire per diventare
leader qualificati a loro volta. Dimostra cura, attenzione e affetto
per i praja proprio come un buon padre si comporta con i propri
figli, li impegna in modo gioioso e appropriato, e veglia sempre sul
loro benessere, anche al di sopra della propria famiglia immediata
e dei suoi parenti.
Se uno kshatriya si aspetta di essere obbedito quando ordina alla
gente cosa fare, è perché sa cosa sta facendo; è daksha, "esperto",
poiché il suo addestramento gli ha insegnato la scienza della
strategia in guerra, della gestione della società e dell'amministrazione delle risorse. La parola dakshyam indica anche
l'inventiva, una mentalità piena di risorse, la capacità di affrontare
situazioni impreviste e adattare facilmente il proprio approccio. La
generosità e la tendenza caritatevole (dana) sono sue qualità
naturali, perciò le persone non hanno paura di essere sfruttate o
maltrattate in qualche modo, anzi, perché lo kshatriya non esita
mai a difendere la giustizia e proteggere i sudditi (yuddhe
apalayanam), le persone si sentono al sicuro in sua presenza e
cercano il suo aiuto e la sua protezione.
Le qualità dette sauryam e tejas sono simili tra loro. La parola
sauryam è strettamente collegata a sura (gli esseri divini
conosciuti come Deva) e surya, che si riferiscono al Sole, e indica
la radiosità della maestà, la cavalleria e l'energia personale, e
l'invincibilità che associamo con il Sole stesso.
Tejas significa anche "radiosità, potere", e persino "calore", e i
suoi significati si sovrappongono a tapah; in effetti tejas è creato
da tapah. Questi due attributi ci avvertono che è pericoloso
avvicinarsi troppo allo kshatriya reale, perché nonostante la sua
benevolenza e il suo spirito di sacrificio, la sua energia è molto
potente e può bruciare una personalità debole, causando effetti
178
Bhagavad gita: capitolo 18
negativi come invidia o paura (che a sua volta darà origine
all'odio). Normalmente e idealmente, sauryam e tejas dovrebbero
essere impegnati con determinazione e attenta abilità nella
protezione dei praja, e quindi le due qualità sono menzionate nella
prima parte del verso insieme a dhriti (determinazione, pazienza,
sopportazione, perseveranza), dakshyam (abilità, inventiva,
esperienza, abilità) e yuddhe apalayanam (fermezza e coraggio in
battaglia).
La parola dhriti, specialmente in questo contesto, può essere
tradotta anche nel significato di "duro, implacabile". Indica la forte
determinazine del guerriero, che fronteggia fermamente qualunque
situazione difficile o perdita e persino la morte, e quando è ferito e
incapace di rimanere in piedi, continua a combattere anche in
ginocchio. Ma questa determinazione non va confusa con la
stupida ostinazione delle persone tamasiche che sono attaccate a
una particolare azione o credenza o sottovalutano i pericoli Lo
kshatriya ha una visione chiara della situazione ma sceglie di
sacrificare sé stesso per la protezione dei praja se questo si rivela
necessario, perché è il suo dovere. Non è mai depresso o
scoraggiato - sentimenti che sono considerati una contaminazione
(kasmalam, 2.2), un segno di impotenza (klaibyam, 2.3) e una
"debolezza del cuore" (hridaya daurbalyam, 2.3) che è indegna di
una persona civile (anarya justam, 2.1), causa di infamia (akirti
karam, 2.1) e un ostacolo al proprio progresso (asvargyam, 2.1).
Naturalmente non ci si può aspettare queste qualità da tutti, e
persino in un individuo che ha il talento e la tendenza giusti per il
ruolo di kshatriya, questi devono essere sviluppati attraverso un
addestramento e un'esperienza adeguati, perciò chi aspira ad essere
kshatriya non deve lasciarsi scoraggiare da eventuali lacune.
Simile a dhriti è apalayanam, "che non fugge", cioè la fermezza in
battaglia e l'eroismo di fronte alle avversità; questa qualità o
caratteristica non è dimostrata soltanto sul campo di battaglia ma
179
Parama Karuna Devi
in tutti gli aspetti della vita quotidiana, nelle cose piccole e nelle
cose grandi. Inoltre ci sono sono molte armi con le quali si può
combattere; spade, archi e frecce (di molti tipi) sono più
cavallereschi delle pistole e delle armi moderne (più adatte ai
codardi) e poi ci sono anche armi sottili, costituite da parole e idee.
Gli kshatriya sono istruiti e addestrati in strategia e diplomazia nel
trattare con il nemico - il primo passo è sama, trattare l'oppositore
come un amico e lasciargli sufficiente spazio perché possa vivere e
prosperare, il secondo è dana, cercare di conquistarlo con regali e
offerte di pace, il terzo tentativo è bheda, cercare di spezzare le
alleanze tra oppositori e affrontare un nemico alla volta, e soltanto
come ultima risorsa si deve ricorrere a danda, la punizione, cioè
passare all'azione fisica contro l'offensore.
Questo ci porta a un'altra chiarificazione molto importante. Il
compito principale di uno kshatriya è combattere per proteggere i
praja, perché questa è la sua tendenza naturale e l'uso migliore
delle sue qualità, come Krishna ha detto specificamente: sva
dharmam api caveksya na vikampitum arhasi, dharmyad hi
yuddhac chreyo 'nyat ksatriyasya na vidyate, yadricchaya
copapannam svarga dvaram apavritam, sukhinah ksatriyah partha
labhante yuddham idrisam, "Considerando il tuo dovere dharmico,
non dovresti esitare, perché per uno kshatriya non c'è niente di
meglio che combattere una battaglia dharmica. O Arjuna, felici
sono gli kshatriya ai quali tale opportunità si presenta
spontaneamente. Per un guerriero, impegnarsi in questa battaglia è
come vedere le porte del cielo aprirsi davanti a lui." (2.31, 2.32).
Lo confermerà di nuovo il verso 18.59.
Lo spirito guerriero dello kshatriya non è però la bellicosità, la sete
di sangue e la crudeltà degli asura; non è un bullo rissoso, ed evita
di scontrarsi e combattere se c'è ancora qualche alternativa
possibile, come dimostrarono in pratica i Pandava nella loro
relazione con l'aggressivo Duryodhana e i suoi fratelli.
180
Bhagavad gita: capitolo 18
Inoltre esiste uno specifico codice di comportamento per gli
kshatriya: i non-combattenti non devono mai essere attaccati o
danneggiati, e le proprietà che non sono direttamente collegate con
il combattimento non devono essere distrutte - per esempio gli
accampamenti in cui i guerrieri si ritirano per la notte non devono
essere toccati. Persino sul campo di battaglia un nemico non va
attaccato se è impreparato, disarmato, distratto, sofferente o se si
riconosce sconfitto.
A volte persone non qualificate si fanno passare per kshatriya, ma
dovrebbero essere smascherate e neutralizzate da kshatriya
autentici o brahmana; sono descritti come nripa linga dharam
("che semplicemente mostrano le apparenze di re"). Esempi famosi
si trovano nel Bhagavata Purana (1.3.25, 1.14.17, 4.14.28,
4.14.31, 4.14.34, 1.16.4, 1.17.1, 1.17.5, 1.17.10-11, 1.17.14,
1.17.32, 4.14.4, 4.16.6, 4.16.14-16, 12.1.39-41, 12.2.8. 12.2.20).
Ecco una descrizione dei re non qualificati del Kali yuga: stri bala
go dvija ghnas ca, para dara dhanadritah, uditasta mita praya,
alpa sattvalpakayusah, asamskritah kriya hina, rajasa
tamasavritah, prajas te bhaksayisyanti, mleccha rajanya rupinah,
"Questi mleccha travestiti da re faranno del male a donne,
bambini, mucche/ al pianeta e ai nati due volte, e cercheranno di
impadronirsi delle mogli e delle ricchezze di altri. Saranno instabili
mentalmente ed emotivamente, piuttosto deboli mentalmente e
fisicamente, e avranno vita breve. Coperti da rajas e tamas, non
svolgeranno alcun vero dovere o rituale di buon augurio, ma
divoreranno i praja." (Bhagavata Purana 12.2.39-40).
Una breve nota sul significato di mleccha: come nel caso dei
varna, la categoria dei mleccha dipende da guna e karma,
dimostrata da una natura criminale (mleccha bhavata durjanah,
Bhagavata Purana 9.16.33), come nel caso dei figli di Visvamitra
che non accettarono Sunahsepha come loro fratello maggiore.
Discendenza familiare, gruppo etnico, lingua, nazionalità, famiglia
181
Parama Karuna Devi
di nascita e altre considerazioni simili sono irrilevanti al riguardo solo il comportamento adharmico costituisce il criterio di
valutazione.
VERSO 44
krisi: agricoltura; go raksya: protezione delle mucche/ del pianeta;
vanijyam: commercio; vaisya karma: le attività (doveri) del vasya;
svabhava-jam: nate dalla sua specifica natura; paricarya: servizio/
assistenza; atmakam: che consiste di; karma: attività/ doveri;
sudrasya: del sudra; api: anche; svabhava-jam: nate dalla sua
natura specifica.
"Le attività (i doveri) del vaisya, determinate dalla sua
particolare natura, sono l'agricoltura, la protezione delle
mucche/ del pianeta, e il commercio. Le attività (i doveri) del
sudra, determinate dalla sua particolare natura, sono il
servizio/ l'assistenza (agli altri).
Vaisya e sudra sono raggruppati in un solo verso perché sono
meno evoluti di brahmana e kshatriya e quindi hanno meno
doveri; i sudra considerevolmente meno dei vaisya. Queste
posizioni professionali e sociali sono più facili da mantenere anche
senza particolari sforzi per qualificarsi o fare molti sacrifici
personali. E' detto quindi che nell'era di Kali tutti nascono sudra,
perché senza uno strenuo sforzo e un addestramento adeguato è
quasi impossibile diventare brahmana o kshatriya autentici.
182
Bhagavad gita: capitolo 18
Eppure, i sudra e specialmente i vaisya non dovrebbero essere
sottovalutati, perché il loro lavoro è essenziale per il giusto
funzionamento del corpo sociale. Soltanto gli stupidi trascurano il
proprio stomaco o i propri piedi, considerandoli meno degni
d'amore delle proprie braccia o della propria testa, perché tutte le
parti del corpo sono strettamente collegate e le sofferenze di una
delle parti è sentita dal corpo intero.
La parola krishi è la parte più importante del verso; nel 17.7
abbiamo discusso dell'importanza fondamentale del cibo, sia dal
punto di vista materiale che da quello spirituale, e in che modo la
produzione di abbondante cibo costituisca il centro dell'intero
servizio al corpo sociale. Persino i brahmana e gli kshatriya
dipendono dal cibo prodotto dall'agricoltura, proprio come le
funzioni fondamentali della testa e delle braccia sono quelle di
procurare cibo e inviare le risorse allo stomaco perché le sostanze
nutritive siano ridistribuite in tutto il corpo, e tutte le altre attività
possano venire compiute nel modo migliore - comprese le funzioni
superiori dell'intelletto e della consapevolezza.
Senza cibo sufficiente e appropriato non ci può essere progresso
materiale o spirituale (1.42, 17.13), come conferma anche la shruti
(Chandogya Upanishad 6.6, 7.1-3, Taittirya Upanishad Brighu
valli, 3.1.1, 3.7.2, 3.8.1, 3.9.1, 3.10.1, Taittirya Upanishad
Brahmananda valli, 2.2.1, Sama Veda samhita 3.10.6, Prasna
Upanishad 1.4, 1.14, Brihad aranyaka Upanishad 1.4.7).
Dopo aver stabilito l'importanza dell'agricoltura, Krishna fornisce
immediatamente le necessarie linee guida etiche con l'espressione
go rakshya; rakshya significa "protezione" e go può indicare sia le
mucche che Madre Terra come personificazione della terra. Questo
significa che un vaisya è responsabile della salute e del benessere
della terra; deve assicurarsi che il terreno non sia impoverito o
inquinato in alcun modo, perché la produzione di cibo ne
soffrirebbe.
183
Parama Karuna Devi
All'interno della definizione di terra (go, bhumi) bisogna
naturalmente includere i corsi d'acqua (di superficie e sotterranei),
le foreste, gli animali selvatici e così via. La protezione delle
mucche ovviamente non significa lo sfruttamento senza scrupoli e
il trattamento crudele che possiamo osservare nei metodi di
"allevamento" sviluppati secondo i valori di sfruttamento abramici
e l'industrializzazione centralizzata. Chi è abituato all'attuale
società asurica (e potrebbe considerarla "la norma") forse farà
fatica a crederci, ma è possibile per gli esseri umani vivere insieme
alle mucche e altri animali in una relazione di mutuo beneficio,
basata su amicizia, amore, rispetto e fiducia. Quando vengono
ottenuti eticamente, i prodotti delle mucche sono estremamente
preziosi per la salute e il progresso della società umana.
La parola vanijyam significa "commercio", e si riferisce a uno
stadio successivo nella trasformazione e nella distribuzione delle
risorse, per cui si crea ricchezza attraverso imprese commerciali.
Queste non includono le posizioni non necessarie e parassitiche in
cui semplicemente si fanno soldi senza produrre qualcosa di
valido, ma comprende tutte quelle attività che contribuiscono a
creare beni utili e a distribuirli a un numero più vasto di persone.
Per esempio, scavare miniere e forgiare i metalli in armi, pentole e
piatti, contenitori, strumenti per l'agricoltura e attrezzi specializzati
di ogni genere, e naturalmente anche gli ornamenti personali che
sono adatti per i differenti tipi di individui a seconda delle
raccomandazioni dei brahmana. I vaisya usavano anche i metalli
preziosi (oro, argento, rame) nella forma di monete coniate e
gemme preziose (perle, diamanti eccetera) per sostenere il loro
commercio in regioni dove si recavano per fiume o mare o
utilizzando le strade protette dalle guarnigioni imperiali,
trasportando beni e prodotti caratteristici di alte regioni, come sale,
spezie, erbe medicinali ed estratti, materiali tessili, olii, cibi rari e
semi, cosmetici e così via.
184
Bhagavad gita: capitolo 18
La tradizione indiana dà uguale importanza primaria al personale
militare e agli agricoltori (jawan-kissan) che sono le basi per la
sopravvivenza e la prosperità della gente e del regno(rastra), anche
in assenza di brahmana e kshatriya adeguatamente qualificati,
come vediamo nelle civiltà tribali non ariane. In effetti, i problemi
attuali di contadini e società in generale potrebbero essere risolti
eliminando le tendenze asuriche e gli ostacoli (interni ed esterni) e
lasciando alla gente la libertà sufficiente per prendersi cura di sé
stessi per quanto riguarda il cibo e gli altri prodotti dell'agricoltura
e della foresta, l'energia, gli alloggi e la protezione. Qualsiasi
società può prosperare con un'agricoltura basata innanzitutto sulla
sussistenza locale e autosufficienza, con una produzione
diversificata basata sulla coltivazione biologica e la permacoltura,
la lavorazione per valore aggiunto in unità industriali di livello
casalingo per la conservazione e trasformazione dei prodotti, e
piccoli mercati locali che vendono direttamente ai consumatori in
una zona aperta. Questo era il sistema normale ovunque nei tempi
antichi, e funzionava benissimo.
Il sistema vedico eleva la società umana a un piano più alto. E' più
scientifico e centrato sull'istruzione e l'addestramento, in modo che
si possa sviluppare il pieno potenziale di ciascun individuo, una
fase dopo l'altra, dopo aver raggiunto la perfezione nella propria
occupazione individuale. Un sudra viene incoraggiato a diventare
responsabile per sé stesso attraverso lo sviluppo di artigianato
indipendente e/ o coltivando l'orto di casa; una volta che è
diventato capace di gestire da solo la propria produzione e
realizzare il mantenimento necessario a sé stesso e alla sua
famiglia, è già sulla via per diventare un vaisya. Il passo decisivo
consiste nel diventare apprendista e gestire il proprio lavoro e il
proprio mantenimento - a questo punto si è già imprenditori, anche
se in piccolo, e si può ottenere consiglio e ulteriore addestramento
da vaisya qualificati e poi dai brahmana.
185
Parama Karuna Devi
Un vaisya di successo è diventato capace di gestire molti lavoratori
e sviluppa gradualmente una tendenza a proteggere i propri
subordinati - sia animali che umani - e la terra di cui si prende
cura. Attraverso una collaborazione più stretta con kshatriya
qualificati e le adeguate istruzioni dai brahmana, può sviluppare le
qualità per diventare pienamente responsabile per il suo piccolo
"regno" e delegando i compiti più facili agli apprendisti, può
diventare qualificato come kshatriya lui stesso. Similmente, uno
kshatriya che ha allargato la propria mente dalla responsabilità di
un piccolo regno alla più grande società di tutti gli esseri
dell'universo può diventare capace di proteggere i praja su un
livello più profondo e vasto, che va al di là dell'identificazione
temporanea con il corpo materiale e la posizione sociale. Poiché
tutti i nati due volte (brahmana, kshatriya e vaisya) studiano
regolarmente la conoscenza vedica e si impegnano in attività e
ricerche religiose, questa evoluzione è semplicemente naturale.
Nella sua elaborazione sul sistema dei varna, Narada Rishi spiega
al re Yudhisthira: deva guru acyute bhaktis, tri varga
pariposanam, astikyam udyamo nityam, naipunyam vaisya
laksanam, "Le caratteristiche del vaisya sono devozione verso i
Deva, il guru e Dio, il nutrire i tre (i 3 varna, e anche i 3 scopi di
dharma-artha-kama), la fede nel sistema vedico, l'abilità e la
determinazione nel lavoro" (7.11.23). Krishna ha dato istruzioni
simili a Uddhava: astikyam dana nistha ca, adambho brahma
sevanam, atustir arthopacayair, vaisya prakritayas tv imah, "Fede
nella civiltà vedica, dedizione alla carità, libertà dall'ipocrisia,
servizio ai brahmana e lavoro costante per creare ricchezze sono le
qualità naturali dei vaisya." (Bhagavata Purana, 11.17.18).
Il dovere del sudra è molto semplice e richiede soltanto sincerità e
lealtà verso il datore di lavoro. E' importante comprendere che il
sudra non è uno schiavo, un fuoricasta o intoccabile (dalit o
paria); i sudra normalmente vivevano nella casa del datore di
186
Bhagavad gita: capitolo 18
lavoro come membri della famiglia, ma erano liberi di andarsene
se non erano soddisfatti del trattamento, e talvolta potevano essere
licenziati se non si comportavano bene. Benché il sistema vedico
incoraggi l'evoluzione individuale, a volte le persone scelgono di
abbandonarsi a tendenze più basse e degradanti, sviluppando
cattive abitudini; per esempio trascurando la pulizia o diventando
avidi al punto di rubare, o crudeli e insensibili verso gli esseri
umani o gli animali. A quel punto il sudra cade al livello di anarya
e viene licenziato dal servizio ed espulso dalla vita sociale vedica;
diventa un chandala o mleccha, che si trova al di fuori del sistema
dei varna e quindi non ha alcun dovere.
La parola paricarya significa "lavorare per altri" e si riferisce
all'impiego o lavoro dipendente, e comprende tutti i servitori dello
Stato o del governo a ogni livello; chiunque riceva uno stipendio
per il suo lavoro è un sudra. Uno kshatriya protegge i sudditi in
modo indipendente e non prende ordini o stipendio da nessuno,
perché ciò comprometterebbe la sua libertà nel sostenere il
dharma; può accettare doni o tributi (tasse) dalle persone che
protegge e cura, ma soltanto in misura ragionevole.
Uno kshatriya può impiegare soldati sudra nel suo esercito sotto i
suoi ordini e occuparsi del loro mantenimento, ma le loro
responsabilità e i loro doveri sono diversi; non sono in servizio
permanente ma semplicemente rispondono alla chiamata dello
kshatriya in caso di attacco esterno. Sono cittadini privati che
comprendono che il re ha bisogno di aiuto per difendere le loro
case e famiglie, e partecipano alle manovre meglio che possono a
seconda delle loro capacità; questi combattenti volontari
temporanei possono provenire da ogni sezione della società perché
tutte le membra del corpo sono desiderose di aiutare quando
l'intero corpo è in pericolo, perciò sudra, vaisya e persino
brahmana possono portare armi e combattere sul campo di
battaglia in caso di emergenza.
187
Parama Karuna Devi
Ma ciò non li fa diventare kshatriya, e non sono organizzati in
modo permanente in forze militari come nelle società moderne, in
cui il personale militare diventa annoiato e irrequieto quando non
ci sono guerre, o si impigrisce adagiandosi sullo stipendio pagato
dal governo.
VERSO 45
sve sve: ciascuno secondo la propria natura; karmani: attività; abhi
ratah: seguendo; sam siddhim: perfezione completa; labhate:
ottiene; narah: un essere umano; sva karma: nel proprio dovere
specifico; niratah: impegnato; siddhim: perfezione; yatha: come;
vindati: raggiunge; tat: quello; srnu: ascolta.
"Impegnandosi nei doveri relativi alla sua natura specifica, un
essere umano gradualmente ottiene la perfezione. Ora ascolta
come si può raggiungere la perfezione impegnandosi nei propri
doveri specifici.
L'espressione sve sve karmani indica che ogni membro del corpo
sociale ha funzioni molto specifiche e dovrebbe rimanere fedele
all'impegno nei suoi particolari doveri a seconda della posizione
che è stata assegnata individualmente dal guru. L'influenza di
rajas e tamas può spingere le persone a desiderare un'occupazione
differente perché sembra offrire maggiori vantaggi e meno
problemi della posizione che stanno occupando, ma questa è
semplice illusione.
188
Bhagavad gita: capitolo 18
E' sempre possibile salire di varna, ma non si deve farlo a
capriccio; è necessario un addestramento e una qualificazione
autentica secondo le regole stabilite. Una discesa di varna è molto
più facile, ma non aiuta l'evoluzione personale dell'individuo o il
buon funzionamento della società; comunque è preferibile
scendere a una posizione di minore responsabilità piuttosto che
cercare di occupare artificialmente una posizione professionale
senza compiere adeguatamente il proprio dovere.
Specialmente nel sistema vedico autentico, più alta è la posizione
che si occupa, più ci sono doveri e più difficile e duro è il lavoro, e
più sacrifici bisogna fare per il bene della società. I sudra possono
pensare che il loro datore di lavoro vaisya faccia la bella vita
limitandosi a dare ordini mentre i braccianti fanno tutto la fatica,
ma non sanno niente di pianificazione, coordinamento, vendite e
amministrazione. Lasciati a sé stessi, i sudra lavorerebbero il
minimo possibile e consumerebbero il più possibile per godere e
divertirsi, e ben presto finirebbero in bancarotta e in miseria.
Certo la definizione di sudra si applica al guna e karma di ciascun
individuo, e non alla nascita o all'appartenenza a una comunità
sudra, perché è certamente possibile che genitori sudra diano alla
luce un figlio con maggiore talento, che salirà a una posizione
sociale più alta con i propri sforzi, anche nonostante grandi
difficoltà.
Gli esperimenti socialisti e comunisti degli ultimi 300 anni hanno
dimostrato che inevitabilmente individui di maggiore talento (e
spesso più brutali) sorgono comunque a riempire i posti di
comando, e in assenza di un sistema sociale etico e scientifico per
valutare le loro qualificazioni, il loro potere personale non può
essere controllato dalle regole e dai doveri che sostengono una
progressiva evoluzione. Diventano dunque tiranni loro stessi, e la
gente che lavora sotto di loro è oppressa e sfruttata spesso peggio
che nei sistemi capitalistici, e nessuno riesce veramente a
189
Parama Karuna Devi
progredire un granché, perché nessuno è incoraggiato a prendersi
delle responsabilità personali e sviluppare maggiori qualificazioni.
La parola abhiratah significa "rimanere fedele, seguire", e indica
quel tipo di attaccamento al dovere che è in realtà privo di
egoismo; è la lealtà verso la società, l'amore e l'orgoglio per il
proprio lavoro in quanto giusto dovere. Questo approccio porta una
profonda soddisfazione e una sensazione di felicità per un lavoro
ben fatto, per la coscienza pulita di aver contribuito facendo la
propria parte per il bene comune. Poiché i doveri prescritti per le
categorie professionali sono fortemente basati su considerazioni
etiche e di progresso, costituiscono una protezione preziosa contro
la degradazione e dovrebbero sempre essere rispettati nel modo
migliore possibile. Certo questo non significa che non ci debba
essere flessibilità nel sistema.
Questo ci porta al concetto molto importante di apat (apad)
dharma, o "doveri/ considerazioni etiche in caso di emergenza". E'
simile alla parola anapadi, che indica un'emergenza sociale o un
rivolgimento in cui non c'è una persona qualificata a occupare una
particolare posizione, e qualcun altro deve prendere il suo posto.
Il sistema vedico è basato sui principi etici fondamentali chiamati
coscienza, e quindi ammette facilmente che in alcune circostanze è
meglio seguire lo spirito della legge piuttosto che la lettera; il
dharma non è una serie rigida di comandamenti e tabù ma un
sistema di principi che sostengono la società, e quindi deve essere
applicato con intelligenza secondo le circostanze. La Chandogya
Upanishad (1.10-12) offre l'esempio di Ushasti figlio di Chakra,
che era un purohita, un capo sacerdote nei rituali di sacrificio
celebrati da re e altri nati due volte. Un giorno mentre viaggiava
per una regione selvaggia durante una grave carestia, riuscì a
procurarsi come cibo soltanto alcuni fagioli cotti dalla casa di un
chandala (fuoricasta) e li divise con la moglie perché avevano
molta fame, ma rifiutò l'acqua che il chandala voleva dargli,
190
Bhagavad gita: capitolo 18
perché avrebbe potuto trovare dell'acqua più pulita da qualche altra
parte. Dopo aver fatto semplicemente il bagno, continuò per la sua
destinazione dove riprese il suo posto come istruttore e supervisore
dei ritvika brahmana impegnati nei rituali religiosi ai quali era
stato invitato. Nessuno obiettò dicendo che aveva "perduto la
casta" e che quindi non era più qualificato a dirigere lo yajna.
I brahmana hanno comunque la responsabilità di accertare il
livello di emergenza e dirigere o approvare le azioni necessarie; è
detto: jaghanyo nottamam vrittim anapadi bhajen narah, rite
rajanyam apatsu sarvesam api sarvasah, "Una persona di
qualificazioni inferiori non deve usurpare una posizione più alta
per una migliore qualità della propria vita, ma se non c'è un re
autentico che si prenda cura del regno, nell'emergenza che si crea
chiunque può svolgere i compiti di altri - tranne che per lo
kshatriya" (Bhagavata Purana, 7.11.17).
L'eccezione dello kshatriya in questo verso significa che in tempi
di emergenza o di rivolgimento sociale, il lavoro dello kshatriya è
il più importante e urgente per preservare e proteggere i praja e le
risorse del regno, perciò uno kshatriya che abbandona i propri
doveri in tali circostanze per assumere qualche altra attività
professionale è un traditore del regno.
Uno kshatriya può anche trovarsi in una situazione di emergenza
personale - per esempio esiliato a causa di qualche congiura di
palazzo, o sconfitto in battaglia e lasciato gravemente ferito sul
campo di battaglia mentre il suo oppositore sale al trono. In questi
casi può assumere le occupazioni di bahmana (se è qualificato a
insegnare qualcosa) o vaisya (agricoltura e protezione delle
mucche) fino al momento in cui può riprendere i suoi normali
doveri; l'unica eccezione è che non può diventare un sudra,
altrimenti sarà perduto (Bhagavata Purana, 11.17.48). Similmente,
un brahmana può lavorare temporaneamente come kshatriya o
vaisya, ma mai diventare un sudra, perché quello è considerato il
191
Parama Karuna Devi
lavoro di un cane (sva vrittya, 11.17.47): un cane infatti dipende
completamente dal padrone e gli è ciecamente fedele, senza essere
preoccuparsi di considerazioni etiche.
Un vaisya può impegnarsi in attività di artigianato o trovare un
impiego temporaneo come sudra (11.17.49), finché ottiene
l'opportunità di tornare ai suoi normali doveri.
I doveri di ciascun particolare varna sono studiati per mettere alla
prova le capacità di ogni individuo e farlo progredire nell'apprendimento e nella realizzazione, perciò è possibile che a causa di
qualche difficoltà o depressione si possa essere tentati di prendere
una posizione diversa - una più bassa, per la quale si è più che
qualificati e quindi non bisogna fare molti sforzi, o una più alta per
la quale non si comprende nemmeno che tipo di qualificazioni
siano necessarie.
Questo è il motivo per cui il verso 18.47 ammonisce che è meglio
fallire o morire impegnandosi nel proprio dovere piuttosto che
ottenere il successo compiendo il dovere di qualcun altro.
La parola samsiddhi è il composto di sam + siddhi, e indica la
perfezione completa, proprio come la parola samskrita (che indica
la lingua sanscrita) è il composto di sam + krita, a indicare un
completo sistema di espressione.
La perfezione completa che si può ottenere tramite il compimento
leale e sincero dei propri doveri professionali e sociali - cioè il
giusto lavoro - accresce la conoscenza, migliora il carattere (sila, o
condotta), l'intelligenza, la forza, la ricchezza, la posizione e i
meriti religiosi (punya), così da ottenere una nascita migliore nella
prossima vita o anche moksha (la liberazione). La parola vindati
("accresce") indica il graduale raggiungimento della perfezione
attraverso uno sforzo regolare e continuo.
192
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 46
yatah: dal quale; pravrittih: la creazione/ l'impegno; bhutanam:
degli esseri; yena: da lui; sarvam idam: tutto questo (universo);
tatam: è pervaso; sva karmana: con le proprie attività; tam: quello;
abhyarcya: adorando; siddhim: la perfezione; vindati: raggiunge;
manavah: un essere umano.
"Compiendo adeguatamente i propri doveri si adora il
Supremo, che crea e impegna tutti gli esseri/ tutte le situazioni,
e che pervade l'universo intero. Questo è il modo in cui un
essere umano può raggiungere la perfezione.
La gloria del sistema vedico è che eleva l'essere umano al piano di
membro del corpo della Personalità suprema della Divinità, per
essere impegnato direttamente nella creazione, nel controllo, nella
conservazione e nella protezione dell'universo. Questo concetto si
trova esclusivamente nella tradizione vedica, poiché gli altri
sistemi dharmici e naturali considerano l'essere umano
semplicemente come una parte della creazione, con gli stessi diritti
di tutte le altre creature ma non maggiori doveri, mentre i sistemi
adharmici considerano l'essere umano come signore e padrone
della creazione, con maggiori diritti (e nessun dovere) a paragone
delle altre creature.
Questo è il motivo per cui nella tradizione vedica, e specialmente
nel sistema dei varna e ashrama, la parola dharma viene
normalmente tradotta come "dovere". Questa è anche la ragione
193
Parama Karuna Devi
per cui i dvi-ja (nati due volte) che sono più responsabili rispetto
alla popolazione ordinaria e generica di sudra devono impegnarsi
quotidianamente nei rituali religiosi per associarsi con i Deva, che
hanno responsabilità ancora più alte verso tutte le creature.
Qando un brahmana, kshatriya o vaisya è impegnato nel
compimento dell'homa (sacrificio del fuoco) e chiama i Deva a
consumare le ahuti (oblazioni di burro chiarificato) è in realtà
seduto a una colazione di lavoro con i suoi superiori - per
incontrarli, frequentarli, sviluppare una relazione e assorbire le
loro qualità, e al termine di questa vita umana potrà spostarsi al
loro livello e lavorare direttamente con loro.
Anche i Deva sono membra del corpo universale (Virata Rupa), e
occupano le loro posizioni precisamente a causa della loro assoluta
lealtà verso i propri doveri; il fuoco non manca mai di bruciare, il
vento soffia sempre secondo leggi precise, il sole sorge
regolarmente, e la morte non fallisce mai nel raccogliere il tributo
su un corpo mortale. Tutti i livelli di consapevolezza sono però
coordinati dalla Coscienza suprema, che include tutte le altre
coscienze individuali e allo stesso tempo è più grande di tutte
queste insieme - proprio come il proprietario del corpo include le
funzioni e la consapevolezza di tutte le cellule e gli organi del
corpo, eppure è qualcosa di più del corpo. Ciò era chiaramente
confermato nel verso 15.7: mamaivamso jiva loke jiva bhutah
sanatanah, "L'essere vivente in questo mondo è certamente un
membro del mio (corpo) e in quanto tale è eterno."
Al livello universale, questa Coscienza suprema o Realtà viene
chiamata tattva, o più specificamente, vishnu tattva, poiché è il
fondamento e la sorgente di ogni potere (vishnu significa
"potente"). Qui non dobbiamo essere distratti dal pregiudizio
settario, perché perderemmo un'occasione preziosa per
comprendere veramente la vita; Vishnu non è una Divinità
separata che può essere opposta a Shiva, Durga, Brahma, o altre
194
Bhagavad gita: capitolo 18
Personalità di Dio, anche se vediamo che nei loro avatara lila, le
varie Personalità interagiscono in modi meravigliosi. In realtà tutte
queste Personalità sono una sola Realtà, una Coscienza suprema,
che è chiamata Brahman, Paramatma, Bhagavan: vadanti tat tattva
vidas, tattvam yaj jnanam advayam, brahmeti paramatmeti,
bhagavan iti sabdyate, "Coloro che conoscono il tattva dichiarano
che il tattva è la Conoscenza indivisa, definita con i nomi di
Brahman, Paramatma, e Bhagavan" (Bhagavata Purana 1.2.11).
La Divinità è descritta come conoscenza (jnana) e realtà (tattva), e
anche come indivisa (advayam); Dio è dunque la somma totale di
tutti gli esseri e di tutta la conoscenza o coscienza, e sebbene
rimanga indiviso, manifesta innumerevoli forme e nomi per
esprimere tutta l'immensa varietà delle qualità e funzioni. E' già
impossibile comprendere tutti quegli aspetti di Dio che sono
manifestati in questo singolo universo (Virata Rupa), perciò
possiamo immaginare quanto deve essere sciocca l'arroganza di
qualcuno che proclama di conoscere pienamente la Realtà
Suprema nel mondo spirituale, che è non-manifestato e quindi
impossibile persino da concepire per le menti che funzionano
secondo i parametri di tempo e spazio.
Dopo aver chiarito questo punto, possiamo affermare serenamente
che tutti i membri del sistema dei varna dovrebbero effettivamente
compiere i loro doveri professionali con sincerità e devozione,
considerandoli come l'atto più fondamentale di adorazione a
Vishnu, che è la somma totale di tutta la Consapevolezza; atah
pumbhir dvija srestha varnasrama vibhagasah, svanusthitasya
dharmasya samsiddhir hari tosanam, "Le categorie dei varna e
ashrama e i loro doveri prescritti specifici costituiscono la
perfezione (della vita umana) perché soddisfano Vishnu"
(Bhagavata Purana, 1.2.13), varnasramacara vata purusena
parah puman, visnur aradhyate pantha nanyat tat tosa karanam,
"Un essere umano che compie i doveri del sistema varna-ashrama
195
Parama Karuna Devi
sta adorando la Personalità suprema di Dio, Vishnu. Non c'è altro
modo per ottenere la soddisfazione" (Vishnu Purana 3.8.9). La
soddisfazione di cui parla questo verso del Vishnu Purana si
riferisce sia a soddisfare il Supremo che a soddisfare l'atman, in
quanto i due sono strettamente collegati.
La parola yatha all'inizio del verso è una declinazione del pronome
yah, "quello", che indica il Supremo. Il termine pravritti contiene i
significati di "creazione, emanazione, impegno, lavoro, sviluppo" e
collegato alla parola bhutanam ("di tutti gli esseri") si riferisce
ovviamente al continuum supremo della realtà che è la fonte della
manifestazione e delle attività di tutti gli esseri. Possiamo
continuare il paragone microcosmico delle cellule del corpo,
ricordando che è l'atman, l'essere vivente originario e immutabile
che vive nel corpo, a creare tutte le cellule del corpo sviluppando
gradualmente tessuti e organi a cominciare dal concepimento e
sostiene tutte le cellule per l'intera durata del corpo, e poi distrugge
il corpo abbandonandolo in accordo al suo viaggio evolutivo.
Poiché l'atman è consapevolezza, è presente ovunque nel corpo
(yena sarvam idam tatam, 2.17), e il suo servizio è lo scopo di tutte
le cellule e degli organi.
Similmente in una scala macrocosmica più grande Dio come la
somma totale di tutta la Consapevolezza è onnipresente, l'origine
di tutte le creature e lo scopo del loro impegno: janmady asya yato
'nvayad itaratas carthesv abhijnah svarat, tene brahma hrda ya
adi kavaye muhyanti yat surayah, tejo vari mrdam yatha vinimayo
yatra tri sargo 'mrsa, dhamna svena sada nirasta kuhakam satyam
param dhimahi, "Offro il mio rispetto a Bhagavan Vasudeva, dal
quale procedono la creazione/ la nascita eccetera di questo
(universo, corpo, manifestazione). E' pienamente indipendente,
pienamente cosciente dello scopo, direttamente e indirettamente.
Ha ispirato la suprema Coscienza del Brahman nel cuore del primo
poeta (Brahma). La sua natura/ esistenza/ energia di illusione vince
196
Bhagavad gita: capitolo 18
persino i sura (deva e rishi), (proprio come) con le illusioni ottiche
create da calore, acqua e terra. In questo modo, attraverso l'azione
e la reazione si manifesta sempre come la 'quasi realtà' delle tre
creazioni e tutti i loro oggetti/ luoghi di esistenza. Io medito su
(lui), la verità suprema, sempre sufficiente in sé stesso, del quale
l'illusione è semplicemente l'assenza di percezione." (Bhagavata
Purana 1.1.1).
La parola pravritti ("impegno") è collegata anche con abhyarcya
("adorando"),
in
quanto
l'adorazione
stessa
consiste
nell'impegnarsi doverosamente nelle attività che sono adatte alla
propria natura. Questa è l'origine del famoso detto "il lavoro è
adorazione", caratteristico anch'esso della tradizione induista. Il
fatto che Dio sia onnipresente (yena sarvam idam tatam) significa
che tutti possono ricordare e adorare Dio in qualsiasi momento e in
qualsiasi luogo, e in qualsiasi attività: yat karosi yad asnasi yaj
juhosi dadasi yat, yat tapasyasi kaunteya tat kurusva mad
arpanam, "O Arjuna, tutto ciò che fai, mangi, sacrifichi, dai, e
tolleri nel compimento dei tuoi doveri - fallo per me" (9.27).
Questo atteggiamento sintonizzerà perfettamente la nostra
coscienza con la Coscienza suprema, perciò non ci sarà più
differenza di scopi: yajnarthat karmano 'nyatra loko 'yam karma
bandhanah, tad artham karma kaunteya mukta sangah samacara,
"Le azioni devono essere compiute come sacrificio, altrimenti in
questo mondo causano legami. Dovresti dunque compiere le tue
attività per quello (scopo del sacrificio), rimanendo libero
dall'associazione (materiale)." (3.9).
Poiché non c'è differenza di scopo, non ci saranno effetti negativi:
brahmany adhaya karmani sangam tyaktva karoti yah, lipyate na
sa papena padma patram ivambhasa, "Dedicando tutte le attività
al Brahman, abbandonando tutte le identificazioni e associazioni
materiali, non si è mai toccati dalle conseguenze negative delle
azioni cattive, proprio come una foglia di loto non è mai toccata
197
Parama Karuna Devi
dall'acqua." (5.10). Lo confermerà la conclusione di questo
capitolo (18.65).
Questo è l'antico sistema tradizionale, grazie al quale le grandi
personalità del passato raggiunsero la perfezione: karmanaiva hi
samsiddhim asthita janakadayah, “Janaka e altri come lui
divennero situati nella perfezione attraverso il compimento dei loro
doveri." (3.20)
VERSO 47
sreyan: meglio; sva dharmah: il proprio dovere specifico;
vigunah: non perfetto; para dharmat: piuttosto che il dovere di
qualcun altro; su anusthitat: seguito perfettamente; sva bhava
niyatam: prescritto secondo la propria natura specifica; karma:
attività; kurvan: compiendo; na apnoti: non si ottiene; kilbisam:
difetto.
"E' meglio impegnarsi nel proprio dovere specifico, anche se in
modo imperfetto, piuttosto che eseguire i doveri di altri in
modo perfetto. I doveri di ciascuno sono prescritti secondo la
natura specifica individuale, e impegnarsi in essi è la cosa
giusta da fare.
Abbiamo visto un verso quasi identico nel capitolo sul Karma
yoga: sreyan sva dharmo vigunah para dharmat sv anusthitat, sva
dharme nidhanam sreyah para dharmo bhayavahah, "E' meglio
198
Bhagavad gita: capitolo 18
compiere il proprio dovere anche con qualche imperfezione o
errore, o anche se questo significa affrontare la morte o la
distruzione, piuttosto che impegnarsi con successo nei doveri di
altri - il che è una scelta pericolosa" (3.35). Questa idea potrebbe
essere male interpretata (e lo è stata) da persone sciocche e
ignoranti che rimangono incapaci di comprendere la natura
particolare di ciascun individuo e la confondono con le circostanze
della sua nascita. Perciò questo verso è stato dissacrato da falsi
brahmini per insultare e maltrattare innumerevoli Satyakama
genuini e impedire loro di ottenere la giusta istruzione e l' impegno
adeguato in doveri dharmici che desideravano tanto, mentre il
dovere del brahmana dovrebbe essere quello di purificare, elevare
e addestrare le anime sincere che vogliono progredire, anche dal
livello più basso (Rig Veda 2.22.2). E' difficile calcolare la quantità
di reazioni negative provocate da una tale violazione del dovere,
arroganza e crudeltà, ma possiamo vederne i risultati tutto attorno
a noi.
Krishna ha già spiegato molto chiaramente che ogni particolare
posizione e i suoi doveri sono assegnati specificamente secondo il
guna e karma individuale, e non sono automaticamente ereditari.
Abbiamo elaborato su questo punto già parecchie volte nei
commenti precedenti, ma si può facilmente vedere che
l'affermazione di Krishna è chiara abbastanza anche da sola,
quando parla di una natura specifica individuale. Credere
ciecamente che i figli debbano essere uguali ai genitori è una
fallacia logica chiamata vrscika tanduli nyaya, "la logica dello
scorpione e del riso"; si dice che talvolta gli scorpioni depongano
le uova in un mucchio di riso per approfittare del calore dei chicchi
mentre si seccano, e quando le uova si schiudono, sembra che i
piccoli scorpioni siano nati dal riso.
Certo, quando la degradazione si diffonde e i brahmana diventano
corrotti da tamas e rajas, le persone riconosciute da loro come
199
Parama Karuna Devi
brahmana saranno sempre meno qualificate, generazione dopo
generazione, finché l'adharma viene normalmente presentato come
dharma (18.31, 18.32).
Questa è la vera causa fondamentale della degradazione della
civiltà induista, per la quale molte persone sviate e confuse
presentano l'identificazione grossolana con il corpo materiale
(casteismo, razzismo, sessismo e così via) come la forma più alta
di dharma e di dovere religioso, che scavalca tutte le
considerazioni etiche e di intelligenza, e persino l'osservazione
diretta dei veri guna e karma e realizzazioni dell'individuo.
Un chiarissimo esempio è la vita di Salabega, un famosissimo puro
devoto che amava molto Jagannatha ed era molto caro al Signore,
e le cui canzoni sono riconosciute universalmente come lo
standard più alto della bhakti e cantate da tutti a Puri e in Orissa.
Eppure, semplicemente a causa della sua nascita Salabega venne
sempre trattato come un fuoricasta, insultato e picchiato, gli venne
sempre impedito di entrare nel tempio per il darshana pubblico, la
sua casa venne data alle fiamme e gli venne negato accesso persino
al crematorio per il funerale di sua madre - una persecuzione
vergognosa che è tuttora considerata con orgoglio dai brahmini di
Puri come se fosse una dimostrazione di "purezza" negli standard
del tempio. Potremmo presentare migliaia di esempi simili dalla
storia degli ultimi 500 anni e anche dalla cronaca di attualità
specialmente in Orissa, Bihar, Haryana, e Uttar Pradesh in India,
benché il casteismo stia diventando sempre più obsoleto,
specialmente nelle grandi città dove l'occidentalizzazione della
società e della cultura ha spostato l'attenzione di pregiudizio
sociale e ingiustizia verso considerazioni finanziarie e positioni
politiche piuttosto che sul privilegio religioso.
Alcune persone protestano contro quella che chiamano
"persecuzione dei brahmini", affermando che le caste più alte (che
sono in realtà suddivisioni etniche, artificiali e irrelevanti, della
200
Bhagavad gita: capitolo 18
casta "generale" dei brahmini) sono state e sono tuttora
gravemente maltrattate e sottoposte a ingiusta discriminazione.
Non prendono però alcuna misura proattiva per migliorare la
situazione, dimostrando così di essere profondamente immersi in
tamas (18.35, 18.32, 18.39, 18.28, 18.25, 18.22, 14.13, 14.8,
14.17) e quindi non qualificati per l'elevata posizione di brahmana
che vogliono occupare, e per i diritti collegati che vorrebbero
vedersi riconosciuti.
Invece di dare la colpa ad altri, recriminare, protestare, frignare e
sognare, dovrebbero cominciare a compiere veramente il proprio
dovere e lavorare attivamente e senza paura per purificare sé stessi
e l'intera società da avidya e adharma.
Per esempio, molti di questi brahmini fasulli sono molto attaccati
alle vivande non vegetariane (quelle ordinarie acquistate sul
mercato) e per far tacere il proprio senso di colpa subcosciente,
aggrediscono e insultano regolarmente coloro che diffondono la
conoscenza dei benefici del vegetarianesimo. Inoltre, i brahmini
fasulli sono generalmente caratterizzati da odio e disprezzo verso
le donne e molti di essi sono ferocemente "anti-femministi", una
posizione ideologica che va dal giustificare lo stupro ("che ci vuoi
fare, i ragazzi sono fatti così, si devono divertire"), al picchiare e
torturare la propria moglie e altre femmine della famiglia o della
congregazione, incoraggiando il maltrattamento, la soppressione e
l'eliminazione fisica delle bambine, e divertendosi a far circolare
vignette e barzellette offensive che raffigurano le donne in modo
umiliante e degradante.
Per un brahmino che desideri diventare un brahmana, un buon
primo passo consiste nel mettersi veramente a studiare,
comprendere e applicare le istruzioni degli shastra nella propria
vita, sviluppare le qualità descritte nelle scritture e specialmente
nella Bhagavad gita (2.46, 17.23, 18.42, ecc), verificare le proprie
realizzazioni e migliorare la cultura generale della società
201
Parama Karuna Devi
impegnandosi in dibattiti pubblici a sostegno di dharma e vidya, e
celebrare sinceramente (senza scorciatoie per scopi materialistici
ed egoistici) i karma tradizionali (le attività doverose e le
cerimonie rituali) iniziando con suddhi, prayascitta e vrata per sé
stessi e per coloro che desiderano impegnarsi nel modo di vita
vedico. Poi dovrebbero continuare con il comprendere
sinceramente e osservare tutti i samskara ed elevare la propria
consapevolezza e quella degli altri attraverso esempio e istruzione,
osservando e insegnando le pratiche di yama e niyama e
addestrando adeguatamente gli altri membri della società (secondo
il guna e karma individuale di ciascuno) per le posizioni di
kshatriya e vaisya. Se sceglie di non farlo, non merita alcun
rispetto, anche se esteriormente potrebbe presentarsi come un
grande attivista religioso.
Il Vishnu dharma shastra (93.7) dichiara: na vary api prayacchet
tu vaidala-vratike dvije na baka-vratike vipre naveda vidi dharmavit, "Coloro che conoscono il dharma non dovrebbero mai offrire
nemmeno una goccia d'acqua all'ipocrita figlio di brahmana che
non ha studiato la conoscenza vedica ma segue il voto dell'anatra o
il voto del gatto". Il baka vrata ("il voto dell'anatra") è quello di
chi tiene gli occhi bassi per far mostra di umiltà e compie una
sadhana per guadagnarsi da vivere, ma è crudele, arrogante e
solitamente bugiardo. Il vaidala vrata ("voto del gatto") è quello di
chi è estremamente orgoglioso della propria posizione religiosa
(dharma dhvaji) ma è in realtà una persona ipocrita, avida,
invidiosa e violenta, dedita a calunniare le persone innocenti.
Quando i ruoli sociali e professionali sono assegnati da un guru
qualificato, una persona che abbandona il proprio dovere prescritto
per occupare un'altra posizione senza che ci sia una vera
emergenza, è solitamente spinta da un movimento capriccioso
della mente irrequieta, che può soltanto creare problemi
all'individuo e alla società: indriyasya indriyasya arthe raga
202
Bhagavad gita: capitolo 18
dvesau vyavasthitau, tayor na vasam agacchet tau hy asya
paripanthinau, "Attrazione e repulsione sono inevitabilmente il
risultato dell'interazione dei sensi con gli oggetti dei sensi; non
bisogna cadere sotto il controllo dell'una o dell'altra, perché
entrambe sono considerate ostacoli sulla via del compimento del
dovere" (3.34).
La parola vigunah significa "incompleto, con difetti, senza molto
valore, poco interessante" e si riferisce esattamente alle emozioni
negative di una persona che sta sperimentando uno stato di
depressione e di caduta di autostima a causa di qualche difficoltà
temporanea. Quando una persona non è istruita e addestrata
adeguatamente, sarà più vulnerabile all'ansietà e insicurezza,
poiché non ha una chiara visione della situazione. All'estremo
opposto abbiamo l'espressione su anusthita, che significa "fatto
molto bene, più attraente", che sposta l'attenzione dall'importanza
sociale dell'attività verso il compiacimento narcisistico per l'azione
stessa o per la posizione sociale che sembra offrire. Il guru
dovrebbe aiutare il discepolo a sviluppare questa visione chiara
(darshana), a cominciare dalla vera identità del sé (atman), il
significato di dharma, artha, kama e moksha, e il metodo
appropriato per applicarli nella propria vita attraverso lo yoga
spiegato da Krishna nella Bhagavad gita. Il termine kilbisam
significa "macchia, offesa, contaminazione, reazione negativa",
come nei versi 3.13, 4.21, 6.45; questo indica che nel compimento
sincero dei propri doveri ci possono ancora essere imperfezioni e
fallimenti, ma non bisogna prenderli troppo sul serio.
A un livello spirituale più profondo, la parola viguna è stata
interpretata come nirguna, a indicare che dobbiamo continuare a
compiere i doveri assegnati anche dopo che abbiamo trasceso le
qualità materiali della natura (3.18, 3.22, 3.23, 3.24, 3.25, 4.14,
4.20, 4.21, 4.23, 4.24, 9.9, 17.26) perché in questo modo tutti
devono continuare a lavorare fino al termine del corpo (3.4, 3.8,
203
Parama Karuna Devi
5.2, 18.9). Similmente, le espressioni sva dharma e para dharma
sono applicate rispettivamente all'atman e al non-atman, che è il
materiale che compone la mente, i sensi e il corpo.
Al riguardo, vorremmo mettere in evidenza il fatto che esiste una
differenza tra para (senza nessuna a lunga) e para (a lunga finale);
la prima significa "altro" e la seconda significa "superiore" come
in para prakriti (con la a lunga).
VERSO 48
saha jam: nato insieme; karma: l'insieme delle attività; kaunteya:
o figlio di Kunti; sa dosam: insieme a qualche difetto; api:
sebbene; na tyajet: non bisogna abbandonare; sarva arambha:
tutte le imprese; hi: in verità; dosena: con qualche difetto;
dhumena: dal fumo; agnih: fuoco; iva: similmente; avritah:
coperto.
"O figlio di Kunti, non bisognerebbe abbandonare i doveri
relativi alla propria natura congenita, anche se sembrano
imperfetti, perché tutte le attività sono necessariamente
macchiate da qualche difetto, proprio come il fuoco è coperto
dal fumo.
L'espressione saha jam ("nato allo stesso tempo") si riferisce al
guna e karma portato dall'individuo al momento della nascita, e
204
Bhagavad gita: capitolo 18
che può essere stabilito da un buon astrologo esaminando il
momento e il luogo esatto di nascita; per questa ragione
l'astrologia (Jyotisha Veda) è considerata una parte diretta e
importante della letteratura vedica.
Nei tempi antichi ogni neonato riceveva immediatamente la sua
carta astrologica natale da un astrologo di fiducia, in modo che i
genitori potessero organizzare adeguatamente le prime fasi della
sua educazione.
Nelle famiglie di brahmana veramente qualificati, tutti i familiari
mantengono sempre un alto livello di consapevolezza spirituale,
purezza mentale, buon comportamento e chiara conoscenza di
dharma e vidya, e quindi creano un ambiente particolarmente
favorevole; con il garbhadana samskara la madre viene purificata
con impressioni spirituali e religiose, e quindi al momento del
concepimento l'alto livello di coscienza dei genitori attirerà
facilmente un'anima evoluta. Qualsiasi influenza negativa può
portare risultati disastrosi, come mostra l'esempio delle circostanze
infauste della gravidanza di Diti, la moglie di Kasyapa Rishi e
madre dei grandi asura Hiranyaksha e Hiranyakasipu.
Di nuovo, dobbiamo ricordare qui che la nascita è un evento che si
applica alla persona che nasce, e non ai suoi genitori o alla
famiglia; chi prende nascita è il soggetto dell'azione. E' facile
verificare questo punto paragonando le qualità specifiche capacità intellettuali o senso etico ma soprattutto talento e abilità
professionali - tra fratelli e sorelle o persino tra figli e genitori, in
cui l'irregolarità o discordanza sono la norma e non l'eccezione:
quanti geni matematici, per esempio, provengono da famiglie in
cui tutti presentano la stessa caratteristica?
I doveri che si acquisiscono alla nascita sono quelle attività che si
riferiscono alle proprie caratteristiche congenite, che possono
essere decisamente diverse da quelle dei genitori o degli altri
205
Parama Karuna Devi
familiari, specialmente se i genitori hanno mancato di controllare il
proprio livello di coscienza durante il rapporto sessuale: in questo
caso potrebbe nascere qualsiasi tipo di persona, poiché l'atto
sessuale in sé è lo stesso per tutti i varna e anzi per tutti gli esseri
umani.
In ogni caso, durante la gravidanza e alla nascita si compiono
parecchi altri samskara per elevare e purificare il livello di
coscienza del feto, che è ancora molto impressionabile e ricettivo
all'apprendimento. Dopo la valutazione astrologica del guna e
karma del bambino, la famiglia può porre rimedio a una situazione
sfavorevole con ulteriori rituali e attività spirituali e religiose e così
via, oltre ai soliti samskara che continuano fino all'età di 5 anni,
quando il bambino viene mandato alla gurukula. Uno dei rituali
principali è l'annaprasana, che segna l'inizio dello svezzamento
dopo il compimento dei 6 mesi di vita, e consiste nel
somministrare al bambino il suo primo assaggio di cereali bolliti;
durante la cerimonia al bambino vengono mostrati vari articoli che
simboleggiano diverse tendenze (guna and karma) come libri,
attrezzi da lavoro, denaro, un'immagine della Divinità, armi e così
via. Normalmente il bambino sarà attratto da uno degli articoli più
che dagli altri, e questo viene considerato come un indizio generale
per la sua educazione.
Un bambino sotto i 2 anni di età (sisu) non viene però sottoposto
ad alcun addestramento o insegnamento morale, ed è libero o
libera di fare tutto ciò che vuole; non ci sono punizioni per le
"azioni cattive" perché un bambino così piccolo non potrebbe
veramente comprenderle. Dopo il secondo o terzo compleanno al
bambino (bala) viene insegnato gradualmente tutto ciò che è
possibile dai familiari, e all'età di 5 anni viene normalmente
mandato alla scuola residenziale; anche lì è considerato solo un
bambino e gli viene data molta libertà e tolleranza fino all'età di 12
anni.
206
Bhagavad gita: capitolo 18
Un ragazzo che ha compiuto 12 anni è chiamato kumara e viene
sottoposto a disciplina sempre più stretta dal guru, una fase dopo
l'altra: è chiamato kisora fino al suo quindicesimo compleanno e
taruna fino al diciannovesimo, dopodiché è consideratato yauvana.
Queste definizioni sono usate per stabilire i doveri specifici.
Non tutti gli studenti della gurukula saranno in grado di sopportare
l'aumento della pressione disciplinare, perciò di solito i sudra
hanno il permesso di tornare a casa all'età di 12 anni dopo aver
imparato le basi di dharma e achara, mentre i vaisya si diplomano
generalmente all'età di 15 anni, gli kshatriya all'età di 19 e i
brahmana possono continuare gli studi fino all'età di 25 anni,
dopodiché devono sposarsi e iniziare il loro lavoro per la società.
Durante il periodo di addestramento, l'individuo può elevarsi molto
più in alto della sua posizione originaria alla nascita, ma lo scopo
dell'addestramento non è quello di farlo salire a un varna più alto
di quello che era indicato dalla sua carta natale, ma piuttosto di
aiutarlo a sviluppare il proprio potenziale in accordo a dharma e
vidya, e imparare a compiere tutti i doveri prescritti per la sua
particolare natura e che gli saranno adatti e graditi. Dopo aver
raggiunto la perfezione in quei doveri, lo studente può iniziare a
prepararsi per doveri più pesanti sulla strada dell'evoluzione
personale.
E' importante capire che i varna più alti hanno in proporzione
doveri più pesanti e meno occasioni di gratificazione dei sensi fino ai brahmana, che dovrebbero sostentarsi spigolando nei campi
dopo la raccolta o raccogliere i grani caduti dai sacchi al mercato
(yayavara silonchanam vipra vrittih, Bhagavata Purana 7.11.16) e
dovrebbero sempre vivere in modo semplice e austero, senza
indulgere nel piacere dei sensi.
L'espressione saha jam ("nato insieme") è bilanciata in modo
elegante dall'espressione simmetrica sa dosam ("con difetti"), a
207
Parama Karuna Devi
indicare che all'inizio ogni impresa o lavoro appare difficile o
imperfetto, ma non bisogna lasciarsi scoraggiare dalla scarsità dei
risultati o dal fallimento. Per questo dobbiamo praticare i nostri
doveri regolarmente (sadhana) per migliorare. Nessun lavoro è
perfetto o completamente piacevole, perché ci saranno momenti
noiosi, faticosi, e persino spiacevoli, pericolosi e dolorosi, eppure
non bisogna mai arrendersi: questo è l'unico modo in cui possiamo
raggiungere la perfezione (samsiddhi).
L'esempio del fuoco coperto dal fumo (dhumena agnih avritah) è
meravigliosamente bello. Quando accendiamo un fuoco
(specialmente per frizione, come si faceva nei tempi antichi), il
fumo è la prima cosa che si vede, poi appare una fiammella, e se la
alimentiamo nel modo giusto con il combustibile adatto, otteniamo
un bel fuoco ardente; allora possiamo mettere un carico di legna
maggiore e alla fine tutto viene consumato e rimangono braci e
cenere. Così all'inizio dell'addestramento troviamo la maggior
parte delle difficoltà e delle scomodità (yat tad agre visam iva
pariname 'mritopamam, "la felicità che sembra veleno all'inizio ma
diventa nettare alla fine", 18.37) specialmente se non avevamo
fatto pratica nelle vite precedenti (6.41-6.45). Prima di vedere dei
progressi consistenti, dobbiamo bruciare una quantità notevole di
impurità che offuscano la nostra visione e incrostano la nostra
buona volontà, e che fanno un sacco di fumo puzzolente.
Poi un bel giorno abbiamo improvvisamente qualche meravigliosa
realizzazione, come una piccola fiamma che sembra scaturire dal
nulla, e cominciamo a vedere la luce; da quel momento il nostro
desiderio di migliorare e progredire diventa sempre più caldo e
radioso, e il fuoco brucia. Tutte le cose buone (studio, austerità,
carità, rituali e via dicendo) che offriamo nel fuoco lo rendono più
luminoso, finché la nostra luce si vede anche da lontano, e niente
più può fermare l'ardore della nostra realizzazione e
consapevolezza.
208
Bhagavad gita: capitolo 18
Alla fine, quando il processo è completo e tutto il combustibile è
stato digerito e assorbito in una coscienza stabile e chiara che può
rimanere calda per moltissimo tempo senza essere ulteriormente
nutrita, e che può immediatamente accendere altri fuochi di
consapevolezza semplicemente per contatto.
Applicate all'evoluzione dell'individuo da un livello di doveri
all'altro, le braci della consapevolezza stabile vengono a contatto
con una qualità di combustibile differente e più pulito - come il
burro chiarificato e la canfora, per esempio, che simboleggiano la
coscienza pura e trascendentale, che dà al fuoco diverse funzioni,
spostandolo gradualmente dal calore alla luce, finché rimane solo
la luce.
Abbiamo già chiarito la differenza tra dharma e adharma, l'uno
descritto come sat o daivi e l'altro come asat o asuri; dunque
parlando di sva dharma che segue la sva bhava individuale, non
possiamo mai applicarlo all'asurim bhava, perché non esiste
qualcosa che potremmo chiamare dharma criminale. Una persona
che è nata in una situazione svantaggiata, in una famiglia o
comunità degradata, dovrebbe dunque essere aiutata in tutti i modi
possibili se desidera purificarsi ed elevarsi. E' vero che è nato in
quella situazione a causa del suo karma passato, ma il cattivo
karma non è assoluto ed eterno, e può essere cambiato in qualsiasi
momento semplicemente impegnandosi in karma o azioni positive,
o anche semplicemente accettando la conoscenza trascendentale
(2.39, 2.50, 2.51, 3.9, 3,31, 4.14, 4.19, 4.20, 4.23, 4.37, 4.41, 9.28).
Similmente, dobbiamo rimanere coscienti di dharma e vidya in
tutte le posizioni sociali e professionali; un sudra può rifiutarsi di
eseguire gli ordini di un padrone cattivo e adharmico, e in effetti
dovrebbe abbandonarlo per trovare un impiego migliore.
Chiunque può e deve osservare se i vaisya e specialmente gli
ksahtriya (e persino i brahmana) sono impegnati in azioni
209
Parama Karuna Devi
dharmiche oppure no; per la protezione della società intera i
brahmana vedici devono ammonire, riformare o se necessario
anche eliminare questi leader senza qualificazioni. Tornando
all'esempio del fumo che copre il fuoco nei suoi primi stadi: il
fumo non rende impuro il fuoco ma può ammazzarci se restiamo in
un ambiente chiuso e continuiamo a respirarlo - cioè se rimaniamo
attaccati alle cattive abitudini e ai difetti, o se si continuano a
compiere attività tossiche per propria scelta o seguendo gli ordini
di altri.
Abbiamo già spiegato che l'importanza di rimanere fedeli al
proprio dovere prescritto si basa sul fatto che tali doveri sono
studiati specificamente e scientificamente per l'evoluzione
dell'individuo, e non per dargli profitto materiale, comodità e
successo.
Le persone sono solitamente molto interessate a discutere dei
propri diritti (o di quelli che percepiscono come i loro diritti, a
volte erroneamente) e non altrettanto interessate a discutere dei
loro doveri; se cercate di mettere l'argomento sul tavolo si
offendono e fanno del loro peggio per vendicarsi in modo aperto o
nascosto, dimostrando ulteriormente la loro completa mancanza di
qualificazioni.
Krishna ha affermato molte volte che bisogna compiere i propri
doveri sinceramente e al meglio delle proprie possibilità, ma senza
essere attaccati a successo o fallimento in qualche azione specifica
(2.38, 2.48, 3.35, 4.22, 16.15, 18.26), perciò dovrebbe essere
chiaro che lo scopo dell'impegno è l'apprendimento, non semplicemente ottenere un risultato materiale. Imparare ed evolversi hanno
un valore eterno, perché li portiamo con noi da una vita all'altra,
mentre le cose materiali che otteniamo in questo mondo sono
sempre molto temporanee e quindi hanno poco significato in sé
stesse; raramente ci rendono migliori come persone, e senza
un'evoluzione superiore della coscienza nei membri della società,
210
Bhagavad gita: capitolo 18
tutti i successi tecnologici restano incapaci di portare la felicità,
perché verranno facilmente usati male e causeranno più problemi
che soluzioni.
VERSO 49
asakta buddhih: con un'intelligenza distaccata; sarvatra: in tutte le
circostanze; jita atma: con il controllo di sé; vigata sprihah:
avendo abbandonato l'attaccamento per il contatto; naiskarmya
siddhim: la perfezione del naiskarma; paramam: suprema;
sannyasena: la rinuncia; adhigacchati: si raggiunge.
"Si raggiunge la perfezione suprema del naiskarma attraverso
il sannyasa, che è l'intelligenza distaccata applicata a tutte le
circostanze, e (anche) stabilendosi nell'autocontrollo e abbandonando le associazioni.
Krishna aveva già discusso il significato di sannyasa in parecchi
versi (3.4, 3.30, 4.41, 5.3, 5.6, 5.13, 6.1. 6.2, 6.3, 6.4, 6.38, 8.11,
9.28, 12.6) e poi ancora su richiesta di Arjuna nel capitolo 18
elabora sulla differenza tra sannyasa e tyaga (18.1 to 18.12).
Inoltre, il capitolo 5 era completamente dedicato al Sannyasa yoga.
Da tutte queste istruzioni possiamo comprendere che l'atto della
rinuncia in sé stesso, come nel sannyasa ashrama, ha differenti
valori e differenti risultati a seconda della consapevolezza e delle
motivazioni.
211
Parama Karuna Devi
Una rinuncia superficiale ed esteriore priva di vera realizzazione
non porterà buoni risultati (3.4) ma soltanto sofferenze (5.6)
perché nessuno può veramente smettere di agire (3.5) finché il
corpo rimane in vita. Dunque il vero sannyasi è chi compie i propri
doveri prescritti nella società senza essere legato da ahankara e
mamatva (5.3, 5.13, 12.6, 18.5, 18.6, 18.7, 18.9, 18.10, 18.11), non
chi si rifiuta di accendere il fuoco e rimane ufficialmente senza
lavoro e senza famiglia (6.1).
Dobbiamo dunque distinguere attentamente quando il termine
sannyasa è usato nel senso superficiale o nel suo vero significato.
La chiave per comprendere il vero significato del sannyasa è la via
per moksha enunciata all'inizio di questo verso dall'espressione
asakta buddhih sarvatra, che può essere tradotta come "usando
l'intelligenza per rimanere distaccato in ogni circostanza", come
abbiamo visto in molti versi precedenti.
In effetti il punto focale dell'intera Bhagavad gita è il Buddhi yoga
(benché nessun capitolo porti specificamente questo nome), la
coscienza risvegliata che ci permette di rimanere collegati e uniti
attraverso il distacco. Può suonare come una contraddizione, ma
consideriamo l'esempio di un padre, che ha molti figli: può
rimanere collegato con tutti solo soltanto se rimane distaccato dalle
loro differenze, errori, caratteristiche specifiche o aspetto esteriore,
e mantiene un approccio equanime. Il momento stesso in cui
diventa attaccato a uno di loro, perderà la concentrazione sugli
altri, e in ultima analisi perderà anche l'oggetto del suo
attaccamento, perché l'attaccamento non è amore.
L'espressione jita atma è molto interessante: significa "avendo
conquistato sé stesso". Proprio come il termine sannyasa può
essere usato a livelli diversi, la parola atma può riferirsi all'anima
(atman, jivatman) o alla mente, ai sensi e persino al corpo. Tutti i
differenti significati rimangono validi perché le persone che sono
212
Bhagavad gita: capitolo 18
situate su diversi livelli di evoluzione personale hanno bisogno di
collegarsi con il sé e con la rinuncia a seconda delle loro particolari
capacità. Così all'inizio della via dello yoga bisogna iniziare a
controllare il corpo e i sensi (yama, niyama, asana, pranayama) e
poi si diventa capaci di controllare la mente (dharana, dhyana,
samadhi). Al livello del samadhi, l'atman è conquistato nel senso
che lo yogi ha vinto il premio più grande: la percezione e
realizzazione diretta della propria identità trascendentale. E allora
può impegnarsi nell'azione puramente spirituale (18.54).
Similmente, sul livello di neofita c'è bisogno di compiere i
movimenti esteriori dell'accettare l'ordine di sannyasa e seguire le
rigide regole e norme, che sono come stampelle per lo sviluppo
della propria consapevolezza - un viaggio che normalmente
richiede molte vite (7.19).
La pratica regolata della rinuncia creerà un'abitudine positiva
(18.37) modellando la mente in sattva e infine visuddha sattva; Su
quel livello ci si può impegnare in qualsiasi varna o ashrama e
compiere i doveri connessi senza venire toccati da alcuna
contaminazione, come Krishna affermerà chiaramente a
conclusione del capitolo (18.66).
Arriviamo così alla successiva espressione interessante del verso vigata spriha. Alcuni commentatori hanno tradotto come "senza
desideri/ senza aspirazioni", ma il significato letterale è "(quando)
il contatto/ il toccare è completamente andato/ eliminato".
L'abbiamo visto nei versi 2.56 (vigata spriha), 2.71 (nihsprihah),
4.14 (na me spriha), 6.18 (nihsprihah), e in senso negativo nel
verso 14.12.
La parola spriha è strettamente imparentata con sparsa
("contatto"), come abbiamo visto nei versi precedenti: matra
sparsas tu kaunteya sitosna sukha duhkha dah, "il contatto dei
sensi (con gli oggetti dei sensi) causa gioia e dolore proprio come
il freddo e il caldo" (2.14); ye hi samsparsa ja bhoga duhkha
213
Parama Karuna Devi
yonaya eva te, "Quei piaceri che derivano dal contatto (con gli
oggetti dei sensi) sono causa di sofferenze future" (5.22); sparsan
kritva bahir, "mantenendo gli oggetti di contatto all'esterno"
(5.27); sukhena brahma samsparsam, "rimane facilmente in
contatto con il Brahman" (6.28).
Parecchi versi avevano già menzionato siddhi o samsiddhi (18.45,
18.46, ma anche 3.20, 8.15, 12.10, 14.1); specificamente il verso
3.4 dichiarava: na karmanam anarambhan naiskarmyam puruso
'snute, na ca sannyasanad eva siddhim samadhigacchati, "Una
persona non può ottenere la libertà dal karma astenendosi
dall'azione, proprio come la perfezione non può essere raggiunta
semplicemente attraverso il sannyasa."
Come possiamo riconciliare il verso 3.4 con il verso qui presente,
che afferma che la perfezione suprema del naiskarma si raggiunge
attraverso il sannyasa (naiskarmya-siddhim paramam sannyasena
adhigacchati)?
Semplicemente ricordando che il termine sannyasa può avere un
livello più basso o neofita, e un livello più alto e trascendentale,
come abbiamo già elaborato sul significato dell'espressione jita
atma.
Qui Krishna stabilisce chiaramente che il significato del termine in
questo verso particolare è verificato dalla presenza dell'intelligenza
distaccata in ogni circostanza (asakta buddhi sarvatra), l'autentica
padronanza di sé (jita atma) e il vero distacco da ogni
identificazione e associazione (vigata spriha).
Finché un sannyasi manca di queste caratteristiche, non può
raggiungere la perfezione suprema del niskarma.
Per una persona che ha raggiunto questa perfezione non ci sono
più doveri da compiere: yas tv atma ratir eva syad atma triptas ca
manavah, atmany eva ca santustas tasya karyam na vidyate, "Un
214
Bhagavad gita: capitolo 18
essere umano che ama il sé certamente trova soddisfazione e pace
nel sé: questa persona non ha bisogno di compiere alcuna azione"
(3.17).
VERSO 50
siddhim: perfezione; praptah: raggiunta; yatha: similmente;
brahma: Brahman; tatha: anche; apnoti: ottiene; nibodha: dovresti
comprendere; me: da me; samasena: in breve; eva: certamente;
kaunteya: o figlio di Kunti; nistha: posizione stabilita; jnanasya:
della conoscenza; ya: che; para: suprema/ trascendentale.
"O figlio di Kunti, dovresti comprendere da me che quando
tale perfezione è raggiunta, si raggiunge il Brahman. In breve,
questa realizzazione è la conoscenza suprema.
La perfezione alla quale si riferisce questo verso consiste nel
compiere le attività dei propri doveri in completa dedizione al
servizio del Supremo, e senza alcuna motivazione egoistica,
attaccamento o identificazione (vedi il verso precedente, 18.49).
Quando si è fermamente situati in questa consapevolezza (nistha),
tutte le posizioni nell'universo sono immediatamente trasformate in
puro servizio devozionale, perché il Brahman è ovunque e in ogni
cosa (sarvatra).
A questo livello la separazione tra materia e spirito perde
importanza perché ogni cosa è in ultima analisi spirito (Brahman).
215
Parama Karuna Devi
Si tratta di una comprensione più avanzata della Realtà - proprio
come nell'aritmetica elementare ci viene insegnato che non si può
sottrarre un numero più grande da un numero più piccolo, ma nelle
lezioni successive di algebra impariamo che è vero anche il
contrario.
Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno della guida diretta e
personale di un guru realizzato, che è stabilito sul livello più alto
(nistha) dal quale può vedere in che modo i due apparenti opposti
possono venire riconciliati, e come il metodo di insegnamento
deve procedere in modo graduale secondo la comprensione dello
studente.
Il sistema vedico offre una varietà di approcci alla stessa via
fondamentale dello Yoga, dove la parola yoga definisce l'essenza
della spiritualità e della religione come viene spiegato abbondantemente nei molti capitoli della Bhagavad gita. In questo senso, lo
Yoga non è semplicemente uno dei darshana della tradizione
vedica, ma è la tradizione vedica in sé - la sua essenza, il suo
significato, la sua radice, sorgente e base. Il karma kanda (Purva
mimamsa) è Karma yoga, il jnana kanda (Uttara mimamsa) è
Jnana yoga, il sistema del Sankhya è Sankhya yoga, il Nyaya è
Buddhi yoga e Vijnana yoga, la filosofia Vaisesika è Vibhuti yoga
e Visvarupa darshana yoga, e ci sono ancora altri darshana nella
Bhagavad gita - come il Taraka brahma yoga, il Sannyasa yoga e il
Moksha yoga, che vanno persino al di là delle scritture e cercano la
realizzazione nella contemplazione diretta dell'atman/ brahman.
Questo è il vero, immenso contributo liberatorio della Bhagavad
gita, offerto da un'era all'altra (4.1) al genere umano come
l'essenziale integrazione di tutti i metodi di studio.
La Bhagavad gita non è intesa ad affermare la superiorità settaria
dell'adorazione formale o della devozione sentimentale a un
particolare Dio - Krishna - sopra i "semidei" o a predicare una via
216
Bhagavad gita: capitolo 18
esclusiva di rinuncia formale e assenteismo dalle "cose illusorie
del mondo". Attraverso la Bhagavad gita, Krishna ci insegna che
siamo tutti, direttamente e indirettamente, membra del corpo del
Purusha Supremo (Purushottama, capitolo 15, che è l'origine del
Brahman, 14.27) e in quanto tali abbiamo dei precisi doveri in
questo universo attraverso i quali possiamo contribuire alla felicità
e al progresso del corpo intero. Il servizio devozionale è la chiave
per la nostra evoluzione individuale e la formazione di una società
perfetta in cui ciascun individuo viene sostenuto, protetto e
impegnato e curato, ciascuno abbastanza comodamente per il suo
particolare guna e karma ma con la quantità di pressione appena
sufficiente a fare sforzi per migliorare. E' così che il potenziale
umano può sbocciare in tutto il suo splendore e la sua gloria.
Questo è il vero Yoga.
La prima parte del verso è focalizzata sulla simmetria di yathatatha, che significa "allo stesso tempo, nello stesso modo" e
collega la perfezione (siddhi) con il Brahman, la Coscienza
suprema che include l'intera Realtà. Questo è lo stadio finale
(nistha) della rinuncia (sannyasa) e della liberazione (moksha), che
è l'argomento di questo capitolo. Abbiamo già elaborato sul fatto
che Brahman (Paramatma, Bhagavan) è la realtà della coscienza o
conoscenza (tattvam yaj jnanam advayam, Bhagavata Purana,
1.2.11) e che i jivatman sono le sue parti o membra (amsa, 15.7).
Tutto ciò che è meraviglioso e bello in questo mondo è manifestato
da una parte della radiosità del Brahman (tejo amsa sambhavam,
10.41), come conferma il Bhagavata Purana: etan nanavataranm
nidhanam bijam avyayam, yasyamsena srijyante deva tiryan
naradayah, "Da questi molti avatara (Karanodakasayi Vishnu,
Garbhodakasayi Vishnu, Kshirodakasayi Vishnu) deriva il seme
indistruttibile (anu atman, aham bija pradam, 14.4) che manifesta
tutte le esistenze come i deva, gli animali, gli esseri umani e tutte
le altre creature" (1.3.5).
217
Parama Karuna Devi
Le tre successive forme di Vishnu sono dette purusha avatara
("manifestazioni del principio personale di coscienza nel mondo");
il primo è chiamato anche Narayana ("il rifugio degli esseri
umani") che è disteso (sayi) immerso in yoga nidra o maha maya
nel Karana ("delle cause") udaka ("oceano") conosciuto anche
come mahat tattva brahman, e a ciascuno dei suoi cicli di
respirazione tutti gli innumerevoli universi vengono creati e
distrutti.
Poi una svamsa ("parte completa/ unita") entra in ciascuno di
questi universi e riposa (sayi) sul Garbha ("embrione") udaka
("oceano"), dando nascita attraverso il proprio ombelico
all'Hiranyagarbha ("l'embrione d'oro" o "l'uovo d'oro") che è
Brahma, la prima creatura e il creatore di ciascun universo.
Simultaneamente, Narayana si manifesta anche in una forma
localizzata in prapanchika vaikuntha, un duplicato del pianeta (o
dimensione) Vaikuntha all'interno di questo universo - una specie
di ambasciata di Vaikuntha nel mondo materiale - e quindi viene
chiamato Kshira ("latte") udaka ("oceano") sayi ("disteso").
Questa dimora di Vishnu nell'oceano di latte è l'isola Trikuta ("tre
montagne") chiamata anche Svetadvipa ("l'isola bianca") e
Dhruvaloka o stella polare, attorno alla quale tutte le altre stelle e
pianeti girano in tondo: qui Brahma e i Deva possono avvicinare
Vishnu per chiedergli aiuto per proteggere l'universo.
Poiché il numero di universi è illimitato, ci sono certamente molti
di questi svamsa avatara nella manifestazione materiale; da loro
emanano tutti i jivatman o anu atman, che sono i semi della vita e
della coscienza, iniziando come minuscoli atomi che si incarnano
nel mondo per evolversi.
218
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 51
buddhya: con intelligenza; visuddhaya: completamente purificata;
yuktah: impegnata; dhritya: con determinazione; atmanam: il sé;
niyamya: regolando; ca: e; sabda adin: a cominciare dal suono;
visayan: gli oggetti dei sensi; tyaktva: abbandonando; raga
dvesau: sia attrazione che repulsione; vyudasya: mettendo da
parte; ca: e.
"Impegnandosi con determinazione e un'intelligenza completamente purificata, seguendo il metodo prescritto, e lasciando
andare tutti gli oggetti dei sensi a cominciare dal suono, e
anche attrazione e repulsione,
L'intelligenza (buddhi) è la chiave e lo strumento per raggiungere
il vero successo sia sul livello materiale (in dharma, artha, kama,
moksha, resa possibile da sattva, 14.16) che sul livello spirituale;
per rimanere sul piano spirituale (nistha) bisogna però che
l'intelligenza sia completamente purificata e quindi possa elevarsi
al di sopra del sattva materiale. Il termine visuddha
("completamente purificato") è usato anche per indicare quel
livello di sattva ("bontà") che non è contaminato da alcuna
considerazione materiale, quindi la visuddha buddhi si trova oltre
l'intelligenza materiale e costituisce la posizione più alta possibile
dalla quale possiamo realizzare la Verità assoluta - Brahman,
Paramatma, Bhagavan Purushottama. Naturalmente l'espressione
può significare anche "purificato dall'intelligenza", poiché quando
219
Parama Karuna Devi
l'intelligenza è pura, la consapevolezza non è coperta dalla
contaminazione.
Altri commentatori hanno spiegato che visuddha buddhi significa
anatmani atma buddhi nivrittan, "la fine del pensare al sé come al
non sé", o in altre parole, l'abbandonare l'illusione fondamentale
dell'identificazione materiale (ahankara e mamatva).
Il processo di purificazione richiede determinazione (dhriti) perché
bisogna seguire sinceramente il metodo giusto e le sue regole
(niyama) e abbandonare tutto l'attaccamento, l'attrazione e la
repulsione verso gli oggetti dei sensi. Non si tratta di una scelta da
fare una volta per tutte, ma di un'abitudine che si ripete ogni
giorno, perché finché abbiamo un corpo materiale, i nostri sensi e
la nostra mente materiale saranno soggetti al potere dei guna
(18.40) e alle onde e ai movimenti delle loro interazioni. Lo scopo
dello Yoga consiste nel distaccarsi da queste onde e movimenti,
elevando la nostra coscienza al di sopra dell'oceano dell'esistenza
materiale, così che la nostra mente non sia più turbata dalle vritti.
Ciò è possibile soltanto quando la mente è fortemente concentrata
sulla contemplazione trascendentale dell'atman/ brahman.
Alcune persone tentano di meditare "sul vuoto", pensando
scioccamente che lo scopo dello Yoga sia quello di "liberarsi dalla
mente", ma si tratta di un'illusione; se sembrano avere successo, è
perché hanno immerso la propria coscienza nel tamas, e dunque
nulla si muove, ma è soltanto a causa dell'inerzia e dell'oblio,
proprio come la mente di un essere umano lobotomizzato o di una
creatura meno evoluta, come una pianta o una roccia.
Dobbiamo seguire il metodo giusto (niyamya) nella meditazione,
perché una semplice fantasia o speculazione non avrà lo stesso
effetto dell'applicazione dedicata del sistema autentico e
scientifico. La parola yukta deriva dalla stessa radice della parola
yoga, e indica "unione, connessione, impegno, relazione, controllo,
220
Bhagavad gita: capitolo 18
regolazione"; possiamo comprendere meglio il significato dello
Yoga applicando tutte queste accezioni al nostro sadhana.
L'espressione sabda adin, che significa "tutte quelle (cose), a
cominciare dal suono", è molto interessante. Al livello più
semplice, indica i vari oggetti dei sensi o funzioni dei sensi come il
suono, la forma e il colore, il tatto, il gusto e l'odorato. A un livello
più profondo, si riferisce al fatto che tutte le creazioni materiali
cominciano con il suono - prima sottile, poi grossolano, e in
seguito si sviluppano in forme e poi in contatto fisico.
Possiamo facilmente verificare questo fatto scientifico con un
semplice esperimento: concentriamo l'attenzione su un suono
mentale, preferibilmente una parola, e potremo osservare in che
modo la mente segue i sensi ricordando una forma che corrisponde
a quella parola o suono, e poi come i sensi d'azione inviano
l'impulso del movimento per andare a toccare quell'oggetto dei
sensi. C'è il famoso esercizio della parola "limone";
concentrandosi sul nome/ suono/ idea "limone", i nostri sensi
interiori ci presenteranno immediatamente l'immagine di un
limone e anche il suo gusto acido, recuperandolo da memorie
precedenti.
La purificazione della mente inizia quindi dai suoni, più
specificamente con il pranava omkara e i maha mantra composti
dai nomi di Dio, dalle descrizioni degli insegnamenti, delle attività,
delle qualità e delle forme di Dio, e da altri suoni di buon augurio
prodotti dal soffiare nelle conchiglie, suonare campanelle e così
via. Circondandoci regolarmente da questi suoni spirituali, il
ricordo dei suoni di cattivo augurio verrà spinta fuori dalla
memoria e pian piano la mente li abbandonerà completamente
perché ha trovato un gusto migliore (2.59).
La perfezione di questa meditazione si chiama sakalpa o
samprajnata samadhi, l'assorbimento costante della mente su idee
221
Parama Karuna Devi
o oggetti dei sensi trascendentali, come mantra, stuti, vigraha, lila,
e così via. Soltanto dopo aver raggiunto questo livello si può
mirare a superarlo e raggiungere il nirvikalpa o asamprajnata
samadhi, lo stato originario dell'atman/ brahman, dove non c'è
sankalpa ("desiderio, scopo") o jnata ("oggetto della conoscenza"),
poiché non c'è più dualità, spazio o tempo, e l'atman è
completamente unito al brahman, eppure rimane distinto nel
servizio e nella relazione. Chi non ha sperimentato la trascendenza
non sarà capace di comprendere come questo sia possibile, perché
non si tratta di un concetto che può essere spiegato a parole o
percepito dai sensi o dalla mente. Eppure è molto reale, in effetti
più reale degli oggetti materiali e della coscienza materiale;
nell'asamprajnata samadhi tutto è contenuto in un bindu ("punto/
goccia"), un po' come Arjuna sperimentò tutta la vastità
dell'universo in un singolo punto contemplando la Virata Rupa. E'
un'esperienza che non ha nulla a che fare con il sunyata ("vuoto").
La parola vyudasya ("mettendo da parte") è un'istruzione molto
pratica per la meditazione, sia per i neofiti che per gli studenti
avanzati. La mente è irrequieta e sempre ansiosa di trovare
qualcosa di nuovo e interessante, perciò continua a correre
dappertutto e ci porta delle cose da vedere, come un bambino
entusiasta che ha trovato oggetti meravigliosi e strani nella sua
esplorazione del mondo - un ciottolo con una forma particolare,
una piuma persa da un uccello, un pezzetto di vetro rotto, un fiore
e così via (a volte anche cose disgustose).
Krishna ha già raccomandato di fare amicizia con la mente (6.5,
6.6) e trattarla in modo affettuoso ma con fermezza, come si
farebbe con un bambino irrequieto che deve impegnarsi in qualche
compito importante di apprendimento: sanaih sanair uparamed
buddhya dhriti grihitaya, atma samstham manah kritva na kincid
api cintayet, yato yato niscalati manas cancalam asthiram, tatas
tato niyamyaitad atmany eva vasam nayet, cancalam hi manah
222
Bhagavad gita: capitolo 18
krisna pramathi balavad dridham, tasyaham nigraham manye
vayor iva su duskaram, asamsayam maha baho mano
durnigraham calam, abhyasena tu kaunteya vairagyena ca
grihyate, "Abbandonando gradualmente attaccamenti e distrazioni
grazie all'uso dell'intelligenza e con uno sforzo determinato,
bisogna fissare la mente nel Sé/ atman e smettere di preoccuparsi/
di pensare a qualsiasi altra cosa. La mente è instabile e impaziente
di andarsene in giro. Ogni volta che sfugge, bisogna riportarla
sotto controllo e regolarla in modo che rimanga controllata nel Sé/
atman. In verità la mente è irrequieta, turbolenta, potente e
ostinata; controllarla è più difficile che controllare il vento. Ma
sebbene la mente sia così irrequieta e difficile da gestire, può
essere controllata con la pratica e il distacco." (6.25, 6.26, 6.34,
6.35).
Dovremmo dunque sederci in meditazione, in una posizione
confortevole (asana) in modo da non essere distratti dal nostro
corpo, poi dobbiamo calmare e purificare la mente attraverso la
corretta respirazione (prayanama) e imparare a smettere di
ascoltare i messaggi esterni (pratyahara) così da fissare la mente
(dharana) su un suono trascendentale (mantra) e su una forma
trascendentale (vigraha, yantra). Ogni volta che la mente viene
distratta da oggetti esteriori o interiori, ogni volta che salta fuori
con qualche altra idea o ricordo, dovremmo dire, "grazie, ma
adesso ho da fare" e tornare alla contemplazione corretta.
A volte è utile prendere velocemente nota (con carta e penna) se
abbiamo l'impressione che un'idea presentata dalla mente possa
risultare particolarmente utile alla nostra vita quotidiana; così la
mente si sentirà soddisfatta vedendo che le abbiamo dato un po' di
attenzione.
Dobbiamo però rimanere neutrali verso tutte le impressioni,
emozioni, ricordi e così via, perché sia l'attrazione che la
repulsione rafforzeranno l'interesse della mente e creeranno un
223
Parama Karuna Devi
attaccamento, e la repressione è persino peggio perché dà al
problema un'importanza e un potere eccessivi.
Semplicemente dobbiamo prendere coscienza del messaggio e
lasciarlo andare. Pian piano, la mente imparerà ad apprezzare gli
oggetti trascendentali e diventerà più tranquilla e concentrata,
senza lasciarsi turbare dalle ondate dei guna (2.70).
VERSO 52
vivikta sevi: vivendo da solo in in luogo tranquillo; laghu asi:
mangiando con moderazione e cibi leggeri; yata: avendo
controllato; vak: la parola; kaya: il corpo; manasah: (e) la mente;
dhyana yoga: nel dhyana yoga; parah: dedicato a; nityam:
costantemente; vairagyam: rinuncia; samupasritah: avendo preso
rifugio.
"vivendo da solo/ in un luogo isolato, mangiando con
moderazione, controllando la parola, il corpo e la mente,
prendendo rifugio nella rinuncia, e costantemente immerso
nella meditazione,
Krishna riassume qui i punti essenziali di yoga e sannyasa che
conducono a moksha. Il verso precedente (18.51) affermava
chiaramente che bisogna innanzitutto essere determinati a
224
Bhagavad gita: capitolo 18
purificare la propria intelligenza da ahankara e mamatva, seguire
le regole di yama e niyama, e diventare completamente distaccato
sia da attrazione che da repulsione, lasciando andare tutti gli
oggetti dei sensi, a cominciare dal suono - inquinamento acustico,
la socializzazione inutile e priva di significato, le chiacchere
continue della mente e così via. In questo verso Krishna riconosce
che è estremamente difficile farlo se non si vive da soli, in un
posto tranquillo e solitario, per non dover avere a che fare anche
con le continue chiacchere della mente di qualcun altro (oltre a
quelle della propria), e con la socializzazione sciocca e superficiale
e il chiasso creati delle persone stupide. E oggigiorno la situazione
è ancora peggio di quanto fosse la società ai tempi di Krishna.
A volte le persone religiose influenzate da tamas credono che se
qualcosa è buono, una quantità maggiore di quella cosa sarà anche
meglio, perciò distorcono e sfruttano l'idea di diffondere suoni di
buon augurio per il beneficio di tutti. La civiltà vedica non usava
altoparlanti e certamente non richiede di far funzionare
amplificatori di grande potenza al massimo volume per far sentire i
kirtana o bhajana a 10 km di distanza, creare problemi di udito,
confusione mentale e dolore fisico a tutti quelli che vivono in
un'area più vicina (entro 1 km di raggio, per esempio) e
danneggiare i timpani, il cervello e il sistema nervoso di coloro che
si trovano in piedi o seduti ancora più vicino (diciamo a 10 metri).
Abbiamo visto che il tamas crea assuefazione e dipendenza verso
un volume eccessivamente alto di musica, perché l'aggressione del
suono al cervello e al sistema nervoso viene inerpretata dal corpo e
dalla mente condizionati come uno stimolo piacevole.
Le persone normali, specialmente i bambini e anche gli animali
sono semplicemente disturbati e spaventati dall'inquinamento
acustico, che può provocare aborti nelle donne e nelle mucche
come descrivono gli shastra in riferimento a suoni molto potenti
come le conchiglie di guerra degli asura. In realtà i suoni sattvici
225
Parama Karuna Devi
descritti negli shastra in riferimento agli ashrama sono molto dolci
e sommessi, sullo stesso livello di decibel del canto di uccelli
sparsi per la foresta.
Quindi vivikta sevi ("vivere da soli") è una precisa istruzione di
Krishna. Era già stata raccomandata in versi precedenti: yogi
yunjita satatam atmanam rahasi sthitah, ekaki yata cittatma
nirasir aparigrahah, "Uno yogi dovrebbe praticare costantemente
la meditazione sull'atman vivendo da solo in un luogo tranquillo,
mantenendo accuratamente la coscienza e la mente sotto controllo,
libero da aspettative e dall'attaccamento alle acquisizioni materiali/
senza dipendere da altri" (6.10).
Poiché attualmente il nostro mondo è sovrappopolato e la società e
il governo non sono favorevoli alla pratica autentica dello yoga,
potrebbe essere difficile trovare un luogo adatto per vivere e
praticare la meditazione, in una città congestionata o persino nelle
vicinanze di qualche tempio rumoroso o qualche "yoga ashrama",
perciò dobbiamo adattarci il meglio possibile. Per esempio, è
sempre consigliabile avere una propria stanza (cioè una stanza che
non sia usata anche da altre persone) e dire a tutti che stiamo
praticando mauna (il silenzio), così da poter evitare i pettegolezzi e
le chiacchere e la socializzazione superficiale. Il telefono è un'altra
causa primaria di distrazione e frustrazione, perciò è meglio
spegnerlo o tenere una segreteria telefonica, per far sapere alla
gente che preferite ricevere messaggi e richiamerete appena
possibile.
Un altro fattore estremamente importante nella vita spirituale e
nella sadhana è la scelta del cibo (asi, "mangiare, consumare,
assorbire"). Era menzionato anche nel verso 6.17 (yukta ahara,
"mangiare in modo controllato"), e confermato in molti versi del
Bhagavata Purana (mita bhuk, 3.27.8, 7.12.6, 11.11.30, mita
vanya bhuk, 4.8.56, mita adanam vivikta ksema sevanam, 3.28.3,
nihsanga aparigraha ekah vivikta saranah mita asanah, 7.15.30).
226
Bhagavad gita: capitolo 18
Questo naturalmente si applica sia al cibo del corpo che a quello
della mente. Vivendo da soli in un posto tranquillo, possiamo più
facilmente scegliere il cibo che vogliamo dare alla mente, senza
disturbi o interruzioni esterne, e similmente lo yogi che vive nella
foresta o tiene un piccolo orto o giardino di permacoltura nel suo
bhajana kutir o ashrama può procurarsi del cibo buono e leggero
che è adatto alla sadhana.
E' risaputo che la dieta di uno yogi si basa su frutta e verdura
fresche, specialmente erbe e foglie (patram puspam phalam toyam,
9.26), radici commestibili (Bhagavata Purana 4.23.5, 10.20.28,
11.18.2, vanya bhuk, 11.29.42, 12.2.9), noci, e latte prodotto dalle
mucche dell'ashrama o di casa, che tornano alla stalla la sera dopo
aver pascolato nella foresta o nelle terre non coltivate attorno al
posto isolato dove vive lo yogi.
Occasionalmente lo yogi (brahmana, sadhu, brahmachari,
vanaprastha o sannyasi) può recarsi in qualche villaggio e
raccogliere elemosine sotto forma di cereali e semi (riso, grano,
orzo, sesamo, fagioli e così via) e tenerne una piccola scorta in
cucina, specialmente per cucinare piccole quantità di belle offerte
di bhoga per la Divinità nelle occasioni di festa. Con una fornitura
sufficiente di acqua fresca e pura, e qualche occasionale prodotto
delle foresta come miele e sostanze medicinali, la salute e la pace
mentale dello yogi sono garantite.
Sappiamo che un modo di vita così sattvico, idilliaco, facile e
comodo non è accessibile attualmente a molte persone, perciò ci
adatteremo osservando strettamente il vegetarianesmo e scegliendo
soltanto ingredienti sattvici, e specialmente preparandoli e
consumandoli in modo "leggero" (laghu).
Dovremmo dunque evitare l'uso eccessivo di spezie e specialmente
delle spezie piccanti, l'uso eccessivo di zucchero e specialmente di
zucchero bianco raffinato, l'uso eccessivo di grassi e specialmente
227
Parama Karuna Devi
dei grassi fritti o di olii pesanti come l'olio di mostarda che è
irritante o i grassi saturi di olio di palma, olio di cocco, miscele di
olii vegetali tipo "vanaspati" e così via. Persino l'uso eccessivo di
burro chiarificato (ghi) e prodotti del latte è nocivo per la salute e
la leggerezza di corpo e mente necessaria per la pratica dello yoga
e del sannyasa, perciò quando usiamo ingredienti relativamente
pesanti (pur essendo strettamente vegetariani) dovrebbe essere
nella forma di prasadam, che consiste in piccole quantità di
preparazioni offerte alla Divinità e condivise con altri.
Controllare la parola e la mente è qualcosa su cui dobbiamo
lavorare anche quando viviamo e pratichiamo in perfetta
solitudine, e si fa meglio quando si impegna il potere della parola
(vak shakti) nel recitare gli shastra e cantare canzoni devozionali,
e specialmente vibrando i suoni trascendentali completi del
pranava omkara e dei maha mantra, che sono composti
esclusivamente da nomi divini. La mente può essere nutrita anche
dallo studio costante delle scritture (svadhyaya) e da azioni e
pensieri devozionali (isvara pranidhana), specialmente sulla
meditazione dinamica (dhyana) sulla realtà divina e sul suo
servizio, compresa l'associazione intima con antaryami
paramatma, la cui voce diventa più facile da sentire chiaramente
quando non ci sono altri rumori, né esteriormente né interiormente.
La parola yata significa "controllato, impegnato", e ci dà una
comprensione migliore del termine yati, che è sinonimo di
sannyasi (4.28, 5.26) come conferma più chiaramente il
Bhagavata Purana 7.12.16, 11.8.16, 11.18.17, but also 2.2.15,
3.1.31, 4.23.12, 5.26.39, 11.8.17, 11.16.43). Ecco un esempio:
mauna aniha anila-yama, danda vag deha cetasam, na hy ete
yasya santy anga venubhir na bhaved yatih, "Chi non controlla il
potere della parola, non ha abbandonato le attività egostiche, non
controlla il prana e non mantiene una stretta disciplina sulla
propria voce, sul proprio corpo e sulla propria mente non potrà mai
228
Bhagavad gita: capitolo 18
essere un vero sannyasi, anche se portasse molti bastoni di bambù
(l'insegna ufficiale di chi ha accettato l'ordine di sannyasa)"
(Bhagavata Purana, 11.18.17).
I tridandi sannyasi di alcune recenti tradizioni dvaita portano un
bastone di bambù (danda) con tre (tri) punte, per distinguersi dai
sannyasi originari ekadandi ("un bastone"); sostengono che queste
tre punte simboleggiano il loro voto di controllare la parola, il
corpo e la mente (vak, kaya, manasa) come raccomanda questo
verso. E' senz'altro un'ottima cosa, ma un po' troppo spesso le tre
punte del danda sono considerate non solo un simbolo di tale
controllo, ma un sostituto, poiché vediamo che questi sannyasi si
impegnano senza vergogna in tali attività di gratificazione dei
sensi e potere materiale che le persone ordinarie finiscono per
cercare di raggiungere un livello di vita più piacevole e migliori
facilitazioni materiali entrando ufficialmente nell'ordine di
sannyasa in quelle organizzazioni.
Questi sannyasi fasulli diranno che hanno accettato tali
facilitazioni soltanto per favorire il loro servizio devozionale, ma
ciò non spiega gli status symbol estremamente costosi e non
necessari come gli orologi rolex, i voli frequenti in prima classe, le
stanze negli alberghi di lusso e le feste di compleanno stravaganti,
i veicoli superlusso, i servitori personali dedicati compresi i cuochi
per preparare feste elaborate con ingredienti raffinati e rari tre
volte al giorno, i piatti e le posate d'argento, le lenzuola e gli abiti
di seta, i maglioni e scialli pashmina, i bagni con marmi costosi e
rubinetti dorati negli appartamenti privati, e le apparecchiature
elettroniche e digitali di altissimo livello che vengono usate solo
per scopi molto elementari (per la posta elettronica e scrivere note
per una conferenza).
A queste obiezioni, i falsi sannyasi risponderanno che hanno
accettato queste cose umilmente dai propri discepoli come offerte
affettuose per non ferire i loro sentimenti, ma se uno ha la
229
Parama Karuna Devi
posizione di guru dovrebbe insegnare ai discepoli quale sia lo
standard di vita appropriato per un sannyasi, e incoraggiarli a
investire le proprie ricchezze e i propri sforzi al servizio di Dio e
per la causa di dharma e vidya. E se il sannyasi riceve doni da
estranei, dovrebbe distribuirli ad altre persone meritevoli secondo
il principio dell'utilità in questo servizio più alto, se possibile
chiedendo loro di vendere gli articoli di lusso per usare il denaro a
scopi migliori. Certamente dobbiamo adattare gli aspetti esteriori
del sannyasa secondo desa, kala, patra, ma il principio della
rinuncia deve rimanere lo stesso, altrimenti la definizione
acquisterà un significato rajasico o tamasico (18.31, 18.32).
Il verso dal Bhagavata Purana (11.18.17) che abbiamo citato
prima è estremamente interessante, perché illustra ulteriormente il
significato dei versi che stiamo studiando qui (18.51, 18.52,
18.53). Mauna significa "silenzio" come abbiamo visto in 18.51 e
18.52 (questo verso), e vedremo nel 18.53 (il prossimo verso)
rappresentato da santa ("tranquillo, silenzioso").
La parola aniha significa "senza avidità, senza ambizioni, senza
egoismo" e corrisponde al lasciar cadere tutti gli oggetti dei sensi
(visayam tyaktva) e abbandonare la dualità di attrazione-repulsione
(raga dvesau vyuda) come nel verso 18.51, e controllare parola,
corpo e mente (yata vak kaya manasa) nel verso presente (18.52),
come è anche menzionato specificamente nel Bhagavata Purana
(danda vag deha cetasam). Il verso del Bhagavata aggiunge
pranayama (anila yama) come una pratica importante per
controllare la facoltà di parola, il corpo, la mente e il prana o
energia vitale, collegando il prana con cetasa ("consapevolezza")
come definizione alternativa di "mente" (manasa, 18.51).
L'espressione dhyana yoga parah indica chiaramente che uno yogi
dovrebbe dare la priorità o posizione suprema (parah) alla
meditazione; questo si applica a molti termini di paragone. Il
significato più immediato è che lo yogi dovrebbe focalizzare tutta
230
Bhagavad gita: capitolo 18
la propria vita attorno alla meditazione come lo scopo principale
della propria esistenza; lo yoga non è un hobby o una pratica di
medicina alternativa usata per fare un po' di ginnastica e
rilassamento per un'ora due volte la settimana. Non è nemmeno un
"secondo lavoro" per arrotondare le entrate o ottenere benefici
simili. Inoltre, nella pratica dello yoga, dhyana è molto più
importante di dharana, pranayama, pratyahara e asana, e perfino
più importante di yama e niyama, perché tutti questi yoga anga
("membra dello yoga") hanno lo scopo di sostenere dhyana o
meditazione, e quindi ne sono le pratiche preliminari e
subordinate. Quando lo yogi diventa perfetto in dhyana (il vero
scopo dello yoga), la meditazione in sé diventa nitya dhyana,
conosciuta tecnicamente come samadhi, o sama dhi, o sama
dhyana ("meditazione costante e stabile").
Un altro significato dell'espressione interpreta la parola para come
"Supremo" come in brahman, paramatma, bhagavan; la
meditazione dovrebbe essere fissata soltanto sull'atman / brahman,
non su oggetti materiali. Tutti questi significati sono confermati
anche dall'espressione samupa asritah ("possedendo pienamente,
prendendo completo rifugio").
VERSO 53
aham karam: io sono quello che fa; balam: forza; darpam:
orgoglio; kamam: lussuria; krodham: rabbia; parigraham: cercare
231
Parama Karuna Devi
doni/ favori; vimucya: completamente libero; nir mamah: senza la
mania di possesso o appartenenza; santah: pacifico; brahma
bhuyaya: il livello del Brahman; kalpate: desidera.
"completamente libero da ahankara, dall'orgoglio per la
propria forza, dalla lussuria, dalla rabbia e dall'aspettativa di
onori, liberi da mamatva e pacifico: i desideri (di questa
persona) sono sul livello del Brahman.
Una traduzione alternativa (è più letteraria) può essere: "Chi si è
completamente liberato da ahankara e mamatva, dal senso di forza
materiale, da orgoglio, lussuria, rabbia e avidità, ed è pacifico,
concentra i propri desideri verso il Brahman". Altri commentatori
hanno tradotto brahma bhuyaya kalpate come "può aspirare a
raggiungere il livello del Brahman", ma una persona che è
qualificata nel modo descritto in questi versi è già sul livello del
Brahman. Lo stesso significato era stato espresso nel verso 14.26
(sa gunan samatityaitan brahma bhuyaya kalpate, "sviluppa
desideri al livello del Brahman, trascendendo tutti questi guna").
La prima riga di questo verso inizia con ahankara ("io sono quello
che fa"), che è il singolo ostacolo che causa maggiori danni alla
realizzazione spirituale; gli altri difetti e cattive abitudini elencati
nella prima riga sono semplicemente conseguenze create
dall'ahankara.
L'identificazione materiale con il corpo e la mente, che costituisce
l'ahankara, sostiene ed è sostenuta dall'orgoglio per la propria
forza (balam darpam) e anche dall'idea di forza fisica e fitness
come un valore in sé (balam) e dall'orgoglio arrogante come valore
in sé (darpam). Dunque una persona che "pratica lo yoga" perché
vuole essere orgoglioso/ orgogliosa del proprio corpo, della
propria forza o fitness ha già fallito automaticamente e non può
fare alcun progresso.
232
Bhagavad gita: capitolo 18
Anche l'aggiunta di kama vicino a bala e darpa è illuminante,
perché generalmente coloro che sono orgogliosi del proprio corpo
(ottima forma fisica, aspetto attraente ecc) sono ansiosi di
impegnarsi nel sesso grossolano o sottile e nella gratificazione dei
sensi; già il semplice fatto di essere orgogliosamente consapevole
del proprio corpo e di identificarsi con esso (ahankara) è una
forma di attività sessuale narcisistica. Non importa se poi la gente
si copre il corpo completamente quando esce in pubblico: la
lussuria e la gratificazione dei sensi e gli impulsi sessuali non
diminuiscono affatto persino sotto un burqa e non vengono dissolti
nemmeno dalla repressione artificiale o dalla semplice astinenza
(3.6, 3.33).
L'unica vera soluzione consiste nell'abbandonare completamente
l'identificazione con il corpo materiale e spostare la concentrazione
sulla nostra vera identità di atman/ brahman. Un vero yogi non
desidera rendere il proprio corpo forte e in forma (2.70), anche se
ciò significa andare contro l'opinione del pubblico (2.69) ed essere
soggetti a un bombardamento di impressioni in quella direzione
(2.70); i suoi desideri sono sul livello del Brahman (brahma
bhuyaya kalpate).
La parola balam significa "forza, potere materiale, violenza,
potenza" e anche "impatto, potere, controllo, influenza, affluenza,
posizione, fama, attaccamento", che sono tutti elementi del potere
materiale. Insieme con l'arroganza (darpa), la lussuria (kama), la
rabbia (krodha) e la mentalità di sfruttamento (parigraha), questo
potere materiale è certamente asurico: dambho darpo 'bhimanas
ca krodhah parusyam eva ca, ajnanam cabhijatasya partha
sampadam asurim, asa pasa satair baddhah kama krodha
parayanah, ihante kama bhogartham anyayenartha sancayan,
ahankaram balam darpam kamam krodham ca samsritah, mam
atma para dehesu pradvisanto 'bhyasuyakah, "Le caratteristiche di
coloro che sono nati con una natura asurica sono ipocrisia,
233
Parama Karuna Devi
impudenza, arroganza, rabbia, mancanza di gentilezza, e
certamente ignoranza. Legati da centinaia di corde nelle forma di
desideri, sempre immersi in lussuria e rabbia, desiderano
aumentare i propri desideri e per questo scopo adottano qualsiasi
mezzo per accumulare ricchezze. Prendendo rifugio nell'ahankara,
nella forza fisica, nell'arroganza, nella lussuria e nella rabbia,
dimostrano invidia e odio contro di me, poiché io risiedo nel loro
stesso corpo come nel corpo degli altri." (16.4, 16.12, 16.18).
Specificamente, è la mescolanza di lussuria, avidità e rabbia che
impedisce l'evoluzione dell'anima: kama esa krodha esa rajo guna
samudbhavah, mahasano maha papma viddhy enam iha vairinam,
tri vidham narakasyedam dvaram nasanam atmanah, kamah
krodhas tatha lobhas tasmad etat trayam tyajet, kama krodha
vimuktanam yatinam yata cetasam, abhito brahma nirvanam
vartate viditatmanam, "Questo (potere negativo) è (la miscela di)
desiderio e collera, ed è nato dal rajas guna. Sappi che è
insaziabile e divora ogni cosa, è la causa di grandi peccati, e il
(vero) nemico in questo mondo. La triplice porta per la vita
infernale e l'autodistruzione consiste in questa mistura di lussuria,
avidità e rabbia, e quindi bisogna abbandonarle. Le persone sante
che sono completamente libere da questa lussuria rabbiosa e hanno
fissato stabilmente la propria coscienza (nell'atman/ brahman), e
che hanno realizzato il Sé: (per loro) il brahma nirvana è molto
vicino." (3.37, 16.21, 5.26).
La miscela di kama-lobha-krodha nasce dall'influenza di rajas
sull'ahankara (identificazione materiale) e sul mamatva
(attaccamento materiale), perciò abbandonando ahankara e
mamatva, e prendendo rifugio nel Supremo attraverso sattva e
visuddha sattva, diventiamo automaticamente liberi da questo
grande nemico del progresso.
Ahankara e mamatva sono anche l'origine di parigraha, la
tendenza ad accumulare e a conservare cose superflue, acquisire
234
Bhagavad gita: capitolo 18
ricchezze e proprietà, aspettarsi doni e favori e servizio da altri,
sfruttare o dipendere da altri per il proprio mantenimento, e così
via.
Questo si applica anche al campo religioso, naturalmente, perché
abbiamo visto che gli asura amano presentarsi come persone
molto religiose (16.10, 16.15, 16.17), e che le normali attività
religiose possono essere compiute anche con le motivazioni
sbagliate e con effetti negativi (17.5, 17.6, 17.12, 17.13, 17.18,
17.19, 17.21, 17.22, 18.31, 18.32), e con l'atteggiamento e la
comprensione errati (18.7, 18.8, 18.21, 18.22, 18.24, 18.25, 18.27,
18.28).
Soltanto un sadhaka sincero, che è libero da ahankara e mamatva
e ha superato tutte le cattive qualità nate da rajas e tamas, può
raggiungere la pace ed elevarsi al livello del Brahman, il brahma
bhuya o brahma nirvana (5.26). E solo da quel livello può iniziare
la vera bhakti o devozione a Isvara Bhagavan, come affermerà
chiaramente il prossimo verso.
VERSO 54
brahma bhutah: lo stato del Brahman; prasanna atma: soddisfatto
nel sé; na socati: non si lamenta; na kanksati: non desidera
ardentemente; samah sarvesu bhutesu: equanime verso tutti gli
esseri/ tutte le esistenze; mad bhaktim: bhakti verso di me;
labhate: ottiene; param: spirituale/ transcendentale.
235
Parama Karuna Devi
"Chi è stabilito nella posizione del Brahman è soddisfatto nel
sé: non si lamenta e non aspira (a nulla), è ugualmente disposto
verso tutti gli esseri e ottiene la devozione trascendentale verso
di me.
Brahma bhuya o brahma bhuta è l'esistenza del Brahman, o
"l'essere" Brahman, il livello di paramahamsa che costituisce la
perfezione dell'evoluzione negli esseri umani - samsiddhi, o
moksha, la liberazione dall'ignoranza e dall'illusione dell'identificazione materiale e dell'attaccamento. Senza raggiungere questo
livello, la devozione può soltanto essere impura, contaminata
dall'ignoranza materiale e dalle motivazioni che proiettiamo su
Dio; prima della realizzazione dell'atman/ brahman, la devozione
religiosa può essere soltanto un'ombra o un riflesso della vera
bhakti.
Tale devozione sentimentale non deve essere condannata, perché
costituisce un passo verso la direzione giusta (10.10), ma non deve
essere nemmeno presentata come l'articolo genuino, perché la
gente rimarrebbe confusa e indotta a credere di aver già raggiunto
la meta quando invece è ancora immersa in sogni e fantasie:
smetterebbe infatti di fare sforzi per raggiungere la vera
realizzazione, e perderebbe lo scopo centrale e la speciale
opportunità della vita umana.
Che cos'è l'esistenza del Brahman? La parola bhuta ("essere") si
riferisce sia alla condizione di esistenza che alla coscienza
individuale che vive in quella particolare esistenza; la parola è un
derivato dal verbo "diventare" (bhavati), e quindi indica un
processo di sviluppo, come nascita, evoluzione o realizzazione.
L'anima individuale inizia come anu atman ("sé atomico"), una
scintilla di consapevolezza non sviluppata che deve evolversi e
crescere in una piena e completa siddha svarupa, cioè un corpo
trascendentale/ spirituale, fatto di pura coscienza (sat cit ananda)
proprio come il corpo di Dio.
236
Bhagavad gita: capitolo 18
Dunque l'anu atman entra nella scuola del mondo materiale e
diventa un jiva atman o jiva buta ("essere vivente"); all'inizio c'è
un po' di confusione sulla faccenda del corpo e dell'identità, perciò
il minuscolo atman si identifica erroneamente con il corpo
materiale che ha sviluppato. Attraverso una serie di esperienze e
con la giusta educazione e insegnamenti, il jivatman raggiungerà
infine la piena comprensione (realizzazione) della propria vera
identità e il significato di "corpo trascendentale". Questo è il
livello di brahma bhuta.
Ci si potrebbe chiedere perché mai Dio, che è così buono e
onnipotente, metta i jivatman attraverso un procedimento così
lungo e doloroso. Non potrebbe creare delle emanazioni
completamente perfette, già sviluppate, già nella forma adulta di
siddha deha, e risparmiarci tutti questi guai? La risposta è che il
vero amore deve essere basato sulla libera scelta, sull'autentico
apprezzamento che nasce attraverso un contrasto con un altro
termine di paragone.
Questo è lo scopo della dualità, questa è la ragione dell'intera
manifestazione cosmica. In quanto jivatman, ci viene data
l'opportunità di partecipare nel lila della creazione, conservazione
e distruzione del mondo, e possiamo sempre scegliere il ruolo che
vogliamo giocare.
Dio non si arrabbia con noi se non facciamo le scelte giuste, ma il
gioco ha delle regole interne che il jivatman non può infrangere,
perché sono più forti di lui (7.14, 3.5, 3.33, 13.30, 18.40).
Le persone sciocche e ignoranti lanciano insulti contro la loro
Madre Mahamaya, chiamandola "strega" o "matrigna cattiva",
proprio come i bambini stupidi si arrabbiano contro la madre a
causa dei loro stessi fallimenti e limiti, o con l'insegnante perché
viene chiesto loro di studiare in modo più efficace. Se vogliono
veramente superare i loro problemi, dovrebbero invece cercare le
237
Parama Karuna Devi
benedizioni della Madre e fare uno sforzo sincero per comprendere
che cosa vuole da loro: vuole soltanto che crescano.
In che modo possiamo crescere? Sviluppando lo stesso livello di
coscienza di Isvara (mam eva ye prapadyante, 7.14), che è
benevola neutralità e distacco verso tutti gli esseri e le circostanze,
dovuti al fatto che troviamo piena felicità e soddisfazione nel sé
(prasanna atma). Qual è la differenza tra un bambino e un adulto?
L'adulto è in grado di prendersi cura di sé stesso e non ha bisogno
di dipendere da altri, né materialmente né emotivamente, a
prescindere dall'età del corpo calcolata in anni. Un adulto fa l'uso
migliore di ciò che ottiene, senza lamentarsi o continuare a pensare
a quello che ha e che non ha (na socati na kanksati) e rimane
equilibrato nelle gioie e nei dolori (samah sarvesu bhutesu). A
quel livello, possiamo realmente impegnarci nel vero servizio
devozionale e non semplicemente in una imitazione infantile di
devozione.
Dobbiamo dissipare accuratamente i vari equivoci sui punti offerti
in questo verso, a cominciare dall'idea diffusa ma errata che la
realizzazione del Brahman sia "impersonale" in opposizione a
"personale".
Si tratta di un'idea particolarmente sciocca perché per definizione
nell'Assoluto (advaita) non c'è dualità e quindi non ci può essere
contraddizione tra personale e impersonale. Tutti gli shastra
autentici continuano a ripetere che la Trascendenza, per
definizione, è ciò che trascende la comprensione limitata della
mente e della parola materiali basata sull'esperienza di dualità,
tempo e spazio che possiamo avere con il corpo materiale. Più la
nostra consapevolezza diventa sottile (e quindi più acuta e
penetrante), più diventiamo capaci di realizzare che dualità, tempo
e spazio non sono ciò che sembrano essere (come proiezione
illusoria di maya).
238
Bhagavad gita: capitolo 18
Il fatto è che l'individualità è eterna e costituzionale, perciò non
può essere annientata quando si entra o ci si fonde nella
consapevolezza del Brahman; ciò che viene annientato è
l'ahankara, l'identificazione materiale di un interesse e un'azione
separati che non sono in completa armonia con il Supremo. Un
membro o una cellula del corpo non può mai veramente funzionare
nel modo giusto se la sua consapevolezza non è perfettamente
allineata con la consapevolezza del corpo intero; quando il codice
del DNA nella cellula è differente dal DNA del resto del corpo, o
quando la cellula agisce in un modo che non è lo scopo perseguito
dal corpo, abbiamo un problema.
Per le persone condizionate e identificate con la materia, questo
può sembrare un tentativo di sminuire il ruolo di un essere umano
nell'universo o di ridurre l'importanza del libero arbitrio,
presentando Dio come una specie di dittatore intollerante. Questo
avviene perché nel mondo materiale abbiamo l'esperienza di esseri
condizionati sciocchi e ignoranti che cercano di recitare la parte di
Dio senza essere Dio, e senza nemmeno comprendere che cosa sia
veramente Dio. Una delle definizioni migliori è offerta del
Bhagavata Purana (1.2.11): vadanti tat tattva vidas, tattvam yaj
jnanam advayam, brahmeti paramatmeti, bhagavan iti sabdyate,
"Coloro che conoscono il tattva dichiarano che il tattva è
Conoscenza indivisa, variamente chiamata Brahman, Paramatma, e
Bhagavan".
Dio è esistenza, conoscenza e consapevolezza - la somma totale
dell'esistenza, conoscenza e consapevolezza, che è, è stata e potrà
mai essere, e anche l'origine di ogni cosa. In altre parole, la
Coscienza di Krishna non è "essere coscienti a proposito di
Krishna" ma è Krishna stesso come Coscienza.
Quando "colleghiamo" la nostra coscienza con Dio come
Coscienza, non perdiamo niente, perché tutto è presente e niente
esiste senza o al di fuori di esso - se "senza" e "al di fuori"
239
Parama Karuna Devi
potessero avere un significato quando si parla di onnipresenza che
tutto pervade.
Realizzare il Brahman è come quando una goccia d'acqua entra
nell'oceano, o dei dati informativi entrano nel software supremo
che crea l'intero ologramma - ciascuna molecola di acqua continua
a mantenere la propria identità atomica, ogni bit di informazione
continua a mantenere la propria formulazione, e similmente
ciascun atman o bit di coscienza mantiene la consapevolezza di
ogni cosa (altrimenti non sarebbe consapevolezza).
Non è facile da spiegare a parole o da afferrare con l'intelletto
materiale, ma ciò non deve sorprenderci, poiché la Trascendenza
per definizione trascende sia le parole che l'intelletto materiale. Di
nuovo, dobbiamo chiarire un possibile equivoco; quando diciamo
che la Trascendenza non può essere definita materialmente, non
significa che sia "un mistero della fede" e che non bisogna
discuterne.
Significa che deve essere realizzata individualmente, con un
cambiamento di paradigma chiamato illuminazione (prakasa) o
realizzazione, un lampo di vera comprensione che consiste nel
vedere direttamente il significato (darshana), dopo aver ascoltato e
letto molto al proposito.
L'intelligenza umana non è sufficiente a comprendere la
Trascendenza, ma possiede la chiave per aprirne la porta, perciò
dobbiamo coltivarla e purificarla con la pratica regolare come è
spiegato nella Bhagavad gita.
Quando abbiamo raggiunto questa realizzazione siamo in grado di
vedere il Grande Quadro, perciò non c'è motivo di lamentarsi o
correre dietro le cose; possiamo certamente continuare a fare piani
e strategie e a lavorare, e possiamo vedere la differenza tra gioie e
dolori, ma non vi siamo più legati perché sappiamo che ogni cosa è
240
Bhagavad gita: capitolo 18
perfettamente organizzata ed equilibrata come Una Coscienza,
come dichiarano apertamente la Svetasvatara Upanishad (3.9):
tenedam purnam purusena sarvam, "secondo il suo piano
l'universo è fatto completo e perfetto", e la Isa Upanishad (8):
yathatathyati 'rthan vyadadhat, "è lui che soddisfa le necessità di
tutti".
Svolgiamo dunque felicemente le nostre funzioni e raggiungiamo
infine quella identificazione, quel possesso e quell'appartenenza
trascendentali che sono la vera realtà, e dei quali l'identificazione,
il possesso e l'appartenenza materiali non sono che ombre.
L'universo materiale è un mondo di ombre, coperto dalla nuvola
dell'ahankara, e l'illusione (maya) consiste nel fatto che un'ombra
assomiglia molto all'oggetto reale ma non ha sostanza. Qui è il
punto in cui Krishna ha iniziato i suoi insegnamenti nella
Bhagavad gita: nasato vidyate bhavo nabhavo vidyate satah,
ubhayor api drishto 'ntas tv anayos tattva darsibhih, "Coloro che
vedono la verità sanno che ciò che è illusorio/ temporaneo non
continuerà ad esistere, mentre ciò che è reale/ eterno non sarà mai
distrutto. Hanno osservato accuratamente entrambe le categorie e
raggiunto questa conclusione." (2.16).
Uno yogi che ha raggiunto la realizzazione del Brahman può
ancora continuare a vivere in un corpo materiale in questo mondo
come jivan mukta (4.21, 5.11, 5.13, 5.14, 5.19, 5.23, 10.3, 13.33,
14.20, 15.10, 15.11) ed è consapevole che riceverà sempre e
automaticamente ciò di cui ha bisogno (9.22), benché il pacco
possa contenere anche delle medicine amare.
Non c'è bisogno di lasciare o distruggere il corpo o la mente per
ottenere la liberazione; un'anima condizionata che cerca di
raggiungere moksha semplicemente lasciando il corpo arriverà
semplicemente a una nuova reincarnazione, e cercare di liberarsi
dalla mente porterà soltanto a uno stato profondamente tamasico 241
Parama Karuna Devi
esattamente l'opposto di ciò che cerchiamo. In effetti un'anima
realizzata può continuare a vivere una vita piena e lunga, perché
servire Dio nel mondo materiale vale quanto servire Dio a
Vaikuntha (jijivisec chatam samah, Isa Upanishad, 2). Anzi, vale
addirittura di più.
La parola labhate ("ottiene, raggiunge"), applicata alla vera bhakti,
indica che la devozione autentica a Bhagavan è qualcosa che
troviamo attraverso il processo della realizzazione, un diamante
nascosto sotto strati di sporcizia che diventa visibile quando le
impurità sono state bruciate o lavate via.
Non dipende esclusivamente dalla sadhana e certamente non
consiste nella sadhana, altrimenti Krishna avrebbe detto "kurute"
("fa, compie"); la bhakti non è dunque un particolare tipo di
attività come i rituali o le pratiche religiose, o un attaccamento
sentimentale o culturale a una forma proiettata di Dio. Queste cose
sono soltanto contenitori o opportunità per sviluppare la bhakti,
VERSO 55
bhaktya: attraverso la bhakti; mam: me; abhijanati: si può
comprendere; yavan: per quanto; yah ca asmi: così come io sono;
tattvatah: in verità; tatah: allora; mam: me; tattvatah: in verità;
jnatva: conoscendo; visate: entra; tat: quello; anantaram:
eternamente/ senza fine/ constantemente.
"Attraverso la bhakti si può comprendermi come veramente
sono. Conoscendo questo tattva, si entra infine (in me).
242
Bhagavad gita: capitolo 18
Abbiamo già trovato un verso molto simile nel capitolo che
descrive la Virata Rupa: bhaktya tv ananyaya sakya aham evam
vidho 'rjuna, jnatum drastum ca tattvena pravestum ca parantapa,
"O Arjuna, soltanto attraverso la bhakti è possibile conoscermi e
vedermi veramente, ed entrare in me” (11.54).
La parola visate si trova anche nel verso 8.11 (yad aksaram veda
vido vadanti visanti), che parla dell'akshara brahman, l'esistenza
eterna e immutabile della consapevolezza, dicendo che coloro che
"conoscono quella conoscenza" vi entrano.
Anche questo verso (18.55) è piuttosto difficile da comprendere
adeguatamente, perché in superficie sembra contraddittorio; la
parola visate ("entra") è un sinonimo di pravisyate ("entra", di cui
pravestum è il tempo verbale infinito) e sembra indicare una
perdita di individualità o un movimento fisico nello spazio da un
luogo all'altro. Nessuna delle due interpretazioni è in realtà
corretta.
Dobbiamo ricordare che questo tattva (Brahman, Paramatma,
Bhagavan) è Conoscenza e Coscienza e non limitato da un corpo
materiale, perciò raggiungere la realizzazione di Bhagavan
significa entrare nella sua Conoscenza e Coscienza, o secondo il
dizionario della bhakti, "entrare nel suo lila". Poiché questa
Coscienza trascende i limiti dell'intelletto materiale e non soltanto i
limiti della forma materiale, non è sufficiente per noi elaborare
speculazioni sull'argomento, ma dobbiamo sintonizzare la nostra
consapevolezza pura, proprio come quando sviluppiamo una forte
relazione d'amore con qualcuno. Alcuni la chiamano telepatia, altri
la chiamano "il linguaggio del cuore", ma si tratta in realtà della
nostra natura più fondamentale - la coscienza di amore e armonia.
Il Bhagavata Purana (11.14.21) conferma negli insegnamenti di
Krishna a Uddhava: bhaktyaham ekaya grahyah sraddhayatma
priyah satam, bhaktih punati man nistha sva pakan api sambhavat,
243
Parama Karuna Devi
"Io posso essere raggiunto attraverso la pura bhakti di un devoto
fedele. Io sono l'atman, caro alle persone buone (sat jana), e
questa bhakti in piena dedizione purifica chiunque, persino i
selvaggi che mangiano i cani". Questa pura bhakti si sviluppa
gradualmente attraverso jnana o coltivazione della conoscenza
sattvica, e karma o giusto compimento dei propri doveri
(Bhagavata Purana 11.20.6), come Krishna ha spiegato nell'intera
Bhagavad gita.
Bhakti (la devozione) è l'espressione suprema dello yoga (6.47),
ma non si può ottenere la vera bhakti senza evolversi al livello di
brahma bhuta, e per questo dobbiamo coltivare jnana
(conoscenza) e vairagya (rinuncia) mentre svolgiamo i nostri
doveri prescritti (karma). Nel capitolo sul vijnana yoga, Krishna
ha affermato chiaramente: bahunam janmanam ante jnanavan
mam prapadyate, vasudevah sarvam iti sa mahatma su durlabhah,
"Dopo molte vite, una persona che ha la conoscenza mi raggiunge,
realizzando che Dio è ogni cosa. Una tale grande anima è molto
rara." (7.19 ). Non dobbiamo prendere la bhakti alla leggera,
perché in quel caso otterremmo soltanto una imitazione a buon
mercato dell'articolo autentico. Talvolta le persone superficiali e
ignoranti equivocano sull'idea della pura bhakti che è libera da
jnana e karma (jnana karmady anavritam), immaginando che un
devoto neofita e sentimentale possa raggiungere istantaneamente il
livello della pura bhakti (mad bhaktim param) abbandonando
artificialmente la coltivazione della conoscenza e i doveri prescritti
verso famiglia e società.
In particolare, dovremmo fare molta attenzione a coloro che
affermano che per raggiungere la pura devozione a Krishna
dobbiamo smettere di ascoltare l'intelligenza, il buon senso e la
coscienza (che sono la voce dell'antaryami paramatma) e persino
trascurare le istruzioni degli shastra autentici come gli
insegnamenti di Krishna nella Bhagavad gita.
244
Bhagavad gita: capitolo 18
Molti prakrita sahajyas ("sempliciotti materialisti") preferiscono
abbandonarsi a fantasie rosate alla saccarina sulla rasa lila e le
avventure d'infanzia di Krishna a Vrindavana invece di studiare e
comprendere e seguire le istruzioni della Bhagavad gita, ma
nonostante le loro manie di grandezza, la loro posizione non è così
sublime come pensano. Vogliono usare Krishna per il proprio
piacere e divertimento, invece di offrire un servizio favorevole al
Bene Supremo, perciò la loro devozione ha ben poco valore, e in
effetti secondo uno degli autori più famosi della letteratura
medievale della bhakti è persino dannosa per la società: sruti
smriti puranadi pancharatra-vidhim vina, aikaintiki harer bhaktir
utpatayaiva kalpate, "La cosiddetta bhakti esclusiva per Hari
(Vishnu o Krishna) che non è in accordo a sruti, smriti, Puranas e
le altre scritture vediche, e con la scienza del Pancharatra, è
semplicemente una fantasia che creerà molti danni alla società"
(Bhakti rasamrita sindhu 1.2.101, citazione del Brahma yamala
Purana).
Quali potrebbero essere questi danni? I religiosi superficiali
diranno, "Che mille fiori possano sbocciare insieme: dopo tutto
queste persone stanno semplicemente facendo del loro meglio per
adorare Dio, e Vishnu/ Krishna è effettivamente la Personalità
suprema di Dio (11.45, 11.46, 11.50)".
Certamente non dobbiamo mai perseguitare fisicamente le persone
per le loro credenze errate, ma abbiamo il dovere di smascherare
gli argomenti infondati e pericolosi, perché dobbiamo proteggere i
buoni e gli innocenti dalla confusione (4.8). Il problema che
dobbiamo mettere in evidenza consiste nell'idea di "esclusività"
(aikantika), un concetto tipicamente abramico che si è infiltrato in
India attraverso le invasioni islamiche ed era già parecchio diffuso
ai tempi in cui venne scritto il Bhakti rasamrita sindhu.
Questo approccio "monoteistico" nega il valore del giusto uso di
intelligenza e coscienza, e dà importanza centrale all'obbedienza
245
Parama Karuna Devi
assoluta alle "autorità religiose" che dichiarano di rappresentare
"l'unico vero Dio", mentre tutte le altre forme e personalità di Dio
sono considerate inferiori, se non false o disprezzabili - e i loro
devoti vengono ingiustamente insultati, attaccati e perseguitati. Si
tratta di una deviazione molto grave dalla visione vedica; è la vera
intolleranza che non dobbiamo tollerare, e che crea il caos nella
società perché impedisce alla gente di seguire la via giusta e causa
offese agli shastra e ai Deva e a molte persone buone e acharya
autentici (come Adi Shankara). Inoltre, confonde le persone
illudendole nella convinzione che abbiano già oltrepassato i doveri
sociali prescritti e persino dharma e vidya, quando in effetti vivono
come parassiti dannosi della società e danno cattivo esempio agli
altri contro le precise istruzioni di Krishna (3.21, 3.22, 3.23, 3.24,
3.25, 3.26).
La via della devozione (bhakti) comincia dalla sincera coltivazione
della conoscenza, avvicinando un guru autentico: tad viddhi
pranipatena pariprasenena sevaya, upadeksyanti te jnanam
jnaninas tattva darsinah, "Dovresti apprendere questa conoscenza
avvicinando coloro che contemplano direttamente la Verità,
presentando loro tutte le domande possibili e offrendo loro
servizio. Coloro che hanno la conoscenza ti inizieranno a questa
scienza." (4.34).
La fase di vaidhi bhakti o sadhana bhakti è semplicemente la
sincera pratica dello yoga come descrivono la Bhagavad gita e i
famosi Yoga sutra di Patanjali. Bisogna iniziare da yama e niyama,
che consistono nel purificare la propria esistenza dagli
attaccamenti grossolani alle cattive abitudini e ai difetti. Poi
bisogna impegnare il proprio corpo (asana) nel servizio
dell'atman/ brahman compiendo le attività dei propri doveri
prescritti in uno spirito di dedizione devozionale della propria
energia divina al Supremo (pranayama), e imparando il controllo
dei sensi di percezione e di azione (pratyahara).
246
Bhagavad gita: capitolo 18
Ciò aiuterà gradualmente il sadhaka a controllare la mente
(dharana) e impegnarsi in modo sempre più efficiente (dhyana e
samadhi). Il Narada pancharatra conferma, parlando di cinque
successive divisioni della conoscenza: 1. jnana, 2. yoga, 3.
vairagya, 4. tapah e 5. bhakti, presentata come una funzione
speciale di vidya o conoscenza trascendentale.
La ricerca della conoscenza del Brahman (brahma jnana) non ha
bisogno di essere ricercata sul livello della bhakti suprema perché
è già stata ottenuta (2.52). La conoscenza o realizzazione deve
essere ricercata finché non la si possiede, proprio come si va a
scuola per imparare, ma una volta diplomati non c'è più bisogno di
frequentare le lezioni, perché stiamo già contemplando
direttamente e applicando la conoscenza realizzata che è ora
diventata parte della nostra natura.
Dopo aver raggiunto la realizzazione diretta, non è possibile
tornare all'ignoranza, perciò quando diciamo che ci lasciamo dietro
jnana, non significa che stiamo veramente abbandonando la
conoscenza.
In questo verso, la parola yavan ("per quanto") indica che la Realtà
suprema può essere compresa non completamente ma in verità,
senza equivoci e confusione, diversamente dalle proiezioni
fantasiose delle persone ignoranti e sciocche. Certamente questa
conoscenza o comprensione (abhi jnana, "conoscenza specifica")
include la Personalità di Dio, poiché Krishna menziona
chiaramente il pronome personale tre volte in questo verso (mam,
"me", asmi, "io sono", mam, "me").
Adi Shankara stesso dichiara all'inizio del suo commento sulla
Bhagavad gita che Narayana è al di là dell'avyakta o Brahman non
manifestato (narayanah parah avyaktat). Un famoso passaggio
della Katha Upanishad (3.10-3.11) conferma: indriyebhyah para
hy artha arthebhyas ca param namah, manasas tu para buddhir
247
Parama Karuna Devi
buddher atma mahan parah, mahatah param avyaktamavyaktat
purusah parah, purushan na param kinchit sa kastha sa param
gatih, "Al di là degli organi di senso ci sono gli oggetti dei sensi.
Sopra questi, c'è la mente. Al di là della mente c'è buddhi
(l'intelligenza). Al di sopra di questa, c'è il paramatman. Oltre il
paramatman c'è il Brahman non manifestato. Al di là di questo c'è
il Purusha. Non c'è nulla oltre il Purusha: questa è la destinazione,
questo è il supremo."
E' interessante notare che la Katha Upanishad continua a
dichiarare nei versi successivi: "Questo Purusha è nascosto in tutti
gli esseri, perciò non è visibile agli occhi materiali, ma può essere
visto da quegli yogi saggi che si sforzano di concentrare la loro
meditazione. Uno yogi che ha la conoscenza e un'intelligenza acuta
dovrebbe impegnare/ unire le parole nella mente, la mente
nell'intelletto, l'intelletto nel paramatman, e il paramatman nella
suprema Realtà divina. Alzatevi! Svegliatevi! Cercate quella pura
conoscenza seguendo insegnanti intelligenti che praticano ciò che
predicano. I saggi esperti spiegano che la via è rischiosa, tagliente
come la lama di un coltello, e non è facile da percorrere o
attraversare. Quando sappiamo ciò che si trova oltre la percezione
del suono, del tatto, della vista, del gusto e dell'odorato, quella
eterna Realtà immutabile che non ha inizio né fine, più grande del
più grande, permanente e coerente, si diventa liberi dagli artigli
famelici della morte" (Katha Upanishad, 3.12, 3.13, 3.14, 3.15).
L'ultima parola del verso, anantaram, è molto interessante.
Contiene i significati di "eternamente, costantemente, senza fine,
senza limiti", ma alcuni commentatori l'hanno tradotta come
"dopodiché, immediatamente", cosa che può facilmente confondere le persone sciocche e superficiali e farle cadere nell'illusione
del prakrita sahajya. Il vero significato del termine viene spiegato
perfettamente da Jada Bharata al re Rahugana: jnanam visuddham
paramartham ekam, anantaram tv abahir brahma satyam, pratyak
248
Bhagavad gita: capitolo 18
prasantam bhagavac chabda samjam, yad vasudevam kavayo
vadanti, "Gli esperti spiegano che Vasudeva è quella conoscenza
perfettamente pura, l'unico valore supremo, eterno e onnipresente
(che non ha esterno), il Brahman, la Verità che è realizzata
direttamente, la pace perfetta, conosciuta anche con il nome di
Bhagavan" (Bhagavata Purana 5.12.11).
VERSO 56
sarva karmani: tutte le attività; api: sebbene; sada: sempre;
kurvanah: compiendo; mad vyapasrayah: sotto la mia protezione;
mat prasadat: pe la mia benedizione; avapnoti: raggiunge;
sasvatam: eterna; padam: la posizione; avyayam: imperitura.
"Mentre ancora compie tutte le attività dei suoi doveri
prescritti, una persona raggiunge la posizione eterna e
imperitura per la mia benedizione e sotto la mia protezione.
Se leggendo il verso precedente qualcuno aveva sviluppato l'idea
che impegnandosi in qualche atto superficiale e sentimentalistico
di devozione ci si può considerare al di sopra dei doveri prescritti
di una società sattvica, qui Krishna lo smentisce immediatamente.
Molte volte Krishna ha chiarito questo punto nella Bhagavad gita,
e se qualche persona ignorante e sciocca ha usato il pretesto della
rinuncia e della vita devozionale per sottrarsi alle proprie vere
responsabilità, non è giusto dare la colpa a Krishna. Fin dall'inizio,
quando rimproverava Arjuna per la sua idea di abbandonare la
249
Parama Karuna Devi
battaglia per diventare un sannyasi, fino alla conclusione di questo
capitolo Krishna ha dichiarato inequivocabilmente che un devoto,
un'anima realizzata, dovrebbe continuare a impegnarsi nei suoi
doveri per sostenere la società e guadagnarsi onestamente da
vivere con il suo lavoro sincero - quanto meno, per dare il buon
esempio alla massa generale della gente.
Specificamente, Krishna afferma qui, sarva karmani ("tutte le
attività prescritte") e sada ("sempre"), perciò non lascia spazio a
chi vorrebbe scegliere a capriccio i doveri che preferisce svolgere
rispetto a quelli che sembrano spiacevoli. E' necessario accertare
quale sia il proprio sva dharma secondo guna e karma (18.41), ma
poi bisogna impegnarsi sinceramente in tutti i doveri prescritti,
senza scorciatoie e senza saltare avanti e indietro da una posizione
all'altra per godere dei diritti e schivare i doveri con il pretesto di
essere situati in un "daivi varnashama" trascendentale.
In realtà tutti i varna e ashrama sono divini (daivi), poiché sono
stati stabiliti direttamente da Krishna (catur varnyam maya sristam
guna karma vibhagasah, 4.13), e trascurare apertamente e
disobbedire alle istruzioni delle scritture e di Krishna - tutto in
nome della trascendenza - può soltanto aggiungere offesa al danno
e portare i risultati disastrosi che abbiamo visto verificarsi
praticamente molte volte a tante persone.
Non c'è bisogno di speculare per inventare "nuovi metodi" per
risolvere i problemi delle persone ignoranti. Trascurare le
istruzioni delle scritture autentiche costituisce certamente causa di
disastro imminente (16.23, 16.24, 17.5). Così invece di dire che
sono situati "al di sopra di varna e ashrama", questi imbroglioni
degradati dovrebbero riconoscere il semplice fatto che non hanno
qualificazioni e che si sforzano di tirare avanti come possono; non
c'è bisogno di presentarsi come grandi sannyasi o brahmana per
sviluppare una bhakti autentica e ispirare altri.
250
Bhagavad gita: capitolo 18
E' meglio restare umili piuttosto che diventare fraudolenti e violare
l'ultimo principio del dharma (veridicità). "A furia di fingere si
arriva a realizzare il successo" è una ricetta sicura per il disastro, e
la gente che la predica dovrebbe essere smascherata per ciò che è
veramente.
Certo, sarva karmanam non include le azioni proibite o vikarma,
che lo yogi e il devoto dovrebbero già aver abbandonato all'inizio
del sadhana (7.28) osservando strettamente le regole di yama e
niyama.
Eppure, è fin troppo comune vedere le persone che fingono
devozione scegliere precisamente di continuare nel vikarma o
attività proibite, mentre trascurano i nitya karmani o attività
prescritte con il pretesto che hanno "trasceso i doveri ordinari", e
come sia rivelatore il fatto che questo argomento viene solitamente
evitato nelle discussioni e pubblicazioni di alcune organizzazioni
religiosi, mentre dovrebbe esserci un'abbondanza di citazioni dai
loro acharya fondatori, che erano molto espliciti a proposito di
questo problema.
L'espressione sasvata pada avyaya ("la posizione eterna e
immutabile") può essere elaboata in molti significati. Una volta
che si è raggiunto il brahma bhuta (18.54) non c'è possibilità di
ricadere (5.17, 8.21, 15.4, 15.6) perché tale evoluzione di
coscienza cambia la visione in modo permanente.
Le persone con una visione materialistica rimangono incapaci di
comprendere la differenza tra Svarga (i pianeti celesti) e
Vaikuntha, e quindi immaginano che Vaikuntha sia una specie di
paradiso dove si può stare seduti con Vishnu invece con i
"semidei" che risiedono nei sistemi planetari superiori, proprio
come immaginano che Vishnu sia un altro Dio separato che è
semplicemente più potente degli altri "dei".
251
Parama Karuna Devi
Non ci sorprende dunque vedere che queste persone confuse e
ignoranti speculano che i jivatman fossero un tempo impegnati nei
lila e nel servizio completamente trascendentale a Vishnu o
Krishna a Goloka Vrindavana, e poi a causa dell'influenza
dell'ignoranza e del tempo siano caduti nel mondo materiale come
punizione per la loro disobbedienza (questa è l'idea fondamentale
del Giardino dell'Eden narrata nella Bibbia).
A rimanere sorpresi saranno loro, quando si troveranno non a
Vaikuntha, ma a rinascere a Bila Svarga, i sistemi planetari
inferiori dove vivono gli asura, e che corrispondono in modo più
preciso alle visualizzazioni e proiezioni che hanno coltivato così
fedelmente nelle loro "meditazioni devozionali".
Le scritture affermano chiaramente che anche a Bila Svarga non
c'è bisogno della luce del sole o della luna (15.6) perché lo
splendore delle gemme che ornano la testa degli abitanti (e che
potrebbero essere scambiate per pietre spirituali cintamani), e la
meravigliosa opulenza di quel luogo - giardini, palazzi, villaggi
agricoli, fattorie e così via - supera persino la bellezza dei pianeti
superiori conosciuti come Svarga.
La via migliore consiste nel prendere sinceramente e pienamente
rifugio in Dio (mat vyapasrayah) e dipendere solo da quello che ci
manda (mat prasadat), facendo sforzi sinceri per comprendere la
scienza della Bhagavad gita e abbandonando tutte le
identificazioni materiali e gli attaccamenti e desideri per la
gratificazione dei sensi, individuali e collettivi.
252
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 57
cetasa: con la consapevolezza; sarva karmani: tutte le attività;
mayi: a me; sannyasya: rinunciando; mat parah: dedicata a me;
buddhi yogam: nel buddhi yoga; upasritya: prendendo rifugio; mat
cittah: nella mia coscienza; satatam: sempre; bhava: diventa.
"Rinunciando a tutte le attività nella tua coscienza, dedicati
pienamente a me, prendendo rifugio nel buddhi yoga, e diventa
la mia coscienza in modo permanente.
No, non è un errore di traduzione. La frase "diventa la mia
coscienza in modo permanente" potrebbe non sembrare sensata a
una persona che non ha raggiunto la realizzione del Brahman e
crede ancora di essere il corpo e la mente. Eppure, questo è ciò che
Krishna dice qui: "diventa la mia coscienza".
La parola citta significa specificamente "coscienza", mentre la
forma aggettivale del termine è cetana ("cosciente") è usata anche
come nome a significare "mente" o "essere cosciente". In altri
passaggi, per indicare un essere cosciente Krishna ha usato
l'espressione prajna, jnani, vit, darshi, che sono sinonimi di
"persona cosciente" o "uno che conosce".
L'idea di "diventare coscienza divina" diventa più facile da
comprendere quando realizziamo che in quanto individui noi
siamo già coscienza (atman). Quando la nostra vera identità è
oscurata dall'identificazione materiale, sviluppiamo un corpo
materiale, e quando la tenebra è dissipata dalla calda luce della
253
Parama Karuna Devi
conoscenza, la nostra vera e originaria identità come coscienza
torna a risplendere luminosa.
Ciò si applica anche a un livello devozionale più profondo o
rasika; ricordiamo qui che la parola bhava significa anche
"coscienza" in quanto "sentimento estatico nella relazione con
Krishna", e che è lo sthayi bhava ("sentimento permanente") che
costituisce il siddha deha o siddha svarupa del devoto pienamente
realizzato.
Dunque al livello del Brahman, al livello del Paramatma e persino
al livello più intimo di Bhagavan, tutto è pura coscienza conoscenza, sentimento, percezione. Senza raggiungere questo
livello, non si può entrare in contatto diretto con Bhagavan perché
il corpo materiale è una copertura spessa e goffa che limita molto il
nostro potenziale e le nostre attività come atman; possiamo
comunque crescere oltre il corpo sviluppando la nostra
consapevolezza/ identità come un particolare siddha deha.
Il siddha deha è molto reale, in effetti è più reale dei corpi
grossolani che possiamo toccare e vedere e odorare con i nostri
sensi materiali, ma non è limitato da tempo, spazio e dualità,
perciò non viene normalmente visto dai sensi materiali.
E' importante comprendere che questo siddha deha o siddha
svarupa non è "un altro corpo" che si prende dopo aver lasciato
l'attuale corpo materiale – ma è la natura inerente dell'atman e si
sviluppa attraverso il metodo adeguato, e che può già agire in
modo perfetto mentre ancora si vive nel corpo materiale (jivan
mukta).
In alcuni casi, il siddha deha può scavalcare la percezione dei sensi
materiali e collegarsi direttamente con la percezione dell'atman di
altri (11.8, 11.48, 11.52, 11.53, 11.54), ma tale manifestazione non
avviene senza un valido scopo, e rimane impossibile da
254
Bhagavad gita: capitolo 18
comprendere veramente per le persone non evolute (9.11, 10.3,
15.10); eppure è l'unica forma in cui possiamo entrare realmente in
contatto diretto con Bhagavan e la realtà spirituale in generale.
Possiamo comprendere e realizzare queste cose attraverso il
buddhi yoga, l'impegno delle funzioni superiori dell'intelligenza o
intelletto.
La mente materiale e i sensi non sono abbastanza sottili, perché
sono incrostati di ahankara e mamatva, mentre l'intelligenza è
composta esclusivamente di sattva e quindi costituisce il ponte tra
la dimensione sottile e quella spirituale, proprio come il prana
costituisce il ponte tra il corpo fisico grossolano e il corpo sottile
fatto di energia e mente.
E' vero che buddhi è elencata tra gli otto principi elementali del
mondo materiale (7.4), ma per definizione è consapevolezza e
conoscenza, e in quanto tale non può mai essere affossata da
tamas, l'ignoranza, o distratta da rajas, l'avidità. In effetti la vera
intelligenza è la spada affilata che può tagliare attraverso l'illusione
(4.41, 5.25, 15.3). Lo conferma anche la prima parola in questo
verso, cetasa ("coscientemente, consapevolmente") che è strettamente imparentata con l'espressione mat citta nella seconda riga
del verso.
Il riferimento a buddhi e cetasa esclude automaticamente adharma
e vikarma dalla vasta gamma di attività (sarva karmani) che si
possono offrire a Dio nel puro servizio devozionale (mat parah,
"dedicato a me"), persino con l'idea di rinunciare personalmente al
godimento dei loro risultati (sannyasya, "rinunciando mentre si
compiono"). Per esempio, Krishna chiede semplicemente offerte
pure come una foglia, un fiore, un frutto e dell'acqua, e anche la
smriti conferma che si può presentare alla Divinità una vasta
gamma di ingredienti e preparazioni puramente vegetariani.
255
Parama Karuna Devi
Non esiste un solo passaggio delle scritture in cui Dio chiede
l'offerta di ingredienti non vegetariani o impuri; quando tali offerte
sono ammesse, hanno lo scopo di facilitare lo sviluppo della
devozione in persone neofite influenzate dai guna inferiori, e
quando sono compiute in questo modo, sono sostenute
dall'intelligenza e dalla consapevolezza, perché possono aiutare
l'individuo a smettere di mangiare carne ottenuta con la
macellazione ordinaria.
La rinuncia a tutte le attività deve essere fatta nella propria
consapevolezza (cetasa) offrendone i frutti al Supremo come
centro della propria vita (mat parah) e agendo senza egoismo; su
questo livello di consapevolezza rinunciata (distaccata) si può e si
deve continuare a compiere tutte le attività per il servizio al
Supremo.
Certamente si tratta di un processo graduale. All'inizio il sadhaka
inizia ad adorare Dio con un sentimento di devozione che è
mescolato a qualche desiderio personale (sa-kama) ed è ancora
oscurato da concetti materiali (prakrita), perciò la posizione di un
tale devoto è chiamata kanistha ("immatura").
Nello stadio intermedio (madhyama) il devoto purifica la propria
intelligenza (buddhi) e coltiva la conoscenza (jnana) e il distacco
(vairagya), che porta la realizzazione della Coscienza suprema in
una visione sempre più chiara. Finalmente, al livello più alto
(uttama) il devoto prende pieno rifugio (upasritya) in questa
Coscienza suprema e non è distratto da alcun interesse separato
(ananya) e si concentra pienamente soltanto sulla Coscienza
suprema (aikantika).
Di nuovo, queste fasi sono presenti in tutte le forme di yoga, a
cominciare dallo sforzo deliberato di cercare la Coscienza
Suprema e finendo nel samadhi o completa e costante immersione
in quella Coscienza Suprema (satatam).
256
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 58
mat cittah: nella mia coscienza; sarva durgani: tutte le difficoltà;
mat prasadat: per la mia grazia; tarisyasi: attraverserai; atha: ma;
cet: se; tvam: tu; ahankaran: a causa dell'egotismo; na srosyasi:
non ascolterai; vinanksyasi: sarai perduto.
"Nella mia coscienza, per la mia grazia, attraverserai ogni
difficoltà. Ma se scegli di non ascoltare, a causa dell'egotismo,
sarai perduto.
E' importante comprendere che questo verso non è la minaccia di
una punizione per la disobbedienza o la mancanza di fede.
E' una semplice affermazione di una verità scientifica sulle leggi
naturali dell'universo: più sviluppiamo la nostra intelligenza e
consapevolezza, più saremo capaci di superare ogni difficoltà,
mentre quando scegliamo l'ignoranza a causa dello sciocco ego e
dell'orgoglio personale contro la nostra coscienza e l'armonia
dell'universo potremo soltanto perderci e soffrire senza alcuna
necessità.
Esiste un ordine supremo nell'universo (rita) per il quale i pianeti
si muovono nelle loro giuste orbite, gli elementi svolgono
regolarmente le loro funzioni, e tutti gli esseri lavorano per il
sostentamento e il progresso dell'intera comunità universale.
Eccetto gli esseri umani, tutte le creature si evolvono in un modo
predeterminato, secondo le rigide leggi della natura che dettano le
257
Parama Karuna Devi
loro reazioni e i loro comportamenti; anche gli esseri umani sono
trasportati dal meccanismo del cosmo (yantrarudhani mayaya,
18.61) ma grazie alla loro particolare posizione intermedia
possono scegliere la direzione del loro movimento e delle loro
azioni appoggiandosi a un lato piuttosto che all'altro. Questi due
lati sono la daivi prakriti e la asuri prakriti (vedere capitolo 16),
che tirano l'individuo rispettivamente verso l'alto o verso il basso;
sono chiamati anche para ("supremo") e apara ("non supremo"), o
in una traduzione approssimativa, "spirituale" e "materiale":
Le definizioni di spirituale e materiale possono confondere coloro
che soffrono di pregiudizio culturale, perché le ideologie
abramiche demonizzano apertamente la natura materiale (questo
mondo, i corpi e così via) e quindi si potrebbe essere tentati di
condannare la natura materiale e cercare di combatterla. Questo
sarebbe un errore spettacolare, inevitabilmente condannato al
fallimento, poiché la natura materiale è la divina Shakti (daivi hy
esa gunamayi mama maya, 7.14), e i jivatman sono completamente
impotenti di fronte a lei. In realtà, senza le benedizioni di Madre
Mahamaya non si potrà mai fare alcun progresso, né materialmente
né spiritualmente. Quando il jivatman sceglie di prendere rifugio
nella daivi prakriti, non sta avvicinando una persona diversa che è
opposta o rivale della asuri prakriti: si sta semplicemente
rivolgendo al "lato" divino della stessa Dea suprema, e mostrando
che è pronto a evolversi e collaborare per il bene comune. D'altra
parte, coloro che vogliono essere "duri" e mostrare qualità e
caratteristiche asuriche saranno costretti a vedersela con il lato
feroce e terrificante della Dea.
E' importante comprendere qui che gli asura non sono coloro che
adorano l'aspetto feroce (asaumya o ugra rupa) della Dea, ma
coloro che si oppongono alle leggi dell'universo per imporre il
proprio ego, e quindi diventano soggetti alla punizione
somministrata dalla Dea. Coloro che trovano questo punto difficile
258
Bhagavad gita: capitolo 18
da comprendere perché sono attratti dal "pacifico" Vishnu
dovrebbero ricordare che anche Vishnu ha le sue forme ugra
(Narasimha, per esempio), e gli asura certamente non adorano tali
forme ma entrano in contatto con esse in un modo alquanto
diverso.
Il nome Durga significa letteralmente "forte, prigione", e per
estensione, "restrizione, limite, difficoltà" come in questo verso.
In verità Madre Durga ha il pieno controllo della fortezza che è
questo mondo e provvede alle celle di confinamento adeguate per
tutti quei criminali pazzi, violenti e pericolosi che si rifiutano di
ascoltare, comprendere e collaborare con il resto della società.
Il capitolo 16 ci ha dato un quadro molto dettagliato di tali persone
(16.4 to 16.24), paragonandole per opposizione a coloro che hanno
scelto di prendere rifugio nelle qualità e nei comportamenti divini
(16.1, 16.2, 16.3) che sono basati sul sostegno reciproco e sulla
collaborazione nella comunità universale. A causa della particolare
posizione della nascita umana, si può decidere in qualsiasi
momento di cambiare direzione e qualificarsi pe la liberazione;
non c'è pregiudizio o ingiustizia in questo sistema, così come non
esistono favoritismi nella legge di gravità. Ciò che sembra essere
una differenza di trattamento è in realtà dovuto al fatto che
l'individuo favorito ha una migliore conoscenza o coscienza delle
leggi e dei principi generali, e usa l'intelligenza per navigare
attraverso le difficoltà: questo è chiaramente espresso nel verso in
esame.
Krishna ha già affermato molto chiaramente che non è interessato
ai meriti e demeriti delle anime individuali e che non desidera
nulla per sé stesso (3.22, 5.15), ma che ricambia volentieri (4.11,
4.14, 9.9, 9.29) i sentimenti e il servizio di coloro che vogliono
imparare, evolversi e unirsi a lui. Krishna non dà mai ordini
tassativi a nessuno, ma semplicemente ci chiede di ascoltare (2.39,
7.1, 10.1, 13.4, 16.6, 17.2, 17.7, 18.4, 18.19, 18.29, 18.45) i suoi
259
Parama Karuna Devi
buoni consigli; spiega i fatti e le cose con logica e ragionamenti, e
poi ci lascia decidere quello che vogliamo fare (18.63, 18.64).
La Coscienza di Dio (mat cittah) non è coscienza "di" Dio, ma
piuttosto la percezione consapevole dell'intera Realtà come
microcosmo e macrocosmo, all'interno di noi e fuori di noi, e dei
meccanismi eterni e universali che la muovono - i tre guna
materiali (sattva, rajas, tamas) nella dimensione materiale e i tre
guna spirituali (sat, cit, ananda) nella dimensione spirituale.
Perciò questa Coscienza è la posizione (pada) o dimora (dhama)
sia nell'universo materiale che nella dimensione spirituale.
Per sviluppare e mantenere questa concentrazione sulla Coscienza
suprema, abbiamo bisogno di ascoltare (o leggere) le sue
descrizioni dalle scritture autentiche e da quei devoti che hanno già
raggiunto il livello di realizzazione diretta: nasta prayesv
abhadresu nityam bhagavata sevaya, bhagavaty uttama sloke
bhaktir bhavati naisthiki, "Tutto ciò che è di cattivo augurio viene
distrutto servendo costantemente i discorsi su Bhagavan; in questo
modo si diventa fermamente situati nella dedizione a Bhagavan,
che è descritto da versi meravigliosi" (Bhagavata Purana, 1.2.18).
Il semplice atto di sentire o ascoltare (sravana) è già considerato
un servizio valido e un'azione meritevole, e il motore del progresso
e dell'evoluzione. E' importante comprendere qui che servizio
(seva) indica l'associazione regolare o la pratica in un sentimento
favorevole, proprio come abbiamo visto nel verso 6.20 della
Bhagavad gita in riferimento alla dedizione allo yoga (yoga
sevaya).
E' interessante notare che Krishna sta dicendo "supererai tutte le
difficoltà", e non "non dovrai affrontare alcuna difficoltà", oppure
"tutte le difficoltà scomparirano". Molte persone non evolute
credono che la religione consista nel pregare Dio di darci cibo
gratis e una vita facile, senza tentazioni o difficoltà, e che tutte le
260
Bhagavad gita: capitolo 18
conseguenze delle nostre attività passate, i nostri debiti e i nostri
atti colpevoli, dovrebbero essere magica-mente e ripetutamente
cancellati ogni volta che chiediamo a Dio di farlo.
Questa idea è delusionale: tutti dobbiamo guadagnarci il cibo
lavorando onestamente, affrontare le difficoltà intese a metterci
alla prova e stimolare la nostra evoluzione, prendere posizione a
sostegno del dharma e della famiglia universale, ed essere pronti
coraggio-samente e sinceramente a pagare i nostri debiti al
momento giusto, e persino a prenderci delle responsabilità verso i
nostri fratelli e sorelle meno maturi.
Sono soltanto i bambini piccoli che chiedono al Padre di risolvere
tutti i loro problemi, in cambio di un po' di lodi e adulazione. I figli
e le figlie adulti sono competenti e capaci di aiutare il Padre e
svolgere qualche lavoro utile e costruttivo, e sono pronti e disposti
ad affrontare le inevitabili difficoltà nel compimento dei loro
doveri. Come Krishna ha già affermato (3.20, 3.21, 3.22, 3.23,
32.24) anche le anime perfettamente liberate e persino gli avatara
divini danno un ottimo esempio pratico al proposito, così che
nessuno possa dire di essere al disopra della necessità di affrontare
le difficoltà e lavorare onestamente.
VERSO 59
yat: se; ahankaram: per egotismo; asritya: prendendo rifugio; na
yotsya: non combatterai; iti manyase: pensando così; mithya esah:
261
Parama Karuna Devi
tutto questo è falso; vyavasayah: con determinazione; te: tua;
prakritih: natura; tvam: te; niyoksyati: costringerà a impegnarti.
"Se a causa dell'egotismo pensi, 'non combatterò', la tua sarà
una decisione falsa, perché la tua stessa natura ti costringerà a
impegnarti.
Il verso precedente menzionava chiaramente l'ahankara (egotismo
come identificazione materiale con corpo, posizione e attaccamenti) come la causa di illusione e abbandono del proprio dovere.
Ciò era stato spiegato anche nei versi da 18.5 a 18.9: non bisogna
mai abbandonare le attività doverose del sacrificio (yajna), della
carità (dana) e dell'austerità (tapah), ma certamente bisogna
abbandonare l'illusione dell'ahankara (kartavyan, 18.6). Una
persona che è influenzata dall'ignoranza tende a fare esattamente
l'opposto di ciò che dovrebbe essere fatto (16.7, 18.30, 18.31,
18.32), perciò invece di rinunciare all'ahankara e rimanere fedeli
ai loro doveri, le persone stupide e ignoranti rinunceranno ai loro
doveri e rimarranno attaccati all'ahankara.
A parte gli ovvi risultati negativi sul funzionamento generale
dell'universo, per i quali dovranno pagare le conseguenze, questi
sciocchi hanno scelto di prendere posizione su un terreno
estremamente instabile, perché la loro comprensione è oscurata
dall'illusione (mohat, 18.7).
Se si rifiutano di compiere i loro doveri prescritti, l'avidità e
l'ignoranza li impegneranno in attività più degradanti, fonte di
sofferenze future ancora più gravi. Krishna ha affermato molte
volte che la visione errata e delusionale di sé stessi è un prodotto
dell'ignoranza (9.12, 14.17, 16.10, 16.16, 18.7, 18.9, 18.25, 18.35)
e non può portare buoni risultati, ma possiamo verificare
direttamente la verità di tale affermazione osservando la vita delle
persone che ci circondano.
262
Bhagavad gita: capitolo 18
Le tendenze tamasiche e rajasiche dell'attuale società degradata
sono dirette a indottrinare la gente nella direzione asurica,
presentando l'idea che il lavoro sincero e lo studio serio sono per
gli stupidi e i secchioni, presentati come "falliti" socialmente,
mentre le persone di successo e socialmente superiori non fanno
alcun lavoro ma semplicemente si divertono tutto il giorno
spendendo soldi per lussi non necessari e prodotti alimentari
industriali. Similmente, coloro che sono sinceramente interessati
alla vita spirituale e all'evoluzione personale nei principi etici sono
presentati come ingenui, irragionevoli, superstiziosi e fanatici
fondamentalisti, mentre il cinismo, lo sfruttamento e l'egoismo, la
ricerca costante e infinita di possedimenti e posizioni e
l'ostentazione di status symbol e arroganza sarebbero la strada
verso la felicità e il successo.
La nuda realtà è che questo approccio alla vita può solo portare
sofferenze e ansietà dall'inizio alla fine. Le persone sono costrette
a lavorare molto duramente e per molte ore al giorno in impieghi
che non amano per procurarsi il denaro per pagare cose di cui non
hanno bisogno, per impressionare persone che non si curano
affatto di loro. In questo scenario di squalo-mangia-squalo, i
soggetti peggiori di tutti diventano sempre più grandi e si
impadroniscono del governo per legalizzare le proprie ruberie e
aggressioni criminali verso la gente in generale, e alla fine tutti
devono adorare ciecamente personaggi reali o immaginari che non
sono altro che asura. Gli alimenti costosi ma di cattiva qualità che
mangiano li fanno ammalare, le loro medicine sono studiate in
modo da accrescere la loro dipendenza dal business medico e
farmaceutico, le loro belle vacanze sono ordalie dalle quali hanno
bisogno di riprendersi quando tornano a casa, le loro scarpe e i loro
abiti eleganti sono estremamente scomodi e le loro relazioni sono
un disastro. E tutto ciò è dovuto al fatto che non hanno voluto
accettare le piccole salutari difficoltà nel viaggio dell'evoluzione
personale e la sincera dedizione al loro dovere naturale, e si sono
263
Parama Karuna Devi
rifiutati di lavorare in armonia con il resto dell'universo e
sviluppare relazioni basate sul vero amore e sulla vera cura.
Ogni persona incarnata è costretta ad agire in un modo o nell'altro:
na hi kascit ksanam api jatu tisthaty akarma krit, karyate hy
avasah karma sarvah prakriti jair gunaih, "Mai, in nessun
momento, una persona può rimanere senza agire anche per un solo
istante, perché è costretta all'azione da tutti i guna nati dalla
prakriti" (3.5). In effetti, l'attività in sé stessa è compiuta soltanto
dalla natura: prakriteh kriyamanani gunaih karmani sarvasah,
ahankara vimudhatma kartaham iti manyate, "Tutte le attività
sono compiute dalle qualità della natura, ma una persona sciocca
confusa dall'egotismo pensa, 'io sto facendo'." (3.27).
Dobbiamo chiarire qui che l'ahankara non è necessariamente un
eccesso di orgoglio e arroganza dovuto a un'esagerata opinione di
sé. L'identificazione materiale illusoria chiamata ahankara è anche
causa di poca stima di sé e di umiltà esagerata. Un'anima che ha
realizzato il sé non dirà mai, "non sono capace di fare questo"
quando la vita le mette davanti qualcosa di difficile. Quasi sempre
questa idea è dettata dalla paura e non dall'intelligenza o dal buon
senso, e se ci impegnamo effettivamente in quell'azione con piena
attenzione, un atteggiamento positivo e un po' di distacco,
scopriremo che dopotutto non era poi così difficile, anche se si
trattava di qualcosa che non ci eravamo mai sognati di essere in
grado di fare. Quando svolgiamo il nostro dovere con sincerità e
coraggio, non abbiamo niente da perdere.
Come Krishna ha detto ad Arjuna all'inizio del loro discorso
(2.37), se abbiamo successo potremo utilizzarne i risultati positivi,
e in caso di fallimento otterremo ugualmente delle benedizioni
anche se in forma diversa - come esperienza, realizzazione,
purificazione. Sostenere l'universo non è un lavoro per un solo
essere umano, perciò anche se facciamo bene la nostra parte, è
possibile che esteriormente i nostri sforzi sembrino non ottenere il
264
Bhagavad gita: capitolo 18
successo, ma in ogni caso abbiamo preparato la strada per il lavoro
di altri che costruiranno sopra il nostro sacrificio e porteranno
l'impresa intera al successo finale. Il nostro merito non andrà
perduto.
Il termine mithya è particolarmente interessante. Le persone
confuse dall'ignoranza tendono a scambiare sat per asat e
viceversa, perciò talvolta troviamo qualche sannyasi artificiale che
predica che questo mondo è falso, i nostri doveri sono falsi, la
società è falsa, l'individualità è falsa, e tutto è falso, mentre
soltanto la via particolare che lui offre è la vera realtà.
Dovremmo fare molta attenzione, perché ciò è precisamente quello
che è stato descritto nel verso 18.22 come una posizione
caratteristica di tamas e nel verso 16.8 come caratteristica della
mentalità asurica - che sia proposta da advaitin, dvaita, vaishnava
o chiunque altro - e contravviene alle istruzioni degli shastra,
compresi gli insegnamenti della Bhagavad gita.
Dobbiamo dunque rimanere determinati (vyavasayah) e ben
concentrati (vyavasayatmika buddhi, 2.41) nel nostro servizio a
dharma e vidya, seguendo le orme di tanti grandi insegnanti,
acharya e persino avatara che hanno investito tempo, energia e
sforzo in questo lavoro.
Quando prendiamo rifugio nella daivi prakriti (9.13), saremo
certamente impegnati in modo completo, e questo impegno darà
piena soddisfazione all'atman. Il Bhagavata Purana (1.2.6)
conferma: sa vai pumsam paro dharmo yato bhaktir adhoksaje
ahaituki apratihata yayatma suprasidati, "Il dharma supremo per
tutti gli esseri umani è la dedizione amorevole al Signore
inconcepibile, e questa bhakti può soddisfare completamente
l'anima quando è costante e priva di egoismo."
265
Parama Karuna Devi
VERSO 60
sva bhava jena: da quella (attività) nata dalla (tua) natura
specifica; kaunteya: o figlio di Kunti; nibaddhah: legato; svena:
dai tuoi particolari; karmana: doveri; kartum: compiere; na
icchasi: non desideri; yat: ciò che; mohat: a causa dell'illusione;
karisyasi: compirai; avasah: involontariamente; api: persino; tat:
quello.
"O figlio di Kunti, tu sei legato a quelle particolari attività che
sono create dalla tua stessa natura. Anche se a causa
dell'illusione non desideri compiere questo dovere, ti ritroverai
ad agire in quel modo, istintivamente.
Finché siamo incarnati in questo mondo, gli elementi del corpo e
della mente funzioneranno secondo le leggi della natura materiale guna, karma, e così via - e questo è un legame molto forte, come le
catene di un prigioniero. La parola nibaddha significa "catene,
corde, legami" ma può essere usata anche in un senso positivo,
come nelle relazioni familiari o nei legami sociali, che
determinano i nostri particolari doveri verso famiglia e società
secondo le nostre qualità congenite.
Lo conferma Brahma parlando con Priyavrata: yad vaci tantyam
guna karma damabhih, sudustarair vatsa vayam suyojitah, sarve
vahamo balim isvaraya prota nasiva dvi pade catus padah, "Le
parole del Brahman (gli shastra e le leggi naturali dell'universo) ci
legano come una lunga corda costituita da guna e karma. E' una
266
Bhagavad gita: capitolo 18
corda estremamente forte, e ci lega tutti a Isvara, proprio come un
uomo guida il bestiame tirando la corda legata al loro naso."
(Bhagavata Purana 5.1.14).
Questa corda può essere molto pericolosa quando il nostro
attaccamento ci lega a persone che hanno scelto di trascurare il
vero scopo della vita umana: na te vidum svartha gatim hi visnum,
durasaya ye bahir artha maninah, andha yathandhair
upaniyamanas te 'pisa tantryam uru damni baddhah, "Coloro che
si concentrano sul perseguire scopi difficili nel mondo esteriore
dimenticano il vero scopo della vita - la realizzazione di Vishnu.
Sono come ciechi che seguono altri ciechi, e tutti sono legati da
corde molto robuste." (Bhagavata Purana 7.5.31).
Come succede nomalmente quando siamo avvinti strettamente da
corde e catene, sviluppiamo un'irritazione della pelle e una
sensazione di prurito.
Prahlada spiega: yan maithunadi grihamedhi sukham hi tuccham,
kanduyanena karayor iva duhkha duhkham, tripyanti neha kripana
bahu duhkha bhajah, kandutivam manasijam visaheta dhirah,
"Quella (vita che è basata sulla) relazione di coppia e tutto ciò che
vi è collegato, tutti i tipi di piaceri familiari e sociali, sono
insignificanti come lo sfregamento delle mani per alleviare un
prurito. Non si può mai trovare la piena soddisfazione in questo
mondo materiale che è pieno di sofferenze, ma il kripana sceglie di
seguire tutte queste sofferenze come se fossero lo scopo della vita.
Chi è capace di tollerare il prurito creato dalla mente è una persona
sobria." (Bhagavata Purana 7.9.45).
Se impariamo a usare queste corde e catene a nostro vantaggio
invece di farci ostacolare da esse, raggiungeremo un successo più
grande; possiamo fare l'esempio della famosa arte marziale
chiamata capoeira, che fu sviluppata nel XVI secolo dagli schiavi
neri importati dall'Africa occidentale in Brasile dagli invasori
267
Parama Karuna Devi
portoghesi per essere impiegati nelle loro piantagioni di canna da
zucchero.
I lavoratori schiavi erano sempre legati con catene, in modo che
non potessero andarsene in giro troppo liberamente, ma veniva
loro permesso di cantare e danzare la sera, anche per intrattenere i
padroni. Così con il pretesto dei movimenti acrobatici di danza sul
ritmo della musica praticavano molte mosse di combattimento,
volteggi e calci, utilizzando persino il peso delle catene a loro
vantaggio, e in questo modo parecchi di loro riuscirono a fuggire e
rifugiarsi nella giungla. E' detto che il termine capoeira deriva
dalle parole Tupi ka'a ("giungla") e puer ("stava"), a indicare quei
luoghi nascosti in cui venne creata una nuova cultura insieme alle
tribù indigene locali in stanziamenti rivoluzionari chiamati
quilombos, che attirarono sempre più schiavi fuggiaschi e
insegnavano la capoeira come una tecnica di combattimento con la
quale si opposero con successo al regime coloniale e alle sue
spedizioni militari che cercavano di eliminare la ribellione.
Anche noi possiamo usare le catene dei guna materiali con
intelligenza, determinazione e senso dello scopo da raggiungere, in
ultima analisi per liberarci dai legami - invece di inciampare
penosamente come chi non ha controllo sui propri movimenti
(avasa, che significa "senza una scelta deliberata, in modo
impotente, senza controllo"), ed è completamente confuso (mohat,
"per illusione").
La situazione attuale nella quale siamo nati, con i suoi relativi
guna e karma, è stata creata dai samskara o impressioni precedenti
a causa delle nostre azioni e scelte nelle vite precedenti, e può
essere modificata considerevolmente applicando la stessa medicina
di samskara positivi. Narada dice a Vyasa: amayo yas ca
bhutanam jayate yena suvrata, tad eva hy amayam dravyam na
punati cikitsitam, "Le malattie degli esseri viventi possono essere
curate applicando (nel modo adatto) quella stessa cosa che aveva
268
Bhagavad gita: capitolo 18
causato la malattia inizialmente" (Bhagavata Purana 1.5.33). Da
questa affermazione possiamo comprendere che samskara, guna e
karma possono venire usati in entrambi i modi, per progredire e
purificarci, oppure per degradarci e legarci; la scelta dipende da
noi (6.5, 6.6).
VERSO 61
isvarah: il Signore; sarva bhutanam: di tutti gli esseri; hrd dese:
nel luogo del cuore; arjuna: o Arjuna; tisthati; risiede;
bhramayan: che si muovono attorno; sarva bhutani: tutti gli esseri;
yantra: su un macchinario; arudhani: posti; mayaya: sotto il
potere dell'illusione.
"O Arjuna, il Signore di tutti gli esseri risiede nel cuore (di
tutti gli esseri) e tutti gli esseri si muovono ciascuno nella
propria posizione elevata come parti di un macchinario sotto il
potere di Maya.
La parola yantra in questo verso indica sia l'unico grande
meccanismo che è il macrocosmo, la Virata Rupa dell'Atman
supremo, sia il particolare corpo di ciascun essere vivente
nell'universo, in cui l'Atman supremo risiede. Tutte queste forme si
muovono per il potere di Maya attraverso i vari elementi elencati
dalla filosofia Sankhya.
269
Parama Karuna Devi
Nei capitoli precedenti, Krishna aveva già affermato: sarvasya
caham hridi sannivisto mattah smritir jnanam apohanam ca,
vedais ca sarvair aham eva vedyo vedanta krid veda vid eva
caham, "Io sono situato nel cuore di tutti/ ogni cosa, e da me
provengono la memoria, la conoscenza e l'oblio. Io sono lo scopo
dello studio di tutti i Veda. Certamente io sono il creatore del
Vedanta, e colui che conosce i Veda." (15.15), tesam evanukampa
artham aham ajnana jam tamah, nasayamy atma bhava stho jnana
dipena bhasvata, "Nella mia gentilezza verso di loro, io dissipo le
tenebre dell'ignoranza dal loro cuore, risplendendo nella luce
radiosa della conoscenza" (10.11), e jyotisam api taj jyotisah
param ucyate, jneyam jnana gamyam hridi sarvasya visthitam, "E'
descritto come la luce in tutte le cose radiose, trascendentale
all'oscurità. E' stabilito nel cuore di ogni cosa, e deve essere
conosciuto attraverso la coltivazione della conoscenza." (13.18).
Lo stesso punto era stato presentato anche nei versi 13.28 e 13.29,
e nel verso 8.9, che dichiarava che Isvara è presente anche in
ciascun atomo (anor aniyam), riecheggiando un verso simile nella
Katha Upanishad (1.2.20): anor aniyan mahato mahiyan atmasya
jantor nihito guhayam, tam akratuh pasyati vita soko dhatuh
prasadan mahimanam atmanah, "Più piccolo dell'atomo e più
grande dell'intera manifestazione cosmica (mahat), situato nel
profondo del cuore di tutti gli esseri viventi, è il testimone che non
agisce, e per la sua benedizione ci si libera da ogni
preoccupazione: queste sono le glorie dell'Atman".
E anche nella Svetasvatara Upanishad (6.11): eko deva sarva
bhutesu gudhah, sarva vyapi sarva
bhutantaratma karma
adhyaksah sarva bhutadhivasah saksi ceta kevalo nirgunas ca,
"Dio è uno, ma si trova nel cuore di ciascun essere vivente. E'
onnipresente, eppure localizzato nel più profondo di ogni essere
come l'Atman. E' il testimone di tutte le azioni ma è al di sopra di
tutte le azioni, ed è oltre la dualità e oltre i guna".
270
Bhagavad gita: capitolo 18
Il termine isvara si applica a Brahman, Paramatma e Bhagavan, e
in effetti persino all'Atman: sariram yad avapnoti yac capy
utkramati isvarah grihitvaitani samyati vayur gandhan ivasayat,
"Il Signore che è entrato in un corpo e ha accettato tutti questi (la
mente e i sensi), poi esce di nuovo come l'aria trasporta gli odori"
(15.8).
Ricordare questo verso è importante perché ci protegge dall'errore
di considerare gli esseri viventi come semplici burattini privi di
ogni libero arbitrio. Il Signore di tutti gli esseri e di tutte le
esistenze non è un tiranno distante con un bisogno patologico di
controllare le proprie creature come viene presentato da altre
ideologie; Dio è la Coscienza stessa, perciò l'atman individuale
partecipa direttamente all'identità di Dio.
Questa realizzazione suprema viene chiaramente affermata nelle
maha vakyas ("grandi affermazioni") considerate l'essenza delle
Upanishad: sarvam khalv idam brahma, "tutto questo è Brahman"
(Chandogya Upanishad, 7.25.2, Nrisimha uttara tapani
Upanishad, 7), prajnanam brahma, "Brahman è piena
consapevolezza/ conoscenza" (Aitareya Upanishad, 3.3), e anche
aham brahmasmi, "io sono Brahman" (Brihad Aranyaka
Upanishad 1.4.10), ayam atma brahma, "questo Atman è
Brahman" (Mandukya Upanishad 2), tat tvam asi, "tu sei quello (il
Brahman)" (Chandogya Upanishad, 6.8.7) e so 'ham, "io sono
quello (il Brahman)" (Narada parivrajaka Upanishad, 6.4).
Questa sublime conoscenza si trova soltanto nella tradizione
vedica (conosciuta popolarmente come induismo) e costituisce il
livello più alto della realizzazione dello yoga (yoga arudha, 6.3,
6.4), mentre l'aruruksa ("chi desidera raggiungere il livello più
alto") è il principiante nella pratica dello yoga (6.3).
Troviamo la stessa definizione (arudha) in questo verso collegata
con il termine yantra, che significa letteralmente "macchina,
271
Parama Karuna Devi
meccanismo, macchinario, veicolo". Nella scienza del Tantra, uno
yantra è una rappresentazione geometrica simbolica della Divinità,
che funziona come "veicolo" per la presenza personale della
Divinità durante i rituali, un po' come le vigraha elaborate che
normalmente vediamo nell'adorazione pubblica, ma più adatta
all'adorazione personale e privata.
Come abbiamo visto nei capitoli sul Vibhuti yoga e il Visva rupa
darshana yoga, questa intera manifestazione cosmica è uno yantra,
così anche i corpi di tutti gli esseri viventi - sono veicoli e templi
simultaneamente, poiché sia l'atman che il param atman vi
risiedono e possono essere adorati attraverso il corretto servizio o
sva dharma.
Entrambi i tipi di veicoli sono fatti di maya (mahamaya/
yogamaya), e quindi possiamo veramente dire che tutte le attività
sono compiute dalla Prakriti, proprio come il guidatore di un
veicolo semplicemente dà la direzione e la macchina stessa svolge
il lavoro e viaggia qua e là (bhramayan).
L'uso della parola arudhani in riferimento alla posizione di Isvara
in tutti gli esseri (sarva bhutani) mostra la naturale superiorità
dell'atman/ brahman nei confronti del veicolo stesso, e del param
atman sul jiva atman, poiché si tratta di una posizione "alta".
Tale superiorità non deve però essere causa di invidia: al livello
trascendentale non esiste dualità, poiché la posizione naturale, sana
e felice delle cellule del corpo è quella di sintonizzarsi sulla
consapevolezza superiore del corpo intero e parteciparvi attraverso
un servizio favorevole.
272
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 62
tam: a lui; eva: certamente; saranam gaccha: vai a prendere
rifugio; sarva bhavena: in tutti i bhava; bharata: o discendente di
Bharata; tat prasadat: per la sua grazia; param santim: la pace
suprema; sthanam: posizione; prapsyasi: raggiungerai; sasvatam:
eterna.
"O discendente di Bharata, dovresti avvicinarlo e prendere
rifugio in lui in ogni circostanza. Per la sua grazia,
raggiungerai la posizione imperitura della pace suprema.
Benché una, la Coscienza si manifesta in molti amsa individuali o
parti, che sono chiamate svamsa ("parti dirette" come i Deva) e
vibhinnamsa ("parti separate") come i jiva atman (13.17, 15.6).
Krishna ci insegna che atman e brahman sono simultaneamente e
inconcepibilmente identici e differenti, e che lo scopo supremo
della vita umana consiste nell'unire (yoga) l'atman nel brahman,
realizzando così la loro identità trascendentale.
Non dobbiamo rimanere confusi da questa idea, perché è
inconcepibile attraverso la logica materiale, la mente e i sensi, ma
può essere percepita direttamente (prakasa, darshana) attraverso
l'intelligenza spirituale (visuddha buddhi) e gli occhi delle scritture
(11.8, 13.35, 15.10).
Questa è la ragione per cui non è possibile ottenere alcuna
realizzazione senza aver prima studiato attentamente gli shastra
(13.26, 15.20, 16.23, 17.24), e perché solo la bhakti può aprire
273
Parama Karuna Devi
l'ultima porta che conduce alla perfetta realizzazione (4.3, 7.17,
8.22, 9.14, 9.29, 9.34, 11.54, 11.55, 12.14, 12.20, 13.11, 13.19,
14.26, 18.54, 18.55, 18.65).
Ciò è suggerito in questo verso dall'espressione sarva bhavena
("con tutti i bhava", "in tutti i bhava"), dove bhava significa
"esistenza, essere, natura, corpo, nascita, circostanze di vita" ma
anche "emozione, sentimento, relazione d'amore". L'unione
suprema (yoga) tra l'atman e il brahman viene dunque paragonata
al momento mistico del fondersi delle esistenze di due amanti, il
brivido di estasi in cui l'ego si dissolve e viene dimenticato.
E' lo spandakarika, il tremore sacro, la pulsazione della felicità
senza forma e onnipervadente, dell'esistenza e della consapevolezza che si trova nel nucleo stesso della creazione e della
dissoluzione, simboleggiato dall'unione amorosa orgasmica tra
Shiva e Shakti, tra Krishna e Radha. In questa estasi, tutte le
differenze perdono significato, e i due diventano uno. Questa
esperienza liberatoria, che cambia radicalmente la percezione
dell'esistenza, è profondamente temuta e odiata dagli asura, che si
sforzano dunque di eliminare e proibire il vero amore e la
mancanza di egoismo dalla propria vita e dalla vita delle persone
che sono sotto il loro dominio, per sostituirli con la manifestazione
finale e più grande dell'egotismo - la lussuria crudele del
possedimento e dominio che chiamiamo stupro.
Per facilitare il viaggio evolutivo degli anu atman, che culmina
nell'esperienza estatica della realizzazione dell'atman/ brahman, la
Coscienza suprema crea una distinzione tra l'Uno e le Parti,
emanando innumerevoli "parti separate" (vibhinnamsas) e
manifestando il cosmo per accoglierle, arrivando persino a entrare
in questo universo e in ciascun corpo e in ciascun atomo per
godere del piacere della compagnia delle sue parti. Come vediamo
dimostrato dalle parole di Arjuna riguardo la propria relazione con
Krishna, questa Coscienza suprema è sempre con noi, cammina
274
Bhagavad gita: capitolo 18
con noi, si sdraia con noi, si siede, mangia, scherza e si diverte con
noi, quando siamo soli o in presenza di altri (11.41, 11.42).
Il Bhagavata Purana (11.11.6) dichiara: suparnav etau sadrisau
sakhayau yadricchayaitau krita-nidau ca vrikse, ekas tayoh
khadati pippalannam anyo niranno 'pi balena bhuyan, "Due
uccelli di natura simile e collegati dall'amicizia hanno scelto di
fare il nido nello stesso albero; uno mangia i frutti di quell'albero
baniano, l'altro non mangia ma è più forte." Questa stessa
immagine si trova nella Mundaka Upanishad (3.1.1): dva suparna
sayuja sakhaya samanam vriksam parisasvajate, tayor anyah
pippalam svadv atty anasnann anyo 'bhicakasiti, "Due uccelli
siedono sullo stesso albero come amici; uno dei due uccelli mangia
i frutti dell'albero, e l'altro semplicemente lo osserva senza
mangiare." Lo stesso verso è ripetuto esattamente nella
Svetasvatara Upanishad (4.6), che aggiunge (4.7): samane vrikse
puruso nimagno 'nisaya socati muhyamanah, justam yada pasyaty
anyam isam asya mahimanam iti vita-sokah, "Benché i due
purusha siano sullo stesso albero, uno dei due sperimenta una
profonda ansietà e confusione, ma se si rivolge al Signore e
diventa cosciente delle sue glorie, immediatamente si libera da
ogni preoccupazione."
Non è difficile avvicinare il Signore di tutti gli esseri (isvara sarva
bhutanam) e prendere rifugio in lui, perché risiede anch'egli nello
stesso corpo (8.4, 13.23, 13.32, 15.8, 16.18, 17.6) per amicizia e
amore verso l'anima individuale.
Questo param atman ("anima suprema" e anche "anima
dell'anima") è sempre pronto a comunicare con l'anima individuale
e in effetti la sua voce è conosciuta popolarmente come "la voce
della coscienza". La relazione dell'anima individuale con questa
anima suprema può essere compresa assimilandola alla relazione
della coscienza di una cellula del corpo a confronto con la
consapevolezza del proprietario del corpo intero; in qualsiasi
275
Parama Karuna Devi
momento la cellula del corpo è sostenuta dal corpo intero e dalla
consapevolezza che la sostiene e dirige, tramite l'interfaccia del
DNA e anche attraverso lo scambio costante di sostanze nutritive.
Il nucleo della cellula è identico al nucleo del corpo intero, perché
è costituito da informazioni genetiche - da conoscenza o
consapevolezza. Abbiamo visto che il Bhagavata Purana definisce
molto chiaramente il Supremo come conoscenza (tattvam yaj
jnanam advayam, brahmeti paramatmeti bhagavan iti sabdyate,
1.2.11), e ciò viene confermato anche da altri testi vedici
fondamentali; per esempio la Taittirya Upanishad (2.1.1),
elaborando sull'origine dei jivatman, afferma chiaramente: satyam
jnanam anantam brahma, "Il Brahman è la Verità assoluta, la
Conoscenza illimitata".
Già nel verso 13.23 Krishna aveva affermato che questo
paramatman è presente nel corpo come la coscienza che è
testimone del jivatman e delle sue azioni; dà consigli e concede il
permesso (anumanta), sostiene il jivatman, supervisiona e gusta le
sue attività (upadrastanumanta ca bharta bhokta mahesvarah,
paramatmeti capy ukto dehe 'smin purusah parah).
Dunque la consapevolezza limitata dipende dalla consapevolezza
illimitata per le sue attività ed esistenza, e ne è distinta e differente
come vastità e livello nel corso della vita condizionata. Ciò è
confermato anche nei Vedanta sutra: sariras cobhaye api hi
bhedena enam adhiyate, "Entrambi (il jivatman e il paramatman)
sono presenti nel corpo, distinti l'uno dall'altro " (Vedanta sutra
1.2.20) e guham pravistav atmanam hi tad darsanat, "Entrambi
(jivatman e paramatman) sono entrati nella grotta (del corpo), ma
l'atman è distinto da quello (il supremo)" (Vedanta sutra 1.2.113).
Abbiamo già detto che il jivatman è un'emanazione del Supremo,
generato direttamente da Dio (mama eva amsa jiva loke, jiva
bhuta sanatanah, 15.7).
276
Bhagavad gita: capitolo 18
Ciò è confermato abbondantemente nelle Upanishad: sad eva
saumyedam agra asid ekam evadvitiyam tad aiksata bahu syam
prajayeya, "All'inizio c'era il Supremo, che era uno senza secondi.
Pensò: 'Io diventerò molti. Io diventerò il progenitore di molti'."
(Chandogya Upanishad 6.2.1), so 'kamayata bahu syam prajayeya
sa tapo 'tapyata tapas taptva idam sarvam asrijat. yad idam
kincana tat sristva tad evanupravisat. tad anupravisya sac ca tyac
cabhavat, "Desiderò, 'Io diventerò molti. Io sarò il padre di una
numerosa progenie'. Dal suo tapah, creò ogni cosa. Poi entrò
all'interno del mondo che aveva creato, e diventò tutto ciò che è
manifestato e ciò che è non manifestato." (Taittiriya Upanishad
2.6.1), sa aikshata lokan nu srija, "Pensò: 'Ora io creerò la gente/ i
mondi'." (Aitareya Upanishad 1.1.2 ), yato va imani bhutani
jayante, "Dal Supremo sono nati (tutti) questi esseri." (Taittiriya
Upanishad 2.1.1), tad atmanam svayam akuruta, "Creò (ogni cosa)
dal proprio atman" (Taittiriya Upanishad 2.7.1), tasmad va
etasmad atmana akasah sambhutah, "Dall'Atman venne
manifestato l'akasha (lo spazio, il primo degli elementi materiali)"
(Taittiriya Upanishad 2.1.1).
Non dovremmo proiettare le nostre limitazioni materiali su Dio.
Abbiamo visto che Isvara Bhagavan è il Padre (9.17, 11.43, 14.5),
ma è anche la Madre (9.17, 14.3). Lo confermano chiaramente le
Upanishad: yad bhuta yonim paripasyanti dhirah, "I saggi vedono
che il Brahman è l'utero dal quale ogni cosa è nata" (Mundaka
Upanishad 1.1.6), kartaram isam purusam brahma yonim, "La
Personalità suprema di Dio è il creatore originario, l'utero dal quale
tutto è nato" (Mundaka Upanishad 3.1.6 ).
Ecco la chiave per la vera realizzazione: ya eko 'varno bahudha
sakti-yogad, varnan anekan nihitartho dadhati, vi caiti cante
visvam adau sa devah, sa no buddhya subhaya samyunaktau, "Che
la Personalità suprema di Dio, una senza rivali, che per i propri
scopi creò le molte varietà di esseri viventi attraverso l'azione delle
277
Parama Karuna Devi
sue potenze, che creò ogni cosa all'inizio e nel quale tutto rientra
alla fine, ci conceda l'intelligenza pura." (Svetasvatara Upanishad
4.1)
VERSO 63
iti: così; te: a te; jnanam: la conoscenza; akhyatam: descritta;
guhyat: più che segreta; guhyataram: la più segreta; maya: da me;
vimrsya: riflettendo; etat: questa; asesena: completamente; yatha
icchasi: come preferisci; tatha: quello; kuru: compi.
"In questo modo ti ho descritto il supremo tra tutti i grandi
segreti. Ora riflettici attentamente, e poi fa' come desideri.
Tutti hanno una coscienza, e se ascoltiamo attentamente possiamo
sentire la sua voce chiaramente, e in fondo, sotto tutti gli strati di
ego e depositi di sostanza mentale, sappiamo che la nostra
coscienza ci sta dando ottimi consigli e che dovremmo seguirli, per
il nostro stesso bene.
La nostra coscienza però non ci dà ordini tassativi e non ci
costringe a fare qualche azione; siamo sempre liberi di scegliere di
ignorarla o trascurare la sua voce e persino di dimenticare la sua
esistenza per tutto il tempo che vogliamo: dipende da noi. Dio non
interferisce e non si offende se non seguiamo le sue istruzioni, e in
qualsiasi momento siamo pronti ad ascoltare, è sempre disposto a
guidarci con lo stesso immutato affetto e la stessa grande saggezza.
278
Bhagavad gita: capitolo 18
L'obbedienza forzata non ha vero valore perché quando un
bambino viene costretto a obbedire, non impara nulla e non si
evolve; non appena la proibizione si allenta in qualche modo o può
essere aggirata, il bambino inevitabilmente cercherà di impegnarsi
in quella stessa attività che gli era stata vietata - e con un desiderio
più forte e più violento, perché la repressione può soltanto
aggravare il problema e renderlo più pericoloso e perverso.
Gli sciocchi genitori o insegnanti che seguono il metodo abramico
di "non risparmiare le punizioni corporali per insegnare al bambino
per il suo stesso bene" stanno creando mostri repressi che un
giorno scateneranno le proprie frustrazioni infette su altre creature
innocenti, diventando asura come i loro predecessori, e perdendo
ogni senso di intelligenza e coscienza sotto una montagna tossica
di senso di colpa subcosciente e disprezzo di sé, paura,
conformismo, odio, ansietà, avidità, ossessione e malattie
psicologiche. Negli ultimi secoli lo stesso approccio è stato
imposto alle relazioni del governo con i sudditi, e dobbiamo
comprendere che deriva direttamente dall'esempio del Dio della
Bibbia, che colpisce a capriccio e inaspettatamente persino i propri
fedeli adoratori quando è irritato da qualche piccolo errore o
qualche incidente involontario, o semplicemente perché vuole farlo
- e non fate domande altrimenti sarete trattati come offensori.
D'altra parte vediamo che nelle culture e nelle religioni nonabramiche le persone sono libere di pensare, parlare e vivere come
vogliono, anche se l'aggressione è naturalmente considerata un
crimine; il famoso slogan del Rede Wiccan (presentato come
"stregoneria" dalla cultura dominante a base abramica) "Fa' ciò che
desideri, purché non porti danno a nessuno" riassume bene questo
punto. L'espressione yatha icchasi tatha kuru ("poi fa' ciò che
desideri") mostra chiaramente la liberalità del consiglio di Krishna
e anche la sua pazienza e il suo distacco, e illustra quale abisso di
differenza ci sia tra l'induismo originario e le fedi abramiche.
279
Parama Karuna Devi
E' però importante notare che Krishna non dice, "fa' ciò che ti
piace") perché vuole assicurarsi che il jiva atman faccia una scelta
sobria e responsabile, non basata semplicemente sull'attrazione
superficiale e infantile di ciò che piace e ciò che non piace, perché
crescere significa diventare capaci di comprendere che ciò che
sembra spiacevole all'inizio può essere nettare alla fine, e
viceversa (18.36, 18.37, 18.38, 18.39, 5.22, 16.23). L'atman
condizionato cerca naturalmente la felicità, ma non ha idee chiare
su come trovarla, perciò Krishna vuole assicurarsi che comprenda
bene le indicazioni su come raggiungere la vera felicità.
E' vero che in ultima analisi tutte le vie portano a Dio (mama
vartmanuvartante manusyah partha sarvasah, 3.23) poiché ogni
individuo può svilupparsi gradualmente secondo i propri tempi e la
propria volontà, attraversando le diverse esperienze in una
sequenza personalizzata, ma è vero anche che alcuni percorsi ci
porteranno a destinazione in modo più diretto e che scegliendone
altri potremmo impiegare molto più tempo (16.20). L'intero
percorso deve però essere un'esperienza evolutiva personalizzata
secondo i nostri gusti e le nostre preferenze individuali, perciò Dio
non interferisce, e lascia che a organizzare i dettagli sia l'agenzia di
viaggi della Natura secondo le scelte dell'atman individuale. Il
Paramatma è il testimone e il consigliere e facilita le procedure
(upadrasta anumanta ca, 13.23); come un buon genitore e
insegnante, dà istruzioni e non ordini, perché preferisce educare
piuttosto che dominare.
Abbiamo già detto parecchie volte che Dio non esige mai
obbedienza o cieca fede; coloro che credono e insegnano che la
religione consiste nel sottomettersi a comandamenti, dogmi o
fatwa per timore di Dio stanno in realtà parlando in nome di
qualcosa che non è Dio. Mentre le ideologie abramiche e i loro
derivati (comunismo e così via) esigono che i loro membri
rinuncino all'uso di intelligenza, buon senso e coscienza etica in
280
Bhagavad gita: capitolo 18
nome di fede, obbedienza e lealtà alle autorità stabilite del sistema
che seguono, la Bhagavad gita e la tradizione vedica incoraggiano
le persone a sviluppare l'intelligenza che hanno ricevuto da Dio e a
purificarla attraverso la comprensione dei principi eterni e
universali dell'etica chiamati dharma.
Ciò è indicato particolarmente dalle parole vimsrija ("riflettendo,
meditando") e asesena ("in generale e specificamente"). Non
bisogna agire a capriccio e in modo irresponsabile, perché ogni
azione creerà conseguenze; l'ignoranza delle leggi della natura non
è una scusa. Le lezioni che ci sono offerte dalla vita e da Madre
Natura non sono inutili - anzi, sono preparate molto accuratamente
e amorevolmente per aiutarci a imparare e a crescere nel modo
migliore possibile. Tutti abbiamo sperimentato il fatto che
all'inizio l'insegnante offre suggerimenti senza parlare, per vedere
se siamo abbastanza intelligenti da comprendere da soli, poi parla
con voce moderata offrendo una breve spiegazione, e poi se ancora
non abbiamo capito la spiegazione diventa più lunga e rude, e il
tono di voce diventa più alto per esprimere un senso di urgenza e
importanza.
Non dovremmo pensare che la nostra mancanza di comprensione
danneggi l'insegnante, o che l'insegnante ci odii perché mostra
collera quando non ci impegnamo adeguatamente nel nostro
studio; un buon insegnante è preoccupato per i risultati che
otterremo negli esami imminenti e sta cercando di risparmiarci
sofferenze maggiori in futuro. Dovremmo apprezzare questo fatto
e ricordarlo quando piangiamo e ci chiediamo come mai non siamo
riusciti a superare gli esami, e diamo la colpa a Dio per le nostre
mancanze.
La conoscenza trascendentale della liberazione è chiamata il
segreto supremo tra i segreti (guhyad guhyataram) ma non perché
sia qualche mistero incomprensibile che dobbiamo accettare senza
fare domande. L'intera Bhagavad gita consiste in una serie di
281
Parama Karuna Devi
domande poste da Arjuna per chiarire i dubbi che chiunque
potrebbe avere nello studio della scienza vedica, e nelle elaborate
risposte di Krishna da tutte le possibili angolazioni. La parola
akhyatam, "ho spiegato", indica la cura e la dedizione che Krishna
ha investito nel presentare la conoscenza trascendentale della
Bhagavad gita, non soltanto in questi ultimi versi o in questa
occasione sul campo di battaglia di Kurukshetra, ma molte altre
volte come ha già affermato (4.1, 4.8).
A un livello più profondo, dovremmo considerare questo verso
ricordando che il termine jnana include tutte le modalità di yoga
presentate nella Bhagavad gita - Arjuna visada yoga, Sankhya
yoga, Karma yoga, Jnana yoga, Sannyasa yoga, Dhyana yoga,
Vijnana yoga, Taraka brahma yoga, Raja guhya yoga, Vibhuti
yoga, Visva rupa darsana yoga, Bhakti yoga, Prakriti-purushaviveka yoga, Guna traya vibhaga yoga, Purushottama yoga,
Daivasura sampada vibhaga yoga, Sraddha traya vibhaga yoga, e
Moksha yoga.
La parola jnana indica inoltre Bhagavan stesso, come abbiamo già
menzionato parecchie volte. Non dobbiamo quindi essere
superficiali e infantili come quegli sciocchi che disprezzano jnana
come una semplice "impurità" nella pratica della bhakti (jnana
misra bhakti); ciò è indicato anche dall'istruzione di Krishna in
questo verso: vimrisyaitad asesena.
Lo confermano le Upanishad e il Bhagavata Purana: vadanti tat
tattva vidas, tattvam yaj jnanam advayam, brahmeti paramatmeti,
bhagavan iti sabdyate, "Coloro che conoscono il tattva dichiarano
che questo tattva è Conoscenza indivisa, variamente definita come
Brahman, Paramatma, e Bhagavan" (Bhagavata Purana 1.2.11), e
satyam jnanam anantam brahma, "Il Brahman è la Verità assoluta,
la Conoscenza illimitata" (Taittirya Upanishad 2.1.1).
282
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 64
sarva guhya tamam: la più segreta di tutte (conoscenza); bhuyah:
di nuovo; srnu: ascolta; me: da me; paramam vacah: l'istruzione
suprema; istah asi: tu sei caro; me: a me; dridham: estremamente;
iti: così; tatah: perciò; vaksyami: io sto dicendo; te hitam: per il
tuo bene.
"Ascolta nuovamente da me il segreto più grande di tutti,
l'istruzione suprema. Tu mi sei molto caro, e questo è il motivo
per cui parlo per il tuo bene.
In questo verso, la parola iti indica che le istruzioni di Krishna
nella Bhagavad gita stanno arrivando alla conclusione finale. Ciò
significa che il processo di insegnamento richiede regolarmente
delle verifiche per controllare se lo studente è stato capace di
comprendere e imparare; dopo aver spiegato l'argomento sotto
tutte le angolature possibili, l'insegnante si ritira e lascia che lo
studente parli e faccia le sue scelte (yatha icchasi tatha kuru).
Krishna parla con Arjuna in modo molto confidenziale, perché
Arjuna è suo amico e devoto (4.3, 10.1) e si è sottomesso a lui
come un discepolo al guru (2.7, 6.39). Bhagavan ricambia i
sentimenti e il servizio di coloro che lo amano (tams tathaiva
bhajamy aham, 4.11, ye bhajanti tu mam bhaktya mayi te tesu
capy aham, 9.29). Proteggerà personalmente coloro che prendono
rifugio in lui (9.31, 11.55), e ha un affetto speciale per coloro che
si sforzano di qualificarsi sviluppando le caratteristiche e i
283
Parama Karuna Devi
comportamenti divini (12.14, 12.15, 12.16, 12.17, 12.19, 12.20).
Rimane però l'amico affettuoso di tutti gli esseri (suhridam sarva
bhutanam, 5.29).
Bhagavan non si stanca mai e non ci abbandona mai, nemmeno
quando le nostre scelte disastrose ci trascinano ai livelli più bassi
di degradazione e stupidità, persino quando la nostra ignoranza e
arroganza ci costringe a ostacolare il progresso degli altri. Di volta
in volta, la Coscienza suprema discende come avatara (4.1, 4.5,
4.8, 2.12) per ristabilire la comprensione corretta di dharma e
vidya, perché gli esseri umani spesso fanno cattivo uso del proprio
libero arbitrio e tendono a guastare tutto.
Bhagavan non odia nessuno (9.29) e anche quando affronta asura
e duskrita ("i malfattori") per fermare le loro attività distruttive, è
sempre mosso da affetto e benevolenza nei loro confronti. Il
grande Daksha riconobbe questa verità dopo essere stato scosso
dal suo arrogante autocompiacimento: daksha uvaca, bhuyan
anugraha aho bhavat krito me, dandas tvaya mayi bhrito yad api
pralabdhah, "O Signore, la tua punizione è stata un grande favore,
perché ha distrutto (la mia arroganza)" (Bhagavata Purana 4.7.13).
Non dovremmo pensare che poiché Bhagavan non dà ordini e non
si offende quando trascuriamo le sue istruzioni, non verremo puniti
quando combiniamo qualche disastro. Già le leggi della natura
materiale normalmente si occupano di impartire le lezioni
necessarie nella forma di quelle che chiamiamo "reazioni
karmiche" o più correttamente "reazioni al vikarma" o "reazioni
all'ugra karma". L'effetto della legge del karma è lo stesso per
tutti, a prescindere da cosa la gente crede o a chi ha giurato fedeltà:
è vero che Bhagavan nella forma di jnana (la conoscenza)
distrugge immediatamente le reazioni karmiche accumulate dai
suoi devoti, ma il procedimento non è una specie di amnistia
incondizionata come alcuni sciocchi amano pensare.
284
Bhagavad gita: capitolo 18
Nelle ideologie abramiche, tutti sono considerati peccatori per il
semplice fatto di essere nati (poiché per loro la nascita è una
contaminazione demoniaca, "il peccato originale") e l'unica
speranza di purificazione e perdono è la conversione, che consiste
nel giurare totale e cieca fedeltà a Dio e ai suoi rappresentanti
ufficiali. Secondo loro, questa semplice azione di fedeltà
distruggerebbe tutti i peccati non solo al momento iniziale della
conversione, ma anche durante tutta la vita del "fedele", ogni volta
che viene benedetto dai rappresentanti ufficiali di Dio.
L'esempio più caratteristico è il "sacramento della confessione"
nella chiesa cattolica, in cui una persona confessa i propri peccati a
un prete e viene assolta da ogni colpa e responsabilità, senza dover
ripagare alcun debito alle persone che ha danneggiato. La
preghiera principale dei cristiani dice, "rimetti a noi i nostri debiti"
(Luca 11.24), come se il semplice fatto di giurare fedeltà a Dio e
pregarlo ci potesse automaticamente liberare dai debiti karmici che
abbiamo creato verso altri esseri: questa è la formula perfetta per il
disastro, perché distrugge ogni senso di responsabilità e giustizia, e
incoraggia i malfattori a continuare nelle loro attività nefaste
contando sull'assoluzione totale, regolare e ripetuta di Dio e il
perdono attraverso le benedizioni dei preti. Ciò costituisce il modo
più efficace per rafforzare la decisione di ignorare la voce della
propria coscienza - "ho fatto pace con Dio, adesso tutto è a posto, e
posso rifare la stessa cosa tutte le volte che voglio".
Alcune persone ignoranti e sciocche potrebbero essere tentate di
applicare questo atteggiamento al verso 18.66 che studieremo tra
poco: sarva dharman parityajya mam ekam saranam vraja, aham
tvam sarva papebhyo moksayishyami ma sucah, "Lasciandoti
dietro tutte le differenze nei doveri, prendi rifugio in me soltanto.
Non ti preoccupare, io ti libererò da ogni errore."
Equivocando sul significato di "prendere rifugio" (2.7, 2.49, 4.10,
7.1, 7.14, 7.29, 9.13, 9.18, 9.32, 11.38, 14.2, 15.4, 18.57, 18.62,
285
Parama Karuna Devi
18.66) e "sottomettersi" (3.30, 4.11, 5.10, 12.6), concludono che
semplicemente facendo un giuramento di fedeltà settaria a Krishna
e mantenendosi in buoni rapporti con le "autorità religiose
ufficiali", potranno permettersi di commettere impunemente
qualsiasi crimine o malefatta e venire accolti comunque in
paradiso al termine di questa vita.
La conoscenza vedica non incoraggia questa stupida illusione,
perché non limita Dio a una personalità materiale influenzata dalla
dualità come vediamo nelle ideologie abramiche. Bisogna prendere
rifugio in Dio e sottomettersi a Dio nella forma delle sue istruzioni
e della sua consapevolezza, che sono basate sulla visione equanime
verso tutti gli esseri, lo sviluppo di una personalità divina e la
purificazione da tutte le attività negative e i difetti, a cominciare
dalla radice di tutti i mali, che è l'identificazione materiale e
l'attaccamento egoistico. In questo modo Dio ci libera da tutte le
colpe perché più diventiamo coscienti di Dio, più abbandoniamo le
qualità asuriche e sviluppiamo qualità divine, fino al punto in cui
superiamo completamente il collegamento con il corpo materiale
grossolano - non demonizzandolo, ma elevandoci al di là di esso.
La vera conoscenza (jnana) distrugge l'accumulo di reazioni
karmiche bruciandole (4.19), perciò ci deve essere un fuoco che le
consuma, riducendo in cenere la radice stessa dell'ignoranza che è
l'identificazione ahankara-mamatva.
Nessun corpo può sopravvivere a questo fuoco, e in effetti non ci
si aspetta che lo faccia (2.11-13, 2.16, 2.18, 2.22, 2.23, 2.27, 2.28,
11.27-30), e solo l'atman rimane non toccato da questa distruzione
(2.23, 2.24), perciò la distruzione del corpo di un malfattore non è
affatto una perdita in nessuna circostanza - nemmeno per lui
stesso. Nel sistema vedico, i malfattori (atatayinah, "aggressori")
devono essere immediatamente affrontati con forza letale mentre
sono ancora impegnati nell'atto di aggressione. Non c'è spazio per
una discussione ragionevole o per negoziati, non c'è spazio per i
286
Bhagavad gita: capitolo 18
trucchi degli avvocati per farli sfuggire alla giustizia o stimolare
una compassione sentimentale o chiedere il "rispetto per i diritti
umani" dei criminali, non c'è spazio per le bustarelle o per
svignarsela senza pagare il prezzo delle proprie malefatte. Nel
momento stesso in cui criminale si impegna nell'aggredire una
creatura buona e innocente, sta rinunciando a tutti i propri diritti
umani perché sta negando gli stessi diritti alla sua vittima. La
stessa cosa si applica alla cosiddetta "libertà di religione" per la
quale ci viene chiesto di essere tolleranti verso gli intolleranti e
riconoscere loro il diritto di negare gli stessi diritti ad altri (noi
compresi). Questa idiozia assurda è stata creata soltanto dalle
ideologie abramiche, che pretendono per sé stesse tutti i diritti e
negano ogni dovere verso gli altri. Il karma non è mai una strada a
senso unico, e chi lo crede dovrà pagare cara tale illusione.
Dopo aver chiarito questo punto, possiamo elaborare sui principi
etici del dharma che insegnano che un nemico che si arrende non
dovrebbe essere punito. Un aggressore può e deve essere punito
finché è ancora impegnato nel commettere il crimine, ma se si
arrende prima di essere sconfitto dovremmo astenerci
dall'ucciderlo; togliergli le armi e renderlo inoffensivo dovrebbe
essere sufficiente per la protezione dei praja. Se cerca di nuovo di
aggredire persone o creature innocenti, il criminale deve essere
considerato incapace di pentimento ed esiliato dal regno. Questo è
esattamente ciò che le leggi della natura fanno attraverso le
dinamiche del karma, quando assegnano una nascita inferiore a un
criminale recidivo, negandogli l'opportunità di una forma di vita
umana (manusya janma).
C'è una grossa differenza tra la posizione circostanziale di un
individuo (creata dalle reazioni combinate delle azioni e scelte
precedenti) e la capacità di fare scelte nuove e possibilmente
migliori per il futuro. Questa differenza si chiama jati (nascita), ma
contrariamente a quanto credono i casteisti ignoranti e stupidi
287
Parama Karuna Devi
(sulla base dei pregiudizi di razza rafforzati dalle influenze
abramiche), jati si riferisce alla specie del corpo che si ha ottenuto
e non alla particolare famiglia di nascita. Le scritture vediche
descrivono tre tipi di jati: manusya jati ("la nascita come essere
umano") è contrapposta a pakshi jati ("la nascita come uccello") e
mriga jati ("la nascita come animale mammifero"). In questo
senso, jati è il patrimonio genetico che conferisce delle abilità
caratteristiche fondamentali e specifiche del corpo. Ma tali
differenze genetiche non esistono tra esseri umani riguardo ai
doveri religiosi e alle occupazioni sociali, e le scritture vediche lo
sanno molto bene.
VERSO 65
mat manah: pensa a me; bhava: diventa; mat bhaktah: mio devoto;
mat yaji: mio adoratore; mam namaskuru: offri il tuo rispetto a
me; mam: a me; eva: certamente; esyasi: verrai; satyam: in verità;
te: a te; pratijane: come promessa; priyah: amato; asi me: tu sei
per me.
"Focalizza la tua mente su di me, diventa mio devoto, adorami
e offrimi rispetto, e certamente verrai a me. Te lo prometto in
verità, perché mi sei molto caro.
Krishna aveva già dato la stessa istruzione nel capitolo del Raja
guya yoga ("il segreto supremo"): man mana bhava mad bhakto
288
Bhagavad gita: capitolo 18
mad yaji mam namaskuru, mam evaisyasi yuktaivam atmanam mat
parayanah, "Pensa sempre a me, diventa mio devoto e mio
adoratore. Offrimi il tuo rispetto e dedica te stesso a me. Grazie a
questo collegamento mi raggiungerai." (9.34). Abbiamo trovato
un'istruzione simile nel capitolo sul Bhakti yoga: mayy avesya
mano ye mam nitya yukta upasate, sraddhaya parayopetas te me
yuktatama matah, "Coloro che tengono sempre la mente
concentrata su di me e mi adorano con fede, sempre uniti a me,
hanno raggiunto il livello supremo e io li considero come i più
intimamente uniti." (12.2). Bisogna comprendere questo concetto
molto chiaramente, perché una sovrapposizione artificiale di
concetti alieni abramici contaminerà l'intelligenza di coloro che
hanno scarsa conoscenza e confonderà la loro comprensione, con
conseguenze potenzialmente disastrose.
Come abbiamo già spiegato, le ideologie abramiche (e i loro
derivati) presentano la fede cieca e l'obbedienza (spesso scambiata
per devozione spirituale) come l'unica azione richiesta per coloro
che desiderano essee considerati persone religiose. Ciò crea l'idea
illusoria che il servizio verbale (cioè la preghiera) sia sufficiente a
qualificare una persona per una posizione elevata nella
realizzazione religiosa e spirituale. Applicato al processo della
bhakti, questo equivoco viene aggravato dalla nozione secondo cui
sravana kirtana ("ascoltare e parlare") sono forme indipendenti di
servizio devozionale in sé e non semplicemente stadi iniziali di un
processo più ampio e membra (anga) di un metodo scientifico.
Così le persone superficiali concludono che è necessario soltanto
fare sfoggio di religiosità in teoria senza sostenerla con le proprie
vere convinzioni e il proprio comportamento, ma questa idea non è
confermata dalla Bhagavad gita o da qualche altro testo vedico o
acharya autentico. Per esempio, vediamo persone che si
considerano perfettamente situate sul piano più elevato se
rimangono meccanicamente sedute durante letture religiose
289
Parama Karuna Devi
periodiche, e si aspettano che tale esercizio sarà sufficiente a
garantire loro tutto ciò che desiderano e infine anche la
liberazione.
Tecnicamente, questo approccio è paragonato ad annaffiare la
pianta buona senza curarsi di eliminare le erbacce, e il risultato è
spesso deludente perché le piante infestanti finiscono per il
consumare tutta l'acqua mentre la pianta buona languisce e non
non dà alcun frutto.
E' vero che le modalità esteriori della propria adorazione (mad yaji
mam namaskuru) possono essere aggiustate a seconda delle
circostanze e possibilità individuali (desa, kala, patra) e che
possiamo persino impegnarci in molte attività devozionali anche
soltanto nella nostra mente, come manasa puja (meditazione
mentale) quando è troppo difficile compierle esteriormente (17.19,
18.24, 6.37, 2.40).
Ma dobbiamo essere onesti nei nostri sforzi (3.43, 4.12, 6.5, 6.17,
6.25, 6.36, 6.43, 12.11, 15.11); dobbiamo cercare di impegnare
tutti i nostri sensi nel servizio del Supremo, come insegnano i
grandi maestri della bhakti come Narada Rishi: hrisikesha
hrisikena sevanam bhaktir ucyate, "bhakti è definita come
l'impegno dei sensi nel servizio del Signore dei sensi" (Narada
Pancaratra, citato nel Bhakti rasamrita sindhu, 1.1.12).
Semplicemente impegnare il senso dell'ascolto non è sufficiente; si
tratta di un passo iniziale fondamentale, ma dobbiamo poi usare
tutti i nostri sensi al servizio di Dio, ed evitare di impegnarci in
attività che sono sfavorevoli a tale servizio.
Bhagavan è molto liberale e accetta anche offerte molto modeste
(9.26, 27) anche nelle attività più semplici e ordinarie; suggerisce
una varietà di approcci al metodo (12.8, 12.9, 12.10, 12.11) per
facilitare la scelta di coloro che hanno raggiunto diversi livelli di
realizzazione.
290
Bhagavad gita: capitolo 18
La pratica del sadhana spirituale/ religioso dovrebbe essere
sufficientemente confortevole da poter essere sostenuta per lunghi
periodi di tempo (su sukham kartum avyayam, 9.2), perciò Krishna
non raccomanda di fare grandi sforzi con eccessive austerità basate
sull'egotismo, specialmente quando queste non sono prescritte
dagli shastra o dal guru (asastra vihitam ghoram tapyante ye tapo
janah, dambhahankara samyuktah kama raga balanvitah, 17.5).
Al contrario, bisogna fare sforzi controllati nel compiere i propri
doveri (yukta cestasva karmasu, 6.17) e abbandonare il desiderio
egotistico di "fare di più" del necessario (sarvarambha parityagi,
12.16, lobhah pravrittir arambhah karmanam asamah spriha,
14.12, sarvarambha parityagi gunatitah sa ucyate, 14.25).
Comunque bisogna fare uno sforzo per qualificarsi sviluppando le
caratteristiche e i comportamenti divini (12.14, 12.15, 12.16,
12.17, 12.19, 12.20), comprendendo la scienza di Dio (13.9, mad
bhakta etad vijnaya mad bhavayopapadyate) e lavorando per il
bene di tutti gli esseri. Krishna ha descritto le caratteristiche di un
devoto autentico in molti versi: possiamo citarne qui uno che li
riassume bene: mat karma krin ma paramo mad bhaktah sanga
varjitah, nirvairah sarva bhutesu yah sa mam eti pandava, "Il mio
devoto è impegnato nel lavorare per me e mi vede come la Realtà
suprema. Ha abbandonato ogni associazione/ affiliazione/
identificazione, e non nutre ostilità verso alcun essere. In questo
modo, il mio devoto viene a me" (11.55). Ha dato anche istruzioni
pratiche (9.27): yat karosi yad asnasi yaj juhosi dadasi yat, yat
tapasyasi kaunteya tat kurusva mad arpanam, "O Arjuna, tutto ciò
che fai, che mangi, sacrifichi, distribuisci o sopporti nel
compimento dei tuoi doveri - fallo per me."
Possiamo farci un'idea più completa del significato di bhakti dalle
descrizioni del Bhagavata Purana, specialmente negli
insegnamenti di Prahlada sulle nove membra del servizio
devozionale: sravanam kirtanam visnoh smaranam pada sevanam,
291
Parama Karuna Devi
arcanam vandanam dasyam sakhyam atma nivedanam, iti
pumsarpita visnau bhaktis cen nava laksana, kriyeta bhagavaty
addha tan manye 'dhitam uttamam, "Ascoltare, parlare, ricordare
Vishnu, seguire le sue istruzioni, offrire adorazione e rispetto,
impegnarsi in servizio pratico, sviluppare una relazione personale
con Dio e dedicarsi completamente: in questo modo una persona
che offre servizio devozionale a Vishnu secondo il metodo delle
nove parti deve impegnarsi in tutte. Io considero questa come la
istruzione più alta." (Bhagavata Purana 7.5.23-24).
VERSO 66
sarva dharman: tutti i doveri; parityajya: lasciandoti dietro; mam
ekam: soltanto a me; saranam vraja: vieni a rifugiarti; aham: io;
tvam: te; sarva papebhyah: da ogni colpa; moksayisyami: io
libererò; ma sucah: non ti preoccupare.
"Lasciandoti dietro tutte le differenze riguardo ai doveri,
prendi rifugio in me soltanto. Non ti preoccupare, io ti libererò
da ogni colpa.
L'espressione sarva dharman in questo verso è estremamente
interessante; poiché la parola dharma è espressa nella forma
plurale, indica una frammentazione dualistica del principio
universale ed eterno che sostiene l'universo e il progresso di tutti
gli esseri.
292
Bhagavad gita: capitolo 18
Il dharma è sempre uno, sebbene i suoi principi (o "zampe")
possano venire elencati come veridicità, compassione, pulizia,
autocontrollo, tolleranza, progresso personale, collaborazione e
così via.
Questa radice fondamentale che sostiene l'esistenza è identificata
con gli insegnamenti di Krishna (2.40, 9.2, 9.3, 9.31, 11.18, 12.20,
18.70) e persino con Bhagavan stesso (14.2, 14.27) come conferma
anche il Bhagavata Purana (2.4.19, 7.11.7, 11.15.18) e il verso
introduttivo del Vishnu sahasra nama (Mahabharata, Anusasana
parva, capitolo 149) come segue: brahmanyam sarva dharmajnam
... esa me sarva dharmanam dharmadhikatamo (sloka 14). Inoltre,
la missione specificamente dichiarata di Krishna consiste nel
ristabilire il dharma ogni volta che si è indebolito (4.7, 4.8), perciò
non è possibile che Krishna ci stia chiedendo qui di abbandonare il
dharma come valore fondamentale della vita. Una conclusione
così stupida e pericolosa può essere presentata soltanto da asura
ipocriti che non si sono curati di studiare (che dire di praticare) gli
insegnamenti degli shastra autentici (16.17, 16.23, 17.6, 17.13) per
comprendere i principi del dharma.
I "vari dharma" ai quali Krishna si riferisce qui (sarva dharman)
sono le definizioni temporanee e limitate del dovere attaccate ai
guna materiali come descritto nelle attività e qualità dei diversi
varna (brahmana, kshatriya, vaisya, sudra), e questo include le
particolari esteriorità dei vari ashrama (brahmacharya, grihastha,
vanaprastha, sannyasa).
Abbiamo già visto questo concetto nel verso 9.21, in cui Krishna
ha parlato dei "tre dharma" (trayi dharman) come le cerimonie
rituali prescritte per coloro che desiderano raggiungere i sistemi
planetari superiori (svarga lokan). E certamente possiamo
applicare la definizione sarva dharman ai vari approcci settari che
oppongono per esempio un vaishnava dharma a un shaiva dharma
e così via.
293
Parama Karuna Devi
Dovremmo stare attenti a non fare l'equivalenza papa = peccato,
poiché il concetto abramico di peccato non è altro che una
disobbedienza agli ordini di Dio e dei preti, una cosa che è
totalmente irrilevante nel sistema vedico. Cercheremo qui di
definire meglio la terminologia usata nella tradizione vedica per le
azioni negative: papa è un'azione che causa direttamente o
indirettamente sofferenze ad altri, mentre duskrita è una cattiva
azione in generale, agha è un atto veramente criminale ma agas è
semplicemente un'azione irresponsabile. Droha è un atto cattivo
che infrange il principio della gratitudine, pataka è un'azione
degradante che causa una caduta dalla posizione che dovremmo
mantenere nella società, e dosha è un difetto del carattere o una
cattiva qualità. Aparadha è un atto di mancanza di rispetto
formale, drugdha è un'azione intesa a causare danno, vipatti
consiste nel mancare di compiere qualche dovere, e anrita è una
bugia.
E' importante notare che Krishna non sta dicendo, "io ti libererò da
tutte le reazioni/ i risultati delle tue attività negative", ma dice, "io
ti libererò da tutte le tue attività negative", a indicare che Krishna
guiderà il suo devoto sincero ad abbandonare tutte le cattive
attività e a purificarsi da ogni contaminazione adharmica esattamente come abbiamo visto nei versi 9.30-31.
Perciò quei mascalzoni che si illudono di essere furbi, e stanno
progettando di lasciar cadere le proprie responsabilità facilmente e
sfuggire alle reazioni delle loro cattive azioni protestando che
hanno preso rifugio in Krishna dovrebbero rifare i conti, perché la
cosa non funziona come loro vorrebbero.
Questo verso è in verità l'istruzione più confidenziale di Krishna, e
il passaggio della Bhagavad gita che può essere male interpretato
più facilmente da chi non ha compreso attentamente e
correttamente tutte le altre istruzioni date da Krishna nei capitoli
precedenti.
294
Bhagavad gita: capitolo 18
I prakrita sahajya sono i sempliciotti materialisti che si
convincono (o si lasciano convincere da altri) che è sufficiente
accettare l'apparenza esteriore della devozione per essere
immediatamente considerati stabiliti sul livello più alto della
bhakti trascendentale. Sviluppano quindi un attaccamento
sentimentale alla propria proiezione di Dio secondo le loro
preferenze materiali, proprio come gli ammiratori o fan di famosi
attori, cantanti o musicisti, celebrità dello sport professionistico, e
così via.
Diventare un "fan" di Krishna è certamente meglio che scegliere di
adorare qualcuna di quelle personalità materiali, e anche meglio
che sviluppare un forte attaccamento materiale per i propri figli o
nipoti come vediamo talvolta in persone che considerano la vita di
famiglia come il valore più alto della vita.
Krishna è diventato velocemente una figura molto popolare negli
ultimi 5000 anni perché appare come un giovane di bell'aspetto,
con un temperamento artistico e amante del divertimento, un
ragazzo affascinante, affettuoso, intelligente e avventuroso, e un
bambino dolcissimo e vivace. I suoi giochi idilliaci con i piccoli
gopa e le relazioni d'amore con le bellissime gopi, il suo affetto e
rispetto per i genitori e i superiori, la sua cura protettiva per le
mucche e i vitelli contribuiscono all'aura di tenerezza e innocenza
che attrae la mente di tutti.
In effetti, il nome stesso krishna viene tradotto come
"infinitamente attraente", dalla radice karsati ("attirare"). Amare
Krishna è dunque estremamente facile, anche a un livello
sentimentalista, e persino gli asura in generale hanno poca paura
di lui.
Vediamo infatti che molte persone senza scrupoli hanno tentato di
approfittare di lui in vari modi, a volte imitandolo e fingendo di
essere la sua reincarnazione per attirare seguaci creduloni, o
295
Parama Karuna Devi
affermando di essere suoi grandi sevaka e rappresentanti, per
raccogliere ricchezze e prestigio in suo nome per il proprio
vantaggio materiale.
Per impressionare il pubblico in generale fanno spesso mostra di
estasi o emozione devozionale, gesti grandiosi e recitazione di
sentimenti devozionali.
Le persone di mente semplice che hanno poca familiarità con gli
insegnamenti degli shastra sono generalmente incapaci di vedere
la differenza tra un avadhuta autentico e un imbroglione furbo
esperto nel recitare la sua parte, o anche una persona ordinaria che
soffre di un qualche squilibrio mentale, perciò sono facilmente
ingannate e sviate, e sprecano la preziosa opportunità della vita
umana.
Per salvare le povere anime sfortunate dai danni di ignoranza e
stupidità, Bhagavan si manifesta personalmente (svamsa avatara)
o conferisce il potere necessario alle anime realizzate (sakty avesa
avatara) per diffondere la corretta conoscenza e la comprensione
di dharma e vidya, e offrire rifugio alle persone sincere.
Possiamo accertare il valore reale di questi predicatori misurando i
loro precetti e il loro esempio con quelli di guru, shastra e sadhu, e
specialmente con le raccomandazioni di antaryami paramatman.
Poiché il param atman è presente nel cuore di ciascuno e parla con
la voce della coscienza anche a coloro che sono completamente
analfabeti, la mancanza di istruzione formale non costituisce un
ostacolo decisivo al progresso spirituale.
Il vero problema è quando una persona ha motivazioni egoistiche e
le presentazioni fraudolente sembrano offrire migliori vantaggi
egoistici ai seguaci; imbroglioni e imbrogliati si attraggono a
vicenda poiché hanno una visione simile della vita.
296
Bhagavad gita: capitolo 18
Assicuriamoci dunque che quando stiamo "prendendo rifugio
esclusivamente in Krishna", non ci stiamo collegando con il
numero di telefono sbagliato. Siamo stati avvisati.
VERSO 67
idam: questo; te: te; na: non; atapaskaya: a una persona che non è
austera; na: non; abhaktaya: a chi non è un devoto; kadacana:
mai; na: non; ca: e; susrusave: a qualcuno che non è interessato ad
ascoltare; vacyam: deve essere insegnato; na ca: e nemmeno;
mam: di me; yah: uno chi; abhyasuyati: è invidioso.
"Questo (segreto) non dovrebbe mai essere rivelato a una
persona che non ha devozione o austerità. Non dovrebbe essere
trasmesso a una persona che non è interessata ad ascoltare o
che è ostile verso di me.
Le parole chiave in questo verso sono bhakta, tapaska, susrusava,
a indicare una persona che ha devozione per Bhagavan, è dedicata
all'austerità ed è onestamente interessata ad ascoltare e comprendere: sono queste le qualificazioni fondamentali per diventare
uno studente autentico della Bhagavad gita.
Qui ciascuna di queste parole è preceduta da una "a" privativa, un
prefisso che esprime negazione ed è stato ereditato dal sanscrito ed
è passato ad altre lingue come il greco e il latino antichi.
297
Parama Karuna Devi
L'ultima parola del verso è abhyasuyati, "uno che invidia", "chi è
attivamente ostile", e ciò include automaticamente tutti coloro che
avvicinano lo studio dell'induismo per demolirlo a favore della
propria ideologia - cosa che succede regolarmente da alcuni secoli
nelle istituzioni accademiche fondate e dirette da ideologi
abramici.
Purtroppo ciò non si applica soltanto agli stranieri, come alcuni
indiani amano credere, ma succede regolarmente anche in India
perché l'attuale sistema accademico (come anche quelli politico,
legale e burocratico) è ancora basato sulle stesse linee ideologiche
introdotte nel periodo coloniale da agenti del sistema come
Macaulay e Max Muller, che venne salutato come "go tirtha ("Oxford") mula (Muller) acharya (insegnante della conoscenza
vedica)" dai leader politici del cosiddetto "induismo ortodosso", e
la cui nefasta teoria razzista della "purezza della razza ariana" è
ancora sostenuta direttamente o indirettamente da quegli stessi
stupidi casteisti che affermano di rappresentare oggi la tradizione
vedica.
La parola abhyasuya è l'opposto di anasuya; a questo proposito
possiamo ricordare il verso 9.1: idam tu te guhyatamam
pravaksyamy anasuyave, jnanam vijnana sahita‚ yaj jnatva
moksyase 'subhat, "Io ti spiego questo segreto supremo perché non
sei invidioso. Conoscendo questa sapienza teorica e applicata, sarai
libero da ogni cosa di cattivo augurio."
Altri commentatori hanno spiegato la parola abhyasuyati come
"cavillare, tentare di trovare difetti", ma tale interpretazione può
essere pericolosa perché viene applicata a senso unico, per evitare
domande scomode sulle traduzioni scorrette e le applicazioni
ideologiche tendenziose.
Krishna ha mostrato chiaramente nel suo dialogo con Arjuna che
non è offeso dalle obiezioni (2.5, 2.6, 3.1, 4.4, 5.1, 6.33), e come
298
Bhagavad gita: capitolo 18
perfetto insegnante ha sempre fornito spiegazioni e chiarimenti
sufficienti, per assicurarsi che l'argomento sia stato adeguatamente
compreso.
Dobbiamo stare molto attenti verso quelli che si offendono
facilmente quando si fanno loro delle domande, e accusano gli altri
di essere "invidiosi" della posizione elevata che hanno raggiunto
come guru o acharya, perché molto probabilmente non sono in
grado di dare le risposte giuste e cambiando argomento cercano di
distrarre l'attenzione di chi fa le domande.
Abbiamo già trovato la parola abhyasuya nel capitolo che descrive
le caratteristiche degli asura: ahankaram balam darpam kamam
krodham ca samsritah, mam atma para dehesu pradvisanto
'bhyasuyakah, "Prendendo rifugio nell'ahankara, nella forza fisica,
in arroganza, lussuria e rabbia, mostrano invidia e odio verso di
me, poiché io risiedo nel loro corpo come nel corpo degli altri"
(16.18).
Alla luce di questo verso comprendiamo che il segreto della
Bhagavad gita non sarà svelato a chi è ostile e invidioso verso
l'Atman - che vive sia nel suo corpo che nel corpo di altri specialmente a causa dei loro corpo, e sulla base dell'identificazione con il corpo materiale (ahankara, balam). Chi è ostile e
invidioso verso l'Atman e il Paramatma non può mai essere un
devoto (bhakta) o dedito all'austerità (tapaska), o sinceramente
interessato a imparare il vero significato delle istruzioni di Krishna
(susrusava); perché dunque dovrebbe cercare di studiare la
Bhagavad gita o altre scritture vediche? Devono avere motivazioni
sbagliate. Krishna afferma chiaramente qui che lo studio
"obiettivo" o "laico" dei testi intimi della Bhagavad gita non
dovrebbe essere accettato come valido; per questo scopo è meglio
utilizzare studi riassuntivi preparati e insegnati da persone
veramente qualificate - che sono veramente dedicate e austere.
299
Parama Karuna Devi
Questa proibizione non ha niente a che fare con i pregiudizi di
casta e razza di alcuni sciocchi ignoranti che affermano di essere
autorità religiose tradizionali ortodosse sull'induismo e credono
che "agli stranieri" e "alle persone di bassa casta" non dovrebbe
essere permesso di studiare il sanscrito e che in ogni caso non
sarebbero mai capaci di comprendere la conoscenza vedica perché
mancano di qualche speciale struttura di DNA.
Il problema è piuttosto nella fede cieca che la maggior parte della
gente ha verso il sistema accademico convenzionale, dal quale
ambiscono ricevere riconoscimenti e convalide direttamente o
indirettamente. E' raro trovare "induisti tradizionali" che non
vogliono sapere quali siano le vostre "qualificazioni accademiche"
secondo il sistema convenzionale, in modo da poter giudicare la
vostra competenza nel discutere sugli shastra, mentre non danno
importanza alle vere realizzazioni e pratiche nella vita.
Allo stesso tempo, anche coloro che parlano della letteratura
vedica sulla base delle proprie "qualificazioni di nascita" o di
"linaggio religioso" continuano ad appoggiarsi alle traduzioni e ai
dizionari coloniali ostili, e specialmente ad usare definizioni
abramiche profondamente offensive per descrivere la propria
tradizione - per esempio, dicono "idolo" per riferirsi alle Divinità o
vigraha, "mitologia" per riferirsi alle storie sacre o itihasa e
purana, "veggente" per indicare un'anima realizzata o un rishi,
"casta" per riferirsi al sistema autentico dei varna, e così via.
Possiamo verificare facilmente la serietà del problema consultando
un buon dizionario per verificare il significato di queste
definizioni. Per esempio, "idolo" significa "falso dio, impostore o
ingannatore, una forma o aspetto visibile ma privo di sostanza,
fallacia, falso concetto", mentre "mito" significa "nozione falsa o
infondata, una persona o cosa che ha soltanto un'esistenza
immaginaria o non verificabile".
300
Bhagavad gita: capitolo 18
La parola "ortodosso"significa "conforme alla dottrina stabilita
specialmente in religione", che nel caso della conoscenza vedica
dovrebbe riferirsi a ciò che è veramente scritto negli shastra, e non
a una mentalità caratterizzata da una visione ristretta, arretrata, da
un fanatismo cieco basato sull'identificazione con il corpo
materiale grossolano e i valori falsamente moralistici assorbiti
dalla tossica influenza abramica.
L'arroganza di coloro che pretendono di usare uno "speciale
significato indiano" delle parole inglesi mostra chiaramente che
non possiedono né bhakti né tapah, e quindi non dovebbero essere
mai considerati qualificati nemmeno per discutere della Bhagavad
gita, che dire di vantare diritti di monopolio esclusivo sul suo
insegnamento.
Il Padma Purana raccomanda, asraddhadhane vimukhe 'py
asrinvati yas copadesah, siva namaparadhah, "chi dà istruzioni
una persona che non ha fede, è ostile e non disposta ad ascoltare,
gli farà commettere un'aparadha". Questo non si applica soltanto
all'insegnare il segreto della Bhagavad gita ma anche a tutti i tipi
di istruzioni.
Prima di prendersi la responsabilità del progresso materiale e
spirituale di un individuo, dovremmo assicurarci che i nostri
consigli e le nostre istruzioni saranno ricevuti in modo favorevole,
altrimenti è meglio fare semplicemente delle affermazioni generali
che presentano un livello di conoscenza elementare che non può
essere equivocato facilmente.
301
Parama Karuna Devi
VERSO 68
yah: una persona che; idam: questo; paramam guhyam: segreto
supremo; mat bhaktesu: ai miei devoti; abhidhasyati: spiega;
bhaktim: la devozione; mayi: a me; param: suprema; kritva:
facendo; mam: me; eva: certamente; esyati: viene; asamsayah:
senza alcun dubbio.
"Chi spiega questo segreto supremo ai miei devoti sta
svolgendo il servizio devozionale supremo e mi raggiungerà
certamente. Non c'è dubbio.
Troviamo un'istruzione molto simile nella conversazione di Kapila
con sua madre Devahuti: naitat khalayopadisen navinitaya
karhicit, na stabdhaya na bhinnaya naiva dharma dhvajaya ca, na
lolupayopadisen na griharudha cetase nabhaktaya ca me jatu, na
mad bhakta dvisam api, sraddhadhanaya bhaktaya vinitaya
anasuyave, bhutesu krita maitraya susrusabhirataya ca, "Questa
conoscenza non dovrebbe essere offerta a coloro che sono
invidiosi, agli agnostici, a coloro che sono orgogliosi della propria
posizione, a coloro che fanno grande mostra di religiosità, e a
coloro che non praticano ciò che predicano.
Non deve essere insegnata a coloro che sono avidi, troppo attaccati
all'identificazione con la vita di famiglia, privi di devozione, o che
odiano i miei devoti. Ma deve essere offerta a quei devoti
302
Bhagavad gita: capitolo 18
amorevoli che hanno fede e desiderano sinceramente comprendere,
sono liberi dall'invidia, amichevoli verso tutti gli esseri, e felici di
rendere servizio." (Bhagavata Purana, 3.32.39-41).
Krishna offre lo stesso consiglio a Uddhava al termine della loro
conversazione: naitat tvaya dambhikaya nastikaya sathaya ca,
asusrusor abhaktaya durvinitaya diyatam, etair dosair vihinaya
brahmanyaya priyaya ca, sadhave sucaye bruyad bhakti syac
chudra yositam, "Non devi parlare di queste cose a coloro che
fanno grande mostra di religiosità, a coloro che non accettano
l'autorità della conoscenza vedica, agli ipocriti mentitori, a coloro
che non sono interessati ad ascoltare, a coloro che non hanno
devozione o un sincero desiderio di imparare. Si può parlare di
queste cose soltanto a qualcuno che si è liberato dalle cattive
qualità, è dedicato alla realizzazione spirituale (del Brahman), è
gentile e si comporta bene, ha un cuore puro e un atteggiamento
devozionale, e questo include anche i sudra e le donne ordinarie"
(Bhagavata Purana 11.29.30-31).
Una persona che tenta di insegnare il segreto supremo alle persone
sbagliate descritte nel verso precedente (abhakta, atapaska,
asusrusava, abhyasuyaka) sta agendo evidentemente per qualche
scopo egoistico materialistico, per ottenere denaro o prestigio, o
con intenzioni ancora più sinistre
Sappiamo che Max Mueller tradusse molti testi vedici e scrisse
un'enciclopedia di 50 volumi su The sacred books of the East, ma
le sue intenzioni erano apertamente ostili: "questa mia
pubblicazione e la mia traduzione dei Veda avranno sicuramente
un grande peso sul destino dell'India e sulla crescita dei milioni di
anime in quel paese... è l'unico modo per sradicare tutto ciò che è
cresciuto (dalla conoscenza vedica) negli ultimi 3000 anni... e che
non vale più delle favole e delle canzoni delle nazioni selvagge...
che tutt'al più possono essere servite a preparare la via per il
Cristo... L'India è molto più matura per il cristianesimo di quanto
303
Parama Karuna Devi
lo fossero Roma o la Grecia ai tempi di San Paolo." Max Muller
era particolarmente irritato da quegli studiosi che invece di
dedicarsi a questa "missione evangelica", commettevano il peccato
mortale di apprezzare sinceramente la conoscenza vedica:
"sappiano che non si possono aspettare denaro, anzi, non devono
nemmeno aspettarsi misericordia - non riceveranno altro che il
fuoco della più pesante artiglieria. Tollerare l'idolatria brahmanica
respingendo il cristianesimo è commettere alto tradimento verso
l'umanità e la civiltà."
Gli indologisti dell'accademia convenzionale seguono tuttora lo
stesso orientamento, non soltanto in occidente ma anche in India, e
hanno contaminato con la stessa mentalità molte istituzioni e
organizzazioni religiose anche all'interno dell'induismo.
D'altra parte, chi si impegna in discussioni sincere e costruttive con
bhakta autentici trova ispirazione dalla felicità spirituale che viene
così creata (bodhayantah parasparam kathayantas ca mam nityam
tusyanti ca ramanti ca, "trovano grande piacere e soddisfazione
parlando sempre di me, per aiutarsi vicendevolmente a
comprendermi meglio", 10.9). Non ci possono essere piacere o
soddisfazione più alti, poiché questa felicità è permanente e non
dipende da circostanze esteriori (4.38, 5.13, 5.21, 5.23, 5.24, 6.21,
6.27, 6.28, 9.2, 14.27).
La parola abhidhasyati ("che insegna") è particolarmente
interessante. Non si riferisce alla relazione formale tra guru e
sisya, ma piuttosto a una discussione aperta sui vari significati
delle parole di Krishna. Una parola strettamente imparentata,
abhidhana, significa "conversazione", ma anche "spiegazioni,
definizioni", e anche "dizionario". E' collegata alle parole vritti e
anuvritti, come possiamo vedere nel discorso di Suta a
Naimisaranya: aho vayam janma bhrito 'dya hasma,
vriddhanuvrittyapi viloma jatah, dauskulyam adhim vidhunoti
sighram, mahattamanam abhidhana yogah, "E' davvero
304
Bhagavad gita: capitolo 18
meraviglioso che siamo stati elevati oggi a questa posizione grazie
al nostro servizio a grandi personalità, anche se siamo nati in una
famiglia di bassa condizione senza essere benedetti dai samskara
adeguati. Le conversazioni che ci uniscono con coloro che sono
grandi anime elimineranno ben presto ogni difetto dalla nostra
vita." (Bhagavata Purana, 1.18.18).
La parola vritti include i significati di "interpretazione,
allitterazione, attività, processo, occupazione, funzione, modo di
essere, condizione, comportamento rispettoso, professione",
mentre anuvritti significa "commento, ripetizione, ricordo, l'atto di
continuare, seguire, spirito obbediente, inclinazione, tendenza."
Ecco come possiamo raggiungere e praticare la genuina bhakti
trascendentale (bhaktim mayi param kritva).
VERSO 69
na: non; ca: e; tasmat: di lui/ lei; manusyesu: tra tutti gli esseri
umani; kascit: chiunque; me: a me; priya krt tamah: più caro;
bhavita: diventerà; na: non; ca: e; me: a me; tasmat: di lui/ lei;
anyah: altro; priya tarah: più caro; bhuvi: in questo mondo.
"Tra tutti gli esseri umani nessuno mi è più caro, e nessun
altro mai mi sarà più caro in questo mondo.
Il verso precedente (18.68) affermava chiaramente che spiegare il
segreto supremo e trascendentale dello Yoga alle persone
305
Parama Karuna Devi
sinceramente interessate alla spiritualità è il più grande servizio
devozionale.
In effetti è una missione così sacra che Bhagavan stesso discende
direttamente in questo mondo di volta in volta per compiere la
stessa funzione: paritranaya sadhunam vinasaya ca duskritam,
dharma samsthapanarthaya sambhavami yuge yuge, "Io mi
manifesto yuga dopo yuga, per proteggere le persone buone,
distruggere i malfattori e stabilire la conoscenza del dharma" (4.8).
Lo conferma anche il Bhagavata Purana (4.22.16): vyaktam
atmavatam atma bhagavan atma bhavanah, svanam
anugrahayemam siddha rupi caraty ajah, "In questo modo
Bhagavan, il non-nato, cammina in questo mondo nella forma di
un'anima perfettamente realizzata per illuminare coloro che sono
determinati a raggiungere la realizzazione spirituale".
La trasmissione della conoscenza spirituale è il dono più grande e
la prova più preziosa di amore e affetto: sa evayam maya te 'dya
yogah proktah puratanah, bhakto 'si me sakha ceti rahasyam hy
etad uttamam, "Oggi spiego a te la stessa conoscenza dello Yoga
che è stata presentata nei tempi antichi; perché tu sei mio devoto e
amico io ti dò questo segreto supremo" (4.3).
Krishna ha dichiarato che bisogna essere ugualmente distaccati da
insulti e glorificazioni, gioie e dolori (tulya priyapriyo dhiras tulya
nindatma samstutih, 14.24), imparziali e distaccati sia da amici che
nemici, da onori e mancanza di rispetto (samah satrau ca mitre ca
tatha manapamanayoh, 12.18, mana apamanayas tulyas tulyo
mitrari paksayoh, 14.25), e bisogna vedere tutti in modo
equanime, sia benefattori che amici, nemici, persone neutrali,
mediatori, persone invidiose o parenti (suhrin mitrary udasina
madhyastha dvesya bandhusu, 6.9) ed essere amichevoli con tutti e
non ostili verso nessuno (advesta sarva bhutanam maitrah karuna
eva ca, 12.13).
306
Bhagavad gita: capitolo 18
Anche Dio stesso agisce secondo questi parametri: nadatte
kasyacit papam na caiva sukritam vibhuh, ajnanena avritam
jnanam tena muhyanti jantavah, "Il Signore onnipotente non
considera i meriti o i demeriti di nessuno. Qualsiasi differenza è
dovuta soltanto agli esseri viventi stessi, che sono confusi perché
la loro conoscenza è coperta dall'ignoranza." (5.15). Un altro verso
ha aggiunto una prospettiva leggermente diversa: samo 'ham sarva
bhutesu na me dvesyo 'sti na priyah, ye bhajanti tu mam bhaktya
mayi te tesu capy aham, "Sono ugualmente ben disposto verso tutti
gli esseri. Non odio nessuno e non favorisco nessuno. Eppure,
quando qualcuno mi offre un servizio sincero con devozione."
(9.29).
Sappiamo inoltre che Dio prende regolarmente le parti dei Deva
contro gli Asura ogni volta che la giusta amministrazione
dell'universo viene messa in pericolo e i Deva chiedono il suo
aiuto. Ci si potrebbe chiedere come sia possibile, e se non si tratti
di una contraddizione; dopo tutto la maggior parte della gente
crede che la religione può essere soltanto una specie di patto
settario di alleanza tra Dio e il suo "popolo eletto", in cui il popolo
obbedisce agli ordini e offre adorazione, e Dio li protegge dal male
e risponde alle loro preghiere concedendo loro tutte le cose buone.
Ma non è proprio cosi.
Sukadeva lo spiegava a Parikshit: sa esa rajan api kala isita
sattvam suranikam ivaidhayaty atah, tat pratyanikan asuran sura
priyo rajas tamaskan praminoty urusravah, "Nella forma del
Tempo, Dio nutre i molti sura attraverso sattva, perciò coloro che
sono ostili ai sura - gli asura - vengono distrutti" (7.1.12).
Il modo in cui ciò accade è inconcepibile per gli esseri viventi: na
yasya sakhyam puruso 'vaiti sakhyuh sakha vasan samvasatah
pure 'smin, guno yatha gunino vyakta dristes tasmai mahesaya
namaskaromi, "L'essere vivente non può comprendere l'amicizia
dell'amico che vive con lui nello stesso corpo, proprio come le
307
Parama Karuna Devi
qualità non possono comprendere la persona che possiede tali
qualità o gli oggetti dei sensi non possono comprendere i sensi che
li percepiscono. Offro il mio rispetto a Isvara." (6.4.24). Sappiamo
che i jiva atman sono semplicemente proiezioni del param atman,
i suoi amsa e shakti, perciò Dio rimane largamente
incomprensibile a noi tutti (adhokshaja).
Bhagavan è sempre il migliore amico di tutte le creature (4.11,
5.29, 9.18, 9.29), ma gli esseri umani hanno una posizione speciale
nel suo affetto perché sono abbastanza maturi da prendersi la loro
parte di responsabilità nel lavoro di sostenere l'universo, ma sono
anche abbastanza piccoli da rimanere sobri e umili in tale servizio.
L'espressione chiave in questo verso è manusyesu, "tra gli esseri
umani".
Come abbiamo già commentato nei passaggi precedenti, l'unica
vera qualificazione per impegnarsi nella vita spirituale e nello
yoga è manusa jati - avere acquisito una forma di vita umana
(athato brahma jijnasa, Vedanta sutra 1.1.1). Il paramatman
risiede nel cuore di tutte le creature e persino nel cuore degli
atomi, ma soltanto gli esseri umani hanno la facoltà di fare le
libere scelte per elevarsi e ottenere la liberazione (moksha, 13.35,
16.5, 18.66, brahma bhuta, 6.27, 18.54). Quegli esseri umani che
rinascono sui sistemi planetari superiori grazie ai loro meriti
religiosi hanno anche l'opportunità di elevarsi fino alla liberazione,
ma in quella posizione di felicità sattvica possono cadere
nell'autocompiacimento (14.9) e questo rafforzerà il loro legame
con l'identificazione materiale, così che dovranno tornare al livello
della vita umana quando i loro meriti si sono esauriti (9.20, 9.21).
Specialmente in Kali yuga, nascere come essere umano è una
grande benedizione, come conferma per esempio il Bhagavata
Purana (kalav icchanti sambhavam kalau khalu bhavisyanti,
11.5.38), perché sotto la pressione delle circostanze sfavorevoli le
persone si possono svegliare più facilmente dalla speranza illusoria
308
Bhagavad gita: capitolo 18
di trovare la felicità nella gratificazione dei sensi del mondo
materiale, che è in realtà soltanto un fardello (indriya artha maya
sukhaya bharam udvahatah, 7.9.43).
Dovremmo dunque apprezzare questa meravigliosa e rara
opportunità della nascita come esseri umani (durlabham manusam
janma, Bhagavata Purana 7.6.1) e non sprecarla stupidamente
nella speranza di ottenere una nascita migliore nella prossima vita.
Qualsiasi livello di nascita umana ci qualifica per tentare di
raggiungere la perfezione (9.32), perciò non dovremmo aspettare
nemmeno un minuto di più: ayur harati vai pumsam, udyann
astam ca yann asau, tasyarte yat ksano nita, uttama sloka vartaya,
"Ogni alba e ogni tramonto portano via un pezzo della durata di
vita dell'essere umano, che va perduta senza costrutto tranne per
coloro che usano il loro tempo per comprendere Dio", (Bhagavata
Purana 2.3.17).
VERSO 70
adhyesyate: studia; ca: e; yah: una persona che; imam: questa;
dharmyam: sul dharma; samvadam: conversazione; avayoh:
nostra; jnana yajnena: attraverso l'azione sacra della conoscenza;
tena: da lui/ lei; aham: io sono; istah: adorato; syam: sarò; iti:
così; me: mia; matih: opinione.
309
Parama Karuna Devi
"Una persona che studia questa nostra conversazione sul
dharma mi adora attraverso la celebrazione della conoscenza.
Questa è la mia opinione.
L'equazione dharma = yoga = jnana è molto chiara, perciò quando
Krishna dice che discende di era in era per ristabilire il dharma
(dharma samsthapanartha, 4.8) quando il collegamento va perduto
in qualche modo (yogah nasta, 4.2), dovremmo comprendere che
viene per spiegare l'antica scienza dello yoga (yogah proktah
puratanah, 4.3). Senza comprendere questo punto, è molto difficile
fare qualche progresso.
Gli studiosi dell'accademia convenzionale, ancora appesantiti
dall'indologia coloniale a base abramica, credono che l'induismo si
sia "evoluto nel tempo" da un cosiddetto periodo Rigvedico di
primitiva adorazione attraverso offerte al fuoco per dèi guerrieri, in
cui non c'era alcun concetto di reincarnazione, vegetarianesimo
etico, moksha, yoga e così via.
Possiamo comprendere che hanno bisogno di rimanere in questa
posizione per ottenere riconoscimenti ufficiali dalla mafia di
regime, ma si tratta di una posizione disgraziata per coloro che
affermano di essere induisti e di avere fede nella conoscenza e
nella tradizione vedica.
L'intera conoscenza vedica è sempre esistita nella sua forma
perfetta e completa, fin dall'inizio stesso della creazione - di
ciascuna creazione - perché viene trasmessa dal paramatma ai
Rishi nel loro cuore (10.11, 15.15) e attraverso gli insegnamenti
formali esteriori da guru a sisya.
All'inizio del capitolo sul jnana yoga, Krishna ha affermato
chiaramente: imam vivasvate yogam proktavan aham avyayam,
vivasvan manave praha manur iksvakave 'bravit, "Io ho spiegato
questa scienza eterna dello Yoga a Vivasvan, Vivasvan l'ha
310
Bhagavad gita: capitolo 18
insegnata a Manu, e Manu l'ha trasmessa a Ikshvaku" (4.1). Ciò è
confermato sia da sruti che da smriti, come possiamo vedere per
esempio nel verso di apertura del Bhagavata Purana: yato 'nvayad
itaratas carthesv abhijnah svarat tene brahma hrida ya adi
kavaye, "da lui la conoscenza del Brahman è stata rivelata dal
primo studioso, direttamente e indirettamente e in piena
consapevolezza" (Bhagavata Purana, 1.1.1).
La tradizione vedica autentica insegna che all'inizio di questo Kali
yuga, Vyasa compilò una nuova edizione di tutte le scritture
vediche, come spiega chiaramente il Bhagavata Purana: catur
hotram karma suddham prajanam viksya vaidikam vyadadhah
yajna santatyai vedam ekam catur vidham; rig yajuh
samartharvakhya, vedas catvara uddhritah, itihasa puranam ca,
pancamo veda ucyate; tatrarg veda dharah pailah samago
jaiminih kavih, vaisampayana evaiko nisnato yajusam uta;
atharvangirasam asit sumantur daruno munih itihasa purananam
pita ma romaharsanah; ta eta risayo vedam svam svam vyasyann
anekadha, sisyaih prasisyais tac chisyair, vedas te sakhino
'bhavan; "(Vyasa) divise l'unica Conoscenza dei rituali vedici in
quattro compilazioni, compresa la scienza dei quattro fuochi
sacrificali e i doveri purificatori per la gente in generale. Queste
quattro compilazioni sono conosciute come Rig Veda, Yajur Veda,
Sama Veda e Atharva Veda, più Itihasa e Purana, che sono
chiamati il quinto Veda. Poi affidò a Paila Rishi il compito di
elaborare sul Rig Veda, a Jaimini il Sama Veda, e a Vaisampayana
lo Yajur Veda, ad Angirasa (Sumantu Muni) l'Atharva Veda, e a
Romaharsana (padre di Suta) diede Itihasa e Purana. Tutti questi
Rishi trasmisero le rispettive scritture ai loro discepoli, e questi a
loro volta ai loro discepoli, e in questo modo la letteratura vedica
si è allargata." (Bhagavata Purana 1.4.19, 1.4.20, 1.4.21, 1.4.22.
1.4.23). Ecco il metodo corretto per studiare la conoscenza vedica
(sva-adhyaya): riceviamo il testo originario e la compilazione dei
commenti degli acharya precedenti, e poi trasmettiamo il testo
311
Parama Karuna Devi
originario con la nostra presentazione nel modo migliore possibile,
secondo desa, kala, patra e secondo le nostre realizzazioni
personali.
Suta dice: aham hi prsto 'ryamano bhavadbhir acaksa
atmavagamo 'tra yavan, nabhah patanty atma samam patattrinas
tatha samam visnu gatim vipascitah, "Poiché mi è stato chiesto da
voi, che siete grandi arya, parlerò fin dove arriva la mia
comprensione; proprio come (diversi) uccelli volano in cielo, le
persone di conoscenza parlano della Personalità suprema di Dio"
(Bhagavata Purana, 1.18.23). Ricordiamo che pochi versi prima,
Suta aveva detto: aho vayam janma bhrito 'dya hasma,
vriddhanuvrittyapi viloma jatah, dauskulyam adhim vidhunoti
sighram, mahattamanam abhidhana yogah", "E' davvero
meraviglioso che siamo stati elevati oggi a questa posizione grazie
al nostro servizio a grandi personalità, anche se siamo nati in una
famiglia di bassa condizione senza essere benedetti dai samskara
adeguati. Le conversazioni che ci uniscono con coloro che sono
grandi anime elimineranno ben presto ogni difetto dalla nostra
vita." (Bhagavata Purana, 1.18.18).
VERSO 71
sraddha van: una persona che ha fede; anasuyah: che non è
invidiosa; ca: e; srinuyat: ascolterà; api: certamente; yah: chi;
narah: un essere umano; sah: lui/ lei; api: anche; muktah: un
312
Bhagavad gita: capitolo 18
essere liberato; subhan lokan: i pianeti di buon augurio;
prapnuyat: raggiunge; punya karmanam: di coloro che hanno
compiuto azioni meritevoli.
"Qualsiasi essere umano ascolti (questa discussione) con fede,
libero da invidia e ostilità, diventerà liberato e raggiungerà i
pianeti fortunati di coloro che hanno compiuti azioni
meritevoli.
In questo verso la parola mukta ("liberato") è particolarmente
interessante. Chi ha raggiunto moksha è libero dai condizionamenti
materiali, dal bisogno di prendere nuovamente nascita in questo
mondo, e dall'identificazione con il corpo e la mente che ancora
indossa (jivan mukta). Ciò significa che è anche libero di rimanere
in questo mondo o di discendere nuovamente in questo mondo non come prigioniero ma come assistente sociale, per lavorare
nella missione di Bhagavan. Si tratta dei Deva che risiedono sui
pianeti superiori (subhan lokan prapnuyat punya karmanam) e dei
Mahajana ("grandi personalità") e dei Ciranjiva ("di lunga vita")
come Dhruva, Prahlada, Janaka, Bali, Sukadeva, Hanuman, Vyasa,
Narada, i Kumara, e così via.
Nel verso precedente Krishna ha chiaramente affermato che il
jnana yajna, l'azione sacra del coltivare la conoscenza attraverso lo
studio (adhyesya) della Bhagavad gita, è un metodo valido di
adorazione che fa molto piacere a Dio (ista syam). In effetti, si
tratta della forma migliore di adorazione, come Krishna ha detto
qualche verso fa (18.68).
Dovremmo chiederci se abbiamo veramente compreso il
significato e lo scopo dell'adorazione, poiché le persone
influenzate da rajas e tamas possono facilmente rimanere confuse
sull'argomento e persino proiettare la propria mentalità e le proprie
motivazioni su Dio, immaginando che Dio debba pensare e agire
nello stesso modo e secondo le stesse logiche che hanno loro. Le
313
Parama Karuna Devi
persone tamasiche e rajasiche fanno qualcosa di buono per gli altri
soltanto quando il loro ego è stato adulato a sufficienza da
glorificazioni e preghiere, quando vedono qualche vantaggio per sé
stessi (generalmente in cambio del favore che concedono) o
semplicemente perché vi sono costretti da qualche altra forza
(incantesimo, formula magica e così via). Krishna ha già spiegato
che la coscienza sattvica non è toccata da lode o insulto, e compie
le azioni positive necessarie senza aspettarsi nulla in cambio; Dio è
il sattva supremo (hareh sattva nidher, Bhagavata Purana 1.3.26),
perciò dovremmo comprendere che tali qualità si applicano a
Bhagavan in misura ancora più grande.
Quando presentiamo vari articoli di adorazione (upachara) alla
Divinità nei rituali di puja, stiamo semplicemente esprimendo il
nostro rispetto, affetto e gratitudine per Dio, poiché Dio non ha
bisogno di alcuna offerta materiale. Non esiste nulla, in tutti i tre
mondi, che Dio voglia ottenere o di cui abbia bisogno (lokesu
kincana nanavapam avaptavyam 3.22) e anzi è lui che provvede a
tutto ciò di cui gli esseri hanno bisogno (yoga ksemam vahamy
aham, 9.22) come confermano anche le Upanishad (eko bahunam
yo vidadhati kaman, Katha Upanishad 2.2.13).
Bhagavan accetta le nostre offerte quando, e poiché, sono
presentate con amore (tad aham bhakty upahritam asnami
prayatatmanah, 9.26), perciò possiamo comprendere che la
migliore forma di adorazione menzionata qui da Krishna è
caatterizzata dall'amore più profondo.
L'amore può nascere soltanto quando si conosce veramente
l'oggetto del nostro amore, in modo profondo e intimo; le persone
usano la parola "amore" in modo inappropriato per indicare
un'attrazione fisica basata sulla lussuria, un'infatuazione, o la
percezione di un'affinità di piacere collegata alla presenza o
contatto con un oggetto dei sensi.
314
Bhagavad gita: capitolo 18
Il fatto è che non possiamo veramente amare qualcuno che non
conosciamo - questa realizzazione arriva inevitabilmente dopo
qualche tempo, quando l'infatuazione iniziale si è indebolita e
vediamo realmente l'oggetto del nostro interesse sentimentale per
quello che è veramente.
L'amore autentico è costruito su una profonda comprensione
dell'oggetto del nostro affetto, e questa è la ragione per cui studiare
la Bhagavad gita è l'espressione migliore di bhakti, perché
accresce gradualmente la nostra conoscenza, comprensione e
apprezzamento per Bhagavan, e ci conduce attraverso la
realizzazione di Brahman, Paramatma e Bhagavan fino al solido
livello dell'esistenza trascendentale (brahma bhuta, 18.54).
Il contatto o associazione regolare con gli insegnamenti di
Bhagavan ci può portare alla destinazione suprema, lo stesso
livello di Bhagavan (8.21, 10.12, 11.38, 14.2, 18.56), che dire della
semplice liberazione o dei pianeti superiori di questo universo
dove vivono le persone buone (muktah subhal lokan prapnuyat
punya-karmanam).
Le qualificazioni richieste per studiare la Bhagavad gita sono già
state elencate nei versi 18.67 e 18.68 e anche nei versi precedenti,
così sono semplicemente riassunte qui come anasuya e
sraddhavan, rispettivamente "chi non è ostile" e "chi ha fede";
qualsiasi essere umano (narah) che dimostra tali qualità ha dunque
il diritto di studiare e praticare la scienza più segreta di yoga e
dharma.
Di nuovo, vediamo chiaramente qui che non ci sono limitazioni di
casta, razza, nazionalità, genere, occupazione o simili, perciò è
chiaro che chiunque cerchi di fermare od ostacolare altri
nell'accesso a questo sublime studio, usando qualche pregiudizio di
nascita, sta violando apertamente le istruzioni di Krishna, e
dovrebbe essere smascherato e condannato.
315
Parama Karuna Devi
La situazione peggiore per il pianeta e per la società umana è
quando persone demoniache prendono la posizione di brahmana e
kshatriya e controllano la società per i propri scopi materialistici e
demoniaci.
Negli ultimi secoli, a causa della degradazione del Kali yuga
(Bhagavata Purana 12.2.1) la conoscenza vedica è stata oppressa,
imprigionata dai discendenti malvagi e non qualificati delle
famiglie dei brahmana (vacam devim brahma kule ku-karmani,
Bhagavata Purana 1.6.21).
Questa debolezza è stata aggravata dalle influenze adharmiche
tossiche di invasori che l'hanno trovata molto conveniente per i
loro piani di sfruttamento e soppressione, fornendo anche un facile
pretesto per i brahmini non qualificati che insistono nel dare la
colpa ad altri (gli invasori "stranieri") per la rampante
degradazione e contaminazione della conoscenza in ciò che alcuni
oggi chiamano "induismo ortodosso".
Quale ironia, per un sistema ideologico degradato che è così
profondamente e fondamentalmente opposto alla versione
autentica degli shastra vedici.
VERSO 72
kaccit: se; etat: questo; srutam: (che hai) ascoltato; partha: o
figlio di Pritha; tvaya: da te; eka agrena: con piena
316
Bhagavad gita: capitolo 18
concentrazione; cetasa: di consapevolezza; kaccit: se; ajnana:
ignoranza; sammohah: confusione; pranastah: distrutta; te: di te;
dhananjaya: o Dhananjaya.
"O Partha, hai ascoltato tutto questo con piena concentrazione
di consapevolezza? O Dhananjaya, la tua confusione (dovuta
all') ignoranza è stata distrutta?
Krishna ha gentilmente presentato gli insegnamenti della
Bhagavad gita sotto tutte le angolazioni possibili e ha risposto a
tutte le domande e ai dubbi sollevati da Arjuna. Ormai il
linguaggio fisico espresso da Arjuna deve essere cambiato
considerevolmente, e sta mostrando una profonda fiducia in tali
insegnamenti, dimostrando che la sua tristezza e confusione
iniziale sono scomparse. Ma non dobbiamo affidarci soltanto a
intuizione e comunicazioni sottili. La discussione chiara ed
esplicita tra insegnante e studente è sempre essenziale, poiché
assicura che tutti i possibili equivoci o zone grigie siano stati
chiarificati e la possibilità di errori viene ridotta drasticamente.
Alcune persone confuse, per stupidità e ignoranza, immaginano e
credono che guru e sisya non hanno bisogno di comunicare molto,
e dicono che un discepolo deve semplicemente ascoltare e leggere
collettivamente con tutti gli altri ed eseguire qualsiasi ordine gli
viene dato direttamente o indirettamente attraverso la "catena di
comando" dell'istituzione. Le domande sono limitate e
standardizzate, se non apertamente scoraggiate o proibite.
Ci sono persino dei "discepoli" che non hanno mai parlato
direttamente con il loro "guru", e dei quali il "guru" ricorda a
malapena il nome (che dire di altri dati essenziali). Tali "guru"
(che si trovano in varie denominazioni e vari gruppi) si rendono
accessibili soltanto per raccogliere denaro (pagamenti, donazioni,
guru dakshina eccetera) e adorazione (guru puja, vyasa puja,
programmi di predica pubblici/ impersonali, festival e apparizioni
317
Parama Karuna Devi
a eventi pubblici, e così via). Alle lettere o alla posta elettronica
rispondono raramente o mai del tutto, figuriamoci alle telefonate.
Questo significa che non vogliono alcuna responsabilità personale
per il progresso dei loro discepoli.
Si tratta di completo impersonalismo, basato sulla presunzione
errata che tutti siano uguali, abbiano le stesse qualificazioni (o
mancanza di qualificazioni) e gli stessi errori, lo stesso potenziale
e la stessa storia, le stesse realizzazioni e le stesse idee errate, e che
quindi tutti debbano semplicemente "seguire il sistema" - leggere i
libri del "grande acharya" (o quelli "autorizzati dalla
organizzazione/ chiesa") ed eseguire ciecamente qualsiasi ordine
venga dato loro. Persino quando gli studenti sono messi alla prova
per verificare la loro comprensione, si tratta di un esame standard
con risposte predeterminate scelte sulla base di considerazioni
politiche e dottrinali, poiché gli esaminatori stessi mancano di
realizzazioni personali sufficienti.
Talvolta i leader arrivano persino ad ammetterlo apertamente,
affermando che non hanno bisogno di qualificarsi personalmente o
di raggiungere la realizzazione perché non agiscono sotto la
propria responsabilità ma "in nome dell'organizzazione". Gli
stupidi scambiano questa candida ammissione per una prova di
"grande umiltà" e cortocircuitano il processo logico concludendo
che poiché l'insegnante afferma di non essere effettivamente
qualificato, ciò significa che è una persona umile e sincera, cosa
che significa automaticamente che è veramente qualificato - per il
fatto di ammettere di non essere qualificato e quindi incapace di
prendersi veramente qualche responsabilità.
Da qualche parte, in questo ragionamento da contorsionisti, le
persone di mente semplice si perdono e rimangono confuse, ma
poi viene detto loro che stanno contemplando il "grande mistero
mistico" e che quindi dovrebbero essere ancora più ammirati e
intimiditi dalle sublimi qualità dei loro insegnanti.
318
Bhagavad gita: capitolo 18
Da dove viene questo sistema? L'avete probabilmente già
indovinato.
Deriva dalla mentalità abramica, secondo la quale tutti nascono
peccatori (a causa del famoso "peccato originale" che consiste
nell'incarnazione stessa) poiché non esiste una storia individuale
precedente (di vite prima di questa) tutti (tranne coloro che sono
già stati sufficientemente indottrinati nella "unica vera fede") sono
considerati ugualmente ignoranti in quanto ogni conoscenza e
realizzazione che non sia "l'unica vera via" viene considerata nonvalida o persino eretica o blasfema, e deve essere distrutta senza
nemmeno esaminarla - proprio come tutti i libri che non sono
"approvati dall'unica vera religione" devono essere bruciati senza
neppure leggerli.
Le differenze in condizioni di nascita (genere, razza, posizione
sociale, e così via) e la successiva categorizzazione vengono
quindi attribuiti alla indiscutibile volontà di Dio. Per esempio si
crede che le donne e le persone di altre razze hanno un'anima
minore e sono state create per una posizione subordinata; poiché
tale identificazione con il corpo non può essere cambiata, tutti gli
individui in questa categoria sono considerati incapaci di
qualificarsi a un livello più alto e quindi viene loro proibito anche
di provarci (e se lo fanno, vengono insultati, puniti, perseguitati e
ridicolizzati).
Possiamo facilmente vedere come tali idee sono pesantemente
influenzate da tamas, e come l'unica vera soluzione sia la
disseminazione della conoscenza e della comprensione autentiche,
spiegate così bene da Krishna nella Bhagavad gita. Ajnana
("ignoranza" e sammoha ("confusione") vanno sempre di pari
passo, perché l'assenza di conoscenza crea idee confuse, e la
confusione diffusa impedisce di acquisire la giusta conoscenza e
comprensione.
319
Parama Karuna Devi
Il processo dell'ascolto (srutva) è la soluzione.
Deve essere attento (ekagrena cetasa) e non semplicemente
meccanico, perciò dobbiamo investire una quantità sufficiente di
intelligenza e buona volontà.
Deve essere eseguito nell'associazione di persone che hanno già
realizzato questa conoscenza (tattva darsis, 2.16, 4.34, 5.19) e non
semplicemente come scambio di opinioni poco informate e
fantasiose considerate tutte ugualmente valide. Tale ascolto deve
essere anche attivo, caratterizzato da domande e risposte
(pariprasnena, 4.34), e spiegazioni reciproche (bodhayantah
parasparam kathayantas, 10.9).
Deve essere ripetuto sotto tutte le possibili angolazioni finché ogni
dubbio e incomprensione è stato dissipato: come dimostra qui
Krishna, l'insegnante deve chiedere personalmente conferma a
ogni studente, e se qualcosa ancora non fosse perfettamente chiaro,
l'insegnante è pronto a spiegare tutto di nuovo.
Ecco ciò che Krishna dice qui ad Arjuna. Possiamo star sicuri che
se Arjuna avesse presentato altre domande o dubbi, Krishna
avrebbe immediatamente continuato la discussione, presentando
gli stessi insegnamenti sotto una prospettiva ancora diversa e
ripetendo i concetti fondamentali come ha già fatto nei capitoli
precedenti.
Incidentalmente, dovremmo notare che il processo continuo dello
studio della Bhagavad gita e delle scritture vediche in generale
deve essere ripetuto almeno 3 volte, poiché questi versi sono
carichi di vari strati di significato, e ogni volta che li leggiamo
possiamo trovarvi nuove ispirazioni e realizzazioni.
320
Bhagavad gita: capitolo 18
VERSO 73
arjunah uvaca: Arjuna disse; nastah: distrutta; mohah:
confusione; smrtih: memoria; labdha: ritrovata; tvat prasadat: per
la tua grazia; maya: mia; acyuta: o Acyuta; sthitah: fermamente
stabilito; asmi: io sono; gata: andati; sandehah: i dubbi; karisye:
io farò; vacanam: istruzioni; tava: tue.
Arjuna disse:
"O Acyuta, per la tua benedizione la mia confusione è stata
distrutta e ho ritrovato la memoria. Sono fermamente stabilito
(nella visione della realtà) e i dubbi sono superati. Seguirò le
tue istruzioni."
Lo studio di vidya e dharma non è un'imposizione artificiale sulla
mente, ma piuttosto il processo di lavare via gli equivoci, la
confusione, le illusioni e l'ignoranza (tutti nella categoria di tamas)
in modo che la memoria e la consapevolezza originarie dell'anima
possano risplendere luminose. Per questo motivo lo studio delle
scritture è chiamato svadhyaya - consiste in realtà nella
coltivazione della conoscenza del sé, poiché il sé è atman/
brahman, coscienza pura che include ogni esistenza.
Non dobbiamo però concludere che sia possibile riconquistare
questa consapevolezza della conoscenza universale senza lo studio
321
Parama Karuna Devi
degli shastra e senza l'attenta guida del guru. perché l'anima
condizionata è coperta da parecchi strati di contaminazione
materiale, e questi materiali proiettano ombre molto profonde, che
possono essere scambiate per realtà.
La meditazione prescritta dal metodo dello yoga è un processo
profondamente scientifico, inteso ad addestrare la nostra
consapevolezza a contemplare la vera natura di atman/ brahman e
non le proiezioni capricciose della mente. La tecnica chiamata
"meditazione del testimone" consiste nel distaccarsi da tutti i
pensieri, impressioni, ricordi, stimoli sensoriali e desideri che
normalmente ingombrano la mente e scorrono attraverso la
consapevolezza. Se non diamo loro attenzione, tutti questi
movimenti finiranno per perdere potere e si dissolveranno
gradualmente, lasciando soltanto la pura coscienza dell'atman.
Le persone confuse e sviate potrebbero immaginare che quando
questi movimenti della mente (citta vritti) si estinguono, il risultato
è una specie di vuoto, e/ o che la "meditazione sul sé" significa che
dovremmo diventare consapevoli della nostra personalità
materiale, delle sue qualità e difetti eccetera. Ma tutto ciò è
soltanto sovrastruttura - proiezioni della mente, identificazioni
temporanee e illusorie che non hanno bisogno di essere coltivate e
seguite. A un livello superficiale possiamo e dobbiamo essere
consapevoli delle qualità del nostro carattere, proprio come siamo
consapevoli delle altre circostanze esteriori e relative, come il
luogo e il tempo, il carattere e le qualità delle persone attorno a
noi, i movimenti di oggetti e corpi, e così via. Ma tutte queste cose
sono semplicemente circostanziali, e devono essere considerate su
un livello relativo, non scambiate per vere realtà del nostro
autentico sé.
Fin dall'inizio della Bhagavad gita, abbiamo appreso che l'atman/
brahman è eternamente immutabile (avikara, 2.25), quindi la vera
meditazione sul sé deve essere ferma (sthita prajna) e indisturbata
322
Bhagavad gita: capitolo 18
come la fiamma di una lampada quando non c'è vento (nirvata).
Ciò sarebbe impossibile se dovessimo concentrarci sulle qualità e
attività materiali, che per loro stessa natura devono avere un inizio
e una fine. Lo svadhyaya autentico, la vera "contemplazione del
sé" deve dunque essere applicata esclusivamente all'atman/
brahman e in ultima analisi allo sviluppo della siddha deha o
siddha svarupa, proprio come Patanjali spiega proprio nei primi
versi dei suoi Yoga sutra (1.2-4): yogas citta vritti nirodhah, tada
drastuh sva rupa avasthanam, vritti sarupyam itiratra, "Yoga è la
dissoluzione delle onde della mente, per cui la propria vera forma
viene rivelata, poiché le onde della mente sono identificazioni
sovrapposte".
La confusione (moha) menzionata in questo verso è la radice di
ogni ignoranza, che consiste nell'identificazione con il corpo e la
mente materiali, che crea un senso errato di soggettività nell'azione
e attaccamenti (ahankara e mamatva). Quando tale confusione è
dissipata, la percezione del proprio vero sé appare chiaramente
come un ricordo riflesso del param atman: sarvasya caham hridi
sannivisto mattah smritir jnanam apohanam ca, vedais ca sarvair
aham eva vedyo vedanta krid veda vid eva caham, "Io sono situato
nel cuore di tutti/ ogni cosa, e da me provengono la memoria, la
conoscenza e l'oblio. Io sono lo scopo dello studio di tutti i Veda.
Io sono certamente il creatore del Vedanta, e colui che conosce i
Veda." (5.15).
In quel verso, Krishna affermava chiaramente che per conoscerlo
(come atman/ brahman), è necessario studiare tutti i Veda e il
Vedanta. In queste scritture autentiche e originarie, le realizzazioni
dei grandi Rishi e tattva darshi sono presentate con grande cura e
attenzione, con esempi e discussioni che sono specificamente
intese ad aiutarci a comprendere l'argomento ed evitare equivoci e
idee sbagliate che creano dubbi a causa della dissonanza con la
voce del param atman.
323
Parama Karuna Devi
Dopo aver raggiunto il livello autentico della realizzazione del sé
(atman/ brahman), si diventa veramente capaci di impegnarsi nel
servizio devozionale al Supremo, come abbiamo già visto nel
verso 18.54: brahma bhutah prasannatma na socati na kanksati,
samah sarvesu bhutesu mad bhaktim labhate param, "Chi è
stabilito nello stato del Brahman è soddisfatto nel sé, non si
lamenta e non aspira a nulla, è ugualmente ben disposto verso tutti
gli esseri e ottiene la devozione trascendentale per me."
VERSO 74
sanjayah uvaca: Sanjaya disse; iti: così; aham: io; vasudevasya:
del figlio di Vasudeva; parthasya: del figlio di Pritha; ca: e;
mahatmanah: la grande anima; samvadam: la conversazione;
imam: questa; asrausam: che ho ascoltato; adbhutam:
meravigliosa; roma harsanam: da far rizzare i capelli.
Sanjaya disse:
"Ho così ascoltato questa conversazione tra Vasudeva e
Arjuna, la grande anima. E' tanto meravigliosa che mi si
rizzano i capelli.
Il testo della Bhagavad gita iniziava con il vecchio Dhritarastra,
reggente al trono, che chiedeva al suo assistente Sanjaya di
324
Bhagavad gita: capitolo 18
parlargli degli eventi che si stavano svolgendo a Kurukshetra:
dhritarastra uvaca, dharma ksetre kuru ksetre samaveta
yuyutsavah, mamakah pandavas caiva kim akurvata sanjaya,
Dhritarastra disse: "O Sanjaya, cosa hanno fatto i miei figli e i figli
di Pandu, dopo essersi riuniti nel luogo sacro al Dharma, il campo
di battaglia di Kurukshetra, pronti a combattere?" (1.1). Sanjaya
aveva continuato descrivendo gli avvenimenti introduttivi (1.24,
1.47, 2.1, 2.9) e testimoniando la manifestazione della Virata Rupa
e della forma di Vishnu (11.9, 11.35, 11.50).
Ora che la conversazione centrale tra Krishna e Arjuna è conclusa,
troviamo Sanjaya che esulta per le meravigliose rivelazioni che ha
ascoltato ed esprime la propria gratitudine per la sua guida
spirituale, Veda Vyasa, per la cui bontà ha ottenuto una tale
benedizione, come dirà nel verso seguente.
Troviamo qui parecchie parole interessanti, la prima delle quali è
vasudeva, che contiene due significati differenti e complementari.
A livello ordinario, Vasudeva (con una prima "a" lunga) è il nome
patronimico di Krishna, come "figlio diVasudeva" (con una prima
"a" corta). Al proposito, possiamo ricordare che il padre di
Krishna, Vasudeva, era il fratello di Kunti, madre di Arjuna e degli
altri Pandava, e che Pritha è un altro nome di Kunti. Dunque
usando i due nomi Vasudeva e Partha, Sanjaya sta mettendo in
luce la forte relazione familiare tra Krishna e Arjuna, che sono
cugini di primo grado oltre che amici intimi.
A un livello simbolico più profondo, il nome Vasudeva è un
appellativo di Vishnu che significa "onnipresente" e si riferisce
alla qualità onnipervadente della coscienza Brahman-ParamatmaBhagavan. In relazione con questo significato, il nome Pritha o
Prithivi (che significa "la vasta") può essere interpretato come un
riferimento a Madre Terra, e quindi Arjuna viene a rappresentare
tutti i narah, gli esseri umani che vivono su questo pianeta come
"figli di Madre Terra". Sulla base di questa particolare
325
Parama Karuna Devi
interpretazione, è molto interessante notare l'attributo di
mahatmanah (maha atmanah, "il grande atman") riferito ad
Arjuna, a indicare che Arjuna, pur essendo figlio della Madre
Suprema, non è semplicemente un jiva atman ma è in realtà shiva
tattva, la manifestazione del param atman in questo universo
materiale come param guru di tutti gli esseri viventi.
Il Bhagavata Purana (4.1.59, 10.69.16, 10.89.59) afferma
chiaramente che Krishna e Arjuna sono Nara e Narayana Rishi, i
due grandi insegnanti spirituali ai quali si rende omaggio prima di
iniziare a studiare le scritture (1.2.4, 5.19.11, 8.16.34, 10.86.35,
11.5.29-30, e l'intero capitolo 8 del dodicesimo canto). Erano
apparsi come i figli gemelli di Dharma e Murti, figlia di Daksha
(1.3.9, 11.4.6) e secondo il Bhagavata Purana (12.4.41)
insegnarono tutti i Purana a Narada, che a sua volta li trasmise a
Vyasa.
Indirettamente, Sanjaya sta avvertendo Dhritarastra che Krishna e
Arjuna non sono persone ordinarie, poiché la loro conversazione è
così straordinaria che un'anima sincera sarà invasa dall'estasi
nell'ascoltarla e ricordarla ancora e ancora. Dhritarastra dovrebbe
dunque comprendere che il suo malvagio figlio Duryodhana sta
gravemente sottovalutando i Pandava e Krishna, e sta facendo un
terribile errore muovendo guerra contro di loro in modo così
ingiusto. Sarà certamente sconfitto, perché ovunque si trovano
Krishna e Arjuna, ci sarà certamente sempre la vittoria.
La descrizione dei capelli che si rizzano si trovava anche nel primo
capitolo (1.29) che descriveva la profonda angoscia di Arjuna nel
vedere tutti coloro che erano venuti sul campo di battaglia pronti a
morire: sidanti mama gatrani mukham ca parisusyati, vepathus ca
sarire me roma harsas ca jayate, "Sento le mie membra perdere
forza e la mia bocca è secca. Il mio corpo trema e mi si rizzano i
capelli". Questo sintomo, che si verifica non solo sul cuoio
capelluto ma anche su altre parti del corpo anche prive di peli (ed è
326
Bhagavad gita: capitolo 18
quindi chiamato "pelle d'oca") è dovuto a una forte emozione che
muove i prana nel corpo ed è accompagnata da respirazione
irregolare (temporaneamente sospesa, rallentata o accelerata in
modo considerevole). Molte emozioni positive o negative possono
avere tale effetto, sia sul livello materiale che su quello spirituale,
e in effetti si tratta di uno dei principali sintomi dell'estasi
spirituale. Altri sono la perdita della coscienza esteriore
(svenimento), lacrime, tremiti, spezzarsi della voce, contrazione
dei muscoli, e allargamento di occhi, bocca e narici, sudore caldo o
freddo, arrossamento della pelle, e così via.
VERSO 75
vyasa prasadat: per la grazia di Vyasa; srutavan: uno che ascolta;
etat: questo; guhyam: segreto; aham: io; param: supremo/
trascendentale; yogam: yoga; yoga isvarat: dal Signore dello yoga;
krsnat: da Krishna; saksat: direttamente; kathayatah: parlando;
svayam: personalmente.
"Per la grazia di Vyasa ho potuto ascoltare questo supremo
segreto trascendentale dello yoga direttamente dalle parole
pronunciate personalmente da Krishna, il Signore dello yoga.
Sanjaya è certamente un'anima sincera, poiché Veda Vyasa gli ha
dato il potere di ascoltare gli insegnamenti di Krishna; sappiamo
da altri passi del Mahabharata che tentò varie volte di incoraggiare
Dhritarastra a riconsiderare la propria posizione e correggere suo
327
Parama Karuna Devi
figlio. Il saggio Vidura aveva fatto la stessa cosa fino al giorno in
cui venne apertamente insultato dal nipote Duryodhana.
Non è detto esplicitamente, ma possiamo facilmente immaginare
che Vyasa, che era padre di Vidura (come pure di Pandu e
Dhritarastra) e una grande personalità spirituale con una visione
molto chiara del dharma, debba aver avuto conversazioni profonde
e significative con Sanjaya in occasione delle sue visite ad
Hastinapura, e gli abbia raccomandato di tenere d'occhio la
famiglia. In tal caso, gli aveva certamente dato gli strumenti per
compiere tale funzione.
Nel nostro commento al primo capitolo abbiamo elaborato sulla
posizione di Sanjaya come una combinazione di segretario,
consigliere, autista e messaggero. Nel sistema di governo vedico
un mantri (termine usato oggi con il significato di "ministro") è il
fidato sostenitore, compagno costante e assistente personale di uno
kshatriya dell'ordine regale.
La posizione di mantri poteva essere occupata da un brahmana o
da un sudra, con funzioni specifiche basate sul guna e karma
dell'individuo. Un brahmana mantri è principalmente un
consigliere, e porta messaggi di grande importanza per cui il
destinatario potrebbe aver bisogno di buoni consigli materialmente
o spiritualmente, o di ulteriori spiegazioni sul significato del
messaggio stesso. Un sudra mantri consegna messaggi ordinari o
semplici ordini, e si occupa delle necessità personali del re, guida
il suo carro, custodisce le sue armi e così via. In entrambi i casi, si
tratta di una posizione di grande importanza per un uomo di cui il
re si poteva fidare pienamente per la sua stessa vita, e quindi
richiede una profonda intelligenza e completa lealtà.
In questo verso e in quello precedente, gli insegnamenti di Krishna
ad Arjuna sono descritti come etad guhyam e imam samvadam;
etad e imam sono rispettivamente la forma femminile e maschile
328
Bhagavad gita: capitolo 18
dello stesso pronome che significa "questo", e alcuni commentatori
hanno messo in luce questo fatto per mostrare come gli
insegnamenti di Krishna siano perfettamente equilibrati e inclusivi.
Altri commentatori hanno visto l'espressione di gratitudine di
Sanjaya verso Vyasa come indicazione dell'importanza suprema
della discendenza ufficialmente riconosciuta nella trasmissione
della conoscenza o guru parampara, ma questo non è il sistema
vedico originario. Qui Sanjaya ricorda soltanto Vyasa, e non
un'intera linea di guru dai quali Vyasa avrebbe ricevuto la propria
autorità.
Dobbiamo comprendere che Vyasa è il guru originario - un fatto
espresso efficacemente dalla tradizionale celebrazione del Vyasa
puja in cui Veda Vyasa è onorato come il guru supremo di tutti i
guru, e non un semplice rappresentante o anello in una catena di
successione disciplica. Certo, quando questa tradizione viene
distorta e sfruttata, il concetto di Vyasa puja dimentica
completamente Vyasa e conserva soltanto il vyasa asana, "il
seggio/ la posizione di Vyasa", adorando chiunque lo occupi,
legittimamente o illegittimamente, e chiamandolo "il supremo
guru universale". Persino il giorno della celebrazione viene
spostato per adattarsi alla data di nascita di quell'individuo, così
che l'intero esercizio diventa una specie di festa di compleanno con
tinte religiose, con una grande torta e regali e zero illuminazione
spirituale.
Come vediamo in questo verso e in tutti gli altri passi degli shastra
autentici, ciascun discepolo ha il pieno diritto di avere una
relazione personale diretta con il proprio guru, sia che questo guru
sia presente in un corpo materiale oppure no - una relazione nella
quale nessun altro ha alcun diritto di interferire. La relazione tra
guru e sisya è la relazione più profondamente personale che possa
mai esistere, e in nessuna circostanza dovrebbe essere trasformata
in un giuramento di obbedienza istituzionale collettiva o una
329
Parama Karuna Devi
proprietà o bene commerciabile. Purtroppo, alcune persone sono
state indotte a credere che la trasmissione della realizzazione
spirituale può essere fatta per delega o diritto ereditario da qualche
specie di autorità ufficiale basata esclusivamente sui meriti e sulle
qualificazioni di un predecessore o predecessori.
Questo concetto illusorio esagera l'importanza del "lignaggio
spirituale" a un punto che non ha niente a che vedere con il sistema
vedico, e anzi è piuttosto tipico delle ideologie abramiche, in cui i
preti non hanno bisogno di essere particolarmente qualificati
personalmente, ma devono essere obbediti e adorati in modo
assoluto, perché si presentano come i rappresentanti esclusivi di
Dio attraverso il fondatore storico della loro particolare setta.
Questo trucco si chiama "truffa per sostituzione di prodotto"
perché attira seguaci presentando una figura deificata del fondatore
(messia, profeta, acharya e così via) come il perfetto maestro che
tutto dovrebbero seguire, gonfiando il carisma personale del suo
personaggio con storie, citazioni e informazioni che non possono
essere verificate poiché il fondatore è ormai scomparso e non può
essere contattato in modo ordinario.
Poi, quando l'ingenuo seguace è stato convertito (e non può
andarsene, sotto pena di persecuzione o persino morte), i preti
appendono il ritratto del fondatore un po' più in là e prendono la
sua posizione, per dare ordini e accettare adorazione in suo nome,
e se qualcuno ha delle obiezioni contro le loro stupidaggini, viene
accusato di bestemmiare contro il santo fondatore e la sua intera
famiglia o lignaggio e contro Dio stesso.
Per la stessa ragione alcuni commentatori hanno tradotto con
notevole libertà di interpretazione diversi passi degli shastra, per
esempio il verso 4.34 della Bhagavad gita (presentato da loro
come il verso più importante dell'intero testo) in cui usano il
singolare invece della forma plurale, per dare l'impressione che un
330
Bhagavad gita: capitolo 18
sincero ricercatore spirituale debba limitare la propria scelta a un
solo guru specifico che viene presentato come l'esclusivo o unico
rappresentante "autorizzato" di Krishna.
I fatti reali sono piuttosto differenti. In quel verso Krishna parla di
"coloro che contemplano direttamente la verità" (tattva darsinah),
e la diksha che offrono (upadekshanti) è conoscenza (jnana), e non
un riconoscimento di appartenenza e obbedienza a una particolare
setta che si presenta come la portatrice indiscutibile della verità
assoluta.
Fondamentalmente, la lettura autentica di quel verso distrugge la
finzione di coloro che (pur ammettendo di non essere qualificati
come tattva darshi) affermano di essere i guardiani ufficiali
autorizzati di una particolare discendenza in cui l'acharya
fondatore era un tattva darshi, così che chiunque desideri essere
ammesso nel "popolo eletto" può soltanto ricevere l'iniziazione
attraverso di loro.
Questa è l'evidenza di come in Kali yuga la gente ha una forte
tendenza a prendere o conservare soltanto il peggio da tutti i
gruppi e rifiutare qualsiasi cosa buona si possa trovare in un
gruppo o nell'altro. In questo modo, qualcuno che è insoddisfatto
di un vecchio sistema avvicina un sistema nuovo e ne assorbe
soltanto quei concetti, credenze, atteggiamenti e pratiche che
sembrano attraenti o compatibili con la sua mentalità precedente.
Senza comprendere cosa fosse sbagliato nel sistema vecchio e cosa
potrebbe essere sbagliato in quello nuovo, una persona sciocca e
ignorante si limita a raccogliere spazzatura e rovina tutto.
L'idea di una persona non qualificata che dà diksha alle nuove
generazioni in nome della propria discendenza materiale da
qualche antenato qualificato vissuto in tempi antichi si trovava
tipicamente tra i brahmini di casta illusi e afflitti da un pesante
pregiudizio di identificazione corporale.
331
Parama Karuna Devi
Poiché questa grave deviazione aveva indebolito moltissimo
l'efficacia della tradizione induista, alcuni grandi riformatori
religiosi si sono distaccati dall'etichetta dell'induismo e hanno
riconfezionato la Bhagavad gita per renderla più attraente per gli
occidentali (specialmente per i cristiani protestanti anglo-sassoni
negli Stati Uniti, la nazione che a quei tempi era considerata il
modello di sviluppo e civiltà).
La strategia presentava dei vantaggi: eliminazione dei pregiudizi e
privilegi di nascita, sviluppo di uno spirito di unità e comunità,
enfasi sul servizio e il lavoro sincero, studio diretto delle scritture,
e così via. Purtroppo, a causa della mancanza di vere realizzazioni
nei seguaci, l'idea originaria si è persa e gli aspetti esteriori hanno
acquisito maggiore importanza, fino al punto di duplicare la
mentalità da chiesa e tutti i suoi difetti. Ora che l'influenza
cristiana è stata spezzata da una diffusa evoluzione della
consapevolezza e conoscenza, e la gente è veramente interessata al
sistema vedico originario, gli sciocchi eredi dei grandi riformatori
induisti rimangono attaccati alla vecchia confezione e hanno
perduto il vero contenuto prezioso che doveva trasportarlo e
conservarlo.
VERSO 76
rajan: o re; samsmrtya samsmritya: ricordando ancora e ancora;
samvadam: la conversazione; imam: questa; adbhutam:
332
Bhagavad gita: capitolo 18
meravigliosa; kesava arjunayoh: di Kesava e Arjuna; punyam:
meritoria; hrisyami: provo una grande gioia; ca: e; muhur muhuh:
ancora.
"O re, ogni volta che penso a questa straordinaria
conversazione sacra tra Kesava e Arjuna, provo una grande
gioia.
Dhritarastra non è realmente il sovrano legittimo, perché era nato
cieco e quindi non avrebbe mai potuto tenere attentamente
d'occhio il regno e impegnarsi in battaglia per proteggerlo.
Questa è la ragione per cui il suo fratello più giovane, Pandu, era
salito al trono, e i suoi figli i Pandava erano gli eredi legittimi;
Dhritarastra doveva semplicemente occuparsi dell'amministrazione
con l'aiuto di Bhishma e Vidura fino al momento in cui i Pandava
fossero diventati maggiorenni e capaci di assumersi la
responsabilità del trono.
Sanjaya però ha un affetto sincero per il vecchio reggente e lo
chiama "re" per fargli piacere e per sostenere la sua autostima. E'
importante notare che il rispetto e l'affetto di Sanjaya per il vecchio
non gli impedisce di avere una chiara visione dei fatti reali, e non
lo spinge all'adulazione e alle menzogne compassionevoli, perché
sta dicendo chiaramente a Dhritarastra che Krishna e Arjuna sono
personalità straordinarie e che vinceranno la battaglia contro
Duryodhana, il figlio di Dhritarastra.
Le persone sentimentali credono che se si ama e rispetta qualcuno,
specialmente gli anziani, non bisogna procurare loro un dispiacere
rivelando verità dure, perché ciò può essere interpretato come un
tradimento. Si tratta di un'idea illusoria, estremamente pericolosa,
paragonabile alla scelta stupida di un medico che rassicura il
paziente dicendogli che sta benissimo quando in realtà si trova in
punto di morte. Dov'è il beneficio?
333
Parama Karuna Devi
Lo scopo della vita umana consiste nel superare l'ignoranza e
raggiungere la liberazione dai condizionamenti e dalle
identificazioni materiali. Se falliamo in questa impresa, la nostra
vita umana è andata sprecata e non ha maggior valore della vita di
qualsiasi animale; questa consapevolezza è naturalmente parte
della nostra coscienza originaria e intrinseca, perciò negarla o
impedire a qualcuno di rendersene conto non è certamente una
prova d'amore. Se i vostri parenti anziani hanno bisogno di
incoraggiamento per risvegliarsi alla realtà della vita e impegnarsi
nel progresso spirituale, dovreste essere pronti a dare loro buone
istruzioni, anche se molto rispettosamente e gentilmente.
Nella tradizione vedica, la definizione di vriddha ("anziano") non
si riferisce all'età del corpo ma all'accumulo di conoscenza e
saggezza (jnana vriddha); se qualcuno segue correttamente il
sistema vedico, gli anni saranno dedicati ad acquisire maggiore
conoscenza e saggezza, ma certe persone con l'età diventano
semplicemente senili.
Alcuni commentatori hanno tradotto samvada come "messaggio" o
persino "vangelo" (poiché il termine greco evangelos significa
"buona notizia" o "buon messaggio"), ma ciò può confondere la
mente delle persone. Il termine samvada è una combinazione di
sam ("insieme", "con") e vada ("discorso"), perciò significa
"conversazione" e può venire esteso al significato di "notizia"
soltanto quando una persona sta dando informazioni a qualcun
altro e ne discutono insieme.
L'espressione muhuh muhuh ("ancora e ancora") indica che gli
insegnamenti di Krishna dovrebbero essere ricordati ad ogni
istante, costantemente, o perlomeno dovrebbero essere studiati più
volte. Il metodo standard per studiare le scritture vediche richiede
almeno 3 letture di ciascun testo, dall'inizio alla fine; i versi
dovrebbero essere studiati sia singolarmente che nel contesto,
separatamente e insieme, finché diventa chiaro il significato
334
Bhagavad gita: capitolo 18
dell'intera discussione. E' buona pratica anche memorizzare i versi
importanti, ripetendo ogni riga 10 volte e poi ripetendo l'intero
verso 10 volte.
Il termine punya si riferisce al merito acquisito compiendo una
buona azione, e indica che studiando gli insegnamenti di Krishna
si acquisiscono meriti virtuosi, come i buoni effetti che si
ottengono compiendo yajna, tapah e dana. Krishna ha già detto
che considera lo studio sincero della Bhagavad gita come una
forma perfettamente legittima di adorazione rivolta a lui, e questo
verso conferma che si tratta di una autentica pratica religiosa in sé.
L'accumulo di questi punya o meriti virtuosi crea un movimento
positivo nella nostra vita e ci eleva a una futura nascita migliore, ai
pianeti superiori e alla liberazione dai condizionamenti materiali:
tutto ciò grazie al potere della conoscenza, che brucia tutta
l'ignoranza e il cattivo karma (4.19, 4.37).
La parola hrishyami ("gioisco") indica che la conoscenza e
realizzazione trascendentale è la vera fonte di felicità.
Le persone intelligenti non cercano la felicità nei piaceri materiali,
che dipendono dal contatto dei sensi con gli oggetti materiali e
sono quindi temporanei (5.22). Questa situazione instabile produce
un movimento costante (rajas) e il movimento causa emozioni,
specialmente avidità, paura e ansietà; soltanto quando tali
emozioni si sono calmate ci può essere pace, e finché non c'è pace
non ci può essere felicità (2.66, 4.40). Non dovremmo pensare che
la vita spirituale e la conoscenza trascendentale siano prive di
piacere e felicità - anzi, l'atman/ brahman è la vera fonte della pura
felicità, che è libera da ogni condizionamento e quindi perfetta ed
eterna, come conferma il Bhagavata Purana (ahaituki apratihata
yayatma suprasidati, 1.2.6).
Krishna aveva già dichiarato che lo yoga è una via felice (9.2) e
che la vera felicità si trova nella libertà dai condizionamenti e nella
335
Parama Karuna Devi
coscienza suprema dell'atman/ brahman (4.38, 5.13, 5.21, 5.23,
5.24, 6.21, 6.27, 6.28, 14.27). L'esistenza trascendentale è definita
come sat ("esistenza"), cit ("coscienza") e ananda ("felicità"). Qui
Sanjaya conferma che ascoltando sinceramente la conversazione
tra Krishna e Arjuna è possibile ragiungere facilmente questa
esistenza trascendentale di eternità e coscienza, che costituisce lo
scopo ultimo della vita umana.
VERSO 77
tat: quello; ca: e; samsmrtya samsmrtya: ricordando ancora e
ancora; rupam: la forma; ati adbhutam: molto meravigliosa;
hareh: di Hari; vismayah: stupefazione; me: mia; mahan: grande;
rajan: re; hrisyami: sono pieno di gioia; ca: e; punah punah:
ancora e ancora.
"O grande re, pensando costantemente alla meravigliosa
forma di Hari, sento ondate di gioia e di sorpresa, ancora e
ancora.
Il verso precedente diceva, samsmritya samsmritya ("ricordando
ancora e ancora") e hrishyami ca muhur muhuh ("provo gioia
ancora e ancora"), e questo verso ripete, samsmritya samsmritya e
hrishyami ca punah punah.
Tale ripetizione non costituisce un difetto letterario, ma piuttosto
esprime la grande importanza e meraviglia degli insegnamenti di
336
Bhagavad gita: capitolo 18
Krishna; il verso precedente diceva adbhutam ("meraviglioso") e
questo verso riecheggia ati adbhutam ("molto meraviglioso").
Questa emozione travolgente è l'estasi della meraviglia (vismaya)
che sorge della coscienza e realizzazione trascendentale.
Abbiamo parlato dello spandakarika che è la pulsazione della
felicità orgasmica nell'unione tra l'atman e il brahman, tra shakti e
shaktiman, ma qui l'estasi nasce dalla realizzazione dell'unità
intrinseca e inerente di atman e brahman. Ci può essere soltanto
unione, poiché sono la stessa cosa, sebbene danzino l'uno con
l'altro nella rasa lila che consiste nel gustare i sentimenti (rasas)
della consapevolezza suprema: raso vai sah, rasam hi evayam
labdhva anandi bhavati, "E' gusto, e chi ottiene questo gusto
diventa felice", (Taittirya Upanishad, 2.7.1).
Questa danza eterna è la forma di Hari (rupam hareh), poiché la
forma è prakriti e shakti; è la Madre che dà il corpo e tutto ciò che
è collegato con il corpo, sia sul livello spirituale che sul livello
materiale (4.9, 7.25, 9.10, 13.20, 13.22, 13.27, 14.4, 18.61). E'
soltanto attraverso l'agenzia della Madre che l'atman nasce dal
brahman e si unisce nuovamente con il brahman; la devozione è
Bhakti Devi, il piacere spirituale è Hladini Shakti, e la conoscenza
è Sri Vidya.
Nel suo aspetto di Mahamaya, la Madre agisce nel mondo
materiale e manifesta i corpi materiali, mentre nel suo aspetto di
Yogamaya agisce nel mondo spirituale e manifesta i corpi
spirituali. I guna (qualità, poteri, energie) trascendentali di sat
(esistenza della relazione del Supremo con le sue parti), cit
(conoscenza e coscienza) e ananda (felicità e piacere spirituali)
sono dunque rispettivamente bhakti, vidya e hladini shakti.
Yogamaya è la "magia di unione" che manifesta tutte le forme
spirituali, le attività, gli attributi e così via, a livello spirituale.
Senza Yogamaya, Vishnu non avrebbe forma, poiché Yogamaya è
337
Parama Karuna Devi
la forma stessa, Bhumarupa ("la cui forma consiste in tutto ciò che
esiste") e Linga Bhairavi ("la forma senza forma del Tempo").
Yogamaya manifesta sia le forme spirituali che quelle materiali,
come conferma il Devi mahatmya del Markandeya Purana: sarva
svarupe sarvese sarva sakti samanvite, "tu esisti come la forma di
ogni cosa, governi ogni cosa, possiedi ogni potere" (11.24) e
visnuh sarira grahanam aham isana eva ca karita aste, "tu hai
fatto prendere forma a Vishnu, a Shiva e a me (Brahma)" (1.84).
Un'altra corrispondenza significativa in questi due ultimi versi
collega la forma di Hari con Kesava e Arjuna contemporaneamente. Sappiamo che Hari è adorato principalmente come
l'aspetto di Vishnu che costituisce la forma composita di HariHara, rappresentata nel verso precedente da Krishna e Arjuna, che
sono Narayana e Nara, cioè Vishnu e Shiva. Insieme con Adi
Shakti, Yogamaya, costituiscono la Triade conosciuta anche come
Jagannatha Purushottama, la Personalità suprema di Dio, che
protegge l'universo intero.
VERSO 78
yatra: dove; yoga isvarah: il Signore dello yoga; krsnah: Krishna;
yatra: dove; parthah: il figlio di Pritha; dhanur dharah: che porta
l'arco; tatra: là; srih: prosperità; vijayah: vittoria; bhutih: gloria;
dhruva: certa/ permanente; nitih: moralità; matih: opinione;
mama: mia.
338
Bhagavad gita: capitolo 18
"Dovunque ci siano Krishna, il Signore dello yoga, e Arjuna il
grande arciere, ci saranno prosperità, vittoria, gloria,
determinazione e moralità. Questa è la mia opinione.
Questo verso che conclude il testo della Bhagavad gita è una
benedizione e un phala sruti, la dichiarazione dei meriti del
contatto con Krishna e Arjuna attraverso la lettura e il ricordo della
loro conversazione.
Lo affermava già il verso 18.71: sraddhavan anasuyas ca srinuyad
api yo narah, so 'pi muktah subhal lokan prapnuyat punya
karmanam, "Qualsiasi essere umano ascolterà questa discussione
con fede, libero da invidia e ostilità, diventerà liberato e
raggiungerà i pianeti propizi di coloro che hanno compiuto attività
virtuose."
Secondo la tradizione vedica, i testi sacri sono accompagnati da
alcuni versi che affermano che lo studio e la recitazione di quel
testo porterà meriti virtuosi, e ogni successo materiale e spirituale.
Non bisogna interpretare queste affermazioni come l'indicazione di
qualche specie di incantesimo magico che possiamo usare per
ottenere i benefici egoistici che desideriamo, ma piuttosto come la
potenza purificatrice della conoscenza trascendentale che ci
solleverà dai guna inferiori fino a sattva e poi a visuddha sattva.
Così, più investiamo la nostra attenzione sincera e la nostra
intelligenza nello studio della Bhagavad gita, più riceveremo i suoi
effetti benefici.
Una recitazione meccanica porterà soltanto risultati limitati,
mentre il vero impegno sulla via dello yoga descritta da Krishna
darà il beneficio maggiore: vedesu yajnesu tapahsu caiva danesu
yat punya phalam pradistam, atyeti tat sarvam idam viditva yogi
param sthanam upaiti cadyam, "Uno yogi ottiene benefici
maggiori di quelli acquisiti attraverso le attività virtuose prescritte
(punya) come la recitazione dei Veda, il compimento di yajna,
339
Parama Karuna Devi
l'impegno nell'austerità e la distribuzione di carità. Sapendo tutto
questo, lo yogi raggiunge la posizione suprema e originaria."
(8.28).
Il nome yogesvara che indica qui Krishna è apparso anche nel
capitolo sulla forma universale, menzionato sia da Arjuna che da
Sanjaya: manyase yadi tac chakyam maya drastum iti prabho,
yogesvara tato me tvam darsayatmanam avyayam, "O Signore,
maestro supremo dello yoga, se tu pensi che io sia capace di
vederla, ti prego di farmi avere la visione diretta del tuo sé
imperituro" (11.4) e sanjaya uvaca, evam uktva tato rajan maha
yogesvaro harih, darsayam asa parthaya paramam rupam
aisvaram, Sanjaya disse, "O re, dicendo queste parole Hari, il
grande Signore dello yoga, mostrò ad Arjuna la forma suprema e
maestosa" (11.9).
Possiamo dunque comprendere che il significato più profondo
dello yoga è l'acintya bheda abheda tattva della simultanea unità e
distinzione tra Purusha e Prakriti, tra Para e Apara, per la quale gli
yogi diventano capaci di vedere il Purushottama in ogni cosa (4.35,
5.7, 5.18, 5.19, 6.29, 6.30, 6.31, 6.32, 7.7, 7.10, 7.19, 8.22, 9.4,
9.5, 9.6, 10.3, 10.15, 10.16, 10.20, 10.39, 11.7, 11.11, 11.13,
11.15, 11.16, 11.20, 11.23, 11.40, 13.14, 13.15, 13.16, 13.17,
13.18, 13.28, 13.29, 13.31, 13.34, 15.13, 15.15, 15.19, 18.20,
18.46, 18.61, 18.62). Sono i Rishi, "coloro che vedono", la cui
coscienza è sempre unita alla Coscienza suprema, che è la totalità
dell'Esistenza (advaya vastu).
E' molto interessante notare che vicino a Krishna chiamato
yogesvara, Arjuna viene menzionato con i nomi di partha ("figlio
di Pritha") e dhanur dhara ("che porta l'arco"), per ricordarci che
l'intera Bhagavad gita fu enunciata allo scopo di incoraggiare
Arjuna ad impegnarsi nella dharma yuddha ("battaglia etica") per
proteggere la Terra.
340
Bhagavad gita: capitolo 18
Contrariamente a ciò che pensano molte persone, gli insegnamenti
di Krishna non sono intesi a convincerci ad abbandonare il mondo
e i nostri doveri verso la comunità universale in nome di qualche
vaga spiritualità e rinuncia. Ciò viene dimostrato chiaramente dal
fatto che al termine della conversazione, Arjuna afferma che è ora
pronto a impegnarsi in battaglia, e certamente ha afferrato il suo
famoso arco Gandiva, che aveva lasciato cadere all'inizio della
narrazione (1.30). Anche noi siamo chiamati a fare la stessa cosa.
In questo sacro dovere, dovremmo ricordare il Supremo al quale
stiamo offrendo il nostro sacrificio, e anche la Shakti che ci
impegna in tale servizio. Ecco perché dovunque ci sia il bhoktri
(l'oggetto dell'amore) e il bhakta (la persona che ama), ci deve
essere bhakti (amore).
La Dea suprema, l'Adi Para Shakti, è conosciuta anche come
Mahalakshmi; i suoi nomi sono molti e tutti di buon augurio. Sri
significa "opulenza, bellezza, prosperità, benedizione" e in questa
forma la Dea Madre accompagna il nome di tutte le persone buone,
maschi e femmine, come possiamo vedere nella tradizione indiana
e specialmente nel titolo di sri yukta ("unito a Sri") usato per
indicare gli uomini sposati, che hanno integrato la propria vita e la
propria energia con il potere femminile e che sono quindi
qualificati (adhikari) a compiere i rituali sacri. Anche il nome
Vijaya ("vittoria") è caratteristicamente associato con Lakshmi,
specialmente nella forma della Dea Madre adorata da re e
protettori della terra e dei suoi praja.
La parola bhuti significa letteralmente "potere", specialmente nel
senso di "espansione, prosperità, crescita, sviluppo, evoluzione"; è
strettamente collegata con la parola vibhuti che segna il titolo del
capitolo 10. Ricordiamo che quando Arjuna chiese a Krishna
istruzioni specifiche per la meditazione (10.17), Krishna gli disse
di meditare sulla sua vibhuti (10.19), descritta nei capitoli 10 e 11.
Questa istruzione è diretta anche a noi, e dovremmo seguirla.
341
Parama Karuna Devi
Osservando sinceramente questa istruzione in modo determinato e
costante (dhruva), saremo sempre situati sul livello più alto di
moralità (niti) perché il nostro comportamento verso tutti gli esseri
sarà il servizio pieno di amore e devozione che offriamo al
Supremo.
Tale consapevolezza include tutte le altre forme di dharma: yavan
artha udapane sarvatah samplutodake, tavan sarvesu vedesu
brahmanasya vijanatah, "Qualsiasi valore si trovi in un laghetto si
trova anche, ad ogni effetto pratico, anche in un grande lago, e
similmente ciò che è contenuto in tutti i Veda si può trovare in una
persona che ha realizzato la conoscenza del Brahman" (2.46). Il
fatto che niti sia unita a dhruva indica che tale moralità non è
semplicemente una questione di etichetta sociale o una posizione
temporanea e relativa, ma è eterna. Questa è l'opinione di Sanjaya,
e anche l'opinione dei grandi Rishi e Acharya.
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