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BHAGAVAD GITA Il Dharma globale per il terzo Millennio Capitolo 18 Traduzione e commento a cura di Parama Karuna Devi Copyright © 2015 Parama Karuna Devi All rights reserved. ISBN-13: 978-1482556988 ISBN-10: 1482556987 edizioni Jagannatha Vallabha Vedic Research Center telefono: +91 94373 00906 E-mail: [email protected] Website: www.jagannathavallabha.com © 2015 PAVAN Sede indiana: PAVAN House Siddha Mahavira patana, Puri 752002 Orissa Capitolo 18 Moksha yoga Lo yoga della liberazione Il meraviglioso viaggio di conoscenza in compagnia di Krishna e Arjuna ci ha portato dalla consapevolezza della confusione e delusione del Visada yoga al primo passo nella realizzazione trascendentale - il concetto di atman, il Sé spirituale che si incarna in questo mondo indossando corpi materiali per evolversi verso la perfezione o realizzazione, che culmina nella forma spirituale perfettamente sviluppata, la siddha deha. Mentre il secondo capitolo (Sankhya yoga) ci mostrava come distinguere tra spirito e materia (il soggetto e l'oggetto dell'azione), il terzo capitolo ci ha mostrato cosa fare con entrambi: questo è il Karma yoga (l'azione o verbo o predicato che sostiene l'affermazione dal punto di vista della sintassi). Nel quarto capitolo siamo arrivati alla discussione sullo scopo della vita, che è l'acquisizione della conoscenza (jnana), la direzione in cui dovremmo incanalare le nostre azioni e i nostri sforzi per elevarci dal livello in cui ci limitiamo a fare il nostro lavoro perché ci si aspetta che lo facciamo. Attraverso i fattori strumentali di conoscenza e distacco (vairagya, tyaga o sannyasa, capitolo 5) siamo diventati capaci di focalizzare Parama Karuna Devi la mente sul giusto stato di consapevolezza o realizzazione spirituale (dhyana, capitolo 6) e di applicare questa visione alla nostra vita pratica quotidiana (vijnana, capitolo 7), alle nostre relazioni e alle nostre scelte. Nel capitolo 8 (Taraka yoga) abbiamo visto che la realizzazione spirituale è allo stesso tempo lo strumento, lo scopo e l'essenza della liberazione, per cui diventiamo capaci di contemplare costantemente il Brahman Supremo in noi stessi: questa è la somma e l'essenza di tutti gli insegnamenti e le pratiche dello Yoga. Questo è il grande segreto (raja guhya, capitolo 9): come vedere Dio in noi stessi e in tutti gli esseri, e allo stesso tempo come la sorgente e il fondamento immutabile di ogni esistenza. Attraverso la meditazione costante su Dio si raggiunge la perfezione più alta. Abbiamo così visto che i concetti di rinuncia (sannyasa) e liberazione (taraka) sono collegati con la concentrazione e l'applicazione della giusta consapevolezza in tutte le nostre azioni (dhyana, vijnana). Ma su cosa dovremmo meditare (dhyana)? Nei capitoli 10 e 11 (Vibhuti yoga e Visva rupa darshana yoga) Krishna ha spiegato chiaramente come bisogna meditare sui poteri e sulla forma universale di Dio (la Virata rupa o Visva rupa) e nel capitolo 12 abbiamo appreso che questa meditazione non è soltanto teorica, ma si deve sviluppare in sincero servizio di amore e devozione (bhakti), che consiste nel compiere tutti i propri doveri nella consapevolezza trascendentale. Nel corso di questo servizio d'amore, la cosa più importante consiste nel comprendere chiaramente quale sia il nostro dovere - in quale posizione ci troviamo e in che modo dobbiamo relazionare con tutto ciò che è attorno a noi. Per questo, dobbiamo comprendere in che modo il principio personale (il sé o purusha) è in relazione con la natura (o prakriti spirituale e materiale) e come i due siano in realtà uno anche se sembrano distinti. Il capitolo 13 ci ha aperto gli occhi al riguardo. 4 Bhagavad gita: capitolo 18 Similmente, il capitolo 18 dichiarerà che tutti i doveri (sarva dharman, 18.66) sono in realtà una sola cosa - che consiste nell'unione intima con il Supremo (18.65). Questo è il segreto supremo (paramam guhyam, 18.67) e la conclusione della Bhagavad gita. La discussione sui guna o modalità della natura materiale è stata quindi interrotta dal capitolo 15 per ricordarci lo scopo ultimo di tutte le altre istruzioni della Bhagavad gita: la realizzazione della Personalità suprema di Dio, Purushottama. Dopo aver discusso le caratteristiche e gli effetti delle qualità materiali o guna (che dobbiamo gestire in questo mondo per compiere i nostri doveri) ci apprestiamo ora a studiare l'ultimo capitolo della Bhagavad gita, che ne riassume il contenuto generale e lo scopo - un po' come aveva fatto il secondo capitolo e offre una conclusione che costituisce la partenza per la fase successiva nella scienza della Trascendenza. Moksha, la liberazione dai condizionamenti materiali, non è la destinazione finale del nostro viaggio ma piuttosto segna l'inizio della vera vita, dell'azione veramente significativa, e della piena realizzazione della dimensione spirituale introdotta all'inizio del dialogo dagli insegnamenti di Krishna sull'atman. Questo è confermato dal verso 18.54. Pe coloro che desiderano continuare la loro evoluzione nella Trascendenza, raccomandiamo di studiare, dopo la Bhagavad gita le 108 Upanishad e i 18 Purana. Poiché la Bhagavad gita fa parte del testo del Mahabharata, uno studente sincero farà uno sforzo per leggere anche questa voluminosa opera e la sua controparte, il Ramayana scritto da Valmiki Rishi. A quel punto si sarà pronti a studiare il famoso Vedanta sutra, che è considerato lo scopo, la somma e la sostanza di tutti gli inni vedici delle Samhita. 5 Parama Karuna Devi In questo nostro lavoro offriamo una Appendice che comprende un breve riassunto del Mahabharata e la famosa Gita mahatmya ("le glorie della Bhagavad gita") scritta da Adi Shankara Acharya. VERSO 1 arjunah uvaca: Arjuna disse; sannyasasya: del sannyasa; maha baho: tu che hai braccia potenti; tattvam: la verità; icchami: io desidero; veditum: conoscere; tyagasya: di tyaga; ca: e; hrisikesa: o Hrishikesha; prithak: differenza; kesi nisudana: uccisore di Kesi. Arjuna disse: "Potente Krishna, Signore dei sensi, uccisore di Kesi, desidero conoscere la verità sulla differenza tra tyaga e sannyasa. Il capitolo sullo yoga della liberazione inizia con l'argomento cruciale della rinuncia: moksha è semplicemente la libertà dai condizionamenti materiali, e può essere raggiunta soltanto rinunciando alle identificazioni materiali e agli attaccamenti (ahankara e mamatva) di cui Krishna ha parlato per tutta la Bhagavad gita. 6 Bhagavad gita: capitolo 18 Questi sono simbolicamente personificati dall'asura Kesi, ucciso da Krishna nella sua Vrindavana lila. Abbiamo visto che il capitolo 5 era dedicato alla scienza della rinuncia (sannyasa yoga) e specificamente nei versi da 5.1 a 5.6 e 5.13, e quindi nell'introduzione a quel capitolo abbiamo dato un breve riassunto della storia dell'ordine di sannyasa nella tradizione induista o varna ashrama dharma. Poiché l'argomento è collegato anche con il contenuto del capitolo 18, invitiamo i nostri lettori a rinfrescarsi la memoria consultando il capitolo 5. La questione del sannyasa è stata discussa anche nei versi 3.4, 3.30, 4.41, 6.1, 6.2, 6.4, 8.11, 9.28, 12.6, mentre tyaga è stata spiegata nei versi 12.11, 12.12, e 16.2. Il concetto di rinuncia viene quindi presentato a due llivelli, rispettivamente esteriore e interiore, o potremmo dire regolato e spontaneo. Krishna ha affermato chiaramente che il semplice sannyasa esteriore non è sufficiente (3.4, 5.2), ma bisogna raggiungere un livello più profondo di consapevolezza di rinuncia anche senza il bisogno dei requisiti esteriori del sannyasa ashrama (5.3, 5.4, 6.1, 6.2). E' perfettamente chiaro che le semplici regole non sono soltanto insufficienti in sé stesse ma anche estremamente difficili e dolorose da seguire specialmente in Kali yuga (5.6), proprio come è difficile e doloroso (nonché insufficiente) limitarsi a meditare sull'impersonale non manifestato (12.5). Dunque è indispensabile il servizio attivo al Supremo e a tutti gli esseri (sarva bhuta hite, 12.13-14, 12.6). Come vedremo nel prossimo verso, il sannyasa si riferisce all'abbandonare fisicamente quelle azioni che non sono considerate direttamente utili al servizio trascendentale, mentre tyaga si riferisce a uno stato di consapevolezza per il quale si compie qualsiasi attività in uno spirito completamente libero dall'egoismo. Questo livello viene conosciuto come avadhuta, ed è più alto e più difficile da raggiungere rispetto alla posizione convenzionale dei 7 Parama Karuna Devi sannyasi, perché un avadhuta non è legato da alcuna regola, mentre i sannyasi devono seguire strettamente le regole delle scritture prescritte per il loro specifico ordine di vita. Per esempio, un sannyasi non può avere una residenza, un conto in banca, una fonte regolare di introiti o più possedimenti rispetto a quegli oggetti tradizionali che può trasportare a mano - più specificamente, un bastone per camminare (danda) e un piccolo contenitore per l'acqua (kamandalu). I sannyasi digambari ("vestiti dalle direzioni dello spazio") non indossano abiti, ma se un sannyasi desidera indossare qualcosa, dovrebbe essere un semplice perizoma fatto con della stoffa vecchia e consunta gettata via da altri, e dovrebbe mangiare in modo semplice mendicando di porta in porta, senza dipendere da nessuno e senza tenere da parte nulla per il giorno successivo. Non può rimanere nello stesso luogo per più di tre giorni, e deve viaggiare a piedi e da solo, senza usare portantine o altri veicoli, cavalcare animali eccetera. Anche se viene insultato o aggredito, non può difendersi ma deve sempre comportarsi come l'amico di tutti gli esseri, e rimanere fermamente situato nella consapevolezza trascendentale senza alcuna identificazione materiale, affiliazione o attaccamento - semplicemente deve essere pronto a morire in qualsiasi momento. Non può praticare la professione dell'insegnante, impegnarsi in dibattiti o partecipare a una causa, fazione o setta. Si possono fare eccezioni speciali a queste regole in caso di emergenza o circostanze straordinarie, ma comunque il principio della rinuncia deve essere compreso adeguatamente e applicato onestamente. Per meglio esplorare l'argomento, è bene leggere le Upanishad specificamente dedicate alla rinuncia o sannyasa, elencate qui di seguito: Nirvana Upanishad, Maitreya Upanishad (o Maitrayaniya Upanishad), Sannyasa Upanishad, Kundika Upanishad e Aruneya Upanishad nel Sama Veda; Yajnavalkya 8 Bhagavad gita: capitolo 18 Upanishad, Satyayani Upanishad, Jabala Upanishad, Paramahamsa Upanishad, Bhikshaka (o Bhikshuka) Upanishad e Turiyatita Upanishad nel Sukla Yajur Veda; Teji bindu Upanishad, Avadhuta Upanishad, Katha rudra Upanishad, Varaha Upanishad e Brahma Upanishad nel Krishna Yajur Veda; Parivraka (Narada parivrajaka) Upanishad, Paramahamsa parivajaka Upanishad e Para brahman Upanishad nell'Atharva Veda. Anche i versi 2 e 3 della Kaivalya Upanishad, e i versi dal 3.2.5 al 3.2.9 della Mundaka Upanishad parlano del sannyasa. Poiché è impossibile citare qui tutti i passaggi da tali testi così importanti, invitiamo i nostri lettori a consultare la nostra traduzione completa delle 108 Upanishad principali, pubblicata dal nostro Jagannatha Vallabha Vedic Research Center. VERSO 2 sri bhagavan uvaca: il Signore meraviglioso disse; kamyanam karmanam: le attività compiute per soddisfare qualche desiderio; nyasam: rinuncia; sannyasam: il sannyasa; kavayah: gli studiosi; viduh: sanno; sarva karma phala tyagam: la rinuncia ai frutti di tutte le azioni; prahuh: chiamano; tyagam: tyaga; vicaksanah: gli esperti. 9 Parama Karuna Devi Il Signore meraviglioso disse: "Gli studiosi sanno che il sannyasa consiste nel non impegnarsi nelle attività intese a soddisfare qualche desiderio personale, mentre gli esperti dicono che tyaga consiste nell'essere distaccati dai risultati creati da ogni tipo di azione. In altre parole, bisogna rinunciare all'attaccamento egoistico ai benefici che si possono ottenere dalle proprie azioni, non rinunciare alle azioni in sé: karmany evadhikaras te ma phalesu kadacana, ma karma phala hetur bhur ma te sango 'stv akarmani, “Hai certamente il diritto di compiere le azioni ma non di godere dei frutti delle tue azioni. Non cercare di diventare la causa dei risultati dell'azione, ma non attaccarti all'inazione" (2.47). Krishna stabilisce qui una distinzione di consapevolezza utilizzando due definizioni differenti: kavayah e vicaksanah, rispettivamente "studiosi" e "persone realizzate" (o "persone esperte", cioè quelli che hanno veramente esperienza). La forma singolare di questi nomi è kavi e vicaksi; il termine kavi significa anche "poeta" o "letterato", mentre la parola vicaksi è un composto di vica ("in modo completo") e aksi ("che vede"). Si comprende dunque che la definizione di sannyasa è usata più teoricamente o tecnicamente come strumenti scientifico di categorizzazione sociale e religiosa, mentre la definizione di tyaga si applica specificamente al proprio sviluppo spirituale personale, praticato ogni giorno in tutte le attività. Il sannyasa quindi non è altro che un supporto esteriore per tyaga, e non può essere considerato né sufficiente né indispensabile per raggiungere il successo. Troviamo conferma di questo concetto nella descrizione del sistema del varna-ashrama dharma nel Bhagavata Purana (11.18.28): jnana nistho virakto va, mad bhakto vanapeksakah, sa lingan asramams tyaktva cared avidhi gocarah, "Una persona che è fermamente stabilita nella conoscenza e nel perfetto distacco, che 10 Bhagavad gita: capitolo 18 è completamente devota al Supremo e non ha altri desideri o aspirazioni può elevarsi al di sopra delle regole e dei segni distintivi tipici degli ashrama." In questo verso la parola caret rappresenta effettivamente un chiaro incoraggiamento a seguire tale strada, e potrebbe essere tradotta anche come "dovrebbe elevarsi". Perché? Perché la rigida osservanza delle regole delle classi sociali è molto utile negli stadi iniziali dello sviluppo spirituale, ma quando si progredisce fino alla liberazione, diventa un peso e può anche ostacolare il vero lavoro. Le regole sono come stampelle, che sono essenziali per gli invalidi ma diventano un fardello inutile per le persone in gamba che viaggiano e lavorano. Perciò Krishna dirà chiaramente nel verso 18.65 che bisogna lasciarsi dietro tutti i vari sva dharma o regole del sistema religioso e sociale e semplicemente concentrarsi sullo yoga, l'unione trascendentale con il Supremo. La vera rinuncia o sannyasa consiste nell'abbandonare il desiderio per le attività egoistiche, cioè il kamya e naimittika karma. Più avanti (18.5-6) Krishna affermerà chiaramente che i nitya karmani (yajna, dana, tapas) non devono mai esserre abbandonati. In effetti, bisognerebbe soltanto rinunciare ai risultati di tutte le azioni, perché questa è la definizione di rinuncia (tyaga, 18.6). Questo è confermato anche nello Yoga Vasistha di Valmiki Rishi: na karmani tyajeta yogi karmabhist yajate hy asav iti, "uno yogi non dovrebbe abbandonare il dovere prescritto, perché il dovere stesso rinuncerà allo yogi (cioè cadrà da solo) quando ha raggiunto il giusto livello." A questo proposito possiamo citare un famoso verso attribuito a Krishna Chaitanya: naham vipro na ca nara-patir napi vaisyo na sudro, naham varni na ca griha-patir no vanastho yatir va, kintu prodyam paramananda purnamrtabdher, gopi bhartuh pada kamalayor dasa dasa anudasa, "Non sono un brahmana, uno kshatriya, un vaisya o un sudra, non sono un brahmachari, un 11 Parama Karuna Devi grihastha, un vanaprastha o un sannyasi. Sono semplicemente il servitore di chi serve i piedi di loto del consorte delle gopi, l'oceano di suprema felicità estatica". Sul piano materiale, la naturale ricerca della felicità e del piacere prende diverse forme. Il piacere più grande nel mondo materiale è il sesso, ma quando questa energia non viene incanalata in modo appropriato può trasformarsi nelle forme di lussuria che sono fama, prestigio, posizione, potere e adorazione, che non sono più meritevoli o spirituali ma semplicemente più sottili e nascoste (e quindi più pericolose). Poiché ciò è dovuto all'azione delle leggi della natura come la forza di gravità, nessuno può sfuggire a questo pericolo. Persino le istituzioni religiose e gli spiritualisti che si trovano in posizioni elevate sono soggetti a questo grande pericolo. Spesso la politica è stata paragonata al sesso, e ha gli stessi meccanismi e scopi: in verità la politica è particolarmente pericolosa per coloro che hanno accettato l'ordine di rinuncia della vita. Quante volte abbiamo visto i confratelli trasformarsi in padrini mafiosi? Il problema è che poiché siamo impegnati nel servizio d'amore a Dio, quando non amiamo ci troviamo necessariamente a cadere nella lussuria. E così scatta l'ultima trappola dell'illusione: la falsa liberazione nella forma del sannyasa artificiale. In questa posizione, la tendenza ad agire per la ricerca del piacere può facilmente portare l'anima condizionata a indulgere in varie perversioni nascoste o segrete, e poi a metterci sopra un bel coperchio a tenuta stagna in nome dell'immagine pubblica, della decenza, dell'ordine sociale e del rispetto per religione e tradizione. Spesso questo porta a ricercare il piacere in modo veramente negativo, attraverso pratiche degradate, sadiche e masochistiche che risultano disgustose per le persone normali. Queste forme di gratificazione dei sensi non sono meritorie o libere dal peccato come alcuni credono, e in effetti sono molto più pericolose della 12 Bhagavad gita: capitolo 18 normale sana gratificazione dei sensi: scegliere quella strada non porta all'evoluzione ma al disastro totale. Troviamo la parola vicaksanah anche alla conclusione degli insegnamenti di Krishna a Uddhava (Bhagavata Purana 11.25.33): tasmad deham imam labdhva, jnana vijnana sambhavam, guna sangam vinirdhuya, mam bhajantu vicaksanah, "Così, poiché hanno ottenuto un adeguato corpo materiale che permette conoscenza e saggezza, le persone esperte e intelligenti si purificano da tutti i guna materiali e dovrebbero impegnarsi al mio servizio." Lo scopo originario del sannyasa è espresso dal suo significato letterale come composto di sat nyasa, "consacrare il proprio corpo a Sat (la Trascendenza)". Nella tradizione vedica e specialmente negli insegnamenti del Tantra troviamo che chi adora la Divinità compie il kriya ("dovere") chiamato nyasa, che consiste nel porre dei mantra (bija mantra e nama mantra) sulle varie parti del corpo per purificarlo e spiritualizzarlo, rendendolo adatto ad entrare in contatto con la Divinità. Il kara nyasa è l'applicazione sulle mani (polpastrelli e giunture delle dita), mentre l'anga nyasa è l'applicazione alle membra principali e persino agli organi del corpo. Utpatti e samhara nyasa consistono nel ciclo completo di santificazione o dedicazione del proprio corpo. Un esempio offerto dal Bhagavata Purana è in riferimento al Narayana kavaca (6.8.411). Tutti questi rituali e queste pratiche vengono superati quando il potere della consapevolezza trascendentale ha distrutto tutte le identificazioni materiali e gli attaccamenti, e quindi il corpo è stato completamente spiritualizzato. Bisogna però fare estrema attenzione a non cadere nella trappola del falso ego travestito da "grande avadhuta" o "grande devoto" che crede di poter fare qualsiasi cosa gli passi per la mente - comprese azioni grossolanamente contrarie al dharma - affermando di essere "trascendentale e al di sopra delle regole", a volte persino 13 Parama Karuna Devi sfoggiando l'abito del sannyasi. Ogni azione adharmica (papa) è in sé la prova che la persona in questione non si trova affatto sul livello trascendentale (7.28). VERSO 3 tyajyam: tyaga; dosa vat: difettosa; iti: così; eke: alcune persone; karma: attività; prahuh: dicono; manisinah: grandi pensatori; yajna dana tapah karma: i doveri che consistono in sacrificio, carità e austerità; na: non/ mai; tyajyam: devono essere abbandonati; iti: così; ca: e; apare: altri. "Alcuni filosofi affermano che tutte le attività sono accompagnate da difetti e quindi devono essere abbandonate. Altri dicono che yajna, dana, tapas non devono mai essere abbandonati. Nella nostra introduzione al capitolo 3 (Karma yoga) abbiamo discusso della vecchia controversia tra i sostenitori del Purva mimamsa e quelli dell'Uttara mimamsa, conosciuti anche rispettivamente come karma kanda e jnana kanda o advaita. Krishna ha parlato della categoria del karma kanda come dei veda vada rata (2.42, 2.43, 2.44, 2.45) o di coloro che sono attaccati alla lettera dei Veda e sono incapaci di vedere al di là del ciclo del samsara e non possono così raggiungere la liberazione. 14 Bhagavad gita: capitolo 18 Gli accademici coloniali credevano che il Purva mimamsa si riferisse a tempi più antichi in cui l'intera società vedica era concentrata interamente sulla via ritualistica, adorando i Deva allo scopo di elevarsi ai pianeti superiori, e che soltanto in tempi relativamente recenti la filosofia vedica abbia sviluppato la comprensione metafisica sottile espressa nelle Upanishad e finalmente l'adorazione personalista (quasi "monoteista") di Purushottama come troviamo nei Purana e nella Bhagavad gita (contenuta nel Mahabharata), che generalmente collegano con il concetto abramico di Dio. L'accademia convenzionale ha persino assegnato un periodo storico a ciascuna di queste "fasi" calcolate secondo il "progresso lineare" dell'umanità insegnato nelle scuole, in cui la civiltà vera e propria sarebbe iniziata soltanto circa 5000 anni fa in medio oriente, con le prime città sumere. Questo vecchio paradigma è basato sulla famosa teoria dell'invasione ariana, secondo la quale il sanscrito, la conoscenza vedica e la civiltà vedica sarebbero stati introdotti in India soltanto verso il 2000 avanti l'era corrente da orde di nomadi provenienti dal Caucaso, che invasero il subcontinente indiano e resero schiavi i popoli dravidici indigeni, pacifici ma primitivi. Questo è generalmente etichettato come il "periodo rigvedico" in cui i brahmana sarebbero stati una specie di stregoni di magia nera che celebravano strani sacrifici animali per compiacere gli dei della guerra, primitivi e assetati di sangue, come Indra e Rudra. Uno studente sincero della conoscenza vedica non si lascerà confondere da questa spazzatura coloniale, che per ammissione stessa dei suoi ideatori aveva lo scopo di demolire l'autorità della tradizione originaria vedica. Il fatto è che l'intera conoscenza vedica è un sistema coerente e articolato, che esiste simultaneamente ed eternamente nella sua 15 Parama Karuna Devi completezza, ma offre diversi gradi di approccio per ciascun individuo secondo il particolare livello di evoluzione. Così la parola purva ("prima, iniziale") non si riferisce a qualche periodo storico più antico nel subcontinente indiano, ma alle prime fasi di sviluppo di ciascun individuo, che deve essere sostenuto e nutrito dalla società attraverso il giusto sistema del varna-ashrama con la promessa di benefici materiali (in questa vita e nella prossima) che è particolarmente efficace per attirare le anime meno evolute. A questo proposito, il termine uttara ("più alto") che contrappone l'Uttara mimamsa al Purva mimamsa va compreso come "corso superiore di studi" che si sviluppa in yoga o advaita come spiega chiaramente Krishna nella Bhagavad gita. Questo è confermato anche dal nome stesso della categoria dei Purana ("antichi"), che assurdamente gli indologi coloniali considerano "i testi vedici più recenti". Se sono chiamati "antichi", come fanno a essere i testi più recenti? Non ha senso. Krishna offre la sintesi perfetta tra le due prospettive nella forma di Karma yoga o tyaga, che consiste nel compimento dei doveri prescritti come richiesto da tempo luogo e circostanze, per lo scopo più alto di servire il Supremo, senza alcun attaccamento egoistico o identificazione. Questa posizione è stata spiegata da tutte le possibili angolazioni nel corso della Bhagavad gita e sarà nuovamente riassunta in questo ultimo capitolo. Quando un mimamsaka diventa purificato dopo molte vite di attività sattviche, comincia a capire che anche le azioni virtuose comportano una certa misura di difetti, o di avidità e violenza (3.38). Questo sarà affermato chiaramente nel verso 18.48 con l'esempio del fuoco e del fumo; ovviamente ciò vale ancora di più per la situazione della gente sfortunata che vive in Kali yuga. 16 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 4 niscayam: certamente; srnu: ascolta; me: me; tatra: là; tyage: a proposito della rinuncia; bharata sat tama: o migliore tra i discendenti di Bharata; tyagah: tyaga; hi: in verità; purusa vyaghra: o tigre tra gli uomini; tri vidhah: tre tipi di; samprakirtitah: è dichiarato ufficialmente. "Ascoltami, o migliore tra i discendenti di Bharata, o tigre tra gli uomini. In verità è detto che esistono tre tipi di rinuncia. I tre tipi di rinuncia che Krishna descriverà nei versi seguenti sono determinati dalle influenze dei guna spiegate nei capitoli precedenti (14, 16, 17); la rinuncia in sattva o bontà (o anche in suddha sattva) è sempre benefica, mentre la rinuncia in rajas o avidità ha risultati temporanei e limitati, e la rinuncia in tamas o ignoranza porta risultati negativi. Idealmente, i sadhu nell'ordine di rinuncia della vita dovrebbero essere veri santi (situati in suddha sattva), persone che hanno raggiunto il livello di brahma bhuta e il cui contatto è il tesoro più prezioso, puro e benedetto che un essere umano possa trovare in questo mondo, Queste persone non vedono gli altri da una prospettiva sessuale, come maschi e femmine, ma semplicemente come come anime spirituali, parti del Supremo, servitori spirituali di Purushottama. Queste grandi anime sono perfettamente soddisfatte in sé stesse e non hanno bisogno di nulla per sé stesse, non chiedono e non si aspettano nulla: non sono interessate alla gratificazione dei sensi. Praticano l'autodisciplina naturalmente e 17 Parama Karuna Devi facilmente, e sono impegnati 24 ore al giorno nel servizio non egoistico al Supremo e a tutti gli esseri. Un secondo gruppo di religiosi celibi è leggermente meno avanzato, ma comunque molto rispettabile: è composto di persone sincere che praticano la spiritualità e sono situati in sattva o bontà materiale, e cercano diligentemente di impegnarsi nell'autodisciplina per controllare i propri sensi e fanno del loro meglio per servire il Supremo. E' una buona posizione per un brahmachari, ma non è molto sicura per un sannyasi, perché un brahmachari può entrare nella vita di famiglia se necessario, mentre un sannyasi non può rinunciare alla rinuncia e diventare un vantasi ("uno che mangia il proprio vomito"). Il terzo gruppo è tipicamente composto da uomini che sono rimasti frustrati dalla vita materiale - hanno tentato ma hanno fallito oppure pensano che per essere spiritualisti (e ottenere il successo o benefici spirituali) sia necessario abbandonare ogni piacere e felicità. Seguono coscientemente o inconsciamente la filosofia dell'uva acerba. Ma riusciranno a impegnarsi positivamente in qualche lavoro spirituale buono, o diventeranno semplicemente un disturbo per sé stessi e per gli altri? Se si elevano a sattva e suddha sattva saranno in grado di fare progressi, ma se si stabiliscono in rajas (egoismo e avidità) e tamas (ignoranza), diventerano aridi, crudeli, insensibili, violenti, orgogliosi e vanagloriosi, rovinando così le loro possibilità di progresso spirituale e dando un pessimo esempio che confonderà gli altri. Se pensano di aver raggiunto un livello elevato semplicemente a causa delle apparenze esteriori (come il colore e la forma degli abiti eccetera) non potranno rendersi conto della propria stupidità finché Madre Maya organizzerà per loro una rovinosa caduta. Di solito queste persone sono attratte dall'idea di ottenere potere sopra 18 Bhagavad gita: capitolo 18 altri (cioè dare ordini per la loro vita privata) e anche una posizione onorata in società, opportunità speciali per fama, profitto e altri benefici materiali simili. Il quarto gruppo (che è completamente tamasico) non è neppure degno del nome di rinuncia, perché è composto da ipocriti e imbroglioni, che approfittano deliberatamente e cinicamente dell'abito che indossano in modo artificiale, per procurarsi guadagni e gratificazione dei sensi. Queste persone credono di essere molto furbe e scelgono la vita del religioso semplicemente perché garantisce vitto e alloggio, facilità di riposo e pochissimo lavoro, sufficiente rispetto dalla società e talvolta ottime occasioni di gratificazione dei sensi. Quando non ottengono denaro, facilitazioni o adorazione (che credono siano loro dovuti semplicemente a causa dell'abito che portano), si arrabbiano e cercano di vendicarsi. VERSO 5 yajna dana tapah karma: le attività di sacrificio, carità e austerità; na: mai; tyajyam: devono essere abbandonate; karyam: dovere; eva: certamente; tat: quello; yajnah: sacrificio; danam: carità; tapah: austerità; ca: e; eva: certamente; pavanani: che purificano; manisinam: persino i grandi saggi. 19 Parama Karuna Devi "I doveri che consistono in sacrificio, carità e austerità non devono mai essere abbandonati, poiché sacrificio, carità e austerità certamente purificano persino i grandi filosofi. Le attività sacre prescritte dalle scritture e compiute per il vero bene della gente (yajna, o sacrificio), la distribuzione di generi di prima necessità alla gente (dana), e il duro lavoro al servizio del Supremo (tapas) non vanno mai abbandonati. Alcuni illusi accettano la posizione di sannyasi per vivere come parassiti della società senza svolgere alcun vero lavoro, con l'idea di ottenere automaticamente rispetto, servizio e speciali facilitazioni materiali dalla massa della gente, sottrarsi alle responsabilità familiari o acquisire potere in qualche istituzione religiosa: questa rinuncia non dà mai i veri frutti del sannyasa. Al contrario, porta solo sofferenze per tutti e certamente una disastrosa caduta in futuro. Secondo il sistema autentico e originario dei varna e degli ashrama, i doveri di yajna, dana e tapah possono prendere forme diverse per meglio adattarsi allo scopo delle attività specifiche. I brahmana devono compiere tutti i doveri richiesti in ogni successivo ashrama (come brahmachari, grihastha, vanaprastha e sannyasi), mentre gli kshatriya solitamente si limitano a compiere i doveri degli ashrama fino al livello di vanaprastha. I vaisya solitamente rimangono nel grihastha ashrama per consigliare e sostenere i loro dipendenti, mentre dai sudra non ci si aspetta alcuna forma di rinuncia. Questo naturalmente non significa che le persone di questi varna inferiori non possono entrare negli ashrama successivi, perché possono fare tale scelta se lo desiderano, se sono abbastanza forti e qualificati, e se hanno compreso bene le regole che dovranno seguire. Nel brahmachari ashrama, il compimento dello yajna è una pratica di apprendimento e viene fatta a turno e insieme ad altri 20 Bhagavad gita: capitolo 18 studenti sotto l'attenta guida del guru. Il suo dana consiste semplicemente nell'offrire il proprio servizio e nell'andare ogni giorno a raccogliere donazioni per il guru, e tapah consiste solo nel seguire le istruzioni del guru. Nel grihastha ashrama, lo yajna deve essere celebrato regolarmente ogni giorno a seconda delle proprie possibilità, e deve includere il compimento non egoistico dei propri doveri sociali e professionali al servizio della società. Più specificamente, ha lo scopo di ripagare il nostro debito (rina) attraverso i pancha maha yajna per servire Dio, i Deva, i Rishi, i propri antenati, gli ospiti (compresi gli esseri umani meritevoli) e gli animali utili. Dana consiste nel fornire cibo e abiti e in generale nel prendersi cura degli altri tre ashrama, mentre tapah consiste nel disciplinare la propria gratificazione dei sensi per rimanere in sattva e all'interno dei confini di dharma (satya, daya, sauca). A proposito delle cerimonie rituali, il grihastha deve solo compiere le procedure sattviche, poiché non c'è mai alcuna prescrizione obbligatoria per i sacrifici animali o altri rituali influenzati da rajas o tamas. Nel vanaprastha e sannyasa ashrama, la pratica di yajna si concentra sempe più sulla meditazione interiore, come spiegato in Aranyaka e Upanishad; al proposito possiamo commentare che aranya e vana sono sinonimi precisi che significano "foresta", e ciò indica che dopo aver esaurito la necessità dell'adorazione ritualistica dei naimittika e kamya karmani, una persona sobria si trasferisce dalla palude dei coinvolgimenti materiali (2.52) alla foresta trascendentale della libertà. Questo era indicato dal passaggio tra i versi 3.9 e 3.17, e dal 3.18 al 3.20. Lo stadio di sannyasa si concentra completamente sulle attività spirituali come yajna, dana e tapas, abbandonando completamente ogni preoccupazione materiale. Ma anche i sannyasi devono lavorare duramente al servizio della società, 21 Parama Karuna Devi assistendo con tutte le risorse utilizzabili coloro che ne hanno bisogno. Non c'è contraddizione tra il Purva mimamsa e l'Uttara mimamsa, poiché entrambi sono tappe nel viaggio della realizzazione trascendentale, e verrano superati e integrati entrambi quando arriviamo allo Yoga. Krishna ha già dichiarato: tapasvibhyo 'dhiko yogi jnanibhyo 'pi mato 'dhikah, karmibhyas cadhiko yogi tasmad yogi bhavarjuna, "Lo yogi è superiore all'asceta ed è considerato anche più grande dell'erudito, e più grande di coloro che compiono le attività rituali. Dunque, o Arjuna, dovresti essere uno yogi" (6.46). L'asceta è il sannyasi, l'erudito è il vanaprastha e colui che compie le attività rituali è il grihastha; similmente la perfezione del brahmana è l'ascesi, il distacco dai beni materiali e dalle posizioni e l'astensione dalla gratificazione dei sensi, quella dello kshatriya la conoscenza materiale e spirituale per poter governare, e quella del vaisya è il compimento delle cerimonie rituali con le quali purifica e distribuisce regolarmente le ricchezze che ha accumulato. Il brahmachari non è ancora qualificato come adhikari e il sudra è tenuto soltanto ad offrire un sincero servizio ad altri. VERSO 6 etani: tutte queste; api: certamente; tu: ma; karmani: attività; sangam: associazione; tyaktva: abbandonando; phalani ca: e i 22 Bhagavad gita: capitolo 18 risultati; kartavyani: dovrebbero essere compiute per dovere; iti: così; me: mia; partha: o figlio di Pritha; niscitam: senza alcun dubbio; matam: opinione; uttamam: la migliore. "O figlio di Pritha, ti dico senza alcun dubbio che la cosa migliore è compiere tutte le attività sacre come doveri, abbandonando l'identificazione e i frutti di tali attività. Per comprendere adeguatamente questo verso, dobbiamo concentrarci su tre parole: sangam, phalani, kartavyani. In tutta la Bhagavad gita, Krishna ha dichiarato molte volte che sanga ("associazione", "contatto", "appartenenza", "affiliazione") deve essere libera dalle illusioni materiali di identificazione e attaccamento. Al proposito, è bene consultare i versi 2.46, 2.47, 2.48, 3.9, 4.20, 4.23, 5.10, 5.11, 11.55, 12.18, 15.3, 15.5, e anche (dalla prospettiva negativa) 2.62, 3.26, 13.22, 14.6-8, 15.4. Il concetto di contatto o associazione si riduce all'identificazione come karta ("chi compie l'azione"), come spiegato nel verso 3.27. In quel contesto vediamo che l'idea di rimanere liberi dal contatto e dall'identificazione con l'azione si applica automaticamente ai risultati o benefici del compimento dei propri doveri, e questo significa che bisogna fare il proprio dovere in modo non egoistico, senza essere attaccati ai benefici grossolani e sottili che ne derivano. Si tratta di un concetto totalmente rivoluzionario per coloro che vengono da una società pragmatista (cioè egoista), in cui il profitto e il vantaggio personale (individuale o collettivo) è la norma, e l'idea di qualcuno che lavora senza aspettarsi benefici personali o crediti viene considerata stupida o ridicola, e persino le creature naturali e la conoscenza eterna sono soggetti alla commercializzazione, alla registrazione all'ufficio brevetti e al copyright. Eppure questo compimento non egoistico del proprio dovere è l'unico metodo con cui la società umana può prosperare e garantire progresso ed evoluzione a tutti i suoi componenti. 23 Parama Karuna Devi Qualsiasi sociologo onesto e intelligente può creare proiezioni di studio basate su questo scenario, e invariabilmente le troverà perfette e caratterizzate dal successo. Nella società vedica nessuno viene pagato per qualche lavoro specifico - stipendi o parcelle o commissioni o compensi. Tutti lavorano gratis e ottengono ciò che è necessario per vivere semplicemente perché è giusto e naturale, e ricevono ricchezze (artha) come riconoscimento generale del loro valore personale. I vaisya producono direttamente il cibo (annam bahu kurvita, tad vratam, Taittirya Upanishad, Brighu valli, 3.9.1) e consumano la quantità necessaria per sé stessi e i loro subordinati (sudra, ecc), non soltanto nella forma grezza ma anche nella forma di altri beni che possono essere ottenuti tramite il baratto con altri produttori o artigiani, come abiti, pentole e contenitori, strumenti e così via. Poi danno una quantità adeguata della ricchezza in eccesso (come prodotti alimentari e altri beni) ai brahmana come donazione (dakshina, bhiksha) e agli kshatriya come tributo. Una certa quantità viene immagazzinata per le emergenze e ulteriori sviluppi agricoli, e se ancora c'è un sovrappiù, viene usato per acquistare altri beni di valore da tenere da parte per il beneficio futuro della società in generale. Non ci sono scansafatiche perché i brahmana, i guru e gli kshatriya si assicurano che tutti siano adeguatamente e felicemente impegnati a seconda dei loro effettivi guna e karma e addestramento. Allo stesso tempo ci si prende cura di tutti, e tutti sono orgogliosi e felici del proprio lavoro che contribuisce al bene dell'intero corpo sociale. Come nel funzionamento sano e naturale del corpo e delle sue parti, i vari organi lavorano senza attaccamento egoistico ma automaticamente ottengono tutto ciò di cui hanno bisogno; la bocca gusta il cibo ma lo fa scendere immediatamente allo stomaco perché sia adeguatamente digerito (e anche lo stomaco diventa pienamente soddisfatto) e sia distribuito 24 Bhagavad gita: capitolo 18 a ogni organo e cellula del corpo. In questo modo non c'è posto per paura, odio, invidia, pigrizia, stress o insoddisfazione, perché la comunicazione e la collaborazione sono perfette. La definizione di phala come "frutto dell'azione" in riferimento a karma yoga e sannyasa yoga ci porta alla mente il bellissimo esempio di una persona che pianta un albero da frutta in un luogo pubblico, così che tutti potranno riceverne le benedizioni e i benefici. La situazione nella società umana è attualmente così degradata che la gente non soltanto custodisce gelosamente i propri giardini e orti, ma evita persino di piantare alberi nel proprio terreno recintato perché si è stancata di farsi rubare e distruggere la frutta da saccheggiatori, ladri e scimmie invidiose. Il risultato è che tutti soffrono e rimangono nella privazione, comprese le stupide scimmie. Phala come frutto dell'azione è spiegato nei versi 2.43, 2.47, 2.49 (i kripana sono le persone attaccate a questi frutti), 2.51 (manisinah sono coloro che non sono attaccati a tali frutti), 4.20, 5.4, 5.12, 5.14, 6.1 (anasritah, "senza prendere rifugio" in tali frutti), 7.23, 9.28 (il distacco dai frutti è chiamato sannyasa yoga), 12.11, 12.12, 17.11, 17.12, 17.17, 17.20, e 17.25. Il termine kartavya, "ciò che deve essere fatto", descrive l'azione doverosa, che va compiuta sulle basi di dharma, cioò le considerazioni etiche o coscienza. Contrariamente alle ideologie dispotiche e ignoranti in cui si danno ordini alle persone e le si costringe ad eseguire azioni anche contrarie alla propria intelligenza o coscienza etica, nel sanatana dharma o cultura vedica il concetto di dovere è sempre basato sulla scelta intelligente di un atto consapevole di libertà personale. Senza libertà non ci può essere evoluzione o progresso, e certamente non ci può essere soddisfazione o felicità. 25 Parama Karuna Devi VERSO 7 niyatasya: del dovere prescritto; tu: ma; sannyasah: rinuncia; karmanah: le attività; na: mai; upapadyate: dovrebbe essere fatta; mohat: dovuta all'illusione; tasya: di loro; parityagah: abbandonando; tamasah: a causa di tamas guna; parikirtitah: è stato spiegato. "Non bisognerebbe mai rinunciare alle attività del proprio giusto dovere. E' stato spiegato che chi le abbandona a causa dell'illusione si trova sotto l'influsso dell'ignoranza. Abbiamo visto che tamas (l'ignoranza) produce pigrizia, stupidità, confusione e inerzia, e che a volte le persone stupide confondono tali sintomi per nobili caratteristiche sattviche. Più avanti (18.32) Krishna dirà molto chiaramente che tamas confonde le persone e fa loro scambiare dharma per adharma, e adharma per dharma. E' molto facile osservare questo fatto nell'attuale società asurica degradata, che è governata soprattutto da tamas con una certa misura di rajas. Parlando di sannyasa, abbiamo visto molti uomini che portano vesti color zafferano, ocra o rosa e si presentano come grandi rinunciati, che vivono in una perenne apatia, irresponsabilità e pigrizia, vaneggiando ogni tanto nel loro sonno dell'intelletto con tirate sulla vita sessuale delle persone sposate, e si svegliano soltanto quando vedono qualche opportunità di raccogliere 26 Bhagavad gita: capitolo 18 donazioni dal pubblico sfruttando il buon nome e i meriti del fondatore della loro organizzazione, per ottenere seguaci che li adoreranno e serviranno, o per impegnarsi in giochi di potere politico e lotte istituzionali, o perseguitare attivamente i dissidenti, specialmente quelli che offrono solidi argomenti logici o presentano la versione vedica genuina e originaria. E anche tutte queste cose insieme, se hanno abbastanza tempo ed energia. Alcuni dei più cattivi potrebbero obiettare che tali attività di persecuzione di eretici e infedeli costituiscono il loro particolare servizio alla società, ma nel sistema vedico non c'è nessuna raccomandazione al proposito. A differenza delle ideologie abramiche e degli altri sistemi totalitari e imperialisti, la civiltà vedica insegna chiaramente che rinunciati e spiritualisti non devono mai tentare di imporre credenze o comportamenti religiosi o ideologici alla gente, o interferire nella vita personale e nelle scelte delle persone (o chiedere ad altri di farlo). Sannyasi, sadhu e brahmana possono soltanto offrire insegnamenti e consigli, a voce o per iscritto, e con il proprio esempio personale. D'altra parte, gli kshatriya e altre persone del governo, che si occupano di far rispettare la legge e l'ordine, possono intraprendere azioni materiali soltanto per fermare aggressioni violente contro i praja - i membri della società, umani o animali. Non ci dovrebbe essere una "polizia della moralità", o persecuzione di dissidenti o conversioni forzate. Se i falsi religiosi diventano un disturbo per la società predicando apertamente in favore dell'aggressione violenta contro persone innocenti, dovrebbero essere sfidati a dibattito dai brahmana, i loro seguaci dovrebbero essere controllati affinché non mettano in pratica tali insegnamenti e le potenziali vittime dovrebbero essere aiutate a difendersi fino alle estreme conseguenze (la morte dell'aggressore). Soltanto in emergenze estreme l'assemblea dei brahmana può usare il potere spirituale (brahma tejas) per lanciare una 27 Parama Karuna Devi maledizione che elimini un governante adharmico e malvagio che non è stato sconfitto in duello da kshatriya dharmici, ma dopo che il cattivo re è stato detronizzato, i brahmana non prenderanno mai il suo posto per controllare il governo, né individualmente né collettivamente, anche se fossero capaci di fare un buon lavoro come governanti. Se un brahmana grihastha decide di fare un simile passo, perde la sua posizione di brahmana e diventa uno kshatriya a tutti gli effetti, con i relativi diritti, doveri e limiti, ma comunque la sua posizione rimane rispettabile. Un sannyasi invece (a prescindere dal varna al quale apparteneva in precedenza) non può assolutamente avere qualcosa a che fare con il governo o la politica; se dovesse violare tale rigida proibizione diventerebbe automaticamente oggetto di ridicolo per la società intera. Bisogna quindi riflettere molto attentamente prima di entrare nell'ordine di rinuncia, specialmente considerando che in Kali yuga non viene richiesto a nessuno di prendere sannyasa - anzi, è persino sconsigliato. In caso di emergenza estrema e di gravissimo pericolo per le persone buone e innocenti, un sadhu o sannyasi può temporaneamente assumere un ruolo di kshatriya per respingere la violenza di invasori o criminali, se non sono rimasti kshatriya che possano svolgere questo compito. In questo caso però i sadhu possono solo compiere il dovere dello kshatriya senza lasciarsi invischiare in qualche misura nelle lotte per il potere politico, il lusso e il desiderio di controllare la vita personale e le credenze dei sudditi. Una persona arrogante che pretende adorazione, servizio, gratificazione dei sensi, profitto e speciali facilitazioni o posizioni materiali perché indossa l'abito del sannyasi o del sadhu e si rifiuta di impegnarsi in attività utili per il bene di tutti gli esseri (con la scusa della "rinuncia") non ha in realtà alcuna realizzazione trascendentale ed è controllato da tamas. Perciò coloro che lo accettano come guru o superiore, e gli offrono ricchezze e servizio 28 Bhagavad gita: capitolo 18 riceveranno una parte delle sue conseguenze karmiche negative e svilupperanno la sua stessa mentalità e atteggiamento, perpetuando il disastro sociale. Come Krishna ha già detto molto chiaramente, tutti dovrebbero lavorare seriamente e onestamente per il bene della società: niyatam kuru karma tvam karma jyayo hy akarmanah, sarira yatrapi ca te na prasiddhyed akarmanah, "Impegnati nelle attività del tuo dovere, perché l'azione è meglio dell'inazione. Senza lavorare è impossibile perfino mantenere il corpo" (3.8). Le uniche creature che non svolgono un lavoro utile nell'universo ma vivono a spese di altri senza dare nulla di valido in cambio sono chiamate parassiti. In questo verso notiamo la parola niyatam che è imparentata con niyama ("le attività regolate in cui bisogna impegnarsi"), come controparte di yama (le "astensioni regolate"). Abbiamo trovato la stessa parola nel verso 7.20 per indicare il metodo prescritto per l'adorazione dei Deva, nel verso 4.29 per indicare la corretta pratica scientifica del pranayama yoga e nel verso 6.15 per indicare la corretta pratica di meditazione (dhyana yoga) sull'atman. Come abbiamo visto nel sistema scientifico dei varna e ashrama, questi niyata (o nitya, "eterni") karmani o kartavyani possono variare a seconda di guna, karma, addestramento e circostanze, ma comunque tutti hanno bisogno di rimanere sempre pienamente impegnati e in modo non egoistico, altrimenti la mente e l'anima non saranno soddisfatte. Questo è confermato nel Bhagavata Purana: sa vai pumsam paro dharmo yato bhaktir adhoksaje, ahaituki apratihata yayatma suprasidati, "La più alta perfezione dello sva dharma consiste nel compiere i propri doveri in uno spirito di servizio, dedizione e amore, senza interruzione e senza egoismo" (1.2.6). 29 Parama Karuna Devi La parola upapadyate ("non è giustificato", "non è corretto", "è indegno", "è al di sotto dello standard") appare anche nel verso 2.3, in cui Krishna dice ad Arjuna che ritirarsi dal campo di battaglia sarebbe per lui una disgrazia, e nel verso 6.39, quando Arjuna dice a Krishna che altri sono meno qualificati di lui per dissipare i dubbi. Molte persone nate come discendenti di grandi antenati hanno trascurato o abbandonato i propri doveri a causa di ignoranza e avidità, e i loro figli e nipoti sono diventati così degradati che il loro comportamento e le loro conclusioni possono essere facilmente riconosciuti come asurici, eppure a causa della confusione e dell'illusione continuano a pensare di essere situati in una posizione elevata nella società come brahmana, acharya, gosvami e così via, anche se non fanno alcuno sforzo per compiere i doveri prescritti o purificare la propria esistenza. Anzi, sono lieti di passare molto tempo a guardare stupidi programmi televisivi e film immorali, ma non hanno tempo per leggere le scritture o praticare anche la più breve meditazione del sandhya vandana e non seguono alcuna regola o restrizione nella loro dieta. Che dire di consacrare il loro cibo - hanno preso l'abitudine di mangiare cose non vegetariane e diventano persino aggressivi e offensivi verso coloro che osano parlare dei benefici del vegetarianesimo. Hanno dunque perso ogni intelligenza e buon senso, e sono scivolati in una vita d'inferno. 30 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 8 duhkham: sofferenza; iti: così; eva: certamente; yat: che; karma: lavoro; kaya klesa: difficoltà fisiche; bhayat: per paura; tyajet: abbandona; sah: lui/ lei; kritva: facendo; rajasam: sotto l'influsso di rajas; tyagam: rinuncia; na: non; eva: certamente; tyaga phalam: i risultati della rinuncia; labhet: ottiene. "Certamente una persona che abbandona i propri doveri a causa della paura o di difficoltà fisiche o di sofferenza sta agendo sotto l'influsso di rajas, e non può ottenere i risultati della rinuncia. Nel commento al verso 4 abbiamo parlato di questa categoria di rinunciati come di coloro che hanno abbracciato la filosofia "dell'uva acerba". Molti celibatari - sannyasi o brahmachari a vita - hanno scelto tale posizione perché sanno che sposarsi e lavorare in una regolare occupazione professionale richiede molto impegno e molti sforzi, e comporta grandi difficoltà e problemi. Nel migliore dei casi, queste persone rimangono come bambini innocenti riguardo a ciò che molti chiamano "le cose del mondo", ma questo solitamente li rende immaturi e irresponsabili. Naturalmente questa considerazione non si applica a coloro che si sono sviluppati spiritualmente al di là delle identificazioni e limitazioni materiali, e dimostrano con coerenza e stabilità i sintomi descritti negli shastra a questo proposito. 31 Parama Karuna Devi Non tutti però possono vantarsi di essere sullo stesso piano di Narada Muni e dei suoi fratelli i quatto Kumara, che rimasero celibatari ma non erano certamente immaturi nella loro realizzazione. Il metro di misura è offerto qui da Krishna: la differenza tra una persona matura e responsabile e un bambino irresponsabile è che l'adulto si impegnerà nel proprio dovere anche se non si sente attratto a quelle attività per qualche motivo - quando è stanco, oppure quando l'azione richiede un certo grado di sofferenza o scomodità, cioè kaya klesa (sofferenza del corpo o fatica) o dukha (sofferenza mentale), e così via. Le persone immature che giocano a fare gli spiritualisti solitamente si comportano in modo sciocco come bambini che passano da un impegno all'altro cercando di evitare il lavoro in generale, e cambiano posizione a capriccio, interessati solo ai diritti e non ai doveri. Amano spettegolare l'uno dell'altro e degli altri, cercano di procurarsi giocattoli migliori rispetto a quelli dei loro compagni di gioco, usano le Divinità come bambole e i divya lila come fiabe affascinanti a scopo di intrattenimento. Possono recitare la parte del grande devoto, del guru, del re, del segretario generale, del presidente, dell'erudito e così via, ma senza comprendere veramente ciò che tali ruoli comportano nel mondo reale, perché invariabilmente abbandonano le loro responsabilità e non si preoccupano mai di rimediare ai danni che hanno fatto. I bambini si spaventano facilmente e hanno bisogno di essere protetti e rassicurati dai grandi, e si annoiano specialmente quando si tratta di leggere e studiare o svolgere altri compiti impegnativi ma produttivi, e quindi cercano di evitarli il più possibile. Non si curano veramente di produrre qualche buon risultato tangibile, ma si affidano alla fantasia e ai sogni ad occhi aperti, o alle bugie vere e proprie. 32 Bhagavad gita: capitolo 18 Le persone superficiali e materialiste, che sono generalmente piuttosto immature loro stesse, tendono a confondere la mentalità infantile con quella trascendentale - in questo modo la società cade facilmente preda di conquistatori e tiranni spietati e manipolatori che non si fanno alcuno scrupolo a sviare, maltrattare, imbrogliare e sfruttare i bambini di qualsiasi età. Coloro che rinunciano al giusto dovere per paura delle difficoltà e della fatica non sono veramente rinunciati e quindi non otterranno il risultato della rinuncia (tyaga phalam) descritto negli shastra. Al massimo otterranno un po' di adorazione a buon mercato dalle persone ignoranti e una vita facile a spese del pubblico, ma al momento della morte dovranno rinascere di nuovo per pagare i debiti e recuperare il tempo perduto lavorando due volte più duramente e affrontando il doppio dei problemi che normalmente gli esseri umani devono incontrare. Abbiamo un'esperienza personale di questo fatto, e siamo molto preoccupati per coloro che non sono consapevoli di ciò che li aspetta in futuro; non è nostra intenzione criticare, ma vogliamo offrire preziose informazioni e avvertimenti per aiutare le persone ad evitare sofferenze future che non sarebbero necessarie ma sono causate da scelte poco sagge in questa vita. Questo verso mostra che la paura è un risultato di rajas, poiché ha origine dal desiderio di ottenere ciò che è piacevole e dal desiderio di evitare ciò che non è piacevole. La paura è stata associata alla collera nei versi 2.56, 4.10 e 5.28, in cui Krishna ha affermato chiaramente che deve essere superata e abbandonata. Una persona in tamas rimarrà pigra e indifferente verso l'impegno in qualche vero lavoro utile, poiché è interessata soltanto alla violenza e alla gratificazione immediata dei sensi; generalmente non è consapevole dei pericoli e quindi potrebbe apparire intrepida. 33 Parama Karuna Devi Una persona in sattva invece è adulta emotivamente e mentalmente, e si sacrifica serenamente e deliberatamente per compiere il dovere prescritto, senza temere le conseguenze perché è distaccata da gioie e dolori che sono i frutti dell'azione (phalan) come ha spiegato ripetutamente Krishna nella Bhagavad gita. VERSO 9 karyam: il dovere che va compiuto; iti: così; eva: certamente; yat: che; karma: lavoro/ azione; niyatam: prescritto; kriyate: viene compiuto; arjuna: o Arjuna; sangam: associazione; tyaktva: abbandonando; phalam: il risultato; ca: e; eva: certamente; sah: lui/ lei; tyagah: rinuncia; sattvikah: in sattva guna; matah: considerato. "O Arjuna, bisogna certamente compiere le attività del proprio dovere prescritto, ma rinunciando al risultato (di tali attività). Questa è considerata rinuncia in sattva. Per la maggior parte delle persone nella nostra attuale società, l'idea di rinuncia si basa sul celibato o libertà dal matrimonio e dalle responsabilità familiari, così in generale uno è considerato sannyasi se non è ufficialmente sposato e non ha figli. Dovremmo però notare che qui Krishna usa il termine tyaga e non sannyasa, poiché una persona che è già entrata ufficialmente nell'ordine di sannyasa non ha modo di impegnarsi in alcuna attività che possa 34 Bhagavad gita: capitolo 18 creare frutti o doveri riguardo a matrimonio, figli o impegno professionale. Si può entrare nel sannyasa solo dopo aver completato e risolto tutti questi doveri e le faccende in sospeso, e le rigide regole del sannyasa assicurano che non verrà dato inizio ad alcun ulteriore debito karmico. In altre parole, Krishna dà molta più importanza a tyaga che al sannyasa. Secondo la cultura vedica tradizionale, ogni uomo ha un debito naturale (rina) da pagare ai propri genitori e antenati per i benefici che ha ottenuto nascendo - una buona casa con sicurezza e affetto, sostegno emotivo e finanziario, educazione fondamentale nella preservazione di sé e nell'etica, e così via. Questo debito si paga tenendo alto il buon nome della famiglia (con il proprio comportamento ineccepibile) e producendo almeno un figlio che continui la discendenza e celebri i rituali per gli antenati scomparsi. Dunque il matrimonio è un dovere specifico per tutti i membri dei varna superiori - brahmana, kshatriya e vaisya. I sudra non hanno questo dovere perché non sono in grado di compierlo, o in altre parole non hanno il guna e karma necessario per farlo; generalmente celebrano il rituale semplicissimo del matrimonio gandharva e hanno figli per affetto e non per dovere, ma comunque si prendono cura fedelmente della propria famiglia. Questo ci porta a un punto di enorme importanza: generare dei figli non è una cosa da farsi alla leggera, per un istinto biologico naturale (come fanno gli animali ordinari) o come tradizione culturale o aspettativa sociale. Il Bhagavata Purana (5.5.18) afferma chiaramente: gurur na sa syat, sva jano na sa syat, pita na sa syaj janani na sa syat, daivam na tat syan, na patis ca sa syan, na mocayed yah samupeta mrtyum, "Una persona non dovrebbe (osare di) diventare guru, membro di un clan, padre o madre, autorità rispettabile o marito se non è in grado di liberare dalla morte i propri subordinati". 35 Parama Karuna Devi Che significa questo? Tutti coloro che hanno preso un corpo materiale dovranno morire (2.18, 2.27), perciò come si può liberare qualcuno dalla morte? Qui "morte" indica l'identificazione con il corpo materiale, perché è soltanto il corpo materiale che muore (2.13, 2.17, 2.18, 2.20, 2.30). Possiamo dunque essere liberati dalla morte soltanto se i nostri superiori ci vedono e ci trattano come anime spirituali eterne (atman/ brahman) e non come corpi materiali: questo significa che prima di avventurarsi nella posizione di responsabilità di custode di un'altra creatura, bisogna essere pienamente stabiliti sul livello trascendentale, o almeno capaci di comportarsi a quel livello (brahma achara). Vediamo qui che padre e madre sono menzionati sullo stesso livello del guru, e in effetti il ruolo di genitore è ancora più decisivo e cruciale del ruolo di qualsiasi insegnante. Non si può essere un vero insegnante spirituale se si incoraggia la gente a generare molti figli semplicemente per accrescere il numero dei membri di una comunità basata sull'identificazione con il corpo, senza l'adeguata preparazione etica e spirituale, o magari persino senza quel minimo di istruzione e cura che persino gli animali forniscono ai loro piccoli. "Fare" un figlio non è un atto semplicemente fisico come "fare" una torta, gli esseri umani non sono animali da riproduzione, e nessuna gravidanza dovrebbe essere considerata un errore, un danno o una seccatura, così che la donna debba "sgravarsi e tornare in strada". Se una persona ha un forte desiderio di amore romantico e sessuale, dovrebbe sposarsi, avere rapporti sessuali sani e generare felicemente un bambino se si verifica una gravidanza. La rinuncia in sattva consiste nel prendersi cura doverosamente di moglie e figli per tutto il tempo necessario, senza aspettarsi in cambio nulla da loro - né servizio né adorazione. In nessuna circostanza l'idea della rinuncia religiosa o spirituale può essere usata per giustificare l'abbandono della moglie e specialmente dei 36 Bhagavad gita: capitolo 18 bambini, rifiutandosi di assumersi la responsabilità per il loro mantenimento e la loro protezione. Questo ci porta anche al delicato argomento del controllo delle nascite e dell'aborto; se una persona ha semplicemente un problema di lussuria ormonale e non è pronta ad assumersi la responsabilità di una famiglia, deve usare dei contraccettivi per evitare la gravidanza. Prima dell'avvento delle ideologie abramiche venivano usati molti metodi naturali (speciamente estratti di erboristeria) per prevenire gravidanze indesiderate, e nessuno aveva mai pensato che fossero immorali in qualche modo. Non erano considerati una cosa "contraria alle leggi della natura che assegnano la punizione della gravidanza per il peccato della gratificazione dei sensi". Erano semplicemente medicine come tutte le altre. Affermare che i contraccettivi sono contrari alle leggi di Dio perché permettono ai peccatori di sfuggire alle conseguenze delle loro azioni è come dire che i digestivi sono peccaminosi e dovrebbero essere criminalizzati e puniti, perché permettono ai ghiottoni di sfuggire alle giuste sofferenze e ai danni del consumo occasionale di alimenti in eccesso, o che è contro la legge di Dio aggiustare le fratture ossee che sono conseguenza di un errore di valutazione nel saltare un ostacolo o correre giù per una collina. Nei tempi antichi era estremamente raro (se non inaudito) per una donna scegliere deliberatamente di abortire, ma non perché l'aborto fosse proibito o punito dalla legge o dalla persecuzione sociale. Innanzitutto non esisteva il concetto di "figlio illegittimo"; il fatto stesso di essere stato concepito rendeva un bambino perfettamente valido, autentico e legittimo, e nessuno avrebbe anche solo osato pensare di maltrattare un qualsiasi bambino o mancare di rispetto a lui/ lei o a sua madre per la sua nascita cosiddetta "immorale". 37 Parama Karuna Devi In tutte le culture non-abramiche, la maternità è riverita come sacra in sé stessa, e non considerata una "contaminazione" o una "perdita di onore" in alcun caso. Inoltre, l'aborto è una faccenda molto seria, perché comporta sempre acute sofferenze fisiche e mentali per la madre e considerevoli rischi, anche quando viene permesso legalmente ed eseguito in modo competente e corretto dal punto di vista medico. Se una donna fa questa scelta estrema, bisogna comprendere che non ha alternative migliori ed è veramente disperata. Nella civiltà vedica, una qualsiasi donna che per qualsiasi motivo non aveva il sostegno attivo di un marito per allevare un figlio poteva prendere rifugio in un ashrama (come per esempio la madre di Lava e Kusha, e la madre di Prahlada) senza dover diventare per tutta la vita una discepola dedicata ed esclusiva del guru dell'ashrama, o fare voti di stretta disciplina o austerità. Inoltre, non esisteva il concetto di rapporto sessuale "prematrimoniale" o "extra-matrimoniale" per il semplice fatto che l'atto sessuale in sé era considerato una forma legale e legittima di matrimonio (vedere il matrimonio gandharva, per esempio). Le persone che si sposavano in questo modo erano libere di vivere insieme o separatamente come credevano meglio di comune accordo, senza essere criticate dalla società o ancora peggio dalle "autorità religiose". I matrimoni multipli (quando non violavano i principi etici di base come la veridicità e la compassione) erano accettati come normali e legittimi, e non condannati. Sappiamo che Veda Vyasa era nato dall'incontro sessuale casuale di sua madre Satyavati con il Rishi Parasara, e che i suoi genitori non vissero mai assieme - anzi, sembra che non abbiano avuto ulteriori contatti. Certamente quando il re Santanu chiese a Satyavati di sposarlo, non risulta da nessuna parte che qualcuno abbia chiesto l'opinione o il permesso di Parasara, e Satyavati divenne la regina madre ufficiale dei futuri eredi al trono. 38 Bhagavad gita: capitolo 18 Nessuno pensò, nemmeno per un istante, che Satyavati avrebbe dovuto nascondere l'esistenza di un figlio nato da un rapporto precedente, e anzi Vyasa venne rispettosamente chiamato a corte per aiutare i suoi fratellastri ad ottenere figli che potessero continuare la dinastia. Persino la prostituzione era considerata normale e accettabile ai tempi vedici. Era una professione perfettamente legale e rispettabile, non perseguitata né soggetta a qualche limite o sanzione, e non aveva "protettori" parassiti che sfruttavano le ragazze, perché nessuno si sarebbe mai sognato di cercare di fare del male a una prostituta. E naturalmente non c'erano tratta di esseri umani o schiavitù sessuale. Tutte le prostitute potevano muoversi liberamente e facilmente e cambiare mestiere e posizione sociale, perciò i loro figli avevano tutte le opportunità di ricevere una buona istruzione e impegnarsi in occupazioni professionali differenti da quella della madre. In una società così civile nessuna donna aveva bisogno di uccidere un figlio indesiderato, e se commetteva veramente questa azione (come Gandhari e Ganga) nessuno la criticava. In questo verso, karya ("dovere") è l'azione eticamente appropriata che va compiuta in quella particolare circostanza, e indica il lavorare in modo costruttivo o produttivo e anche l'accettare le difficoltà e le sofferenze collegate con quella particolare situazione. L'espressione sanga tyaktva, "abbandonando l'associazione", significa che uno non si deve identificare o rimanere attaccato alle azioni o alle loro conseguenze; nell'esempio del matrimonio e della famiglia, un uomo veramente rinunciato vede la moglie e i figli come parti del corpo di Dio, creature e servitori di Dio, e non come parti del proprio corpo, proprie creature e propri servitori. Soltanto in questo modo sarà capace di proteggerli dalla morte. 39 Parama Karuna Devi Ovviamente questo si applica anche alle madri, e non solo ai padri, ma non ci risulta di aver mai visto una donna abbandonare il proprio bambino con il pretesto della rinuncia religiosa o spirituale - tranne quando vi viene costretta da altri. VERSO 10 na dvesti: non odia; akusalam: spiacevole; karma: azione; kusale: piacevole; na anusajjate: non diventa attaccato; tyagi: una persona rinunciata; sattva samavistah: concentrato su sattva; medhavi: chi è intelligente; chinna samsayah: che ha tagliato via tutti i dubbi. "Una persona rinunciata che è situata in sattva non odia ciò che è spiacevole e non si attacca a ciò che è piacevole. Con l'intelligenza supera tutti i dubbi (sul dovere). Il concetto di azione doverosa e distaccata viene ripetuto qui per maggiore chiarezza e viene associato con le espressioni dvesti e anusajjate. Le parole dvesti e dvesa ("odia" e "odio" come contrario di raga o "attrazione") erano già state menzionate nei versi 2.57, 2.64, 3.34, 5.3, 7.27, 9.28, 12.13, 12.17, 13.7, 14.22, e certamente raccomandiamo ai nostri lettori di rinfrescarsi la memoria rileggendo quei versi e osservando l'uso di termini opposti di paragone, in una gamma che va da abhinandati ("loda"), 40 Bhagavad gita: capitolo 18 a raga ("attacamento", "gusto"), kanksati ("aspira", "desidera"), iccha ("si augura", "sogna"), priya ("piacevole", "amato"), e hrisyati ("prova piacere/ gioia"). Troviamo la parola sajjamanah per esempio nel Bhagavata Purana come "attaccato mentalmente" agli oggetti materiali creati dai guna (11.25.12), o attaccato alle attività del mondo materiale (8.5.44). L'aggiunta del prefisso anu rafforza il concetto, indicando coerenza o una situazione prolungata. La parola kusala indica "gioia, piacere, felicità", ma anche "abilità, fortuna, buon augurio, situazione favorevole, situazione religiosa, buona discriminazione". Certo akusala è l'esatto opposto, e può rappresentare una vasta gamma di cose spiacevoli e cattive, comprese quelle che chiameremmo "un lavoro difficile" riferito a situazioni e anche a persone. Questo verso afferma chiaramente che bisogna compiere il proprio dovere in modo libero dall'egoismo anche quando comporta aspetti spiacevoli o anche la possibilità di fallimento. Al proposito, possiamo applicare la stessa considerazione che abbiamo fatto sul comportamento infantile e capriccioso paragonato al comportamento responsabile di adulti coraggiosi e dalla mente ferma. Krishna ha già parlato della necessità di superare l'attaccamento alle cose favorevoli nei versi 2.57, 9.28 e 12.17; questo non significa che non dovremmo fare alcuna distinzione tra subha e asubha (buon augurio e cattivo augurio), ma piuttosto che non dovremmo essere attaccati né all'uno né all'altro nel compimento dei nostri doveri (karma, karmani). Un corollario di questa istruzione indica che non dobbiamo dipendere troppo dall'astrologia e dai rimedi astrologici o dar loro troppa importanza, ma dobbiamo semplicemente utilizzarli come indicazioni generali o un consiglio che potrebbe essere favorevole. 41 Parama Karuna Devi Mentre la prima parte del verso è focalizzata sulla determinazione nel compiere senza egoismo le attività del proprio dovere, senza repulsione e senza attaccamento, la seconda parte del verso collega questo atteggiamento con la vera rinuncia (tyaga), una posizione stabile sul piano di bontà (sattva samavistha), intelligenza e saggezza (medha), e quella chiarezza di pensiero che dissipa i dubbi (chinna samsaya) con la luce della conoscenza e della realizzazione. E' importante comprendere che i dubbi (samsaya) dovrebbero essere affrontati e risolti nel modo appropriato, e non semplicemente sottovalutati o ignorati, perché questa è la differenza tra sattva e tamas. Chi non dubita mai di niente non sta usando bene l'intelligenza (medha), ma chi non riesce mai a superare i dubbi attraverso una ricerca e una verifica adeguata è sciocco e pigro (2.7, 2.37, 3.2, 4.40, 4.41, 4.42, 5.1, 5.25, 6.23, 6.39, 7.1, 8.5, 10.7, 12.8, 18.6). La parola medha ("intelligenza", "saggezza", "comprensione") è particolarmente interessante, anche in riferimento ai famosi yajna chiamati asvamedha e gomedha, che gli indologisti coloniali descrissero - in modo errato e tendenzioso - come ordinari sacrifici animali, rispettivamente di un cavallo e di una mucca. Il fatto è che tali yajna erano intesi ad adorare e servire i principi chiamati asva e go, e non a uccidere gli animali associati con questi nomi, come vediamo per esempio nell'espressione pitri medha usata per indicare le offerte ai pitri o antenati (vedere Bhagavata Purana 9.10.29, riferito a Ramachandra). Troviamo nell'Atharva Veda (sukta 52, 53 e 54) una lunga elaborazione sul fatto che il termine asva indica kala, il tempo, "un cavallo che scorre continuamente con sette raggi e centinaia di assi"). Così come il cavallo Kala è il padre, la mucca Bhumi (il pianeta Terra, e per estensione tutti i pianeti) è la madre; il "ritorno a casa" delle mucche si riferisce quindi al punto in cui i sistemi planetari ritornano in una particolare posizione o "casa". 42 Bhagavad gita: capitolo 18 La parola bhumi è strettamente collegata con bhuta, che significa "essere", "esistenza" o "elemento", a indicare specificamente un'esistenza che è venuta ad essere attraverso l'aggregazione dei vari elementi materiali dell'universo. Una chiara conferma del profondo significato simbolico di questi rituali si trova nel famosissimo Purusha sukta (Rig Veda, 10.90), che ancora oggi deve essere recitato in tutti i rituali di sacrificio: "Il Purusha ha mille teste, mille occhi e mille gambe. Riempie l'universo ovunque, anche se è alto soltanto dieci dita. Questo Purusha è tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà, ancora più grande del potente Signore dell'immortalità, che cresce con il nutrimento. Tutte le creature costituiscono un quarto della sua esistenza, mentre i tre quarti sono la vita eterna nel mondo che non è soggetto alla distruzione... Da lui è venuto ad essere il Viraja, e ancora dal Viraja è apparso il Purusha... Gli Dei prepararono il sacrificio e l'offerta sacrificale era il Purusha stesso: lo nutrirono con erba, lo unsero di balsami. Dalla carne della vittima sacrificale vennero creati il burro chiarificato, le creature dell'aria, gli animali selvatici e domestici, gli inni del Rig e del Sama e i mantra e i rituali, dai quali nacque lo Yajur. Dal corpo del Purusha ebbero origine i cavalli e i bovini, il bestiame che ha due file di denti... quando divisero la carne del Purusha, quante porzioni prepararono? I brahmana erano la sua bocca, le sue braccia erano gli kshatriya, le gambe i vaisya, e i piedi i sudra. La luna nacque dalla sua mente, il sole dal suo occhio, Indra e Agni dalla sua bocca, Vayu dal suo respiro. Dal suo ombelico nacque lo spazio interplanetario, dalla sua testa i pianeti celesti e dai suoi piedi la Terra, e dal suo corpo tutti i sistemi planetari... Io conosco questo grande Purusha, che risplende come il sole e trascende l'oscurità, e chi lo conosce in questo modo raggiunge la liberazione in questa stessa vita - anzi, non c'è altra via per la liberazione. Il Signore dell'universo vive nell'universo, e appare in molte forme senza mai nascere... Io offro il mio omaggio al Brahman eternamente 43 Parama Karuna Devi risplendente, che ha dato il potere divino agli Dei, che è il guru degli Dei e il loro Sommo Anziano." Per rafforzare il collegamento tra questo concetto e l'argomento di sannyasa e tyaga, vorremmo citare qui un verso tratto dal Brahma vaivarta Purana: asvamedham gavalambham sannyasam pala paitrkam devarena sutotpattim kalau panca vivarjayet, "In questa era di Kali si devono tralasciare cinque pratiche: l'asvamedha yajna, il gomedha yajna, l'accettazione dell'ordine di sannyasa, l'offerta di oblazioni agli antenati, e il generare dei figli con la moglie del proprio fratello". Certo, questo è dovuto al fatto che la società umana ha perduto le sue migliori qualità e la gente non è più capace di compiere queste pratiche nel modo corretto, non perché tali pratiche siano primitive o immorali per "gli esseri umani evoluti e civilizzati" dei nostri giorni, come alcune persone sciocche e ignoranti sono state indotte a credere. VERSO 11 na: non; hi: in verità; deha bhrita: da coloro che portano un corpo; sakyam: è possibile; tyaktum: abbandonare; karmani: tutte le attività; asesatah: senza fine; yah: una persona che; tu: ma; karma phala tyagi: chi rinuncia ai risultati dell'azione; sah: lui/ lei; tyagi: (veramente) rinunciato; iti: così; abhidhiyate: è detto. 44 Bhagavad gita: capitolo 18 "In verità per coloro che sono incarnati non è possibile abbandonare i propri doveri, che sono molti, perciò chi rimane distaccato dai risultati delle attività è considerato il vero rinunciato. La parola chiave in questo verso è deha bhritah, "coloro che portano un corpo", che indica la complessa rete di esigenze, influenze, qualità, attività e conseguenze che dobbiamo gestire mentre siamo ancora incarnati in questo universo. Questo punto sarà confermato di nuovo nel verso 18.40: na tad asti prithivyam va divi devesu va punah, sattvam prakriti jair muktam yad ebhih syat tribhir gunaih, "Non c'è nemmeno una sola persona, in questo mondo o nel mondo dei Deva, che sia libera dall'influenza dei tre guna creati dalla prakriti". Nel verso 3.8 Krishna aveva affermato: niyatam kuru karma tvam karma jyayo hy akarmanah, sarira yatrapi ca te na prasiddhyed akarmanah, “Devi compiere le azioni doverose, perché l'azione è meglio dell'inazione. Senza agire è impossibile persino mantenere il corpo, che è il veicolo (del Sé)". Questa idea è rafforzata dall'uso del termine bhrit, strettamente imparentato con il verbo bibharti, "mantiene". Persino coloro che affermano di aver cessato ogni attività devono comunque procurarsi qualche forma di nutrimento (aria, luce, ecc) e rifugio, e la loro mente continua a creare presentazioni e distrazioni o a concentrarsi su qualcosa, anche se fosse semplicemente la completa ignoranza. E perché dovrebbero mantenere un corpo se non lo usano per fare qualcosa di buono in questo mondo? Se non hanno bisogno di un corpo, è meglio che lo lascino e smettano di sprecare spazio su questo affollato pianeta, perché la loro cosiddetta astensione dai legami karmici non è altro che vita vegetativa immersa nella pigrizia di tamas. 45 Parama Karuna Devi Il corpo ci è stato dato come strumento e veicolo di grande valore, e dobbiamo usarlo adeguatamente per il servizio di tutti gli esseri in pagamento del nostro debito (rina) verso i Deva, i Rishi, i Pitri e tutti gli altri benefattori del mondo. L'espressione karmani asesatah indica che le attività doverose sono innumerevoli e non hanno mai fine. Certo, questo non significa che ogni individuo deve compiere tutte queste attività contemporaneamente, perché il numero immenso si riferisce alle possibilità o opportunità di impegno nell'amministrazione dell'universo secondo il proprio guna e karma individuale. Il karma come dovere è determinato dal guna o qualità, come vedremo più avanti in questo capitolo, specialmente applicato alla società umana, ma persino i Deva e le creature che sono al di sotto del livello umano hanno dei doveri da compiere, come possiamo facilmente vedere ogni giorno. Il sole risplende doverosamente, il vento soffia secondo leggi precise, e persino le formiche lavorano infaticabilmente per trasportare i loro carichi per il beneficio della comunità - non soltanto per assicurare cibo e provviste alla loro comunità nel formicaio, ma anche per rimuovere i detriti e pulire l'ambiente. Persino uno scarabeo stercorario e un lombrico di terra hanno un lavoro molto importante e rispettabile nell'amministrazione del mondo, perché smantellano i rifiuti e li riciclano sotto forma di fertilizzante utilizzabile per la crescita degli alimenti vegetali. Nella società umana come tra tutti gli esseri, l'Anima dell'anima (antaryami paramatma) guida il jivatman a cercare le circostanze e le esperienze che sono appropriate per il suo sviluppo, perciò vediamo che la nostra coscienza ci dice, in modo naturale e spontaneo, che siamo attratti a una particolare occupazione piuttosto che a un'altra. Ovviamente tale attrazione può essere soltanto temporanea e strumentale per la nostra educazione, come 46 Bhagavad gita: capitolo 18 per esempio un breve esperimento in un'attività che ha catturato la nostra fantasia in modo eccessivamente idealizzato, pieno di equivoci che hanno bisogno di essere chiariti attraverso una verifica diretta. La cosa migliore sarebbe di completare questa fase in età precoce, nella casa del guru (guru kula) dove gli studenti vivono come suoi figli adottivi, tutti allo stesso livello, e sono impegnati in ogni tipo di compito e possono accedere a tutti i tipi di addestramento, almeno in via sperimentale. Ma può essere affrontata anche più tardi nella vita. In ultima analisi sono il guru, l'assemblea dei brahmana e il re che hanno la responsabilità di valutare e verificare lo sva dharma di ciascun individuo a seconda del suo guna e karma, o naturali tendenze e capacità, e aiutare e sostenere ciascun individuo nello sviluppo del suo pieno potenziale e rimanere adeguatamente impegnato. Possiamo dunque comprendere che il fatto che persone non qualificate occupino queste posizioni di così cruciale responsabilità costituisce una minaccia estrema alla società intera e può devastare la vita di tutti. Le persone intelligenti dovrebbero essere sempre attente ed esaminare con cura le conclusioni e il comportamento di guru, brahmana e rappresentanti del governo per assicurarsi che facciano il loro lavoro adeguatamente, altrimenti dovranno essere rimossi dalla loro posizione. Nel sistema vedico questo viene effettuato generalmente in modo passivo, con l'ostracismo, poiché gli individui non qualificati vengono smascherati e la gente li evita. Possiamo vederne la dimostrazione, per esempio, quando gli abitanti di Hastinapura si dimostrarono desiderosi di lasciare Duryodhana e la capitale per trasferirsi nella nuova città dei Pandava, Indraprastha. I cittadini di Ayodhya stavano per fare la stessa cosa quando Rama venne esiliato, e desistettero soltanto per ordine diretto di Rama, che spiegò loro che sarebbe andato a vivere nella foresta come gli asceti per qualche anno e poi sarebbe tornato. 47 Parama Karuna Devi Ai nostri giorni, la situazione è diventata così degradata che abbiamo bisogno di ricominciare quasi da zero per ricostruire le fondamenta di una società sana, e questo deve iniziare dalla testa. Abbiamo bisogno di un nuovo corpo di srestha (3.21), brahmana qualificati che hanno la giusta conoscenza e la giusta realizzazione, e le applicano visibilmente in pratica nella propria vita. Queste persone agiranno come guru dell'intera società, addestrando e impegnando chiunque liberamente e senza pregiudizi, semplicemente verificando i loro effettivi guna e karma. Il cieco pregiudizio di nascita del sistema di caste non ha nulla a che fare con il sistema dei varna dell'autentica civiltà vedica, e deve essere eliminato da ogni procedimento legislativo e amministrativo del governo. VERSO 12 anistam: non desiderabile; istam: desiderabile; misram: misto; ca: e; tri vidham: tre tipi; karmanah: di attività; phalam: risultato; bhavati: diventa; atyaginam: per coloro che non sono rinunciati; pretya: dopo la morte; na: non; tu: ma; sannyasinam: per i sannyasi; kvacit: in qualsiasi momento. "Dopo la morte, coloro che non erano rinunciati dovranno affrontare le conseguenze delle loro attività - non desiderabili, desiderabili e miste. I sannyasi invece non vi sono legati. 48 Bhagavad gita: capitolo 18 Un sannyasi autentico ha già sperimentato e superato la morte quando ha abbandonato tutte le identificazioni materiali, gli attaccamenti, le relazioni e affiliazioni, i desideri, le imprese e così via. Qualsiasi residuo di reazioni karmiche generate dalle sue attività precedenti è stato consumato dalle austerità che ha accettato mentre ancora viveva nel corpo, perciò al momento della morte non ci sono più legami con il suo corpo materiale. Questa è la vera ragione per cui i sannyasi non sono legati dal karma. Vediamo in questo verso che Krishna usa i due termini tyaginam e sannyasinam simultaneamente, a indicare che devono essere presenti entrambi i fattori - la rinuncia spirituale ai frutti delle azioni e la rinuncia fisica alla posizione di karta ("autore dell'azione") e alle attività che non sono strettamente necessarie. Nel sistema vedico tradizionale, una persona evoluta deve lasciare la casa dopo aver raggiunto l'età di 50 anni (pancasa urdhvam vanam vrajet). Questo è confermato anche dall'esempio personale di innumerevoli grandi personalità - generalmente brahmana e kshatriya e specialmente sovrani - offerto nelle storie di Purana, Upanishad e altri testi vedici. Dopo aver passato un periodo sufficiente come residente della foresta (vana prastha) in una vita tranquilla, semplice e solitaria, un uomo dovrebbe prepararsi ufficialmente alla morte entrando nell'ordine di sannyasa, che è già considerato "morte sociale". Di solito questa cerimonia si osserva all'età di 75 anni, quando l'aspettativa di ulteriore sopravvivenza è piuttosto corta, e la vita di famiglia ha perso molto del suo significato. Il sannyasi prende un nuovo nome e si rende totalmente irriconoscibile da quelli che sono stati i suoi parenti e amici, e abbandona ogni collegamento con gli impegni professionali e rituali. Smette di cucinare e di prendersi cura del proprio corpo e degli effetti personali, e sopravvive da un momento all'altro e da un giorno all'altro, sempre 49 Parama Karuna Devi pronto a lasciare il corpo in qualsiasi momento. Questo è il vero significato del sannyasa. Una persona che si trova in questa posizione non è legata in alcun modo. E' facile comprendere come il concetto di sannyasa sia stato associato al concetto del mondo come semplice illusione (brahma satya, jagan mithya). Un sannyasi percepisce il periodo che gli resta da vivere nel corpo come un semplice sogno, un'illusione temporanea che ben presto crollerà e dalla quale si sveglierà alla realtà eterna della pura esistenza spirituale. Alcuni commentatori nella linea impersonalista spiegano la parola phala (come in karma phala, o "risultati delle azioni") come un composto di pha da phalgu ("privo di sostanza") e la da layam ("scomparsa", termine imparentato con pralaya, "distruzione"). Così, poiché il sannyasi ha già realizzato che i karma phala sono semplice illusione, non rimarrà legato ad essi al momento di lasciare il corpo. Da un sogno passerà a un altro sogno con una nuova nascita, o ancora meglio si sveglierà al nirvana. Si tratta però di una posizione molto semplicistica, che assomiglia alla conclusione dell'uva acerba o alle fantasie di bambini immaturi; una consapevolezza basata su sogni e illusioni non appartiene a sattva o visuddha sattva ma a tamas, e se si diffonde tra la gente in generale può causare seri danni perché confonde i grihastha facendo loro pensare che assenteismo e irresponsabilità siano legittimi o addirittura più nobili dal punto di vista spirituale rispetto al giusto impegno nelle attività del proprio dovere. Questo è ciò che Krishna ha spiegato nel capitolo 3, quando ha affermato che anche lui si impegna nell'azione, semplicemente per dare il buon esempio alla società (3.22-26), perché personalmente non ha alcun interesse egoistico da perseguire cercando risultati dalle azioni. 50 Bhagavad gita: capitolo 18 Questo è anche il motivo per cui i sannyasi non dovrebbero mai entrare in contatto con kshatriya, rappresentanti del governo, leader attivi della società e persone sposate; al massimo possono avvicinarsi alle loro case una volta al giorno e rimanere fuori dalla porta per il tempo necessario a ricevere gli avanzi del pasto della famiglia. Non c'è dunque alcun bisogno di vedere il karma phala come semplice fantasmagoria illusoria, e in tutta la Bhagavad gita Krishna ha ripetutamente presentato una via molto migliore (lo yoga), come possiamo vedere facilmente nei versi 2.47, 2.51, 4.20, 5.12, 5.14, 6.1, 9.28, 12.11, 12.12, 17.11, e anche nei versi 2.39, 2.48, 2.50, 3.9, 3.19, 3.28, 3.31, 4.14, 4.15, 4.21, 4.23, 4.24, 4.32, 4.37, 4.41, 5.2, 5.3, 5.10, 6.1, 9.27, 11.55, 12.6, 13.30, 16.24, e 17.23. La parola pretya ("dopo la morte") è strettamente imparentata con preta ("gente morta" cioè fantasmi), poiché al momento della morte si lascia il corpo grossolano ma generalmente si conserva il corpo sottile che potremmo chiamare "fantasma". In un certo senso, tutti diventano fantasmi per un certo periodo di tempo, poiché generalmente la reincarnazione non è immediata; lo spirito del deceduto può rimanere attorno al suo cadavere e ai luoghi e alle persone della sua vita precedente, se vi è troppo attaccato, e in questo modo perde un'opportunità cruciale di progresso e di evoluzione. Se al momento della morte siamo capaci di lasciarci dietro tutte queste identificazioni e attaccamenti e proseguire nel nostro viaggio, otterremo una nuova opportunità di reincarnazione secondo il risultato delle nostre attività passate e dei nostri desideri (karma phala), altrimenti potremmo rimanere incastrati tra due vite come un fantasma vero e proprio, anche per un tempo molto lungo, e questo è sicuramente una situazione spiacevole. 51 Parama Karuna Devi Le circostanze create dal nostro karma passato possono essere piacevoli (ista), spiacevoli (anista) o più probabilmente una mistura (misra) di cose piacevoli e spiacevoli. La parola istam è molto interessante perché significa "piacevole" ma anche "desiderato, preferito, scelto". Quindi Krishna sta dicendo qui che dopo la morte ci troveremo davanti circostanze attese e inattese, che sono la manifestazione delle nostre paure e dei nostri desideri, perché sia attrazione (raga) che repulsione (dvesa) sono poli magnetici per la materializzazione di eventi. Per questo motivo bisogna situarsi su un livello di neutralità, e non semplicemente rifiutare la vita materiale e gli oggetti come negativi e indesiderabili - perché ciò che neghiamo e reprimiamo diventa facilmente sempre più forte nella nostra mente e attira esattamente ciò che non vogliamo ottenere. Odio, risentimento e paura legano l'anima condizionata con catene ancora più forti di quanto facciano amore e attaccamento, e normalmente i nemici giurati rinascono come gemelli oppure diventano marito e moglie o genitore e figlio in una vita successiva. Un razzista o una persona che odia attivamente una particolare nazionalità, comunità o casta molto probabilmente rinascerà proprio in quell'ambiente, così come un uomo che odia le donne (o una donna che odia gli uomini) si sta preparando una prossima nascita come membro del sesso opposto. Certo, questo si applica solo alle circostanze della nascita, e non cambia automaticamente l'atteggiamento e le credenze dell'individuo. Ma certamente offre un'ottima opportunità di apprendimento. Quando applichiamo questo concetto alla pratica del celibato come rinuncia alla vita sessuale, è facile comprendere che un vero sannyasi deve rimanere neutrale, non turbato e non ossessionato da pensieri sessuali negativi coltivati o espressi per condannare o odiare la sessualità. 52 Bhagavad gita: capitolo 18 Quando tyaga, la rinuncia, viene considerata in modo dualistico come l'opposto di bhoga ("godimento del piacere") si trova ancora sul piano condizionato e la sfortunata vittima di questa illusione oscillerà avanti e indietro dall'una all'altra. Questo accade perché ci si considera ancora il beneficiario (purusha) e si pensa di aver rinunciato a qualcosa che era in realtà un proprio diritto o proprietà legittima; questo egotismo si basa sulla falsa identificazione con il corpo materiale e con la posizione, per esempio come "uomo", mentre le "donne" sono viste come corpi e oggetti di piacere. Il fatto che un celibatario non si impegna fisicamente in attività sessuali è totalmente secondario e certamente non è sufficiente a risolvere il problema (3.6). Quando siamo neutrali, non pensiamo a noi stessi come il karta, isvara o bhogi (16.14), e non pensiamo di avere qualche merito per aver rinunciato all'azione, alla dominazione o alla gratificazione. Non pensiamo nemmeno a noi stessi come uomini o donne, ma solo come atman. Un vero sannyasi non parla delle donne e non pensa alle donne, perché vede tutti gli esseri incarnati come jivatman, anime spirituali, parti del corpo di Dio, perciò per lui non ci sono "donne". Non condanna le donne e non le teme, non proibisce loro di andare in giro o stare in sua presenza quando cammina o siede da qualche parte. Non parla in modo sprezzante delle donne, non manca di rispetto alle donne, non odia le donne. Per lui non ci sono "donne" o "uomini", ma solo anime spirituali che indossano vari tipi di corpi. Alcuni commentatori hanno cercato di collegare istam con il paradiso o svarga, anistam con l'inferno o naraka, e misram con la Terra e la società umana, ma si tratta di un tentativo di giustificare e convalidare concetti vedici associandoli a concetti abramici. Non è necessario, e in effetti può portare molta confusione. 53 Parama Karuna Devi VERSO 13 panca: cinque; etani: queste; maha baho: tu che hai braccia potenti; karanani: le cause; nibodha: comprendi; me: da me; sankhye: nella scienza del Sankhya; krita ante: alla conclusione; proktani: descritte; siddhaye: per la perfezione; sarva karmanam: di tutte le attività. "O potente (Arjuna), dovresti comprendere che secondo il Sankhya ci sono cinque fattori necessari per il perfezionamento di tutte le attività. Nel verso 1, Arjuna aveva chiamato Krishna maha baho, "tu che hai braccia potenti", e adesso Krishna gli restituisce il complimento, dopo averlo chiamato bharata sattama e purusa vyaghra, rispettivamente "migliore tra i Bharata" e "tigre tra gli uomini". In questo capitolo Krishna sta spiegando come moksha (la liberazione) può essere raggiunta lavorando sinceramente e senza egoismo per il bene universale, e i riferimenti alla forza fisica indicano che tale lavoro deve essere fatto investendo sufficiente energia e sforzo in pratica, e non soltanto con teorie e vaghe meditazioni. La parola nibodha ("dovresti comprendere") è imparentata con la parola buddhi, e quindi indica il giusto uso dell'intelligenza. La forza fisica in sé non è molto efficace, se non viene coordinata e 54 Bhagavad gita: capitolo 18 diretta dal giusto uso di intelligenza e strategia - esattamente l'argomento che Krishna spiegherà nei prossimi versi. Che cos'è la strategia? E' l'arte e la scienza di pianificare le risorse per il loro utilizzo efficace a ottenere uno scopo; poiché l'espressione dice nibodha me ("dovresti comprendere da me") possiamo concludere che la cosa migliore è imparare la scienza della strategia direttamete dalle autorità migliori, dalle persone più esperte. Abbiamo visto che il Sankhya ("conteggio, enumerazione") è la scienza che combina fisica e metafisica e categorizza gli elementi dell'universo e i loro collegamenti. E' detto che la parola sankhya è un composto di due radici - san da samyak ("completamente") e khya da khyayante ("descritto"). L'espressione krta ante ("alla fine dell'azione") può essere qui applicata a diversi livelli; un significato può indicare la fine o lo scopo delle azioni o attività in sé stesse, e un altro significato può indicare la conclusione del lavoro di compilazione della letteratura Sankhya. In entrambi i casi comporta un senso di finalità direttamente collegato con l'idea di pianificazione strategica. Bisogna approfittare adeguatamente della possibilità offerta da un corpo umano (18.11) perché i fantasmi (18.12) non sono in grado di agire per il proprio progesso o per il bene dell'universo e il servizio del Supremo. La scienza dell'azione non è certamente un argomento facile, come Krishna ha già sottolineato: kim karma kim akarmeti kavayo 'py atra mohitah, tat te karma pravaksyami yaj jnatva moksyase 'subhat, "Persino gli esperti possono rimanere confusi su ciò è che karma e ciò che è akarma. Ti dirò la scienza del karma, e conoscendola diventerai libero da ogni negatività" (4.16). 55 Parama Karuna Devi Questo capitolo è dedicato alla liberazione (moksha) ed è iniziato parlando di rinuncia (sannyasa e tyaga), ma non dovremmo essere sorpresi nel vedere che Krishna continua la discussione parlando di azione e lavoro: sannyasah karma yogas ca nihsreyasa karav ubhau, tayos tu karma sannyasat karma yogo visisyate, “Entrambe queste vie - sannyasa e karma yoga - portano al beneficio supremo, ma il karma yoga è meglio del sannyasa" (5.2). VERSO 14 adhisthanam: il luogo; tatha: similmente; karta: l'autore dell'azione; karanam: gli strumenti; ca: e; prithak vidham: di diversi tipi; vividhah: vari; ca: e; prithak: differenti; cestah: sforzo; daivam: destino; ca: e; eva: certamente; atra: qui; pancamam: il quinto. "La posizione, l'autore dell'azione, gli strumenti e lo sforzo possono essere di diversi tipi. Il quinto fattore è il destino. L'espressione adhi sthana significa "luogo", e include il corpo, i suoi guna naturali e karma precedenti, la posizione nel tempo e nello spazio, le particolari circostanze di comunità o società o cultura, tempo e luogo, le facilitazioni offerte da una nascita buona o cattiva (entrambe possono essere molto utili) e così via. Si tratta del punto di partenza dal quale possiamo iniziare il nostro lavoro e 56 Bhagavad gita: capitolo 18 il nostro viaggio, perciò è estremamente importante comprendere e verificare dove ci troviamo veramente. La parola karta significa "chi fa", cioè "l'autore dell'azione", e indica il motivo o la decisione dell'azione, perciò vediamo che questa definizione è normalmente usata nel sankalpa o dichiarazione ufficiale dello scopo all'inizio dei rituali religiosi. Parecchie persone possono essere impegnate nel compimento di un rituale, specialmente se si tratta di una celebrazione complessa e importante, ma il merito del sacrificio e i risultati vanno al karta, la persona che ha preso l'iniziativa di realizzare l'evento e fornisce tutti i materiali necessari e il compenso per i sacerdoti. Sappiamo che il concetto di karta è relativo: prakriteh kriyamanani gunaih karmani sarvasah, ahankara vimudhatma kartaham iti manyate, “Tutte le attività sono in realtà compiute dalle qualità della natura, ma una persona sciocca confusa dall'egotismo pensa, 'sono io a fare'" (3.27). In questo verso, comunque, la definizione viene usata per indicare l'agente soggettivo, che è l'origine della scelta di impegnarsi nell'azione, e non la forza che determina il particolare tipo di azione, che è costuita dalla prakriti. Il jivatman ha comunque una certa misura di libero arbitrio, con il quale può scegliere se impegnarsi nell'azione oppure no, mentre la modalità dell'azione è controllata dai guna o dalla natura. La parola karana ("gli strumenti"), si riferisce agli organi di senso - quelli di percezione e quelli di azione - che costituiscono gli strumenti interiori o personali del nostro lavoro. Si può nascere in una buona famiglia di esperti chirurghi e avere sufficiente intelligenza e desiderio di svolgere quel lavoro, ma se si è ciechi o sordi non si potranno ottenere gli stessi risultati che sono possibili con facoltà visive e auditive adeguatamente funzionali. Questo è dunque un fattore importante. Dobbiamo ricordare che karana (con la prima a lunga) significa appunto "causa". 57 Parama Karuna Devi Al proposito, possiamo ricordare il verso 13.21: karya karana kartritve hetuh prakritir ucyate, purusah sukha duhkhanam bhoktritve hetur ucyate, "La prakriti è definita come la causa e l'origine dell'azione, mentre il purusha è la causa della percezione di gioia e sofferenza" (13.21); questo può aiutarci a mettere nella giusta prospettiva karta e karana. La parola cesta significa "sforzo, impresa, tentativo, movimento" e indica la quantità di energia che il karta investe nell'azione. Alcuni commentatori affermano che il termine è un composto di ca ("e", "ancora") e ista ("desiderato", "scelto"), a indicare che è necessario tentare ancora e ancora per ottenere lo scopo che ci si è prefissi. Come si dice, il successo viene raggiunto con una certa percentuale di ispirazione e una quantità molto maggiore di fatica. La parola daivam è molto interessante. Generalmente viene tradotta come "destino" e in quanto tale daivam comprende la somma totale delle reazioni karmiche delle nostre attività precedenti e dei nostri desideri, ma non è limitato a un risultato meccanico di eventi. Nella prospettiva vedica niente è veramente impersonale, nemmeno le leggi della natura materiale, poiché il disegno progettuale di ogni esistenza è la conoscenza. Il destino quindi non è differente dalla consapevolezza o piano di Dio (deva), benché certamente non sia ciò che è presentato dalle ideologie abramiche. Dio non ricompensa e non punisce nessuno, non assolve dai peccati e non giudica le persone, e non condanna nessuno a una particolare situazione. Una reazione alle nostre attività precedenti ha semplicemente lo scopo di istruirci, dimostrando la reciprocità di tutta l'esistenza e la percezione. Con ogni scelta e decisione, sia positiva che negativa, mettiamo in moto delle conseguenze e otteniamo dei risultati ista, anista e misra - che andranno a realizzare i nostri desideri o ci insegneranno che quei desideri non erano poi un'idea così brillante. 58 Bhagavad gita: capitolo 18 Alcuni commentatori traducono daivam in questo verso come paramatman, l'Anima dell'anima, che accompagna sempre il jivatman in tutte le sue successive incarnazioni e lo guida verso le azioni e reazioni che sono necessarie per la sua evoluzione. A questo proposito hanno citato l'aforisma esa hi drasta srasta, "il testimone è il creatore" (Prasna Upanishad 4.9), a indicare che l'antaryami paramatman, che è il creatore e l'origine del jivatman, può vedere e comprendere tutti i desideri del cuore dell'anima e organizza le circostanze adatte per realizzare le esperienze, e poi guida il jivatman verso di esse e attraverso di esse. Nella prospettiva vedica però l'essere umano ha comunque una certa misura di libertà per scegliere in quali azioni vuole impegnarsi. Possiamo paragonare il destino a un potente fiume sul quale ci troviamo a viaggiare. La corrente è forte e ci trasporta in una direzione specifica, e quindi costituisce un fattore importante da tenere in considerazione, però abbiamo la libertà di usare i remi per muovere la nostra barca e guidarla a nostro piacere, per esempio verso la riva, dove la corrente rallenta. Lungo il corso del fiume ci saranno delle rapide, e là potremo soltanto concentrarci sul compito di sopravvivere al salto e tenere la testa fuori dall'acqua il più possibile, ma ci saranno anche delle secche o guadi (tirtha) poco profondi dove potremmo uscire addirittura dal fiume e riposarci sulla riva, e magari costruire una barca nuova e migliore. Con un investimento sufficiente di tempo e sforzo possiamo persino costruire delle dighe o scavare un nuovo letto per il fiume, in cui altri potranno viaggiare - ma l'acqua scorrerà sempre verso l'oceano, per quanti sforzi facciamo per deviare il suo corso. Lo scopo della vita e il processo fondamentale di reincarnazione e liberazione rimarranno dunque sempre uguali per tutti. 59 Parama Karuna Devi VERSO 15 sarira: dal corpo; vak: dalla parola; manobhih: dalle (attività o facoltà) mentali; yat: ciò che; karma: azioni; pra arabhate: inizia (con uno scopo); narah: un essere umano; nyayyam: appropriato; va: oppure; viparitam: altrimenti/ contrario; va: oppure; panca: cinque; ete: questi; tasya: di quello; hetavah: le cause. "Qualsiasi azione buona o cattiva viene compiuta da un essere umano con il corpo, la parola o la mente, è causata da questi quattro fattori. La parola nara significa "uomo", ma possiamo certamente dedurre che qui include sia uomini che donne, considerando che gli esseri umani come specie possiedono una certa misura di libero arbitrio e strumenti per le azioni compiute da corpo (sarira, tanu, o kaya), parola (vak) o mente (manasa). Qui manas è espressa nella forma plurale (manobhih) come già nei versi 2.56, 7.1, 9.34, 11.49 e 18.65, a indicare i differenti livelli e le varie modalità delle funzioni della mente, per esempio la mente cosciente e il subcosciente. I termini tecnici sanscriti per le azioni compiute con il corpo, la parola e la mente sono saririka o kayika, vacika e manasika rispettivamente e si applicano a tutte le attività compresa la pratica del sadhana yoga o spirituale e il calcolo delle reazioni karmiche secondo le differenti circostanze. 60 Bhagavad gita: capitolo 18 Per esempio in Kali yuga o in circostanze particolarmente difficili, le attività mentali compiute con una buona motivazione e di natura buona hanno lo stesso effetto, o addirittura un effetto migliore rispetto a quelle compiute con la parola o il corpo per lo stesso scopo, mentre le offese mentali (cioè le attività negative compiute soltanto nella mente) sono considerate molto meno gravi rispetto alle offese fisiche. Questo si spiega con il fatto che l'ambiente fisico, che include il corpo e i sensi, sta creando influenze negative ed è molto più facile per una persona commettere effettivamente azioni negative che azioni positive. Certo, quando si fa la scelta di continuare a pensare a una determinata azione, si crea comunque una certa misura di reazioni karmiche poiché ci si associa con l'oggetto dell'azione (2.62); l'accumulo di queste reazioni e contatti eserciterà un'influenza sempre più forte sulla manifestazione successiva di azioni attraverso la parola e poi al livello del corpo. La responsabilità dell'individuo e i risultati di ciascuna azione dipendono dalla precisa quantità di libero arbitrio di cui si gode al momento in cui l'azione viene compiuta. Per esempio, uno schiavo che è costretto a rubare o uccidere, o un bambino o un carcerato che sono costretti a mangiare cibi non vegetariani non sono ritenuti responsabili delle conseguenze delle loro azioni. I responsabili sono coloro che li mettono in quelle situazioni, e saranno loro a dover affrontare le conseguenze karmiche. Persino una donna che è costretta a uccidere il proprio figlio con l'aborto a causa della pressione della famiglia o della società rimane libera dalle conseguenze karmiche inerenti all'uccisione di un bambino in circostanze ordinarie. D'altra parte, se una persona che si trova in una posizione di potere - ricchezze, salute, energia, tempo, posizione, strumenti e così via trascura di onorare anche un piccolo dovere o compiere una piccola buona azione, o sceglie di commettere anche solo una piccola cattiva azione, la reazione karmica sarà molto più grave. 61 Parama Karuna Devi L'espressione pra arabhate significa "inizia a compiere, intraprende" e indica che la cosa più importante in ogni azione non è tanto il successo del completamento, ma la scelta deliberata di iniziarla e investirvi tempo ed energia. Già questo crea la reazione buona o cattiva, e porta meriti o demeriti, perché il completamento e il successo non dipendono unicamente dal karta (l'attore soggettivo) e da cesta (lo sforzo). Ciò è confermato nei versi 3.7, 4.19, 14.12, 14.25, 18.25, 18.48. I due tipi di azione descritti in questo verso sono nyayyam e viparitam. Nyaya significa "ragione, logica" e indica le azioni intelligenti e ragionevoli che sono chiamate dharmiche o virtuose in modo positivo. La parola viparitam significa "contrario, opposto" e si riferisce al contrario delle attività ragionevoli, chiamate vikarma, azioni cattive o adharmiche secondo la prospettiva vedica. Queste definizioni sono molto interessanti perché contrariamente ad altre ideologie, la tradizione vedica considera i meriti e demeriti delle azioni sulla base di valori etici, coscienza e specialmente intelligenza e ragione. Krishna ha già presentato il buddhi yoga (lo yoga dell'intelligenza) come il criterio più alto per l'azione (2.39, 2.49, 2.50, 2.51, 2.53, 3.1, 4.18, 6.43, 8.7, 10.10, 12.8, 12.14, 15.20) e buddhi (l'intelligenza) come un requisito fondamentale (2.41, 2.44, 2.52, 2.63, 2.65, 2.66, 3.2, 3.26, 3.40, 3.42, 5.20, 5.28, 6.9, 6.21, 10.4). La religione vedica della Bhagavad gita non ha nulla a che vedere con le credenze cieche e l'obbedienza delle ideologie abramiche, che la maggior parte degli atei considera come il vero e autentico (o addirittura l'unico possibile) modello di religione. 62 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 16 tatra: là; evam: così; sati: essendo; kartaram: di chi fa; atmanam: sé stesso; kevalam: soltanto; tu: ma; yah: lui/ lei; pasyati: vede; akrita buddhitvat: a causa di una lacuna nell'intelligenza; na: non; sah: lui/ lei; pasyati: vede; durmatih: stupido. "Perciò chi si considera l'unica causa dell'azione è illuso, a causa di una mancanza di intelligenza. L'espressione tatra evam sati significa letteralmente "stando così le cose" e collega questo verso a quello precedente. L'espressione atmanam kevalam può essere applicata a due livelli di significato: il livello ordinario significa "solo a sé stessi" come nella traduzione primaria del verso, mentre a un livello più alto significa "soltanto l'atman". In questo secondo caso la traduzione recita, "chi considera l'atman come causa dell'azione è confuso da una mancanza di comprensione". Abbiamo già visto che il purusha non è mai veramente impegnato in alcuna azione, ma semplicemente sente e percepisce. Abbiamo anche visto che il verso 3.27 chiamava apertamente "stupido" (vimudha) chi crede di essere l'unica causa e padrone delle proprie azioni: prakriteh kriyamanani gunaih karmani sarvasah, ahankara vimudhatma kartaham iti manyate, "Tutte le azioni sono compiute in realtà dalle qualità della natura, ma uno sciocco confuso dall'egotismo pensa, 'io sto facendo questo'". Il concetto di karta ("autore dell'azione") deve essere quindi compreso bene. 63 Parama Karuna Devi Esiste in effetti un principio soggettivo dell'azione chiamato karta (18.14), ma non è lui a controllare esclusivamente e a trarre beneficio dall'azione (2.47). Perciò Krishna in questo verso usa i termini durmatih ("incapace di comprendere facilmente") e akrita ("imperfetto"). Non dobbiamo scioccamente assumerci il pieno credito del nostro successo, perché possiamo soltanto essere lo strumento (nimitta matra, 11.33) della Consapevolezza più alta e vasta; questo certamente non significa che non dovremmo ottenere riconoscimenti per il nostro lavoro, o che qualcun altro può reclamare credito o riconoscimenti per il lavoro che abbiamo fatto noi, sostituendo il nostro nome con il suo, per esempio come autore di un libro che abbiamo scritto. La verità dei fatti va riconosciuta e ciascuna persona deve essere apprezzata per il suo contributo: tasmat tvam uttistha yaso labhasva jitva satrun bhunksva rajyam samriddham, mayaivaite nihatah purvam eva nimitta matram bhava savya sacin, "Alzati dunque, o grande arciere, e ottieni fama dalla tua vittoria contro i nemici, e poi godi della prosperità del regno. Io ho già ucciso tutti questi guerrieri: tu devi semplicemente diventare lo strumento della vittoria." (11.33). Riconoscere la nostra posizione subordinata alla Coscienza suprema, come strumenti nel grande piano della vita, non equivale certo alla falsa modestia o alla mancanza di autostima di chi non è capace di accettare un complimento o un incoraggiamento o di comprendere il valore del proprio lavoro. Uno strumento non può assumersi tutto il merito di un buon lavoro, ma può e certamente dovrebbe ricevere il credito dovuto a uno strumento valido. Per questo Krishna dice nel verso 11.33, yaso labha, "ottieni fama" e bhunksva rajyam, "godi del regno". La conoscenza vedica non è soggetta a diritti d'autore. Non possiamo dire che Vyasa abbia commesso plagio utilizzando il lavoro dei molti Rishi che scrissero gli inni originari delle samhita, 64 Bhagavad gita: capitolo 18 e benché sia conosciuto come il compilatore dei Veda non ha mai preteso la "proprietà intellettuale" o cercato di impedire ad altri di scrivere ulteriori commenti o trattati sulla conoscenza vedica. Eppure, Vyasa è onorato come l'insegnante originario dei Veda in questa era. Il sistema vedico riporta regolarmente, "questa persona disse", "quella persona disse", e molto spesso l'individuo che parla afferma chiaramente che sta citando argomenti espressi da qualcun altro che aveva già parlato delle stesse cose. La conoscenza è eterna e nessuno può affermare di averla "creata", ma è un fatto che agli individui va riconosciuto il credito di particolari composizioni o presentazioni. Il padre di Vyasa, Parasara, scrisse alcuni degli inni del Rig Veda (dedicati ad Agni e Soma) e la Parasara dharma samhita. Atri Rishi (manasa putra di Brahma e primo dei Sette Rishi) è l'autore del quinto mandala del Rig Veda, chiamato anche Atri samhita. Agastya Rishi, un altro dei Sette Rishi, è l'autore di un testo originario dell'Ayur Veda (ora perduto, ma menzionato in opere successive), del Nadi jyotisha (un trattato di astrologia), del famoso Lalita sahasranama stuti ("i 1000 nomi di Lalita", la Dea Madre) e del famoso Aditya hridayam sukta. La moglie di Agastya, la principessa Lopamudra del regno di Vidarbha, collaborò al Lalita sahasranama e compose personalmente uno degli inni del Rig Veda. Gautama Maharishi, un altro dei Sette Rishi, è l'autore di molti sukta del Rig Veda, del Bhadra sukta nel Sama Veda, e del Gautama Dharma sutra, considerato il primo dei Dharma shastra. Vasistha, un altro dei Sette Rishi, Guru di famiglia dell'avatara Rama, è l'autore del settimo mandala del Rig Veda e della Vasistha samhita. Gli insegnamenti di Vasistha sono riportati anche da Valmiki Rishi (autore del Ramayana) nel suo famoso Yoga Vasistha. Pulastya, uno dei Sette Rishi, figlio diretto di Brahma, ricevette da Brahma il Vishnu purana e lo trasmise a 65 Parama Karuna Devi Parasara Rishi. Bharadhvaja, un altro dei Sette Rishi, è famoso per aver scritto il Vimanika shastra (un trattato di aereonautica e astronautica, ora perduto). E' detto che Angira, autore della maggior parte dell'Atharva Veda, sia tuttora dignitario alla corte di Yama su Pitriloka, il pianeta inter-dimensionale dove vivono gli antenati virtuosi. Atharva è l'autore di molti inni dell'Atharva Veda; in effetti l'Atharva Veda è stato composto appunto da questi due Rishi, e per questo motivo è conosciuto anche con il nome di Atharvangirasa samhita. Kausika, Vasistha, Kasyapa, Saunaka, Vamadeva, Meghatithi, Priyamegha, Nodha, Savya, Nrimegha, Kusta, Pracheta, sono autori di altri inni dell'Atharva Veda. Kanva è autore di vari inni del Rig Veda dedicati ad Agni, Yupa, Marut, Brahmanaspati, Varuna, Mitra, Aryaman, Pusha, Rudra e Soma. Medhatithi scrisse parecchi inni del Rig Veda dedicati ad Agni, Nirmathya Havaniya Agni, Idhmah Samiddha Agni, Astanunapat, Narasamsah, Ilah, Barhih, Devirdvarah, Ushasanaktha, Daivya, Hotara, Pracetasa, Sarasvati, Ila, Bharati, Tvashta, Vanaspati, Svaha Akrutayoh Agni, Visve Deva, Indra, Maruta, Tvashta, Mitra Varuna, Dravinoda Agnih, Asvini (ritu devatah), Indra Varuna, Gayatri, Padani, Brahmanaspati, Soma, Dakshina, Sadaspati, Narasama, Maruta, Ribhu, Asvini, Savita, Devyah, Varuna, Anyagnayah, Dyava-prithivya, Prithivi, Vishnu, Ayu, Vayu, Marutvan, Pusha, Apah e Pura-ushnik. Praskanva Rishi scrisse alcuni inni del Rig Veda dedicati ad Agni, Usha, Ashvini e Surya. Ci sono state anche parecchie Rishika (Rishi femmine) tra gli autori originari dei Vedas: Ghosha (2 sukta nel decimo mandala del Rig Veda), Vagambhrina (Vac sukta del Rig Veda), Maitreyi, moglie di Yajnavalkya (10 inni del Rig Veda). Gargi, l'autrice della Gargi samhita, è menzionata nella Yajnavalkya samhita e Brihad aranyaka Upanishad in occasione di un famoso dibattito 66 Bhagavad gita: capitolo 18 filosofico. Visvavara, Sikata, Nivavari, Apala e Visvavara della famiglia di Atri, Angirasi Sarasvati dalla famiglia di Angirasa, Yami Vaivasvati, Sraddha, Surya, Indrani, Urvasi, Sarama, Juhu e Paulomi Saci sono altre donne che scrissero una quantità di sukta originari, che vennero poi elaborati successivamente in altri testi vedici. Più avanti in questo capitolo Krishna parlerà ancora dell'intelligenza secondo i tre guna, e dell'effetto delle azioni compiute sotto i vari tipi di comprensione. Alcune persone credono che tutte le interpretazioni e opinioni debbano essere rispettate come ugualmente valide, ma questa non è l'istruzione di Krishna anzi, è proprio il contrario (18.32). VERSO 17 yasya: del quale; na: non; aham kritah: senso di identificazione con l'azione; bhavah: natura/ sentimento; buddhih: intelligenza; yasya: del quale; na: non; lipyate: (è) toccato; hatva api: persino uccidendo; sa: lui/ lei; iman: questo; lokan: mondo; na hanti: non uccide; na nibadhyate: (e) non è legato (dalle reazioni). "Chi non è toccato dall'egotismo dell'identificazione con l'azione è una person intelligente. Persino quando uccide non sta uccidendo, e non è legato (dalle reazioni). 67 Parama Karuna Devi La parola ahankrita ("io ho fatto") è un sinonimo di ahankara ("io sono quello che fa") menzionato parecchie volte come l'illusione dell'identificazione materiale (2.71, 3.27, 7.4, 12.13, 13.6, 13.9, 16.18, 17.5, 18.53, 18.58, 18.59). Questo ahankara è un elemento materiale come la mente, lo spazio, l'aria, il fuoco e così via; finché restiamo nel mondo materiale non possiamo liberarcene, ma dobbiamo imparare a gestirlo. Per questo Krishna in questo verso dice na lipyate, "non è toccato". E' la stessa cosa con i guna - finché siamo incarnati nel mondo materiale dovremo avere a che fare con i guna inferiori di rajas e tamas, perché verremo in contatto con essi regolarmente e continuamente. La cosa migliore è dunque imparare a usarli senza venirne toccati e controllati. Possiamo usare il tamas per dormire profondamente e far riposare il corpo e la mente, e possiamo usare rajas per spronarci all'azione quando c'è pericolo di diventare troppo attaccati alla comodità e perdere interesse nell'investire molti sforzi nel compimento del dovere. Sattva è una qualità di equilibrio e tende al distacco, perciò a contatto con l'ahankara o l'identificazione separata può sviluppare un rigidità che si trasforma facilmente in tamas a causa dell'oscuramento materiale della coscienza. La soluzione, come abbiamo già visto, consiste nel superare l'identificazione anche con il sattva materiale ed elevarsi al suddha sattva, che è la qualità della bontà non contaminata dall'identificazione materiale. Ma questo significa che bisogna superare l'ahankara. In che modo possiamo superarlo? Sarebbe come cercare di superare l'acqua o il fuoco o la terra. Non possiamo liberarci da questi elementi, perché sono presenti anche nel nostro stesso corpo. Dobbiamo riconoscere il fatto che l'azione viene condotta dalla prakriti attraverso la coscienza del purusha, sotto la guida del paramatma, Purushottama. 68 Bhagavad gita: capitolo 18 Dobbiamo usare l'ahankara proprio come usiamo l'acqua o il fuoco o la terra - attentamente, con intelligenza, conoscenza e distacco, senza venirne influenzati. Possiamo dirigere il potere di identificazione verso il livello trascendentale, nella direzione dell'atman o realizzazione spirituale, e della bhakti o devozione al Supremo. La chiave di questo processo è bhava (con la seconda a lunga) che significa "sentimento, natura" e a un livello più alto, "consapevolezza". Quando è applicato direttamente all'azione, questo significa che non dovremmo avere alcun motivo egoistico personale, né individuale né collettivo. L'egoismo collettivo consiste nell'agire per l'esclusivo beneficio della propria famiglia, gruppo etnico, circolo di amici o tribù, comunità, sesso, razza, nazione o anche specie, senza considerare il bene di tutti gli altri. Il concetto di egoismo si basa sulla dualità, cioè l'idea errata che siamo separati dagli altri esseri e dalle altre esistenze, e che quindi possiamo ottenere benefici da un'azione che danneggia altri. Per rimanere liberi da questa illusione dobbiamo sempre considerare il bene di tutti gli esseri prima di impegnarci in qualsiasi azione; le attività strettamente collegate con la nostra sopravvivenza - come l'uccisione di aggressori di ogni tipo e il consumo ragionevole e appropriato di cibo e altre risorse - non sono considerate egoistiche perché fermando un aggressore gli stiamo in realtà impedendo di commettere un crimine, e poiché la nostra esistenza ha un valore maggiore di quello del cibo e delle altre risorse, specialmente quando seguiamo le istruzioni degli shastra e viviamo per il servizio della comunità universale (Virata rupa) e il bene di tutte le creature (para upakara). Questo è confermato direttamente nel verso 5.25: labhante brahma nirvanam risayah ksina kalmasah, chinna dvaidha yatatmanah sarva bhuta hite ratah, "Coloro che vedono la Realtà raggiungono il brahma nirvana perché sono stati purificati da ogni 69 Parama Karuna Devi colpa e hanno spezzato tutte le illusioni dualistiche, impegnandosi a lavorare per il bene di tutti gli esseri viventi". Anche il verso 12.4 usa le stesse parole: te prapnuvanti mam eva sarva bhuta hite ratah, "mi possono raggiungere se sono sinceramente interessati al bene di tutti gli esseri". Il verso 13.31 è particolarmente esplicito: yada bhuta prithag bhavam eka stham anupasyati, tata eva ca vistaram brahma sampadyate tada, "Quando si è addestrati a vedere tutti gli esseri situati in uno, anche quando sono separati, si raggiunge la posizione del Brahman." Anche altri versi presentano questo concetto, spiegando inoltre che Dio è presente in tutti gli esseri come vita e coscienza: 5.29, 7.5, 7.6, 7.9, 7.10, 8.4, 8.22, 9.5, 9.8, 9.13, 9.29, 10.20, 10.22, 10.39, 11.15, 11.43, 12.13, 13.16, 13.17, 13.28, 14.3, 14.4, 15.13 e 15.14. Dunque coloro che agiscono per invidia e odio verso altri esseri vengono chiaramente definiti come asura: ahankaram balam darpam kamam krodham ca samsritah, mam atma para dehesu pradvisanto 'bhyasuyakah "Prendendo rifugio nell'ahankara, nella forza fisica, nell'arroganza, nella lussuria e nella collera, mostrano invidia e odio verso di me, poiché io risiedo nel loro stesso corpo come nel corpo degli altri" (16.18), e karsayantah sarira stham bhuta gramam acetasah, mam caivantah sarira stham tan viddhy asura niscayan, "Devi sapere che sono certamente asura, perché provocano stupidamente sofferenze e danni a tutti gli esseri e anche a me, poiché io risiedo nel corpo" (17.6). L'espressione hatvapi sa imal lokan na hanti na nibadhyate riecheggia una delle prime istruzioni offerte da Krishna: ya enam vetti hantaram yas cainam manyate hatam, ubhau tau na vijanito nayam hanti na hanyate, "Chi conosce questo (atman/ brahman) non pensa di uccidere o essere ucciso; in entrambe (le posizioni) sa che non si uccide veramente e non si è uccisi" (2.19). 70 Bhagavad gita: capitolo 18 Una persona che ha superato l'illusione della dualità ed è attaccata al bene di tutti gli esseri come cellule di un singolo corpo passeranno all'azione per rimuovere soltanto quelle parti del corpo che stanno danneggiando il corpo intero, come i tessuti cancrenosi o le escrescenze tumorali. In questo modo sta effettivamente lavorando per il bene di tutti gli esseri, perciò non dovrà subire reazioni negative per la cosiddetta uccisione di quelle cellule. Naturalmente l'asportazione chirurgica deve sempre essere l'ultima risorsa: Krishna e i Pandava lo dimostrarono ampiamente negli eventi del Mahabharata che portarono alla battaglia sul campo di Kurukshetra, dove Krishna e Arjuna stanno parlando per il nostro bene. Dobbiamo capire inoltre che non possiamo nasconderci dietro le gerarchie e gli ordini cattivi provenienti dai nostri superiori nella catena di comando, o accampare la scusa che un tipo di essere è meglio di un altro perciò l'esistenza degli esseri migliori sarà beneficiata se eliminiamo quelli "non così buoni" (che non sono colpevoli di aggressione). Nel lavoro per il dharma non c'è posto per la disonestà e i trucchetti. VERSO 18 jnanam: conoscenza; jneyam: l'oggetto della conoscenza; pari jnata: chi comprende; tri vidha: di tre tipi; karma: dell'azione; 71 Parama Karuna Devi codana: lo slancio/ la motivazione; karanam: gli strumenti (i sensi); karma: l'azione; karta: chi agisce; iti: così; tri vidhah: tre tipi; karma sangrahah: i fattori/ componenti dell'azione. "Ci sono tre fattori scatenanti per l'azione: la conoscenza, l'oggetto della conoscenza e il soggetto della conoscenza. Tre fattori sono necessari per l'azione: gli strumenti per l'azione, l'azione stessa e il soggetto dell'azione. L'espressione tri vidha ("di tre tipi") si può applicare anche alle caratteristiche determinate dalla particolare influenza di ciascuno dei tre guna o modalità della natura materiale, come ha spiegato Krishna nei capitoli precedenti. Nel verso successivo Krishna parlerà chiaramente dei sintomi specifici della conoscenza, dell'azione in sé e del soggetto dell'azione secondo sattva, rajas e tamas, ma nei capitoli precedenti abbiamo visto che anche gli oggetti della conoscenza (gli oggetti dei sensi) e gli strumenti della conoscenza (i sensi di percezione e azione) sono caratterizzati da guna specifici. L'esempio migliore è la descrizione dei tre tipi di cibi e delle corrispondenti preferenze di gusto nel verso 17.7. Nel verso 13.3 Krishna aveva definito la conoscenza come la conoscenza dello kshetra (oggetto) e dello kshetra jna (soggetto), perciò in effetti possiamo aggregare i fattori di oggetti dei sensi e sensi sotto la categoria di soggetto dell'azione (karta) che Krishna descriverà nel verso seguente. La parola codana è molto interessante. In altri contesti è stata usata per indicare "incoraggiamento" o "istruzioni delle scritture" (codana laksano artho dharma, "il significato di dovere dharmico è ciò che viene indicato dalle scritture", Purva mimamsa sutra 1.1.2), ma anche "motivazione", "induzione", e "impeto", "ispirazione" e persino "manifestazione sottile" (come nel disegno progettuale di uno strumento tecnico). L'abbiamo tradotta come "slancio, motivazione, fattore scatenante" ma potremmo chiamarla anche "catalizzatore". 72 Bhagavad gita: capitolo 18 Alcune persone credono che la conoscenza dell'azione e del sé non costituisca una scienza precisa e concreta e quindi tutte le opinioni siano ugualmente valide, ma si tratta di un errore molto grave. Nella civiltà vedica e in tutte le culture pre-abramiche, la gente era capace di vedere il forte collegamento tra fisica e metafisica, tra lo kshetra e lo kshetra jna. In tempi più recenti, i fisici occidentali si sono gradualmente liberati dal pregiudizio accademico abramico e hanno dimostrato che a livello subatomico la realtà non esiste veramente finché non la misuriamo. L'esperimento di John Wheeler sul concetto di scelta ritardata era già stato proposto nel 1978 usando raggi di luce fatti rimbalzare da specchi, ma ci sono voluti ancora 40 anni prima di raggiungere il pieno successo nella procedura, usando un interferometro MachZehnder e atomi di elio ultrafreddi metastabili, dispersi da luce laser in uno stato di sospensione conosciuto come condensato Bose-Einstein. Gli atomi sono stati espulsi finché non è rimasto soltanto uno; questo atomo prescelto è stato poi fatto cadere attraverso una coppia di raggi laser che formavano uno schema di incroci che disperdeva la rotta dell'atomo. Poi è stato aggiunto un secondo schema casuale che ricombinava la rotta, ma soltanto dopo che l'atomo era già passato per il primo stadio. Questa seconda fase portava interferenze costruttive o distruttive, che sarebbero state normali se l'atomo avesse attraversato i due percorsi come fanno le onde. Ma l'aggiunta del secondo schema non ha causato alcuna interferenza, come se l'atomo avesse scelto un unico percorso; tale comportamento è stato interpretato come la prova che l'atomo non aveva ancora determinato la propria natura prima di essere misurato per la seconda volta. Soltanto quando l'atomo veniva misurato al termine del percorso si manifestava il suo carattere di onda o di particella. Questo conferma la teoria di Bohr, per cui non si può ascrivere un comportamento di onda o particella a un determinato oggetto di osservazione prima che abbia avuto luogo la misurazione. 73 Parama Karuna Devi Gli scienziati erano già rimasti sorpresi dalle predizioni della fisica quantistica sull'interferenza (dello kshetra jna sullo kshetra) applicate alla luce (che è ovviamente un'onda) ma il recente esperimento ha applicato lo stesso principio agli atomi, che sono oggetti complicati, che hanno una massa e interagiscono con i campi elettrici. Un Rishi vedico non sarebbe stato affatto sorpreso. Per stare all'altezza dei progressi nella conoscenza nel campo della ricerca scientifica convenzionale, dobbiamo distaccarci dalle informazioni imperfette e talvolta fuorvianti che ci sono state passate come verità assolute e indiscutibili durante i nostri primi anni di scuola. Lo stesso vale per l'archeologia, la paleontologia e specialmente per la storia, in cui le cronache e le teorie sono state fabbricate con motivazioni incredibilmente tendenziose per nascondere alla gente la verità dei fatti. In riferimento alla Bhagavad gita e a questo verso, dobbiamo comprendere che la realtà e l'azione sono molto più profonde di ciò che sembrano in superficie, perciò bisogna mantenere una mente aperta per considerare tutti i fattori. La conoscenza vedica non si basa sulla fede cieca, ma è indispensabile avere una certa misura di fiducia nell'insegnante in modo da diventare capaci di condurre i nostri esperimenti di verifica diretta nelle precise condizioni che garantiranno il successo. Se agiamo a capriccio, trascurando i parametri di base (sangraha) che sono la base dell'esperimento, comprometteremo la procedura e avremo risultati fuorvianti. Un altro punto interessante da notare è che il termine sangraha è imparentato anche con il concetto di "comprensione", "illuminazione", come il "ricevere" (la stessa derivazione logica del termine latino data) e "raccolta" (di informazioni o fattori). Nella prospettiva della bhakti, questo verso è stato spiegato come il procedimento per impegnarsi nel servizio devozionale, dove jnana è sambandha (la relazione tra il bhakta e Isvara), jneya è abhidheya (l'impegno nel servizio attivo a Isvara), e jnata è 74 Bhagavad gita: capitolo 18 prayojana (il raggiungimento della perfetta unione con Isvara). Questi sono dunque considerati i fattori di base che ispirano l'azione, mentre gli ingredienti dell'azione sono il bhakta (karta), il bhajana o meditazione attiva su Isvara (come karma o dovere secondo la vaidhi o raganuga bhakti), e il rasa o bhava (sentimento) che costituisce il siddha deha o il corpo spirituale del devoto (che naturalmente include i sensi). Questo è Narada pancaratra: hrisikena hrisikesa sevanam, bhaktir ucyate, "La definizione di bhakti è usare i propri sensi al servizio del Signore dei sensi". VERSO 19 jnanam: conoscenza; karma: azione; ca: e; karta: colui che fa; ca: e; tri dha: di tre tipi; eva: certamente; guna bhedatah: classificati secondo i guna; procyate: è detto; guna sankhyane: analizzando i guna; yatha vat: così come sono; srnu: ascolta; tani: quelli; api: anche. "La conoscenza, l'azione e il fattore soggettivo sono certamente categorizzati secondo i tre guna. Ascolta la loro descrizione secondo le qualità specifiche. In questo verso il termine guna è usato nel suo significato fondamentale di "qualità", "modalità", "caratteristica", specificamente applicato alle tre categorie di sattva, rajas e tamas. 75 Parama Karuna Devi Similmente, Krishna usa qui il termine sankhya in modo elegante come indicazione simmetrica che ci ricorda il sistema filosofico del Sankhya che riconosce la natura e le qualità dei vari componenti della Realtà, introdotto nel capitolo 2 come spirituali e materiali (sat o asat, 2.16). Ora, vale la pena di spendere un attimo a chiederci come mai il secondo capitolo era intitolato al Sankhya, quando in realtà parla soltanto dell'atman/ brahman come distinti dalla manifestazione materiale, e raccomanda persino di distaccarsi dalle varie categorie dell'universo materiale, che sono semplicemente manifestazioni dei tre guna (2.45). Il seme di questa comprensione è contenuto nel significato più profondo del verso successivo: yavan artha udapane sarvatah samplutodake, tavan sarvesu vedesu brahmanasya vijanatah, "Qualunque valore si trovi in uno stagno, si trova ad ogni modo anche in un lago più grande, e similmente tutto ciò che è contenuto nei Veda può essere trovato in una persona che ha realizzato la conoscenza del Brahman" (2.46). Questo indica che la conoscenza analitica delle varie categorie dell'universo materiale non è opposta alla scienza del Brahman, ma piuttosto la realizzazione del Brahman contiene tutte le altre categorie di conoscenza ed esistenza. Superando l'illusione della dualità (2.45, 4.22, 5.3, 5.25, 7.27, 7.28, 15.5) si penetra il mistero della non-differenza tra purusha e prakriti, come abbiamo visto ampiamente elaborato nel capitolo 13, anch'esso iniziato con le domande di Arjuna a proposito di kshetra e kshetra jna, jnana e jneya (13.1). Questo è in verità il modo in cui Krishna ha iniziato i suoi insegnamenti nel capitolo 2, e lo stesso punto continuerà ad essere centrale per la comprensione della Bhagavad gita, del Vedanta sutra e anche degli inni vedici (13.5). 76 Bhagavad gita: capitolo 18 Nel verso 13.6 e nei versi successivi, Krishna elenca le categorie di realtà che sono generalmente considerate l'argomento del Sankhya, perciò possiamo vedere il forte collegamento tra i due argomenti il Sankhya o l'enumerazione analitica delle categorie della realtà, e il concetto di purusha e prakriti, o shaktiman e shakti. Il collegamento tra il Sankhya e la scienza dei tre guna viene illustrato nelle descrizioni della creazione dell'universo, al quale Krishna ha fatto riferimento nei versi 7.6, 9.8, 10.32, 14.3, 15.4. Per esplorare maggiormente l'argomento dobbiamo però esaminare gli insegnamenti dei Purana, e specialmente del Bhagavata Purana. Nel verso 4.11.16 vediamo per esempio questa affermazione: evam pravartate sargah sthiti samyama eva ca, guna vyatikarad rajan mayaya paramatmanah, "O re, la creazione, la conservazione e la distruzione (dell'universo) avviene tramite l'interazione dei guna dell'energia del Paramatma". L'argomento della creazione primaria viene spiegato nel Bhagavata Purana (terzo canto, capitoli dal 25 al 32) dall'avatara Kapila, che spiegò in origine il sistema Sankhya e che elabora in quei capitoli anche sulla scienza dell'azione, in particolare riguardo al dovere prescritto e alla bhakti. Diamo qui di seguito un breve riassunto di quella descrizione. La combinazione statica dei tre guna, le tre influenze della natura, è l'aggregato degli elementi che compongono la natura, e viene chiamato pradhana. Questi elementi sono i cinque elementi grossolani, i cinque elementi sottili, i quattro sensi interiori, i cinque sensi di percezione e i cinque organi di azione. I cinque elementi grossolani sono la terra (energia in forma solida), acqua (energia in forma liquida), fuoco (energia in forma di luce e calore), aria (energia in forma gassosa) e spazio. I cinque elementi sottili corrispondenti sono l'odore, il sapore, il colore, il contatto e la vibrazione sonora. I sensi di percezione sono il naso, la lingua, gli occhi la pelle e le orecchie, e i sensi di azione sono quelli che ci 77 Parama Karuna Devi permettono di parlare, muoverci, lavorare, generare ed evacuare. I sensi sottili interni sono la mente, l'intelligenza, l'ego e la consapevoleza materiale. Il venticinquesimo elemento è il tempo la manifestazione esteriore della Divinità che inizia la creazione e vi mette fine - mentre il ventiseiesimo elemento è la presenza dell'anima. All'inizio l'anima è consapevolezza pura, chiara e serena, libera da ogni distrazione, ma quando si identifica con la materia, i principi elementali della creazione manifestano i vari elementi materiali. La falsa percezione del sé focalizzata in sattva manifesta la mente. L'identificazione materiale focalizzata in rajas manifesta l'intelligenza, con le sue funzioni come il dubbio, la corretta comprensione, la comprensione errata, la memoria e il sonno, come anche i sensi di percezione e di azione, che dipendono rispettivamente dall'intelligenza e dall'energia vitale. L'identificazione materiale focalizzata in tamas produce gli elementi materiali, a iniziare dall'elemento sottile del suono, che a sua volta produce lo spazio e il senso dell'udito. Dall'esistenza dello spazio si sviluppa il senso del tatto, e poi l'aria. L'interazione dell'aria con il senso del tatto produce il concetto delle forme dei corpi, determinate dal destino di ciascun individuo. L'evoluzione delle fome genera il fuoco (luce e calore) e gli occhi acquistano la capacità di percepire forme e colori. L'interazione del fuoco con la percezione visuale evolve l'elemento del gusto, che produce l'acqua e il senso che percepisce il gusto (la lingua). Benché sia in origine uno solo, il gusto si sviluppa in varie categorie come astringente, dolce, amaro, pungente, acido e salato, entrando in contatto con diverse sostanze. L'interazione dell'acqua con la percezione del gusto sviluppa l'elemento sottile dell'odore, che manifesta la terra e il senso dell'odorato. Quando tutti questi elementi diventano differenziati, il Signore Supremo entra personalmente nella creazione insieme con il 78 Bhagavad gita: capitolo 18 tempo, l'azione e i guna, dando vita all'Uovo Cosmico. All'interno dell'Uovo Cosmico, Vishnu (Hari) lo divide in 14 sistema planetari che compongono il suo corpo. Le parti del corpo del Virata Purusha, il Signore universale, si manifestano come i vari componenti della natura - la bocca è il potere di parlare e il Deva del fuoco, le narici sono il senso dell'odorato e il prana e così via. A questo punto i jivatman vengono introdotti nell'universo e nascono a seconda dei loro specifici guna e karma. In questo modo contempliamo la Divinità come presente nel nostro stesso corpo e nell'universo e simultaneamente distinto da essi. Quando l'essere vivente si trova in questa posizione, non è soggetto all'influenza dei guna, delle identificazioni temporanee e del senso di possesso, proprio come il sole rimane distaccato dal proprio riflesso nell'acqua. VERSO 20 sarva bhutesu: in tutti gli esseri; yena: dal quale; ekam: uno; bhavam: sentimento/ natura; avyayam: imperituro; iksate: vede; a vibhaktam: non diviso; vibhaktesu: in (tutte) le (manifestazioni) separate; tat: quella; jnanam: conoscenza; viddhi: dovresti sapere; sattvikam: in sattva guna. 79 Parama Karuna Devi "Dovresti sapere che la conoscenza in sattva guna vede l'unica esistenza imperitura in tutti gli esseri, non divisa benché manifestata in molte forme differenti. La prima e più vera forma di conoscenza è basata sul sattva, la qualità di esistenza che è più vicina a sat e satyam - l'esistenza trascendentale che è la verità suprema. Per meglio comprendere questo verso, dovremmo ricordare che la parola bhuta ("essere") indica un essere vivente o jivatman e anche una forma di esistenza ("essere") in cui l'essere vivente si trova in questo mondo come risultato del suo guna e karma. L'intelligenza sattvica vede dunque tutti i jivatman come cellule dello stesso corpo universale del paramatman - una sola cosa, eppure distinte e categorizzate a seconda della loro particolare funzione e posizione. Inoltre, l'intelligenza sattvica vede tutte le condizioni di vita - subha e asubha, sukha e duhkha, eccetera - come parti dello stesso grande piano dell'evoluzione del jivatman, proprio come molte classi diverse presentano differenti materie nello stesso corso scolastico per dare una preparazione completa agli studenti. Entrambe queste prospettive e il loro significato sono state confermate molte volte nel testo della Bhagavad gita. La parola bhava (con la prima a lunga) viene usata qui per indicare l'Essere supremo, e con ottime ragioni. Abbiamo visto in commenti precedenti che questa parola include i significati di "essere, stato dell'essere, situazione, esistenza, natura" e anche "sensazione, sentimento, gusto" e persino "cuore" (come nel verso 10.11). Brahman, il Purushottama, è consapevolezza ed esistenza: raso vai sah, rasam hy evayam labdhvanandi bhavati, "E' gusto, e chi lo trova diventa felice", (Tattirya Upanishad, 2.7.1). Questa definizione di bhava include sia atman che brahman, perché entrambi sono avyaya ("imperituro", "eterno"), ma questo sentimento o conoscenza risplende più luminoso quando non è oscurato (na lipyate) dalla copertura di identificazione materiale 80 Bhagavad gita: capitolo 18 separata (niente ahankara - na aham krto) come abbiamo visto nel verso 18.17. Atman e brahman sono uno, e allo stesso tempo distinti come i due uccelli che siedono sullo stesso albero; questo è stato confermato fin dall'inizio delle istruzioni di Krishna, nel verso 2.12. Questa simultanea differenza e non-differenza tra Isvara e jiva viene spiegata non soltanto in termini di quantità, ma anche in termini di relazione, come abbiamo visto nel capitolo 13. Il jivatman è simultaneamente sia purusha che prakriti, proprio come il Brahman è simultaneamente purusha e prakriti: tale differenziazione è soltanto funzionale ma consente lo spazio necessario per le relazioni o la "danza" simboleggiata dalla rasa lila con le gopi a Vrindavana. In quel lila, il parama purusha è Krishna e la parama prakriti è Radha, mentre sul livello subordinato, la prakriti è la bhakti delle gopi, mentre il purusha è il bhava delle gopi, che non è differente da Krishna stesso. E in effetti abbiamo visto nel capitolo 13 un'affermazione che è molto simile al verso che stiamo studiando ora: avibhaktam ca bhutesu vibhaktam iva ca sthitam, bhuta bhartri ca taj jneyam grasisnu prabhavisnu ca, "Benché indiviso, appare come se fosse diviso nei molti esseri nei quali risiede. E' il sostegno di tutti gli esseri, e deve essere conosciuto come il potente Vishnu, che divora ogni cosa" (13.17). A sua volta, questo verso è collegato con la meditazione sulla Virata Rupa o Kala Rupa, radiosa come il fuoco e il sole, che divora l'universo, che abbiamo visto nel capitolo 11, specialmente dal verso 11.10 all'11.32, che rivela finalmente nel suo pieno splendore ciò che era stato soltanto suggerito nei versi precedenti - 5.16, 8.10, 10.11, 10.21, e 10.36, Ecco un esempio: divi surya sahasrasya bhaved yugapad utthita, yadi bhah sadrisi sa syad bhasas tasya mahatmanah, "Se migliaia di soli sorgessero simultaneamente nel cielo, quello splendore sarebbe simile alla radiosità del grande Atman" (11.12). 81 Parama Karuna Devi Di nuovo, questo sarà confermato nel verso 13.8, che spiega il Sankhya e l'unità/ differenza tra purusha e prakriti: jyotisam api taj jyotis tamasah param ucyate, jneyam jnana gamyam hridi sarvasya visthitam, "Viene descritto come la luce in tutte le cose radiose, al di là dell'oscurità. E' stabilito nel cuore di ogni cosa, e deve essere conosciuto attraverso la coltivazione della conoscenza" (13.18). E che cosa è la grande radiosità del Brahman, il brahmajyoti, se non l'emanazione di tutte le manifestazioni shakti, svamsa e vibhinnamsa dell'unica grande Realtà? Coloro che hanno la vera conoscenza possono dunque vedere il Paramatman che esiste in tutti gli esseri: vidya vinaya sampanne brahmane gavi hastini, suni caiva sva pake ca panditah sama darsinah, "I saggi e gli eruditi guardano allo stesso modo il brahmana che è gentile e colto, la mucca, l'elefante, e anche il cane e il selvaggio" (5.18). I due prossimi versi illustreranno i sintomi di una mente che funziona sotto rajas e tamas; mentre possiamo chiamare il modello sattvico di comprensione con il nome di "conoscenza" (jnana) o "intelligenza (buddhi), la mentalità tamasica non corrisponde alla definizione, e quindi il termine non appare nel verso 23. Mentre studiamo i tre tipi di conoscenza (18.20-22), azione (18.23-25) e autore o fattore soggettivo (18.26-28) dovremmo ricordare che questi includono la posizione, lo strumento e lo sforzo menzionati nel verso 18.18. La conclusione di questa elaborazione (18.30) è che soltanto le persone sattviche sono in grado di comprendere l'argomento del sannyasa/ tyaga e moksha che costituisce il centro di questo capitolo. Più avanti Krishna spiegherà ancora i diversi tipi di intelligenza (18.31-32), determinazione o sforzo (18.33-35), e felicità (18.36-39). Dopo aver riaffermato l'importanza dei guna, Krishna descriverà i doveri dei diversi tipi o categorie di esseri umani nella società secondo i tre guna (18.41-49). Solo in seguito Krishna parlerà direttamente di trascendere le posizioni e le identificazioni materiali (sarva dharman parityajya, 18.66), pur continuando a svolgere i propri doveri (18.56-57) come autentico e 82 Bhagavad gita: capitolo 18 puro servizio devozionale trascendentale al Supremo (18.55, 18.58, 18.61-62, 18.64-66). E questa è l'istruzione finale della Bhagavad gita. VERSO 21 prithaktvena: a causa della distinzione; tu: ma; yat: che; jnanam: conoscenza; nana bhavan: molte nature; prithak vidhan: differenti tipi; vetti: conosce; sarvesu bhutesu: in tutti gli esseri; tat: quella; jnanam: conoscenza; viddhi: dovresti comprendere; rajasam: nel rajas guna. "Sappi che la conoscenza influenzata da rajas è la mentalità che vede diverse nature in tutti gli esseri come separati l'uno dall'altro. Abbiamo già visto in molti versi che l'influenza di rajas crea avidità e attaccamento per lo sfruttamento egoistico e il godimento della natura materiale. Il concetto stesso di egoismo e avidità implica dualità e separazione di interessi, perché pretendere qualcosa per sé stessi significa impedire ad altri di accedervi. E' importante comprendere qui che superare la dualità costituisce un insegnamento fondamentale che deve essere applicato ai bhuta gli esseri viventi e anche le condizioni dell'essere. Non bisogna mai cadere nella trappola di credere che non ci siano differenze tra sat e asat, dharma e adharma, vidya e avidya, o che tutte le 83 Parama Karuna Devi opinioni e "modi di vita" siano ugualmente validi. E' una questione di buon senso: chiunque può vedere che una particolare azione porterà delle conseguenze, e l'azione opposta porterà altre conseguenze. Una mentalità rajasica impedirà all'intelligenza discriminante di scegliere l'azione eticamente valida e la porterà a scegliere l'individuo o gruppo che otterrà un beneficio separato dall'azione. Dunque il karma ("azione, dovere") sarà visto in termini di vantaggio antitetico piuttosto che vantaggio generale, basato sulla particolare identità separata del beneficiario dell'azione contemplata, come se differenti categorie di esseri avessero differenti nature. In una società sattvica come la civiltà vedica originaria (in Satya yuga) la gente non aveva un concetto rigido di proprietà privata, e certamente non lo applicava alle risorse comuni fondamentali come la terra, l'acqua, gli animali, le piante o anche il cibo. Quando la società è vista come una singola unità armoniosa di persone che collaborano e condividono i beni, ciascuno riceve automaticamente ciò che è necessario per vivere in modo decente, e non esiste il crimine tra gli esseri umani - né furti, né frodi, né aggressioni violente. L'idea della carità ha lo scopo di far circolare e distribuire la ricchezza piuttosto che di ottenere qualche merito personale (17.20). Quando rajas aumenta nella società, si sviluppano avidità, egoismo e attaccamento, e la mentalità di sfruttamento crea un paradigma di scarsità, l'impulso ad accumulare cereali e altri alimenti, e la chiara delimitazione e separazione della propria terra o territorio, famiglia e animali domestici. Di conseguenza la gente si sente vuota, bisognosa e impaurita, si preoccupa del futuro e della propria protezione, perché percepisce negli altri lo stesso seme della paura, il desiderio di appropriazione esclusiva, e l'ombra della perdita e della morte. 84 Bhagavad gita: capitolo 18 Nella coltivazione della conoscenza, la differenza di opinione si sposta dalla complementarietà alla competizione e rivalità; mentre in Satya yuga c'era soltanto il desiderio di comprendere meglio ed illuminarsi a vicenda, in Treta yuga con l'aumento di rajas vediamo che i dibattiti cominciano a preoccuparsi di stabilire un vincitore, che dimostra così la propria superiorità rispetto agli altri studiosi. Lo studio della filosofia e della teologia si separano dalle scienze fisiche, e il concetto di storia lineare appare a disturbare la costante consapevolezza e conoscenza dell'intera manifestazione cosmica, spirituale e materiale. Il sentimento divisivo crea le diverse classi di occupazione nella società umana, e la differenza di ruoli e tendenze tra uomini e donne. Portata all'eccesso, questa influenza rajasica diventa irragionevole e distruttiva, come la logica di tagliare un pezzo di stoffa da un'estremità della coperta per aggiungerlo all'estremità opposta con l'idea che ciò renderà più grande la coperta, o di fare un debito per pagarne un altro. L'identificazione con il corpo diventa più forte e si sviluppa il pregiudizio di nascita, che crea molte sofferenze e danni agli individui e alla società in generale. Le persone rimangono facilmente confuse sulla natura dell'atman, e si sviluppano upadharma e nastika darshana che diventano religioni popolari adatte a persone meno intelligenti e più pigre, che amano credere che l'atman sia temporaneo o limitato al corpo (per razionalizzare e giustificare la propria avidità) o preferiscono avere semplicemente una serie di regole e celebrazioni per le interazioni sociali e per un senso di affiliazione (per razionalizzare e giustificare la propria superficialità). Quando rajas viene ulteriormente contaminato da tamas (ignoranza), la società umana diventa asurica e infernale, perché il concetto di sfruttamento e godimento delle risorse viene scollegato dal lavoro vero e proprio, e ricorre all'aggressione violenta e alla distruzione (vandalismo, sadismo). 85 Parama Karuna Devi Abbiamo visto questo sviluppo descritto nel capitolo sulla differenza tra le caratteristiche daivi e asuri: idam adya maya labdham imam prapsye manoratham, idam astidam api me bhavisyati punar dhanam, asau maya hatah satrur hanisye caparan api, isvaro 'ham aham bhogi siddho 'ham balavan sukhi, "Oggi ho acquisito tutto questo, e otterrò ancora di più, tanto quanto desidera la mia mente. Questa ricchezza è mia, e aumenterà sempre più. Ho ucciso quel mio nemico, e ucciderò anche gli altri. Io sono il signore e il padrone, io sono il beneficiario. Io sono perfetto, potente e felice."(16.13-14). Questa mentalità inizia da rajas a causa del senso di dualità e separazione, in cui si ha l'impressione di poter ottenere piacere facendo del male ad altri, e l'idea sattvica del sano godimento della propria parte legittima in una società di collaborazione viene sostituita dall'accumulo egoistico di possedimenti e potere. Questo egoismo rafforza l'ahankara (l'identificazione con corpo e posizione) e il mamatva (l'attaccamento a possedimenti e affiliazioni) finché abhimana (arroganza e orgoglio) riempie l'intero orizzonte dell'anima condizionata, che non riesce più a vedere nient'altro. E' l'ignoranza intrinseca costituita dall'identificazione materiale che sintonizza la consapevolezza con l'influenza più bassa di tamas, in cui l'intelligenza è completamente coperta dall'oscurità. Questa non è certamente la via per la liberazione. VERSO 22 86 Bhagavad gita: capitolo 18 yat: ciò che; tu: ma; krtsna vat: come completamento; ekasmin: in uno; karye: nell'azione; saktam: attaccato; ahaitukam: senza ragione; a tattva artha vat: che non dà il giusto valore alla realtà; alpam: pochissimo; ca: e; tat: quello; tamasam: in tamas guna; udahritam: è descritto. "La mentalità ristretta che vede come dovere un solo metodo esclusivamente, al quale ci si attacca irrazionalmente, e che non dà la giusta importanza alla realtà, è descritta come controllata da tamas. Le ideologie abramiche e i loro derivati (comunismo, capitalismo, globalismo, e anche alcune sette di fedi originariamente non abramiche che sono state contaminate in seguito da credenze e concetti abramici) sono l'esempio perfetto di mentalità tamasica, poiché ciascuna di esse (e ciascuna delle loro sette secondarie) si presenta come l'unico, autentico, possibile o permissibile metodo o sistema di vita, ed è apertamente determinata a demonizzare e distruggere tutte le altre credenze od opinioni, a prescindere dal loro effettivo merito e dai benefici che possono portare agli individui e alla società. Il settarismo può trovarsi anche in altri gruppi e causare attriti, reciproca mancanza di rispetto e persino scontri occasionali, ma a parte le sette abramiche (e derivati) non ci sono esempi storici di qualche particolare ideologia che ha costretto la gente a convertirsi e si è impegnata nel cercare di eliminare fisicamente tutte le altre ideologie. Dobbiamo comprendere molto chiaramente questo punto, perché in Kali yuga la gente è immersa in tamas e quindi è piuttosto stupida (manda sumanda matayo manda bhagyah hy upadrutah, "pigra, sciocca, sfortunata e soprattutto sviata", Bhagavata Purana 1.1.10) e tende a cadere vittima di equivoci e confusione. A volte questa stupidità e ignoranza arriva al punto di scambiare le credenze e le affiliazioni ideologiche per cultura etnica o addirittura per identità razziale, perciò se non accettiamo o 87 Parama Karuna Devi rispettiamo le ideologie abramiche, che sono pericolosamente adharmiche, siamo accusati di essere razzisti e intolleranti e di odiare la diversità culturale. Chi lancia queste stupide accuse non conosce nemmeno il significato delle parole "razza" e "cultura", e non capisce che una persona che si converte a una setta abramica non cambia certo il proprio DNA. Il colore della sua pelle e i lineamenti del suo viso rimangono esattamente gli stessi - sempre che, naturalmente, non si usino metodi artificiali come il candeggiamento della pelle, le tinture, la chirurgia estetica e simili, che possono alterare l'aspetto esteriore ma certamente non il DNA e la configuazione genetica, e hanno effetto su chiunque, a prescindere dalle particolari credenze o pratiche religiose. Inoltre, le persone ignoranti e sciocche non si curano di verificare il fatto che la diversità culturale e le tradizioni etniche raramente scompaiono con la conversione a una particolare religione, e la gente tendenzialmente continua a usare il proprio particolare stile di abbigliamento, ad avere gli stessi gusti alimentari, a parlare la stessa lingua, a preferire un certo tipo di musica e di divertimenti, e così via - a meno che, naturalmente, le autorità religiose o governative facciano sforzi separati per bandire le tradizioni etniche precedenti e impongano con la forza nuovi modelli di vita, e in ogni caso la totale uniformità (eka asmin karya) si può ottenere e mantenere soltanto quando tamas è abbastanza forte e profondo. Quindi in ultima analisi l'uniformità dipende ancora da tamas, da quanto viene assorbita dalla popolazione. Esistono due posizioni opposte e ugualmente stupide - una dice che tutte le opinioni e le credenze sono ugualmente valide (o ugualmente non valide) e l'altra dice che soltanto la propria opinione è valida a priori semplicemente perché ci si crede. Entrambe queste posizioni sono influenzate da tamas e costituiscono un ostacolo per il progresso e la felicità di individui e 88 Bhagavad gita: capitolo 18 società. Il fatto è che ci saranno sempre molte opinioni, alcune delle quali hanno più merito e altre meno; tutte dovrebbero quindi essere valutate individualmente sulla base del loro grado di intelligenza, senso etico, fattibilità ed effetti benefici su individui e società in generale. Il merito o demerito di una particolare opinione non ha nulla a che fare con la posizione sociale o storica della persona o persone che l'hanno proposta, o anche con il semplice numero delle persone che la sostengono. Il voto della maggioranza non è una garanzia del valore di ciò che viene approvato, perché una maggioranza composta da persone adharmiche, criminali o imbecilli sosterrà quello che preferisce secondo la propria particolare prospettiva. Talvolta si dice che la democrazia è ben rappresentata dall'idea di due capre e cinque lupi che votano insieme su cosa si mangerà per cena, o su quale sia il tipo di alimentazione più corretto. Affermare che una particolare opinione ha un valore assoluto perché "l'ha detto Dio" (a chi? e chi lo può provare?) o più realisticamente, "perché l'hanno detto i preti di Dio", è una posizione tamasica e può essere accettata soltanto da persone che sono già influenzate dall'ignoranza. Le persone rajasiche accetteranno invece un'opinione perché fa loro comodo (perché serve i loro obiettivi personali) e le persone sattviche accetteranno un'opinione perché appare valida alla luce dell'intelligenza e del buon senso, mentre le persone tamasiche accetteranno un'opinione per apatia, per paura e per la confusione creata da un'astuta propaganda. Una mentalità tamasica è per natura attratta a qualche particolare oggetto materiale o proiezione, che vede come l'Essere eterno e perfetto, il giusto centro della sua attenzione, adorazione e servizio, ma il vero problema è che diventa troppo attaccata (sakta) e aggressiva contro tutti coloro che non condividono la stessa credenza. 89 Parama Karuna Devi Tale mentalità è irrazionale, illusoria, confusa e irrilevante riguardo al vero scopo della vita o al bene della società. Potrebbe presentare una credenza ideologica, una setta religiosa, una classe sociale, una razza, o un gruppo di qualche altro tipo - persino una organizzazione religiosa, una sampradaya, e così via. Potrebbe essere centrata su una persona potente, come un politicante, una stella del cinema, dello sport, della cultura, della religione e così via, un personaggio di fantasia o persino un rakshasa o spirito malvagio come abbiamo visto nei capitoli precedenti (9.25, 17.4). L'influenza di tamas costringerà una persona sciocca ad adorare e attaccarsi fortemente (saktam) a questo centro della sua attenzione, al punto di sostenerlo contro ogni logica e ragione, e con ogni possibile violenza, inganno e cattiveria. In questo verso le parole ahaitukam ("senza ragione") e a-tattvaartha ("senza significato") indicano le caratteristiche tamasiche di mancanza di ragionamento, fede cieca, scarso interesse per comprendere o scoprire la realtà o i fatti. La parola alpam ("minimo") indica una mentalità molto ristretta, ossessionata da piccole cose e dettagli irrilevanti come i pettegolezzi sulle celebrità, e può essere collegata all'espressione duratma che è il contrario di mahatma. Questa visione meschina presenterà per esempio lo yoga come una pratica di esercizio fisico per la salute, intesa a stimolare i chakra inferiori, e presenterà il tantra come un pretesto per ottenere facilmente favori sessuali da seguaci sciocchi, mangiare preparazioni non vegetariane e bere alcolici per scopi ricreativi e per l'egoistica gratificazione dei sensi. Similmente la parola karye, che significa "in ciò che deve essere fatto", può riferirsi a una forma scolpita o immagine, a indicare il fervore religioso di coloro che danno maggiore importanza ai materiali e alla forma specifica della Divinità come idolo di pietra, metallo o legno, piuttosto che al principio divino che si manifesta in quella vigraha per la bhakti di chi la venera. 90 Bhagavad gita: capitolo 18 Le persone tamasiche, che hanno poca intelligenza (alpa medhasa, 7.23), adoreranno superficialmente la forma senza comprenderla profondamente, e quindi il risultato di tale adorazione sarà di breve durata e molto limitato, anche se la vigraha fosse una delle varie forme Vishnu tattva. VERSO 23 niyatam: regolata; sanga rahitam: senza associazione; araga dvesatah: senza attaccamento o repulsione; krtam: fatta; aphala prepsuna: senza il desiderio egoistico di goderne i risultati; karma: azione; yat: che; tat: quella; sattvikam: in sattva guna; ucyate: è detta. "Quell'azione che è compiuta in modo regolato, senza identificazione o affiliazione, senza attaccamento o repulsione, senza il desiderio egoistico di goderne i risultati, è descritta come appartenente a sattva. La parola niyatam si riferisce alle azioni regolate compiute in modo stabile e sinceramente, per dovere, come giusto e benefico impegno o sadhana (yata, 2.60, 3.8, 4.21, 4.28, 4.30, 5.25, 5.26, 6.10, 6.12, 6.15, 6.19, 6.36, 6.43, 6.45, 7.3, 7.20, 7.29, 8.11, 9.14, 12.11, 12.14, 15.11, 18.7, 18.9, 18.46, 18.47). 91 Parama Karuna Devi Queste azioni possono talvolta essere difficili o impegnative, ma abbiamo bisogno di fare qualche sforzo per rimanere regolari nella pratica; anche se non raggiungessimo il pieno successo, la quantità di sforzi che abbiamo investito nel tentativo porterà buoni risultati - proprio come a scuola dobbiamo fare gli esercizi e i compiti, in classe e a casa, per poter imparare e praticare e diventare perfetti. Nella tradizione induista vedica, queste azioni sono chiamate nitya karma, o nitya karmani (plurale), e costituiscono le attività che secondo Krishna non devono mai essere abbandonate (18.3). Non dobbiamo però pensare che tali doveri siano esattamente gli stessi per tutti in ogni momento, perché il concetto fondamentale consiste nell'impegnare le proprie risorse e capacità (guna e karma) e queste possono essere parecchio diverse da una persona all'altra, o persino per la stessa persona in differenti circostanze o fasi del suo progresso individuale. Abbiamo dunque bisogno della guida saggia ed esperta di guru, shastra e sadhu per diventare capaci di comprendere quale sia esattamente il nostro dovere (sva dharma) in ogni particolare circostanza. Parecchie volte abbiamo elaborato sul termine sanga; qui ripeteremo soltanto che significa non solo "contatto, associazione", ma anche "affiliazione, appartenenza, identificazione" (sa-anga, "membro insieme") rispetto a un gruppo particolare piuttosto che all'intero corpo universale della Virata Rupa di cui tutti facciamo parte. Perciò la nostra sanga ("associazione") dovrebbe essere liberata (da tutte le identificazioni materiali e attaccamenti) altrimenti dovremmo liberarcene, per poter raggiungere il livello di mukta sanga - un passo essenziale verso moksha, la liberazione. Alcuni commentatori traducono raga come "amore" o "assorbimento", ma non è corretto. L'amore è sempre un sentimento positivo e ha il potere di portare la libertà; purtroppo la definizione di "amore" è stata parecchio inflazionata e dirottata usandola in modo scorretto per indicare lussuria, attaccamento, 92 Bhagavad gita: capitolo 18 senso di possesso, attrazione, infatuazione, godimento e così via. Anche il concetto di "assorbimento" trasmette un senso di concentrazione e meditazione che certamente non deve essere abbandonato per poter raggiungere moksha. La parola raga in realtà significa "attaccamento" ed è strettamente collegata con il tipo di identificazione (ahankara), basato sulla percezione egotica, separatista e dualistica indicata dalla sua controparte dvesha ("repulsione, odio"). Chi si identifica con il corpo materiale vi sarà molto attaccato e investirà un sacco di tempo e risorse nel cercare di mantenerlo nella forma migliore possibile. Chi si identifica con la mente sarà molto attaccato alle attività mentali - lettura in generale, indovinelli, parole crociate, ricerche erudite, e così via - e investirà di conseguenza tempo, sforzo e risorse. Chi si identifica con un particolare gruppo sarà attaccato a quel gruppo o alla sua ideologia, e similmente investirà e lavorerà in quella direzione. In tutti questi casi, poiché corpo, mente e affiliazione a un gruppo sono temporanei, l'anima condizionata sperimenterà paura, sofferenza, disperazione e confusione al momento della perdita, a causa della morte o di altri fattori. La stessa cosa vale per dvesha ("odio, repulsione") e questo è il motivo per cui dobbiamo abbandonare entrambi, come indica il prefisso privativo a applicato alla parola composta. Quindi l'unico raga che deve essere accettato è quello che non ha dvesha, perché è focalizzato sul Supremo, sul piano liberato e trascendentale. Questo significa che dobbiamo diventare attaccati alla nostra identità spirituale originaria e autentica di atman, parte del brahman, e impegnare tutto il nostro potenziale - tempo, sforzi e risorse - nel perseguire quella consapevolezza e quell'impegno. Poiché l'atman/ brahman è eterno e non cambia mai, non ci sarà mai perdita, e quindi automaticamente paura e confusione scompariranno. Su quel livello siamo liberati dalle conseguenze dell'azione materiale perché non ci identifichiamo con l'azione 93 Parama Karuna Devi stessa o con i suoi risultati, e non vi siamo attaccati (aphala prepsuna), ma semplicemente accettiamo ciò che viene per la grazia del Supremo come prasadam o benedizione, e lo usiamo nel modo migliore possibile come ulteriore opportunità di servizio universale. Questo si chiama visuddha sattva. Il livello di sattva materiale è una specie di addestramento preparatorio o apprendistato per il livello di visuddha sattva o trascendenza; nel linguaggio della letteratura sulla bhakti possiamo definire il sattva materiale come vaidhi bhakti (servizio devozionale regolato) e il visuddha sattva come raganuga bhakti (servizio devozionale spontaneo). Mentre il primo è più che altro un esercizio meccanico e richiede ancora qualche sforzo, il secondo livello è libero da ogni attrito causato dalla contaminazione materiale, e quindi non c'è resistenza che si opponga allo svolgimento delle nostre attività. Di nuovo, il piano del sattva materiale deve essere osservato attentamente e protetto da ogni contaminazione, altrimenti c'è il serio pericolo di scivolare nel tamas invece di raggiungere il livello più alto di visuddha sattva. Questo può succedere a causa dell'influenza dell'ignoranza per cui sanga rahitam viene interpretato "senza collegamento con altri o con il resto del mondo" (come nell'indifferenza egotistica centrata su sé stessi), a-raga-dvesa viene interpretato come "tutto è la stessa cosa perché non mi interessa" (come nel trascurare i valori dharmici di base) e apahala prepsuna viene interpretato come "non m'importa quale sarà il risultato delle mie azioni" (come nell'egoismo che accompagna la gratificazione dei sensi, l'aggressione, l'appropriazione indebita e lo sfruttamento di altri). Queste considerazioni si applicano sia agli individui che ai gruppi, comprese le comunità, le tradizioni e le organizzazioni religiose. 94 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 24 yat: che; tu: ma; kama ipsuna: da chi desidera godere; karma: azione; sa ahankarena: con egotismo; va: oppure; punah: di nuovo; kriyate: è fatta; bahula ayasam: con enormi sforzi; tat: quella; rajasam: nel rajas guna; udahritam: è detta. "Ma l'azione che è compiuta con egotismo, con grandi sforzi, da chi vuole goderne (il risultato) è descritta come influenzata da rajas. Abbiamo visto che rajas è caratterizzato dall'avidità e dalla lussuria piuttosto che dalla "passione" come si crede generalmente. La definizione di "passione" sul dizionario è "emozione come distinta dalla ragione", e "un sentimento intenso e travolgente", "un affetto ardente", "forte affinità, desiderio o devozione verso qualche attività, oggetto o concetto". La "passione" è dunque un fattore neutrale che può anche essere diretto verso sattva o addirittura verso il livello spirituale e trascendentale, il che contraddice l'uso della definizione per l'influenza di rajas, che è attaccata alla materia, avida e lussuriosa. L'equivoco è nato probabilmente dall'applicazione di "passione" al concetto di desiderio travolgente, interpretato erroneamente come necessariamente e invariabilmente basato sulla lussuria e non sull'amore, come corollario della errata interpretazione e applicazione della definizione di "amore" di cui abbiamo già discusso. 95 Parama Karuna Devi Esiste una differenza chiara e importante tra amore e lussuria, e se non siamo capaci di comprenderla non potremo mai progredire nella scienza della vita spirituale e della Realtà Trascendentale. La gente tende a confondere le due cose a causa dell'ignoranza e della degradazione imposte dai parametri culturali asurici attraverso le convenzioni sociali e la propaganda ideologica, che spesso indossano il manto della religione o dell'insegnamento moralistico. Nondimeno, ogni essere umano ha la capacità innata di vedere la differenza tra i due concetti - lussuria e amore - grazie al suo senso etico naturale o coscienza, e anche alla luce di intelligenza e buon senso. Mentre la lussuria è focalizzata sul godimento egoistico, l'attaccamento e il desiderio di possedere e sfruttare, l'amore è caratterizzato da uno spirito di servizio e sacrificio di sé, e dal desiderio di dare felicità e piacere all'oggetto del proprio affetto. Entrambi i sentimenti o percezioni (bhava) sono basati sull'emozione piuttosto che sulla ragione, ed entrambi possono essere razionalizzati e incanalati attraverso l'intelligenza e la logica. Entrambi possono essere travolgenti ed entrambi sono basati sul desiderio, ma gli effetti sono diametralmente opposti, specialmente per la nostra evoluzione personale e per le conseguenze karmiche che verranno generate. Mentre l'amore libera, la lussuria è causa di prigionia; mentre l'amore porta felicità incondizionata, la lussuria porta costante sofferenza e paura. Alcuni religiosi, influenzati dall'ideologia abramica che demonizza la natura, il corpo e il piacere dei sensi, affermano che nel mondo materiale l'amore non può esistere, e che ciò che chiamiamo "amore" non è altro che lussuria. Ma questo non è vero. L'amore materiale esiste ed è influenzato da sattva, mentre l'amore spirituale è influenzato da visuddha sattva, e la lussuria è influenzata da vari gradi di rajas e tamas. Negando l'esistenza e il valore dell'amore materiale sattvico, questi ignoranti religiosi stanno reprimendo la tendenza sana e naturale 96 Bhagavad gita: capitolo 18 verso la felicità e il piacere di sattva, ma tale tendenza non può scomparire, e quindi verrà distorta quando i seguaci confusi sono condotti a credere che possono avere gioie immediate e relazioni in questo mondo soltanto attraverso rajas e tamas in un modo pervertito, egoistico, o persino violento e degradante. Abbiamo visto questo meccanismo automatico manifestarsi molte volte e distruggere la vita di innumerevoli persone: è dunque veramente necessario chiarire questo equivoco per salvare la gente da gravissimi pericoli. Il vero amore sattvico (incluso l'amore materiale diretto verso le creature e non soltanto verso il Creatore) è sostenuto naturalmente da dharma (satya, daya, sauca, tapas) e quindi sublima il desiderio e lo innalza addirittura al livello della divinità (7.11), culminando sul piano del visuddha sattva nella passione trascendentale dell'estasi del bhakti rasa e bhakti bhava diretti verso l'Esistenza Suprema, anch'essa fatta di sentimenti: raso vai sah, rasam hy evayam labdhvanandi bhavati, "Dio è sentimento, e raggiungendolo, si diventa felici", (Tattirya Upanishad, 2.7.1). Il desiderio in sé non è fonte di degradazione, e può addirittura diventare una potente spinta verso l'evoluzione se viene diretto e incanalato nel modo corretto. Bisogna osservare però che il kama ("desiderio") menzionato in questo verso (kama ipsuna, 18.24) non è del tipo divino, perché è descritto come strettamente associato con ahankara (saahankarena), che è precisamente l'identificazione egotistica ed egoistica, e l'attaccamento che caratterizzano la lussuria. E' desiderio ed emozione incanalati verso lo sfruttamento e la separazione, e inevitabilmente porterà sofferenze e danni. L'espressione bahula ayasa, "con grande sforzo", è collegata direttamente con il concetto di sa ahankara, "con egotismo". 97 Parama Karuna Devi E' importante comprendere che l'impegno spirituale (yata, nitya karma) deve essere proporzionale e adatto alle capacità dell'individuo, come conferma il verso 9.1 su sukham kartum ("da compiere felicemente/ facilmente"). Il concetto di sukham ("gioia") non è condannato nella Bhagavad gita, anzi viene incoraggiato come un'aspirazione naturale dell'essere vivente, della quale possiamo godere anche se non dobbiamo attaccarci troppo (2.15, 2.66, 4.40, 5.3, 5.13, 5.21, 6.21, 6.27, 6.28, 6.32, 9.1, 10.4, 16.23). Analizzeremo ulteriormente l'argomento della gioia e del piacere nei versi dal 18.36 al 18.39. E' vero che nel corso dei nostri doveri sattvici e spirituali in questa vita dobbiamo investire un certo sforzo e tollerare delle difficoltà e persino delle sofferenze, ma non ci viene mai richiesto di fare degli sforzi che sono superiori alle nostre forze o addirittura di andare a cercare deliberatamente la sofferenza, perché nella sofferenza non c'è alcun valore intrinseco. L'idea di sofferenza come merito religioso in sé, chiamato "penitenza" e caratteristico delle ideologie abramiche è in realtà di origine asurica, come vediamo chiaramente affermato nei versi 16.9, 16.10, 16.18, e specialmente 17.19. La giusta via sta dunque nel mezzo - lontano dalla pigrizia indifferente e dalla trascuratezza create da tamas, e anche lontano dallo sforzo eccessivo non necessario e dallo stress causati dal tentativo egotistico e arrogante di stabilire la propria superiorità sotto l'impulso di rajas. Non abbiamo bisogno di far vedere a tutti che siamo grandi devoti, coraggiosi rinunciati, fedelissimi religiosi o personalità straordinarie in qualche altro modo, perché tutto ciò si basa sull'ahankara e sul bahula ayasa, e non farà molta impressione a Dio o alle persone che hanno veramente realizzato la Trascendenza. 98 Bhagavad gita: capitolo 18 Al massimo queste esibizioni di megalomania potranno vincere il favore degli sciocchi ignoranti e creduloni e procurarci temporaneamente seguaci e ricchezze, ma non ne vale certo la pena, perché non potremo tenere il passo e ben presto ci verranno meno le forze e dovremo cadere, per diventare dei cinici imbroglioni (che mantengono una falsa facciata per le "relazioni pubbliche") o semplicemente abbandonando il campo e tornando alla ordinaria vita materialistica come abbiamo visto succedere in molti esempi. Non è difficile da capire: possiamo fare l'esempio dell'esercizio fisico. Se vogliamo raggiungere e mantenere un certo livello di buona forma fisica, dobbiamo stabilire un programma progressivo che si trovi nel raggio delle nostre effettive possibilità, e praticare regolarmente senza sforzarci troppo. Se facciamo jogging, dobbiamo iniziare con una distanza breve a una velocità moderata, poi aumentiamo molto gradualmente un giorno dopo l'altro, osservando attentamente gli effetti sul nostro corpo e sulla nostra mente, e se necessario riposando per uno o due giorni per recuperare le energie. Non ci buttiamo immediatamente a fare una maratona di corsa di 40 km senza la giusta preparazione, semplicemente per impressionare amici e vicini di casa, perché se lo facessimo potremmo finire all'ospedale con danni permanenti che limiterebbero seriamente le nostre attività future e porterebbero le tipiche sofferenze e confusione che risultano dalle azioni rajasiche. I nostri doveri come il sadhana spirituale e l'impegno nelle attività professionali (che possono venire considerate come servizio spirituale) devono essere personalizzati sotto la guida diretta di un insegnante esperto, e regolate secondo tempo, luogo, circostanze e capacità individuali. L'approccio impersonalista, che tratta tutti "in modo trascendentale" artificialmente, senza curarsi di verificare l'effettivo guna e karma e il livello di evoluzione di ciascun 99 Parama Karuna Devi individuo, non è certamente in visuddha sattva ma in tamas, come vedremo nel prossimo verso. VERSO 25 anubandham: del legame futuro/ delle conseguenze; ksayam: distruttivo; himsam: crudele; anapeksya: compiuto senza attenzione; ca: e; paurusam: non sanzionato dalla Divinità; mohat: nato dall'illusione; arabhyate: viene iniziato; karma: lavoro/ attività; yat: che; tat: quello; tamasam: in tamas guna; ucyate: è detto. "Quelle attività che sono causa di legame, che sono distruttive, compiute senza cura, dettate dall'odio e inventate senza avere autentica conoscenza, nate dall'illusione, sono descritte come in tamas. L'espressione anu bandham qui è molto interessante. La parola anu significa "seguendo, regolarmente, strettamente, dietro qualcuno, collegato, connesso, successivo", e bandham significa "legame". Possiamo dunque applicare tutti questi significati per definire le caratteristiche dell'azione o dovere tamasico. Uno di essi è "schiavitù", poiché l'azione viene compiuta in quanto si è costretti a farlo, con la violenza, il ricatto o semplicemente perché non ci sono alternative. 100 Bhagavad gita: capitolo 18 Un altro significato ovvio è che le attività (o "doveri") in tamas creano conseguenze negative per sé stessi e per gli altri, come per esempio le occupazioni professionali di ladri e rapinatori e truffatori. Un altro significato indica un'attività (o "dovere") compiuta semplicemente per imitazione e conformismo, perché "questa è la tradizione", o "si è sempre fatto così", senza veramente comprendere il suo scopo o significato, e quindi con un rischio molto alto di equivoci, errori e fallimenti. Simile a questa interpretazione, possiamo aggiungere la situazione di coloro che si impegnano in attività professionali, sociali o religiose a causa di uno spirito gregario di "gang", qualcosa che i conformisti fanno normalmente quando sentono di aver trovato un gruppo veramente di moda o un club che dà loro un senso di appartenenza esclusiva e cameratismo. Un altro significato si riferisce alle attività che producono assuefazione e dipendenza (specialmente le pratiche masochistiche) o attività compulsivo-ossessive, come i giuramenti (o voti) a vita fatti per egotismo, che possono causare complicazioni inaspettate e persino gravi danni in futuro, e come minimo provocheranno senso di colpa, paura, confusione e depressione nel caso che ci si trovi nell'impossibilità di continuare la pratica a causa di circostanze inevitabili. Questi impegni vengono presi senza valutare veramente la propria forza personale o lo scopo della vita, e spesso in modo irresponsabile e irragionevole, ma creano legami e reazioni. La parola ksaya significa "distruzione, perdita"; nella stessa famiglia etimologica uno ksha-tra è "chi protegge dalla distruzione". Qualsiasi attività (o "dovere") influenzata dall'ignoranza causa generalmente danni a sé stessi e ad altri (16.19, 17.6); nella categoria della distruzione dovremmo includere anche la perdita della fiducia e della fede, la perdita 101 Parama Karuna Devi dell'innocenza e dei buoni sentimenti, la perdita di crediti e meriti karmici, e la perdita di intelligenza, buon senso e buona volontà. Un condizionamento tamasico (chiamato anche "lavaggio del cervello" o "programmazione") imposto come "addestramento" da famiglia, scuola, comunità o organizzazione indebolirà la mente dell'individuo e distruggerà il suo potenziale e le sue opportunità di successo futuro, e a volte anche la possibilità di una vita sana e normale con relazioni e impegni positivi. Una parola di avvertimento anche agli psicologi e agli psichiatri che seguono l'approccio comportamentale secondo gli esperimenti di Pavlov con i cani: una mente davvero scientifica accerterà innanzi tutto la realità dei fattori prima di iniziare qualsiasi esperimento o procedura. I loro metodi potranno essere utili con persone che sono già profondamente immerse nel tamas e hanno bisogno di essere trattate al livello più basso della consapevolezza, come gli animali, e condizionate meccanicamente anche solo per comportarsi in modo accettabile, perché non sono capaci di imparare in altro modo, ma esistono anche esseri umani più evoluti con un potenziale maggiore (magari non ancora pienamente sviiluppato, come generalmente vediamo nei bambini) che potrebbero venire danneggiati dalle procedure. La parola himsa è stata già analizzata in altri versi. Significa "violenza" nel senso di odio e aggressività, crudeltà e malizia, e desiderio di fare del male e causare sofferenza. Le ideologie abramiche danno un valore positivo alle punizioni corporali e alla penitenza inflitta a sé stessi e ad altri, specialmente seguendo "l'esempio ideale" di Gesù Cristo che viene mostrato in uno stato di angoscia, piegato dalle torture e dalle estreme sofferenze chiamate "passione". Questo concetto si sviluppa dall'odio intrinseco verso il corpo e la sua origine naturale attraverso la nascita da una madre, chiamata "peccato originale", dal quale il credente deve essere purificato tramite le sue sofferenze o le 102 Bhagavad gita: capitolo 18 sofferenze di un capro espiatorio che ne prenda il posto. Questa è pazzia tamasica in una forma gravemente distruttiva, e non può assolutamente portare alla liberazione o alla realizzazione spirituale. L'ignoranza normalmente causa crudeltà e insensibilità, e quando viene portata all'estremo, persino pazzia delusionale con tutte le perversioni del caso. La parola anapeksa significa "indifferente, senza considerazioni"; è stata usata in senso positivo nel verso 12.16 applicata all'indifferenza verso le circostanze che potrebbero distrarci dal nostro giusto dovere. In questo verso la definizione è usata in senso negativo, applicata all'indifferenza verso l'azione stessa - che viene compiuta in modo trascurato, pigro, distratto, cercando scorciatoie, o senza sincerità, attenzione o devozione. Si applica anche all'indifferenza verso le sofferenze e i problemi che si causano agli altri, e all'indifferenza verso i principi dell'etica o dharma, verso la decenza o la bontà. Un'altra applicazione del termine si riferisce al menefreghismo verso le conseguenze dell'azione, i suoi svantaggi e demeriti, e le possibilità di successo; questo approccio può sembrare simile all'atteggiamento sattvico, ma non è ispirato dal coraggio e dallo spirito di sacrificio nel compimento del proprio dovere, perciò rimane sul livello dell'irresponsabilità e dell'inettitudine. Anche la parola paurusam è molto interessante. Si riferisce al livello umano, sul quale la mente può fabbricare molti metodi diversi basati sulla speculazione e la fantasia, sull'idea del proprio potere e delle proprie capacità; è l'opposto di a-paurusa, una definizione usata per indicare la conoscenza vedica (apauruseya, "sovrumana"), che viene realizzata - direttamente "vista" - dai rishi nella sua completezza e perfezione. In questo verso, paurusam si riferisce a qualche attività o dovere che è stato inventato o fabbricato artificialmente, a capriccio, senza riferimenti alle scritture, ma per servire qualche scopo materiale. 103 Parama Karuna Devi Questo significato è rafforzato dal termine seguente, mohat, "per illusione", che può indicare una percezione illusoria del proprio potere e della propria forza, che non ci permette di comprendere veramente se siamo in grado di compiere quell'azione oppure no. La combinazione di questi significati dà l'impressione di ciechi che guidano altri ciechi, brancolando attorno nel buio, eppure affermano che sanno benissimo dove stanno andando - una situazione che si può facilmente riconoscere in molti aspetti della società attuale, specialmente nella maggior parte dei campi accademici di psicologia, sociologia, politica, e via dicendo. Il cosiddetto metodo ascendente empirico per acquisire la conoscenza non è condannato dalla civiltà vedica, ma non gli viene dato un gran valore in sé stesso, anche a causa della vasta quantità di informazioni e conoscenza che è già disponibile perché la possiamo studiare. Vediamo per esempio in matematica e fisica che il processo di apprendimento fa buon uso della conoscenza offerta dagli scienziati precedenti, e noi approfittiamo felicemente di formule e teoremi e "leggi" e altre pietre miliari di conoscenza universalmente riconosciute e accettate in questi campi, nonostante il fatto che possono non essere accurate al 100% e vengano talvolta contraddette da scoperte successive. Eppure, sarebbe stupido pensare che ciascuno debba riscoprire completamente (invece di verificare) di persona ogni singolo frammento di conoscenza che è attualmente disponibile grazie al lavoro degli scienziati precedenti. La parola arabhyate è interessante; significa letteralmente "viene iniziato" e si riferisce al fatto che i risultati dell'azione sono meno importanti dell'atto di darle inizio. Mentre la conclusione dell'attività risulta da un certo numero di fattori e costituisce l'effetto accumulato di tentativi precedenti, il dare inizio a un'azione è un importante passo che già crea increspature nel mondo e nel nostro territorio karmico. 104 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 26 mukta sangah: libero da ogni associazione; an aham vadi: senza egotismo; dhriti: con determinazione; utsaha: con entusiasmo; samanvitah: provvisto di; siddhi asiddhyoh: nel successo e nel fallimento; nir vikarah: senza cambiare; karta: colui che agisce; sattvika: in sattva guna; ucyate: è detto. "Una persona che si impegna nel dovere senza attaccamento all'associazione, senza egotismo, ma piena di determinazione ed entusiasmo stabili davanti a successo o fallimento, è detta (situata) in sattva guna. L'espressione mukta sanga era già stata menzionata nel capitolo sul Karma yoga: yajnarthat karmano 'nyatra loko 'yam karma bandhanah, tad artham karma kaunteya mukta sangah samacara, “Le azioni devono essere compiute come sacrificio, altrimenti in questo mondo causano legami e ulteriori azioni. Perciò, o figlio di Kunti, dovresti compiere le tue attività con uno spirito di sacrificio, rimanendo libero dall'associazione con la materia" (3.9). Il concetto è stato menzionato di nuovo nei versi 2.47 (sangam tyaktva), 4.23 (gata sangasya muktasya), 5.10 (sangam tyaktva), 5.11 (sangam tyaktvatma), 11.55 (sanga varjita), 12.18 (sanga vivarjita), 15.5 (jita sanga dosa), 18.6 (sangam tyaktva), 18.9 (sangam tyaktva), 18.23 (sanga rahitam). La parola sanga è un composto di sa+anga, che significano rispettivamente "con" (sa) e "membro" o "parte" (anga). 105 Parama Karuna Devi Contiene quindi i significati di "unione, contatto, confluenza, associazione, concluso, completo, con tutte le parti, attaccato, attaccamento, rapporto sessuale" e anche "guerra, conflitto". Una parola strettamente imparentata, sangha, contiene i significati di "associazione, società, organizzazione, gruppo, folla, ordine religioso, chiesa, compagnia, assemblea, cemento composito". E' chiaro che Krishna ci sta mettendo in guardia contro il problema dell'identificazione e dell'appartenenza a qualche tipo di "sanga/ sangha" specialmente per quanto riguarda le azioni e il dovere, e non soltanto a causa dell'attaccamento al risultato delle nostre azioni. Le due cose in realtà sono strettamente collegate, perché quando scegliamo di mantenere un senso di identificazione e affiliazione con un particolare gruppo (cadendo così nell'illusione della dualità di interessi) diventiamo attaccati ai risultati delle nostre azioni perché vogliamo offrire tali risultati al rafforzamento del nostro particolare gruppo, e non alla società nel suo insieme e alla Consapevolezza, dove dovrebbero invece essere diretti. Questa mentalità è influenzata da rajas (prithak, "separazione", 18.21) e tamas (anu, "seguendo", 18.25), non da sattva o suddha sattva, perciò se qualcuno cerca di venderci questo approccio come se fosse trascendentale, sappiamo come rispondere. La situazione è particolarmente grave quando qualcuno cerca di arruolarci o sfruttarci per l'interesse di un gruppo (organizzazione, matha e simili) usando il nome di Dio ("diventa un devoto di Dio") e poi esige che noi adattiamo le nostre credenze e pratiche secondo le linee politiche dell'organizzazione perché siamo suoi "membri" e la nostra fedeltà e obbedienza va all'organizzazione innanzi tutto, senza considerare le vere istruzioni di Dio. Certamente possiamo notare che una sanga/ sangha può essere sotto l'influenza di sattva, rajas o tamas; una sanga/ sangha sattvica sottolineerà l'importanza della "unità" per esempio come "lavoro di squadra e collaborazione" piuttosto che sulla 106 Bhagavad gita: capitolo 18 separazione del settarismo, quindi i risultati saranno radicalmente diversi. Una forte influenza di tamas incoraggerà non soltanto il settarismo e la competizione contro altri gruppi, ma causerà anche intolleranza, comportamenti offensivi e persecuzione fisica delle altre sangha. Più ci eleviamo nel sattva, più ogni cosa diventa migliore; il livello più alto è il piano trascendentale, in cui siamo uniti (sanga) con la Realtà intera (brahman, paramatma, bhagavan), e quindi sanga diventa yoga. Per tutti coloro che stanno lottando con i guna ci sono anche altre considerazioni. E' detto, krite mantra prayoge va, tretayam tantra sadhane, dvapare vyuha racane, saktih sanghe hi sa kalau, "In Satya yuga il potere si trova in mantra e yoga, in Treta yuga il potere si trova in tantra e sadhana, in Dvapara yuga il potere si trova nella strategia e nella pianificazione, e in Kali yuga si trova nella collaborazione". Persino al livello più basso, la forza di sanga può essere usata in modo benefico sulle persone che sono profondamente immerse nel tamas come la maggior parte di coloro che vivono nel Kali yuga. Usando con attenzione e abilità il potere di tamas (anu, o conformismo) e rajas (prithak, o settarismo) sotto la guida illuminata di un guru veramente qualificato, individui che sarebbero casi disperati possono essere portati al livello di base della vita umana e a un comportamento accettabile, impegnandoli in attività che creeranno punya e aumenteranno sattva (3.6). Ma il guru deve essere veramente qualificato, perché ciò che è medicina per qualcuno sarà veleno per un altro, e l'illusione impersonalista che tutti (o tutti gli individui etichettati artificialmente nella stessa categoria senza adeguata verifica) dovrebbero essere trattati nello stesso modo causerà certamente molti danni e perdite alla società intera. Per i neofiti e i praticanti più deboli sulla via del progresso spirituale, persino il potere di ahankara e mamatva può essere 107 Parama Karuna Devi incanalato in una buona direzione - sattva e suddha sattva incoraggiandoli a identificarsi come devoto di Dio (specialmente del proprio ista deva), come sadhaka, karyakarta, e così via, e sviluppare un senso di appartenenza e di possesso (associazione) nei confronti di Dio, guru, shastra, sadhu, e così via. Se tale associazione (sanga) è veramente qualificata e spiritualmente orientata (in sattva o preferibilmente in suddha sattva), ci sarà di aiuto invece che di ostacolo nel nostro progresso, grazie al buon esempio, all'ispirazione, all'incoraggiamento, alle istruzioni e al sostegno. Se seguiamo veramente questi parametri di sattva e suddha sattva, persino l'associazione con individui che sono meno evoluti di noi (come i nostri studenti o subordinati o dipendenti) ci sarà di beneficio, perché manterrà la buona energia (emozione o bhava) attiva e in circolo nella nostra consapevolezza, e questo ci renderà più aperti all'ispirazione e alle dirette istruzioni del Paramatman. Persino la saggezza popolare afferma che si può imparare molto mentre si insegna ad altri. Sattva, la bontà, ci influenza a diventare liberi da ahankara e mamatva, o perlomeno ad applicarli al livello più alto e puro possibile, usando la nostra posizione e le nostre risorse nel servizio al Supremo e a tutti gli esseri, senza egoismo. Quando lavoriamo in questo spirito puro di servizio, troviamo perseveranza (dhriti) ed entusiasmo (utsaha) nell'azione stessa, perché la soddisfazione deriva da un lavoro ben fatto e dall'aver trovato il proprio posto nel mondo, compiendo adeguatamente i doveri specifici del nostro vero guna e karma. Questo lavoro doveroso viene svolto per sé stesso, senza il bisogno di farsi notare o di essere sostenuti o spinti da altri. La parola dhriti significa "determinazione, perseveranza, pazienza", e deve essere sostenuta da utsaha, "entusiasmo", perché i buoni risultati non arrivano da soli e dobbiamo continuare a spingere e tentare e applicare sforzo e lavoro intelligente, e 108 Bhagavad gita: capitolo 18 dobbiamo anche continuare a farlo con un sorriso e un atteggiamento proattivo. Dobbiamo vedere le difficoltà come opportunità piuttosto che come ostacoli, in modo da imparare a utilizzare qualsiasi cosa venga messa sul nostro cammino dalla vita e dal destino (daivam). Rimanere liberi da ahankara e mamatva (an aham vadi) è possibile anche quando lavoriamo con determinazione, entusiasmo e orgoglio, e troviamo la soddisfazione e un buon mantenimento nelle nostre attività. Dobbiamo semplicemente ricordare "sto solo facendo il mio lavoro" e "sono felice di poter essere utile". Quando siamo equilibrati verso successo e fallimento (siddhi asiddhi), non è per indifferenza o stupidità, ma per un approccio proattivo e ottimista: siamo capaci di vedere ogni passo come valido in sé e persino il fallimento può essere usato per imparare e costruire il futuro successo. Questo si applica sia ai successi e fallimenti che abbiamo già sperimentato sia a quei risultati futuri che sembrano probabili o inevitabili nel corso del giusto compimento del nostro dovere. Asiddhi significa "imperfezione" ed è uno splendido modo di considerare qualsiasi cosa sia meno che perfetta, in ordine discendente da 99% a 0%. Riconosciamo la nostra posizione attuale e poi lavoriamo per progredire, con determinazione ed entusiasmo, afferrando tutte le buone occasioni e scrollandoci di dosso i sentimenti negativi, senza lasciarci distrarre e sviare. Coltivare determinazione e perseveranza significa che dobbiamo essere regolari, cercare di trovare un programma funzionale e fare un po' ogni giorno, anche se poco, e poi riprendere i nostri sforzi con rinnovata energia se per qualche motivo abbiamo dovuto fermarci per qualche tempo. Questo concetto è rafforzato dalla parola nirvikara, "senza cambiamento", a indicare che una volta presa la decisione con intelligenza e saggezza, dobbiamo rimanere con fermezza sulla via 109 Parama Karuna Devi senza ripensamenti e senza lasciarci scoraggiare da difficoltà o perdite, perché niente che abbia valore può essere ottenuto senza una certa misura di sacrifici. Entusiasmo significa che troviamo piacere nel nostro lavoro (su sukham, 9.1) e vi investiamo tutto quello che abbiamo, senza riserve, senza esitazioni, senza trattenerci e senza paura. Sattva è la chiave per il successo progressivo e duraturo. VERSO 27 ragi: molto attaccato; karma phala: i risultati dell'azione; prepsuh: desiderando intensamente; lubdhah: avido; himsa atmakah: di natura crudele; asucih: impuro; harsa soka anvitah: caratterizzato da gioie e dolori; karta: colui che fa; rajasah: in rajas guna; parikirtitah: è dichiarato. "Una persona che agisce per attaccamento per i risultati del suo lavoro, spinta da un intenso desiderio e dall'avidità, distratta da euforia e tristezza, che non ha pulizia o compassione, viene descritta come un lavoratore in rajas. Abbiamo visto che una persona sattvica è sempre equilibrata e stabile di fronte alle varie situazioni e può rimanere con la mente lucida e nervi d'acciaio - è il leader senza paura, il consigliere che può guidare le persone ordinarie fuori da ogni tipo di guaio. Poiché non è avida, vive felicemente con qualsiasi gioia, ricchezza e successo possa ottenere senza troppo stress, e di conseguenza 110 Bhagavad gita: capitolo 18 godrà di una salute relativamente buona e di grande pace mentale. Al contrario una persona rajasica sarà sempre agitata mentalmente, trasportata qua e là da potenti emozioni e desideri (prepsuh), da euforie e depressioni (harsa soka), vittimizzata dall'invidia e quasi accecata dalla visione ristretta e miope tipica dell'egoismo. Sarà dunque incapace di comprendere che i metodi artificiali che sta usando oggi per sostenere la sua vita stressata e ottenere successi immediati finirà per pesare sulla sua salute fisica e mentale, sulle relazioni, e persino sulle occasioni di godere di ciò che ha accumulato - ricchezze, proprietà, posizioni e così via. Una persona rajasica (uomo o donna) è egoista, e ciò non la rende molto popolare nonostante tutti i suoi sforzi di guadagnarsi una buona posizione sociale, e certamente non sarà mai capace di avere una relazione veramente soddisfacente, basata sull'amore e sull'affetto. Poiché chiede, "e io cosa ci guadagno?" prima ancora di ascoltare quello che gli altri hanno da dire, sta distruggendo brutalmente sul nascere qualsiasi buon sentimento e si sta tagliando fuori da qualsiasi vero progresso evolutivo, perché il suo interesse rimane incollato al profitto materiale grossolano nella forma di gratificazione dei sensi, possesso e dominio. Il termine ragi ("attaccato") indica lussuria, che è molto differente dall'amore, anche quando si parla di relazioni personali. Che dire degli oggetti materiali e delle ricchezze, una persona rajasica continua a soffrire e rimane triste perché nessuna relazione può veramente soddisfare la sua fame. Mangia continuamente, sempre di più, e poi vomita in modo da poter essere in grado di mangiare ancora - questo si applica anche alle relazioni, come vediamo nel caso di persone che hanno sviluppato una sorta di tossicodipendenza per il sesso superficiale, il flirting e la vita sociale priva di significato. Un avaro (kripana) è avido e insazabile (lubdhah) e invidioso delle proprietà e dei successi degli altri, ma non è mai capace di godere veramente dei propri successi e 111 Parama Karuna Devi proprietà, perché sta sempre pensando allo scopo successivo e soprattutto ha paura di perdere ciò che già possiede. Così alla fine soffre più di un vero povero, perché almeno la persona che non possiede nulla non ha paura di perdere ciò che non ha. Questo si collega anche all'espressione himsa atmaka, che può essere interpretata a diversi livelli. Su uno di questi livelli, himsa atmaka significa "chi ha una natura violenta e crudele", ma vediamo che generalmente le persone violente hanno anche l'abitudine di fare del male a sé stesse, in un modo o nell'altro. In un'interpretazione molto diretta, possiamo vedere che le persone rajasiche tendono a commettere suicido più facilmente, a causa delle depressioni terribili e disperate che attraversano quando perdono l'oggetto del loro attaccamento ricchezze, buon nome, carriera, famiglia, una relazione romantica o sessuale, il successo al quale aspiravano o che sognavano. Ma ci si può fare molto male anche con l'abuso di droghe o semplicemente con lo stress e l'eccessiva pressione mentale, il brivido della paura, o qualche strano desiderio di morte come nel caso di quei matti che credono sia divertente andare a nuotare con gli squali, arrampicarsi su rocce pericolose, fare bungee jumping o paragliding, o guidare a massima velocità di notte senza fari o sulla corsia sbagliata dell'autostrada, e così via. Tali attività vengono compiute senza alcun beneficio per la società o per gli individui, ma semplicemente per stimolare la produzione di adrenalina e provare un'emozione forte. Certo, il problema è che l'effetto dello stimolo ha una curva discendente; ogni forma di ebbrezza produce effetti collaterali - il mal di testa e gli altri sintomi dopo una sbornia, crisi da astinenza, rigetto, assuefazione, desensibilizzazione o eccessiva sensibilizzazione, reazioni e dipendenza. Dopo che l'effetto piacevole è passato, il tossicodipendente si sente peggio del normale e a lungo andare avrà bisogno di consumare una dose pericolosa della 112 Bhagavad gita: capitolo 18 sostanza semplicemente per sentirsi "normale", e per sentire lo stimolo rischierà spesso l'overdose. La tossicodipendenza causa inoltre allucinazioni molto spiacevoli, depressioni disperate, rabbia e accessi di violenza, ansietà, paranoia, tendenze schizofreniche e molti altri disturbi mentali; provoca dolori in tutto il corpo, nausea e molti altri problemi fisici, soprattutto a causa dei danni a cervello e fegato. Questo si può osservare in vari gradi in coloro che consumano sostanze che danno dipendenza, come erbe psicotropiche e stimolanti (da quelle leggere e talvolta benefiche come teobromina, caffeina, cannabis, nicotina e bevande leggermente alcoliche, a quelle più forti e pericolose come datura, psilocibina e così via) e ancora di più in ordine crescente di gravità con liquori, eroina, morfina e altri derivati dell'oppio, cocaina e altre droghe normalmente usate per secoli in varie culture, e a quelle recenti sintetiche, i cocktail chimici come LSD, anfetamine, meth e roba simile, come anche i farmaci prescritti legalmente, e persino i solventi commerciali (sniffati da alcuni bambini di strada) e così via. E' interessante notare che lo stesso stimolo e danni simili possono essere causati da sostanze naturali prodotte dal nostro stesso corpo - specialmente la ghiandola pituitaria e altre - in particolari condizioni di stress o eccitazione come pericolo, fatica, sforzo fisico e così via. Si tratta di endorfine neuropeptidi, l'ormone adrenalina (conosciuto anche come epinefrina) e i vari neurotrasmettitori dopamine prodotti da un particolare approccio rajasico verso il sesso, il gioco d'azzardo, i video game, l'esercizio fisico, il rischio o il pericolo, il successo sociale, l'attenzione personale, l'abuso di sostanze psicotropiche e persino alcuni tipi di musica. 113 Parama Karuna Devi E' interessante anche notare che per ottenere l'effetto di produzione di dopamine non è veramente necessario assumere la sostanza o compiere l'azione collegata - è sufficiente che la mente entri in uno stato di anticipazione o ricordo del consumo o dell'attività relative attraverso i sensi interiori (antah karana). Le tossicodipendenze e l'abuso di droga sono tipici di persone fortemente influenzate da rajas e tamas; il tipo rajasico usa queste sostanze come stimolo, mentre il tipo tamasico usa le stesse sostanze per attutire o bloccare sensazioni, emozioni o pensieri spiacevoli. Alla fine però sia l'euforia che la depressione, e anche l'oscuramento di tutte le sensazioni, sono causa di sofferenza e degradazione, prima o poi. Certo, esiste una categoria più oscura di persone asuriche che si comporta anche peggio, sviluppando una specie di tossico dipendenza per il provocare dolore, sofferenza e morte ad altri "per divertimento"; il numero di queste sfortunate anime sta crescendo sotto la pressione di ciò che va sotto il nome di "cultura" e "intrattenimento", e l'accumulo dei risultati karmici sarà disastroso. Una persona che dà tanta importanza alla gratificazione dei sensi, all'acquisizione e al possesso e alla posizione, come se fossero permanenti e potessero definire il nostro scopo nella vita attraverso identificazione e attaccamento, guarderà certamente le persone in un modo impuro (asuci), pensando sempre a come potrà ottenere da loro qualche beneficio o guadagno, e frequenterà volentieri cattive compagnie di persone sporche di mente, che sembrano offrire maggiori opportunità di benefici materiali - il che accade piuttosto spesso. Ciò si applica anche al contatto con gli oggetti e le acquisizioni materiali, perché una persona rajasica non sta a vedere se i suoi guadagni sono puri o impuri - come disse il famoso imperatore romano, "pecunia non olet" ("il denaro non puzza"). 114 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 28 ayuktah: non impegnato/ senza collegamento (con lo yoga o le scritture); prakritah: materialistico; stabdhah: ostinato; sathah: ingannatore; naiskritikah: distruttivo; alasah: pigro; visadi: triste; dirgha sutri: che rimanda sempre; ca: e; karta: uno che fa; tamasa: in tamas guna; ucyate: è detto. "Una persona che agisce in tamas guna non è impegnata (in attività utile), è materialista, testarda, bugiarda, pigra, triste e rimanda sempre (gli impegni). La parola a-yukta è l'esatto contrario di yukta (2.39, 2.50, 2.51, 2.61, 3.26, 4.18, 5.6, 5.7, 5.8, 5.12, 5.21, 5.23, 6.8, 6.14, 6.17, 6.18, 6.29, 6.47, 7.17, 7.18, 7.22, 7.30, 8.8, 8.10, 8.14, 8.27, 9.14, 9.22, 9.28, 9.34, 10.10, 12.1, 12.2, 17.17), una parola che Krishna usa come sinonimo di yogi (3.3, 4.25, 5.11, 5.12, 5.24, 6.1, 6.2, 6.8, 6.10, 6.15, 6.19, 6.27, 6.28, 6.31, 6.32, 6.42, 6.45, 6.46, 6.47, 8.14, 8.23, 8.25, 8.27, 8.28, 10.17, 12.14, 15.11). Rileggendo questi versi saremo capaci di comprendere più profondamente il significato di questa definizione. Yukti, o yoga, include i significati di "impegno, collegamento, servizio, azione consapevole, azione utile, relazione" e può essere considerato l'opposto della mentalità separatista che deriva dall'illusione della dualità. Tra i vari significati di ayukta troviamo "disoccupato, instabile, irregolare, scollegato, senza fondamenta o base, senza riferimento a un metodo o agli shastra, irresponsabile, pigro, incompleto". 115 Parama Karuna Devi Ciò è confermato dai versi che parlano direttamente di coloro che sono ayukta: nasti buddhir ayuktasya na cayuktasya bhavana, na cabhavayatah santir asantasya kutah sukham, “Una persona che non è collegata/ impegnata (nello yoga) non può comprendere bene le cose. Chi non è impegnato (nello yoga) non può ottenere buoni risultati, o trovare la pace. E come ci può essere felicità senza pace?" (2.66), e yuktah karma phalam tyaktva santim apnoti naisthikim, ayuktah kama karena phale sakto nibadhyate, "Uno yogi abbandona l'attaccamento ai risultati delle attività e quindi trova la pace duratura. Chi non è uno yogi rimane legato ai risultati dell'azione che desiderava ottenere con il lavoro" (5.12). La parola prakrita deriva direttamente da prakriti ("natura") applicata alla natura materiale, perciò indica una persona che vede la vita come una semplice manifestazione della natura materiale, come fanno gli animali. In sé stessa, la definizione non è offensiva o negativa, ma limita l'intelligenza e le attività dell'individuo al livello materiale. Il termine contiene dunque i significati di "materialista, spontaneo, ingenuo, sempliciotto, sentimentale, passivo, senza cultura, analfabeta, grossolano". A un livello più profondo, può indicare una persona che è schiava della natura del corpo, cioè della mente e dei sensi, e concentra la consapevolezza soltanto sulle loro richieste, senza preoccuparsi delle conseguenze. Queste due interpretazioni riflettono le qualità di rajas e tamas. D'altra parte, la parola stabdha è certamente negativa; significa "testardo, rigido, ostinato, arrogante, impudente" ed è stata usata nel verso 16.17 per descrivere la natura asurica. La parola sathat è ancora peggio, poiché significa "manipolatore, ingannatore, astuto, furtivo, imbroglione, segreto, ipocrita". Il termine naiskritika significa letteralmente "disfacimento", e indica un comportamento distruttivo, che insulta e tortura altri, 116 Bhagavad gita: capitolo 18 cercando di creare problemi e distruggere ciò di cui hanno bisogno per vivere. Contiene anche i significati di "avaro, cattivo, passivo aggressivo, ricattatore". La parola alasa significa "indolente, languido, pigro" mentre visadi significa "depresso, triste, negativo" come nei sentimenti di Arjuna nel primo capitolo della Bhagavad gita. L'espressione dirgha sutri significa "procrastinare, rimandare, pasticciare, perdere tempo" come quando ci si mette un mese per fare il lavoro di un giorno o si "ammazza il tempo" con qualche gioco stupido. Il Bhagavata Purana (1.16.9) elabora ulteriormente: mandasya manda prajnasya, vayo mandayusas ca vai, nidraya hriyate naktam, diva ca vyartha karmabhih, "Persone pigre e ignoranti/ sciocche, che vivono pochi anni, passando le notti a dormire e i giorni a sprecare le ore in occupazioni prive di utilità." VERSO 29 buddheh: dell'intelligenza; bhedam: la differenza; dhriteh: della determinazione; ca: e; eva: certamente; gunatah: a seconda dei guna; tri vidham: tre tipi di; srnu: ascolta; pra ucyamanam: come sono descritti; asesena: in molti modi; prithaktvena: differenti; dhananjaya: o Dhananjaya. "O Dhananjaya, ci sono anche tre tipi di intelligenza e determinazione, a seconda dei guna. Ascolta, te li descrivo. 117 Parama Karuna Devi La parola buddhi ("intelligenza, comprensione") è stata usata spesso nella Bhagavad gita come fattore fondamentale nella realizzazione del sé e nel progresso in conoscenza e saggezza verso la liberazione. Krishna ha già introdotto il concetto nel verso 2.39: esa te 'bhihita sankhye buddhir yoge tv imam srinu, buddhya yukto yaya partha karma bandham prahasyasi, “Ho spiegato il Sankhya Yoga - ora ascolta il Buddhi Yoga. O Arjuna, attraverso questa applicazione dell'intelligenza e della giusta comprensione sarai liberato dai legami del karma". Poi continua ad elaborare sul Buddhi Yoga dal verso 2.49 al 2.53, e a parlare dell'importanza di intelligenza e comprensione, culminando nel verso 2.63: krodhad bhavati sammohah sammohat smriti vibhramah, smriti bhramsad buddhi naso buddhi nasat pranasyati, “La collera diventa confusione e la confusione diventa perdita della memoria. Quando la memoria viene meno, l'intelligenza va perduta, e quando l'intelligenza è perduta, si cade nella distruzione." Di nuovo Krishna metterà in rilievo l'importanza dell'uso della propria intelligenza, specialmente nei versi 5.20, 6.9, 6.21, 6.43, 8.7, 10.10, 12.8, 12.14, 15.20. E' interessante il fatto che buddhi ("intelligenza") e dhriti ("determinazione") siano menzionate insieme in questo verso, perché l'intelligenza senza determinazione non sarà sufficiente per eseguire le azioni fino al giusto completamento, mentre la determinazione senza intelligenza è semplice ostinazione che ci fa rimanere attaccati a scelte sbagliate e dannose. La parola bheda significa "classificazione", ma anche "divisione, differenziazione, separazione", e in questo senso può essere collegata con viveka, la funzione discriminante dell'intelligenza che ci fa comprendere la differenza tra sat e asat, tra dharma e adharma, tra vidya e avidya. Dunque a un livello primario, bheda in questo verso si riferisce alla distinzione tra le tre diverse categorie di intelligenza e determinazione secondo i tre guna, ma a 118 Bhagavad gita: capitolo 18 un livello più profondo vediamo che bheda in quanto viveka diventa anch'essa un fattore insieme a buddhi e dhriti, per la fase preliminare dell'azione, quando si fa la scelta di compierla (arambha, 3.4, 4.19, 12.16, 14.12, 14.25, 18.48). L'espressione pra ucyamanam significa "come è stato detto", e si riferisce all'elaborazione che Krishna offrirà nei versi successivi e che viene presentata come particolarmente accurata dai termini asesena ("completamente") e prithaktvena ("distintamente"). E' anche interessante notare che il significato primario di asesena è "senza fine", che in questo contesto si riferisce alle innumerevoli suddivisioni secondarie (prithak) delle caratteristiche dei tre guna quando si accoppiano e si intrecciano l'uno con l'altro. Dunque oltre alle tre modalità primarie conosciute come sattva, rajas e tamas (che raramente si trovano allo stato puro, perché continuano ad interagire tra loro), abbiamo sattva-sattva, sattvarajas, sattva-tamas, rajas-rajas, rajas-sattva e rajas-tamas, tamastamas, tamas-rajas e tamas-sattva. Inoltre, nelle persone individuali (e anche negli oggetti materiali e nelle situazioni) possiamo trovare anche sattva-rajas-tamas, sattva-tamas-rajas, rajas-sattva-tamas, rajas-tamas-sattva, e così via con molte combinazioni (anzi infinite combinazioni, perché continuano a cambiare con il tempo e l'azione) differenti, in cui la definizione mostra la preminenza di un guna sugli altri secondo la posizione relativa nella parola composta. Così per esempio sattva-rajas è una combinazione in cui una persona ama lavorare duramente per il bene della società, e sebbene goda del dinamismo del proprio impegno e di una varietà di stimoli per l'intelligenza, e abbia un gusto per i benefici e i piaceri insiti nel suo lavoro e nella sua posizione sociale, quando deve scegliere tra l'onestà e il successo sceglierà immediatamente l'onestà e userà la propria ricchezza e posizione senza egoismo. 119 Parama Karuna Devi D'altra parte una persona rajas-sattva tenderà ad essere più orgogliosa e approfitterà della propria posizione per ottenere onori e attenzioni speciali, anche se esteriormente e superficialmente rimarrà un gentiluomo raffinato e persino un filantropo. Una persona sattva-rajas-tamas lavorerà onestamente per il bene degli altri, godendo moderatamente dei benefici e dei piaceri collegati a tale impiego, ma sarà gelosa della propria pivacy e attaccata a famiglia, clan, gruppo etnico eccetera; per di più, se si presenta l'occasione, può scegliere di usare la propria posizione per dare benefici speciali a coloro che considera "il suo clan", anche se non sono qualificati o meritevoli. Una persona sattva-tamas-rajas sarà un individuo di buone maniere, un lavoratore buono e onesto, ma se deve scegliere metterà il proprio interesse davanti a quello della società e difenderà ferocemente la propria posizione. Krishna accenna elegantemente a questa mescolanza di influenze che caratterizza i ruoli della società umana rivolgendosi ad Arjuna con il nome di Dhananjaya ("conquistatore di ricchezze"), riferito al servizio che Arjuna compì per suo fratello Yudhisthira specialmente in occasione del Rajasuya yajna, quando Arjuna prese la posizione di supremo comandante dell'esercito e seguì il vagabondare del cavallo nei vari regni per raccogliere tributi e donazioni dai loro governanti in segno di rispetto e collaborazione con Yudhisthira. Questo non significa che Arjuna stesso sia confuso dall'influenza dei guna; significa che il suo ruolo nella società è inevitabilmente basato su una mistura di caratteristiche che hanno origine dai guna, e quindi deve gestirli: na tad asti prithivyam va divi devesu va punah, sattvam prakriti jair muktam yad ebhih syat tribhir gunaih, "Non esiste nemmeno una sola persona, in questo mondo o nel mondo dei Deva, che sia libera dalle influenze dei tre guna creati dalla prakriti" (18.40). 120 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 30 pravrittim: impegno; ca: e; nivriittim: rinuncia; ca: e; karya akarye: ciò che deve essere fatto e ciò che non deve essere fatto; bhaya abhaye: ciò che bisogna temere e ciò che non bisogna temere; bandham: imprigionamento; moksam: liberazione; ca: e; yah: quello; vetti: chi conosce; buddhih: intelligenza; sah: quello; partha: o figlio di Pritha; sattviki: in sattva guna. "O figlio di Pritha, l'intelligenza sattvika è quando si sa cosa deve essere accettato e cosa deve essere rifiutato, quali azioni vanno compiute e quali non devono essere compiute, ciò che si deve temere e ciò che non si deve temere, ciò che porta la liberazione e ciò che porta imprigionamento. Questo verso ci ricorda, per contrasto, il verso 16.7: pravrittim ca nivrittim ca jana na vidur asurah, na saucam napi cacaro na satyam tesu vidyate, "Gli asura non hanno una conoscenza corretta riguardo all'impegno e alla rinuncia. Non hanno purezza, buon comportamento o veridicità." Comprendiamo quindi che gli asura sono in realtà stupidi (alpa buddhayah, 16.9) e tendono a fare sempre le scelte sbagliate, che li legheranno sempre più e li trascineranno ai livelli più bassi dell'esistenza (16.19-20). In questo processo, il paramatman si limita a permettere loro di agire tramite l'atto di volontà della consapevolezza (tan aham ksipami, mam aprapya): sarebbe sbagliato dire che Dio è responsabile di tale degradazione, o che 121 Parama Karuna Devi tale esistenza infernale (naraka, 1.42, 1.44, 16.16, 16.21) in cui si trovano gli asura sia una sorta di punizione ordinata da Dio, come affermano le ideologie abramiche. E' tutta questione di ciò che facciamo con il nostro libero arbitrio: come un genitore amorevole, Dio semplicemente ci assiste e ci sostiene nelle nostre esperienze educative mentre cerchiamo di trovare la felicità, anche nel modo sbagliato e contro i buoni consigli di shastra e sadhu. Inoltre, né il paradiso (svarga) né l'inferno (naraka) sono eterni nessuna condizione materiale di piacere o dolore è mai eterna, poiché tutte le gioie e le sofferenze hanno un inizio e una fine e sono causate dal contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi (per quanto sottili e raffinati): matra sparsas tu kaunteya sitosna sukha duhkha dah, agamapayino 'nityas tams titiksasva bharata, “O Arjuna, il contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi causa gioia e dolore proprio come il freddo in inverno e il calore in estate. Queste sensazioni sono temporanee: vanno e vengono, e dovresti semplicemente tollerarle." (2.14). Qui possiamo anche collegare questo concetto con l'affermazione su ciò che si deve temere e ciò che non si deve temere (bhaya abhaye): dovremmo aver paura soltanto di fare la scelta sbagliata, di preferire l'adharma al dharma, perché tutte le nostre azioni negative porteranno una conseguenza proporzionale nel futuro, prima o poi, causando ulteriore imprigionamento nel ciclo di nascite e morti. D'altra parte non dovremmo temere la morte o la perdita in sé stesse, perché con la giusta consapevolezza possiamo utilizzarle per il nostro progresso verso la liberazione. E non dovremmo mai avere paura di Dio, perché Dio non è nostro nemico. A Dio non interessano i meriti o demeriti di individui o gruppi: nadatte kasyacit papam na caiva sukritam vibhuh, ajnanenavritam jnanam tena muhyanti jantavah, "Il Signore onnipotente non considera i meriti o demeriti delle persone. Ciò che accade è 122 Bhagavad gita: capitolo 18 dovuto soltanto agli stessi esseri viventi, che sono confusi poiché la loro conoscenza è coperta dall'ignoranza" (5.15). Questo significa che in qualsiasi momento possiamo scegliere di cambiare il corso della nostra vita e stabilirci gradualmente su una via migliore. A Dio non interessa se qualcuno non gli è fedele o non gli obbedisce: samo 'ham sarva bhutesu na me dvesyo 'sti na priyah, ye bhajanti tu mam bhaktya mayi te tesu capy aham, "Sono ugualmente ben disposto verso tutti gli esseri. Non odio nessuno e non favorisco nessuno. Eppure, quando qualcuno mi offre un sincero servizio in devozione, anch'io gli rendo servizio con amore e devozione" (9.29). In questa prospettiva, è sensato affermare che Dio è buono e amorevole. Le parole pravritti ("fare, seguire, impegnarsi") e nivritti ("rinunciare, abbandonare") sono alquanto importanti, perché costituiscono il centro focale dell'equilibrio tra i due poli opposti di sat-asat, dharma-adharma, vidya-avidya, e così via. La scelta non è tra due prospettive o darshana della Realtà, o tra una credenza e l'altra, ma tra due direttive d'azione che porteranno automaticamente e naturalmente conseguenze opposte, come paura o mancanza di paura (bhaya abhaya), liberazione e prigionia(moksam bandham), e quindi dovrebbero essere compiute o rifiutate (karya akarya). Le leggi della natura non si preoccupano se noi crediamo o non crediamo: se buttiamo un sasso contro il cielo, il sasso tornerà indietro a colpirci in modo totalmente neutrale, beccando un credente proprio come farebbe con un non-credente. Altri commentatori hanno definito questi due concetti come vihita ("appropriato, stabilito, organizzato, ordinato, doveroso, determinato, destinato, prescritto dagli shastra") e pratisiddhe ("inadatto, omesso, negato, rifiutato, proibito dagli shastra"). Non dovremmo però interpretare questa approvazione delle scritture come qualche tipo di comandamento settario, perché questo non ha niente a che vedere con la mentalità vedica. 123 Parama Karuna Devi L'enfasi sul sostegno delle scritture viene espressa per contrastare la tendenza delle persone ad affidarsi al conformismo sociale o laukika sraddha, che è un'opinione condivisa da alcune o molte persone, ma non sostanziata da alcun fatto o fonte autorevole - in altre parole, una superstizione popolare. VERSO 31 yaya: per la quale; dharmam adharmam ca: dharma e adharma; karyam ca akaryam: ciò che deve essere fatto e ciò che non deve essere fatto; eva: certamente; ca: e; ayatha vat: non chiaramente; prajanati: che comprende; buddhih: intelligenza; sah: quella; partha: o figlio di Pritha; rajasi: in rajas guna. "O figlio di Pritha, il tipo di intelligenza che non comprende chiaramente qual è la differenza tra dharma e adharma, o cosa va fatto e cosa non va fatto, è controllato da rajas. Il significato primario di questo verso è che le persone rajasiche non si preoccupano del dharma, ma soltanto del proprio vantaggio materiale personale, perciò scelgono di etichettare le conclusioni e comportamenti come dharmici o adharmici a seconda dei loro interessi e credenze personali. Similmente, danno legittimità alle proprie azioni, impegni o rifiuti a seconda del grado di beneficio materiale che possono ottenerne 124 Bhagavad gita: capitolo 18 (kama ipsuna, 18.24) o da quanto sembra attraente l'attività stessa (akusalam kusale, 10, istam anistam, 12) e preferenze personali (raga, dvesa, lobha, bhaya). Nel nostro commento precedente abbiamo menzionato la differenza tra shastra buddhi ("comprendere attraverso le scritture") e laukika sraddha ("credenza popolare"); la giusta comprensione dei principi eterni della conoscenza come sono stati contemplati direttamente dai rishi ("anime realizzate") è illuminata da sattva, mentre l'influenza di rajas porta le persone (loka) a sviluppare particolari credenze (sraddha) secondo i loro interessi egoistici. L'avidità non si applica soltanto alla lussuria sessuale o all'acquisizione di denaro e altri possedimenti materiali. Include anche forme più sottili di gratificazione dei sensi come fama, nome, adorazione, posizione sociale, riconoscimenti, onori, e così via. Si espande anche nell'egoismo collettivo, l'avidità e l'aumento di potere come vediamo nei movimenti settari e nelle ideologie intolleranti. Questo si applica facilmente alla distinzione tra pravritti e nivritti su vari livelli di significato, ma in ogni caso il concetto centrale qui è ayathavat, che significa "sbagliato, non vero, non completamente compreso, scorretto, equivocato". Krishna ci sta dando lo strumento di misura per verificare il valore di tutte le possibili conclusioni e comportamenti; uno dei darshana principali nella tradizione Vedica è Nyaya, che significa letteralmente "logica". Perciò tutte le conclusioni e i comportamenti devono essere passati accuratamente attraverso il setaccio degli argomenti logici, della verifica diretta e degli esempi dalle scritture autentiche compilate da persone veramente realizzate. Abbiamo visto molto volte Krishna dire enfaticamente ed esplicitamente che dobbiamo superare l'illusione della dualità 125 Parama Karuna Devi (dvandva, 2.45, 4.22, 5.3, 5.25, 7.27, 7.28, 15.5) e ha anche ripetuto lo stesso concetto di atteggiamento equanime verso situazioni opposte nei versi 2.14, 2.15, 2.38, 2.48, 2.50, 2.56, 2.57, 2.64, 3.30, 3.34, 5.19, 5.20, 6.7, 6.8, 6.9, 6.29, 6.31, 6.32, 12.13, 12.15, 12.16, 12.17, 12.18, 12.19, 13.10, 13.28, 13.29, 14.24, 14.25, 18.50, 18.51. Purtroppo, le persone influenzate da rajas e tamas rimangono incapaci di comprendere correttamente questo punto, e immaginano che l'unico modo per superare la dualità consiste nel negare il valore di viveka, l'intelligenza discriminante. Questo problema è creato anche dall'atteggiamento fondamentalmente dualistico per il quale ci si aspetta che l'individuo diventi ufficialmente affiliato a una particolare ideologia e vi rimanga esclusivamente fedele, in una forma di egoismo allargato anch'esso influenzato da rajas, e quindi abbandoni il giusto uso dell'intelligenza discriminante, delegandolo ai "leader" o alle "autorità" che sono considerate "i guardiani della tradizione". Vediamo questo problema per esempio nella dicotomia tra i "seguaci delle scuole dvaita" e i "seguaci dell'advaita", come se dvaita fosse una realtà totalmente diversa in opposizione all'advaita e non semplicemente una prospettiva differente della stessa Realtà. Questi due gruppi sono spesso erroneamente presentati come pravritti marga e nivritti marga. Nell'approccio tipicamente abramico, il campo opposto è considerato non semplicemente in errore (o "di comprensione incompleta") ma pericolosamente malvagio (cioè satanico), perché la fedeltà a una particolare affiliazione ideologica si basa sulla paura di commettere il peccato di "infedeltà" manifestato apprezzando il valore di qualche affermazione presentata dal campo opposto. Questa idea è totalmente aliena rispetto al sistema originario vedico, in cui tutti i vari darshana sono rispettati come prospettive 126 Bhagavad gita: capitolo 18 diverse, purché siano d'accordo sui principi fondamentali universali ed eterni - del dharma (sanatana dharma), che non hanno niente a che vedere con credenze o prospettive o con la scelta di un ista devata. Questo è il motivo per cui l'induismo è così ampio da non aver paura di "eretici" o "infedeli" e ascolta con mente aperta tutte le buone idee: a no bhadra kritavo yantu visvatah, "che ciò che è buono possa venire a noi da ogni direzione" (Rig Veda, 1.89.1) VERSO 32 adharmam dharmam: adharma (come) dharma; iti: così; yah: che; manyate: considera; tamasa avrita: coperto dall'ignoranza; sarva arthan: in tutti i valori/ tutte le imprese; viparitan: nella direzione sbagliata; ca: e; buddhih: intelligenza; sah: quella; partha: o figlio di Pritha; tamasi: in tamas guna. "O figlio di Pritha, il tipo di intelligenza influenzata da tamas crede che adharma sia dharma, e poiché è coperto dalle tenebre sceglie sempre la direzione sbagliata in ogni impresa. Mentre le persone rajasiche decidono per opportunismo ciò che è dharma secondo il loro particolare interesse materiale egoistico, le persone tamasiche scambiano regolarmente il dharma per adharma, e l'adharma per dharma. Non dicono, "non so cosa sia il dharma", o "non esiste il dharma", ma piuttosto hanno opinioni 127 Parama Karuna Devi molto rigide e quindi causano i peggiori danni agli individui e alla società, poiché cercano continuamente di imporre l'adharma come dharma su tutti gli altri. Semplicemente come nota a margine, dovremmo ricordare che i principi fondamentali del dharma sono veridicità, compassione, onestà, autocontrollo e così via; qualsiasi "insegnamento religioso" che vada contro questi principi è chiaramente dettato da tamas. La parola avrita significa "coperto" e si riferisce alle tenebre dell'ignoranza e della stupidità che sono quasi palpabili, come una fitta nebbia sulla quale l'individuo o il gruppo tamasico proietterà le proprie credenze cieche. Un'altra applicazione del termine avrita si riferisce alla stratificazione di vari tipi di sporcizia, concetti errati, credenze infondate o mal riposte, sovrapposizioni culturali scorrette, e idee contrastanti e capricciose accumulate durante le nostre varie esperienze. Il punto è che questi concetti rimangono separati e opposti, senza alcun tentativo di riconciliarli in un quadro armonioso e sensato; vengono semplicemente sovrapposti senza giusta discriminazione anche se l'immagine è veramente mostruosa - come una pila di diapositive o trasparenze di un oggetto visto da diverse posizioni e prospettive. L'espressione yah manyate ("pensa") riassume l'intero problema delle opinioni ordinarie infondate e non verificate, che siano proprie o di qualcun altro, presentate come fatti autentici o verità. Generalmente queste opinioni sono create da un'osservazione superficiale priva di vera conoscenza, come quando una persona di mente semplice vede un macchinario che funziona o un veicolo che si muove, e pensa che l'oggetto stia agendo in modo indipendente, senza alcun operatore. L'espressione sarva arthan significa letteralmente "tutti i significati, tutti gli scopi, tutti i valori" e si applica sia alla teoria che alla pratica. Anche la parola viparitam ("direzione sbagliata") è molto interessante; esprime l'idea di "totalmente opposto, 128 Bhagavad gita: capitolo 18 sottosopra", in cui la percezione è esattamente l'opposto della realtà. Ora, commettere qualche errore lungo il cammino non è un problema molto serio, perché possiamo imparare e correggerci e diventare ancora più forti e saggi di prima, ma camminare nella direzione sbagliata è un problema serio che deve essere preso in debita considerazione il più velocemente possibile per evitare di perdere un sacco di tempo e di energie. Non dovremmo aver paura di abbandonare una strada sbagliata, se dopo aver sperimentato in modo corretto, per un periodo ragionevolmente lungo, ci rendiamo conto che ci sta portando in effetti nella direzione opposta. La cieca fedeltà a un'ideologia settaria per la quale si accettano idee positive soltanto da un particolare gruppo è certamente diversa dalla determinazione di seguire onestamente e seriamente un metodo applicando tutti i requisiti necessari. Una volta che lo studente ha scelto un guru, dovrebbe seguire fedelmente il metodo e applicarlo senza scorciatoie, ma le domande dovrebbero sempre essere incoraggiate (pariprasnena, 4.34). Uno studente intelligente non dovrebbe chiudere gli occhi "per lealtà" davanti alle evidenti contraddizioni ed errori o incoerenze negli insegnamenti o comportamenti del guru; uno studente ha non soltanto il diritto ma anche il dovere di fare domande rilevanti (rispettosamente ma chiaramente) per verificare se abbia effettivamente mal compreso qualcosa. Un guru genuino dovrebbe accogliere lietamente queste domande come un'ottima occasione di aiutare lo studente a comprendere come teoria e pratica vanno applicate alle varie circostanze di tempo, luogo e persona, e se qualche errore è stato effettivamente commesso per distrazione o per qualche altro motivo, il guru autentico sarà lieto di correggere l'errore. Altrimenti, lo studente dovrebbe capire che il guru non è autentico, e che non c'è offesa o errore nell'abbandonare un falso guru. 129 Parama Karuna Devi L'assurdo concetto della cieca fedeltà ideologica, che non è altro che intollerante settarismo e cieca fede, è stato confermato dall'accademia convenzionale, fondata e diretta per molti secoli come strumento di propaganda per l'espansione abramica e per il controllo della società; nelle prime scuole e università dell'era attuale, tutti gli studenti dovevano prendere i voti sacerdotali nella chiesa cristiana e tutti gli altri avevano la proibizione di imparare a leggere e scrivere. Poi la chiesa sceglieva gli studenti più astuti e fedeli indottrinandoli e verificando le loro convinzioni attraverso esami prima di dare loro maggiore conoscenza con la quale potevano controllare la società per il beneficio della chiesa soprattutto come preti e altri ecclesiastici, ma anche come insegnanti di scuola o università, intellettuali, scrittori e traduttori, medici, avvocati e notai, magistrati e giudici, diplomatici e consiglieri di governanti. E' ampiamente giunta l'ora di liberare l'induismo da questa influenza disastrosa e ristabilirne la gloria autentica e originaria; questo va fatto separando (viveka) ciò che è veramente conoscenza insegnata dai Veda da ciò che è semplicemente una stratificazione di sporcizia - non diversamente dal fare il bagno a un bambino e buttare via l'acqua sporca. In questa luce, le istruzioni offerte ripetutamente da Krishna sul distanziarsi dal sanga (come corollario di ahankara e mamatva) sono particolarmente preziose (2.47, 4.23, 5.10, 5.11, 11.55, 12.18, 15.5, 18.6, 18.9, 18.23, 18.26). Dobbiamo liberarci dalla paura di non essere "abbastanza leali" a un campo o all'altro, un gruppo o l'altro, una scuola o un'altra, una tradizione o l'altra, un'organizzazione o l'altra, perché questa paura è un ostacolo al vero progresso e all'evoluzione. Ci impedisce di riconoscere le cose buone come buone e le cose cattive come cattive, a prescindere da chi le ha dette o fatte, e certamente questo approccio non porta alla liberazione. 130 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 33 dhritya: determinazione; yaya: per la quale; dharayate: che sostiene; manah prana indriya kriyah: le attività della mente, del prana e dei sensi; yogena: attraverso la pratica dello yoga; avyabhicarinya: senza interruzione; dhritih: determinazione; sah: quella; partha: o figlio di Pritha; sattviki: in sattva guna. "O figlio di Pritha, la determinazione sattvica è ciò che sostiene le doverose attività di mente, prana e sensi attraverso la pratica ininterrotta dello yoga. Possiamo vedere da questo verso che Krishna applica la definizione di yoga a tutte le le attività doverose che un essere umano compie con la mente, il prana e i sensi. La pratica dell'astanga yoga ("ottuplice impegno") consiste di otto parti: yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana e samadhi, e tutte queste possono essere applicate ugualmente a tutti i metodi come hatha, kriya, raja, karma, jnana e bhakti. In realtà queste sono tutte prospettive dello stesso approccio di "unione" con il Supremo, in quanto tutte le definizioni dello yoga sono semplicemente pratiche di sostegno al significato centrale e fondamentale di yoga. Buddhi o vidya include jnana, vijnana, sankhya, sannyasa e moksha, spiega la verità su prakriti e purusha, ci mostra la visva rupa e ci mette in guardia sugli effetti dei guna e sui sintomi della natura daivi e di quella asuri. Possiede anche gli attributi di taraka 131 Parama Karuna Devi e vibhuti, e ci porta alla realizzazione di Purushottama attraverso la bhakti nella giusta azione doverosa o karma. E' dunque molto importante applicare la viveka sattvica alla nostra comprensione dello yoga, altrimenti la determinazione verrà applicata alla visione rajasica o tamasica, e il risultato non sarà altrettanto buono. Per esempio, molti insegnanti di yoga non qualificati saltano allegramente i requisiti fondamentali di yama e niyama, ed evitano accuratamente di dire ai loro studenti cosa dovrebbero essere dhyana e samadhi, mentre Patanjali stesso inizia i suoi Yoga sutra dedicando l'intero primo capitolo a parlare del samadhi e della realizzazione di atman/ brahman come l'unico scopo dello yoga. Non c'è un solo verso negli Yoga sutra di Patanjali che affermi che lo scopo dello yoga è dimagrire o alleviare lo stress o curare le varie malattie fisiche con asana e pranayama, o di vedere le belle lucine e i colori nella propria mente. I vari esercizi tecnici nella meditazione e purificazione di nadi e chakra sono stati aggiunti alla tradizione dello yoga da una quantità di insegnanti sulla base della loro esperienza personale, ma in nessuna circostanza i loro insegnamenti o testi possono essere considerati sullo stesso piano degli shastra originari dello yoga, e certamente non dovrebbero essere presentati sotto l'etichetta di "vero/ migliore yoga" come metodi per ottenere semplicemente una buona forma fisica o alleviare lo stress in modo da poter continuare con una vita materialistica in cui non si applicano né yama né niyama. Il riferimento alle sofferenze c'è (Yoga sutra, 2.11-2.16) ma semplicemente per affermare che devono essere affrontate nella mente, distaccandosi da esse. La Bhagavad gita è più specifica sul gestire in pratica i problemi fisici, ma raccomanda semplicemente attenzione e moderazione 132 Bhagavad gita: capitolo 18 nel lavorare, mangiare e dormire: yuktahara viharasya yukta cestasva karmasu, yukta svapnavabodhasya yogo bhavati duhkha ha, "Per chi controlla in modo consapevole il consumo di cibo, è controllato nell'andare in giro, fa sforzi controllati nel compiere i propri doveri ed è regolato nel dormire e stare sveglio, lo yoga distrugge le sofferenze" (6.17). Anzi, la definizione fondamentale di yoga è il controllare ed eliminare le fluttuazioni della consapevolezza (yogas citta vritti nirodhah, Yoga sutra, 1.2) per focalizzarla sul puro atman/ brahman (tada drastuh sva rupe avasthanam, Yoga sutra, 1.3) abbandonando tutte le altre identificazioni (vritti sarupyam iti ratra, Yoga sutra, 1.4) e superare le percezioni errate (vrittayah pancatayah klista aklistah - pramana, viparyaya, vikalpa, nidra, smritayah, Yoga sutra, 1.5, 1.6) incluse tutte le fantasie e proiezioni della mente basate sulla falsa conoscenza (viparyayo mithya jnana a tad rupa pratistham, Yoga sutra, 1.8). Tutte le visualizzazioni di fantasia sono quindi escluse molto esplicitamente da Patanjali: sabda jnana anupati vastu sunyo vikalpah, "Le descrizioni o la conoscenza delle cose che sono prive di vera realtà sono chiamate fantasie (e in quanto tali devono essere abbandonate)" (Yoga sutra, 1.9). Gli unici due metodi autentici per ottenere lo scopo dello yoga sono il distacco emotivo e la pratica costante della meditazione sull'atman (abhyasa vairagyabhyam tan nirodhah, Yoga sutra, 1.12) insieme con la diretta meditazione su Isvara (tat param purusa khyater guna vaitrisnyam, Yoga sutra, 1.16) o semplicemente devozione a Isvara (isvara pranidhanad va, Yoga sutra, 1.23). Bisogna stare molto in guardia verso qualsiasi insegnante di yoga che cerchi di complicare maggiormente le cose, specialmente in Kali yuga quando gli esseri umani hanno bisogno di semplificare le procedure e renderle più pratiche e utili per le possibilità limitate delle persone di questa era. 133 Parama Karuna Devi La parola dharayate in questo verso si riferisce ovviamente a dharana ("sostenere"), che è la pratica costante di focalizzare la consapevolezza sull'oggetto di meditazione desiderato. Alcuni esercizi preliminari per i neofiti includono la contemplazione della fiamma di una lampada o di un mandala o yantra, ma in ogni caso bisogna evitare di usare forme immaginarie come forme geometriche scelte casualmente, oggetti materiali ordinari o simili distrazioni, grossolane o sottili. Questo dharana può essere compiuto con successo soltanto se le precedenti parti dell'astanga yoga sono state padroneggiate, da yama e niyama (astensioni e pratiche) a pratyahara (ritirare i sensi dagli oggetti dei sensi). Le riassumeremo brevemente qui: yama consiste di ahimsa (non violenza, compreso il rigido vegetarianesimo), satya (veridicità e onestà), asteya (astensione dall'appropriazione indebita e dall'eccessivo consumo di risorse), brahma acharya (comportarsi come brahman), aparigraha (non accettare doni o pagamenti), mentre niyama consiste di saucha (pulizia e purezza, compresa la purificazione rituale e i samskara), santosha (rinunciare alla ricerca per la gratificazione dei sensi e per i possedimenti), tapas (tollerare le difficoltà nel compimento dei propri doveri) e svadhyaya (studio delle scritture su atma vidya e brahma vidya). Senza essere fermamente stabiliti in queste pratiche, "padroneggiare" asana e pranayama non significa nulla, perché si applicherà soltanto al corpo e non avrà alcun effetto sulla mente, e in alcuni casi potrebbe avere persino effetti contrari, come l'aumento della pressione del sangue, dolori fisici e così via, a parte uno sfortunato accrescimento dell'egotismo (ahankara) e dell'arroganza (abhimana). Molte persone interpretano erroneamente lo scopo di asana e pranayama (e dei vari kriya) come una specie di esercizi per intrattenimento o per impressionare la gente, magari facendo ballare lo stomaco nella sua cavità o passando una sottile garza di 134 Bhagavad gita: capitolo 18 cotone dentro la bocca e fuori dal naso, o dimostrando complicate contorsioni o equilibri precari in posizioni strane ed esotiche. Ma il significato della parola asana è "posto per sedersi", e lo scopo dell'asana è sedersi in meditazione; la varietà di posizioni e di movimenti ha il solo scopo di addestrare il corpo a rimanere fermo e tranquillo, in modo da non disturbarci o distrarci dalla meditazione - che consiste nel concentrare la consapevolezza sull'atman/ brahman. Questo punto è confermato da altri commentatori con l'espressione nirbheda brahma anusandhana, "diventare uniti nel brahman senza alcuna differenza/ interruzione". Le dimostrazioni fisiche sensazionalistiche offerte da alcuni yogi hanno unicamente lo scopo di impressionare e attirare le persone sciocche e di mente semplice, e ispirare una certa meraviglia e reverenza per la capacità di fare cose straordinarie; un vero studente dello yoga non si lascia distrarre da questi trucchi. Similmente, la parola pranayama significa "controllo del prana", e si esegue attraverso il controllo della respirazione - non consiste semplicemente nel controllo del respiro. Proprio come l'equilibrio immobile del corpo è utile per stabilizzare e focalizzare la mente, la circolazione del prana e la respirazione vanno ridotte e infine fermate per facilitare la cessazione di tutti i movimenti della mente (yogas citta vritti nirodhah, Yoga sutra, 1.2). Bisogna poi fare esattamente la stessa cosa con i sensi attraverso il pratyahara (letteralmente "dirigere il consumo eliminando") cosa che include non solo la pratica di limitare la quantità di cibo consumato da bocca e stomaco, ma anche dell'altro "cibo per i sensi" attraverso l'udito, la vista, il tatto, l'odorato, il ricordo e il desiderio (attraverso gli antah karana o sensi interiori). Questo non comporta la totale astensione ma piuttosto il controllo e il distacco (5.8, 5.9) come confermano i versi 6.16 e 6.17 e specialmente questo verso con l'espressione manah prana indriya 135 Parama Karuna Devi kriyah, "le attività della mente, del prana e dei sensi". Tale controllo deve essere costante, ininterrotto, stabile, libero da deviazioni, come espresso dal termine avyabhicari, che significa "fermezza, nessun cambiamento, nessuna adulterazione". Nell'approccio chiamato da Patanjali isvara pranidhana questa avyabhicarini bhakti costituisce il samadhi come suddha bhakti, o devozione che non è toccata da alcuna altra considerazione tranne l'amore e il servizio per il Supremo. VERSO 34 yaya: dalla quale; tu: ma; dharma kama arthan: dharma, kama e artha; dhritya: la determinazione; dharayate: che sostiene; arjuna: o Arjuna; pra sangena: a causa dell'attaccamento; phala akanksi: chi desidera i risultati (delle azioni); dhritih: determinazione; sah: quella; partha: o figlio di Pritha; rajasi: in rajas guna. "O figlio di Pritha, quella determinazione che sostiene dharma, kama e artha a causa del desiderio per i loro benefici viene (prodotta) da rajas guna. Ci vuole certamente molta determinazione per impegnarsi sinceramente e regolarmente nel duro lavoro richiesto per ottenere il successo in dharma, artha e kama. La civiltà vedica non condanna questa ricerca del successo ma piuttosto la descrive come purusha artha, "scopi della vita", poiché il purusha è la 136 Bhagavad gita: capitolo 18 consapevolezza vivente che abita nel corpo. Perché tale lavoro porti veramente al successo in questa vita e nella prossima, bisogna iniziare da dharma, altrimenti i risultati finali saranno disastrosi, anche se superficialmente potrebbe sembrare che si possono ottenere benefici più velocemente e facilmente senza curarsi del dharma (18.31). Nel suddha sattva trascendentale, ogni azione è una offerta sacra nell'unione con il Supremo: yat karosi yad asnasi yaj juhosi dadasi yat, yat tapasyasi kaunteya tat kurusva mad arpanam, "O Arjuna, tutto ciò che fai, tutto ciò che mangi, tutto ciò che sacrifichi, tutto ciò che dai, tutto ciò che sopporti nel compimento del tuo dovere fallo per me" (9.27). Sul piano materiale, la differenza tra sattva (14.6, 14.16, 17.11, 17.17, 17.20, 18.9-10, 18.20, 18.23, 18.26, 18.30) e rajas (14.7, 14.17, 17.12, 17.18, 17.21, 18.21, 18.24, 18.27, 18.31) è che in sattva si lavora senza egoismo per il bene di tutti gli esseri, in piena conoscenza e consapevolezza, senza essere distratti da gioie e dolori, mentre in rajas si lavora per acquisire ricchezze, gratificazione dei sensi, posizione, potere, per sé stessi o per il proprio gruppo, e si rimane attaccati e identificati con il risultato dell'azione. Le attività religiose compiute sotto l'influsso di rajas rimangono inoltre materiali e creano legami. L'espressione pra sangena mette nuovamente in rilievo sanga ("contatto, associazione, affiliazione, appartenenza") come il fattore principale dell'azione sotto l'impulso di rajas. E' la separazione egoistica degli interessi (prithaktvena, 18.21) per cui si separa sé stessi e il proprio gruppo dal resto dell'universo e quindi dal corpo della Virata Rupa e dalla suprema assoluta consapevolezza del Brahman. E' interessante notare che in questo verso Krishna elenca prima dharma e poi immediatamente kama prima di artha; questo indica 137 Parama Karuna Devi che sotto l'influenza di rajas l'acquisizione di beni di valore è meramente diretta alla gratificazione dei sensi e ai desideri personali. In sattva, l'acquisizione di cose di valore è diretta invece al bene dell'intera società e comunità di esseri, e quindi kama viene ottenuto automaticamente per tutti, senza alcuno sforzo separato, come dovrebbe effettivamente essere. Questa è la chiave per l'autentico successo: karmanah sukritasyahuh sattvikam nirmalam phalam, rajasas tu phalam duhkham ajnanam tamasah phalam, "E' detto che sattva dà risultati immacolati nella forma di doveri compiuti correttamente, mentre rajas produce sofferenza e tamas produce ignoranza" (14.16). VERSO 35 yaya: per la quale; svapnam: sogni; bhayam: paura; sokam: lamento; visadam: negatività; madam: pazzia; eva: certamente; ca: e; na: non; vimuncati: si abbandona; durmedha: stupida; dhritih: determinazione; sa: quella; partha: o figlio di Pritha; tamasi: in tamas guna. "O figlio di Pritha, la determinazione che è in tamas guna è caratterizzata dalla stupidità e non riesce ad andare oltre i sogni, la paura, il lamento, la tristezza e l'illusione. Questo è certamente il tipo di determinazione che possiamo osservare più comunemente tra la gente dei nostri tempi. Persino 138 Bhagavad gita: capitolo 18 coloro che si considerano grandi attivisti dharmici raramente vanno oltre le belle promesse o le teorie sterili e le proteste. Quando si offre loro qualche vera proposta pratica, si spaventano e scompaiono. In Kali yuga la gente è immersa in tamas ed è quindi piuttosto stupida (manda sumanda matayo manda bhagyah hy upadrutah, "pigri, sciocchi, sfortunati e soprattutto sviati" (Bhagavata Purana 1.1.10), e mandasya manda prajnasya vayo mandayusas ca vai, nidraya hriyate naktam diva ca vyartha karmabhih, "Queste persone pigre, sciocche e ignoranti sono indebolite dalla cattiva salute; passano le notti a dormire e i giorni impegnandosi in attività insensate" (Bhagavata Purana 1.16.9). I rakshasa e gli asura umani sono molto interessati ad approfittare di questa situazione, perché le persone stupide possono essere controllate più facilmente, come pecore che rimangono passivamente in fila al mattatoio ruminando un po' di foraggio anche se vedono benissimo che i loro compagni vengono trascinati via e uccisi. Questo è perché viene loro offerto svapna o sogni e favole (come la descrizione dei piaceri del paradiso, il surrogato di felicità attraverso i beni di consumo e i servizi del terziario, gli eroi e le avventure fittizie dei film e così via) e bhaya o paura (le immaginarie torture dell'inferno e le vere torture e persecuzioni in questa stessa vita), soka creando una crisi dopo l'altra per distrarre la gente e rendere la loro vita più miserevole (così che non hanno tempo o energia per qualcosa che non sia la semplice sopravvivenza) e offrendo capri espiatori da biasimare e odiare (così che non cerchino di scoprire la vera causa della loro infelicità) e con mada, incoraggiando l'ubriachezza e le tossicodipendenze attraverso un sottile equilibrio di manipolazione basato su proibizione, vergogna e senso di colpa. Come diceva Orwell: convincere la gente che l'ignoranza è forza, la libertà è schiavitù, la guerra è pace, l'oppressione è amore, le vittime sono gli offensori o i 139 Parama Karuna Devi criminali, e la verità è qualsiasi cosa ci viene detta di credere, di volta in volta. Le ideologie tamasiche hanno sempre trattato le masse del popolo come pecore, persino chiamando i loro leader apertamente come "pastori", e hanno ripetutamente sacrificato molte creature innocenti (umane e non umane) nei loro olocausti di sangue per il piacere sadico degli esseri malvagi che adorano. Lo strumento principale che hanno usato in questi ultimi 3000 anni per mantenere la gente nel tamas è l'imposizione della stupidità e dell'ignoranza collettive, specialmente attraverso la distruzione fisica di libri, librerie, insegnanti, scuole, università. e la proibizione di coltivare qualsiasi conoscenza non sia strettamente sotto il loro controllo. Questo principio è stato applicato in modo più o meno completo in differenti periodi e regioni in proporzione al potere sociale, finanziario e militare acquisito da tali ideologie. Nelle loro scritture troviamo molte affermazioni apertamente contrarie all'intellettualità, che condannano non soltanto la saggezza, l'intelligenza e la conoscenza ma persino l'esperienza diretta e la cieca obbedienza all'ideologia ufficiale. In Europa, persino l'insegnamento basilare del leggere e scrivere venne proibito per molti secoli, dal 300 al 1600, riservando questo privilegio a preti e monaci, che erano gli unici ad avere il permesso di tenere biblioteche. Le persone ordinarie (i laici) avevano la proibizione di leggere indipendentemente persino la Bibbia; le traduzioni nelle lingue volgari (popolari) erano strettamente proibite e i traduttori venivano messi al rogo per la loro disobbedienza alla legge. Intellettuali e persino re tentarono di opporsi a questa tirannia, ma soltanto nel 1400 con il Rinascimento italiano e francese la situazione cominciò a migliorare, grazie al patronato di ricchi aristocratici, che attraverso la corruzione riuscirono a mettere alcuni dei loro uomini sul trono papale. 140 Bhagavad gita: capitolo 18 Il recupero è stato però molto graduale, lungo e difficile e ancora oggi rimane incompleto, poiché l'ideologia abramica è stata inculcata così profondamente nel subcosciente collettivo che persino coloro che cercano di eliminare la sua influenza nella cultura e nella società continuano a portare avanti anche inconsapevolmente i suoi concetti fondamentali come se fossero verità oggettive, o le uniche verità possibili. Per esempio, vediamo molti atei (per definizione, "persone che non credono nell'esistenza di Dio") che si impegnano allegramente nell'insultare Dio (un Dio di cui esteriormente negano l'esistenza) e concludono a priori che tutte le religioni sono contrarie all'etica naturale e alla coscienza, e hanno lo scopo di rimbecillire, opprimere, schiavizzare e sfruttare la gente in questa via con la falsa promessa di una futura felicità in paradiso. Attualmente, è molto chiaro che soltanto un sistema ideologico solido, profondo, vasto, coerente, pratico, scientifico ed etico come la conoscenza e la civiltà originaria vedica ha il potere intrinseco di risolvere il problema e salvare la società umana dal completo disastro. Tutte le ideologie abramiche cercano stupidamente di risolvere i problemi applicando le stesse meccaniche fallimentari che hanno creato il problema inizialmente (18.32). Per esempio per affrontare il problema delle gravidanze indesiderate delle minoreni e degli abusi sessuali sui bambini, le scuole introducono l'educazione sessuale obbligatoria - ma invece di cercare di prevenire lo sfruttamento dei bambini mettendoli in guardia sui pericoli, questi programmi impegnano attivamente i bambini a imparare a fare sesso in tutti i modi possibili. Questo, insieme all'ossessione sulle "prodezze sessuali" e sull'appetibilità sessuale come status symbol generale pubblicizzati dai mass media e dalla società, crea una pressione sui bambini perché dimostrino di essere "all'altezza" facendo più sesso possibile anche se il loro 141 Parama Karuna Devi sviluppo ormonale non ha ancora creato alcun desiderio sessuale. Similmente, per risolvere il problema della diffusione della criminalità, il governo privatizza il sistema carcerario con contratti con aziende commerciali che richiedono una garanzia di "occupazione" del 90 o 100% dei loro istituti, e così polizia e magistratura sono spinte a incarcerare sempre più persone, compresi i bambini, anche per infrazioni molto lievi. In queste prigioni, i carcerati sono esposti a una vita molto dura e alla compagnia di persone che insegnano loro a diventare veri criminali, e dopo il rilascio vengono rifiutati dal mercato del lavoro a causa dei loro precedenti penali e non hanno altra scelta che applicare le loro nuove abilità per sopravvivere. La "guerra contro la droga" è condotta imbottendo le persone fin dalla prima infanzia con ogni tipo di sostanze tossiche - dal fluoro nell'acqua potabile e nei dentifrici agli additivi chimici nel cibo industriale, ai metalli pesanti nei vaccini e ai farmaci dannosi (come il Ritalin) prescritti per la cosiddetta sindrome da distrazione - e assicurando una posizione elevata come preziosi beni commerciali e culturali o servizi a sostanze e comportamenti che danno dipendenza come le bevande alcoliche, la caffeina, la nicotina, il gioco d'azzardo, l'ossessione sessuale, i videogame e così via. Questo è rafforzato dall'applicazione di tecniche di manipolazione emozionale e dal proporre standard non realistici di accettabilità sociale e obiettivi della vita. Sprecare risorse, "ammazzare il tempo" ed evitare qualsiasi lavoro utile sono considerati sintomi di una posizione di alta classe nella società, e niente viene considerato troppo stupido quando si tratta di spendere soldi o "divertirsi". E' considerata normale la tendenza al rimbecillimento nei programmi televisivi, nei testi delle canzoni e negli stili musicali, nella letteratura, nei mass media dell'informazione, nella commedia, nelle barzellette popolari, nei film e in generale nell'industria dell'intrattenimento. 142 Bhagavad gita: capitolo 18 Fin dalla più tenera età alla gente viene insegnato che è lodevole dedicare tempo e attenzione a guardare partite di sport professionistici e telenovele e sceneggiati a puntate, seguire i pettegolezzi e la vita privata delle celebrità, o diventare ossessionati da automobili e motociclette, fitness fisica, diete di moda, fashion e trend, commercializzazione delle relazioni (specialmente attraverso la "celebrazione di giornate speciali" acquistando e regalando beni di consumo), la commercializzazione del valore personale (attraverso status symbol come la posizione di carriera, i titoli accademici, la bellezza della propria moglie, la propria forma fisica o bella presenza, fino al modello dell'auto che si possiede e il costo delle scarpe e dei vestiti che si indossano), i cosiddetti reality show, giochi a premi, show di prestigiatori, sistematica disinformazione dei media e un uso superficiale dei social media e degli apparecchi elettronici. I risultati disastrosi degli studenti nelle scuole e l'analfabetismo degli adulti vengono addebitati all'introduzione degli insegnamenti della teoria di Darwin sull'evoluzione, come contraria alle basi delle ideologie abramiche e dunque "immorale". Per soddisfare i gusti più degradati del pubblico e fornire stimoli per l'adrenalina, i produttori cinematografici favoriscono la glorificazione della criminalità vera e propria, specialmente creando terrificanti personaggi che torturano orribilmente e macellano persone innocenti, sempre più sfacciatamente ad ogni nuovo film, così che si considera un successo quando gli spettatori escono dal cinema in preda alla nausea. Ma se qualcuno prende l'iniziativa di protestare, non sollevano obiezioni contro Jason o Freddy - ma contro l'innocuo Harry Potter. Altri approcci tipicamente tamasici sono il metodo "a senso obbligato" (18.22) con un'ipertrofia di legislazione, imposizione della legge e burocrazia, per cui tutto ciò che non è obbligatorio diventa proibito e illegale, creando così una proliferazione 143 Parama Karuna Devi esagerata di posizioni professionali improduttive e insensate, dedicate a complicare le cose semplici e a tormentare la brava gente. Per darsi importanza e confondere gli ingenui, questi amministratori inutili spesso presentano metodi assurdi e inventati a capriccio (18.25) nella speranza che in qualche modo possano funzionare, e aumentano la dose se diventa chiaro che non stanno funzionando. Sopra di tutto questo, c'è il generale gioco del passare il secchio del biasimo, in cui tutti frignano, maledicono e protestano contro gli altri, senza veramente sapere chi o cosa sia veramente responsabile per i particolari problemi - e senza mai impegnarsi in un lavoro pratico e proattivo per risolverli. Il sognare (svapna) di cui parla questo verso non è semplicemente l'eccessiva importanza data ai normali sogni durante il sonno e ai sogni ad occhi aperti (che in quantità moderata sono generalmente utili per la salute) ma si può applicare anche alle false pratiche di "meditazione" inventate da persone che non sono qualificate per giusta conoscenza e realizzazione. La presenza esagerata di svapna nelle società tamasiche si osserva anche nell'ipertrofia ed eccessiva importanza data alla pubblicità commerciale, alle storie di fiction prive di qualsiasi contenuto utile in pratica, a tutte le forme di realtà virtuale, giochi su internet, avatara di internet, cosplay, effetti speciali generati da computer e così via, mentre mada indica non solo l'ebbrezza causata da vini e liquori, ma anche tutti gli altri tipi di dipendenze e illusioni, compresa la pazzia pura e semplice. 144 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 36 sukham: felicità; tu: ma; idanim: adesso; tri vidham: tre tipi di; srnu me: ascolta da me; bharata rshabha: o migliore tra i discendenti di Bharata; abhyasat: con la pratica; ramate: si gode; yatra: dove; duhkha antam: la fine delle sofferenze; ca: e; nigacchati: si raggiunge. "O migliore tra i discendenti di Bharata, ci sono tre diversi tipi di felicità. Ora ascolta da me come praticandone una si può ottenere il piacere e mettere fine alle sofferenze. Tutti cercano la felicità: questa è la natura dell'anima, che è chiamata anche anandamaya, "fatta di felicità". Benché l'atman sia puro sat, cit, ananda, il jivatman condizionato continua a correre qua e là nel tentativo di trovare il piacere nel mondo esteriore. In questo verso però Krishna non usa la parola ananda, ma la parola sukha, che è solitamente accompagnata dal suo opposto polare duhkha, "sofferenza". Siamo qui di fronte dunque a quel tipo di felicità che si ottiene attraverso l'azione nel mondo dei guna. L'espressione abhyasat significa "costantemente, ottenuta con la pratica" e indica che l'ottenimento di qualsiasi tipo di felicità non è una faccenda istantanea ma richiede una certa quantità di sforzo e lavoro. Che cos'è questa felicità materiale? L'acquisizione del piacere e la cessazione della sofferenza. Al livello più fondamentale, la felicità 145 Parama Karuna Devi è semplicemente l'assenza di sofferenza, specialmente di dolore fisico, che può veramente travolgere e cancellare qualsiasi altra cosa dalla consapevolezza. Anche il dolore fisico però può venire sperimentato in modo diverso a seconda del nostro livello individuale di evoluzione e addestramento; il corpo umano ha il potere di interrompere consapevolmente la sensazione di dolore per continuare a lavorare per uno scopo superiore, e di contro l'atteggiamento mentale verso il dolore può renderlo ancora più intollerabile attraverso il rafforzamento emotivo e l'identificazione. In questa ultima parte della Bhagavad gita, Krishna sta ancora parlando del potere onnipresente dei guna in questo mondo, perché finché abbiamo un corpo e una mente, dobbiamo gestirli e usarli nel modo giusto. Si tratta di un campo di conoscenza estremamente importante: ya evam vetti purusam prakrtim ca gunaih saha, sarvatha vartamano 'pi na sa bhuyo 'bhijayate, "Chi conosce il purusha e la prakriti, e le varie modalità dei guna, non dovrà più rinascere, in qualunque situazione si trovi" (13.24). Dopo aver spiegato i tre tipi di felicità, Krishna commenterà: na tad asti prithivyam va divi devesu va punah, sattvam prakriti jair muktam yad ebhih syat tribhir gunaih, "Non c'è nemmeno una sola persona, in questo mondo o nel mondo dei Deva, che sia libera dall'influenza dei tre guna creati dalla prakriti" (18.40). Possiamo ricordare un'affermazione molto simile nel capitolo 7: daivi hy esa guna mayi mama maya duratyaya, mam eva ye prapadyante mayam etam taranti te, "Questa mia energia divina che si manifesta come i tre guna è molto difficile da superare, ma coloro che prendono rifugio in possono facilmente varcare questa illusione" (7.14). Ecco la via della salvezza: mentre continuiamo a navigare tra i guna in questo mondo, nel nostro corpo e nella nostra mente, dobbiamo mantenere la nostra consapevolezza, i nostri desideri, le nostre identificazioni e attaccamenti sul livello trascendentale, che è la Realtà suprema di atman/ brahman: ye 146 Bhagavad gita: capitolo 18 caiva sattvika bhava rajasas tamasas ca ye, matta eveti tan viddhi na tv aham tesu te mayi, "Devi sapere che certamente tutte quelle forme di esistenza create da sattva, rajas e anche da tamas derivano da me soltanto, ma io non sono in loro; piuttosto, sono loro ad essere in me" (7.12). Il verso 7.12 era accompagnato da un'altra meravigliosa affermazione, che ci mosta la giusta via da percorrere: balam balavatam caham kama raga vivarjitam, dharmaviruddho bhutesu kamo 'smi bharatarsabha, "O Arjuna, io sono la forza del forte che è libero da egoismo e attaccamento. In tutti gli esseri, io sono il desiderio che non è contrario al dharma" (7.11). Questo divino desiderio dharmico è la ricerca della felicità nella direzione vera e corretta, e si basa sull'amore invece che sulla lussuria egoistica; l'oggetto più alto d'amore è certamente la Personalità suprema di Dio, e possiamo cominciare a sviluppare questo amore prima di tutto ascoltando o leggendo le sue attività a sostegno del dharma. Ciò era già stato affermato nel capitolo 4: yada yada hi dharmasya glanir bhavati bharata, abhyutthanam adharmasya tad atmanam srijamy aham, paritranaya sadhunam vinasaya ca duskritam, dharma samsthapanarthaya sambhavami yuge yuge, janma karma ca me divyam evam yo vetti tattvatah, tyaktva deham punar janma naiti mam eti so 'rjuna, “O Arjuna, ogni volta che il dharma declina e l'adharma cresce, io mi manifesto. Discendo personalmente yuga dopo yuga per proteggere i buoni, distruggere i malfattori e ristabilire il dharma. Chi conosce veramente la natura divina delle mie nascite e delle mie attività non dovrà più nascere nuovamente dopo aver lasciato il corpo, ma viene a me." (4.7, 4.8, 4.9). Questo è il metodo più autentico per raggiungere la felicità e la cessazione delle sofferenze: mam upetya punar janma duhkhalayam asasvatam, napnuvanti mahatmanah samsiddhim paramam gatah, "Poiché mi hanno raggiunto, non devono più 147 Parama Karuna Devi rinascere in questo mondo, che è la causa delle sofferenze e dell'impermanenza. Queste grandi anime hanno già raggiunto il livello più alto di perfezione" (8.15). VERSO 37 yat: ciò che; tat: quello; agre: all'inizio; visam iva: come veleno; pariname: alla fine; amrita: nettare; upamam: simile a; tat: quello; sukham: felicità; sattvikam: in sattva guna; proktam: è descritta; atma buddhi: la comprensione del sé; prasada jam: che deriva dalla soddisfazione. "La felicità che sembra veleno all'inizio ma è nettare alla fine viene descritta come di natura sattvica e nasce dalla comprensione del sé e dalla soddisfazione della mente. Il significato più diretto di questo verso si riferisce al sadhana, l'impegno deliberato di corpo, mente e sensi nella pratica della consapevolezza e dell'azione spirituale, abbandonando ogni altra preoccupazione almeno durante il periodo regolarmente stabilito per la meditazione: sankalpa prabhavan kamams tyaktva sarvan asesatah, manasa ivendriya gramam viniyamya samantatah, yato yato niscalati manas cancalam asthiram, tatas tato niyamya itad atmany eva vasam nayet, "Abbandonando completamente tutti i desideri e i piani sorti dai processi mentali, bisogna controllare la mente e tutti i sensi regolandoli in ogni applicazione. La mente è instabile e impaziente di vagare qua e là. Ogni volta che si 148 Bhagavad gita: capitolo 18 allontana, bisogna riportarla sotto controllo e regolarla in modo che rimanga concentrata sull'atman." (6.24, 6.26). Questo è anche esattamente il modo in cui Patanjali definisce lo yoga: yogas citta vritti nirodhah, (Yoga sutra, 1.2) tada drastuh sva rupe avasthanam, per focalizzarsi sul puro atman/ brahman (Yoga sutra, 1.3) vritti sarupyam iti ratra, abbandonando ogni altra identificazione (Yoga sutra, 1.4) e superare le concezioni errate cioè vrittayah pancatayah klista aklistah - pramana, viparyaya, vikalpa, nidra, smritayah (Yoga sutra, 1.5, 1.6). E' importante comprendere che non c'è bisogno di abbandonare le attività del nostro dovere, che includono il pianificare e desiderare per raggiungere il successo - proprio come Arjuna aveva bisogno di concentrarsi sulla strategia mentre si impegnava nella battaglia di Kurukshetra. Molte volte Krishna ha spiegato che bisogna rinunciare non all'azione in sé, ma all'attaccamento egoistico per i risultati dell'azione (2.47, 2.64, 3.3, 3.4, 3.5, 3.7, 3.8, 3.9, 3.25, 3.26, 3.28, 3.30, 3.31, 3.33, 4.14, 4.15, 4.20, 4.21, 4.23, 4.24, 4.37, 4.41, 5.2, 5.10, 5.12, 5.13, 5.14, 6.1, 7.29, 7.30, 9.28, 12.11, 12.12, 12.14, 13.21, 18.2, 18.6, 18.7, 18.8, 18.9, 18.17, 18.23, 18.30). Comprendiamo così che la pratica del sadhana consiste nell'imparare a controllare la mente e focalizzarla (dharana, dhyana, samadhi) sull'oggetto preciso che vogliamo esaminare, senza permetterle di correre in altre direzioni: vyavasayatmika buddhir ekeha kuru nandana, bahu sakha hy anantas ca buddhayo ‘vyavasayinam, “O Arjuna, l'intelligenza che è costantemente focalizzata è l'unica autentica in questo mondo. Coloro che non si concentrano disperdono la propria intelligenza in innumerevoli ramificazioni poco importanti" (2.41). Quando abbiamo una consapevolezza forte e sincera delle attività del nostro dovere compiute come servizio al Supremo, ogni 149 Parama Karuna Devi piccola azione diventa trascendentale e degna della nostra piena concentrazione: yat karosi yad asnasi yaj juhosi dadasi yat, yat tapasyasi kaunteya tat kurusva mad arpanam, "O Arjuna, tutto ciò che fai, ciò che mangi, che sacrifichi, che doni, che sopporti nel compimento dei tuoi doveri - fallo per me" (9.27). E ancora: gata sangasya muktasya jnanavasthita cetasah, yajnayacaratah karma samagram praviliyate, "Chi ha messo fine a tutte le associazioni e ha stabilito fermamente la propria consapevolezza nella conoscenza, adora Yajna (Vishnu) poiché tutte le sue azioni diventano servizio devozionale. Tutto il suo karma viene così distrutto." (4.23) Per praticare lo yoga non è necessario allontanarsi da famiglia e società e abbandonare i propri doveri. All'inizio bisogna fare uno sforzo in più per trovare un posto e un momento dove stare in solitudine (6.10, 13.11) e imparare a concentrarsi senza distrazioni, ma lo scopo è ottenere la realizzazione diretta: naiva kincit karomiti yukto manyeta tattva vit, pasyan srinvan sprisan jighrann asnan gacchan svapan svasan, pralapan visrijan grihnann unmisan nimisann api, indriyanindriyarthesu vartanta iti dharayan, "Lo yogi pensa, ‘io non sono l'autore di alcuna azione'. Chi conosce la verità si impegna nelle attività del vedere, ascoltare, toccare, odorare, mangiare, andare, sognare, respirare, prendere, lasciare, accettare, aprire e chiudere gli occhi, ma vede che i sensi dovrebbero naturalmente essere impegnati negli oggetti dei sensi e non si identifica con essi." (5.8, 5.9). Questo è il modo per impegnare i guna nei guna: tattva vit tu maha baho guna karma vibhagayoh, guna gunesu vartanta iti matva na sajjate, “O Arjuna, chi conosce le cose come sono veramente è capace di comprendere le varie qualità e attività, e quindi impegna i guna nell'interazione con i guna appropriati: questa consapevolezza lo mantiene libero dall'attaccamento" (3.28). 150 Bhagavad gita: capitolo 18 Il termine prasada che si trova alla fine di questo verso (prasada ja) era già stato menzionato all'inizio delle istruzioni di Krishn: raga dvesa vimuktais tu visayan indriyais caran, atma vasyair vidheyatma prasadam, prasade sarva duhkhanam hanir asyopajayate, prasanna cetaso hy asu buddhih paryavatisthate adhigacchati, “Una persona che si è liberata dall'attrazione e dalla repulsione per gli oggetti dei sensi mantiene il controllo di sè nelle sue azioni e si regola (in corpo, mente e sensi) ottiene la soddisfazione. Questo prasadam (benedizione) causa la distruzione di tutte le sofferenze, dà pace alla mente e stabilisce ben presto la comprensione corretta." (2.64, 2.65). VERSO 38 visaya: gli oggetti dei sensi; indriya: (e) i sensi; samyogat: dall'unione; yat: ciò; tat: che; agre: all'inizio; amrita upamam: paragonabile al nettare; pariname: alla fine; visam iva: come il veleno; tat: quella; sukham: felicità; rajasam: in rajas guna; smrtam: è ricordata. "Quella felicità che deriva dal contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi è come nettare all'inizio e come veleno alla fine, ed è descritta come proveniente dal rajas guna. Imparare ad essere soddisfatti di ciò che ricevamo naturalmente e a godere in pace dei piaceri sani e dharmici può essere difficile 151 Parama Karuna Devi all'inizio, perché richiede un certo addestramento. Un bambino tende ad essere egoista perché la sua sopravvivenza richiede costanti cure e attenzioni dagli adulti; prova piacere e ride quando i suoi bisogni sono soddisfatti e piange quando non lo sono. In una situazione di tale impotenza non c'è abbastanza spazio nella consapevolezza per altre considerazioni oltre al costante senso di insicurezza e paura. Secondo il sistema di civiltà vedica, un bambino viene coccolato fino ai 2 o 3 anni di età, quando diventa capace di comprendere il collegamento tra le azioni e le loro conseguenze. A quel punto i familiari generalmente cominciano a educare il bambino con insegnamenti e non soltanto con l'esempio come hanno fatto fin da prima della sua nascita. Comunque il bambino non viene generalmente punito per i suoi errori e la sua sicurezza e immagine di sé non sono messe in pericolo. Dopo aver compiuto i 5 anni dalla nascita, i bambini venivano mandati a vivere nella casa del guru per essere istruiti; il guru e sua moglie diventavano i genitori adottivi e gli altri studenti diventavano i loro fratelli per un certo numero di anni a seconda delle loro possibilità individuali. Grazie al nuovo ambiente e alle molte interessanti opportunità di impegno, i bambini dimenticavano facilmente le cattive abitudini precedenti e l'eccessiva familiarità che potevano aver sviluppato per la tolleranza dei loro familiari. Comunque anche nella casa del guru lo studente veniva trattato con molto affetto e cura, e mai maltrattato o punito severamente; la disciplina non comprendeva mai le punizioni corporali o altri metodi che potevano danneggiare la salute dell'autostima nel bambino. Particolare importanza veniva data a sviluppare il potenziale effettivo del bambino con rafforzamenti positivi e riconoscimenti, e specialmente con la pressione dei compagni e una sana 152 Bhagavad gita: capitolo 18 competizione tra studenti, che erano incoraggiati ad associarsi strettamente in piccoli gruppi sulla base dell'età, del talento e delle tendenze. A parte l'insegnamento accademico, gli studenti venivano addestrati gradualmente a impegnarsi in noiosi servizi manuali come i lavori di casa, e a osservare una stretta disciplina riguardo ai pasti e alla ricreazione nel tempo libero. Per esempio, veniva loro insegnato che potevano mangiare soltanto sedendosi insieme e dopo aver ricevuto il permesso dal guru, e consumare soltanto gli alimenti autorizzati dal guru. Tutti gli studenti portavano con orgoglio gli stessi abiti austeri e le insegne del brahmachari e andavano in giro in gruppi per raccogliere prodotti della foresta (legna, frutta, erbe e così via) ed elemosine dalla gente del villaggio (cereali, e così via) da presentare al guru per condividerle nell'ashrama; in questo modo, attraverso il sostegno dei compagni, imparavano a comportarsi in modo responsabile, appropriato, cortese e libero dall'egoismo in tutte le circostanze. Per coloro che non avevano la fortuna di venire istruiti in una vera gurukula (il che oggi comprende praticamente la totalità della popolazione globale, tranne un numero minimo di persone) questo addestramento nel controllo dei sensi deve essere appreso da soli in età adulta. Eppure il principio è sempre lo stesso, e possiamo trovare le istruzioni necessarie nella Bhagavad gita. Questo verso ci mette in guardia sull'attaccamento alla gratificazione dei sensi, che è piacevole all'inizio ma termina nella frustrazione. La parola samyoga significa "impegno, servizio, meditazione, contemplazione" e indica la scelta deliberata di concentrare l'attenzione sulla gratificazione dei sensi piuttosto che sul proprio dovere e sulla consapevolezza della propria vera identità (che è il significato di brahma achara). Non è certamente come apprezzare e godere in modo sano delle cose buone che ci arrivano naturalmente durante il giusto compimento del nostro dovere. 153 Parama Karuna Devi Possiamo fare un ottimo esempio con le relazioni di coppia: il matrimonio dovrebbe essere basato sull'amore e il dovere, e non su gratificazione dei sensi e lussuria, altrimenti dopo un breve periodo di infatuazione non rimane più nulla quando l'attrazione fisica diminuisce. Allora cominciano i guai, perché la gravidanza è la conseguenza naturale dell'unione sessuale, e se la relazione era basata sulla gratificazione dei sensi, il marito avrà l'impressione di essere stato in qualche modo sostituito dal bambino nelle attenzioni della moglie, e i cambiamenti fisici e mentali della maternità potrebbero rendere la moglie meno attraente dal punto di vista sessuale. La routine quotidiana della vita e i doveri diventeranno faticosi e noiosi, e la coppia comincerà a scambiarsi accuse fino al punto di risentimento e disprezzo, e spesso l'uomo si dileguerà, talvolta cercando gratificazione sessuale da altre donne. Possiamo vedere la radice del problema nella parola visa ("veleno") usata nel verso insieme al suo derivato visaya ("oggetti dei sensi"). Un veleno potrebbe non essere immediatamente riconoscibile quando lo beviamo e potrebbe addirittura avere un sapore dolce, ma ben presto avrà effetto sulla nostra salute, distruggendo la forza e l'intelligenza, facendoci perdere coscienza e infine uccidendoci. Questo si applica a tutti i tipi di gratificazione dei sensi, che possono essere sani soltanto quando vengono consumati con moderazione e nel modo corretto; un veleno spesso può agire anche come medicina, ma deve essere preso nella giusta dose e nelle circostanze specifiche, altrimenti avrà l'effetto opposto. Un ottimo esempio è il cibo salato, acido o speziato, che è stato menzionato nel verso 17.9 come preferito specificamente dalle persone in rajas; in piccole quantità e nelle giuste condizioni del corpo e dell'ambiente (stagione e così via) questi ingredienti possono essere estremamente benefici alla nostra salute, ma se li consumiamo in eccesso si produce assuefazione e la nostra salute ne risente sempre più. 154 Bhagavad gita: capitolo 18 La stessa cosa vale per le sensazioni di caldo e freddo, anch'esse presentate come esempio di gratificazione dei sensi nel capitolo 2: matra sparsas tu kaunteya sitosna sukha duhkha dah, agamapayino 'nityas tams titiksasva bharata, “O Arjuna, il contatto dei sensi con gli oggetti dei sensi provoca gioia e dolore proprio come il freddo e il caldo in estate e in inverno. Si tratta di sensazioni temporanee; vanno e vengono, e dovresti semplicemente cercare di tollerarle senza essere confuso e distratto dal tuo dovere" (2.14). E' certamente piacevole avere cose fredde in estate (gelati, bevande ghiacciate e tuffi nell'acqua fresca) e cose calde in inverno (un camino acceso, un letto caldo, contatto con corpi vivi, minestra fumante e cibo appena cucinato e così via). Ma non ci piace avere cose fredde in inverno e cose calde in estate; in effetti gli stessi oggetti che ci davano tanto piacere in una stagione ci faranno soffrire nella stagione opposta. Una persona intelligente viaggerà dunque attraverso questi alti e bassi senza rimanere attaccata né agli uni né agli altri, ma accettandoli con moderazione quando sono favorevoli al suo servizio nel compimento del proprio dovere. VERSO 39 yat: ciò che; agre: all'inizio; ca: e; anubandhe: nelle conseguenze future; ca: e; sukham: la felicità; mohanam: illusoria; atmanah: riguardo a sé; nidra: sonno; alasya: pigrizia; pramada: pazzia; 155 Parama Karuna Devi uttham: sorta da; tat: quella; tamasam: in tamas guna; udahritam: è detta. "Quella felicità che si basa sull'identificazione illusoria dall'inizio alla fine, e nasce da sonno, pigrizia e pazzia, è detta originata da tamas guna. Questo verso afferma chiaramente che la felicità offerta da tamas non è che oblio e perdita di consapevolezza riguardo a sé stessi non soltanto sul vero sé o atman spirituale - ma persino sulla propria identificazione materiale. Alcune persone dicono, "l'ignoranza è felicità", e in effetti possiamo vedere che sul livello di tamas, la totale illusione e pazzia può dare una specie di beatitudine all'anima confusa, che è incapace di percepire la sua vera posizione e degradazione. Per un tossicodipendente o un ubriaco riverso sul marciapiede, l'ebbrezza fa cessare temporaneamente la sofferenza e dà una sensazione illusoria di felicità, e soltanto gli altri sono in grado di vedere le loro vere condizioni. Persino quando l'effetto anestetizzante dell'intossicazione svanisce e soffrono orribilmente nel corpo e nella mente, la loro consapevolezza rimane coperta dall'identificazione illusoria e dagli attaccamenti, e sono incapaci di migliorare la propria condizione. Poiché guna e prakriti sono sempre in movimento, ci saranno dei brevi lampi di consapevolezza persino nell'essere umano più degradato, ma quel momento sarà esattamente il contrario della felicità, e l'unica via d'uscita da quella terribile situazione sarà una nuova rinascita in un corpo animale, in cui l'anima condizionata riuscirà per lo meno a smettere di farsi del male e comincerà la disintossicazione. Per un maiale, la felicità è semplicemente rotolarsi nel fango puzzolente e trovare degli escrementi gustosi da mangiare; questo si accorda perfettamente con il tipo di sensi, 156 Bhagavad gita: capitolo 18 mente e corpo che ha acquisito, e le sue attività non saranno distruttive e auto-inflitte come nel caso del drogato. Se un animale soffre, è un problema che deriva dall'esterno, che consumerà il suo karma passato senza creare ulteriore cattivo karma per il futuro; la durata di questa esperienza dipende dal bagaglio karmico specifico dell'individuo, e se cerchiamo di impegnare il maiale su un livello di vita più sattvico, si sentirà alienato e potrebbe persino arrabbiarsi con noi. Non ha senso sforzarsi di cambiare la sua natura; anche se naturalmente non dobbiamo maltrattarlo, non dovremmo nemmeno sprecare tempo ed energia a cercare di educarlo. Per questo motivo Krishna ci dice che non dobbiamo confondere la mente delle persone che sono immerse nel tamas: na buddhi bhedam janayed ajnanam karma sanginam, josayet sarva karmani vidvan yuktah samacaran, "Una persona che ha conoscenza non dovrebbe confondere la mente degli ignoranti che sono attaccati alle loro azioni, ma dovrebbe piuttosto aiutarle a impegnarsi in tutte le attività in uno spirito di collaborazione, dando personalmente un buon esempio" (3.26). Certo c'è una enorme differenza tra un maiale e un essere umano, poiché manusya jati (la nascita come essere umano) già contiene il potenziale per l'educazione e il progresso evolutivo a un livello che gli animali inferiori non possono mai raggiungere; questa evoluzione però deve essere una scelta personale e non può essere imposta dall'esterno. Ogni aiuto esteriore deve agire nella forma di assistenza nell'impegno positivo e proattivo che combatterà la tendenza tamasica alla pigrizia e favorirà l'aumento della tendenza di rajas o avidità. In casi molto rari o eccezionali, il potere del contatto trascendentale può elevare un'anima condizionata dalle tenebre tamasiche, ma anche in quel caso purificazione e progresso devono 157 Parama Karuna Devi avvenire attraverso l'impegno attivo in servizio pratico e utile in modo che ogni traccia di tamas sarà espulsa con il sudore. Altrimenti è inevitabile la ricaduta. In questo verso, la parola anubandha si riferisce alle conseguenze future che porteranno imprigionamento, e può essere tradotta come "alla fine" come nei due versi precedenti abbiamo visto la parola parinama, che significa letteralmente "trasformazione" (come in parinama vada, "la dottrina della trasformazione"). Questo indica che sia sattva che rajas richiedono un cambiamento o trasformazione - una in meglio, l'altra in peggio - mentre tamas è un fattore che immobilizza, come le corde o le catene che legano un prigioniero (anubandha). Come abbiamo già visto, l'intossicazione o pra mada ("ciò che rende pazzi") è una causa/ effetto fondamentale perché tamas ottenebra la consapevolezza di sé; questo si applica a tutti i tipi di assuefazione e comportamenti che distolgono la nostra coscienza dalla percezione della realtà, comprese le scariche di adrenalina che annegano le sensazioni e ottundono il cervello. Lo stesso effetto può essere ottenuto facilmente con l'ossessiva identificazione e attaccamento come in moha ("illusione"), l'inazione o inerzia, l'insensibilità e irresponsabilità al punto della condizione catatonica come in alasya ("pigrizia"), o semplicemente un circolo vizioso di sonno eccessivo come in nidra ("sonno"). In tutte queste condizioni, l'anima condizionata cerca la felicità permanente e non soltanto un sollievo temporaneo dalla fatica, perciò "odia i lunedì" e sogna una vacanza che duri tutta la vita, in cui non farà assolutamente nulla ma tutti i suoi piaceri e le sue necessità saranno realizzati dal lavoro di qualcun altro. Troviamo affermazioni molto simili nelle istruzioni di Krishna a Uddhava: sattvikam sukham atmottham, visayottham tu rajasam, 158 Bhagavad gita: capitolo 18 tamasam moha dainyottham, nirgunam mad apasrayam, "La felicità in sattva si trova nel sé, la felicità in rajas si trova negli oggetti dei sensi, e la felicità in tamas si trova nell'illusione e nella degradazione. Ma la felicità trascendentale si trova in me" (Bhagavata Purana 11.25.29). Dovremmo ricordare qui che dicendo "me" Krishna intende la Consapevolezza suprema e la Realtà conosciuta con i nomi di Brahman, Paramatma, Bhagavan. A questo proposito, possiamo osservare la distinzione tra l'atman menzionato per il sattva e il paramatman menzionato per visuddha sattva: la percezione dell'atman ("sé") può variare a seconda del grado di sattva o bontà, indicato dall'uso etimologico legittimo della definizione di atman per riferirsi alla consapevolezza spirituale e al purusha, alla jiva, alla mente e persino al corpo. Dobbiamo dunque comprendere che tutti i tipi di felicità che possiamo trovare in noi stessi senza cercare una fonte esteriore sono sattvici e ci fanno bene. Ma poiché i guna si muovono costantemente nella ruota del samsara, persino la felicità sattvica rimane non-permanente e se vogliamo una soluzione definitiva e una posizione duratura dobbiamo elevarci sopra tutti i guna: traigunya visaya veda nistraigunyo bhavarjuna, nirdvandvo nitya sattva stho niryoga ksema atmavan, "La conoscenza dei tre guna si basa soltanto sugli oggetti dei sensi. O Arjuna, dovresti distaccarti da tutti e tre questi guna e situarti in quella pura bontà che non è soggetta al cambiamento. Chi conosce l'atman diventa libero da ogni dualità e trova protezione nel distacco." (2.45). 159 Parama Karuna Devi VERSO 40 na: non; tat: quello; asti: c'è; prithivyam: sulla terra; va: oppure; divi: nel cielo; devesu: tra i deva; va: oppure; punah: di nuovo; sattvam: esistenza; prakriti jaih: nati dalla natura; muktam: libero; yat: che; ebhih: da questi; syat: ci sarà; tribhir gunaih: dai tre guna. "Né su questa terra né nei cieli tra i Deva l'esistenza può essere libera dall'influenza di questi tre guna, che sono generati dalla natura. In questo verso l'espressione divi devesu è piuttosto interessante. Il termine divi significa letteralmente "cielo, luminoso, scintillante" e viene usato per indicare i sistemi planetari superiori, dove ogni cosa è radiosa - corpi, terra, edifici e così via - perché gli elementi materiali sono illuminati da sattva, con una minima influenza di rajas e una quasi completa assenza di tamas. L'espressione tat sattvam, divisa all'inizio di ciascuna delle due righe, significa "quella esistenza" o "quella mente" a indicare che Svargaloka è una dimensione più alta della vita ma è comunque all'interno del regno materiale sotto il controllo della mente. I materialisti spesso confondono il paradiso con la dimensione spirituale, ma non si tratta della stessa cosa. Il concetto di paradiso, specialmente nelle ideologie abramiche che lo considerano la posizione eterna e più alta possibile, è ancora carico di idee 160 Bhagavad gita: capitolo 18 materialistiche di gratificazione dei sensi e una sovrapposizione culturale subcosciente spesso confonde gli induisti che pensano che il mondo spirituale o Vaikuntha sia una specie di paradiso dove i devoti di Vishnu o Krishna vanno dopo la morte per godere di una vita eterna di piaceri celestiali. Il Bhagavata Purana (3.15.13-23, 4.12.35) dà una breve descrizione dei pianeti Vaikuntha all'interno di questo universo, chiamato Svetadvipa o Dhruvaloka, dove Brahma e gli altri Deva si recano quando vogliono avvicinare Karanodakasayi Vishnu e dove viene creata una certa sembianza di tempo e spazio per facilitare la comprensione e la comunicazione con le anime incarnate. Ma anche in questa proiezione annacquata della Consapevolezza trascendentale vediamo chiaramente che tutto là esiste per il servizio e il piacere di Bhagavan, e non come manifestazione di opportunità di gratificazione dei sensi come ricompensa per i fedeli defunti. Senza le limitazioni imposte dalla percezione dualistica materiale, come tempo e spazio, il mondo spirituale o param dhama (8.21, 10.11, 11.38, 15.6) è un eterno e completo presente, non manifestato e senza cambiamenti (avyakta) nella perfetta unione con il Supremo, perciò non può essere descritto (adhoksaja). E' il Supremo stesso, al di là di dualità e non- dualità. Non c'è contraddizione tra questo verso e i versi in cui Krishna ci ha esortato a liberarci dai guna (2.45, 7.14, 14.20, 14.23, 14.25, 14.26), poiché questo verso e gli altri che si riferiscono al grande potere dei guna (3.5, 3.27, 3.29, 4.13, 7.13, 7.14, 13.15, 13.20, 13.22, 13.24, 14.5, 14.18, 14.19, 15.10, 18.19, 18.29) parlano dell'influenza dei guna sulla propria esistenza - mente, sensi, corpo, oggetti circostanti, circostanze di vita - e mai sul vero sé o atman. Grazie alla sua natura intrinseca trascendentale, l'atman non può mai essere toccato o cambiato dai guna, proprio come un diamante 161 Parama Karuna Devi non è mai veramente toccato o cambiato dagli strati di sporcizia che si accumulano attorno ad esso. La consapevolezza del sé può essere coperta o oscurata soltanto temporaneamente, ma l'autentico distacco basato sulla conoscenza realizzata è sufficiente a liberarlo da queste identificazione: ciò si chiama moksha. L'argomento dei guna e il procedimento per trascendere i guna è spiegato dettagliatamente da Krishna anche a Uddhava nella famosa Uddhava gita, contenuta nel Bhagavata Purana (canto 11, capitoli dal 7 al 29); abbiamo intenzione di produrre una pubblicazione separata su questo argomento. E' importante comprendere che la liberazione deriva dal distacco autentico e permanente nato dalla conoscenza realizzata, e non dalla semplice assenza di un collegamento fisico con un corpo materiale. La liberazione dai condizionamenti materiali non viene automaticamente al momento della morte; anche se è un fatto che la morte ci libera dalle sofferenze di un corpo gravemente daneggiato, se abbiamo ancora identificazioni materiali e attaccamenti dovremo prendere una nuova nascita in un altro corpo materiale: jatasya hi dhruvo mrityur dhruvam janma mritasya ca, tasmad apariharye 'rthe na tvam socitum arhasi, "Poiché chi è nato dovrà necessariamente morire, e chi è morto dovrà rinascere nuovamente. Non ha senso preoccuparsi di qualcosa che è inevitabile." (2.27). Il nostro scopo non è semplicemente "essere liberati dal corpo", ma diventare liberati da tutti i desideri illusori, gli attaccamenti e le identificazioni che provocano lo sviluppo di un corpo dopo l'altro. Questo si applica non soltanto al livello terrestre (prithivi) ma anche a quello celeste (divi devesu) all'interno dell'universo materiale: a brahma bhuvanal lokah punar avartino 'rjuna, mam upetya tu kaunteya punar janma na vidyate, mam upetya punar janma duhkhalayam asasvatam, napnuvanti mahatmanah samsiddhim paramam gatah, "O Arjuna, tutti questi mondi, dal 162 Bhagavad gita: capitolo 18 pianeta di Brahma in giù, sono luoghi dai quali si ritorna, ma per chi mi ha raggiunto non c'è più rinascita. Poiché sono arrivati a me, non devono più prendere una nuova nascita in questo mondo, che è la causa di sofferenza e impermanenza. Queste grandi anime hanno già raggiunto il livello più alto della perfezione." (8.16, 8.15). Questo significa che dobbiamo raggiungere la realizzazione dell'atman/ brahman ben prima del momento di lasciare il corpo: saknotihaiva yah sodhum prak sarira vimoksanat, kama krodhodbhavam vegam sa yuktah sa sukhi narah, "Chi in questa vita, prima di lasciare il corpo, è capace di sostenere gli attacchi di lussuria e collera, è uno yogi e un essere umano felice." (5.23) La liberazione può e deve essere ottenuta già in questa vita: gata sangasya muktasya jnanavasthita cetasah, yajnayacaratah karma samagram praviliyate, "Chi ha messo fine ad ogni associazione e ha la consapevolezza fermamente stabilita nella conoscenza, adora Yajna (Vishnu) attraverso le sue azioni. Tutto il suo karma viene così distrutto." (4.23) Ciò è necessario perché per vivere in un corpo bisogna agire continuamente e questo ci mette inevitabilmente a contatto con i guna: na hi kascit ksanam api jatu tisthaty akarma krit, karyate hy avasah karma sarvah prakriti jair gunaih, "Mai, in nessun momento, una persona può rimanere senza agire anche per un solo istante, perché è costretta all'azione da tutti i guna nati dalla prakriti." (3.5). Per raggiungere la liberazione bisogna semplicemente mantenere la propria consapevolezza fermamente (samadhi) sull'identità trascendentale di atman/ brahman, che è neutra e distaccata rispetto ai guna, pur continuando a lavorare con essi : prakriteh kriyamanani gunaih karmani sarvasah, ahankara vimudhatma kartaham iti manyate, tattva vit tu maha baho guna karma 163 Parama Karuna Devi vibhagayoh, guna gunesu vartanta iti matva na sajjate, "Tutte le attività sono in effetti compiute dai guna, ma una persona sciocca confusa dall'egotismo pensa, 'io sto facendo'. Chi conosce le cose come stanno veramente è capace di comprendere i vari guna e karma, e quindi impegna i guna nell'interazione con i guna appropriati: questa consapevolezza lo mantiene libero dall'attaccamento" (3.27, 3.28). Nel prossimo gruppo di versi, Krishna espanderà il concetto in una breve descrizione del guna e karma dei quattro varna o categorie occupazionali della società umana, che costituiscono le linee guida per una vita sattvica e basata sul progresso che porta gradualmente alla liberazione (dharma, artha, kama, moksha). Dopodiché, Krishna spiegherà chiaramente che anche compiendo i propri doveri occupazionali, è possibile stabilirsi sul livello della liberazione mantenendo la propria consapevolezza focalizzata sulla Realtà trascendentale, nelle realizzazioni successive di Brahman, Paramatma, Bhagavan. Questo è il livello nirguna, dove tutte le differenze nei doveri materiali perdono significato, e si è pronti a compiere senza egoismi qualsiasi servizio al Supremo (18.66). Questa sarà la conclusione della Bhagavad gita. VERSO 41 brahmana: dei brahmana; ksatriya: degli kshatriya; visam: dei vaisya; sudranam: dei sudra; ca: e; parantapa: o Parantapa; 164 Bhagavad gita: capitolo 18 karmani: le attività; pra vibhaktani: sono categorizzate; sva bhava: per la loro natura individuale; pra bhavaih: prodotta da; gunaih: i guna. "I doveri dei brahmana, kshatriya, vaisya e sudra sono categorizzati secondo la loro natura specifica prodotta dai guna. L'espressione karmani pravibhaktani indica che i doveri dei quattro varna sono differenti, e questa differenza viene determinata dalla particolare natura (sva bhava) di ciascuna categoria, prodotta dall'influenza dei guna. Alcuni commentatori hanno tradotto la parola pra bhava come "per nascita", e l'hanno interpretata come una conferma del pregiudizio di casta per cui si può appartenere a un particolare varna soltanto se si è nati al suo interno. Questa interpretazione è profondamente scorretta e ha causato immensi danni alla società induista e alla società umana in generale, perché in qualche modo ha creato l'idea che le persone nate in un varna alto - specialmente i brahmana - non hanno bisogno di qualificarsi, mentre le persone che non sono nate in quella posizione non potranno mai qualificarsi come tali e non si dovrebbe nemmeno permettere loro di tentare. Il pregiudizio di casta è pesantemente influenzato da tamas e da Kali yuga, ed è la causa del graduale indebolimento e del crollo sociale, politico, economico della società indiana, specialmente da quando astuti invasori e colonialisti hanno approfittato pienamente di questa debolezza e l'hanno aggravata per i loro scopi specifici. Purtroppo ci sono ancora molte persone, specialmente tra i brahmini di nascita non qualificati, che continuano a difendere il pregiudizio di nascita, affermando che le differenti caste hanno un DNA completamente diverso, come una mucca è differente da un elefante o da un cane. 165 Parama Karuna Devi Ma questo argomento genetico, così approssimativo e fallace, non spiega come mai il DNA di un membro di una casta alta non mostra alcun cambiamento nel caso in cui l'individuo in questione "perda la casta" quando viene ostracizzato dalla comunità o si converte a una religione differente dall'induismo. Il fatto è che non esiste un solo verso, nella Bhagavad gita o nella vasta raccolta degli shastra (sruti e smriti) che affermi che la categorizzazione e i doveri dei quattro varna sono determinati dalla nascita. Anzi, esiste ampia documentazione sulle procedure di suddhi, prayascitta e diksha di recupero, usate regolarmente e per un gran numero di persone che sono state accolte nel passato nel sistema dei varna come vratya, sino alla posizione più alta di brahmana. Questo sistema è stato interrotto soltanto negli ultimi 200 anni, da quando il regime britannico ha introdotto il censimento basato sulle caste che codifica rigidamente le posizioni ereditarie come diversi gruppi razziali. Il verso 4.13 aveva già affermato: catur varnyam maya sristam guna karma vibhagasah, tasya kartaram api mam viddhy akartaram avyayam, "I quattro varna sono stati creati da me sulla base di differenti guna e karma, ma benché io ne sia l'artefice, io sono immutabile e distaccato dall'azione". La posizione di ciascun individuo nel sistema civile della società umana descritto nella tradizione vedica è determinato unicamente dalle particolari tendenze o guna e dalle attività o karma; nel sistema originario vedico il proprio dovere o sva dharma è determinato automaticamente dal karma individuale, tanto che i due termini sono normalmente intercambiabili, tranne che nel caso di vikarma o "azioni negative" che non sono prescritte per nessuno. Il concetto di karma come dovere è quindi strettamente collegato con i concetti di sva dharma e sva bhava; la differenza tra dharma 166 Bhagavad gita: capitolo 18 e bhava è simile alla differenza tra dharma e karma, perché ci può essere un asuri bhava (7.15, 9.12, 16.4, 16.5, 16.19, 16.20) che è opposto a dharma. In altre parole, non può mai esserci un "dharma criminale" come alcuni sciocchi casteisti vorrebbero farci credere, perché si tratterebbe di una contraddizione in termini. Se una persona è nata in una famiglia o comunità di criminali, non è certamente suo dovere restare in tale situazione e portare avanti "l'eredità culturale e le credenze di famiglia". Anzi, è espresso dovere di tutte le persone civili e specialmente dei brahmana aiutare coloro che vogliono riformarsi e purificarsi e trovare un posto adatto all'interno della società umana chiamato varnashrama dharma: krinvanto visva aryam, "Che tutti diventino arya" (Rig Veda 9.63.5). In questo verso le prime tre classi occupazionali sono unite in una sola parola composta (brahmana-kshatriya-visam) mentre i sudra sono menzionati separatamente, poiché brahmana, kshatriya e vaisya sono dvi-ja ("nati due volte") e quindi hanno il dovere di compiere le attività delle loro specifiche responsabilità professionali e anche i tradizionali rituali vedici chiamati nitya karmani ("doveri regolari"). Per definizione, i sudra non hanno i guna adatti per tali doveri, e quindi non viene loro richiesto di compierli; se lo desiderano possono impegnarsi in vari tipi di attività religiose o allenarsi per passare a un varna superiore, sotto la guida esperta di un brahmana qualificato, e se sviluppano i guna adatti, possono ricevere il riconoscimento e l'impegno che è più adatto a loro. Contrariamente all'ideologia abramica, in cui un particolare tipo di nascita viene decretato e sanzionato misteriosamente e indiscutibilmente da Dio e quindi non può essere cambiato per tutta la vita (e poi basta, perché la reincarnazione non è considerata), la civiltà vedica insegna che si ottiene un particolare 167 Parama Karuna Devi corpo in circostanze particolari a causa delle proprie attività precedenti e dei propri desideri, e che quindi la situazione può essere modificata in qualsiasi momento modificando adeguatamente le proprie attività e i propri desideri. Non soltanto questo concetto viene spiegato teoricamente, ma è anche dimostrato attraverso gli esempi pratici di molte famose personalità la cui storia è narrata nella letteratura vedica tradizionale. Jabali (Satyakama Jabala), Valmiki, Gautama, Janasruti, Citraratha sono spesso citati come individui nati totalmente al di fuori del sistema dei varna (si potrebbe dire "fuoricasta") eppure divennero riconosciuti come grandi brahmana e Rishi. La storia di Satyakama Jabala, figlio di una prostituta che non sapeva nemmeno chi fosse il padre, è particolarmente nota perché è riportata nella Chandogya Upanishad (4.4.1-5). Il grande Vasistha era figlio dell'apsara Urvasi, nato da un incontro casuale. Veda Vyasa nacque dall'incontro sessuale casuale di una donna appartenente alla comunità dei pescatori; ebbe un figlio brahmana altamente qualificato (Sukadeva), due figli kshatriya (Pandu e Dhritarastra) e un figlio che era situato su un livello di consapevolezza completamente trascendentale al sistema dei varna (Vidura). Parasara stesso era nato da Adrisyati Chandaluni. Aitareya Rishi, autore dell'Aitareya Upanishad, era nato da una madre sudra. Nell'Aitareya Brahmana (2.19) troviamo la storia di Ailusha Rishi, che era figlio di una prostituta e lui stesso era una persona degradata e un giocatore d'azzardo; divenne però sinceramente interessato alla conoscenza vedica e con il tempo fu riconosciuto come Rishi e Acharya. D'altra parte, sappiamo che il famoso rakshasa Ravana (e i suoi fratelli) erano i nipoti di Pulastya Rishi. Visvamitra figlio di Maharaja Gadi era uno kshatriya non soltanto per nascita ma anche per guna e karma, ma decise di diventare un 168 Bhagavad gita: capitolo 18 brahmana e raggiunse il suo scopo dopo un lungo e difficile addestramento. Viene menzionato insieme a Maharaja Vitahavya nel Mahabharata rispettivamente in Adi Parva capitolo 174 e Anusasana Parva, capitolo 30, perché entrambi salirono da una nascita kshatriya alla posizione di famosi brahmana. L'Hari vamsa (29.7-8) afferma che tra i discendenti di Gritsamada figlio di Vitahavya ci furono molti brahmana, e anche kshatriya, vaisya e sudra. La posizione di brahmana venne raggiunta da Suceta, Prakasa, Pramiti (famosi esperti in Vedas e Vedanga), e anche da Sunaka, che era di nascita sudra e divenne il padre del famoso Saunaka Rishi (che narrò il Bhagavata purana ai Rishi riuniti a Naimisharanya). D'altra parte tra i discendenti del grande brahmana Rishi Bharadvaja troviamo il re Vitaka, un grande kshatriya, che ebbe due figli (Nara e Garga); Nara continuò la dinastia con una discendenza kshatriya, mentre Garga divenne un brahmana. Un altro kshatriya che divenne brahmana e generò una discendenza di brahmana fu Maharaja Dhrista, menzionato nel Bhagavata purana (9.2.16-17). Di nuovo il Bhagavata Purana (9.2.22) nomina per la stessa ragione Maharaja Agnivesya (più tardi conosciuto come Jatukarma Rishi), figlio di Devadatta, i cui discendenti brahmana divennero famosi come gli Agnivesyayana. Jahnu Muni era nato come il figlio del re Hotra, discendente del santo re Aila della Chandra vamsa (Bhagavata Purana 9.15.1-4), Kanva Rishi era nato nella dinastia di Maharaja Puru e suo figlio Medhatithi fu l'antenato del brahmana Praskanna (Bhagavata Purana 9.20.1-7). Similmente la posizione di brahmana venne raggiunta da Gargya il figlio del re Sini, dai tre figli del re Duritakshaya chiamati Trayyaruni, Kavi e Puskararuni (Bhagavata Purana 9.21.19), dai vaisya Nabhaga e Dista (Bhagavata Purana 8.18.3), da Ajamidha e suo figlio Priyamedha (che appartenevano 169 Parama Karuna Devi alla dinastia del re Bharyasva) e dai suoi discendenti come il grande Rishi Mudgala, Satananda e Kripacharya (Bhagavata Purana 9.21.21, 9.21.31). L'Hari vamsa (31.33-35) afferma che Maharaja Bali ebbe cinque figli kshatriya ma anche altri figli che divennero brahmana e iniziarono discendenze di brahmana. Il Bhagavata Purana ci informa inoltre che tra i 100 figli del re Rishabhadeva, 81 divennero brahmana (Bhagavata Purana 5.4.13). VERSO 42 samah: controllo della mente; damah: controllo dei sensi; tapah: controllo del corpo; saucam: pulizia; ksantih: tolleranza; arjavam: semplicità; eva: certamente; ca: e; jnanam: conoscenza teorica; vijnanam: conoscenza applicata; astikyam: fede nell'autorità dei Veda; brahma karma: le attività del brahmana; svabhava jam: nati dalla sua natura specifica. "Le attività (e doveri) del brahmana, determinate dalla sua particolare natura, sono il controllo della propria mente, dei propri sensi e del proprio corpo, la pulizia, la tolleranza, la semplicità, la conoscenza teorica e pratica, e il vivere secondo gli insegnamenti dei Veda. La parola astikyam ("fede nei Veda") è strettamente collegata con la parola astika ("che crede nell'autorità della conoscenza vedica") usata nella categorizzazione tradizionale dei darshana; possiamo 170 Bhagavad gita: capitolo 18 ricordare qui che tra i darshana dharmici ce ne sono tre che sono descritti come na-astika ("che non riconoscono l'autorità della conoscenza vedica"): Buddhismo, Jainismo e il materialismo agnostico di Charvaka. Queste ideologie sono ancora considerate compatibili con il sanatana dharma poiché riconoscono la validità dei principi eterni e universali dell'etica (dharma), ma non sono all'altezza del sistema civile (arya) dei varna e ashrama, e quindi sono chiamati upa-dharma. In questo verso Krishna stabilisce chiaramente che non può esistere un brahmana agnostico, poiché si tratterebbe di un ossimoro o contraddizione in termini, come dire "acqua secca" o "calor freddo". Astikya è una caratteristica fondamentale per cui una persona è riconosciuta come brahmana, perciò se tale qualità non è presente, l'individuo in questione può essere al massimo un brahma bandhu, o "parente di brahmana". E' importante comprendere che questa fede è nella conoscenza vedica autentica e originaria. Non si riferisce a una particolare credenza in un Dio personale, perché la conoscenza vedica contempla anche la prospettiva dell'impersonalismo (akshara, 12.3, non-manifestato, 7.24), benché Krishna affermi che si tratta di una forma di meditazione particolarmente difficile e non necessaria (12.5). Perciò il termine nastika non può essere tradotto come "ateo" nel senso abramico. La coppia di attributi precedenti, jnana-vijnana, è riferita ad astika, perciò indica una fonte solida e verificabile, e non qualche opinione di seconda mano o credenza popolare (laukika sraddha) come talvolta viene considerato l'induismo. Questo significa inoltre che si può certamente studiare e rispettare gli insegnamenti dei commentatori vedici o guru, ma che tali scritti non devono mai essere considerati sullo stesso livello della sruti originaria, perché le loro presentazioni sono state necessariamente adattate ai loro particolari desa, kala, patra e quindi non richiedono a un 171 Parama Karuna Devi brahmana di avere una fede implicita in essi. La cieca fedeltà a una sampradaya contro gli insegnamenti dei Veda originari squalifica dunque una persona dalla categoria dei brahmana. Questo significa inoltre che gli insegnanti a pagamento che dipendono da istituzioni accademiche non possono essere considerati brahmana, perché i brahmana insegnano soltanto sotto la propria responsabilità e danno il valore supremo alla verità e alla conoscenza sopra ogni altra cosa. D'altra parte il sistema accademico costringe le persone a conformarsi con ciò che viene insegnato, anche contro la verità e l'etica, e contro il bene degli studenti. Il successivo karma (attività caratteristica, dovere, qualificazione, occupazione) del brahmana è arjavam, una definizione che contiene i significati di "semplicità, onestà, veridicità, schiettezza". Purtroppo alcune persone confondono la semplicità con la stupidità o l'ignoranza. La stessa cosa si applica a kshanti, che significa "tolleranza, capacità di perdonare", spesso confusa con l'indifferenza o l'apatia, la trascuratezza o l'assenteismo, o anche la mancanza di responsabilità. Le altre qualità sono sama e dama (controllo dei propri sensi interiori ed esteriori, specialmente manasa, jihva, udara e upasta - mente, lingua, stomaco e genitali), tapah (austerità, che consiste nell'affrontare coraggiosamente le difficoltà) e sauca (pulizia e purezza). Queste sono state discusse in molti versi precedenti, specialmente dal 13.8 al 13.12 dove Krishna ha descritto il vero significato di jnana; quella lista deve essere considerata come contenuta nell'espressione jnana vijnana di questo verso. Chi non dimostra le qualità e attività elencate in questo verso non può essere veramente considerato un brahmana. Nel Bhagavata Purana (7.11.21) Narada Muni afferma: samo damas tapah saucam santosah ksantir arjavam, jnanam, 172 Bhagavad gita: capitolo 18 ayacyutatmatvam satyam ca brahma-laksanam, "Le qualità che caratterizzano un brahmana sono il controllo della propria mente e dei propri sensi, l'austerità e la tolleranza di fronte alle difficoltà, la pulizia, la soddisfazione interiore, la tendenza a perdonare, la semplicità, la conoscenza, la compassione, la veridicità, e la completa sottomissione alla Personalità suprema della Divinità". Nel Mahabharata (Vana Parva capitolo 180), Maharaja Yudhisthira afferma: dharmas ca satyam ca damas tapas ca amatsaryam hris titiksanasuya, yajnas ca danam ca dhrtih srutam ca vratani vai dvadasa brahmanasya, "Un brahmana deve comportarsi sempre in accordo al dharma (i principi etici). Innanzitutto deve essere veritiero e capace di controllare i propri sensi. Deve essere austero, distaccato, umile e tollerante. Non deve invidiare nessuno. Deve essere esperto nel compimento dei sacrifici e distribuire i propri beni in carità. Deve essere determinato nello studio delle scritture vediche e nelle attività religiose: queste sono le 12 qualità fondamentali di un brahmana." E ancora, sudre tu yad bhavel laksana dvije tac ca na vidyate, na vai sudro bhavec chudro brahmano na ca brahmanah, "Se queste qualità (elencate come caratteristiche dei brahmana) si trovano in un sudra (cioè una persona nata in una famiglia sudra), quella persona non deve mai essere chiamata sudra, proprio come un brahmana (cioè una persona nata in una famiglia di brahmana) non è un brahmana se manca di queste qualità." Troviamo descrizioni del carattere dei brahmana autentici anche nelle samhita originarie come nel Rig (2.22.2, 5.34.6, 6.63.5, 7.103.1), Atharva (5.17.9), Yajur (26.2); ecco un esempio: brahmana saha saumino vacamarkrat brahma krinvantah parivatsarinam adhvaryayo gharminah sisvidhana avirbhavanti guhya na kecit, "Un brahmana è sempre gentile e parla dolcemente, è sempre impegnato in attività spirituali al livello più alto della consapevolezza, offre rivelazioni sulla conoscenza, 173 Parama Karuna Devi riconosce il merito in altri e non nasconde nulla" (Rig Veda 7.103.8). Ancora il Mahabharata fornisce ulteriori chiarimenti in merito (Anusasana Parva 163.8, 26, 46), quando Shiva dice a Parvati: sthito brahmana-dharmena brahmanyam upajivati, ksatriyo vatha vaisyo va brahma-bhuyah sa gacchati, ebhis tu karmabhir devi subhair acaritais tatha, sudro brahmanatam yati vaisyah ksatriyatam vrajet, etaih karma-phalair devi suddhatma vijitendriyah, sudro'pi dvija-vat sevya iti brahmabravit svayam, sarvo'yam brahmano loke vrttena tu vidhiyate, vrtte sthitas tu sudro'pi brahmanatvam niyacchati. Ecco la traduzione: "Se kshatriya o vaisya si comportano come brahmana e si impegnano nelle occupazioni dei brahmana, quelle persone raggiungono la posizione di brahmana. Nello stesso modo, un sudra può diventare un brahmana e un vaisya può diventare uno kshatriya. O Devi, grazie al compimento di queste attività e all'applicare le istruzioni degli Agama (le scritture vediche che contengono le istruzioni per i rituali) anche una persona nata in una famiglia di sudra privi di qualificazioni può diventare un brahmana. In questo mondo, una persona nasce in una famiglia di brahmana come risultato delle sue tendenze, perciò un sudra che manifesta le tendenze di brahmana e agisce come brahmana automaticamente diventa brahmana." Il Bhagavata Purana (7.11.35) conferma: yasya yal laksanam proktam pumso varnabhivyanjakam, yad anyatrapi drsyeta tat tenaiva vinirdiset, "Chiunque dimostri le caratteristiche di brahmana, kshatriya, vaisya o sudra appena descritte, deve essere classificato nella categoria sociale corrispondente." Abbandonare lo studio e la pratica delle scritture vediche (svadhyaya tyaga) rimane comunque la più grave causa di degradazione per un figlio di genitori brahmana. La Manu samhita (2.157, 2.172) afferma, yatha kastha-mayo hasti yatha carmamayo mrgah yas ca vipro'nadhiyanas trayas te nama bibhrati, "Un 174 Bhagavad gita: capitolo 18 brahmana che non studia i Veda è paragonabile a un elefante o cervo fatto di cuoio, che viene chiamato elefante o cervo ma non può agire come tale. Dobbiamo sapere che finché un brahmana non è qualificato nella conoscenza vedica, rimane sullo stesso livello di un sudra." La Manu samhita (4.245) afferma, uttamanuttaman gacchan hinam hinams ca varjayan, brahmanah sresthatam eti pratyavayena sudratam, "A seconda delle compagnie buone o cattive che frequenta, un brahmana può elevarsi in modo straordinario o cadere nella posizione di sudra." Il Mahabharata (Santi parva, 189.7) dichiara, himsanrta-priya lubdhah sarva-karmopijivinah krsna saucaparibhrasthas te dvijah sudratam gatah sarva-bhaksyaratirn ityam sarva-karmakaro 'sucih tyakta-vedastvanaca rah sa vai sudra iti smrtah, "Un brahmana che commette atti di violenza (come per esempio il consumo di alimenti non vegetariani), che mente e inganna, che è avido, impuro, o si impegna in qualsiasi attività per guadagnarsi da vivere, si degrada alla posizione di sudra. Precisamente poiché mangia e beve qualsiasi cosa senza discriminazione ed è attaccato alle cose materiali e all'idea di fare soldi, ha abbandonato il dharma vedico e il comportamento etico, ed è chiamato sudra." Tradizionalmente, un brahmana viene considerato caduto dalla sua posizione sociale se commette delle violazioni contro la pulizia o purezza (saucam), per esempio consumando alimenti non vegetariani, bevande alcoliche, o anche cibi vegetariani che siano stati cucinati da sudra (sudranna pustam), come conferma il Kurma purana: nadyac chudrasya vipro'nnam mohad va yadi kamatah sa sudra-yonim vrajati yas tu bhunkte hy-anapadi. Questo è il motivo per cui un brahmana non va mai a mangiare al ristorante, ed è estremamente attento a ciò che acquista al mercato. 175 Parama Karuna Devi VERSO 43 sauryam: eroismo; tejah: carisma; dhritih: determinazione; daksyam: abilità; yuddhe: in battaglia; ca: e; api: anche; apalayanam: stabilità; danam: carità; isvara bhavah: senso di leadership; ca: e; ksatram: dello kshatriya; karma: attività e doveri; svabhava jam: nati dalla sua specifica natura. "Le attività (e i doveri) dello kshatriya, determinate dalla sua particolare natura, sono l'eroismo, il carisma, la determinazione, l'inventiva, la fermezza in battaglia, la carità e il senso di leadership. Il Bhagavata Purana conferma: sauryam viryam dhritis tejas, tyagas catmajayah ksama, brahmanyata prasadas ca, satyam ca ksatra laksanam, "Le caratteristiche dello kshatriya sono eroismo e cavalleria, determinazione, carisma, distacco dai possedimenti, controllo di sé, obbedienza ai brahmana, soddisfazione e veridicità" (Bhagavata Purana 7.11.22) e tejo balam dhritih sauryam, titiksaudaryam udyamah, sthairyam brahmanyam aisvaryam, ksatra prakritayas tv imah, "Carisma, forza fisica, determinazione, eroismo, tolleranza, generosità, resistenza, fermezza, devozione ai brahmana e senso di leadership sono le qualità naturali degli kshatriya" (Bhagavata Purana, 11.17.17). Una persona che non dimostra tali qualità in pratica non è uno kshatriya ma un impostore e un usurpatore, o il discendente imbelle di antenati illustri. 176 Bhagavad gita: capitolo 18 Proprio come arjavam (semplicità) e kshanti (tolleranza) non vanno confuse con stupidità e apatia, le caratteristiche dello kshatriya devono essere comprese correttamente. L'espressione isvara bhava ("sentimento di controllo") fa riferimento al sentimento del Signore (isvara). La tendenza a controllare non è una cosa negativa, purché non significhi maltrattare la gente e opprimerla per imporre la propria volontà su quella degli altri per capriccio. Se la persona che ama dare ordini è qualificata e addestrata, e capace di guidare, dirigere e organizzare gli altri, la società dovrebbe apprezzare questa qualità e usarla in modo positivo invece di considerarla fonte di risentimento sulla base della convinzione illusoria che tutti gli esseri umani sono perfettamente uguali. L'unica uguaglianza che dovrebbe esistere nella società è uguale accesso alle opportunità di qualificarsi; secondo la particolare natura (talenti e tendenze, o guna e karma) di ciascun individuo, alcune persone diventeranno più qualificate per alcuni particolari doveri, e altre saranno più adatte per altri doveri, e altri ancora avranno sempre bisogno di farsi dire cosa fare e dipenderanno da altri per la protezione e il mantenimento. Certamente il rispetto e l'obbedienza devono essere ispirati, non pretesi. Un vero leader risplende per il proprio valore e carisma (tejas, saurya) e naturalmente attira la fiducia e la lealtà delle persone buone. Un vero kshatriya è sempre in prima linea, davanti a tutti gli altri, nel pieno della battaglia, ed è l'esempio migliore per tutti. Lavora più duramente e più ore di chiunque altro ed è sempre pronto (24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana) a sacrificare la propria gratificazione dei sensi, comodità, possedimenti e vita personale (vivendo e morendo) per il bene del regno e dei praja che il regno sia una grande nazione o un villaggio, un quartiere urbano o un qualsiasi gruppo di persone che sono disposte a farsi guidare da lui. 177 Parama Karuna Devi Uno kshatriya autentico si assume la responsabilità non solo per i propri fallimenti ma anche per le sconfitte collettive, ispira e incoraggia gli altri e li aiuta ad elevarsi e progredire per diventare leader qualificati a loro volta. Dimostra cura, attenzione e affetto per i praja proprio come un buon padre si comporta con i propri figli, li impegna in modo gioioso e appropriato, e veglia sempre sul loro benessere, anche al di sopra della propria famiglia immediata e dei suoi parenti. Se uno kshatriya si aspetta di essere obbedito quando ordina alla gente cosa fare, è perché sa cosa sta facendo; è daksha, "esperto", poiché il suo addestramento gli ha insegnato la scienza della strategia in guerra, della gestione della società e dell'amministrazione delle risorse. La parola dakshyam indica anche l'inventiva, una mentalità piena di risorse, la capacità di affrontare situazioni impreviste e adattare facilmente il proprio approccio. La generosità e la tendenza caritatevole (dana) sono sue qualità naturali, perciò le persone non hanno paura di essere sfruttate o maltrattate in qualche modo, anzi, perché lo kshatriya non esita mai a difendere la giustizia e proteggere i sudditi (yuddhe apalayanam), le persone si sentono al sicuro in sua presenza e cercano il suo aiuto e la sua protezione. Le qualità dette sauryam e tejas sono simili tra loro. La parola sauryam è strettamente collegata a sura (gli esseri divini conosciuti come Deva) e surya, che si riferiscono al Sole, e indica la radiosità della maestà, la cavalleria e l'energia personale, e l'invincibilità che associamo con il Sole stesso. Tejas significa anche "radiosità, potere", e persino "calore", e i suoi significati si sovrappongono a tapah; in effetti tejas è creato da tapah. Questi due attributi ci avvertono che è pericoloso avvicinarsi troppo allo kshatriya reale, perché nonostante la sua benevolenza e il suo spirito di sacrificio, la sua energia è molto potente e può bruciare una personalità debole, causando effetti 178 Bhagavad gita: capitolo 18 negativi come invidia o paura (che a sua volta darà origine all'odio). Normalmente e idealmente, sauryam e tejas dovrebbero essere impegnati con determinazione e attenta abilità nella protezione dei praja, e quindi le due qualità sono menzionate nella prima parte del verso insieme a dhriti (determinazione, pazienza, sopportazione, perseveranza), dakshyam (abilità, inventiva, esperienza, abilità) e yuddhe apalayanam (fermezza e coraggio in battaglia). La parola dhriti, specialmente in questo contesto, può essere tradotta anche nel significato di "duro, implacabile". Indica la forte determinazine del guerriero, che fronteggia fermamente qualunque situazione difficile o perdita e persino la morte, e quando è ferito e incapace di rimanere in piedi, continua a combattere anche in ginocchio. Ma questa determinazione non va confusa con la stupida ostinazione delle persone tamasiche che sono attaccate a una particolare azione o credenza o sottovalutano i pericoli Lo kshatriya ha una visione chiara della situazione ma sceglie di sacrificare sé stesso per la protezione dei praja se questo si rivela necessario, perché è il suo dovere. Non è mai depresso o scoraggiato - sentimenti che sono considerati una contaminazione (kasmalam, 2.2), un segno di impotenza (klaibyam, 2.3) e una "debolezza del cuore" (hridaya daurbalyam, 2.3) che è indegna di una persona civile (anarya justam, 2.1), causa di infamia (akirti karam, 2.1) e un ostacolo al proprio progresso (asvargyam, 2.1). Naturalmente non ci si può aspettare queste qualità da tutti, e persino in un individuo che ha il talento e la tendenza giusti per il ruolo di kshatriya, questi devono essere sviluppati attraverso un addestramento e un'esperienza adeguati, perciò chi aspira ad essere kshatriya non deve lasciarsi scoraggiare da eventuali lacune. Simile a dhriti è apalayanam, "che non fugge", cioè la fermezza in battaglia e l'eroismo di fronte alle avversità; questa qualità o caratteristica non è dimostrata soltanto sul campo di battaglia ma 179 Parama Karuna Devi in tutti gli aspetti della vita quotidiana, nelle cose piccole e nelle cose grandi. Inoltre ci sono sono molte armi con le quali si può combattere; spade, archi e frecce (di molti tipi) sono più cavallereschi delle pistole e delle armi moderne (più adatte ai codardi) e poi ci sono anche armi sottili, costituite da parole e idee. Gli kshatriya sono istruiti e addestrati in strategia e diplomazia nel trattare con il nemico - il primo passo è sama, trattare l'oppositore come un amico e lasciargli sufficiente spazio perché possa vivere e prosperare, il secondo è dana, cercare di conquistarlo con regali e offerte di pace, il terzo tentativo è bheda, cercare di spezzare le alleanze tra oppositori e affrontare un nemico alla volta, e soltanto come ultima risorsa si deve ricorrere a danda, la punizione, cioè passare all'azione fisica contro l'offensore. Questo ci porta a un'altra chiarificazione molto importante. Il compito principale di uno kshatriya è combattere per proteggere i praja, perché questa è la sua tendenza naturale e l'uso migliore delle sue qualità, come Krishna ha detto specificamente: sva dharmam api caveksya na vikampitum arhasi, dharmyad hi yuddhac chreyo 'nyat ksatriyasya na vidyate, yadricchaya copapannam svarga dvaram apavritam, sukhinah ksatriyah partha labhante yuddham idrisam, "Considerando il tuo dovere dharmico, non dovresti esitare, perché per uno kshatriya non c'è niente di meglio che combattere una battaglia dharmica. O Arjuna, felici sono gli kshatriya ai quali tale opportunità si presenta spontaneamente. Per un guerriero, impegnarsi in questa battaglia è come vedere le porte del cielo aprirsi davanti a lui." (2.31, 2.32). Lo confermerà di nuovo il verso 18.59. Lo spirito guerriero dello kshatriya non è però la bellicosità, la sete di sangue e la crudeltà degli asura; non è un bullo rissoso, ed evita di scontrarsi e combattere se c'è ancora qualche alternativa possibile, come dimostrarono in pratica i Pandava nella loro relazione con l'aggressivo Duryodhana e i suoi fratelli. 180 Bhagavad gita: capitolo 18 Inoltre esiste uno specifico codice di comportamento per gli kshatriya: i non-combattenti non devono mai essere attaccati o danneggiati, e le proprietà che non sono direttamente collegate con il combattimento non devono essere distrutte - per esempio gli accampamenti in cui i guerrieri si ritirano per la notte non devono essere toccati. Persino sul campo di battaglia un nemico non va attaccato se è impreparato, disarmato, distratto, sofferente o se si riconosce sconfitto. A volte persone non qualificate si fanno passare per kshatriya, ma dovrebbero essere smascherate e neutralizzate da kshatriya autentici o brahmana; sono descritti come nripa linga dharam ("che semplicemente mostrano le apparenze di re"). Esempi famosi si trovano nel Bhagavata Purana (1.3.25, 1.14.17, 4.14.28, 4.14.31, 4.14.34, 1.16.4, 1.17.1, 1.17.5, 1.17.10-11, 1.17.14, 1.17.32, 4.14.4, 4.16.6, 4.16.14-16, 12.1.39-41, 12.2.8. 12.2.20). Ecco una descrizione dei re non qualificati del Kali yuga: stri bala go dvija ghnas ca, para dara dhanadritah, uditasta mita praya, alpa sattvalpakayusah, asamskritah kriya hina, rajasa tamasavritah, prajas te bhaksayisyanti, mleccha rajanya rupinah, "Questi mleccha travestiti da re faranno del male a donne, bambini, mucche/ al pianeta e ai nati due volte, e cercheranno di impadronirsi delle mogli e delle ricchezze di altri. Saranno instabili mentalmente ed emotivamente, piuttosto deboli mentalmente e fisicamente, e avranno vita breve. Coperti da rajas e tamas, non svolgeranno alcun vero dovere o rituale di buon augurio, ma divoreranno i praja." (Bhagavata Purana 12.2.39-40). Una breve nota sul significato di mleccha: come nel caso dei varna, la categoria dei mleccha dipende da guna e karma, dimostrata da una natura criminale (mleccha bhavata durjanah, Bhagavata Purana 9.16.33), come nel caso dei figli di Visvamitra che non accettarono Sunahsepha come loro fratello maggiore. Discendenza familiare, gruppo etnico, lingua, nazionalità, famiglia 181 Parama Karuna Devi di nascita e altre considerazioni simili sono irrilevanti al riguardo solo il comportamento adharmico costituisce il criterio di valutazione. VERSO 44 krisi: agricoltura; go raksya: protezione delle mucche/ del pianeta; vanijyam: commercio; vaisya karma: le attività (doveri) del vasya; svabhava-jam: nate dalla sua specifica natura; paricarya: servizio/ assistenza; atmakam: che consiste di; karma: attività/ doveri; sudrasya: del sudra; api: anche; svabhava-jam: nate dalla sua natura specifica. "Le attività (i doveri) del vaisya, determinate dalla sua particolare natura, sono l'agricoltura, la protezione delle mucche/ del pianeta, e il commercio. Le attività (i doveri) del sudra, determinate dalla sua particolare natura, sono il servizio/ l'assistenza (agli altri). Vaisya e sudra sono raggruppati in un solo verso perché sono meno evoluti di brahmana e kshatriya e quindi hanno meno doveri; i sudra considerevolmente meno dei vaisya. Queste posizioni professionali e sociali sono più facili da mantenere anche senza particolari sforzi per qualificarsi o fare molti sacrifici personali. E' detto quindi che nell'era di Kali tutti nascono sudra, perché senza uno strenuo sforzo e un addestramento adeguato è quasi impossibile diventare brahmana o kshatriya autentici. 182 Bhagavad gita: capitolo 18 Eppure, i sudra e specialmente i vaisya non dovrebbero essere sottovalutati, perché il loro lavoro è essenziale per il giusto funzionamento del corpo sociale. Soltanto gli stupidi trascurano il proprio stomaco o i propri piedi, considerandoli meno degni d'amore delle proprie braccia o della propria testa, perché tutte le parti del corpo sono strettamente collegate e le sofferenze di una delle parti è sentita dal corpo intero. La parola krishi è la parte più importante del verso; nel 17.7 abbiamo discusso dell'importanza fondamentale del cibo, sia dal punto di vista materiale che da quello spirituale, e in che modo la produzione di abbondante cibo costituisca il centro dell'intero servizio al corpo sociale. Persino i brahmana e gli kshatriya dipendono dal cibo prodotto dall'agricoltura, proprio come le funzioni fondamentali della testa e delle braccia sono quelle di procurare cibo e inviare le risorse allo stomaco perché le sostanze nutritive siano ridistribuite in tutto il corpo, e tutte le altre attività possano venire compiute nel modo migliore - comprese le funzioni superiori dell'intelletto e della consapevolezza. Senza cibo sufficiente e appropriato non ci può essere progresso materiale o spirituale (1.42, 17.13), come conferma anche la shruti (Chandogya Upanishad 6.6, 7.1-3, Taittirya Upanishad Brighu valli, 3.1.1, 3.7.2, 3.8.1, 3.9.1, 3.10.1, Taittirya Upanishad Brahmananda valli, 2.2.1, Sama Veda samhita 3.10.6, Prasna Upanishad 1.4, 1.14, Brihad aranyaka Upanishad 1.4.7). Dopo aver stabilito l'importanza dell'agricoltura, Krishna fornisce immediatamente le necessarie linee guida etiche con l'espressione go rakshya; rakshya significa "protezione" e go può indicare sia le mucche che Madre Terra come personificazione della terra. Questo significa che un vaisya è responsabile della salute e del benessere della terra; deve assicurarsi che il terreno non sia impoverito o inquinato in alcun modo, perché la produzione di cibo ne soffrirebbe. 183 Parama Karuna Devi All'interno della definizione di terra (go, bhumi) bisogna naturalmente includere i corsi d'acqua (di superficie e sotterranei), le foreste, gli animali selvatici e così via. La protezione delle mucche ovviamente non significa lo sfruttamento senza scrupoli e il trattamento crudele che possiamo osservare nei metodi di "allevamento" sviluppati secondo i valori di sfruttamento abramici e l'industrializzazione centralizzata. Chi è abituato all'attuale società asurica (e potrebbe considerarla "la norma") forse farà fatica a crederci, ma è possibile per gli esseri umani vivere insieme alle mucche e altri animali in una relazione di mutuo beneficio, basata su amicizia, amore, rispetto e fiducia. Quando vengono ottenuti eticamente, i prodotti delle mucche sono estremamente preziosi per la salute e il progresso della società umana. La parola vanijyam significa "commercio", e si riferisce a uno stadio successivo nella trasformazione e nella distribuzione delle risorse, per cui si crea ricchezza attraverso imprese commerciali. Queste non includono le posizioni non necessarie e parassitiche in cui semplicemente si fanno soldi senza produrre qualcosa di valido, ma comprende tutte quelle attività che contribuiscono a creare beni utili e a distribuirli a un numero più vasto di persone. Per esempio, scavare miniere e forgiare i metalli in armi, pentole e piatti, contenitori, strumenti per l'agricoltura e attrezzi specializzati di ogni genere, e naturalmente anche gli ornamenti personali che sono adatti per i differenti tipi di individui a seconda delle raccomandazioni dei brahmana. I vaisya usavano anche i metalli preziosi (oro, argento, rame) nella forma di monete coniate e gemme preziose (perle, diamanti eccetera) per sostenere il loro commercio in regioni dove si recavano per fiume o mare o utilizzando le strade protette dalle guarnigioni imperiali, trasportando beni e prodotti caratteristici di alte regioni, come sale, spezie, erbe medicinali ed estratti, materiali tessili, olii, cibi rari e semi, cosmetici e così via. 184 Bhagavad gita: capitolo 18 La tradizione indiana dà uguale importanza primaria al personale militare e agli agricoltori (jawan-kissan) che sono le basi per la sopravvivenza e la prosperità della gente e del regno(rastra), anche in assenza di brahmana e kshatriya adeguatamente qualificati, come vediamo nelle civiltà tribali non ariane. In effetti, i problemi attuali di contadini e società in generale potrebbero essere risolti eliminando le tendenze asuriche e gli ostacoli (interni ed esterni) e lasciando alla gente la libertà sufficiente per prendersi cura di sé stessi per quanto riguarda il cibo e gli altri prodotti dell'agricoltura e della foresta, l'energia, gli alloggi e la protezione. Qualsiasi società può prosperare con un'agricoltura basata innanzitutto sulla sussistenza locale e autosufficienza, con una produzione diversificata basata sulla coltivazione biologica e la permacoltura, la lavorazione per valore aggiunto in unità industriali di livello casalingo per la conservazione e trasformazione dei prodotti, e piccoli mercati locali che vendono direttamente ai consumatori in una zona aperta. Questo era il sistema normale ovunque nei tempi antichi, e funzionava benissimo. Il sistema vedico eleva la società umana a un piano più alto. E' più scientifico e centrato sull'istruzione e l'addestramento, in modo che si possa sviluppare il pieno potenziale di ciascun individuo, una fase dopo l'altra, dopo aver raggiunto la perfezione nella propria occupazione individuale. Un sudra viene incoraggiato a diventare responsabile per sé stesso attraverso lo sviluppo di artigianato indipendente e/ o coltivando l'orto di casa; una volta che è diventato capace di gestire da solo la propria produzione e realizzare il mantenimento necessario a sé stesso e alla sua famiglia, è già sulla via per diventare un vaisya. Il passo decisivo consiste nel diventare apprendista e gestire il proprio lavoro e il proprio mantenimento - a questo punto si è già imprenditori, anche se in piccolo, e si può ottenere consiglio e ulteriore addestramento da vaisya qualificati e poi dai brahmana. 185 Parama Karuna Devi Un vaisya di successo è diventato capace di gestire molti lavoratori e sviluppa gradualmente una tendenza a proteggere i propri subordinati - sia animali che umani - e la terra di cui si prende cura. Attraverso una collaborazione più stretta con kshatriya qualificati e le adeguate istruzioni dai brahmana, può sviluppare le qualità per diventare pienamente responsabile per il suo piccolo "regno" e delegando i compiti più facili agli apprendisti, può diventare qualificato come kshatriya lui stesso. Similmente, uno kshatriya che ha allargato la propria mente dalla responsabilità di un piccolo regno alla più grande società di tutti gli esseri dell'universo può diventare capace di proteggere i praja su un livello più profondo e vasto, che va al di là dell'identificazione temporanea con il corpo materiale e la posizione sociale. Poiché tutti i nati due volte (brahmana, kshatriya e vaisya) studiano regolarmente la conoscenza vedica e si impegnano in attività e ricerche religiose, questa evoluzione è semplicemente naturale. Nella sua elaborazione sul sistema dei varna, Narada Rishi spiega al re Yudhisthira: deva guru acyute bhaktis, tri varga pariposanam, astikyam udyamo nityam, naipunyam vaisya laksanam, "Le caratteristiche del vaisya sono devozione verso i Deva, il guru e Dio, il nutrire i tre (i 3 varna, e anche i 3 scopi di dharma-artha-kama), la fede nel sistema vedico, l'abilità e la determinazione nel lavoro" (7.11.23). Krishna ha dato istruzioni simili a Uddhava: astikyam dana nistha ca, adambho brahma sevanam, atustir arthopacayair, vaisya prakritayas tv imah, "Fede nella civiltà vedica, dedizione alla carità, libertà dall'ipocrisia, servizio ai brahmana e lavoro costante per creare ricchezze sono le qualità naturali dei vaisya." (Bhagavata Purana, 11.17.18). Il dovere del sudra è molto semplice e richiede soltanto sincerità e lealtà verso il datore di lavoro. E' importante comprendere che il sudra non è uno schiavo, un fuoricasta o intoccabile (dalit o paria); i sudra normalmente vivevano nella casa del datore di 186 Bhagavad gita: capitolo 18 lavoro come membri della famiglia, ma erano liberi di andarsene se non erano soddisfatti del trattamento, e talvolta potevano essere licenziati se non si comportavano bene. Benché il sistema vedico incoraggi l'evoluzione individuale, a volte le persone scelgono di abbandonarsi a tendenze più basse e degradanti, sviluppando cattive abitudini; per esempio trascurando la pulizia o diventando avidi al punto di rubare, o crudeli e insensibili verso gli esseri umani o gli animali. A quel punto il sudra cade al livello di anarya e viene licenziato dal servizio ed espulso dalla vita sociale vedica; diventa un chandala o mleccha, che si trova al di fuori del sistema dei varna e quindi non ha alcun dovere. La parola paricarya significa "lavorare per altri" e si riferisce all'impiego o lavoro dipendente, e comprende tutti i servitori dello Stato o del governo a ogni livello; chiunque riceva uno stipendio per il suo lavoro è un sudra. Uno kshatriya protegge i sudditi in modo indipendente e non prende ordini o stipendio da nessuno, perché ciò comprometterebbe la sua libertà nel sostenere il dharma; può accettare doni o tributi (tasse) dalle persone che protegge e cura, ma soltanto in misura ragionevole. Uno kshatriya può impiegare soldati sudra nel suo esercito sotto i suoi ordini e occuparsi del loro mantenimento, ma le loro responsabilità e i loro doveri sono diversi; non sono in servizio permanente ma semplicemente rispondono alla chiamata dello kshatriya in caso di attacco esterno. Sono cittadini privati che comprendono che il re ha bisogno di aiuto per difendere le loro case e famiglie, e partecipano alle manovre meglio che possono a seconda delle loro capacità; questi combattenti volontari temporanei possono provenire da ogni sezione della società perché tutte le membra del corpo sono desiderose di aiutare quando l'intero corpo è in pericolo, perciò sudra, vaisya e persino brahmana possono portare armi e combattere sul campo di battaglia in caso di emergenza. 187 Parama Karuna Devi Ma ciò non li fa diventare kshatriya, e non sono organizzati in modo permanente in forze militari come nelle società moderne, in cui il personale militare diventa annoiato e irrequieto quando non ci sono guerre, o si impigrisce adagiandosi sullo stipendio pagato dal governo. VERSO 45 sve sve: ciascuno secondo la propria natura; karmani: attività; abhi ratah: seguendo; sam siddhim: perfezione completa; labhate: ottiene; narah: un essere umano; sva karma: nel proprio dovere specifico; niratah: impegnato; siddhim: perfezione; yatha: come; vindati: raggiunge; tat: quello; srnu: ascolta. "Impegnandosi nei doveri relativi alla sua natura specifica, un essere umano gradualmente ottiene la perfezione. Ora ascolta come si può raggiungere la perfezione impegnandosi nei propri doveri specifici. L'espressione sve sve karmani indica che ogni membro del corpo sociale ha funzioni molto specifiche e dovrebbe rimanere fedele all'impegno nei suoi particolari doveri a seconda della posizione che è stata assegnata individualmente dal guru. L'influenza di rajas e tamas può spingere le persone a desiderare un'occupazione differente perché sembra offrire maggiori vantaggi e meno problemi della posizione che stanno occupando, ma questa è semplice illusione. 188 Bhagavad gita: capitolo 18 E' sempre possibile salire di varna, ma non si deve farlo a capriccio; è necessario un addestramento e una qualificazione autentica secondo le regole stabilite. Una discesa di varna è molto più facile, ma non aiuta l'evoluzione personale dell'individuo o il buon funzionamento della società; comunque è preferibile scendere a una posizione di minore responsabilità piuttosto che cercare di occupare artificialmente una posizione professionale senza compiere adeguatamente il proprio dovere. Specialmente nel sistema vedico autentico, più alta è la posizione che si occupa, più ci sono doveri e più difficile e duro è il lavoro, e più sacrifici bisogna fare per il bene della società. I sudra possono pensare che il loro datore di lavoro vaisya faccia la bella vita limitandosi a dare ordini mentre i braccianti fanno tutto la fatica, ma non sanno niente di pianificazione, coordinamento, vendite e amministrazione. Lasciati a sé stessi, i sudra lavorerebbero il minimo possibile e consumerebbero il più possibile per godere e divertirsi, e ben presto finirebbero in bancarotta e in miseria. Certo la definizione di sudra si applica al guna e karma di ciascun individuo, e non alla nascita o all'appartenenza a una comunità sudra, perché è certamente possibile che genitori sudra diano alla luce un figlio con maggiore talento, che salirà a una posizione sociale più alta con i propri sforzi, anche nonostante grandi difficoltà. Gli esperimenti socialisti e comunisti degli ultimi 300 anni hanno dimostrato che inevitabilmente individui di maggiore talento (e spesso più brutali) sorgono comunque a riempire i posti di comando, e in assenza di un sistema sociale etico e scientifico per valutare le loro qualificazioni, il loro potere personale non può essere controllato dalle regole e dai doveri che sostengono una progressiva evoluzione. Diventano dunque tiranni loro stessi, e la gente che lavora sotto di loro è oppressa e sfruttata spesso peggio che nei sistemi capitalistici, e nessuno riesce veramente a 189 Parama Karuna Devi progredire un granché, perché nessuno è incoraggiato a prendersi delle responsabilità personali e sviluppare maggiori qualificazioni. La parola abhiratah significa "rimanere fedele, seguire", e indica quel tipo di attaccamento al dovere che è in realtà privo di egoismo; è la lealtà verso la società, l'amore e l'orgoglio per il proprio lavoro in quanto giusto dovere. Questo approccio porta una profonda soddisfazione e una sensazione di felicità per un lavoro ben fatto, per la coscienza pulita di aver contribuito facendo la propria parte per il bene comune. Poiché i doveri prescritti per le categorie professionali sono fortemente basati su considerazioni etiche e di progresso, costituiscono una protezione preziosa contro la degradazione e dovrebbero sempre essere rispettati nel modo migliore possibile. Certo questo non significa che non ci debba essere flessibilità nel sistema. Questo ci porta al concetto molto importante di apat (apad) dharma, o "doveri/ considerazioni etiche in caso di emergenza". E' simile alla parola anapadi, che indica un'emergenza sociale o un rivolgimento in cui non c'è una persona qualificata a occupare una particolare posizione, e qualcun altro deve prendere il suo posto. Il sistema vedico è basato sui principi etici fondamentali chiamati coscienza, e quindi ammette facilmente che in alcune circostanze è meglio seguire lo spirito della legge piuttosto che la lettera; il dharma non è una serie rigida di comandamenti e tabù ma un sistema di principi che sostengono la società, e quindi deve essere applicato con intelligenza secondo le circostanze. La Chandogya Upanishad (1.10-12) offre l'esempio di Ushasti figlio di Chakra, che era un purohita, un capo sacerdote nei rituali di sacrificio celebrati da re e altri nati due volte. Un giorno mentre viaggiava per una regione selvaggia durante una grave carestia, riuscì a procurarsi come cibo soltanto alcuni fagioli cotti dalla casa di un chandala (fuoricasta) e li divise con la moglie perché avevano molta fame, ma rifiutò l'acqua che il chandala voleva dargli, 190 Bhagavad gita: capitolo 18 perché avrebbe potuto trovare dell'acqua più pulita da qualche altra parte. Dopo aver fatto semplicemente il bagno, continuò per la sua destinazione dove riprese il suo posto come istruttore e supervisore dei ritvika brahmana impegnati nei rituali religiosi ai quali era stato invitato. Nessuno obiettò dicendo che aveva "perduto la casta" e che quindi non era più qualificato a dirigere lo yajna. I brahmana hanno comunque la responsabilità di accertare il livello di emergenza e dirigere o approvare le azioni necessarie; è detto: jaghanyo nottamam vrittim anapadi bhajen narah, rite rajanyam apatsu sarvesam api sarvasah, "Una persona di qualificazioni inferiori non deve usurpare una posizione più alta per una migliore qualità della propria vita, ma se non c'è un re autentico che si prenda cura del regno, nell'emergenza che si crea chiunque può svolgere i compiti di altri - tranne che per lo kshatriya" (Bhagavata Purana, 7.11.17). L'eccezione dello kshatriya in questo verso significa che in tempi di emergenza o di rivolgimento sociale, il lavoro dello kshatriya è il più importante e urgente per preservare e proteggere i praja e le risorse del regno, perciò uno kshatriya che abbandona i propri doveri in tali circostanze per assumere qualche altra attività professionale è un traditore del regno. Uno kshatriya può anche trovarsi in una situazione di emergenza personale - per esempio esiliato a causa di qualche congiura di palazzo, o sconfitto in battaglia e lasciato gravemente ferito sul campo di battaglia mentre il suo oppositore sale al trono. In questi casi può assumere le occupazioni di bahmana (se è qualificato a insegnare qualcosa) o vaisya (agricoltura e protezione delle mucche) fino al momento in cui può riprendere i suoi normali doveri; l'unica eccezione è che non può diventare un sudra, altrimenti sarà perduto (Bhagavata Purana, 11.17.48). Similmente, un brahmana può lavorare temporaneamente come kshatriya o vaisya, ma mai diventare un sudra, perché quello è considerato il 191 Parama Karuna Devi lavoro di un cane (sva vrittya, 11.17.47): un cane infatti dipende completamente dal padrone e gli è ciecamente fedele, senza essere preoccuparsi di considerazioni etiche. Un vaisya può impegnarsi in attività di artigianato o trovare un impiego temporaneo come sudra (11.17.49), finché ottiene l'opportunità di tornare ai suoi normali doveri. I doveri di ciascun particolare varna sono studiati per mettere alla prova le capacità di ogni individuo e farlo progredire nell'apprendimento e nella realizzazione, perciò è possibile che a causa di qualche difficoltà o depressione si possa essere tentati di prendere una posizione diversa - una più bassa, per la quale si è più che qualificati e quindi non bisogna fare molti sforzi, o una più alta per la quale non si comprende nemmeno che tipo di qualificazioni siano necessarie. Questo è il motivo per cui il verso 18.47 ammonisce che è meglio fallire o morire impegnandosi nel proprio dovere piuttosto che ottenere il successo compiendo il dovere di qualcun altro. La parola samsiddhi è il composto di sam + siddhi, e indica la perfezione completa, proprio come la parola samskrita (che indica la lingua sanscrita) è il composto di sam + krita, a indicare un completo sistema di espressione. La perfezione completa che si può ottenere tramite il compimento leale e sincero dei propri doveri professionali e sociali - cioè il giusto lavoro - accresce la conoscenza, migliora il carattere (sila, o condotta), l'intelligenza, la forza, la ricchezza, la posizione e i meriti religiosi (punya), così da ottenere una nascita migliore nella prossima vita o anche moksha (la liberazione). La parola vindati ("accresce") indica il graduale raggiungimento della perfezione attraverso uno sforzo regolare e continuo. 192 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 46 yatah: dal quale; pravrittih: la creazione/ l'impegno; bhutanam: degli esseri; yena: da lui; sarvam idam: tutto questo (universo); tatam: è pervaso; sva karmana: con le proprie attività; tam: quello; abhyarcya: adorando; siddhim: la perfezione; vindati: raggiunge; manavah: un essere umano. "Compiendo adeguatamente i propri doveri si adora il Supremo, che crea e impegna tutti gli esseri/ tutte le situazioni, e che pervade l'universo intero. Questo è il modo in cui un essere umano può raggiungere la perfezione. La gloria del sistema vedico è che eleva l'essere umano al piano di membro del corpo della Personalità suprema della Divinità, per essere impegnato direttamente nella creazione, nel controllo, nella conservazione e nella protezione dell'universo. Questo concetto si trova esclusivamente nella tradizione vedica, poiché gli altri sistemi dharmici e naturali considerano l'essere umano semplicemente come una parte della creazione, con gli stessi diritti di tutte le altre creature ma non maggiori doveri, mentre i sistemi adharmici considerano l'essere umano come signore e padrone della creazione, con maggiori diritti (e nessun dovere) a paragone delle altre creature. Questo è il motivo per cui nella tradizione vedica, e specialmente nel sistema dei varna e ashrama, la parola dharma viene normalmente tradotta come "dovere". Questa è anche la ragione 193 Parama Karuna Devi per cui i dvi-ja (nati due volte) che sono più responsabili rispetto alla popolazione ordinaria e generica di sudra devono impegnarsi quotidianamente nei rituali religiosi per associarsi con i Deva, che hanno responsabilità ancora più alte verso tutte le creature. Qando un brahmana, kshatriya o vaisya è impegnato nel compimento dell'homa (sacrificio del fuoco) e chiama i Deva a consumare le ahuti (oblazioni di burro chiarificato) è in realtà seduto a una colazione di lavoro con i suoi superiori - per incontrarli, frequentarli, sviluppare una relazione e assorbire le loro qualità, e al termine di questa vita umana potrà spostarsi al loro livello e lavorare direttamente con loro. Anche i Deva sono membra del corpo universale (Virata Rupa), e occupano le loro posizioni precisamente a causa della loro assoluta lealtà verso i propri doveri; il fuoco non manca mai di bruciare, il vento soffia sempre secondo leggi precise, il sole sorge regolarmente, e la morte non fallisce mai nel raccogliere il tributo su un corpo mortale. Tutti i livelli di consapevolezza sono però coordinati dalla Coscienza suprema, che include tutte le altre coscienze individuali e allo stesso tempo è più grande di tutte queste insieme - proprio come il proprietario del corpo include le funzioni e la consapevolezza di tutte le cellule e gli organi del corpo, eppure è qualcosa di più del corpo. Ciò era chiaramente confermato nel verso 15.7: mamaivamso jiva loke jiva bhutah sanatanah, "L'essere vivente in questo mondo è certamente un membro del mio (corpo) e in quanto tale è eterno." Al livello universale, questa Coscienza suprema o Realtà viene chiamata tattva, o più specificamente, vishnu tattva, poiché è il fondamento e la sorgente di ogni potere (vishnu significa "potente"). Qui non dobbiamo essere distratti dal pregiudizio settario, perché perderemmo un'occasione preziosa per comprendere veramente la vita; Vishnu non è una Divinità separata che può essere opposta a Shiva, Durga, Brahma, o altre 194 Bhagavad gita: capitolo 18 Personalità di Dio, anche se vediamo che nei loro avatara lila, le varie Personalità interagiscono in modi meravigliosi. In realtà tutte queste Personalità sono una sola Realtà, una Coscienza suprema, che è chiamata Brahman, Paramatma, Bhagavan: vadanti tat tattva vidas, tattvam yaj jnanam advayam, brahmeti paramatmeti, bhagavan iti sabdyate, "Coloro che conoscono il tattva dichiarano che il tattva è la Conoscenza indivisa, definita con i nomi di Brahman, Paramatma, e Bhagavan" (Bhagavata Purana 1.2.11). La Divinità è descritta come conoscenza (jnana) e realtà (tattva), e anche come indivisa (advayam); Dio è dunque la somma totale di tutti gli esseri e di tutta la conoscenza o coscienza, e sebbene rimanga indiviso, manifesta innumerevoli forme e nomi per esprimere tutta l'immensa varietà delle qualità e funzioni. E' già impossibile comprendere tutti quegli aspetti di Dio che sono manifestati in questo singolo universo (Virata Rupa), perciò possiamo immaginare quanto deve essere sciocca l'arroganza di qualcuno che proclama di conoscere pienamente la Realtà Suprema nel mondo spirituale, che è non-manifestato e quindi impossibile persino da concepire per le menti che funzionano secondo i parametri di tempo e spazio. Dopo aver chiarito questo punto, possiamo affermare serenamente che tutti i membri del sistema dei varna dovrebbero effettivamente compiere i loro doveri professionali con sincerità e devozione, considerandoli come l'atto più fondamentale di adorazione a Vishnu, che è la somma totale di tutta la Consapevolezza; atah pumbhir dvija srestha varnasrama vibhagasah, svanusthitasya dharmasya samsiddhir hari tosanam, "Le categorie dei varna e ashrama e i loro doveri prescritti specifici costituiscono la perfezione (della vita umana) perché soddisfano Vishnu" (Bhagavata Purana, 1.2.13), varnasramacara vata purusena parah puman, visnur aradhyate pantha nanyat tat tosa karanam, "Un essere umano che compie i doveri del sistema varna-ashrama 195 Parama Karuna Devi sta adorando la Personalità suprema di Dio, Vishnu. Non c'è altro modo per ottenere la soddisfazione" (Vishnu Purana 3.8.9). La soddisfazione di cui parla questo verso del Vishnu Purana si riferisce sia a soddisfare il Supremo che a soddisfare l'atman, in quanto i due sono strettamente collegati. La parola yatha all'inizio del verso è una declinazione del pronome yah, "quello", che indica il Supremo. Il termine pravritti contiene i significati di "creazione, emanazione, impegno, lavoro, sviluppo" e collegato alla parola bhutanam ("di tutti gli esseri") si riferisce ovviamente al continuum supremo della realtà che è la fonte della manifestazione e delle attività di tutti gli esseri. Possiamo continuare il paragone microcosmico delle cellule del corpo, ricordando che è l'atman, l'essere vivente originario e immutabile che vive nel corpo, a creare tutte le cellule del corpo sviluppando gradualmente tessuti e organi a cominciare dal concepimento e sostiene tutte le cellule per l'intera durata del corpo, e poi distrugge il corpo abbandonandolo in accordo al suo viaggio evolutivo. Poiché l'atman è consapevolezza, è presente ovunque nel corpo (yena sarvam idam tatam, 2.17), e il suo servizio è lo scopo di tutte le cellule e degli organi. Similmente in una scala macrocosmica più grande Dio come la somma totale di tutta la Consapevolezza è onnipresente, l'origine di tutte le creature e lo scopo del loro impegno: janmady asya yato 'nvayad itaratas carthesv abhijnah svarat, tene brahma hrda ya adi kavaye muhyanti yat surayah, tejo vari mrdam yatha vinimayo yatra tri sargo 'mrsa, dhamna svena sada nirasta kuhakam satyam param dhimahi, "Offro il mio rispetto a Bhagavan Vasudeva, dal quale procedono la creazione/ la nascita eccetera di questo (universo, corpo, manifestazione). E' pienamente indipendente, pienamente cosciente dello scopo, direttamente e indirettamente. Ha ispirato la suprema Coscienza del Brahman nel cuore del primo poeta (Brahma). La sua natura/ esistenza/ energia di illusione vince 196 Bhagavad gita: capitolo 18 persino i sura (deva e rishi), (proprio come) con le illusioni ottiche create da calore, acqua e terra. In questo modo, attraverso l'azione e la reazione si manifesta sempre come la 'quasi realtà' delle tre creazioni e tutti i loro oggetti/ luoghi di esistenza. Io medito su (lui), la verità suprema, sempre sufficiente in sé stesso, del quale l'illusione è semplicemente l'assenza di percezione." (Bhagavata Purana 1.1.1). La parola pravritti ("impegno") è collegata anche con abhyarcya ("adorando"), in quanto l'adorazione stessa consiste nell'impegnarsi doverosamente nelle attività che sono adatte alla propria natura. Questa è l'origine del famoso detto "il lavoro è adorazione", caratteristico anch'esso della tradizione induista. Il fatto che Dio sia onnipresente (yena sarvam idam tatam) significa che tutti possono ricordare e adorare Dio in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, e in qualsiasi attività: yat karosi yad asnasi yaj juhosi dadasi yat, yat tapasyasi kaunteya tat kurusva mad arpanam, "O Arjuna, tutto ciò che fai, mangi, sacrifichi, dai, e tolleri nel compimento dei tuoi doveri - fallo per me" (9.27). Questo atteggiamento sintonizzerà perfettamente la nostra coscienza con la Coscienza suprema, perciò non ci sarà più differenza di scopi: yajnarthat karmano 'nyatra loko 'yam karma bandhanah, tad artham karma kaunteya mukta sangah samacara, "Le azioni devono essere compiute come sacrificio, altrimenti in questo mondo causano legami. Dovresti dunque compiere le tue attività per quello (scopo del sacrificio), rimanendo libero dall'associazione (materiale)." (3.9). Poiché non c'è differenza di scopo, non ci saranno effetti negativi: brahmany adhaya karmani sangam tyaktva karoti yah, lipyate na sa papena padma patram ivambhasa, "Dedicando tutte le attività al Brahman, abbandonando tutte le identificazioni e associazioni materiali, non si è mai toccati dalle conseguenze negative delle azioni cattive, proprio come una foglia di loto non è mai toccata 197 Parama Karuna Devi dall'acqua." (5.10). Lo confermerà la conclusione di questo capitolo (18.65). Questo è l'antico sistema tradizionale, grazie al quale le grandi personalità del passato raggiunsero la perfezione: karmanaiva hi samsiddhim asthita janakadayah, “Janaka e altri come lui divennero situati nella perfezione attraverso il compimento dei loro doveri." (3.20) VERSO 47 sreyan: meglio; sva dharmah: il proprio dovere specifico; vigunah: non perfetto; para dharmat: piuttosto che il dovere di qualcun altro; su anusthitat: seguito perfettamente; sva bhava niyatam: prescritto secondo la propria natura specifica; karma: attività; kurvan: compiendo; na apnoti: non si ottiene; kilbisam: difetto. "E' meglio impegnarsi nel proprio dovere specifico, anche se in modo imperfetto, piuttosto che eseguire i doveri di altri in modo perfetto. I doveri di ciascuno sono prescritti secondo la natura specifica individuale, e impegnarsi in essi è la cosa giusta da fare. Abbiamo visto un verso quasi identico nel capitolo sul Karma yoga: sreyan sva dharmo vigunah para dharmat sv anusthitat, sva dharme nidhanam sreyah para dharmo bhayavahah, "E' meglio 198 Bhagavad gita: capitolo 18 compiere il proprio dovere anche con qualche imperfezione o errore, o anche se questo significa affrontare la morte o la distruzione, piuttosto che impegnarsi con successo nei doveri di altri - il che è una scelta pericolosa" (3.35). Questa idea potrebbe essere male interpretata (e lo è stata) da persone sciocche e ignoranti che rimangono incapaci di comprendere la natura particolare di ciascun individuo e la confondono con le circostanze della sua nascita. Perciò questo verso è stato dissacrato da falsi brahmini per insultare e maltrattare innumerevoli Satyakama genuini e impedire loro di ottenere la giusta istruzione e l' impegno adeguato in doveri dharmici che desideravano tanto, mentre il dovere del brahmana dovrebbe essere quello di purificare, elevare e addestrare le anime sincere che vogliono progredire, anche dal livello più basso (Rig Veda 2.22.2). E' difficile calcolare la quantità di reazioni negative provocate da una tale violazione del dovere, arroganza e crudeltà, ma possiamo vederne i risultati tutto attorno a noi. Krishna ha già spiegato molto chiaramente che ogni particolare posizione e i suoi doveri sono assegnati specificamente secondo il guna e karma individuale, e non sono automaticamente ereditari. Abbiamo elaborato su questo punto già parecchie volte nei commenti precedenti, ma si può facilmente vedere che l'affermazione di Krishna è chiara abbastanza anche da sola, quando parla di una natura specifica individuale. Credere ciecamente che i figli debbano essere uguali ai genitori è una fallacia logica chiamata vrscika tanduli nyaya, "la logica dello scorpione e del riso"; si dice che talvolta gli scorpioni depongano le uova in un mucchio di riso per approfittare del calore dei chicchi mentre si seccano, e quando le uova si schiudono, sembra che i piccoli scorpioni siano nati dal riso. Certo, quando la degradazione si diffonde e i brahmana diventano corrotti da tamas e rajas, le persone riconosciute da loro come 199 Parama Karuna Devi brahmana saranno sempre meno qualificate, generazione dopo generazione, finché l'adharma viene normalmente presentato come dharma (18.31, 18.32). Questa è la vera causa fondamentale della degradazione della civiltà induista, per la quale molte persone sviate e confuse presentano l'identificazione grossolana con il corpo materiale (casteismo, razzismo, sessismo e così via) come la forma più alta di dharma e di dovere religioso, che scavalca tutte le considerazioni etiche e di intelligenza, e persino l'osservazione diretta dei veri guna e karma e realizzazioni dell'individuo. Un chiarissimo esempio è la vita di Salabega, un famosissimo puro devoto che amava molto Jagannatha ed era molto caro al Signore, e le cui canzoni sono riconosciute universalmente come lo standard più alto della bhakti e cantate da tutti a Puri e in Orissa. Eppure, semplicemente a causa della sua nascita Salabega venne sempre trattato come un fuoricasta, insultato e picchiato, gli venne sempre impedito di entrare nel tempio per il darshana pubblico, la sua casa venne data alle fiamme e gli venne negato accesso persino al crematorio per il funerale di sua madre - una persecuzione vergognosa che è tuttora considerata con orgoglio dai brahmini di Puri come se fosse una dimostrazione di "purezza" negli standard del tempio. Potremmo presentare migliaia di esempi simili dalla storia degli ultimi 500 anni e anche dalla cronaca di attualità specialmente in Orissa, Bihar, Haryana, e Uttar Pradesh in India, benché il casteismo stia diventando sempre più obsoleto, specialmente nelle grandi città dove l'occidentalizzazione della società e della cultura ha spostato l'attenzione di pregiudizio sociale e ingiustizia verso considerazioni finanziarie e positioni politiche piuttosto che sul privilegio religioso. Alcune persone protestano contro quella che chiamano "persecuzione dei brahmini", affermando che le caste più alte (che sono in realtà suddivisioni etniche, artificiali e irrelevanti, della 200 Bhagavad gita: capitolo 18 casta "generale" dei brahmini) sono state e sono tuttora gravemente maltrattate e sottoposte a ingiusta discriminazione. Non prendono però alcuna misura proattiva per migliorare la situazione, dimostrando così di essere profondamente immersi in tamas (18.35, 18.32, 18.39, 18.28, 18.25, 18.22, 14.13, 14.8, 14.17) e quindi non qualificati per l'elevata posizione di brahmana che vogliono occupare, e per i diritti collegati che vorrebbero vedersi riconosciuti. Invece di dare la colpa ad altri, recriminare, protestare, frignare e sognare, dovrebbero cominciare a compiere veramente il proprio dovere e lavorare attivamente e senza paura per purificare sé stessi e l'intera società da avidya e adharma. Per esempio, molti di questi brahmini fasulli sono molto attaccati alle vivande non vegetariane (quelle ordinarie acquistate sul mercato) e per far tacere il proprio senso di colpa subcosciente, aggrediscono e insultano regolarmente coloro che diffondono la conoscenza dei benefici del vegetarianesimo. Inoltre, i brahmini fasulli sono generalmente caratterizzati da odio e disprezzo verso le donne e molti di essi sono ferocemente "anti-femministi", una posizione ideologica che va dal giustificare lo stupro ("che ci vuoi fare, i ragazzi sono fatti così, si devono divertire"), al picchiare e torturare la propria moglie e altre femmine della famiglia o della congregazione, incoraggiando il maltrattamento, la soppressione e l'eliminazione fisica delle bambine, e divertendosi a far circolare vignette e barzellette offensive che raffigurano le donne in modo umiliante e degradante. Per un brahmino che desideri diventare un brahmana, un buon primo passo consiste nel mettersi veramente a studiare, comprendere e applicare le istruzioni degli shastra nella propria vita, sviluppare le qualità descritte nelle scritture e specialmente nella Bhagavad gita (2.46, 17.23, 18.42, ecc), verificare le proprie realizzazioni e migliorare la cultura generale della società 201 Parama Karuna Devi impegnandosi in dibattiti pubblici a sostegno di dharma e vidya, e celebrare sinceramente (senza scorciatoie per scopi materialistici ed egoistici) i karma tradizionali (le attività doverose e le cerimonie rituali) iniziando con suddhi, prayascitta e vrata per sé stessi e per coloro che desiderano impegnarsi nel modo di vita vedico. Poi dovrebbero continuare con il comprendere sinceramente e osservare tutti i samskara ed elevare la propria consapevolezza e quella degli altri attraverso esempio e istruzione, osservando e insegnando le pratiche di yama e niyama e addestrando adeguatamente gli altri membri della società (secondo il guna e karma individuale di ciascuno) per le posizioni di kshatriya e vaisya. Se sceglie di non farlo, non merita alcun rispetto, anche se esteriormente potrebbe presentarsi come un grande attivista religioso. Il Vishnu dharma shastra (93.7) dichiara: na vary api prayacchet tu vaidala-vratike dvije na baka-vratike vipre naveda vidi dharmavit, "Coloro che conoscono il dharma non dovrebbero mai offrire nemmeno una goccia d'acqua all'ipocrita figlio di brahmana che non ha studiato la conoscenza vedica ma segue il voto dell'anatra o il voto del gatto". Il baka vrata ("il voto dell'anatra") è quello di chi tiene gli occhi bassi per far mostra di umiltà e compie una sadhana per guadagnarsi da vivere, ma è crudele, arrogante e solitamente bugiardo. Il vaidala vrata ("voto del gatto") è quello di chi è estremamente orgoglioso della propria posizione religiosa (dharma dhvaji) ma è in realtà una persona ipocrita, avida, invidiosa e violenta, dedita a calunniare le persone innocenti. Quando i ruoli sociali e professionali sono assegnati da un guru qualificato, una persona che abbandona il proprio dovere prescritto per occupare un'altra posizione senza che ci sia una vera emergenza, è solitamente spinta da un movimento capriccioso della mente irrequieta, che può soltanto creare problemi all'individuo e alla società: indriyasya indriyasya arthe raga 202 Bhagavad gita: capitolo 18 dvesau vyavasthitau, tayor na vasam agacchet tau hy asya paripanthinau, "Attrazione e repulsione sono inevitabilmente il risultato dell'interazione dei sensi con gli oggetti dei sensi; non bisogna cadere sotto il controllo dell'una o dell'altra, perché entrambe sono considerate ostacoli sulla via del compimento del dovere" (3.34). La parola vigunah significa "incompleto, con difetti, senza molto valore, poco interessante" e si riferisce esattamente alle emozioni negative di una persona che sta sperimentando uno stato di depressione e di caduta di autostima a causa di qualche difficoltà temporanea. Quando una persona non è istruita e addestrata adeguatamente, sarà più vulnerabile all'ansietà e insicurezza, poiché non ha una chiara visione della situazione. All'estremo opposto abbiamo l'espressione su anusthita, che significa "fatto molto bene, più attraente", che sposta l'attenzione dall'importanza sociale dell'attività verso il compiacimento narcisistico per l'azione stessa o per la posizione sociale che sembra offrire. Il guru dovrebbe aiutare il discepolo a sviluppare questa visione chiara (darshana), a cominciare dalla vera identità del sé (atman), il significato di dharma, artha, kama e moksha, e il metodo appropriato per applicarli nella propria vita attraverso lo yoga spiegato da Krishna nella Bhagavad gita. Il termine kilbisam significa "macchia, offesa, contaminazione, reazione negativa", come nei versi 3.13, 4.21, 6.45; questo indica che nel compimento sincero dei propri doveri ci possono ancora essere imperfezioni e fallimenti, ma non bisogna prenderli troppo sul serio. A un livello spirituale più profondo, la parola viguna è stata interpretata come nirguna, a indicare che dobbiamo continuare a compiere i doveri assegnati anche dopo che abbiamo trasceso le qualità materiali della natura (3.18, 3.22, 3.23, 3.24, 3.25, 4.14, 4.20, 4.21, 4.23, 4.24, 9.9, 17.26) perché in questo modo tutti devono continuare a lavorare fino al termine del corpo (3.4, 3.8, 203 Parama Karuna Devi 5.2, 18.9). Similmente, le espressioni sva dharma e para dharma sono applicate rispettivamente all'atman e al non-atman, che è il materiale che compone la mente, i sensi e il corpo. Al riguardo, vorremmo mettere in evidenza il fatto che esiste una differenza tra para (senza nessuna a lunga) e para (a lunga finale); la prima significa "altro" e la seconda significa "superiore" come in para prakriti (con la a lunga). VERSO 48 saha jam: nato insieme; karma: l'insieme delle attività; kaunteya: o figlio di Kunti; sa dosam: insieme a qualche difetto; api: sebbene; na tyajet: non bisogna abbandonare; sarva arambha: tutte le imprese; hi: in verità; dosena: con qualche difetto; dhumena: dal fumo; agnih: fuoco; iva: similmente; avritah: coperto. "O figlio di Kunti, non bisognerebbe abbandonare i doveri relativi alla propria natura congenita, anche se sembrano imperfetti, perché tutte le attività sono necessariamente macchiate da qualche difetto, proprio come il fuoco è coperto dal fumo. L'espressione saha jam ("nato allo stesso tempo") si riferisce al guna e karma portato dall'individuo al momento della nascita, e 204 Bhagavad gita: capitolo 18 che può essere stabilito da un buon astrologo esaminando il momento e il luogo esatto di nascita; per questa ragione l'astrologia (Jyotisha Veda) è considerata una parte diretta e importante della letteratura vedica. Nei tempi antichi ogni neonato riceveva immediatamente la sua carta astrologica natale da un astrologo di fiducia, in modo che i genitori potessero organizzare adeguatamente le prime fasi della sua educazione. Nelle famiglie di brahmana veramente qualificati, tutti i familiari mantengono sempre un alto livello di consapevolezza spirituale, purezza mentale, buon comportamento e chiara conoscenza di dharma e vidya, e quindi creano un ambiente particolarmente favorevole; con il garbhadana samskara la madre viene purificata con impressioni spirituali e religiose, e quindi al momento del concepimento l'alto livello di coscienza dei genitori attirerà facilmente un'anima evoluta. Qualsiasi influenza negativa può portare risultati disastrosi, come mostra l'esempio delle circostanze infauste della gravidanza di Diti, la moglie di Kasyapa Rishi e madre dei grandi asura Hiranyaksha e Hiranyakasipu. Di nuovo, dobbiamo ricordare qui che la nascita è un evento che si applica alla persona che nasce, e non ai suoi genitori o alla famiglia; chi prende nascita è il soggetto dell'azione. E' facile verificare questo punto paragonando le qualità specifiche capacità intellettuali o senso etico ma soprattutto talento e abilità professionali - tra fratelli e sorelle o persino tra figli e genitori, in cui l'irregolarità o discordanza sono la norma e non l'eccezione: quanti geni matematici, per esempio, provengono da famiglie in cui tutti presentano la stessa caratteristica? I doveri che si acquisiscono alla nascita sono quelle attività che si riferiscono alle proprie caratteristiche congenite, che possono essere decisamente diverse da quelle dei genitori o degli altri 205 Parama Karuna Devi familiari, specialmente se i genitori hanno mancato di controllare il proprio livello di coscienza durante il rapporto sessuale: in questo caso potrebbe nascere qualsiasi tipo di persona, poiché l'atto sessuale in sé è lo stesso per tutti i varna e anzi per tutti gli esseri umani. In ogni caso, durante la gravidanza e alla nascita si compiono parecchi altri samskara per elevare e purificare il livello di coscienza del feto, che è ancora molto impressionabile e ricettivo all'apprendimento. Dopo la valutazione astrologica del guna e karma del bambino, la famiglia può porre rimedio a una situazione sfavorevole con ulteriori rituali e attività spirituali e religiose e così via, oltre ai soliti samskara che continuano fino all'età di 5 anni, quando il bambino viene mandato alla gurukula. Uno dei rituali principali è l'annaprasana, che segna l'inizio dello svezzamento dopo il compimento dei 6 mesi di vita, e consiste nel somministrare al bambino il suo primo assaggio di cereali bolliti; durante la cerimonia al bambino vengono mostrati vari articoli che simboleggiano diverse tendenze (guna and karma) come libri, attrezzi da lavoro, denaro, un'immagine della Divinità, armi e così via. Normalmente il bambino sarà attratto da uno degli articoli più che dagli altri, e questo viene considerato come un indizio generale per la sua educazione. Un bambino sotto i 2 anni di età (sisu) non viene però sottoposto ad alcun addestramento o insegnamento morale, ed è libero o libera di fare tutto ciò che vuole; non ci sono punizioni per le "azioni cattive" perché un bambino così piccolo non potrebbe veramente comprenderle. Dopo il secondo o terzo compleanno al bambino (bala) viene insegnato gradualmente tutto ciò che è possibile dai familiari, e all'età di 5 anni viene normalmente mandato alla scuola residenziale; anche lì è considerato solo un bambino e gli viene data molta libertà e tolleranza fino all'età di 12 anni. 206 Bhagavad gita: capitolo 18 Un ragazzo che ha compiuto 12 anni è chiamato kumara e viene sottoposto a disciplina sempre più stretta dal guru, una fase dopo l'altra: è chiamato kisora fino al suo quindicesimo compleanno e taruna fino al diciannovesimo, dopodiché è consideratato yauvana. Queste definizioni sono usate per stabilire i doveri specifici. Non tutti gli studenti della gurukula saranno in grado di sopportare l'aumento della pressione disciplinare, perciò di solito i sudra hanno il permesso di tornare a casa all'età di 12 anni dopo aver imparato le basi di dharma e achara, mentre i vaisya si diplomano generalmente all'età di 15 anni, gli kshatriya all'età di 19 e i brahmana possono continuare gli studi fino all'età di 25 anni, dopodiché devono sposarsi e iniziare il loro lavoro per la società. Durante il periodo di addestramento, l'individuo può elevarsi molto più in alto della sua posizione originaria alla nascita, ma lo scopo dell'addestramento non è quello di farlo salire a un varna più alto di quello che era indicato dalla sua carta natale, ma piuttosto di aiutarlo a sviluppare il proprio potenziale in accordo a dharma e vidya, e imparare a compiere tutti i doveri prescritti per la sua particolare natura e che gli saranno adatti e graditi. Dopo aver raggiunto la perfezione in quei doveri, lo studente può iniziare a prepararsi per doveri più pesanti sulla strada dell'evoluzione personale. E' importante capire che i varna più alti hanno in proporzione doveri più pesanti e meno occasioni di gratificazione dei sensi fino ai brahmana, che dovrebbero sostentarsi spigolando nei campi dopo la raccolta o raccogliere i grani caduti dai sacchi al mercato (yayavara silonchanam vipra vrittih, Bhagavata Purana 7.11.16) e dovrebbero sempre vivere in modo semplice e austero, senza indulgere nel piacere dei sensi. L'espressione saha jam ("nato insieme") è bilanciata in modo elegante dall'espressione simmetrica sa dosam ("con difetti"), a 207 Parama Karuna Devi indicare che all'inizio ogni impresa o lavoro appare difficile o imperfetto, ma non bisogna lasciarsi scoraggiare dalla scarsità dei risultati o dal fallimento. Per questo dobbiamo praticare i nostri doveri regolarmente (sadhana) per migliorare. Nessun lavoro è perfetto o completamente piacevole, perché ci saranno momenti noiosi, faticosi, e persino spiacevoli, pericolosi e dolorosi, eppure non bisogna mai arrendersi: questo è l'unico modo in cui possiamo raggiungere la perfezione (samsiddhi). L'esempio del fuoco coperto dal fumo (dhumena agnih avritah) è meravigliosamente bello. Quando accendiamo un fuoco (specialmente per frizione, come si faceva nei tempi antichi), il fumo è la prima cosa che si vede, poi appare una fiammella, e se la alimentiamo nel modo giusto con il combustibile adatto, otteniamo un bel fuoco ardente; allora possiamo mettere un carico di legna maggiore e alla fine tutto viene consumato e rimangono braci e cenere. Così all'inizio dell'addestramento troviamo la maggior parte delle difficoltà e delle scomodità (yat tad agre visam iva pariname 'mritopamam, "la felicità che sembra veleno all'inizio ma diventa nettare alla fine", 18.37) specialmente se non avevamo fatto pratica nelle vite precedenti (6.41-6.45). Prima di vedere dei progressi consistenti, dobbiamo bruciare una quantità notevole di impurità che offuscano la nostra visione e incrostano la nostra buona volontà, e che fanno un sacco di fumo puzzolente. Poi un bel giorno abbiamo improvvisamente qualche meravigliosa realizzazione, come una piccola fiamma che sembra scaturire dal nulla, e cominciamo a vedere la luce; da quel momento il nostro desiderio di migliorare e progredire diventa sempre più caldo e radioso, e il fuoco brucia. Tutte le cose buone (studio, austerità, carità, rituali e via dicendo) che offriamo nel fuoco lo rendono più luminoso, finché la nostra luce si vede anche da lontano, e niente più può fermare l'ardore della nostra realizzazione e consapevolezza. 208 Bhagavad gita: capitolo 18 Alla fine, quando il processo è completo e tutto il combustibile è stato digerito e assorbito in una coscienza stabile e chiara che può rimanere calda per moltissimo tempo senza essere ulteriormente nutrita, e che può immediatamente accendere altri fuochi di consapevolezza semplicemente per contatto. Applicate all'evoluzione dell'individuo da un livello di doveri all'altro, le braci della consapevolezza stabile vengono a contatto con una qualità di combustibile differente e più pulito - come il burro chiarificato e la canfora, per esempio, che simboleggiano la coscienza pura e trascendentale, che dà al fuoco diverse funzioni, spostandolo gradualmente dal calore alla luce, finché rimane solo la luce. Abbiamo già chiarito la differenza tra dharma e adharma, l'uno descritto come sat o daivi e l'altro come asat o asuri; dunque parlando di sva dharma che segue la sva bhava individuale, non possiamo mai applicarlo all'asurim bhava, perché non esiste qualcosa che potremmo chiamare dharma criminale. Una persona che è nata in una situazione svantaggiata, in una famiglia o comunità degradata, dovrebbe dunque essere aiutata in tutti i modi possibili se desidera purificarsi ed elevarsi. E' vero che è nato in quella situazione a causa del suo karma passato, ma il cattivo karma non è assoluto ed eterno, e può essere cambiato in qualsiasi momento semplicemente impegnandosi in karma o azioni positive, o anche semplicemente accettando la conoscenza trascendentale (2.39, 2.50, 2.51, 3.9, 3,31, 4.14, 4.19, 4.20, 4.23, 4.37, 4.41, 9.28). Similmente, dobbiamo rimanere coscienti di dharma e vidya in tutte le posizioni sociali e professionali; un sudra può rifiutarsi di eseguire gli ordini di un padrone cattivo e adharmico, e in effetti dovrebbe abbandonarlo per trovare un impiego migliore. Chiunque può e deve osservare se i vaisya e specialmente gli ksahtriya (e persino i brahmana) sono impegnati in azioni 209 Parama Karuna Devi dharmiche oppure no; per la protezione della società intera i brahmana vedici devono ammonire, riformare o se necessario anche eliminare questi leader senza qualificazioni. Tornando all'esempio del fumo che copre il fuoco nei suoi primi stadi: il fumo non rende impuro il fuoco ma può ammazzarci se restiamo in un ambiente chiuso e continuiamo a respirarlo - cioè se rimaniamo attaccati alle cattive abitudini e ai difetti, o se si continuano a compiere attività tossiche per propria scelta o seguendo gli ordini di altri. Abbiamo già spiegato che l'importanza di rimanere fedeli al proprio dovere prescritto si basa sul fatto che tali doveri sono studiati specificamente e scientificamente per l'evoluzione dell'individuo, e non per dargli profitto materiale, comodità e successo. Le persone sono solitamente molto interessate a discutere dei propri diritti (o di quelli che percepiscono come i loro diritti, a volte erroneamente) e non altrettanto interessate a discutere dei loro doveri; se cercate di mettere l'argomento sul tavolo si offendono e fanno del loro peggio per vendicarsi in modo aperto o nascosto, dimostrando ulteriormente la loro completa mancanza di qualificazioni. Krishna ha affermato molte volte che bisogna compiere i propri doveri sinceramente e al meglio delle proprie possibilità, ma senza essere attaccati a successo o fallimento in qualche azione specifica (2.38, 2.48, 3.35, 4.22, 16.15, 18.26), perciò dovrebbe essere chiaro che lo scopo dell'impegno è l'apprendimento, non semplicemente ottenere un risultato materiale. Imparare ed evolversi hanno un valore eterno, perché li portiamo con noi da una vita all'altra, mentre le cose materiali che otteniamo in questo mondo sono sempre molto temporanee e quindi hanno poco significato in sé stesse; raramente ci rendono migliori come persone, e senza un'evoluzione superiore della coscienza nei membri della società, 210 Bhagavad gita: capitolo 18 tutti i successi tecnologici restano incapaci di portare la felicità, perché verranno facilmente usati male e causeranno più problemi che soluzioni. VERSO 49 asakta buddhih: con un'intelligenza distaccata; sarvatra: in tutte le circostanze; jita atma: con il controllo di sé; vigata sprihah: avendo abbandonato l'attaccamento per il contatto; naiskarmya siddhim: la perfezione del naiskarma; paramam: suprema; sannyasena: la rinuncia; adhigacchati: si raggiunge. "Si raggiunge la perfezione suprema del naiskarma attraverso il sannyasa, che è l'intelligenza distaccata applicata a tutte le circostanze, e (anche) stabilendosi nell'autocontrollo e abbandonando le associazioni. Krishna aveva già discusso il significato di sannyasa in parecchi versi (3.4, 3.30, 4.41, 5.3, 5.6, 5.13, 6.1. 6.2, 6.3, 6.4, 6.38, 8.11, 9.28, 12.6) e poi ancora su richiesta di Arjuna nel capitolo 18 elabora sulla differenza tra sannyasa e tyaga (18.1 to 18.12). Inoltre, il capitolo 5 era completamente dedicato al Sannyasa yoga. Da tutte queste istruzioni possiamo comprendere che l'atto della rinuncia in sé stesso, come nel sannyasa ashrama, ha differenti valori e differenti risultati a seconda della consapevolezza e delle motivazioni. 211 Parama Karuna Devi Una rinuncia superficiale ed esteriore priva di vera realizzazione non porterà buoni risultati (3.4) ma soltanto sofferenze (5.6) perché nessuno può veramente smettere di agire (3.5) finché il corpo rimane in vita. Dunque il vero sannyasi è chi compie i propri doveri prescritti nella società senza essere legato da ahankara e mamatva (5.3, 5.13, 12.6, 18.5, 18.6, 18.7, 18.9, 18.10, 18.11), non chi si rifiuta di accendere il fuoco e rimane ufficialmente senza lavoro e senza famiglia (6.1). Dobbiamo dunque distinguere attentamente quando il termine sannyasa è usato nel senso superficiale o nel suo vero significato. La chiave per comprendere il vero significato del sannyasa è la via per moksha enunciata all'inizio di questo verso dall'espressione asakta buddhih sarvatra, che può essere tradotta come "usando l'intelligenza per rimanere distaccato in ogni circostanza", come abbiamo visto in molti versi precedenti. In effetti il punto focale dell'intera Bhagavad gita è il Buddhi yoga (benché nessun capitolo porti specificamente questo nome), la coscienza risvegliata che ci permette di rimanere collegati e uniti attraverso il distacco. Può suonare come una contraddizione, ma consideriamo l'esempio di un padre, che ha molti figli: può rimanere collegato con tutti solo soltanto se rimane distaccato dalle loro differenze, errori, caratteristiche specifiche o aspetto esteriore, e mantiene un approccio equanime. Il momento stesso in cui diventa attaccato a uno di loro, perderà la concentrazione sugli altri, e in ultima analisi perderà anche l'oggetto del suo attaccamento, perché l'attaccamento non è amore. L'espressione jita atma è molto interessante: significa "avendo conquistato sé stesso". Proprio come il termine sannyasa può essere usato a livelli diversi, la parola atma può riferirsi all'anima (atman, jivatman) o alla mente, ai sensi e persino al corpo. Tutti i differenti significati rimangono validi perché le persone che sono 212 Bhagavad gita: capitolo 18 situate su diversi livelli di evoluzione personale hanno bisogno di collegarsi con il sé e con la rinuncia a seconda delle loro particolari capacità. Così all'inizio della via dello yoga bisogna iniziare a controllare il corpo e i sensi (yama, niyama, asana, pranayama) e poi si diventa capaci di controllare la mente (dharana, dhyana, samadhi). Al livello del samadhi, l'atman è conquistato nel senso che lo yogi ha vinto il premio più grande: la percezione e realizzazione diretta della propria identità trascendentale. E allora può impegnarsi nell'azione puramente spirituale (18.54). Similmente, sul livello di neofita c'è bisogno di compiere i movimenti esteriori dell'accettare l'ordine di sannyasa e seguire le rigide regole e norme, che sono come stampelle per lo sviluppo della propria consapevolezza - un viaggio che normalmente richiede molte vite (7.19). La pratica regolata della rinuncia creerà un'abitudine positiva (18.37) modellando la mente in sattva e infine visuddha sattva; Su quel livello ci si può impegnare in qualsiasi varna o ashrama e compiere i doveri connessi senza venire toccati da alcuna contaminazione, come Krishna affermerà chiaramente a conclusione del capitolo (18.66). Arriviamo così alla successiva espressione interessante del verso vigata spriha. Alcuni commentatori hanno tradotto come "senza desideri/ senza aspirazioni", ma il significato letterale è "(quando) il contatto/ il toccare è completamente andato/ eliminato". L'abbiamo visto nei versi 2.56 (vigata spriha), 2.71 (nihsprihah), 4.14 (na me spriha), 6.18 (nihsprihah), e in senso negativo nel verso 14.12. La parola spriha è strettamente imparentata con sparsa ("contatto"), come abbiamo visto nei versi precedenti: matra sparsas tu kaunteya sitosna sukha duhkha dah, "il contatto dei sensi (con gli oggetti dei sensi) causa gioia e dolore proprio come il freddo e il caldo" (2.14); ye hi samsparsa ja bhoga duhkha 213 Parama Karuna Devi yonaya eva te, "Quei piaceri che derivano dal contatto (con gli oggetti dei sensi) sono causa di sofferenze future" (5.22); sparsan kritva bahir, "mantenendo gli oggetti di contatto all'esterno" (5.27); sukhena brahma samsparsam, "rimane facilmente in contatto con il Brahman" (6.28). Parecchi versi avevano già menzionato siddhi o samsiddhi (18.45, 18.46, ma anche 3.20, 8.15, 12.10, 14.1); specificamente il verso 3.4 dichiarava: na karmanam anarambhan naiskarmyam puruso 'snute, na ca sannyasanad eva siddhim samadhigacchati, "Una persona non può ottenere la libertà dal karma astenendosi dall'azione, proprio come la perfezione non può essere raggiunta semplicemente attraverso il sannyasa." Come possiamo riconciliare il verso 3.4 con il verso qui presente, che afferma che la perfezione suprema del naiskarma si raggiunge attraverso il sannyasa (naiskarmya-siddhim paramam sannyasena adhigacchati)? Semplicemente ricordando che il termine sannyasa può avere un livello più basso o neofita, e un livello più alto e trascendentale, come abbiamo già elaborato sul significato dell'espressione jita atma. Qui Krishna stabilisce chiaramente che il significato del termine in questo verso particolare è verificato dalla presenza dell'intelligenza distaccata in ogni circostanza (asakta buddhi sarvatra), l'autentica padronanza di sé (jita atma) e il vero distacco da ogni identificazione e associazione (vigata spriha). Finché un sannyasi manca di queste caratteristiche, non può raggiungere la perfezione suprema del niskarma. Per una persona che ha raggiunto questa perfezione non ci sono più doveri da compiere: yas tv atma ratir eva syad atma triptas ca manavah, atmany eva ca santustas tasya karyam na vidyate, "Un 214 Bhagavad gita: capitolo 18 essere umano che ama il sé certamente trova soddisfazione e pace nel sé: questa persona non ha bisogno di compiere alcuna azione" (3.17). VERSO 50 siddhim: perfezione; praptah: raggiunta; yatha: similmente; brahma: Brahman; tatha: anche; apnoti: ottiene; nibodha: dovresti comprendere; me: da me; samasena: in breve; eva: certamente; kaunteya: o figlio di Kunti; nistha: posizione stabilita; jnanasya: della conoscenza; ya: che; para: suprema/ trascendentale. "O figlio di Kunti, dovresti comprendere da me che quando tale perfezione è raggiunta, si raggiunge il Brahman. In breve, questa realizzazione è la conoscenza suprema. La perfezione alla quale si riferisce questo verso consiste nel compiere le attività dei propri doveri in completa dedizione al servizio del Supremo, e senza alcuna motivazione egoistica, attaccamento o identificazione (vedi il verso precedente, 18.49). Quando si è fermamente situati in questa consapevolezza (nistha), tutte le posizioni nell'universo sono immediatamente trasformate in puro servizio devozionale, perché il Brahman è ovunque e in ogni cosa (sarvatra). A questo livello la separazione tra materia e spirito perde importanza perché ogni cosa è in ultima analisi spirito (Brahman). 215 Parama Karuna Devi Si tratta di una comprensione più avanzata della Realtà - proprio come nell'aritmetica elementare ci viene insegnato che non si può sottrarre un numero più grande da un numero più piccolo, ma nelle lezioni successive di algebra impariamo che è vero anche il contrario. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno della guida diretta e personale di un guru realizzato, che è stabilito sul livello più alto (nistha) dal quale può vedere in che modo i due apparenti opposti possono venire riconciliati, e come il metodo di insegnamento deve procedere in modo graduale secondo la comprensione dello studente. Il sistema vedico offre una varietà di approcci alla stessa via fondamentale dello Yoga, dove la parola yoga definisce l'essenza della spiritualità e della religione come viene spiegato abbondantemente nei molti capitoli della Bhagavad gita. In questo senso, lo Yoga non è semplicemente uno dei darshana della tradizione vedica, ma è la tradizione vedica in sé - la sua essenza, il suo significato, la sua radice, sorgente e base. Il karma kanda (Purva mimamsa) è Karma yoga, il jnana kanda (Uttara mimamsa) è Jnana yoga, il sistema del Sankhya è Sankhya yoga, il Nyaya è Buddhi yoga e Vijnana yoga, la filosofia Vaisesika è Vibhuti yoga e Visvarupa darshana yoga, e ci sono ancora altri darshana nella Bhagavad gita - come il Taraka brahma yoga, il Sannyasa yoga e il Moksha yoga, che vanno persino al di là delle scritture e cercano la realizzazione nella contemplazione diretta dell'atman/ brahman. Questo è il vero, immenso contributo liberatorio della Bhagavad gita, offerto da un'era all'altra (4.1) al genere umano come l'essenziale integrazione di tutti i metodi di studio. La Bhagavad gita non è intesa ad affermare la superiorità settaria dell'adorazione formale o della devozione sentimentale a un particolare Dio - Krishna - sopra i "semidei" o a predicare una via 216 Bhagavad gita: capitolo 18 esclusiva di rinuncia formale e assenteismo dalle "cose illusorie del mondo". Attraverso la Bhagavad gita, Krishna ci insegna che siamo tutti, direttamente e indirettamente, membra del corpo del Purusha Supremo (Purushottama, capitolo 15, che è l'origine del Brahman, 14.27) e in quanto tali abbiamo dei precisi doveri in questo universo attraverso i quali possiamo contribuire alla felicità e al progresso del corpo intero. Il servizio devozionale è la chiave per la nostra evoluzione individuale e la formazione di una società perfetta in cui ciascun individuo viene sostenuto, protetto e impegnato e curato, ciascuno abbastanza comodamente per il suo particolare guna e karma ma con la quantità di pressione appena sufficiente a fare sforzi per migliorare. E' così che il potenziale umano può sbocciare in tutto il suo splendore e la sua gloria. Questo è il vero Yoga. La prima parte del verso è focalizzata sulla simmetria di yathatatha, che significa "allo stesso tempo, nello stesso modo" e collega la perfezione (siddhi) con il Brahman, la Coscienza suprema che include l'intera Realtà. Questo è lo stadio finale (nistha) della rinuncia (sannyasa) e della liberazione (moksha), che è l'argomento di questo capitolo. Abbiamo già elaborato sul fatto che Brahman (Paramatma, Bhagavan) è la realtà della coscienza o conoscenza (tattvam yaj jnanam advayam, Bhagavata Purana, 1.2.11) e che i jivatman sono le sue parti o membra (amsa, 15.7). Tutto ciò che è meraviglioso e bello in questo mondo è manifestato da una parte della radiosità del Brahman (tejo amsa sambhavam, 10.41), come conferma il Bhagavata Purana: etan nanavataranm nidhanam bijam avyayam, yasyamsena srijyante deva tiryan naradayah, "Da questi molti avatara (Karanodakasayi Vishnu, Garbhodakasayi Vishnu, Kshirodakasayi Vishnu) deriva il seme indistruttibile (anu atman, aham bija pradam, 14.4) che manifesta tutte le esistenze come i deva, gli animali, gli esseri umani e tutte le altre creature" (1.3.5). 217 Parama Karuna Devi Le tre successive forme di Vishnu sono dette purusha avatara ("manifestazioni del principio personale di coscienza nel mondo"); il primo è chiamato anche Narayana ("il rifugio degli esseri umani") che è disteso (sayi) immerso in yoga nidra o maha maya nel Karana ("delle cause") udaka ("oceano") conosciuto anche come mahat tattva brahman, e a ciascuno dei suoi cicli di respirazione tutti gli innumerevoli universi vengono creati e distrutti. Poi una svamsa ("parte completa/ unita") entra in ciascuno di questi universi e riposa (sayi) sul Garbha ("embrione") udaka ("oceano"), dando nascita attraverso il proprio ombelico all'Hiranyagarbha ("l'embrione d'oro" o "l'uovo d'oro") che è Brahma, la prima creatura e il creatore di ciascun universo. Simultaneamente, Narayana si manifesta anche in una forma localizzata in prapanchika vaikuntha, un duplicato del pianeta (o dimensione) Vaikuntha all'interno di questo universo - una specie di ambasciata di Vaikuntha nel mondo materiale - e quindi viene chiamato Kshira ("latte") udaka ("oceano") sayi ("disteso"). Questa dimora di Vishnu nell'oceano di latte è l'isola Trikuta ("tre montagne") chiamata anche Svetadvipa ("l'isola bianca") e Dhruvaloka o stella polare, attorno alla quale tutte le altre stelle e pianeti girano in tondo: qui Brahma e i Deva possono avvicinare Vishnu per chiedergli aiuto per proteggere l'universo. Poiché il numero di universi è illimitato, ci sono certamente molti di questi svamsa avatara nella manifestazione materiale; da loro emanano tutti i jivatman o anu atman, che sono i semi della vita e della coscienza, iniziando come minuscoli atomi che si incarnano nel mondo per evolversi. 218 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 51 buddhya: con intelligenza; visuddhaya: completamente purificata; yuktah: impegnata; dhritya: con determinazione; atmanam: il sé; niyamya: regolando; ca: e; sabda adin: a cominciare dal suono; visayan: gli oggetti dei sensi; tyaktva: abbandonando; raga dvesau: sia attrazione che repulsione; vyudasya: mettendo da parte; ca: e. "Impegnandosi con determinazione e un'intelligenza completamente purificata, seguendo il metodo prescritto, e lasciando andare tutti gli oggetti dei sensi a cominciare dal suono, e anche attrazione e repulsione, L'intelligenza (buddhi) è la chiave e lo strumento per raggiungere il vero successo sia sul livello materiale (in dharma, artha, kama, moksha, resa possibile da sattva, 14.16) che sul livello spirituale; per rimanere sul piano spirituale (nistha) bisogna però che l'intelligenza sia completamente purificata e quindi possa elevarsi al di sopra del sattva materiale. Il termine visuddha ("completamente purificato") è usato anche per indicare quel livello di sattva ("bontà") che non è contaminato da alcuna considerazione materiale, quindi la visuddha buddhi si trova oltre l'intelligenza materiale e costituisce la posizione più alta possibile dalla quale possiamo realizzare la Verità assoluta - Brahman, Paramatma, Bhagavan Purushottama. Naturalmente l'espressione può significare anche "purificato dall'intelligenza", poiché quando 219 Parama Karuna Devi l'intelligenza è pura, la consapevolezza non è coperta dalla contaminazione. Altri commentatori hanno spiegato che visuddha buddhi significa anatmani atma buddhi nivrittan, "la fine del pensare al sé come al non sé", o in altre parole, l'abbandonare l'illusione fondamentale dell'identificazione materiale (ahankara e mamatva). Il processo di purificazione richiede determinazione (dhriti) perché bisogna seguire sinceramente il metodo giusto e le sue regole (niyama) e abbandonare tutto l'attaccamento, l'attrazione e la repulsione verso gli oggetti dei sensi. Non si tratta di una scelta da fare una volta per tutte, ma di un'abitudine che si ripete ogni giorno, perché finché abbiamo un corpo materiale, i nostri sensi e la nostra mente materiale saranno soggetti al potere dei guna (18.40) e alle onde e ai movimenti delle loro interazioni. Lo scopo dello Yoga consiste nel distaccarsi da queste onde e movimenti, elevando la nostra coscienza al di sopra dell'oceano dell'esistenza materiale, così che la nostra mente non sia più turbata dalle vritti. Ciò è possibile soltanto quando la mente è fortemente concentrata sulla contemplazione trascendentale dell'atman/ brahman. Alcune persone tentano di meditare "sul vuoto", pensando scioccamente che lo scopo dello Yoga sia quello di "liberarsi dalla mente", ma si tratta di un'illusione; se sembrano avere successo, è perché hanno immerso la propria coscienza nel tamas, e dunque nulla si muove, ma è soltanto a causa dell'inerzia e dell'oblio, proprio come la mente di un essere umano lobotomizzato o di una creatura meno evoluta, come una pianta o una roccia. Dobbiamo seguire il metodo giusto (niyamya) nella meditazione, perché una semplice fantasia o speculazione non avrà lo stesso effetto dell'applicazione dedicata del sistema autentico e scientifico. La parola yukta deriva dalla stessa radice della parola yoga, e indica "unione, connessione, impegno, relazione, controllo, 220 Bhagavad gita: capitolo 18 regolazione"; possiamo comprendere meglio il significato dello Yoga applicando tutte queste accezioni al nostro sadhana. L'espressione sabda adin, che significa "tutte quelle (cose), a cominciare dal suono", è molto interessante. Al livello più semplice, indica i vari oggetti dei sensi o funzioni dei sensi come il suono, la forma e il colore, il tatto, il gusto e l'odorato. A un livello più profondo, si riferisce al fatto che tutte le creazioni materiali cominciano con il suono - prima sottile, poi grossolano, e in seguito si sviluppano in forme e poi in contatto fisico. Possiamo facilmente verificare questo fatto scientifico con un semplice esperimento: concentriamo l'attenzione su un suono mentale, preferibilmente una parola, e potremo osservare in che modo la mente segue i sensi ricordando una forma che corrisponde a quella parola o suono, e poi come i sensi d'azione inviano l'impulso del movimento per andare a toccare quell'oggetto dei sensi. C'è il famoso esercizio della parola "limone"; concentrandosi sul nome/ suono/ idea "limone", i nostri sensi interiori ci presenteranno immediatamente l'immagine di un limone e anche il suo gusto acido, recuperandolo da memorie precedenti. La purificazione della mente inizia quindi dai suoni, più specificamente con il pranava omkara e i maha mantra composti dai nomi di Dio, dalle descrizioni degli insegnamenti, delle attività, delle qualità e delle forme di Dio, e da altri suoni di buon augurio prodotti dal soffiare nelle conchiglie, suonare campanelle e così via. Circondandoci regolarmente da questi suoni spirituali, il ricordo dei suoni di cattivo augurio verrà spinta fuori dalla memoria e pian piano la mente li abbandonerà completamente perché ha trovato un gusto migliore (2.59). La perfezione di questa meditazione si chiama sakalpa o samprajnata samadhi, l'assorbimento costante della mente su idee 221 Parama Karuna Devi o oggetti dei sensi trascendentali, come mantra, stuti, vigraha, lila, e così via. Soltanto dopo aver raggiunto questo livello si può mirare a superarlo e raggiungere il nirvikalpa o asamprajnata samadhi, lo stato originario dell'atman/ brahman, dove non c'è sankalpa ("desiderio, scopo") o jnata ("oggetto della conoscenza"), poiché non c'è più dualità, spazio o tempo, e l'atman è completamente unito al brahman, eppure rimane distinto nel servizio e nella relazione. Chi non ha sperimentato la trascendenza non sarà capace di comprendere come questo sia possibile, perché non si tratta di un concetto che può essere spiegato a parole o percepito dai sensi o dalla mente. Eppure è molto reale, in effetti più reale degli oggetti materiali e della coscienza materiale; nell'asamprajnata samadhi tutto è contenuto in un bindu ("punto/ goccia"), un po' come Arjuna sperimentò tutta la vastità dell'universo in un singolo punto contemplando la Virata Rupa. E' un'esperienza che non ha nulla a che fare con il sunyata ("vuoto"). La parola vyudasya ("mettendo da parte") è un'istruzione molto pratica per la meditazione, sia per i neofiti che per gli studenti avanzati. La mente è irrequieta e sempre ansiosa di trovare qualcosa di nuovo e interessante, perciò continua a correre dappertutto e ci porta delle cose da vedere, come un bambino entusiasta che ha trovato oggetti meravigliosi e strani nella sua esplorazione del mondo - un ciottolo con una forma particolare, una piuma persa da un uccello, un pezzetto di vetro rotto, un fiore e così via (a volte anche cose disgustose). Krishna ha già raccomandato di fare amicizia con la mente (6.5, 6.6) e trattarla in modo affettuoso ma con fermezza, come si farebbe con un bambino irrequieto che deve impegnarsi in qualche compito importante di apprendimento: sanaih sanair uparamed buddhya dhriti grihitaya, atma samstham manah kritva na kincid api cintayet, yato yato niscalati manas cancalam asthiram, tatas tato niyamyaitad atmany eva vasam nayet, cancalam hi manah 222 Bhagavad gita: capitolo 18 krisna pramathi balavad dridham, tasyaham nigraham manye vayor iva su duskaram, asamsayam maha baho mano durnigraham calam, abhyasena tu kaunteya vairagyena ca grihyate, "Abbandonando gradualmente attaccamenti e distrazioni grazie all'uso dell'intelligenza e con uno sforzo determinato, bisogna fissare la mente nel Sé/ atman e smettere di preoccuparsi/ di pensare a qualsiasi altra cosa. La mente è instabile e impaziente di andarsene in giro. Ogni volta che sfugge, bisogna riportarla sotto controllo e regolarla in modo che rimanga controllata nel Sé/ atman. In verità la mente è irrequieta, turbolenta, potente e ostinata; controllarla è più difficile che controllare il vento. Ma sebbene la mente sia così irrequieta e difficile da gestire, può essere controllata con la pratica e il distacco." (6.25, 6.26, 6.34, 6.35). Dovremmo dunque sederci in meditazione, in una posizione confortevole (asana) in modo da non essere distratti dal nostro corpo, poi dobbiamo calmare e purificare la mente attraverso la corretta respirazione (prayanama) e imparare a smettere di ascoltare i messaggi esterni (pratyahara) così da fissare la mente (dharana) su un suono trascendentale (mantra) e su una forma trascendentale (vigraha, yantra). Ogni volta che la mente viene distratta da oggetti esteriori o interiori, ogni volta che salta fuori con qualche altra idea o ricordo, dovremmo dire, "grazie, ma adesso ho da fare" e tornare alla contemplazione corretta. A volte è utile prendere velocemente nota (con carta e penna) se abbiamo l'impressione che un'idea presentata dalla mente possa risultare particolarmente utile alla nostra vita quotidiana; così la mente si sentirà soddisfatta vedendo che le abbiamo dato un po' di attenzione. Dobbiamo però rimanere neutrali verso tutte le impressioni, emozioni, ricordi e così via, perché sia l'attrazione che la repulsione rafforzeranno l'interesse della mente e creeranno un 223 Parama Karuna Devi attaccamento, e la repressione è persino peggio perché dà al problema un'importanza e un potere eccessivi. Semplicemente dobbiamo prendere coscienza del messaggio e lasciarlo andare. Pian piano, la mente imparerà ad apprezzare gli oggetti trascendentali e diventerà più tranquilla e concentrata, senza lasciarsi turbare dalle ondate dei guna (2.70). VERSO 52 vivikta sevi: vivendo da solo in in luogo tranquillo; laghu asi: mangiando con moderazione e cibi leggeri; yata: avendo controllato; vak: la parola; kaya: il corpo; manasah: (e) la mente; dhyana yoga: nel dhyana yoga; parah: dedicato a; nityam: costantemente; vairagyam: rinuncia; samupasritah: avendo preso rifugio. "vivendo da solo/ in un luogo isolato, mangiando con moderazione, controllando la parola, il corpo e la mente, prendendo rifugio nella rinuncia, e costantemente immerso nella meditazione, Krishna riassume qui i punti essenziali di yoga e sannyasa che conducono a moksha. Il verso precedente (18.51) affermava chiaramente che bisogna innanzitutto essere determinati a 224 Bhagavad gita: capitolo 18 purificare la propria intelligenza da ahankara e mamatva, seguire le regole di yama e niyama, e diventare completamente distaccato sia da attrazione che da repulsione, lasciando andare tutti gli oggetti dei sensi, a cominciare dal suono - inquinamento acustico, la socializzazione inutile e priva di significato, le chiacchere continue della mente e così via. In questo verso Krishna riconosce che è estremamente difficile farlo se non si vive da soli, in un posto tranquillo e solitario, per non dover avere a che fare anche con le continue chiacchere della mente di qualcun altro (oltre a quelle della propria), e con la socializzazione sciocca e superficiale e il chiasso creati delle persone stupide. E oggigiorno la situazione è ancora peggio di quanto fosse la società ai tempi di Krishna. A volte le persone religiose influenzate da tamas credono che se qualcosa è buono, una quantità maggiore di quella cosa sarà anche meglio, perciò distorcono e sfruttano l'idea di diffondere suoni di buon augurio per il beneficio di tutti. La civiltà vedica non usava altoparlanti e certamente non richiede di far funzionare amplificatori di grande potenza al massimo volume per far sentire i kirtana o bhajana a 10 km di distanza, creare problemi di udito, confusione mentale e dolore fisico a tutti quelli che vivono in un'area più vicina (entro 1 km di raggio, per esempio) e danneggiare i timpani, il cervello e il sistema nervoso di coloro che si trovano in piedi o seduti ancora più vicino (diciamo a 10 metri). Abbiamo visto che il tamas crea assuefazione e dipendenza verso un volume eccessivamente alto di musica, perché l'aggressione del suono al cervello e al sistema nervoso viene inerpretata dal corpo e dalla mente condizionati come uno stimolo piacevole. Le persone normali, specialmente i bambini e anche gli animali sono semplicemente disturbati e spaventati dall'inquinamento acustico, che può provocare aborti nelle donne e nelle mucche come descrivono gli shastra in riferimento a suoni molto potenti come le conchiglie di guerra degli asura. In realtà i suoni sattvici 225 Parama Karuna Devi descritti negli shastra in riferimento agli ashrama sono molto dolci e sommessi, sullo stesso livello di decibel del canto di uccelli sparsi per la foresta. Quindi vivikta sevi ("vivere da soli") è una precisa istruzione di Krishna. Era già stata raccomandata in versi precedenti: yogi yunjita satatam atmanam rahasi sthitah, ekaki yata cittatma nirasir aparigrahah, "Uno yogi dovrebbe praticare costantemente la meditazione sull'atman vivendo da solo in un luogo tranquillo, mantenendo accuratamente la coscienza e la mente sotto controllo, libero da aspettative e dall'attaccamento alle acquisizioni materiali/ senza dipendere da altri" (6.10). Poiché attualmente il nostro mondo è sovrappopolato e la società e il governo non sono favorevoli alla pratica autentica dello yoga, potrebbe essere difficile trovare un luogo adatto per vivere e praticare la meditazione, in una città congestionata o persino nelle vicinanze di qualche tempio rumoroso o qualche "yoga ashrama", perciò dobbiamo adattarci il meglio possibile. Per esempio, è sempre consigliabile avere una propria stanza (cioè una stanza che non sia usata anche da altre persone) e dire a tutti che stiamo praticando mauna (il silenzio), così da poter evitare i pettegolezzi e le chiacchere e la socializzazione superficiale. Il telefono è un'altra causa primaria di distrazione e frustrazione, perciò è meglio spegnerlo o tenere una segreteria telefonica, per far sapere alla gente che preferite ricevere messaggi e richiamerete appena possibile. Un altro fattore estremamente importante nella vita spirituale e nella sadhana è la scelta del cibo (asi, "mangiare, consumare, assorbire"). Era menzionato anche nel verso 6.17 (yukta ahara, "mangiare in modo controllato"), e confermato in molti versi del Bhagavata Purana (mita bhuk, 3.27.8, 7.12.6, 11.11.30, mita vanya bhuk, 4.8.56, mita adanam vivikta ksema sevanam, 3.28.3, nihsanga aparigraha ekah vivikta saranah mita asanah, 7.15.30). 226 Bhagavad gita: capitolo 18 Questo naturalmente si applica sia al cibo del corpo che a quello della mente. Vivendo da soli in un posto tranquillo, possiamo più facilmente scegliere il cibo che vogliamo dare alla mente, senza disturbi o interruzioni esterne, e similmente lo yogi che vive nella foresta o tiene un piccolo orto o giardino di permacoltura nel suo bhajana kutir o ashrama può procurarsi del cibo buono e leggero che è adatto alla sadhana. E' risaputo che la dieta di uno yogi si basa su frutta e verdura fresche, specialmente erbe e foglie (patram puspam phalam toyam, 9.26), radici commestibili (Bhagavata Purana 4.23.5, 10.20.28, 11.18.2, vanya bhuk, 11.29.42, 12.2.9), noci, e latte prodotto dalle mucche dell'ashrama o di casa, che tornano alla stalla la sera dopo aver pascolato nella foresta o nelle terre non coltivate attorno al posto isolato dove vive lo yogi. Occasionalmente lo yogi (brahmana, sadhu, brahmachari, vanaprastha o sannyasi) può recarsi in qualche villaggio e raccogliere elemosine sotto forma di cereali e semi (riso, grano, orzo, sesamo, fagioli e così via) e tenerne una piccola scorta in cucina, specialmente per cucinare piccole quantità di belle offerte di bhoga per la Divinità nelle occasioni di festa. Con una fornitura sufficiente di acqua fresca e pura, e qualche occasionale prodotto delle foresta come miele e sostanze medicinali, la salute e la pace mentale dello yogi sono garantite. Sappiamo che un modo di vita così sattvico, idilliaco, facile e comodo non è accessibile attualmente a molte persone, perciò ci adatteremo osservando strettamente il vegetarianesmo e scegliendo soltanto ingredienti sattvici, e specialmente preparandoli e consumandoli in modo "leggero" (laghu). Dovremmo dunque evitare l'uso eccessivo di spezie e specialmente delle spezie piccanti, l'uso eccessivo di zucchero e specialmente di zucchero bianco raffinato, l'uso eccessivo di grassi e specialmente 227 Parama Karuna Devi dei grassi fritti o di olii pesanti come l'olio di mostarda che è irritante o i grassi saturi di olio di palma, olio di cocco, miscele di olii vegetali tipo "vanaspati" e così via. Persino l'uso eccessivo di burro chiarificato (ghi) e prodotti del latte è nocivo per la salute e la leggerezza di corpo e mente necessaria per la pratica dello yoga e del sannyasa, perciò quando usiamo ingredienti relativamente pesanti (pur essendo strettamente vegetariani) dovrebbe essere nella forma di prasadam, che consiste in piccole quantità di preparazioni offerte alla Divinità e condivise con altri. Controllare la parola e la mente è qualcosa su cui dobbiamo lavorare anche quando viviamo e pratichiamo in perfetta solitudine, e si fa meglio quando si impegna il potere della parola (vak shakti) nel recitare gli shastra e cantare canzoni devozionali, e specialmente vibrando i suoni trascendentali completi del pranava omkara e dei maha mantra, che sono composti esclusivamente da nomi divini. La mente può essere nutrita anche dallo studio costante delle scritture (svadhyaya) e da azioni e pensieri devozionali (isvara pranidhana), specialmente sulla meditazione dinamica (dhyana) sulla realtà divina e sul suo servizio, compresa l'associazione intima con antaryami paramatma, la cui voce diventa più facile da sentire chiaramente quando non ci sono altri rumori, né esteriormente né interiormente. La parola yata significa "controllato, impegnato", e ci dà una comprensione migliore del termine yati, che è sinonimo di sannyasi (4.28, 5.26) come conferma più chiaramente il Bhagavata Purana 7.12.16, 11.8.16, 11.18.17, but also 2.2.15, 3.1.31, 4.23.12, 5.26.39, 11.8.17, 11.16.43). Ecco un esempio: mauna aniha anila-yama, danda vag deha cetasam, na hy ete yasya santy anga venubhir na bhaved yatih, "Chi non controlla il potere della parola, non ha abbandonato le attività egostiche, non controlla il prana e non mantiene una stretta disciplina sulla propria voce, sul proprio corpo e sulla propria mente non potrà mai 228 Bhagavad gita: capitolo 18 essere un vero sannyasi, anche se portasse molti bastoni di bambù (l'insegna ufficiale di chi ha accettato l'ordine di sannyasa)" (Bhagavata Purana, 11.18.17). I tridandi sannyasi di alcune recenti tradizioni dvaita portano un bastone di bambù (danda) con tre (tri) punte, per distinguersi dai sannyasi originari ekadandi ("un bastone"); sostengono che queste tre punte simboleggiano il loro voto di controllare la parola, il corpo e la mente (vak, kaya, manasa) come raccomanda questo verso. E' senz'altro un'ottima cosa, ma un po' troppo spesso le tre punte del danda sono considerate non solo un simbolo di tale controllo, ma un sostituto, poiché vediamo che questi sannyasi si impegnano senza vergogna in tali attività di gratificazione dei sensi e potere materiale che le persone ordinarie finiscono per cercare di raggiungere un livello di vita più piacevole e migliori facilitazioni materiali entrando ufficialmente nell'ordine di sannyasa in quelle organizzazioni. Questi sannyasi fasulli diranno che hanno accettato tali facilitazioni soltanto per favorire il loro servizio devozionale, ma ciò non spiega gli status symbol estremamente costosi e non necessari come gli orologi rolex, i voli frequenti in prima classe, le stanze negli alberghi di lusso e le feste di compleanno stravaganti, i veicoli superlusso, i servitori personali dedicati compresi i cuochi per preparare feste elaborate con ingredienti raffinati e rari tre volte al giorno, i piatti e le posate d'argento, le lenzuola e gli abiti di seta, i maglioni e scialli pashmina, i bagni con marmi costosi e rubinetti dorati negli appartamenti privati, e le apparecchiature elettroniche e digitali di altissimo livello che vengono usate solo per scopi molto elementari (per la posta elettronica e scrivere note per una conferenza). A queste obiezioni, i falsi sannyasi risponderanno che hanno accettato queste cose umilmente dai propri discepoli come offerte affettuose per non ferire i loro sentimenti, ma se uno ha la 229 Parama Karuna Devi posizione di guru dovrebbe insegnare ai discepoli quale sia lo standard di vita appropriato per un sannyasi, e incoraggiarli a investire le proprie ricchezze e i propri sforzi al servizio di Dio e per la causa di dharma e vidya. E se il sannyasi riceve doni da estranei, dovrebbe distribuirli ad altre persone meritevoli secondo il principio dell'utilità in questo servizio più alto, se possibile chiedendo loro di vendere gli articoli di lusso per usare il denaro a scopi migliori. Certamente dobbiamo adattare gli aspetti esteriori del sannyasa secondo desa, kala, patra, ma il principio della rinuncia deve rimanere lo stesso, altrimenti la definizione acquisterà un significato rajasico o tamasico (18.31, 18.32). Il verso dal Bhagavata Purana (11.18.17) che abbiamo citato prima è estremamente interessante, perché illustra ulteriormente il significato dei versi che stiamo studiando qui (18.51, 18.52, 18.53). Mauna significa "silenzio" come abbiamo visto in 18.51 e 18.52 (questo verso), e vedremo nel 18.53 (il prossimo verso) rappresentato da santa ("tranquillo, silenzioso"). La parola aniha significa "senza avidità, senza ambizioni, senza egoismo" e corrisponde al lasciar cadere tutti gli oggetti dei sensi (visayam tyaktva) e abbandonare la dualità di attrazione-repulsione (raga dvesau vyuda) come nel verso 18.51, e controllare parola, corpo e mente (yata vak kaya manasa) nel verso presente (18.52), come è anche menzionato specificamente nel Bhagavata Purana (danda vag deha cetasam). Il verso del Bhagavata aggiunge pranayama (anila yama) come una pratica importante per controllare la facoltà di parola, il corpo, la mente e il prana o energia vitale, collegando il prana con cetasa ("consapevolezza") come definizione alternativa di "mente" (manasa, 18.51). L'espressione dhyana yoga parah indica chiaramente che uno yogi dovrebbe dare la priorità o posizione suprema (parah) alla meditazione; questo si applica a molti termini di paragone. Il significato più immediato è che lo yogi dovrebbe focalizzare tutta 230 Bhagavad gita: capitolo 18 la propria vita attorno alla meditazione come lo scopo principale della propria esistenza; lo yoga non è un hobby o una pratica di medicina alternativa usata per fare un po' di ginnastica e rilassamento per un'ora due volte la settimana. Non è nemmeno un "secondo lavoro" per arrotondare le entrate o ottenere benefici simili. Inoltre, nella pratica dello yoga, dhyana è molto più importante di dharana, pranayama, pratyahara e asana, e perfino più importante di yama e niyama, perché tutti questi yoga anga ("membra dello yoga") hanno lo scopo di sostenere dhyana o meditazione, e quindi ne sono le pratiche preliminari e subordinate. Quando lo yogi diventa perfetto in dhyana (il vero scopo dello yoga), la meditazione in sé diventa nitya dhyana, conosciuta tecnicamente come samadhi, o sama dhi, o sama dhyana ("meditazione costante e stabile"). Un altro significato dell'espressione interpreta la parola para come "Supremo" come in brahman, paramatma, bhagavan; la meditazione dovrebbe essere fissata soltanto sull'atman / brahman, non su oggetti materiali. Tutti questi significati sono confermati anche dall'espressione samupa asritah ("possedendo pienamente, prendendo completo rifugio"). VERSO 53 aham karam: io sono quello che fa; balam: forza; darpam: orgoglio; kamam: lussuria; krodham: rabbia; parigraham: cercare 231 Parama Karuna Devi doni/ favori; vimucya: completamente libero; nir mamah: senza la mania di possesso o appartenenza; santah: pacifico; brahma bhuyaya: il livello del Brahman; kalpate: desidera. "completamente libero da ahankara, dall'orgoglio per la propria forza, dalla lussuria, dalla rabbia e dall'aspettativa di onori, liberi da mamatva e pacifico: i desideri (di questa persona) sono sul livello del Brahman. Una traduzione alternativa (è più letteraria) può essere: "Chi si è completamente liberato da ahankara e mamatva, dal senso di forza materiale, da orgoglio, lussuria, rabbia e avidità, ed è pacifico, concentra i propri desideri verso il Brahman". Altri commentatori hanno tradotto brahma bhuyaya kalpate come "può aspirare a raggiungere il livello del Brahman", ma una persona che è qualificata nel modo descritto in questi versi è già sul livello del Brahman. Lo stesso significato era stato espresso nel verso 14.26 (sa gunan samatityaitan brahma bhuyaya kalpate, "sviluppa desideri al livello del Brahman, trascendendo tutti questi guna"). La prima riga di questo verso inizia con ahankara ("io sono quello che fa"), che è il singolo ostacolo che causa maggiori danni alla realizzazione spirituale; gli altri difetti e cattive abitudini elencati nella prima riga sono semplicemente conseguenze create dall'ahankara. L'identificazione materiale con il corpo e la mente, che costituisce l'ahankara, sostiene ed è sostenuta dall'orgoglio per la propria forza (balam darpam) e anche dall'idea di forza fisica e fitness come un valore in sé (balam) e dall'orgoglio arrogante come valore in sé (darpam). Dunque una persona che "pratica lo yoga" perché vuole essere orgoglioso/ orgogliosa del proprio corpo, della propria forza o fitness ha già fallito automaticamente e non può fare alcun progresso. 232 Bhagavad gita: capitolo 18 Anche l'aggiunta di kama vicino a bala e darpa è illuminante, perché generalmente coloro che sono orgogliosi del proprio corpo (ottima forma fisica, aspetto attraente ecc) sono ansiosi di impegnarsi nel sesso grossolano o sottile e nella gratificazione dei sensi; già il semplice fatto di essere orgogliosamente consapevole del proprio corpo e di identificarsi con esso (ahankara) è una forma di attività sessuale narcisistica. Non importa se poi la gente si copre il corpo completamente quando esce in pubblico: la lussuria e la gratificazione dei sensi e gli impulsi sessuali non diminuiscono affatto persino sotto un burqa e non vengono dissolti nemmeno dalla repressione artificiale o dalla semplice astinenza (3.6, 3.33). L'unica vera soluzione consiste nell'abbandonare completamente l'identificazione con il corpo materiale e spostare la concentrazione sulla nostra vera identità di atman/ brahman. Un vero yogi non desidera rendere il proprio corpo forte e in forma (2.70), anche se ciò significa andare contro l'opinione del pubblico (2.69) ed essere soggetti a un bombardamento di impressioni in quella direzione (2.70); i suoi desideri sono sul livello del Brahman (brahma bhuyaya kalpate). La parola balam significa "forza, potere materiale, violenza, potenza" e anche "impatto, potere, controllo, influenza, affluenza, posizione, fama, attaccamento", che sono tutti elementi del potere materiale. Insieme con l'arroganza (darpa), la lussuria (kama), la rabbia (krodha) e la mentalità di sfruttamento (parigraha), questo potere materiale è certamente asurico: dambho darpo 'bhimanas ca krodhah parusyam eva ca, ajnanam cabhijatasya partha sampadam asurim, asa pasa satair baddhah kama krodha parayanah, ihante kama bhogartham anyayenartha sancayan, ahankaram balam darpam kamam krodham ca samsritah, mam atma para dehesu pradvisanto 'bhyasuyakah, "Le caratteristiche di coloro che sono nati con una natura asurica sono ipocrisia, 233 Parama Karuna Devi impudenza, arroganza, rabbia, mancanza di gentilezza, e certamente ignoranza. Legati da centinaia di corde nelle forma di desideri, sempre immersi in lussuria e rabbia, desiderano aumentare i propri desideri e per questo scopo adottano qualsiasi mezzo per accumulare ricchezze. Prendendo rifugio nell'ahankara, nella forza fisica, nell'arroganza, nella lussuria e nella rabbia, dimostrano invidia e odio contro di me, poiché io risiedo nel loro stesso corpo come nel corpo degli altri." (16.4, 16.12, 16.18). Specificamente, è la mescolanza di lussuria, avidità e rabbia che impedisce l'evoluzione dell'anima: kama esa krodha esa rajo guna samudbhavah, mahasano maha papma viddhy enam iha vairinam, tri vidham narakasyedam dvaram nasanam atmanah, kamah krodhas tatha lobhas tasmad etat trayam tyajet, kama krodha vimuktanam yatinam yata cetasam, abhito brahma nirvanam vartate viditatmanam, "Questo (potere negativo) è (la miscela di) desiderio e collera, ed è nato dal rajas guna. Sappi che è insaziabile e divora ogni cosa, è la causa di grandi peccati, e il (vero) nemico in questo mondo. La triplice porta per la vita infernale e l'autodistruzione consiste in questa mistura di lussuria, avidità e rabbia, e quindi bisogna abbandonarle. Le persone sante che sono completamente libere da questa lussuria rabbiosa e hanno fissato stabilmente la propria coscienza (nell'atman/ brahman), e che hanno realizzato il Sé: (per loro) il brahma nirvana è molto vicino." (3.37, 16.21, 5.26). La miscela di kama-lobha-krodha nasce dall'influenza di rajas sull'ahankara (identificazione materiale) e sul mamatva (attaccamento materiale), perciò abbandonando ahankara e mamatva, e prendendo rifugio nel Supremo attraverso sattva e visuddha sattva, diventiamo automaticamente liberi da questo grande nemico del progresso. Ahankara e mamatva sono anche l'origine di parigraha, la tendenza ad accumulare e a conservare cose superflue, acquisire 234 Bhagavad gita: capitolo 18 ricchezze e proprietà, aspettarsi doni e favori e servizio da altri, sfruttare o dipendere da altri per il proprio mantenimento, e così via. Questo si applica anche al campo religioso, naturalmente, perché abbiamo visto che gli asura amano presentarsi come persone molto religiose (16.10, 16.15, 16.17), e che le normali attività religiose possono essere compiute anche con le motivazioni sbagliate e con effetti negativi (17.5, 17.6, 17.12, 17.13, 17.18, 17.19, 17.21, 17.22, 18.31, 18.32), e con l'atteggiamento e la comprensione errati (18.7, 18.8, 18.21, 18.22, 18.24, 18.25, 18.27, 18.28). Soltanto un sadhaka sincero, che è libero da ahankara e mamatva e ha superato tutte le cattive qualità nate da rajas e tamas, può raggiungere la pace ed elevarsi al livello del Brahman, il brahma bhuya o brahma nirvana (5.26). E solo da quel livello può iniziare la vera bhakti o devozione a Isvara Bhagavan, come affermerà chiaramente il prossimo verso. VERSO 54 brahma bhutah: lo stato del Brahman; prasanna atma: soddisfatto nel sé; na socati: non si lamenta; na kanksati: non desidera ardentemente; samah sarvesu bhutesu: equanime verso tutti gli esseri/ tutte le esistenze; mad bhaktim: bhakti verso di me; labhate: ottiene; param: spirituale/ transcendentale. 235 Parama Karuna Devi "Chi è stabilito nella posizione del Brahman è soddisfatto nel sé: non si lamenta e non aspira (a nulla), è ugualmente disposto verso tutti gli esseri e ottiene la devozione trascendentale verso di me. Brahma bhuya o brahma bhuta è l'esistenza del Brahman, o "l'essere" Brahman, il livello di paramahamsa che costituisce la perfezione dell'evoluzione negli esseri umani - samsiddhi, o moksha, la liberazione dall'ignoranza e dall'illusione dell'identificazione materiale e dell'attaccamento. Senza raggiungere questo livello, la devozione può soltanto essere impura, contaminata dall'ignoranza materiale e dalle motivazioni che proiettiamo su Dio; prima della realizzazione dell'atman/ brahman, la devozione religiosa può essere soltanto un'ombra o un riflesso della vera bhakti. Tale devozione sentimentale non deve essere condannata, perché costituisce un passo verso la direzione giusta (10.10), ma non deve essere nemmeno presentata come l'articolo genuino, perché la gente rimarrebbe confusa e indotta a credere di aver già raggiunto la meta quando invece è ancora immersa in sogni e fantasie: smetterebbe infatti di fare sforzi per raggiungere la vera realizzazione, e perderebbe lo scopo centrale e la speciale opportunità della vita umana. Che cos'è l'esistenza del Brahman? La parola bhuta ("essere") si riferisce sia alla condizione di esistenza che alla coscienza individuale che vive in quella particolare esistenza; la parola è un derivato dal verbo "diventare" (bhavati), e quindi indica un processo di sviluppo, come nascita, evoluzione o realizzazione. L'anima individuale inizia come anu atman ("sé atomico"), una scintilla di consapevolezza non sviluppata che deve evolversi e crescere in una piena e completa siddha svarupa, cioè un corpo trascendentale/ spirituale, fatto di pura coscienza (sat cit ananda) proprio come il corpo di Dio. 236 Bhagavad gita: capitolo 18 Dunque l'anu atman entra nella scuola del mondo materiale e diventa un jiva atman o jiva buta ("essere vivente"); all'inizio c'è un po' di confusione sulla faccenda del corpo e dell'identità, perciò il minuscolo atman si identifica erroneamente con il corpo materiale che ha sviluppato. Attraverso una serie di esperienze e con la giusta educazione e insegnamenti, il jivatman raggiungerà infine la piena comprensione (realizzazione) della propria vera identità e il significato di "corpo trascendentale". Questo è il livello di brahma bhuta. Ci si potrebbe chiedere perché mai Dio, che è così buono e onnipotente, metta i jivatman attraverso un procedimento così lungo e doloroso. Non potrebbe creare delle emanazioni completamente perfette, già sviluppate, già nella forma adulta di siddha deha, e risparmiarci tutti questi guai? La risposta è che il vero amore deve essere basato sulla libera scelta, sull'autentico apprezzamento che nasce attraverso un contrasto con un altro termine di paragone. Questo è lo scopo della dualità, questa è la ragione dell'intera manifestazione cosmica. In quanto jivatman, ci viene data l'opportunità di partecipare nel lila della creazione, conservazione e distruzione del mondo, e possiamo sempre scegliere il ruolo che vogliamo giocare. Dio non si arrabbia con noi se non facciamo le scelte giuste, ma il gioco ha delle regole interne che il jivatman non può infrangere, perché sono più forti di lui (7.14, 3.5, 3.33, 13.30, 18.40). Le persone sciocche e ignoranti lanciano insulti contro la loro Madre Mahamaya, chiamandola "strega" o "matrigna cattiva", proprio come i bambini stupidi si arrabbiano contro la madre a causa dei loro stessi fallimenti e limiti, o con l'insegnante perché viene chiesto loro di studiare in modo più efficace. Se vogliono veramente superare i loro problemi, dovrebbero invece cercare le 237 Parama Karuna Devi benedizioni della Madre e fare uno sforzo sincero per comprendere che cosa vuole da loro: vuole soltanto che crescano. In che modo possiamo crescere? Sviluppando lo stesso livello di coscienza di Isvara (mam eva ye prapadyante, 7.14), che è benevola neutralità e distacco verso tutti gli esseri e le circostanze, dovuti al fatto che troviamo piena felicità e soddisfazione nel sé (prasanna atma). Qual è la differenza tra un bambino e un adulto? L'adulto è in grado di prendersi cura di sé stesso e non ha bisogno di dipendere da altri, né materialmente né emotivamente, a prescindere dall'età del corpo calcolata in anni. Un adulto fa l'uso migliore di ciò che ottiene, senza lamentarsi o continuare a pensare a quello che ha e che non ha (na socati na kanksati) e rimane equilibrato nelle gioie e nei dolori (samah sarvesu bhutesu). A quel livello, possiamo realmente impegnarci nel vero servizio devozionale e non semplicemente in una imitazione infantile di devozione. Dobbiamo dissipare accuratamente i vari equivoci sui punti offerti in questo verso, a cominciare dall'idea diffusa ma errata che la realizzazione del Brahman sia "impersonale" in opposizione a "personale". Si tratta di un'idea particolarmente sciocca perché per definizione nell'Assoluto (advaita) non c'è dualità e quindi non ci può essere contraddizione tra personale e impersonale. Tutti gli shastra autentici continuano a ripetere che la Trascendenza, per definizione, è ciò che trascende la comprensione limitata della mente e della parola materiali basata sull'esperienza di dualità, tempo e spazio che possiamo avere con il corpo materiale. Più la nostra consapevolezza diventa sottile (e quindi più acuta e penetrante), più diventiamo capaci di realizzare che dualità, tempo e spazio non sono ciò che sembrano essere (come proiezione illusoria di maya). 238 Bhagavad gita: capitolo 18 Il fatto è che l'individualità è eterna e costituzionale, perciò non può essere annientata quando si entra o ci si fonde nella consapevolezza del Brahman; ciò che viene annientato è l'ahankara, l'identificazione materiale di un interesse e un'azione separati che non sono in completa armonia con il Supremo. Un membro o una cellula del corpo non può mai veramente funzionare nel modo giusto se la sua consapevolezza non è perfettamente allineata con la consapevolezza del corpo intero; quando il codice del DNA nella cellula è differente dal DNA del resto del corpo, o quando la cellula agisce in un modo che non è lo scopo perseguito dal corpo, abbiamo un problema. Per le persone condizionate e identificate con la materia, questo può sembrare un tentativo di sminuire il ruolo di un essere umano nell'universo o di ridurre l'importanza del libero arbitrio, presentando Dio come una specie di dittatore intollerante. Questo avviene perché nel mondo materiale abbiamo l'esperienza di esseri condizionati sciocchi e ignoranti che cercano di recitare la parte di Dio senza essere Dio, e senza nemmeno comprendere che cosa sia veramente Dio. Una delle definizioni migliori è offerta del Bhagavata Purana (1.2.11): vadanti tat tattva vidas, tattvam yaj jnanam advayam, brahmeti paramatmeti, bhagavan iti sabdyate, "Coloro che conoscono il tattva dichiarano che il tattva è Conoscenza indivisa, variamente chiamata Brahman, Paramatma, e Bhagavan". Dio è esistenza, conoscenza e consapevolezza - la somma totale dell'esistenza, conoscenza e consapevolezza, che è, è stata e potrà mai essere, e anche l'origine di ogni cosa. In altre parole, la Coscienza di Krishna non è "essere coscienti a proposito di Krishna" ma è Krishna stesso come Coscienza. Quando "colleghiamo" la nostra coscienza con Dio come Coscienza, non perdiamo niente, perché tutto è presente e niente esiste senza o al di fuori di esso - se "senza" e "al di fuori" 239 Parama Karuna Devi potessero avere un significato quando si parla di onnipresenza che tutto pervade. Realizzare il Brahman è come quando una goccia d'acqua entra nell'oceano, o dei dati informativi entrano nel software supremo che crea l'intero ologramma - ciascuna molecola di acqua continua a mantenere la propria identità atomica, ogni bit di informazione continua a mantenere la propria formulazione, e similmente ciascun atman o bit di coscienza mantiene la consapevolezza di ogni cosa (altrimenti non sarebbe consapevolezza). Non è facile da spiegare a parole o da afferrare con l'intelletto materiale, ma ciò non deve sorprenderci, poiché la Trascendenza per definizione trascende sia le parole che l'intelletto materiale. Di nuovo, dobbiamo chiarire un possibile equivoco; quando diciamo che la Trascendenza non può essere definita materialmente, non significa che sia "un mistero della fede" e che non bisogna discuterne. Significa che deve essere realizzata individualmente, con un cambiamento di paradigma chiamato illuminazione (prakasa) o realizzazione, un lampo di vera comprensione che consiste nel vedere direttamente il significato (darshana), dopo aver ascoltato e letto molto al proposito. L'intelligenza umana non è sufficiente a comprendere la Trascendenza, ma possiede la chiave per aprirne la porta, perciò dobbiamo coltivarla e purificarla con la pratica regolare come è spiegato nella Bhagavad gita. Quando abbiamo raggiunto questa realizzazione siamo in grado di vedere il Grande Quadro, perciò non c'è motivo di lamentarsi o correre dietro le cose; possiamo certamente continuare a fare piani e strategie e a lavorare, e possiamo vedere la differenza tra gioie e dolori, ma non vi siamo più legati perché sappiamo che ogni cosa è 240 Bhagavad gita: capitolo 18 perfettamente organizzata ed equilibrata come Una Coscienza, come dichiarano apertamente la Svetasvatara Upanishad (3.9): tenedam purnam purusena sarvam, "secondo il suo piano l'universo è fatto completo e perfetto", e la Isa Upanishad (8): yathatathyati 'rthan vyadadhat, "è lui che soddisfa le necessità di tutti". Svolgiamo dunque felicemente le nostre funzioni e raggiungiamo infine quella identificazione, quel possesso e quell'appartenenza trascendentali che sono la vera realtà, e dei quali l'identificazione, il possesso e l'appartenenza materiali non sono che ombre. L'universo materiale è un mondo di ombre, coperto dalla nuvola dell'ahankara, e l'illusione (maya) consiste nel fatto che un'ombra assomiglia molto all'oggetto reale ma non ha sostanza. Qui è il punto in cui Krishna ha iniziato i suoi insegnamenti nella Bhagavad gita: nasato vidyate bhavo nabhavo vidyate satah, ubhayor api drishto 'ntas tv anayos tattva darsibhih, "Coloro che vedono la verità sanno che ciò che è illusorio/ temporaneo non continuerà ad esistere, mentre ciò che è reale/ eterno non sarà mai distrutto. Hanno osservato accuratamente entrambe le categorie e raggiunto questa conclusione." (2.16). Uno yogi che ha raggiunto la realizzazione del Brahman può ancora continuare a vivere in un corpo materiale in questo mondo come jivan mukta (4.21, 5.11, 5.13, 5.14, 5.19, 5.23, 10.3, 13.33, 14.20, 15.10, 15.11) ed è consapevole che riceverà sempre e automaticamente ciò di cui ha bisogno (9.22), benché il pacco possa contenere anche delle medicine amare. Non c'è bisogno di lasciare o distruggere il corpo o la mente per ottenere la liberazione; un'anima condizionata che cerca di raggiungere moksha semplicemente lasciando il corpo arriverà semplicemente a una nuova reincarnazione, e cercare di liberarsi dalla mente porterà soltanto a uno stato profondamente tamasico 241 Parama Karuna Devi esattamente l'opposto di ciò che cerchiamo. In effetti un'anima realizzata può continuare a vivere una vita piena e lunga, perché servire Dio nel mondo materiale vale quanto servire Dio a Vaikuntha (jijivisec chatam samah, Isa Upanishad, 2). Anzi, vale addirittura di più. La parola labhate ("ottiene, raggiunge"), applicata alla vera bhakti, indica che la devozione autentica a Bhagavan è qualcosa che troviamo attraverso il processo della realizzazione, un diamante nascosto sotto strati di sporcizia che diventa visibile quando le impurità sono state bruciate o lavate via. Non dipende esclusivamente dalla sadhana e certamente non consiste nella sadhana, altrimenti Krishna avrebbe detto "kurute" ("fa, compie"); la bhakti non è dunque un particolare tipo di attività come i rituali o le pratiche religiose, o un attaccamento sentimentale o culturale a una forma proiettata di Dio. Queste cose sono soltanto contenitori o opportunità per sviluppare la bhakti, VERSO 55 bhaktya: attraverso la bhakti; mam: me; abhijanati: si può comprendere; yavan: per quanto; yah ca asmi: così come io sono; tattvatah: in verità; tatah: allora; mam: me; tattvatah: in verità; jnatva: conoscendo; visate: entra; tat: quello; anantaram: eternamente/ senza fine/ constantemente. "Attraverso la bhakti si può comprendermi come veramente sono. Conoscendo questo tattva, si entra infine (in me). 242 Bhagavad gita: capitolo 18 Abbiamo già trovato un verso molto simile nel capitolo che descrive la Virata Rupa: bhaktya tv ananyaya sakya aham evam vidho 'rjuna, jnatum drastum ca tattvena pravestum ca parantapa, "O Arjuna, soltanto attraverso la bhakti è possibile conoscermi e vedermi veramente, ed entrare in me” (11.54). La parola visate si trova anche nel verso 8.11 (yad aksaram veda vido vadanti visanti), che parla dell'akshara brahman, l'esistenza eterna e immutabile della consapevolezza, dicendo che coloro che "conoscono quella conoscenza" vi entrano. Anche questo verso (18.55) è piuttosto difficile da comprendere adeguatamente, perché in superficie sembra contraddittorio; la parola visate ("entra") è un sinonimo di pravisyate ("entra", di cui pravestum è il tempo verbale infinito) e sembra indicare una perdita di individualità o un movimento fisico nello spazio da un luogo all'altro. Nessuna delle due interpretazioni è in realtà corretta. Dobbiamo ricordare che questo tattva (Brahman, Paramatma, Bhagavan) è Conoscenza e Coscienza e non limitato da un corpo materiale, perciò raggiungere la realizzazione di Bhagavan significa entrare nella sua Conoscenza e Coscienza, o secondo il dizionario della bhakti, "entrare nel suo lila". Poiché questa Coscienza trascende i limiti dell'intelletto materiale e non soltanto i limiti della forma materiale, non è sufficiente per noi elaborare speculazioni sull'argomento, ma dobbiamo sintonizzare la nostra consapevolezza pura, proprio come quando sviluppiamo una forte relazione d'amore con qualcuno. Alcuni la chiamano telepatia, altri la chiamano "il linguaggio del cuore", ma si tratta in realtà della nostra natura più fondamentale - la coscienza di amore e armonia. Il Bhagavata Purana (11.14.21) conferma negli insegnamenti di Krishna a Uddhava: bhaktyaham ekaya grahyah sraddhayatma priyah satam, bhaktih punati man nistha sva pakan api sambhavat, 243 Parama Karuna Devi "Io posso essere raggiunto attraverso la pura bhakti di un devoto fedele. Io sono l'atman, caro alle persone buone (sat jana), e questa bhakti in piena dedizione purifica chiunque, persino i selvaggi che mangiano i cani". Questa pura bhakti si sviluppa gradualmente attraverso jnana o coltivazione della conoscenza sattvica, e karma o giusto compimento dei propri doveri (Bhagavata Purana 11.20.6), come Krishna ha spiegato nell'intera Bhagavad gita. Bhakti (la devozione) è l'espressione suprema dello yoga (6.47), ma non si può ottenere la vera bhakti senza evolversi al livello di brahma bhuta, e per questo dobbiamo coltivare jnana (conoscenza) e vairagya (rinuncia) mentre svolgiamo i nostri doveri prescritti (karma). Nel capitolo sul vijnana yoga, Krishna ha affermato chiaramente: bahunam janmanam ante jnanavan mam prapadyate, vasudevah sarvam iti sa mahatma su durlabhah, "Dopo molte vite, una persona che ha la conoscenza mi raggiunge, realizzando che Dio è ogni cosa. Una tale grande anima è molto rara." (7.19 ). Non dobbiamo prendere la bhakti alla leggera, perché in quel caso otterremmo soltanto una imitazione a buon mercato dell'articolo autentico. Talvolta le persone superficiali e ignoranti equivocano sull'idea della pura bhakti che è libera da jnana e karma (jnana karmady anavritam), immaginando che un devoto neofita e sentimentale possa raggiungere istantaneamente il livello della pura bhakti (mad bhaktim param) abbandonando artificialmente la coltivazione della conoscenza e i doveri prescritti verso famiglia e società. In particolare, dovremmo fare molta attenzione a coloro che affermano che per raggiungere la pura devozione a Krishna dobbiamo smettere di ascoltare l'intelligenza, il buon senso e la coscienza (che sono la voce dell'antaryami paramatma) e persino trascurare le istruzioni degli shastra autentici come gli insegnamenti di Krishna nella Bhagavad gita. 244 Bhagavad gita: capitolo 18 Molti prakrita sahajyas ("sempliciotti materialisti") preferiscono abbandonarsi a fantasie rosate alla saccarina sulla rasa lila e le avventure d'infanzia di Krishna a Vrindavana invece di studiare e comprendere e seguire le istruzioni della Bhagavad gita, ma nonostante le loro manie di grandezza, la loro posizione non è così sublime come pensano. Vogliono usare Krishna per il proprio piacere e divertimento, invece di offrire un servizio favorevole al Bene Supremo, perciò la loro devozione ha ben poco valore, e in effetti secondo uno degli autori più famosi della letteratura medievale della bhakti è persino dannosa per la società: sruti smriti puranadi pancharatra-vidhim vina, aikaintiki harer bhaktir utpatayaiva kalpate, "La cosiddetta bhakti esclusiva per Hari (Vishnu o Krishna) che non è in accordo a sruti, smriti, Puranas e le altre scritture vediche, e con la scienza del Pancharatra, è semplicemente una fantasia che creerà molti danni alla società" (Bhakti rasamrita sindhu 1.2.101, citazione del Brahma yamala Purana). Quali potrebbero essere questi danni? I religiosi superficiali diranno, "Che mille fiori possano sbocciare insieme: dopo tutto queste persone stanno semplicemente facendo del loro meglio per adorare Dio, e Vishnu/ Krishna è effettivamente la Personalità suprema di Dio (11.45, 11.46, 11.50)". Certamente non dobbiamo mai perseguitare fisicamente le persone per le loro credenze errate, ma abbiamo il dovere di smascherare gli argomenti infondati e pericolosi, perché dobbiamo proteggere i buoni e gli innocenti dalla confusione (4.8). Il problema che dobbiamo mettere in evidenza consiste nell'idea di "esclusività" (aikantika), un concetto tipicamente abramico che si è infiltrato in India attraverso le invasioni islamiche ed era già parecchio diffuso ai tempi in cui venne scritto il Bhakti rasamrita sindhu. Questo approccio "monoteistico" nega il valore del giusto uso di intelligenza e coscienza, e dà importanza centrale all'obbedienza 245 Parama Karuna Devi assoluta alle "autorità religiose" che dichiarano di rappresentare "l'unico vero Dio", mentre tutte le altre forme e personalità di Dio sono considerate inferiori, se non false o disprezzabili - e i loro devoti vengono ingiustamente insultati, attaccati e perseguitati. Si tratta di una deviazione molto grave dalla visione vedica; è la vera intolleranza che non dobbiamo tollerare, e che crea il caos nella società perché impedisce alla gente di seguire la via giusta e causa offese agli shastra e ai Deva e a molte persone buone e acharya autentici (come Adi Shankara). Inoltre, confonde le persone illudendole nella convinzione che abbiano già oltrepassato i doveri sociali prescritti e persino dharma e vidya, quando in effetti vivono come parassiti dannosi della società e danno cattivo esempio agli altri contro le precise istruzioni di Krishna (3.21, 3.22, 3.23, 3.24, 3.25, 3.26). La via della devozione (bhakti) comincia dalla sincera coltivazione della conoscenza, avvicinando un guru autentico: tad viddhi pranipatena pariprasenena sevaya, upadeksyanti te jnanam jnaninas tattva darsinah, "Dovresti apprendere questa conoscenza avvicinando coloro che contemplano direttamente la Verità, presentando loro tutte le domande possibili e offrendo loro servizio. Coloro che hanno la conoscenza ti inizieranno a questa scienza." (4.34). La fase di vaidhi bhakti o sadhana bhakti è semplicemente la sincera pratica dello yoga come descrivono la Bhagavad gita e i famosi Yoga sutra di Patanjali. Bisogna iniziare da yama e niyama, che consistono nel purificare la propria esistenza dagli attaccamenti grossolani alle cattive abitudini e ai difetti. Poi bisogna impegnare il proprio corpo (asana) nel servizio dell'atman/ brahman compiendo le attività dei propri doveri prescritti in uno spirito di dedizione devozionale della propria energia divina al Supremo (pranayama), e imparando il controllo dei sensi di percezione e di azione (pratyahara). 246 Bhagavad gita: capitolo 18 Ciò aiuterà gradualmente il sadhaka a controllare la mente (dharana) e impegnarsi in modo sempre più efficiente (dhyana e samadhi). Il Narada pancharatra conferma, parlando di cinque successive divisioni della conoscenza: 1. jnana, 2. yoga, 3. vairagya, 4. tapah e 5. bhakti, presentata come una funzione speciale di vidya o conoscenza trascendentale. La ricerca della conoscenza del Brahman (brahma jnana) non ha bisogno di essere ricercata sul livello della bhakti suprema perché è già stata ottenuta (2.52). La conoscenza o realizzazione deve essere ricercata finché non la si possiede, proprio come si va a scuola per imparare, ma una volta diplomati non c'è più bisogno di frequentare le lezioni, perché stiamo già contemplando direttamente e applicando la conoscenza realizzata che è ora diventata parte della nostra natura. Dopo aver raggiunto la realizzazione diretta, non è possibile tornare all'ignoranza, perciò quando diciamo che ci lasciamo dietro jnana, non significa che stiamo veramente abbandonando la conoscenza. In questo verso, la parola yavan ("per quanto") indica che la Realtà suprema può essere compresa non completamente ma in verità, senza equivoci e confusione, diversamente dalle proiezioni fantasiose delle persone ignoranti e sciocche. Certamente questa conoscenza o comprensione (abhi jnana, "conoscenza specifica") include la Personalità di Dio, poiché Krishna menziona chiaramente il pronome personale tre volte in questo verso (mam, "me", asmi, "io sono", mam, "me"). Adi Shankara stesso dichiara all'inizio del suo commento sulla Bhagavad gita che Narayana è al di là dell'avyakta o Brahman non manifestato (narayanah parah avyaktat). Un famoso passaggio della Katha Upanishad (3.10-3.11) conferma: indriyebhyah para hy artha arthebhyas ca param namah, manasas tu para buddhir 247 Parama Karuna Devi buddher atma mahan parah, mahatah param avyaktamavyaktat purusah parah, purushan na param kinchit sa kastha sa param gatih, "Al di là degli organi di senso ci sono gli oggetti dei sensi. Sopra questi, c'è la mente. Al di là della mente c'è buddhi (l'intelligenza). Al di sopra di questa, c'è il paramatman. Oltre il paramatman c'è il Brahman non manifestato. Al di là di questo c'è il Purusha. Non c'è nulla oltre il Purusha: questa è la destinazione, questo è il supremo." E' interessante notare che la Katha Upanishad continua a dichiarare nei versi successivi: "Questo Purusha è nascosto in tutti gli esseri, perciò non è visibile agli occhi materiali, ma può essere visto da quegli yogi saggi che si sforzano di concentrare la loro meditazione. Uno yogi che ha la conoscenza e un'intelligenza acuta dovrebbe impegnare/ unire le parole nella mente, la mente nell'intelletto, l'intelletto nel paramatman, e il paramatman nella suprema Realtà divina. Alzatevi! Svegliatevi! Cercate quella pura conoscenza seguendo insegnanti intelligenti che praticano ciò che predicano. I saggi esperti spiegano che la via è rischiosa, tagliente come la lama di un coltello, e non è facile da percorrere o attraversare. Quando sappiamo ciò che si trova oltre la percezione del suono, del tatto, della vista, del gusto e dell'odorato, quella eterna Realtà immutabile che non ha inizio né fine, più grande del più grande, permanente e coerente, si diventa liberi dagli artigli famelici della morte" (Katha Upanishad, 3.12, 3.13, 3.14, 3.15). L'ultima parola del verso, anantaram, è molto interessante. Contiene i significati di "eternamente, costantemente, senza fine, senza limiti", ma alcuni commentatori l'hanno tradotta come "dopodiché, immediatamente", cosa che può facilmente confondere le persone sciocche e superficiali e farle cadere nell'illusione del prakrita sahajya. Il vero significato del termine viene spiegato perfettamente da Jada Bharata al re Rahugana: jnanam visuddham paramartham ekam, anantaram tv abahir brahma satyam, pratyak 248 Bhagavad gita: capitolo 18 prasantam bhagavac chabda samjam, yad vasudevam kavayo vadanti, "Gli esperti spiegano che Vasudeva è quella conoscenza perfettamente pura, l'unico valore supremo, eterno e onnipresente (che non ha esterno), il Brahman, la Verità che è realizzata direttamente, la pace perfetta, conosciuta anche con il nome di Bhagavan" (Bhagavata Purana 5.12.11). VERSO 56 sarva karmani: tutte le attività; api: sebbene; sada: sempre; kurvanah: compiendo; mad vyapasrayah: sotto la mia protezione; mat prasadat: pe la mia benedizione; avapnoti: raggiunge; sasvatam: eterna; padam: la posizione; avyayam: imperitura. "Mentre ancora compie tutte le attività dei suoi doveri prescritti, una persona raggiunge la posizione eterna e imperitura per la mia benedizione e sotto la mia protezione. Se leggendo il verso precedente qualcuno aveva sviluppato l'idea che impegnandosi in qualche atto superficiale e sentimentalistico di devozione ci si può considerare al di sopra dei doveri prescritti di una società sattvica, qui Krishna lo smentisce immediatamente. Molte volte Krishna ha chiarito questo punto nella Bhagavad gita, e se qualche persona ignorante e sciocca ha usato il pretesto della rinuncia e della vita devozionale per sottrarsi alle proprie vere responsabilità, non è giusto dare la colpa a Krishna. Fin dall'inizio, quando rimproverava Arjuna per la sua idea di abbandonare la 249 Parama Karuna Devi battaglia per diventare un sannyasi, fino alla conclusione di questo capitolo Krishna ha dichiarato inequivocabilmente che un devoto, un'anima realizzata, dovrebbe continuare a impegnarsi nei suoi doveri per sostenere la società e guadagnarsi onestamente da vivere con il suo lavoro sincero - quanto meno, per dare il buon esempio alla massa generale della gente. Specificamente, Krishna afferma qui, sarva karmani ("tutte le attività prescritte") e sada ("sempre"), perciò non lascia spazio a chi vorrebbe scegliere a capriccio i doveri che preferisce svolgere rispetto a quelli che sembrano spiacevoli. E' necessario accertare quale sia il proprio sva dharma secondo guna e karma (18.41), ma poi bisogna impegnarsi sinceramente in tutti i doveri prescritti, senza scorciatoie e senza saltare avanti e indietro da una posizione all'altra per godere dei diritti e schivare i doveri con il pretesto di essere situati in un "daivi varnashama" trascendentale. In realtà tutti i varna e ashrama sono divini (daivi), poiché sono stati stabiliti direttamente da Krishna (catur varnyam maya sristam guna karma vibhagasah, 4.13), e trascurare apertamente e disobbedire alle istruzioni delle scritture e di Krishna - tutto in nome della trascendenza - può soltanto aggiungere offesa al danno e portare i risultati disastrosi che abbiamo visto verificarsi praticamente molte volte a tante persone. Non c'è bisogno di speculare per inventare "nuovi metodi" per risolvere i problemi delle persone ignoranti. Trascurare le istruzioni delle scritture autentiche costituisce certamente causa di disastro imminente (16.23, 16.24, 17.5). Così invece di dire che sono situati "al di sopra di varna e ashrama", questi imbroglioni degradati dovrebbero riconoscere il semplice fatto che non hanno qualificazioni e che si sforzano di tirare avanti come possono; non c'è bisogno di presentarsi come grandi sannyasi o brahmana per sviluppare una bhakti autentica e ispirare altri. 250 Bhagavad gita: capitolo 18 E' meglio restare umili piuttosto che diventare fraudolenti e violare l'ultimo principio del dharma (veridicità). "A furia di fingere si arriva a realizzare il successo" è una ricetta sicura per il disastro, e la gente che la predica dovrebbe essere smascherata per ciò che è veramente. Certo, sarva karmanam non include le azioni proibite o vikarma, che lo yogi e il devoto dovrebbero già aver abbandonato all'inizio del sadhana (7.28) osservando strettamente le regole di yama e niyama. Eppure, è fin troppo comune vedere le persone che fingono devozione scegliere precisamente di continuare nel vikarma o attività proibite, mentre trascurano i nitya karmani o attività prescritte con il pretesto che hanno "trasceso i doveri ordinari", e come sia rivelatore il fatto che questo argomento viene solitamente evitato nelle discussioni e pubblicazioni di alcune organizzazioni religiosi, mentre dovrebbe esserci un'abbondanza di citazioni dai loro acharya fondatori, che erano molto espliciti a proposito di questo problema. L'espressione sasvata pada avyaya ("la posizione eterna e immutabile") può essere elaboata in molti significati. Una volta che si è raggiunto il brahma bhuta (18.54) non c'è possibilità di ricadere (5.17, 8.21, 15.4, 15.6) perché tale evoluzione di coscienza cambia la visione in modo permanente. Le persone con una visione materialistica rimangono incapaci di comprendere la differenza tra Svarga (i pianeti celesti) e Vaikuntha, e quindi immaginano che Vaikuntha sia una specie di paradiso dove si può stare seduti con Vishnu invece con i "semidei" che risiedono nei sistemi planetari superiori, proprio come immaginano che Vishnu sia un altro Dio separato che è semplicemente più potente degli altri "dei". 251 Parama Karuna Devi Non ci sorprende dunque vedere che queste persone confuse e ignoranti speculano che i jivatman fossero un tempo impegnati nei lila e nel servizio completamente trascendentale a Vishnu o Krishna a Goloka Vrindavana, e poi a causa dell'influenza dell'ignoranza e del tempo siano caduti nel mondo materiale come punizione per la loro disobbedienza (questa è l'idea fondamentale del Giardino dell'Eden narrata nella Bibbia). A rimanere sorpresi saranno loro, quando si troveranno non a Vaikuntha, ma a rinascere a Bila Svarga, i sistemi planetari inferiori dove vivono gli asura, e che corrispondono in modo più preciso alle visualizzazioni e proiezioni che hanno coltivato così fedelmente nelle loro "meditazioni devozionali". Le scritture affermano chiaramente che anche a Bila Svarga non c'è bisogno della luce del sole o della luna (15.6) perché lo splendore delle gemme che ornano la testa degli abitanti (e che potrebbero essere scambiate per pietre spirituali cintamani), e la meravigliosa opulenza di quel luogo - giardini, palazzi, villaggi agricoli, fattorie e così via - supera persino la bellezza dei pianeti superiori conosciuti come Svarga. La via migliore consiste nel prendere sinceramente e pienamente rifugio in Dio (mat vyapasrayah) e dipendere solo da quello che ci manda (mat prasadat), facendo sforzi sinceri per comprendere la scienza della Bhagavad gita e abbandonando tutte le identificazioni materiali e gli attaccamenti e desideri per la gratificazione dei sensi, individuali e collettivi. 252 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 57 cetasa: con la consapevolezza; sarva karmani: tutte le attività; mayi: a me; sannyasya: rinunciando; mat parah: dedicata a me; buddhi yogam: nel buddhi yoga; upasritya: prendendo rifugio; mat cittah: nella mia coscienza; satatam: sempre; bhava: diventa. "Rinunciando a tutte le attività nella tua coscienza, dedicati pienamente a me, prendendo rifugio nel buddhi yoga, e diventa la mia coscienza in modo permanente. No, non è un errore di traduzione. La frase "diventa la mia coscienza in modo permanente" potrebbe non sembrare sensata a una persona che non ha raggiunto la realizzione del Brahman e crede ancora di essere il corpo e la mente. Eppure, questo è ciò che Krishna dice qui: "diventa la mia coscienza". La parola citta significa specificamente "coscienza", mentre la forma aggettivale del termine è cetana ("cosciente") è usata anche come nome a significare "mente" o "essere cosciente". In altri passaggi, per indicare un essere cosciente Krishna ha usato l'espressione prajna, jnani, vit, darshi, che sono sinonimi di "persona cosciente" o "uno che conosce". L'idea di "diventare coscienza divina" diventa più facile da comprendere quando realizziamo che in quanto individui noi siamo già coscienza (atman). Quando la nostra vera identità è oscurata dall'identificazione materiale, sviluppiamo un corpo materiale, e quando la tenebra è dissipata dalla calda luce della 253 Parama Karuna Devi conoscenza, la nostra vera e originaria identità come coscienza torna a risplendere luminosa. Ciò si applica anche a un livello devozionale più profondo o rasika; ricordiamo qui che la parola bhava significa anche "coscienza" in quanto "sentimento estatico nella relazione con Krishna", e che è lo sthayi bhava ("sentimento permanente") che costituisce il siddha deha o siddha svarupa del devoto pienamente realizzato. Dunque al livello del Brahman, al livello del Paramatma e persino al livello più intimo di Bhagavan, tutto è pura coscienza conoscenza, sentimento, percezione. Senza raggiungere questo livello, non si può entrare in contatto diretto con Bhagavan perché il corpo materiale è una copertura spessa e goffa che limita molto il nostro potenziale e le nostre attività come atman; possiamo comunque crescere oltre il corpo sviluppando la nostra consapevolezza/ identità come un particolare siddha deha. Il siddha deha è molto reale, in effetti è più reale dei corpi grossolani che possiamo toccare e vedere e odorare con i nostri sensi materiali, ma non è limitato da tempo, spazio e dualità, perciò non viene normalmente visto dai sensi materiali. E' importante comprendere che questo siddha deha o siddha svarupa non è "un altro corpo" che si prende dopo aver lasciato l'attuale corpo materiale – ma è la natura inerente dell'atman e si sviluppa attraverso il metodo adeguato, e che può già agire in modo perfetto mentre ancora si vive nel corpo materiale (jivan mukta). In alcuni casi, il siddha deha può scavalcare la percezione dei sensi materiali e collegarsi direttamente con la percezione dell'atman di altri (11.8, 11.48, 11.52, 11.53, 11.54), ma tale manifestazione non avviene senza un valido scopo, e rimane impossibile da 254 Bhagavad gita: capitolo 18 comprendere veramente per le persone non evolute (9.11, 10.3, 15.10); eppure è l'unica forma in cui possiamo entrare realmente in contatto diretto con Bhagavan e la realtà spirituale in generale. Possiamo comprendere e realizzare queste cose attraverso il buddhi yoga, l'impegno delle funzioni superiori dell'intelligenza o intelletto. La mente materiale e i sensi non sono abbastanza sottili, perché sono incrostati di ahankara e mamatva, mentre l'intelligenza è composta esclusivamente di sattva e quindi costituisce il ponte tra la dimensione sottile e quella spirituale, proprio come il prana costituisce il ponte tra il corpo fisico grossolano e il corpo sottile fatto di energia e mente. E' vero che buddhi è elencata tra gli otto principi elementali del mondo materiale (7.4), ma per definizione è consapevolezza e conoscenza, e in quanto tale non può mai essere affossata da tamas, l'ignoranza, o distratta da rajas, l'avidità. In effetti la vera intelligenza è la spada affilata che può tagliare attraverso l'illusione (4.41, 5.25, 15.3). Lo conferma anche la prima parola in questo verso, cetasa ("coscientemente, consapevolmente") che è strettamente imparentata con l'espressione mat citta nella seconda riga del verso. Il riferimento a buddhi e cetasa esclude automaticamente adharma e vikarma dalla vasta gamma di attività (sarva karmani) che si possono offrire a Dio nel puro servizio devozionale (mat parah, "dedicato a me"), persino con l'idea di rinunciare personalmente al godimento dei loro risultati (sannyasya, "rinunciando mentre si compiono"). Per esempio, Krishna chiede semplicemente offerte pure come una foglia, un fiore, un frutto e dell'acqua, e anche la smriti conferma che si può presentare alla Divinità una vasta gamma di ingredienti e preparazioni puramente vegetariani. 255 Parama Karuna Devi Non esiste un solo passaggio delle scritture in cui Dio chiede l'offerta di ingredienti non vegetariani o impuri; quando tali offerte sono ammesse, hanno lo scopo di facilitare lo sviluppo della devozione in persone neofite influenzate dai guna inferiori, e quando sono compiute in questo modo, sono sostenute dall'intelligenza e dalla consapevolezza, perché possono aiutare l'individuo a smettere di mangiare carne ottenuta con la macellazione ordinaria. La rinuncia a tutte le attività deve essere fatta nella propria consapevolezza (cetasa) offrendone i frutti al Supremo come centro della propria vita (mat parah) e agendo senza egoismo; su questo livello di consapevolezza rinunciata (distaccata) si può e si deve continuare a compiere tutte le attività per il servizio al Supremo. Certamente si tratta di un processo graduale. All'inizio il sadhaka inizia ad adorare Dio con un sentimento di devozione che è mescolato a qualche desiderio personale (sa-kama) ed è ancora oscurato da concetti materiali (prakrita), perciò la posizione di un tale devoto è chiamata kanistha ("immatura"). Nello stadio intermedio (madhyama) il devoto purifica la propria intelligenza (buddhi) e coltiva la conoscenza (jnana) e il distacco (vairagya), che porta la realizzazione della Coscienza suprema in una visione sempre più chiara. Finalmente, al livello più alto (uttama) il devoto prende pieno rifugio (upasritya) in questa Coscienza suprema e non è distratto da alcun interesse separato (ananya) e si concentra pienamente soltanto sulla Coscienza suprema (aikantika). Di nuovo, queste fasi sono presenti in tutte le forme di yoga, a cominciare dallo sforzo deliberato di cercare la Coscienza Suprema e finendo nel samadhi o completa e costante immersione in quella Coscienza Suprema (satatam). 256 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 58 mat cittah: nella mia coscienza; sarva durgani: tutte le difficoltà; mat prasadat: per la mia grazia; tarisyasi: attraverserai; atha: ma; cet: se; tvam: tu; ahankaran: a causa dell'egotismo; na srosyasi: non ascolterai; vinanksyasi: sarai perduto. "Nella mia coscienza, per la mia grazia, attraverserai ogni difficoltà. Ma se scegli di non ascoltare, a causa dell'egotismo, sarai perduto. E' importante comprendere che questo verso non è la minaccia di una punizione per la disobbedienza o la mancanza di fede. E' una semplice affermazione di una verità scientifica sulle leggi naturali dell'universo: più sviluppiamo la nostra intelligenza e consapevolezza, più saremo capaci di superare ogni difficoltà, mentre quando scegliamo l'ignoranza a causa dello sciocco ego e dell'orgoglio personale contro la nostra coscienza e l'armonia dell'universo potremo soltanto perderci e soffrire senza alcuna necessità. Esiste un ordine supremo nell'universo (rita) per il quale i pianeti si muovono nelle loro giuste orbite, gli elementi svolgono regolarmente le loro funzioni, e tutti gli esseri lavorano per il sostentamento e il progresso dell'intera comunità universale. Eccetto gli esseri umani, tutte le creature si evolvono in un modo predeterminato, secondo le rigide leggi della natura che dettano le 257 Parama Karuna Devi loro reazioni e i loro comportamenti; anche gli esseri umani sono trasportati dal meccanismo del cosmo (yantrarudhani mayaya, 18.61) ma grazie alla loro particolare posizione intermedia possono scegliere la direzione del loro movimento e delle loro azioni appoggiandosi a un lato piuttosto che all'altro. Questi due lati sono la daivi prakriti e la asuri prakriti (vedere capitolo 16), che tirano l'individuo rispettivamente verso l'alto o verso il basso; sono chiamati anche para ("supremo") e apara ("non supremo"), o in una traduzione approssimativa, "spirituale" e "materiale": Le definizioni di spirituale e materiale possono confondere coloro che soffrono di pregiudizio culturale, perché le ideologie abramiche demonizzano apertamente la natura materiale (questo mondo, i corpi e così via) e quindi si potrebbe essere tentati di condannare la natura materiale e cercare di combatterla. Questo sarebbe un errore spettacolare, inevitabilmente condannato al fallimento, poiché la natura materiale è la divina Shakti (daivi hy esa gunamayi mama maya, 7.14), e i jivatman sono completamente impotenti di fronte a lei. In realtà, senza le benedizioni di Madre Mahamaya non si potrà mai fare alcun progresso, né materialmente né spiritualmente. Quando il jivatman sceglie di prendere rifugio nella daivi prakriti, non sta avvicinando una persona diversa che è opposta o rivale della asuri prakriti: si sta semplicemente rivolgendo al "lato" divino della stessa Dea suprema, e mostrando che è pronto a evolversi e collaborare per il bene comune. D'altra parte, coloro che vogliono essere "duri" e mostrare qualità e caratteristiche asuriche saranno costretti a vedersela con il lato feroce e terrificante della Dea. E' importante comprendere qui che gli asura non sono coloro che adorano l'aspetto feroce (asaumya o ugra rupa) della Dea, ma coloro che si oppongono alle leggi dell'universo per imporre il proprio ego, e quindi diventano soggetti alla punizione somministrata dalla Dea. Coloro che trovano questo punto difficile 258 Bhagavad gita: capitolo 18 da comprendere perché sono attratti dal "pacifico" Vishnu dovrebbero ricordare che anche Vishnu ha le sue forme ugra (Narasimha, per esempio), e gli asura certamente non adorano tali forme ma entrano in contatto con esse in un modo alquanto diverso. Il nome Durga significa letteralmente "forte, prigione", e per estensione, "restrizione, limite, difficoltà" come in questo verso. In verità Madre Durga ha il pieno controllo della fortezza che è questo mondo e provvede alle celle di confinamento adeguate per tutti quei criminali pazzi, violenti e pericolosi che si rifiutano di ascoltare, comprendere e collaborare con il resto della società. Il capitolo 16 ci ha dato un quadro molto dettagliato di tali persone (16.4 to 16.24), paragonandole per opposizione a coloro che hanno scelto di prendere rifugio nelle qualità e nei comportamenti divini (16.1, 16.2, 16.3) che sono basati sul sostegno reciproco e sulla collaborazione nella comunità universale. A causa della particolare posizione della nascita umana, si può decidere in qualsiasi momento di cambiare direzione e qualificarsi pe la liberazione; non c'è pregiudizio o ingiustizia in questo sistema, così come non esistono favoritismi nella legge di gravità. Ciò che sembra essere una differenza di trattamento è in realtà dovuto al fatto che l'individuo favorito ha una migliore conoscenza o coscienza delle leggi e dei principi generali, e usa l'intelligenza per navigare attraverso le difficoltà: questo è chiaramente espresso nel verso in esame. Krishna ha già affermato molto chiaramente che non è interessato ai meriti e demeriti delle anime individuali e che non desidera nulla per sé stesso (3.22, 5.15), ma che ricambia volentieri (4.11, 4.14, 9.9, 9.29) i sentimenti e il servizio di coloro che vogliono imparare, evolversi e unirsi a lui. Krishna non dà mai ordini tassativi a nessuno, ma semplicemente ci chiede di ascoltare (2.39, 7.1, 10.1, 13.4, 16.6, 17.2, 17.7, 18.4, 18.19, 18.29, 18.45) i suoi 259 Parama Karuna Devi buoni consigli; spiega i fatti e le cose con logica e ragionamenti, e poi ci lascia decidere quello che vogliamo fare (18.63, 18.64). La Coscienza di Dio (mat cittah) non è coscienza "di" Dio, ma piuttosto la percezione consapevole dell'intera Realtà come microcosmo e macrocosmo, all'interno di noi e fuori di noi, e dei meccanismi eterni e universali che la muovono - i tre guna materiali (sattva, rajas, tamas) nella dimensione materiale e i tre guna spirituali (sat, cit, ananda) nella dimensione spirituale. Perciò questa Coscienza è la posizione (pada) o dimora (dhama) sia nell'universo materiale che nella dimensione spirituale. Per sviluppare e mantenere questa concentrazione sulla Coscienza suprema, abbiamo bisogno di ascoltare (o leggere) le sue descrizioni dalle scritture autentiche e da quei devoti che hanno già raggiunto il livello di realizzazione diretta: nasta prayesv abhadresu nityam bhagavata sevaya, bhagavaty uttama sloke bhaktir bhavati naisthiki, "Tutto ciò che è di cattivo augurio viene distrutto servendo costantemente i discorsi su Bhagavan; in questo modo si diventa fermamente situati nella dedizione a Bhagavan, che è descritto da versi meravigliosi" (Bhagavata Purana, 1.2.18). Il semplice atto di sentire o ascoltare (sravana) è già considerato un servizio valido e un'azione meritevole, e il motore del progresso e dell'evoluzione. E' importante comprendere qui che servizio (seva) indica l'associazione regolare o la pratica in un sentimento favorevole, proprio come abbiamo visto nel verso 6.20 della Bhagavad gita in riferimento alla dedizione allo yoga (yoga sevaya). E' interessante notare che Krishna sta dicendo "supererai tutte le difficoltà", e non "non dovrai affrontare alcuna difficoltà", oppure "tutte le difficoltà scomparirano". Molte persone non evolute credono che la religione consista nel pregare Dio di darci cibo gratis e una vita facile, senza tentazioni o difficoltà, e che tutte le 260 Bhagavad gita: capitolo 18 conseguenze delle nostre attività passate, i nostri debiti e i nostri atti colpevoli, dovrebbero essere magica-mente e ripetutamente cancellati ogni volta che chiediamo a Dio di farlo. Questa idea è delusionale: tutti dobbiamo guadagnarci il cibo lavorando onestamente, affrontare le difficoltà intese a metterci alla prova e stimolare la nostra evoluzione, prendere posizione a sostegno del dharma e della famiglia universale, ed essere pronti coraggio-samente e sinceramente a pagare i nostri debiti al momento giusto, e persino a prenderci delle responsabilità verso i nostri fratelli e sorelle meno maturi. Sono soltanto i bambini piccoli che chiedono al Padre di risolvere tutti i loro problemi, in cambio di un po' di lodi e adulazione. I figli e le figlie adulti sono competenti e capaci di aiutare il Padre e svolgere qualche lavoro utile e costruttivo, e sono pronti e disposti ad affrontare le inevitabili difficoltà nel compimento dei loro doveri. Come Krishna ha già affermato (3.20, 3.21, 3.22, 3.23, 32.24) anche le anime perfettamente liberate e persino gli avatara divini danno un ottimo esempio pratico al proposito, così che nessuno possa dire di essere al disopra della necessità di affrontare le difficoltà e lavorare onestamente. VERSO 59 yat: se; ahankaram: per egotismo; asritya: prendendo rifugio; na yotsya: non combatterai; iti manyase: pensando così; mithya esah: 261 Parama Karuna Devi tutto questo è falso; vyavasayah: con determinazione; te: tua; prakritih: natura; tvam: te; niyoksyati: costringerà a impegnarti. "Se a causa dell'egotismo pensi, 'non combatterò', la tua sarà una decisione falsa, perché la tua stessa natura ti costringerà a impegnarti. Il verso precedente menzionava chiaramente l'ahankara (egotismo come identificazione materiale con corpo, posizione e attaccamenti) come la causa di illusione e abbandono del proprio dovere. Ciò era stato spiegato anche nei versi da 18.5 a 18.9: non bisogna mai abbandonare le attività doverose del sacrificio (yajna), della carità (dana) e dell'austerità (tapah), ma certamente bisogna abbandonare l'illusione dell'ahankara (kartavyan, 18.6). Una persona che è influenzata dall'ignoranza tende a fare esattamente l'opposto di ciò che dovrebbe essere fatto (16.7, 18.30, 18.31, 18.32), perciò invece di rinunciare all'ahankara e rimanere fedeli ai loro doveri, le persone stupide e ignoranti rinunceranno ai loro doveri e rimarranno attaccati all'ahankara. A parte gli ovvi risultati negativi sul funzionamento generale dell'universo, per i quali dovranno pagare le conseguenze, questi sciocchi hanno scelto di prendere posizione su un terreno estremamente instabile, perché la loro comprensione è oscurata dall'illusione (mohat, 18.7). Se si rifiutano di compiere i loro doveri prescritti, l'avidità e l'ignoranza li impegneranno in attività più degradanti, fonte di sofferenze future ancora più gravi. Krishna ha affermato molte volte che la visione errata e delusionale di sé stessi è un prodotto dell'ignoranza (9.12, 14.17, 16.10, 16.16, 18.7, 18.9, 18.25, 18.35) e non può portare buoni risultati, ma possiamo verificare direttamente la verità di tale affermazione osservando la vita delle persone che ci circondano. 262 Bhagavad gita: capitolo 18 Le tendenze tamasiche e rajasiche dell'attuale società degradata sono dirette a indottrinare la gente nella direzione asurica, presentando l'idea che il lavoro sincero e lo studio serio sono per gli stupidi e i secchioni, presentati come "falliti" socialmente, mentre le persone di successo e socialmente superiori non fanno alcun lavoro ma semplicemente si divertono tutto il giorno spendendo soldi per lussi non necessari e prodotti alimentari industriali. Similmente, coloro che sono sinceramente interessati alla vita spirituale e all'evoluzione personale nei principi etici sono presentati come ingenui, irragionevoli, superstiziosi e fanatici fondamentalisti, mentre il cinismo, lo sfruttamento e l'egoismo, la ricerca costante e infinita di possedimenti e posizioni e l'ostentazione di status symbol e arroganza sarebbero la strada verso la felicità e il successo. La nuda realtà è che questo approccio alla vita può solo portare sofferenze e ansietà dall'inizio alla fine. Le persone sono costrette a lavorare molto duramente e per molte ore al giorno in impieghi che non amano per procurarsi il denaro per pagare cose di cui non hanno bisogno, per impressionare persone che non si curano affatto di loro. In questo scenario di squalo-mangia-squalo, i soggetti peggiori di tutti diventano sempre più grandi e si impadroniscono del governo per legalizzare le proprie ruberie e aggressioni criminali verso la gente in generale, e alla fine tutti devono adorare ciecamente personaggi reali o immaginari che non sono altro che asura. Gli alimenti costosi ma di cattiva qualità che mangiano li fanno ammalare, le loro medicine sono studiate in modo da accrescere la loro dipendenza dal business medico e farmaceutico, le loro belle vacanze sono ordalie dalle quali hanno bisogno di riprendersi quando tornano a casa, le loro scarpe e i loro abiti eleganti sono estremamente scomodi e le loro relazioni sono un disastro. E tutto ciò è dovuto al fatto che non hanno voluto accettare le piccole salutari difficoltà nel viaggio dell'evoluzione personale e la sincera dedizione al loro dovere naturale, e si sono 263 Parama Karuna Devi rifiutati di lavorare in armonia con il resto dell'universo e sviluppare relazioni basate sul vero amore e sulla vera cura. Ogni persona incarnata è costretta ad agire in un modo o nell'altro: na hi kascit ksanam api jatu tisthaty akarma krit, karyate hy avasah karma sarvah prakriti jair gunaih, "Mai, in nessun momento, una persona può rimanere senza agire anche per un solo istante, perché è costretta all'azione da tutti i guna nati dalla prakriti" (3.5). In effetti, l'attività in sé stessa è compiuta soltanto dalla natura: prakriteh kriyamanani gunaih karmani sarvasah, ahankara vimudhatma kartaham iti manyate, "Tutte le attività sono compiute dalle qualità della natura, ma una persona sciocca confusa dall'egotismo pensa, 'io sto facendo'." (3.27). Dobbiamo chiarire qui che l'ahankara non è necessariamente un eccesso di orgoglio e arroganza dovuto a un'esagerata opinione di sé. L'identificazione materiale illusoria chiamata ahankara è anche causa di poca stima di sé e di umiltà esagerata. Un'anima che ha realizzato il sé non dirà mai, "non sono capace di fare questo" quando la vita le mette davanti qualcosa di difficile. Quasi sempre questa idea è dettata dalla paura e non dall'intelligenza o dal buon senso, e se ci impegnamo effettivamente in quell'azione con piena attenzione, un atteggiamento positivo e un po' di distacco, scopriremo che dopotutto non era poi così difficile, anche se si trattava di qualcosa che non ci eravamo mai sognati di essere in grado di fare. Quando svolgiamo il nostro dovere con sincerità e coraggio, non abbiamo niente da perdere. Come Krishna ha detto ad Arjuna all'inizio del loro discorso (2.37), se abbiamo successo potremo utilizzarne i risultati positivi, e in caso di fallimento otterremo ugualmente delle benedizioni anche se in forma diversa - come esperienza, realizzazione, purificazione. Sostenere l'universo non è un lavoro per un solo essere umano, perciò anche se facciamo bene la nostra parte, è possibile che esteriormente i nostri sforzi sembrino non ottenere il 264 Bhagavad gita: capitolo 18 successo, ma in ogni caso abbiamo preparato la strada per il lavoro di altri che costruiranno sopra il nostro sacrificio e porteranno l'impresa intera al successo finale. Il nostro merito non andrà perduto. Il termine mithya è particolarmente interessante. Le persone confuse dall'ignoranza tendono a scambiare sat per asat e viceversa, perciò talvolta troviamo qualche sannyasi artificiale che predica che questo mondo è falso, i nostri doveri sono falsi, la società è falsa, l'individualità è falsa, e tutto è falso, mentre soltanto la via particolare che lui offre è la vera realtà. Dovremmo fare molta attenzione, perché ciò è precisamente quello che è stato descritto nel verso 18.22 come una posizione caratteristica di tamas e nel verso 16.8 come caratteristica della mentalità asurica - che sia proposta da advaitin, dvaita, vaishnava o chiunque altro - e contravviene alle istruzioni degli shastra, compresi gli insegnamenti della Bhagavad gita. Dobbiamo dunque rimanere determinati (vyavasayah) e ben concentrati (vyavasayatmika buddhi, 2.41) nel nostro servizio a dharma e vidya, seguendo le orme di tanti grandi insegnanti, acharya e persino avatara che hanno investito tempo, energia e sforzo in questo lavoro. Quando prendiamo rifugio nella daivi prakriti (9.13), saremo certamente impegnati in modo completo, e questo impegno darà piena soddisfazione all'atman. Il Bhagavata Purana (1.2.6) conferma: sa vai pumsam paro dharmo yato bhaktir adhoksaje ahaituki apratihata yayatma suprasidati, "Il dharma supremo per tutti gli esseri umani è la dedizione amorevole al Signore inconcepibile, e questa bhakti può soddisfare completamente l'anima quando è costante e priva di egoismo." 265 Parama Karuna Devi VERSO 60 sva bhava jena: da quella (attività) nata dalla (tua) natura specifica; kaunteya: o figlio di Kunti; nibaddhah: legato; svena: dai tuoi particolari; karmana: doveri; kartum: compiere; na icchasi: non desideri; yat: ciò che; mohat: a causa dell'illusione; karisyasi: compirai; avasah: involontariamente; api: persino; tat: quello. "O figlio di Kunti, tu sei legato a quelle particolari attività che sono create dalla tua stessa natura. Anche se a causa dell'illusione non desideri compiere questo dovere, ti ritroverai ad agire in quel modo, istintivamente. Finché siamo incarnati in questo mondo, gli elementi del corpo e della mente funzioneranno secondo le leggi della natura materiale guna, karma, e così via - e questo è un legame molto forte, come le catene di un prigioniero. La parola nibaddha significa "catene, corde, legami" ma può essere usata anche in un senso positivo, come nelle relazioni familiari o nei legami sociali, che determinano i nostri particolari doveri verso famiglia e società secondo le nostre qualità congenite. Lo conferma Brahma parlando con Priyavrata: yad vaci tantyam guna karma damabhih, sudustarair vatsa vayam suyojitah, sarve vahamo balim isvaraya prota nasiva dvi pade catus padah, "Le parole del Brahman (gli shastra e le leggi naturali dell'universo) ci legano come una lunga corda costituita da guna e karma. E' una 266 Bhagavad gita: capitolo 18 corda estremamente forte, e ci lega tutti a Isvara, proprio come un uomo guida il bestiame tirando la corda legata al loro naso." (Bhagavata Purana 5.1.14). Questa corda può essere molto pericolosa quando il nostro attaccamento ci lega a persone che hanno scelto di trascurare il vero scopo della vita umana: na te vidum svartha gatim hi visnum, durasaya ye bahir artha maninah, andha yathandhair upaniyamanas te 'pisa tantryam uru damni baddhah, "Coloro che si concentrano sul perseguire scopi difficili nel mondo esteriore dimenticano il vero scopo della vita - la realizzazione di Vishnu. Sono come ciechi che seguono altri ciechi, e tutti sono legati da corde molto robuste." (Bhagavata Purana 7.5.31). Come succede nomalmente quando siamo avvinti strettamente da corde e catene, sviluppiamo un'irritazione della pelle e una sensazione di prurito. Prahlada spiega: yan maithunadi grihamedhi sukham hi tuccham, kanduyanena karayor iva duhkha duhkham, tripyanti neha kripana bahu duhkha bhajah, kandutivam manasijam visaheta dhirah, "Quella (vita che è basata sulla) relazione di coppia e tutto ciò che vi è collegato, tutti i tipi di piaceri familiari e sociali, sono insignificanti come lo sfregamento delle mani per alleviare un prurito. Non si può mai trovare la piena soddisfazione in questo mondo materiale che è pieno di sofferenze, ma il kripana sceglie di seguire tutte queste sofferenze come se fossero lo scopo della vita. Chi è capace di tollerare il prurito creato dalla mente è una persona sobria." (Bhagavata Purana 7.9.45). Se impariamo a usare queste corde e catene a nostro vantaggio invece di farci ostacolare da esse, raggiungeremo un successo più grande; possiamo fare l'esempio della famosa arte marziale chiamata capoeira, che fu sviluppata nel XVI secolo dagli schiavi neri importati dall'Africa occidentale in Brasile dagli invasori 267 Parama Karuna Devi portoghesi per essere impiegati nelle loro piantagioni di canna da zucchero. I lavoratori schiavi erano sempre legati con catene, in modo che non potessero andarsene in giro troppo liberamente, ma veniva loro permesso di cantare e danzare la sera, anche per intrattenere i padroni. Così con il pretesto dei movimenti acrobatici di danza sul ritmo della musica praticavano molte mosse di combattimento, volteggi e calci, utilizzando persino il peso delle catene a loro vantaggio, e in questo modo parecchi di loro riuscirono a fuggire e rifugiarsi nella giungla. E' detto che il termine capoeira deriva dalle parole Tupi ka'a ("giungla") e puer ("stava"), a indicare quei luoghi nascosti in cui venne creata una nuova cultura insieme alle tribù indigene locali in stanziamenti rivoluzionari chiamati quilombos, che attirarono sempre più schiavi fuggiaschi e insegnavano la capoeira come una tecnica di combattimento con la quale si opposero con successo al regime coloniale e alle sue spedizioni militari che cercavano di eliminare la ribellione. Anche noi possiamo usare le catene dei guna materiali con intelligenza, determinazione e senso dello scopo da raggiungere, in ultima analisi per liberarci dai legami - invece di inciampare penosamente come chi non ha controllo sui propri movimenti (avasa, che significa "senza una scelta deliberata, in modo impotente, senza controllo"), ed è completamente confuso (mohat, "per illusione"). La situazione attuale nella quale siamo nati, con i suoi relativi guna e karma, è stata creata dai samskara o impressioni precedenti a causa delle nostre azioni e scelte nelle vite precedenti, e può essere modificata considerevolmente applicando la stessa medicina di samskara positivi. Narada dice a Vyasa: amayo yas ca bhutanam jayate yena suvrata, tad eva hy amayam dravyam na punati cikitsitam, "Le malattie degli esseri viventi possono essere curate applicando (nel modo adatto) quella stessa cosa che aveva 268 Bhagavad gita: capitolo 18 causato la malattia inizialmente" (Bhagavata Purana 1.5.33). Da questa affermazione possiamo comprendere che samskara, guna e karma possono venire usati in entrambi i modi, per progredire e purificarci, oppure per degradarci e legarci; la scelta dipende da noi (6.5, 6.6). VERSO 61 isvarah: il Signore; sarva bhutanam: di tutti gli esseri; hrd dese: nel luogo del cuore; arjuna: o Arjuna; tisthati; risiede; bhramayan: che si muovono attorno; sarva bhutani: tutti gli esseri; yantra: su un macchinario; arudhani: posti; mayaya: sotto il potere dell'illusione. "O Arjuna, il Signore di tutti gli esseri risiede nel cuore (di tutti gli esseri) e tutti gli esseri si muovono ciascuno nella propria posizione elevata come parti di un macchinario sotto il potere di Maya. La parola yantra in questo verso indica sia l'unico grande meccanismo che è il macrocosmo, la Virata Rupa dell'Atman supremo, sia il particolare corpo di ciascun essere vivente nell'universo, in cui l'Atman supremo risiede. Tutte queste forme si muovono per il potere di Maya attraverso i vari elementi elencati dalla filosofia Sankhya. 269 Parama Karuna Devi Nei capitoli precedenti, Krishna aveva già affermato: sarvasya caham hridi sannivisto mattah smritir jnanam apohanam ca, vedais ca sarvair aham eva vedyo vedanta krid veda vid eva caham, "Io sono situato nel cuore di tutti/ ogni cosa, e da me provengono la memoria, la conoscenza e l'oblio. Io sono lo scopo dello studio di tutti i Veda. Certamente io sono il creatore del Vedanta, e colui che conosce i Veda." (15.15), tesam evanukampa artham aham ajnana jam tamah, nasayamy atma bhava stho jnana dipena bhasvata, "Nella mia gentilezza verso di loro, io dissipo le tenebre dell'ignoranza dal loro cuore, risplendendo nella luce radiosa della conoscenza" (10.11), e jyotisam api taj jyotisah param ucyate, jneyam jnana gamyam hridi sarvasya visthitam, "E' descritto come la luce in tutte le cose radiose, trascendentale all'oscurità. E' stabilito nel cuore di ogni cosa, e deve essere conosciuto attraverso la coltivazione della conoscenza." (13.18). Lo stesso punto era stato presentato anche nei versi 13.28 e 13.29, e nel verso 8.9, che dichiarava che Isvara è presente anche in ciascun atomo (anor aniyam), riecheggiando un verso simile nella Katha Upanishad (1.2.20): anor aniyan mahato mahiyan atmasya jantor nihito guhayam, tam akratuh pasyati vita soko dhatuh prasadan mahimanam atmanah, "Più piccolo dell'atomo e più grande dell'intera manifestazione cosmica (mahat), situato nel profondo del cuore di tutti gli esseri viventi, è il testimone che non agisce, e per la sua benedizione ci si libera da ogni preoccupazione: queste sono le glorie dell'Atman". E anche nella Svetasvatara Upanishad (6.11): eko deva sarva bhutesu gudhah, sarva vyapi sarva bhutantaratma karma adhyaksah sarva bhutadhivasah saksi ceta kevalo nirgunas ca, "Dio è uno, ma si trova nel cuore di ciascun essere vivente. E' onnipresente, eppure localizzato nel più profondo di ogni essere come l'Atman. E' il testimone di tutte le azioni ma è al di sopra di tutte le azioni, ed è oltre la dualità e oltre i guna". 270 Bhagavad gita: capitolo 18 Il termine isvara si applica a Brahman, Paramatma e Bhagavan, e in effetti persino all'Atman: sariram yad avapnoti yac capy utkramati isvarah grihitvaitani samyati vayur gandhan ivasayat, "Il Signore che è entrato in un corpo e ha accettato tutti questi (la mente e i sensi), poi esce di nuovo come l'aria trasporta gli odori" (15.8). Ricordare questo verso è importante perché ci protegge dall'errore di considerare gli esseri viventi come semplici burattini privi di ogni libero arbitrio. Il Signore di tutti gli esseri e di tutte le esistenze non è un tiranno distante con un bisogno patologico di controllare le proprie creature come viene presentato da altre ideologie; Dio è la Coscienza stessa, perciò l'atman individuale partecipa direttamente all'identità di Dio. Questa realizzazione suprema viene chiaramente affermata nelle maha vakyas ("grandi affermazioni") considerate l'essenza delle Upanishad: sarvam khalv idam brahma, "tutto questo è Brahman" (Chandogya Upanishad, 7.25.2, Nrisimha uttara tapani Upanishad, 7), prajnanam brahma, "Brahman è piena consapevolezza/ conoscenza" (Aitareya Upanishad, 3.3), e anche aham brahmasmi, "io sono Brahman" (Brihad Aranyaka Upanishad 1.4.10), ayam atma brahma, "questo Atman è Brahman" (Mandukya Upanishad 2), tat tvam asi, "tu sei quello (il Brahman)" (Chandogya Upanishad, 6.8.7) e so 'ham, "io sono quello (il Brahman)" (Narada parivrajaka Upanishad, 6.4). Questa sublime conoscenza si trova soltanto nella tradizione vedica (conosciuta popolarmente come induismo) e costituisce il livello più alto della realizzazione dello yoga (yoga arudha, 6.3, 6.4), mentre l'aruruksa ("chi desidera raggiungere il livello più alto") è il principiante nella pratica dello yoga (6.3). Troviamo la stessa definizione (arudha) in questo verso collegata con il termine yantra, che significa letteralmente "macchina, 271 Parama Karuna Devi meccanismo, macchinario, veicolo". Nella scienza del Tantra, uno yantra è una rappresentazione geometrica simbolica della Divinità, che funziona come "veicolo" per la presenza personale della Divinità durante i rituali, un po' come le vigraha elaborate che normalmente vediamo nell'adorazione pubblica, ma più adatta all'adorazione personale e privata. Come abbiamo visto nei capitoli sul Vibhuti yoga e il Visva rupa darshana yoga, questa intera manifestazione cosmica è uno yantra, così anche i corpi di tutti gli esseri viventi - sono veicoli e templi simultaneamente, poiché sia l'atman che il param atman vi risiedono e possono essere adorati attraverso il corretto servizio o sva dharma. Entrambi i tipi di veicoli sono fatti di maya (mahamaya/ yogamaya), e quindi possiamo veramente dire che tutte le attività sono compiute dalla Prakriti, proprio come il guidatore di un veicolo semplicemente dà la direzione e la macchina stessa svolge il lavoro e viaggia qua e là (bhramayan). L'uso della parola arudhani in riferimento alla posizione di Isvara in tutti gli esseri (sarva bhutani) mostra la naturale superiorità dell'atman/ brahman nei confronti del veicolo stesso, e del param atman sul jiva atman, poiché si tratta di una posizione "alta". Tale superiorità non deve però essere causa di invidia: al livello trascendentale non esiste dualità, poiché la posizione naturale, sana e felice delle cellule del corpo è quella di sintonizzarsi sulla consapevolezza superiore del corpo intero e parteciparvi attraverso un servizio favorevole. 272 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 62 tam: a lui; eva: certamente; saranam gaccha: vai a prendere rifugio; sarva bhavena: in tutti i bhava; bharata: o discendente di Bharata; tat prasadat: per la sua grazia; param santim: la pace suprema; sthanam: posizione; prapsyasi: raggiungerai; sasvatam: eterna. "O discendente di Bharata, dovresti avvicinarlo e prendere rifugio in lui in ogni circostanza. Per la sua grazia, raggiungerai la posizione imperitura della pace suprema. Benché una, la Coscienza si manifesta in molti amsa individuali o parti, che sono chiamate svamsa ("parti dirette" come i Deva) e vibhinnamsa ("parti separate") come i jiva atman (13.17, 15.6). Krishna ci insegna che atman e brahman sono simultaneamente e inconcepibilmente identici e differenti, e che lo scopo supremo della vita umana consiste nell'unire (yoga) l'atman nel brahman, realizzando così la loro identità trascendentale. Non dobbiamo rimanere confusi da questa idea, perché è inconcepibile attraverso la logica materiale, la mente e i sensi, ma può essere percepita direttamente (prakasa, darshana) attraverso l'intelligenza spirituale (visuddha buddhi) e gli occhi delle scritture (11.8, 13.35, 15.10). Questa è la ragione per cui non è possibile ottenere alcuna realizzazione senza aver prima studiato attentamente gli shastra (13.26, 15.20, 16.23, 17.24), e perché solo la bhakti può aprire 273 Parama Karuna Devi l'ultima porta che conduce alla perfetta realizzazione (4.3, 7.17, 8.22, 9.14, 9.29, 9.34, 11.54, 11.55, 12.14, 12.20, 13.11, 13.19, 14.26, 18.54, 18.55, 18.65). Ciò è suggerito in questo verso dall'espressione sarva bhavena ("con tutti i bhava", "in tutti i bhava"), dove bhava significa "esistenza, essere, natura, corpo, nascita, circostanze di vita" ma anche "emozione, sentimento, relazione d'amore". L'unione suprema (yoga) tra l'atman e il brahman viene dunque paragonata al momento mistico del fondersi delle esistenze di due amanti, il brivido di estasi in cui l'ego si dissolve e viene dimenticato. E' lo spandakarika, il tremore sacro, la pulsazione della felicità senza forma e onnipervadente, dell'esistenza e della consapevolezza che si trova nel nucleo stesso della creazione e della dissoluzione, simboleggiato dall'unione amorosa orgasmica tra Shiva e Shakti, tra Krishna e Radha. In questa estasi, tutte le differenze perdono significato, e i due diventano uno. Questa esperienza liberatoria, che cambia radicalmente la percezione dell'esistenza, è profondamente temuta e odiata dagli asura, che si sforzano dunque di eliminare e proibire il vero amore e la mancanza di egoismo dalla propria vita e dalla vita delle persone che sono sotto il loro dominio, per sostituirli con la manifestazione finale e più grande dell'egotismo - la lussuria crudele del possedimento e dominio che chiamiamo stupro. Per facilitare il viaggio evolutivo degli anu atman, che culmina nell'esperienza estatica della realizzazione dell'atman/ brahman, la Coscienza suprema crea una distinzione tra l'Uno e le Parti, emanando innumerevoli "parti separate" (vibhinnamsas) e manifestando il cosmo per accoglierle, arrivando persino a entrare in questo universo e in ciascun corpo e in ciascun atomo per godere del piacere della compagnia delle sue parti. Come vediamo dimostrato dalle parole di Arjuna riguardo la propria relazione con Krishna, questa Coscienza suprema è sempre con noi, cammina 274 Bhagavad gita: capitolo 18 con noi, si sdraia con noi, si siede, mangia, scherza e si diverte con noi, quando siamo soli o in presenza di altri (11.41, 11.42). Il Bhagavata Purana (11.11.6) dichiara: suparnav etau sadrisau sakhayau yadricchayaitau krita-nidau ca vrikse, ekas tayoh khadati pippalannam anyo niranno 'pi balena bhuyan, "Due uccelli di natura simile e collegati dall'amicizia hanno scelto di fare il nido nello stesso albero; uno mangia i frutti di quell'albero baniano, l'altro non mangia ma è più forte." Questa stessa immagine si trova nella Mundaka Upanishad (3.1.1): dva suparna sayuja sakhaya samanam vriksam parisasvajate, tayor anyah pippalam svadv atty anasnann anyo 'bhicakasiti, "Due uccelli siedono sullo stesso albero come amici; uno dei due uccelli mangia i frutti dell'albero, e l'altro semplicemente lo osserva senza mangiare." Lo stesso verso è ripetuto esattamente nella Svetasvatara Upanishad (4.6), che aggiunge (4.7): samane vrikse puruso nimagno 'nisaya socati muhyamanah, justam yada pasyaty anyam isam asya mahimanam iti vita-sokah, "Benché i due purusha siano sullo stesso albero, uno dei due sperimenta una profonda ansietà e confusione, ma se si rivolge al Signore e diventa cosciente delle sue glorie, immediatamente si libera da ogni preoccupazione." Non è difficile avvicinare il Signore di tutti gli esseri (isvara sarva bhutanam) e prendere rifugio in lui, perché risiede anch'egli nello stesso corpo (8.4, 13.23, 13.32, 15.8, 16.18, 17.6) per amicizia e amore verso l'anima individuale. Questo param atman ("anima suprema" e anche "anima dell'anima") è sempre pronto a comunicare con l'anima individuale e in effetti la sua voce è conosciuta popolarmente come "la voce della coscienza". La relazione dell'anima individuale con questa anima suprema può essere compresa assimilandola alla relazione della coscienza di una cellula del corpo a confronto con la consapevolezza del proprietario del corpo intero; in qualsiasi 275 Parama Karuna Devi momento la cellula del corpo è sostenuta dal corpo intero e dalla consapevolezza che la sostiene e dirige, tramite l'interfaccia del DNA e anche attraverso lo scambio costante di sostanze nutritive. Il nucleo della cellula è identico al nucleo del corpo intero, perché è costituito da informazioni genetiche - da conoscenza o consapevolezza. Abbiamo visto che il Bhagavata Purana definisce molto chiaramente il Supremo come conoscenza (tattvam yaj jnanam advayam, brahmeti paramatmeti bhagavan iti sabdyate, 1.2.11), e ciò viene confermato anche da altri testi vedici fondamentali; per esempio la Taittirya Upanishad (2.1.1), elaborando sull'origine dei jivatman, afferma chiaramente: satyam jnanam anantam brahma, "Il Brahman è la Verità assoluta, la Conoscenza illimitata". Già nel verso 13.23 Krishna aveva affermato che questo paramatman è presente nel corpo come la coscienza che è testimone del jivatman e delle sue azioni; dà consigli e concede il permesso (anumanta), sostiene il jivatman, supervisiona e gusta le sue attività (upadrastanumanta ca bharta bhokta mahesvarah, paramatmeti capy ukto dehe 'smin purusah parah). Dunque la consapevolezza limitata dipende dalla consapevolezza illimitata per le sue attività ed esistenza, e ne è distinta e differente come vastità e livello nel corso della vita condizionata. Ciò è confermato anche nei Vedanta sutra: sariras cobhaye api hi bhedena enam adhiyate, "Entrambi (il jivatman e il paramatman) sono presenti nel corpo, distinti l'uno dall'altro " (Vedanta sutra 1.2.20) e guham pravistav atmanam hi tad darsanat, "Entrambi (jivatman e paramatman) sono entrati nella grotta (del corpo), ma l'atman è distinto da quello (il supremo)" (Vedanta sutra 1.2.113). Abbiamo già detto che il jivatman è un'emanazione del Supremo, generato direttamente da Dio (mama eva amsa jiva loke, jiva bhuta sanatanah, 15.7). 276 Bhagavad gita: capitolo 18 Ciò è confermato abbondantemente nelle Upanishad: sad eva saumyedam agra asid ekam evadvitiyam tad aiksata bahu syam prajayeya, "All'inizio c'era il Supremo, che era uno senza secondi. Pensò: 'Io diventerò molti. Io diventerò il progenitore di molti'." (Chandogya Upanishad 6.2.1), so 'kamayata bahu syam prajayeya sa tapo 'tapyata tapas taptva idam sarvam asrijat. yad idam kincana tat sristva tad evanupravisat. tad anupravisya sac ca tyac cabhavat, "Desiderò, 'Io diventerò molti. Io sarò il padre di una numerosa progenie'. Dal suo tapah, creò ogni cosa. Poi entrò all'interno del mondo che aveva creato, e diventò tutto ciò che è manifestato e ciò che è non manifestato." (Taittiriya Upanishad 2.6.1), sa aikshata lokan nu srija, "Pensò: 'Ora io creerò la gente/ i mondi'." (Aitareya Upanishad 1.1.2 ), yato va imani bhutani jayante, "Dal Supremo sono nati (tutti) questi esseri." (Taittiriya Upanishad 2.1.1), tad atmanam svayam akuruta, "Creò (ogni cosa) dal proprio atman" (Taittiriya Upanishad 2.7.1), tasmad va etasmad atmana akasah sambhutah, "Dall'Atman venne manifestato l'akasha (lo spazio, il primo degli elementi materiali)" (Taittiriya Upanishad 2.1.1). Non dovremmo proiettare le nostre limitazioni materiali su Dio. Abbiamo visto che Isvara Bhagavan è il Padre (9.17, 11.43, 14.5), ma è anche la Madre (9.17, 14.3). Lo confermano chiaramente le Upanishad: yad bhuta yonim paripasyanti dhirah, "I saggi vedono che il Brahman è l'utero dal quale ogni cosa è nata" (Mundaka Upanishad 1.1.6), kartaram isam purusam brahma yonim, "La Personalità suprema di Dio è il creatore originario, l'utero dal quale tutto è nato" (Mundaka Upanishad 3.1.6 ). Ecco la chiave per la vera realizzazione: ya eko 'varno bahudha sakti-yogad, varnan anekan nihitartho dadhati, vi caiti cante visvam adau sa devah, sa no buddhya subhaya samyunaktau, "Che la Personalità suprema di Dio, una senza rivali, che per i propri scopi creò le molte varietà di esseri viventi attraverso l'azione delle 277 Parama Karuna Devi sue potenze, che creò ogni cosa all'inizio e nel quale tutto rientra alla fine, ci conceda l'intelligenza pura." (Svetasvatara Upanishad 4.1) VERSO 63 iti: così; te: a te; jnanam: la conoscenza; akhyatam: descritta; guhyat: più che segreta; guhyataram: la più segreta; maya: da me; vimrsya: riflettendo; etat: questa; asesena: completamente; yatha icchasi: come preferisci; tatha: quello; kuru: compi. "In questo modo ti ho descritto il supremo tra tutti i grandi segreti. Ora riflettici attentamente, e poi fa' come desideri. Tutti hanno una coscienza, e se ascoltiamo attentamente possiamo sentire la sua voce chiaramente, e in fondo, sotto tutti gli strati di ego e depositi di sostanza mentale, sappiamo che la nostra coscienza ci sta dando ottimi consigli e che dovremmo seguirli, per il nostro stesso bene. La nostra coscienza però non ci dà ordini tassativi e non ci costringe a fare qualche azione; siamo sempre liberi di scegliere di ignorarla o trascurare la sua voce e persino di dimenticare la sua esistenza per tutto il tempo che vogliamo: dipende da noi. Dio non interferisce e non si offende se non seguiamo le sue istruzioni, e in qualsiasi momento siamo pronti ad ascoltare, è sempre disposto a guidarci con lo stesso immutato affetto e la stessa grande saggezza. 278 Bhagavad gita: capitolo 18 L'obbedienza forzata non ha vero valore perché quando un bambino viene costretto a obbedire, non impara nulla e non si evolve; non appena la proibizione si allenta in qualche modo o può essere aggirata, il bambino inevitabilmente cercherà di impegnarsi in quella stessa attività che gli era stata vietata - e con un desiderio più forte e più violento, perché la repressione può soltanto aggravare il problema e renderlo più pericoloso e perverso. Gli sciocchi genitori o insegnanti che seguono il metodo abramico di "non risparmiare le punizioni corporali per insegnare al bambino per il suo stesso bene" stanno creando mostri repressi che un giorno scateneranno le proprie frustrazioni infette su altre creature innocenti, diventando asura come i loro predecessori, e perdendo ogni senso di intelligenza e coscienza sotto una montagna tossica di senso di colpa subcosciente e disprezzo di sé, paura, conformismo, odio, ansietà, avidità, ossessione e malattie psicologiche. Negli ultimi secoli lo stesso approccio è stato imposto alle relazioni del governo con i sudditi, e dobbiamo comprendere che deriva direttamente dall'esempio del Dio della Bibbia, che colpisce a capriccio e inaspettatamente persino i propri fedeli adoratori quando è irritato da qualche piccolo errore o qualche incidente involontario, o semplicemente perché vuole farlo - e non fate domande altrimenti sarete trattati come offensori. D'altra parte vediamo che nelle culture e nelle religioni nonabramiche le persone sono libere di pensare, parlare e vivere come vogliono, anche se l'aggressione è naturalmente considerata un crimine; il famoso slogan del Rede Wiccan (presentato come "stregoneria" dalla cultura dominante a base abramica) "Fa' ciò che desideri, purché non porti danno a nessuno" riassume bene questo punto. L'espressione yatha icchasi tatha kuru ("poi fa' ciò che desideri") mostra chiaramente la liberalità del consiglio di Krishna e anche la sua pazienza e il suo distacco, e illustra quale abisso di differenza ci sia tra l'induismo originario e le fedi abramiche. 279 Parama Karuna Devi E' però importante notare che Krishna non dice, "fa' ciò che ti piace") perché vuole assicurarsi che il jiva atman faccia una scelta sobria e responsabile, non basata semplicemente sull'attrazione superficiale e infantile di ciò che piace e ciò che non piace, perché crescere significa diventare capaci di comprendere che ciò che sembra spiacevole all'inizio può essere nettare alla fine, e viceversa (18.36, 18.37, 18.38, 18.39, 5.22, 16.23). L'atman condizionato cerca naturalmente la felicità, ma non ha idee chiare su come trovarla, perciò Krishna vuole assicurarsi che comprenda bene le indicazioni su come raggiungere la vera felicità. E' vero che in ultima analisi tutte le vie portano a Dio (mama vartmanuvartante manusyah partha sarvasah, 3.23) poiché ogni individuo può svilupparsi gradualmente secondo i propri tempi e la propria volontà, attraversando le diverse esperienze in una sequenza personalizzata, ma è vero anche che alcuni percorsi ci porteranno a destinazione in modo più diretto e che scegliendone altri potremmo impiegare molto più tempo (16.20). L'intero percorso deve però essere un'esperienza evolutiva personalizzata secondo i nostri gusti e le nostre preferenze individuali, perciò Dio non interferisce, e lascia che a organizzare i dettagli sia l'agenzia di viaggi della Natura secondo le scelte dell'atman individuale. Il Paramatma è il testimone e il consigliere e facilita le procedure (upadrasta anumanta ca, 13.23); come un buon genitore e insegnante, dà istruzioni e non ordini, perché preferisce educare piuttosto che dominare. Abbiamo già detto parecchie volte che Dio non esige mai obbedienza o cieca fede; coloro che credono e insegnano che la religione consiste nel sottomettersi a comandamenti, dogmi o fatwa per timore di Dio stanno in realtà parlando in nome di qualcosa che non è Dio. Mentre le ideologie abramiche e i loro derivati (comunismo e così via) esigono che i loro membri rinuncino all'uso di intelligenza, buon senso e coscienza etica in 280 Bhagavad gita: capitolo 18 nome di fede, obbedienza e lealtà alle autorità stabilite del sistema che seguono, la Bhagavad gita e la tradizione vedica incoraggiano le persone a sviluppare l'intelligenza che hanno ricevuto da Dio e a purificarla attraverso la comprensione dei principi eterni e universali dell'etica chiamati dharma. Ciò è indicato particolarmente dalle parole vimsrija ("riflettendo, meditando") e asesena ("in generale e specificamente"). Non bisogna agire a capriccio e in modo irresponsabile, perché ogni azione creerà conseguenze; l'ignoranza delle leggi della natura non è una scusa. Le lezioni che ci sono offerte dalla vita e da Madre Natura non sono inutili - anzi, sono preparate molto accuratamente e amorevolmente per aiutarci a imparare e a crescere nel modo migliore possibile. Tutti abbiamo sperimentato il fatto che all'inizio l'insegnante offre suggerimenti senza parlare, per vedere se siamo abbastanza intelligenti da comprendere da soli, poi parla con voce moderata offrendo una breve spiegazione, e poi se ancora non abbiamo capito la spiegazione diventa più lunga e rude, e il tono di voce diventa più alto per esprimere un senso di urgenza e importanza. Non dovremmo pensare che la nostra mancanza di comprensione danneggi l'insegnante, o che l'insegnante ci odii perché mostra collera quando non ci impegnamo adeguatamente nel nostro studio; un buon insegnante è preoccupato per i risultati che otterremo negli esami imminenti e sta cercando di risparmiarci sofferenze maggiori in futuro. Dovremmo apprezzare questo fatto e ricordarlo quando piangiamo e ci chiediamo come mai non siamo riusciti a superare gli esami, e diamo la colpa a Dio per le nostre mancanze. La conoscenza trascendentale della liberazione è chiamata il segreto supremo tra i segreti (guhyad guhyataram) ma non perché sia qualche mistero incomprensibile che dobbiamo accettare senza fare domande. L'intera Bhagavad gita consiste in una serie di 281 Parama Karuna Devi domande poste da Arjuna per chiarire i dubbi che chiunque potrebbe avere nello studio della scienza vedica, e nelle elaborate risposte di Krishna da tutte le possibili angolazioni. La parola akhyatam, "ho spiegato", indica la cura e la dedizione che Krishna ha investito nel presentare la conoscenza trascendentale della Bhagavad gita, non soltanto in questi ultimi versi o in questa occasione sul campo di battaglia di Kurukshetra, ma molte altre volte come ha già affermato (4.1, 4.8). A un livello più profondo, dovremmo considerare questo verso ricordando che il termine jnana include tutte le modalità di yoga presentate nella Bhagavad gita - Arjuna visada yoga, Sankhya yoga, Karma yoga, Jnana yoga, Sannyasa yoga, Dhyana yoga, Vijnana yoga, Taraka brahma yoga, Raja guhya yoga, Vibhuti yoga, Visva rupa darsana yoga, Bhakti yoga, Prakriti-purushaviveka yoga, Guna traya vibhaga yoga, Purushottama yoga, Daivasura sampada vibhaga yoga, Sraddha traya vibhaga yoga, e Moksha yoga. La parola jnana indica inoltre Bhagavan stesso, come abbiamo già menzionato parecchie volte. Non dobbiamo quindi essere superficiali e infantili come quegli sciocchi che disprezzano jnana come una semplice "impurità" nella pratica della bhakti (jnana misra bhakti); ciò è indicato anche dall'istruzione di Krishna in questo verso: vimrisyaitad asesena. Lo confermano le Upanishad e il Bhagavata Purana: vadanti tat tattva vidas, tattvam yaj jnanam advayam, brahmeti paramatmeti, bhagavan iti sabdyate, "Coloro che conoscono il tattva dichiarano che questo tattva è Conoscenza indivisa, variamente definita come Brahman, Paramatma, e Bhagavan" (Bhagavata Purana 1.2.11), e satyam jnanam anantam brahma, "Il Brahman è la Verità assoluta, la Conoscenza illimitata" (Taittirya Upanishad 2.1.1). 282 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 64 sarva guhya tamam: la più segreta di tutte (conoscenza); bhuyah: di nuovo; srnu: ascolta; me: da me; paramam vacah: l'istruzione suprema; istah asi: tu sei caro; me: a me; dridham: estremamente; iti: così; tatah: perciò; vaksyami: io sto dicendo; te hitam: per il tuo bene. "Ascolta nuovamente da me il segreto più grande di tutti, l'istruzione suprema. Tu mi sei molto caro, e questo è il motivo per cui parlo per il tuo bene. In questo verso, la parola iti indica che le istruzioni di Krishna nella Bhagavad gita stanno arrivando alla conclusione finale. Ciò significa che il processo di insegnamento richiede regolarmente delle verifiche per controllare se lo studente è stato capace di comprendere e imparare; dopo aver spiegato l'argomento sotto tutte le angolature possibili, l'insegnante si ritira e lascia che lo studente parli e faccia le sue scelte (yatha icchasi tatha kuru). Krishna parla con Arjuna in modo molto confidenziale, perché Arjuna è suo amico e devoto (4.3, 10.1) e si è sottomesso a lui come un discepolo al guru (2.7, 6.39). Bhagavan ricambia i sentimenti e il servizio di coloro che lo amano (tams tathaiva bhajamy aham, 4.11, ye bhajanti tu mam bhaktya mayi te tesu capy aham, 9.29). Proteggerà personalmente coloro che prendono rifugio in lui (9.31, 11.55), e ha un affetto speciale per coloro che si sforzano di qualificarsi sviluppando le caratteristiche e i 283 Parama Karuna Devi comportamenti divini (12.14, 12.15, 12.16, 12.17, 12.19, 12.20). Rimane però l'amico affettuoso di tutti gli esseri (suhridam sarva bhutanam, 5.29). Bhagavan non si stanca mai e non ci abbandona mai, nemmeno quando le nostre scelte disastrose ci trascinano ai livelli più bassi di degradazione e stupidità, persino quando la nostra ignoranza e arroganza ci costringe a ostacolare il progresso degli altri. Di volta in volta, la Coscienza suprema discende come avatara (4.1, 4.5, 4.8, 2.12) per ristabilire la comprensione corretta di dharma e vidya, perché gli esseri umani spesso fanno cattivo uso del proprio libero arbitrio e tendono a guastare tutto. Bhagavan non odia nessuno (9.29) e anche quando affronta asura e duskrita ("i malfattori") per fermare le loro attività distruttive, è sempre mosso da affetto e benevolenza nei loro confronti. Il grande Daksha riconobbe questa verità dopo essere stato scosso dal suo arrogante autocompiacimento: daksha uvaca, bhuyan anugraha aho bhavat krito me, dandas tvaya mayi bhrito yad api pralabdhah, "O Signore, la tua punizione è stata un grande favore, perché ha distrutto (la mia arroganza)" (Bhagavata Purana 4.7.13). Non dovremmo pensare che poiché Bhagavan non dà ordini e non si offende quando trascuriamo le sue istruzioni, non verremo puniti quando combiniamo qualche disastro. Già le leggi della natura materiale normalmente si occupano di impartire le lezioni necessarie nella forma di quelle che chiamiamo "reazioni karmiche" o più correttamente "reazioni al vikarma" o "reazioni all'ugra karma". L'effetto della legge del karma è lo stesso per tutti, a prescindere da cosa la gente crede o a chi ha giurato fedeltà: è vero che Bhagavan nella forma di jnana (la conoscenza) distrugge immediatamente le reazioni karmiche accumulate dai suoi devoti, ma il procedimento non è una specie di amnistia incondizionata come alcuni sciocchi amano pensare. 284 Bhagavad gita: capitolo 18 Nelle ideologie abramiche, tutti sono considerati peccatori per il semplice fatto di essere nati (poiché per loro la nascita è una contaminazione demoniaca, "il peccato originale") e l'unica speranza di purificazione e perdono è la conversione, che consiste nel giurare totale e cieca fedeltà a Dio e ai suoi rappresentanti ufficiali. Secondo loro, questa semplice azione di fedeltà distruggerebbe tutti i peccati non solo al momento iniziale della conversione, ma anche durante tutta la vita del "fedele", ogni volta che viene benedetto dai rappresentanti ufficiali di Dio. L'esempio più caratteristico è il "sacramento della confessione" nella chiesa cattolica, in cui una persona confessa i propri peccati a un prete e viene assolta da ogni colpa e responsabilità, senza dover ripagare alcun debito alle persone che ha danneggiato. La preghiera principale dei cristiani dice, "rimetti a noi i nostri debiti" (Luca 11.24), come se il semplice fatto di giurare fedeltà a Dio e pregarlo ci potesse automaticamente liberare dai debiti karmici che abbiamo creato verso altri esseri: questa è la formula perfetta per il disastro, perché distrugge ogni senso di responsabilità e giustizia, e incoraggia i malfattori a continuare nelle loro attività nefaste contando sull'assoluzione totale, regolare e ripetuta di Dio e il perdono attraverso le benedizioni dei preti. Ciò costituisce il modo più efficace per rafforzare la decisione di ignorare la voce della propria coscienza - "ho fatto pace con Dio, adesso tutto è a posto, e posso rifare la stessa cosa tutte le volte che voglio". Alcune persone ignoranti e sciocche potrebbero essere tentate di applicare questo atteggiamento al verso 18.66 che studieremo tra poco: sarva dharman parityajya mam ekam saranam vraja, aham tvam sarva papebhyo moksayishyami ma sucah, "Lasciandoti dietro tutte le differenze nei doveri, prendi rifugio in me soltanto. Non ti preoccupare, io ti libererò da ogni errore." Equivocando sul significato di "prendere rifugio" (2.7, 2.49, 4.10, 7.1, 7.14, 7.29, 9.13, 9.18, 9.32, 11.38, 14.2, 15.4, 18.57, 18.62, 285 Parama Karuna Devi 18.66) e "sottomettersi" (3.30, 4.11, 5.10, 12.6), concludono che semplicemente facendo un giuramento di fedeltà settaria a Krishna e mantenendosi in buoni rapporti con le "autorità religiose ufficiali", potranno permettersi di commettere impunemente qualsiasi crimine o malefatta e venire accolti comunque in paradiso al termine di questa vita. La conoscenza vedica non incoraggia questa stupida illusione, perché non limita Dio a una personalità materiale influenzata dalla dualità come vediamo nelle ideologie abramiche. Bisogna prendere rifugio in Dio e sottomettersi a Dio nella forma delle sue istruzioni e della sua consapevolezza, che sono basate sulla visione equanime verso tutti gli esseri, lo sviluppo di una personalità divina e la purificazione da tutte le attività negative e i difetti, a cominciare dalla radice di tutti i mali, che è l'identificazione materiale e l'attaccamento egoistico. In questo modo Dio ci libera da tutte le colpe perché più diventiamo coscienti di Dio, più abbandoniamo le qualità asuriche e sviluppiamo qualità divine, fino al punto in cui superiamo completamente il collegamento con il corpo materiale grossolano - non demonizzandolo, ma elevandoci al di là di esso. La vera conoscenza (jnana) distrugge l'accumulo di reazioni karmiche bruciandole (4.19), perciò ci deve essere un fuoco che le consuma, riducendo in cenere la radice stessa dell'ignoranza che è l'identificazione ahankara-mamatva. Nessun corpo può sopravvivere a questo fuoco, e in effetti non ci si aspetta che lo faccia (2.11-13, 2.16, 2.18, 2.22, 2.23, 2.27, 2.28, 11.27-30), e solo l'atman rimane non toccato da questa distruzione (2.23, 2.24), perciò la distruzione del corpo di un malfattore non è affatto una perdita in nessuna circostanza - nemmeno per lui stesso. Nel sistema vedico, i malfattori (atatayinah, "aggressori") devono essere immediatamente affrontati con forza letale mentre sono ancora impegnati nell'atto di aggressione. Non c'è spazio per una discussione ragionevole o per negoziati, non c'è spazio per i 286 Bhagavad gita: capitolo 18 trucchi degli avvocati per farli sfuggire alla giustizia o stimolare una compassione sentimentale o chiedere il "rispetto per i diritti umani" dei criminali, non c'è spazio per le bustarelle o per svignarsela senza pagare il prezzo delle proprie malefatte. Nel momento stesso in cui criminale si impegna nell'aggredire una creatura buona e innocente, sta rinunciando a tutti i propri diritti umani perché sta negando gli stessi diritti alla sua vittima. La stessa cosa si applica alla cosiddetta "libertà di religione" per la quale ci viene chiesto di essere tolleranti verso gli intolleranti e riconoscere loro il diritto di negare gli stessi diritti ad altri (noi compresi). Questa idiozia assurda è stata creata soltanto dalle ideologie abramiche, che pretendono per sé stesse tutti i diritti e negano ogni dovere verso gli altri. Il karma non è mai una strada a senso unico, e chi lo crede dovrà pagare cara tale illusione. Dopo aver chiarito questo punto, possiamo elaborare sui principi etici del dharma che insegnano che un nemico che si arrende non dovrebbe essere punito. Un aggressore può e deve essere punito finché è ancora impegnato nel commettere il crimine, ma se si arrende prima di essere sconfitto dovremmo astenerci dall'ucciderlo; togliergli le armi e renderlo inoffensivo dovrebbe essere sufficiente per la protezione dei praja. Se cerca di nuovo di aggredire persone o creature innocenti, il criminale deve essere considerato incapace di pentimento ed esiliato dal regno. Questo è esattamente ciò che le leggi della natura fanno attraverso le dinamiche del karma, quando assegnano una nascita inferiore a un criminale recidivo, negandogli l'opportunità di una forma di vita umana (manusya janma). C'è una grossa differenza tra la posizione circostanziale di un individuo (creata dalle reazioni combinate delle azioni e scelte precedenti) e la capacità di fare scelte nuove e possibilmente migliori per il futuro. Questa differenza si chiama jati (nascita), ma contrariamente a quanto credono i casteisti ignoranti e stupidi 287 Parama Karuna Devi (sulla base dei pregiudizi di razza rafforzati dalle influenze abramiche), jati si riferisce alla specie del corpo che si ha ottenuto e non alla particolare famiglia di nascita. Le scritture vediche descrivono tre tipi di jati: manusya jati ("la nascita come essere umano") è contrapposta a pakshi jati ("la nascita come uccello") e mriga jati ("la nascita come animale mammifero"). In questo senso, jati è il patrimonio genetico che conferisce delle abilità caratteristiche fondamentali e specifiche del corpo. Ma tali differenze genetiche non esistono tra esseri umani riguardo ai doveri religiosi e alle occupazioni sociali, e le scritture vediche lo sanno molto bene. VERSO 65 mat manah: pensa a me; bhava: diventa; mat bhaktah: mio devoto; mat yaji: mio adoratore; mam namaskuru: offri il tuo rispetto a me; mam: a me; eva: certamente; esyasi: verrai; satyam: in verità; te: a te; pratijane: come promessa; priyah: amato; asi me: tu sei per me. "Focalizza la tua mente su di me, diventa mio devoto, adorami e offrimi rispetto, e certamente verrai a me. Te lo prometto in verità, perché mi sei molto caro. Krishna aveva già dato la stessa istruzione nel capitolo del Raja guya yoga ("il segreto supremo"): man mana bhava mad bhakto 288 Bhagavad gita: capitolo 18 mad yaji mam namaskuru, mam evaisyasi yuktaivam atmanam mat parayanah, "Pensa sempre a me, diventa mio devoto e mio adoratore. Offrimi il tuo rispetto e dedica te stesso a me. Grazie a questo collegamento mi raggiungerai." (9.34). Abbiamo trovato un'istruzione simile nel capitolo sul Bhakti yoga: mayy avesya mano ye mam nitya yukta upasate, sraddhaya parayopetas te me yuktatama matah, "Coloro che tengono sempre la mente concentrata su di me e mi adorano con fede, sempre uniti a me, hanno raggiunto il livello supremo e io li considero come i più intimamente uniti." (12.2). Bisogna comprendere questo concetto molto chiaramente, perché una sovrapposizione artificiale di concetti alieni abramici contaminerà l'intelligenza di coloro che hanno scarsa conoscenza e confonderà la loro comprensione, con conseguenze potenzialmente disastrose. Come abbiamo già spiegato, le ideologie abramiche (e i loro derivati) presentano la fede cieca e l'obbedienza (spesso scambiata per devozione spirituale) come l'unica azione richiesta per coloro che desiderano essee considerati persone religiose. Ciò crea l'idea illusoria che il servizio verbale (cioè la preghiera) sia sufficiente a qualificare una persona per una posizione elevata nella realizzazione religiosa e spirituale. Applicato al processo della bhakti, questo equivoco viene aggravato dalla nozione secondo cui sravana kirtana ("ascoltare e parlare") sono forme indipendenti di servizio devozionale in sé e non semplicemente stadi iniziali di un processo più ampio e membra (anga) di un metodo scientifico. Così le persone superficiali concludono che è necessario soltanto fare sfoggio di religiosità in teoria senza sostenerla con le proprie vere convinzioni e il proprio comportamento, ma questa idea non è confermata dalla Bhagavad gita o da qualche altro testo vedico o acharya autentico. Per esempio, vediamo persone che si considerano perfettamente situate sul piano più elevato se rimangono meccanicamente sedute durante letture religiose 289 Parama Karuna Devi periodiche, e si aspettano che tale esercizio sarà sufficiente a garantire loro tutto ciò che desiderano e infine anche la liberazione. Tecnicamente, questo approccio è paragonato ad annaffiare la pianta buona senza curarsi di eliminare le erbacce, e il risultato è spesso deludente perché le piante infestanti finiscono per il consumare tutta l'acqua mentre la pianta buona languisce e non non dà alcun frutto. E' vero che le modalità esteriori della propria adorazione (mad yaji mam namaskuru) possono essere aggiustate a seconda delle circostanze e possibilità individuali (desa, kala, patra) e che possiamo persino impegnarci in molte attività devozionali anche soltanto nella nostra mente, come manasa puja (meditazione mentale) quando è troppo difficile compierle esteriormente (17.19, 18.24, 6.37, 2.40). Ma dobbiamo essere onesti nei nostri sforzi (3.43, 4.12, 6.5, 6.17, 6.25, 6.36, 6.43, 12.11, 15.11); dobbiamo cercare di impegnare tutti i nostri sensi nel servizio del Supremo, come insegnano i grandi maestri della bhakti come Narada Rishi: hrisikesha hrisikena sevanam bhaktir ucyate, "bhakti è definita come l'impegno dei sensi nel servizio del Signore dei sensi" (Narada Pancaratra, citato nel Bhakti rasamrita sindhu, 1.1.12). Semplicemente impegnare il senso dell'ascolto non è sufficiente; si tratta di un passo iniziale fondamentale, ma dobbiamo poi usare tutti i nostri sensi al servizio di Dio, ed evitare di impegnarci in attività che sono sfavorevoli a tale servizio. Bhagavan è molto liberale e accetta anche offerte molto modeste (9.26, 27) anche nelle attività più semplici e ordinarie; suggerisce una varietà di approcci al metodo (12.8, 12.9, 12.10, 12.11) per facilitare la scelta di coloro che hanno raggiunto diversi livelli di realizzazione. 290 Bhagavad gita: capitolo 18 La pratica del sadhana spirituale/ religioso dovrebbe essere sufficientemente confortevole da poter essere sostenuta per lunghi periodi di tempo (su sukham kartum avyayam, 9.2), perciò Krishna non raccomanda di fare grandi sforzi con eccessive austerità basate sull'egotismo, specialmente quando queste non sono prescritte dagli shastra o dal guru (asastra vihitam ghoram tapyante ye tapo janah, dambhahankara samyuktah kama raga balanvitah, 17.5). Al contrario, bisogna fare sforzi controllati nel compiere i propri doveri (yukta cestasva karmasu, 6.17) e abbandonare il desiderio egotistico di "fare di più" del necessario (sarvarambha parityagi, 12.16, lobhah pravrittir arambhah karmanam asamah spriha, 14.12, sarvarambha parityagi gunatitah sa ucyate, 14.25). Comunque bisogna fare uno sforzo per qualificarsi sviluppando le caratteristiche e i comportamenti divini (12.14, 12.15, 12.16, 12.17, 12.19, 12.20), comprendendo la scienza di Dio (13.9, mad bhakta etad vijnaya mad bhavayopapadyate) e lavorando per il bene di tutti gli esseri. Krishna ha descritto le caratteristiche di un devoto autentico in molti versi: possiamo citarne qui uno che li riassume bene: mat karma krin ma paramo mad bhaktah sanga varjitah, nirvairah sarva bhutesu yah sa mam eti pandava, "Il mio devoto è impegnato nel lavorare per me e mi vede come la Realtà suprema. Ha abbandonato ogni associazione/ affiliazione/ identificazione, e non nutre ostilità verso alcun essere. In questo modo, il mio devoto viene a me" (11.55). Ha dato anche istruzioni pratiche (9.27): yat karosi yad asnasi yaj juhosi dadasi yat, yat tapasyasi kaunteya tat kurusva mad arpanam, "O Arjuna, tutto ciò che fai, che mangi, sacrifichi, distribuisci o sopporti nel compimento dei tuoi doveri - fallo per me." Possiamo farci un'idea più completa del significato di bhakti dalle descrizioni del Bhagavata Purana, specialmente negli insegnamenti di Prahlada sulle nove membra del servizio devozionale: sravanam kirtanam visnoh smaranam pada sevanam, 291 Parama Karuna Devi arcanam vandanam dasyam sakhyam atma nivedanam, iti pumsarpita visnau bhaktis cen nava laksana, kriyeta bhagavaty addha tan manye 'dhitam uttamam, "Ascoltare, parlare, ricordare Vishnu, seguire le sue istruzioni, offrire adorazione e rispetto, impegnarsi in servizio pratico, sviluppare una relazione personale con Dio e dedicarsi completamente: in questo modo una persona che offre servizio devozionale a Vishnu secondo il metodo delle nove parti deve impegnarsi in tutte. Io considero questa come la istruzione più alta." (Bhagavata Purana 7.5.23-24). VERSO 66 sarva dharman: tutti i doveri; parityajya: lasciandoti dietro; mam ekam: soltanto a me; saranam vraja: vieni a rifugiarti; aham: io; tvam: te; sarva papebhyah: da ogni colpa; moksayisyami: io libererò; ma sucah: non ti preoccupare. "Lasciandoti dietro tutte le differenze riguardo ai doveri, prendi rifugio in me soltanto. Non ti preoccupare, io ti libererò da ogni colpa. L'espressione sarva dharman in questo verso è estremamente interessante; poiché la parola dharma è espressa nella forma plurale, indica una frammentazione dualistica del principio universale ed eterno che sostiene l'universo e il progresso di tutti gli esseri. 292 Bhagavad gita: capitolo 18 Il dharma è sempre uno, sebbene i suoi principi (o "zampe") possano venire elencati come veridicità, compassione, pulizia, autocontrollo, tolleranza, progresso personale, collaborazione e così via. Questa radice fondamentale che sostiene l'esistenza è identificata con gli insegnamenti di Krishna (2.40, 9.2, 9.3, 9.31, 11.18, 12.20, 18.70) e persino con Bhagavan stesso (14.2, 14.27) come conferma anche il Bhagavata Purana (2.4.19, 7.11.7, 11.15.18) e il verso introduttivo del Vishnu sahasra nama (Mahabharata, Anusasana parva, capitolo 149) come segue: brahmanyam sarva dharmajnam ... esa me sarva dharmanam dharmadhikatamo (sloka 14). Inoltre, la missione specificamente dichiarata di Krishna consiste nel ristabilire il dharma ogni volta che si è indebolito (4.7, 4.8), perciò non è possibile che Krishna ci stia chiedendo qui di abbandonare il dharma come valore fondamentale della vita. Una conclusione così stupida e pericolosa può essere presentata soltanto da asura ipocriti che non si sono curati di studiare (che dire di praticare) gli insegnamenti degli shastra autentici (16.17, 16.23, 17.6, 17.13) per comprendere i principi del dharma. I "vari dharma" ai quali Krishna si riferisce qui (sarva dharman) sono le definizioni temporanee e limitate del dovere attaccate ai guna materiali come descritto nelle attività e qualità dei diversi varna (brahmana, kshatriya, vaisya, sudra), e questo include le particolari esteriorità dei vari ashrama (brahmacharya, grihastha, vanaprastha, sannyasa). Abbiamo già visto questo concetto nel verso 9.21, in cui Krishna ha parlato dei "tre dharma" (trayi dharman) come le cerimonie rituali prescritte per coloro che desiderano raggiungere i sistemi planetari superiori (svarga lokan). E certamente possiamo applicare la definizione sarva dharman ai vari approcci settari che oppongono per esempio un vaishnava dharma a un shaiva dharma e così via. 293 Parama Karuna Devi Dovremmo stare attenti a non fare l'equivalenza papa = peccato, poiché il concetto abramico di peccato non è altro che una disobbedienza agli ordini di Dio e dei preti, una cosa che è totalmente irrilevante nel sistema vedico. Cercheremo qui di definire meglio la terminologia usata nella tradizione vedica per le azioni negative: papa è un'azione che causa direttamente o indirettamente sofferenze ad altri, mentre duskrita è una cattiva azione in generale, agha è un atto veramente criminale ma agas è semplicemente un'azione irresponsabile. Droha è un atto cattivo che infrange il principio della gratitudine, pataka è un'azione degradante che causa una caduta dalla posizione che dovremmo mantenere nella società, e dosha è un difetto del carattere o una cattiva qualità. Aparadha è un atto di mancanza di rispetto formale, drugdha è un'azione intesa a causare danno, vipatti consiste nel mancare di compiere qualche dovere, e anrita è una bugia. E' importante notare che Krishna non sta dicendo, "io ti libererò da tutte le reazioni/ i risultati delle tue attività negative", ma dice, "io ti libererò da tutte le tue attività negative", a indicare che Krishna guiderà il suo devoto sincero ad abbandonare tutte le cattive attività e a purificarsi da ogni contaminazione adharmica esattamente come abbiamo visto nei versi 9.30-31. Perciò quei mascalzoni che si illudono di essere furbi, e stanno progettando di lasciar cadere le proprie responsabilità facilmente e sfuggire alle reazioni delle loro cattive azioni protestando che hanno preso rifugio in Krishna dovrebbero rifare i conti, perché la cosa non funziona come loro vorrebbero. Questo verso è in verità l'istruzione più confidenziale di Krishna, e il passaggio della Bhagavad gita che può essere male interpretato più facilmente da chi non ha compreso attentamente e correttamente tutte le altre istruzioni date da Krishna nei capitoli precedenti. 294 Bhagavad gita: capitolo 18 I prakrita sahajya sono i sempliciotti materialisti che si convincono (o si lasciano convincere da altri) che è sufficiente accettare l'apparenza esteriore della devozione per essere immediatamente considerati stabiliti sul livello più alto della bhakti trascendentale. Sviluppano quindi un attaccamento sentimentale alla propria proiezione di Dio secondo le loro preferenze materiali, proprio come gli ammiratori o fan di famosi attori, cantanti o musicisti, celebrità dello sport professionistico, e così via. Diventare un "fan" di Krishna è certamente meglio che scegliere di adorare qualcuna di quelle personalità materiali, e anche meglio che sviluppare un forte attaccamento materiale per i propri figli o nipoti come vediamo talvolta in persone che considerano la vita di famiglia come il valore più alto della vita. Krishna è diventato velocemente una figura molto popolare negli ultimi 5000 anni perché appare come un giovane di bell'aspetto, con un temperamento artistico e amante del divertimento, un ragazzo affascinante, affettuoso, intelligente e avventuroso, e un bambino dolcissimo e vivace. I suoi giochi idilliaci con i piccoli gopa e le relazioni d'amore con le bellissime gopi, il suo affetto e rispetto per i genitori e i superiori, la sua cura protettiva per le mucche e i vitelli contribuiscono all'aura di tenerezza e innocenza che attrae la mente di tutti. In effetti, il nome stesso krishna viene tradotto come "infinitamente attraente", dalla radice karsati ("attirare"). Amare Krishna è dunque estremamente facile, anche a un livello sentimentalista, e persino gli asura in generale hanno poca paura di lui. Vediamo infatti che molte persone senza scrupoli hanno tentato di approfittare di lui in vari modi, a volte imitandolo e fingendo di essere la sua reincarnazione per attirare seguaci creduloni, o 295 Parama Karuna Devi affermando di essere suoi grandi sevaka e rappresentanti, per raccogliere ricchezze e prestigio in suo nome per il proprio vantaggio materiale. Per impressionare il pubblico in generale fanno spesso mostra di estasi o emozione devozionale, gesti grandiosi e recitazione di sentimenti devozionali. Le persone di mente semplice che hanno poca familiarità con gli insegnamenti degli shastra sono generalmente incapaci di vedere la differenza tra un avadhuta autentico e un imbroglione furbo esperto nel recitare la sua parte, o anche una persona ordinaria che soffre di un qualche squilibrio mentale, perciò sono facilmente ingannate e sviate, e sprecano la preziosa opportunità della vita umana. Per salvare le povere anime sfortunate dai danni di ignoranza e stupidità, Bhagavan si manifesta personalmente (svamsa avatara) o conferisce il potere necessario alle anime realizzate (sakty avesa avatara) per diffondere la corretta conoscenza e la comprensione di dharma e vidya, e offrire rifugio alle persone sincere. Possiamo accertare il valore reale di questi predicatori misurando i loro precetti e il loro esempio con quelli di guru, shastra e sadhu, e specialmente con le raccomandazioni di antaryami paramatman. Poiché il param atman è presente nel cuore di ciascuno e parla con la voce della coscienza anche a coloro che sono completamente analfabeti, la mancanza di istruzione formale non costituisce un ostacolo decisivo al progresso spirituale. Il vero problema è quando una persona ha motivazioni egoistiche e le presentazioni fraudolente sembrano offrire migliori vantaggi egoistici ai seguaci; imbroglioni e imbrogliati si attraggono a vicenda poiché hanno una visione simile della vita. 296 Bhagavad gita: capitolo 18 Assicuriamoci dunque che quando stiamo "prendendo rifugio esclusivamente in Krishna", non ci stiamo collegando con il numero di telefono sbagliato. Siamo stati avvisati. VERSO 67 idam: questo; te: te; na: non; atapaskaya: a una persona che non è austera; na: non; abhaktaya: a chi non è un devoto; kadacana: mai; na: non; ca: e; susrusave: a qualcuno che non è interessato ad ascoltare; vacyam: deve essere insegnato; na ca: e nemmeno; mam: di me; yah: uno chi; abhyasuyati: è invidioso. "Questo (segreto) non dovrebbe mai essere rivelato a una persona che non ha devozione o austerità. Non dovrebbe essere trasmesso a una persona che non è interessata ad ascoltare o che è ostile verso di me. Le parole chiave in questo verso sono bhakta, tapaska, susrusava, a indicare una persona che ha devozione per Bhagavan, è dedicata all'austerità ed è onestamente interessata ad ascoltare e comprendere: sono queste le qualificazioni fondamentali per diventare uno studente autentico della Bhagavad gita. Qui ciascuna di queste parole è preceduta da una "a" privativa, un prefisso che esprime negazione ed è stato ereditato dal sanscrito ed è passato ad altre lingue come il greco e il latino antichi. 297 Parama Karuna Devi L'ultima parola del verso è abhyasuyati, "uno che invidia", "chi è attivamente ostile", e ciò include automaticamente tutti coloro che avvicinano lo studio dell'induismo per demolirlo a favore della propria ideologia - cosa che succede regolarmente da alcuni secoli nelle istituzioni accademiche fondate e dirette da ideologi abramici. Purtroppo ciò non si applica soltanto agli stranieri, come alcuni indiani amano credere, ma succede regolarmente anche in India perché l'attuale sistema accademico (come anche quelli politico, legale e burocratico) è ancora basato sulle stesse linee ideologiche introdotte nel periodo coloniale da agenti del sistema come Macaulay e Max Muller, che venne salutato come "go tirtha ("Oxford") mula (Muller) acharya (insegnante della conoscenza vedica)" dai leader politici del cosiddetto "induismo ortodosso", e la cui nefasta teoria razzista della "purezza della razza ariana" è ancora sostenuta direttamente o indirettamente da quegli stessi stupidi casteisti che affermano di rappresentare oggi la tradizione vedica. La parola abhyasuya è l'opposto di anasuya; a questo proposito possiamo ricordare il verso 9.1: idam tu te guhyatamam pravaksyamy anasuyave, jnanam vijnana sahita‚ yaj jnatva moksyase 'subhat, "Io ti spiego questo segreto supremo perché non sei invidioso. Conoscendo questa sapienza teorica e applicata, sarai libero da ogni cosa di cattivo augurio." Altri commentatori hanno spiegato la parola abhyasuyati come "cavillare, tentare di trovare difetti", ma tale interpretazione può essere pericolosa perché viene applicata a senso unico, per evitare domande scomode sulle traduzioni scorrette e le applicazioni ideologiche tendenziose. Krishna ha mostrato chiaramente nel suo dialogo con Arjuna che non è offeso dalle obiezioni (2.5, 2.6, 3.1, 4.4, 5.1, 6.33), e come 298 Bhagavad gita: capitolo 18 perfetto insegnante ha sempre fornito spiegazioni e chiarimenti sufficienti, per assicurarsi che l'argomento sia stato adeguatamente compreso. Dobbiamo stare molto attenti verso quelli che si offendono facilmente quando si fanno loro delle domande, e accusano gli altri di essere "invidiosi" della posizione elevata che hanno raggiunto come guru o acharya, perché molto probabilmente non sono in grado di dare le risposte giuste e cambiando argomento cercano di distrarre l'attenzione di chi fa le domande. Abbiamo già trovato la parola abhyasuya nel capitolo che descrive le caratteristiche degli asura: ahankaram balam darpam kamam krodham ca samsritah, mam atma para dehesu pradvisanto 'bhyasuyakah, "Prendendo rifugio nell'ahankara, nella forza fisica, in arroganza, lussuria e rabbia, mostrano invidia e odio verso di me, poiché io risiedo nel loro corpo come nel corpo degli altri" (16.18). Alla luce di questo verso comprendiamo che il segreto della Bhagavad gita non sarà svelato a chi è ostile e invidioso verso l'Atman - che vive sia nel suo corpo che nel corpo di altri specialmente a causa dei loro corpo, e sulla base dell'identificazione con il corpo materiale (ahankara, balam). Chi è ostile e invidioso verso l'Atman e il Paramatma non può mai essere un devoto (bhakta) o dedito all'austerità (tapaska), o sinceramente interessato a imparare il vero significato delle istruzioni di Krishna (susrusava); perché dunque dovrebbe cercare di studiare la Bhagavad gita o altre scritture vediche? Devono avere motivazioni sbagliate. Krishna afferma chiaramente qui che lo studio "obiettivo" o "laico" dei testi intimi della Bhagavad gita non dovrebbe essere accettato come valido; per questo scopo è meglio utilizzare studi riassuntivi preparati e insegnati da persone veramente qualificate - che sono veramente dedicate e austere. 299 Parama Karuna Devi Questa proibizione non ha niente a che fare con i pregiudizi di casta e razza di alcuni sciocchi ignoranti che affermano di essere autorità religiose tradizionali ortodosse sull'induismo e credono che "agli stranieri" e "alle persone di bassa casta" non dovrebbe essere permesso di studiare il sanscrito e che in ogni caso non sarebbero mai capaci di comprendere la conoscenza vedica perché mancano di qualche speciale struttura di DNA. Il problema è piuttosto nella fede cieca che la maggior parte della gente ha verso il sistema accademico convenzionale, dal quale ambiscono ricevere riconoscimenti e convalide direttamente o indirettamente. E' raro trovare "induisti tradizionali" che non vogliono sapere quali siano le vostre "qualificazioni accademiche" secondo il sistema convenzionale, in modo da poter giudicare la vostra competenza nel discutere sugli shastra, mentre non danno importanza alle vere realizzazioni e pratiche nella vita. Allo stesso tempo, anche coloro che parlano della letteratura vedica sulla base delle proprie "qualificazioni di nascita" o di "linaggio religioso" continuano ad appoggiarsi alle traduzioni e ai dizionari coloniali ostili, e specialmente ad usare definizioni abramiche profondamente offensive per descrivere la propria tradizione - per esempio, dicono "idolo" per riferirsi alle Divinità o vigraha, "mitologia" per riferirsi alle storie sacre o itihasa e purana, "veggente" per indicare un'anima realizzata o un rishi, "casta" per riferirsi al sistema autentico dei varna, e così via. Possiamo verificare facilmente la serietà del problema consultando un buon dizionario per verificare il significato di queste definizioni. Per esempio, "idolo" significa "falso dio, impostore o ingannatore, una forma o aspetto visibile ma privo di sostanza, fallacia, falso concetto", mentre "mito" significa "nozione falsa o infondata, una persona o cosa che ha soltanto un'esistenza immaginaria o non verificabile". 300 Bhagavad gita: capitolo 18 La parola "ortodosso"significa "conforme alla dottrina stabilita specialmente in religione", che nel caso della conoscenza vedica dovrebbe riferirsi a ciò che è veramente scritto negli shastra, e non a una mentalità caratterizzata da una visione ristretta, arretrata, da un fanatismo cieco basato sull'identificazione con il corpo materiale grossolano e i valori falsamente moralistici assorbiti dalla tossica influenza abramica. L'arroganza di coloro che pretendono di usare uno "speciale significato indiano" delle parole inglesi mostra chiaramente che non possiedono né bhakti né tapah, e quindi non dovebbero essere mai considerati qualificati nemmeno per discutere della Bhagavad gita, che dire di vantare diritti di monopolio esclusivo sul suo insegnamento. Il Padma Purana raccomanda, asraddhadhane vimukhe 'py asrinvati yas copadesah, siva namaparadhah, "chi dà istruzioni una persona che non ha fede, è ostile e non disposta ad ascoltare, gli farà commettere un'aparadha". Questo non si applica soltanto all'insegnare il segreto della Bhagavad gita ma anche a tutti i tipi di istruzioni. Prima di prendersi la responsabilità del progresso materiale e spirituale di un individuo, dovremmo assicurarci che i nostri consigli e le nostre istruzioni saranno ricevuti in modo favorevole, altrimenti è meglio fare semplicemente delle affermazioni generali che presentano un livello di conoscenza elementare che non può essere equivocato facilmente. 301 Parama Karuna Devi VERSO 68 yah: una persona che; idam: questo; paramam guhyam: segreto supremo; mat bhaktesu: ai miei devoti; abhidhasyati: spiega; bhaktim: la devozione; mayi: a me; param: suprema; kritva: facendo; mam: me; eva: certamente; esyati: viene; asamsayah: senza alcun dubbio. "Chi spiega questo segreto supremo ai miei devoti sta svolgendo il servizio devozionale supremo e mi raggiungerà certamente. Non c'è dubbio. Troviamo un'istruzione molto simile nella conversazione di Kapila con sua madre Devahuti: naitat khalayopadisen navinitaya karhicit, na stabdhaya na bhinnaya naiva dharma dhvajaya ca, na lolupayopadisen na griharudha cetase nabhaktaya ca me jatu, na mad bhakta dvisam api, sraddhadhanaya bhaktaya vinitaya anasuyave, bhutesu krita maitraya susrusabhirataya ca, "Questa conoscenza non dovrebbe essere offerta a coloro che sono invidiosi, agli agnostici, a coloro che sono orgogliosi della propria posizione, a coloro che fanno grande mostra di religiosità, e a coloro che non praticano ciò che predicano. Non deve essere insegnata a coloro che sono avidi, troppo attaccati all'identificazione con la vita di famiglia, privi di devozione, o che odiano i miei devoti. Ma deve essere offerta a quei devoti 302 Bhagavad gita: capitolo 18 amorevoli che hanno fede e desiderano sinceramente comprendere, sono liberi dall'invidia, amichevoli verso tutti gli esseri, e felici di rendere servizio." (Bhagavata Purana, 3.32.39-41). Krishna offre lo stesso consiglio a Uddhava al termine della loro conversazione: naitat tvaya dambhikaya nastikaya sathaya ca, asusrusor abhaktaya durvinitaya diyatam, etair dosair vihinaya brahmanyaya priyaya ca, sadhave sucaye bruyad bhakti syac chudra yositam, "Non devi parlare di queste cose a coloro che fanno grande mostra di religiosità, a coloro che non accettano l'autorità della conoscenza vedica, agli ipocriti mentitori, a coloro che non sono interessati ad ascoltare, a coloro che non hanno devozione o un sincero desiderio di imparare. Si può parlare di queste cose soltanto a qualcuno che si è liberato dalle cattive qualità, è dedicato alla realizzazione spirituale (del Brahman), è gentile e si comporta bene, ha un cuore puro e un atteggiamento devozionale, e questo include anche i sudra e le donne ordinarie" (Bhagavata Purana 11.29.30-31). Una persona che tenta di insegnare il segreto supremo alle persone sbagliate descritte nel verso precedente (abhakta, atapaska, asusrusava, abhyasuyaka) sta agendo evidentemente per qualche scopo egoistico materialistico, per ottenere denaro o prestigio, o con intenzioni ancora più sinistre Sappiamo che Max Mueller tradusse molti testi vedici e scrisse un'enciclopedia di 50 volumi su The sacred books of the East, ma le sue intenzioni erano apertamente ostili: "questa mia pubblicazione e la mia traduzione dei Veda avranno sicuramente un grande peso sul destino dell'India e sulla crescita dei milioni di anime in quel paese... è l'unico modo per sradicare tutto ciò che è cresciuto (dalla conoscenza vedica) negli ultimi 3000 anni... e che non vale più delle favole e delle canzoni delle nazioni selvagge... che tutt'al più possono essere servite a preparare la via per il Cristo... L'India è molto più matura per il cristianesimo di quanto 303 Parama Karuna Devi lo fossero Roma o la Grecia ai tempi di San Paolo." Max Muller era particolarmente irritato da quegli studiosi che invece di dedicarsi a questa "missione evangelica", commettevano il peccato mortale di apprezzare sinceramente la conoscenza vedica: "sappiano che non si possono aspettare denaro, anzi, non devono nemmeno aspettarsi misericordia - non riceveranno altro che il fuoco della più pesante artiglieria. Tollerare l'idolatria brahmanica respingendo il cristianesimo è commettere alto tradimento verso l'umanità e la civiltà." Gli indologisti dell'accademia convenzionale seguono tuttora lo stesso orientamento, non soltanto in occidente ma anche in India, e hanno contaminato con la stessa mentalità molte istituzioni e organizzazioni religiose anche all'interno dell'induismo. D'altra parte, chi si impegna in discussioni sincere e costruttive con bhakta autentici trova ispirazione dalla felicità spirituale che viene così creata (bodhayantah parasparam kathayantas ca mam nityam tusyanti ca ramanti ca, "trovano grande piacere e soddisfazione parlando sempre di me, per aiutarsi vicendevolmente a comprendermi meglio", 10.9). Non ci possono essere piacere o soddisfazione più alti, poiché questa felicità è permanente e non dipende da circostanze esteriori (4.38, 5.13, 5.21, 5.23, 5.24, 6.21, 6.27, 6.28, 9.2, 14.27). La parola abhidhasyati ("che insegna") è particolarmente interessante. Non si riferisce alla relazione formale tra guru e sisya, ma piuttosto a una discussione aperta sui vari significati delle parole di Krishna. Una parola strettamente imparentata, abhidhana, significa "conversazione", ma anche "spiegazioni, definizioni", e anche "dizionario". E' collegata alle parole vritti e anuvritti, come possiamo vedere nel discorso di Suta a Naimisaranya: aho vayam janma bhrito 'dya hasma, vriddhanuvrittyapi viloma jatah, dauskulyam adhim vidhunoti sighram, mahattamanam abhidhana yogah, "E' davvero 304 Bhagavad gita: capitolo 18 meraviglioso che siamo stati elevati oggi a questa posizione grazie al nostro servizio a grandi personalità, anche se siamo nati in una famiglia di bassa condizione senza essere benedetti dai samskara adeguati. Le conversazioni che ci uniscono con coloro che sono grandi anime elimineranno ben presto ogni difetto dalla nostra vita." (Bhagavata Purana, 1.18.18). La parola vritti include i significati di "interpretazione, allitterazione, attività, processo, occupazione, funzione, modo di essere, condizione, comportamento rispettoso, professione", mentre anuvritti significa "commento, ripetizione, ricordo, l'atto di continuare, seguire, spirito obbediente, inclinazione, tendenza." Ecco come possiamo raggiungere e praticare la genuina bhakti trascendentale (bhaktim mayi param kritva). VERSO 69 na: non; ca: e; tasmat: di lui/ lei; manusyesu: tra tutti gli esseri umani; kascit: chiunque; me: a me; priya krt tamah: più caro; bhavita: diventerà; na: non; ca: e; me: a me; tasmat: di lui/ lei; anyah: altro; priya tarah: più caro; bhuvi: in questo mondo. "Tra tutti gli esseri umani nessuno mi è più caro, e nessun altro mai mi sarà più caro in questo mondo. Il verso precedente (18.68) affermava chiaramente che spiegare il segreto supremo e trascendentale dello Yoga alle persone 305 Parama Karuna Devi sinceramente interessate alla spiritualità è il più grande servizio devozionale. In effetti è una missione così sacra che Bhagavan stesso discende direttamente in questo mondo di volta in volta per compiere la stessa funzione: paritranaya sadhunam vinasaya ca duskritam, dharma samsthapanarthaya sambhavami yuge yuge, "Io mi manifesto yuga dopo yuga, per proteggere le persone buone, distruggere i malfattori e stabilire la conoscenza del dharma" (4.8). Lo conferma anche il Bhagavata Purana (4.22.16): vyaktam atmavatam atma bhagavan atma bhavanah, svanam anugrahayemam siddha rupi caraty ajah, "In questo modo Bhagavan, il non-nato, cammina in questo mondo nella forma di un'anima perfettamente realizzata per illuminare coloro che sono determinati a raggiungere la realizzazione spirituale". La trasmissione della conoscenza spirituale è il dono più grande e la prova più preziosa di amore e affetto: sa evayam maya te 'dya yogah proktah puratanah, bhakto 'si me sakha ceti rahasyam hy etad uttamam, "Oggi spiego a te la stessa conoscenza dello Yoga che è stata presentata nei tempi antichi; perché tu sei mio devoto e amico io ti dò questo segreto supremo" (4.3). Krishna ha dichiarato che bisogna essere ugualmente distaccati da insulti e glorificazioni, gioie e dolori (tulya priyapriyo dhiras tulya nindatma samstutih, 14.24), imparziali e distaccati sia da amici che nemici, da onori e mancanza di rispetto (samah satrau ca mitre ca tatha manapamanayoh, 12.18, mana apamanayas tulyas tulyo mitrari paksayoh, 14.25), e bisogna vedere tutti in modo equanime, sia benefattori che amici, nemici, persone neutrali, mediatori, persone invidiose o parenti (suhrin mitrary udasina madhyastha dvesya bandhusu, 6.9) ed essere amichevoli con tutti e non ostili verso nessuno (advesta sarva bhutanam maitrah karuna eva ca, 12.13). 306 Bhagavad gita: capitolo 18 Anche Dio stesso agisce secondo questi parametri: nadatte kasyacit papam na caiva sukritam vibhuh, ajnanena avritam jnanam tena muhyanti jantavah, "Il Signore onnipotente non considera i meriti o i demeriti di nessuno. Qualsiasi differenza è dovuta soltanto agli esseri viventi stessi, che sono confusi perché la loro conoscenza è coperta dall'ignoranza." (5.15). Un altro verso ha aggiunto una prospettiva leggermente diversa: samo 'ham sarva bhutesu na me dvesyo 'sti na priyah, ye bhajanti tu mam bhaktya mayi te tesu capy aham, "Sono ugualmente ben disposto verso tutti gli esseri. Non odio nessuno e non favorisco nessuno. Eppure, quando qualcuno mi offre un servizio sincero con devozione." (9.29). Sappiamo inoltre che Dio prende regolarmente le parti dei Deva contro gli Asura ogni volta che la giusta amministrazione dell'universo viene messa in pericolo e i Deva chiedono il suo aiuto. Ci si potrebbe chiedere come sia possibile, e se non si tratti di una contraddizione; dopo tutto la maggior parte della gente crede che la religione può essere soltanto una specie di patto settario di alleanza tra Dio e il suo "popolo eletto", in cui il popolo obbedisce agli ordini e offre adorazione, e Dio li protegge dal male e risponde alle loro preghiere concedendo loro tutte le cose buone. Ma non è proprio cosi. Sukadeva lo spiegava a Parikshit: sa esa rajan api kala isita sattvam suranikam ivaidhayaty atah, tat pratyanikan asuran sura priyo rajas tamaskan praminoty urusravah, "Nella forma del Tempo, Dio nutre i molti sura attraverso sattva, perciò coloro che sono ostili ai sura - gli asura - vengono distrutti" (7.1.12). Il modo in cui ciò accade è inconcepibile per gli esseri viventi: na yasya sakhyam puruso 'vaiti sakhyuh sakha vasan samvasatah pure 'smin, guno yatha gunino vyakta dristes tasmai mahesaya namaskaromi, "L'essere vivente non può comprendere l'amicizia dell'amico che vive con lui nello stesso corpo, proprio come le 307 Parama Karuna Devi qualità non possono comprendere la persona che possiede tali qualità o gli oggetti dei sensi non possono comprendere i sensi che li percepiscono. Offro il mio rispetto a Isvara." (6.4.24). Sappiamo che i jiva atman sono semplicemente proiezioni del param atman, i suoi amsa e shakti, perciò Dio rimane largamente incomprensibile a noi tutti (adhokshaja). Bhagavan è sempre il migliore amico di tutte le creature (4.11, 5.29, 9.18, 9.29), ma gli esseri umani hanno una posizione speciale nel suo affetto perché sono abbastanza maturi da prendersi la loro parte di responsabilità nel lavoro di sostenere l'universo, ma sono anche abbastanza piccoli da rimanere sobri e umili in tale servizio. L'espressione chiave in questo verso è manusyesu, "tra gli esseri umani". Come abbiamo già commentato nei passaggi precedenti, l'unica vera qualificazione per impegnarsi nella vita spirituale e nello yoga è manusa jati - avere acquisito una forma di vita umana (athato brahma jijnasa, Vedanta sutra 1.1.1). Il paramatman risiede nel cuore di tutte le creature e persino nel cuore degli atomi, ma soltanto gli esseri umani hanno la facoltà di fare le libere scelte per elevarsi e ottenere la liberazione (moksha, 13.35, 16.5, 18.66, brahma bhuta, 6.27, 18.54). Quegli esseri umani che rinascono sui sistemi planetari superiori grazie ai loro meriti religiosi hanno anche l'opportunità di elevarsi fino alla liberazione, ma in quella posizione di felicità sattvica possono cadere nell'autocompiacimento (14.9) e questo rafforzerà il loro legame con l'identificazione materiale, così che dovranno tornare al livello della vita umana quando i loro meriti si sono esauriti (9.20, 9.21). Specialmente in Kali yuga, nascere come essere umano è una grande benedizione, come conferma per esempio il Bhagavata Purana (kalav icchanti sambhavam kalau khalu bhavisyanti, 11.5.38), perché sotto la pressione delle circostanze sfavorevoli le persone si possono svegliare più facilmente dalla speranza illusoria 308 Bhagavad gita: capitolo 18 di trovare la felicità nella gratificazione dei sensi del mondo materiale, che è in realtà soltanto un fardello (indriya artha maya sukhaya bharam udvahatah, 7.9.43). Dovremmo dunque apprezzare questa meravigliosa e rara opportunità della nascita come esseri umani (durlabham manusam janma, Bhagavata Purana 7.6.1) e non sprecarla stupidamente nella speranza di ottenere una nascita migliore nella prossima vita. Qualsiasi livello di nascita umana ci qualifica per tentare di raggiungere la perfezione (9.32), perciò non dovremmo aspettare nemmeno un minuto di più: ayur harati vai pumsam, udyann astam ca yann asau, tasyarte yat ksano nita, uttama sloka vartaya, "Ogni alba e ogni tramonto portano via un pezzo della durata di vita dell'essere umano, che va perduta senza costrutto tranne per coloro che usano il loro tempo per comprendere Dio", (Bhagavata Purana 2.3.17). VERSO 70 adhyesyate: studia; ca: e; yah: una persona che; imam: questa; dharmyam: sul dharma; samvadam: conversazione; avayoh: nostra; jnana yajnena: attraverso l'azione sacra della conoscenza; tena: da lui/ lei; aham: io sono; istah: adorato; syam: sarò; iti: così; me: mia; matih: opinione. 309 Parama Karuna Devi "Una persona che studia questa nostra conversazione sul dharma mi adora attraverso la celebrazione della conoscenza. Questa è la mia opinione. L'equazione dharma = yoga = jnana è molto chiara, perciò quando Krishna dice che discende di era in era per ristabilire il dharma (dharma samsthapanartha, 4.8) quando il collegamento va perduto in qualche modo (yogah nasta, 4.2), dovremmo comprendere che viene per spiegare l'antica scienza dello yoga (yogah proktah puratanah, 4.3). Senza comprendere questo punto, è molto difficile fare qualche progresso. Gli studiosi dell'accademia convenzionale, ancora appesantiti dall'indologia coloniale a base abramica, credono che l'induismo si sia "evoluto nel tempo" da un cosiddetto periodo Rigvedico di primitiva adorazione attraverso offerte al fuoco per dèi guerrieri, in cui non c'era alcun concetto di reincarnazione, vegetarianesimo etico, moksha, yoga e così via. Possiamo comprendere che hanno bisogno di rimanere in questa posizione per ottenere riconoscimenti ufficiali dalla mafia di regime, ma si tratta di una posizione disgraziata per coloro che affermano di essere induisti e di avere fede nella conoscenza e nella tradizione vedica. L'intera conoscenza vedica è sempre esistita nella sua forma perfetta e completa, fin dall'inizio stesso della creazione - di ciascuna creazione - perché viene trasmessa dal paramatma ai Rishi nel loro cuore (10.11, 15.15) e attraverso gli insegnamenti formali esteriori da guru a sisya. All'inizio del capitolo sul jnana yoga, Krishna ha affermato chiaramente: imam vivasvate yogam proktavan aham avyayam, vivasvan manave praha manur iksvakave 'bravit, "Io ho spiegato questa scienza eterna dello Yoga a Vivasvan, Vivasvan l'ha 310 Bhagavad gita: capitolo 18 insegnata a Manu, e Manu l'ha trasmessa a Ikshvaku" (4.1). Ciò è confermato sia da sruti che da smriti, come possiamo vedere per esempio nel verso di apertura del Bhagavata Purana: yato 'nvayad itaratas carthesv abhijnah svarat tene brahma hrida ya adi kavaye, "da lui la conoscenza del Brahman è stata rivelata dal primo studioso, direttamente e indirettamente e in piena consapevolezza" (Bhagavata Purana, 1.1.1). La tradizione vedica autentica insegna che all'inizio di questo Kali yuga, Vyasa compilò una nuova edizione di tutte le scritture vediche, come spiega chiaramente il Bhagavata Purana: catur hotram karma suddham prajanam viksya vaidikam vyadadhah yajna santatyai vedam ekam catur vidham; rig yajuh samartharvakhya, vedas catvara uddhritah, itihasa puranam ca, pancamo veda ucyate; tatrarg veda dharah pailah samago jaiminih kavih, vaisampayana evaiko nisnato yajusam uta; atharvangirasam asit sumantur daruno munih itihasa purananam pita ma romaharsanah; ta eta risayo vedam svam svam vyasyann anekadha, sisyaih prasisyais tac chisyair, vedas te sakhino 'bhavan; "(Vyasa) divise l'unica Conoscenza dei rituali vedici in quattro compilazioni, compresa la scienza dei quattro fuochi sacrificali e i doveri purificatori per la gente in generale. Queste quattro compilazioni sono conosciute come Rig Veda, Yajur Veda, Sama Veda e Atharva Veda, più Itihasa e Purana, che sono chiamati il quinto Veda. Poi affidò a Paila Rishi il compito di elaborare sul Rig Veda, a Jaimini il Sama Veda, e a Vaisampayana lo Yajur Veda, ad Angirasa (Sumantu Muni) l'Atharva Veda, e a Romaharsana (padre di Suta) diede Itihasa e Purana. Tutti questi Rishi trasmisero le rispettive scritture ai loro discepoli, e questi a loro volta ai loro discepoli, e in questo modo la letteratura vedica si è allargata." (Bhagavata Purana 1.4.19, 1.4.20, 1.4.21, 1.4.22. 1.4.23). Ecco il metodo corretto per studiare la conoscenza vedica (sva-adhyaya): riceviamo il testo originario e la compilazione dei commenti degli acharya precedenti, e poi trasmettiamo il testo 311 Parama Karuna Devi originario con la nostra presentazione nel modo migliore possibile, secondo desa, kala, patra e secondo le nostre realizzazioni personali. Suta dice: aham hi prsto 'ryamano bhavadbhir acaksa atmavagamo 'tra yavan, nabhah patanty atma samam patattrinas tatha samam visnu gatim vipascitah, "Poiché mi è stato chiesto da voi, che siete grandi arya, parlerò fin dove arriva la mia comprensione; proprio come (diversi) uccelli volano in cielo, le persone di conoscenza parlano della Personalità suprema di Dio" (Bhagavata Purana, 1.18.23). Ricordiamo che pochi versi prima, Suta aveva detto: aho vayam janma bhrito 'dya hasma, vriddhanuvrittyapi viloma jatah, dauskulyam adhim vidhunoti sighram, mahattamanam abhidhana yogah", "E' davvero meraviglioso che siamo stati elevati oggi a questa posizione grazie al nostro servizio a grandi personalità, anche se siamo nati in una famiglia di bassa condizione senza essere benedetti dai samskara adeguati. Le conversazioni che ci uniscono con coloro che sono grandi anime elimineranno ben presto ogni difetto dalla nostra vita." (Bhagavata Purana, 1.18.18). VERSO 71 sraddha van: una persona che ha fede; anasuyah: che non è invidiosa; ca: e; srinuyat: ascolterà; api: certamente; yah: chi; narah: un essere umano; sah: lui/ lei; api: anche; muktah: un 312 Bhagavad gita: capitolo 18 essere liberato; subhan lokan: i pianeti di buon augurio; prapnuyat: raggiunge; punya karmanam: di coloro che hanno compiuto azioni meritevoli. "Qualsiasi essere umano ascolti (questa discussione) con fede, libero da invidia e ostilità, diventerà liberato e raggiungerà i pianeti fortunati di coloro che hanno compiuti azioni meritevoli. In questo verso la parola mukta ("liberato") è particolarmente interessante. Chi ha raggiunto moksha è libero dai condizionamenti materiali, dal bisogno di prendere nuovamente nascita in questo mondo, e dall'identificazione con il corpo e la mente che ancora indossa (jivan mukta). Ciò significa che è anche libero di rimanere in questo mondo o di discendere nuovamente in questo mondo non come prigioniero ma come assistente sociale, per lavorare nella missione di Bhagavan. Si tratta dei Deva che risiedono sui pianeti superiori (subhan lokan prapnuyat punya karmanam) e dei Mahajana ("grandi personalità") e dei Ciranjiva ("di lunga vita") come Dhruva, Prahlada, Janaka, Bali, Sukadeva, Hanuman, Vyasa, Narada, i Kumara, e così via. Nel verso precedente Krishna ha chiaramente affermato che il jnana yajna, l'azione sacra del coltivare la conoscenza attraverso lo studio (adhyesya) della Bhagavad gita, è un metodo valido di adorazione che fa molto piacere a Dio (ista syam). In effetti, si tratta della forma migliore di adorazione, come Krishna ha detto qualche verso fa (18.68). Dovremmo chiederci se abbiamo veramente compreso il significato e lo scopo dell'adorazione, poiché le persone influenzate da rajas e tamas possono facilmente rimanere confuse sull'argomento e persino proiettare la propria mentalità e le proprie motivazioni su Dio, immaginando che Dio debba pensare e agire nello stesso modo e secondo le stesse logiche che hanno loro. Le 313 Parama Karuna Devi persone tamasiche e rajasiche fanno qualcosa di buono per gli altri soltanto quando il loro ego è stato adulato a sufficienza da glorificazioni e preghiere, quando vedono qualche vantaggio per sé stessi (generalmente in cambio del favore che concedono) o semplicemente perché vi sono costretti da qualche altra forza (incantesimo, formula magica e così via). Krishna ha già spiegato che la coscienza sattvica non è toccata da lode o insulto, e compie le azioni positive necessarie senza aspettarsi nulla in cambio; Dio è il sattva supremo (hareh sattva nidher, Bhagavata Purana 1.3.26), perciò dovremmo comprendere che tali qualità si applicano a Bhagavan in misura ancora più grande. Quando presentiamo vari articoli di adorazione (upachara) alla Divinità nei rituali di puja, stiamo semplicemente esprimendo il nostro rispetto, affetto e gratitudine per Dio, poiché Dio non ha bisogno di alcuna offerta materiale. Non esiste nulla, in tutti i tre mondi, che Dio voglia ottenere o di cui abbia bisogno (lokesu kincana nanavapam avaptavyam 3.22) e anzi è lui che provvede a tutto ciò di cui gli esseri hanno bisogno (yoga ksemam vahamy aham, 9.22) come confermano anche le Upanishad (eko bahunam yo vidadhati kaman, Katha Upanishad 2.2.13). Bhagavan accetta le nostre offerte quando, e poiché, sono presentate con amore (tad aham bhakty upahritam asnami prayatatmanah, 9.26), perciò possiamo comprendere che la migliore forma di adorazione menzionata qui da Krishna è caatterizzata dall'amore più profondo. L'amore può nascere soltanto quando si conosce veramente l'oggetto del nostro amore, in modo profondo e intimo; le persone usano la parola "amore" in modo inappropriato per indicare un'attrazione fisica basata sulla lussuria, un'infatuazione, o la percezione di un'affinità di piacere collegata alla presenza o contatto con un oggetto dei sensi. 314 Bhagavad gita: capitolo 18 Il fatto è che non possiamo veramente amare qualcuno che non conosciamo - questa realizzazione arriva inevitabilmente dopo qualche tempo, quando l'infatuazione iniziale si è indebolita e vediamo realmente l'oggetto del nostro interesse sentimentale per quello che è veramente. L'amore autentico è costruito su una profonda comprensione dell'oggetto del nostro affetto, e questa è la ragione per cui studiare la Bhagavad gita è l'espressione migliore di bhakti, perché accresce gradualmente la nostra conoscenza, comprensione e apprezzamento per Bhagavan, e ci conduce attraverso la realizzazione di Brahman, Paramatma e Bhagavan fino al solido livello dell'esistenza trascendentale (brahma bhuta, 18.54). Il contatto o associazione regolare con gli insegnamenti di Bhagavan ci può portare alla destinazione suprema, lo stesso livello di Bhagavan (8.21, 10.12, 11.38, 14.2, 18.56), che dire della semplice liberazione o dei pianeti superiori di questo universo dove vivono le persone buone (muktah subhal lokan prapnuyat punya-karmanam). Le qualificazioni richieste per studiare la Bhagavad gita sono già state elencate nei versi 18.67 e 18.68 e anche nei versi precedenti, così sono semplicemente riassunte qui come anasuya e sraddhavan, rispettivamente "chi non è ostile" e "chi ha fede"; qualsiasi essere umano (narah) che dimostra tali qualità ha dunque il diritto di studiare e praticare la scienza più segreta di yoga e dharma. Di nuovo, vediamo chiaramente qui che non ci sono limitazioni di casta, razza, nazionalità, genere, occupazione o simili, perciò è chiaro che chiunque cerchi di fermare od ostacolare altri nell'accesso a questo sublime studio, usando qualche pregiudizio di nascita, sta violando apertamente le istruzioni di Krishna, e dovrebbe essere smascherato e condannato. 315 Parama Karuna Devi La situazione peggiore per il pianeta e per la società umana è quando persone demoniache prendono la posizione di brahmana e kshatriya e controllano la società per i propri scopi materialistici e demoniaci. Negli ultimi secoli, a causa della degradazione del Kali yuga (Bhagavata Purana 12.2.1) la conoscenza vedica è stata oppressa, imprigionata dai discendenti malvagi e non qualificati delle famiglie dei brahmana (vacam devim brahma kule ku-karmani, Bhagavata Purana 1.6.21). Questa debolezza è stata aggravata dalle influenze adharmiche tossiche di invasori che l'hanno trovata molto conveniente per i loro piani di sfruttamento e soppressione, fornendo anche un facile pretesto per i brahmini non qualificati che insistono nel dare la colpa ad altri (gli invasori "stranieri") per la rampante degradazione e contaminazione della conoscenza in ciò che alcuni oggi chiamano "induismo ortodosso". Quale ironia, per un sistema ideologico degradato che è così profondamente e fondamentalmente opposto alla versione autentica degli shastra vedici. VERSO 72 kaccit: se; etat: questo; srutam: (che hai) ascoltato; partha: o figlio di Pritha; tvaya: da te; eka agrena: con piena 316 Bhagavad gita: capitolo 18 concentrazione; cetasa: di consapevolezza; kaccit: se; ajnana: ignoranza; sammohah: confusione; pranastah: distrutta; te: di te; dhananjaya: o Dhananjaya. "O Partha, hai ascoltato tutto questo con piena concentrazione di consapevolezza? O Dhananjaya, la tua confusione (dovuta all') ignoranza è stata distrutta? Krishna ha gentilmente presentato gli insegnamenti della Bhagavad gita sotto tutte le angolazioni possibili e ha risposto a tutte le domande e ai dubbi sollevati da Arjuna. Ormai il linguaggio fisico espresso da Arjuna deve essere cambiato considerevolmente, e sta mostrando una profonda fiducia in tali insegnamenti, dimostrando che la sua tristezza e confusione iniziale sono scomparse. Ma non dobbiamo affidarci soltanto a intuizione e comunicazioni sottili. La discussione chiara ed esplicita tra insegnante e studente è sempre essenziale, poiché assicura che tutti i possibili equivoci o zone grigie siano stati chiarificati e la possibilità di errori viene ridotta drasticamente. Alcune persone confuse, per stupidità e ignoranza, immaginano e credono che guru e sisya non hanno bisogno di comunicare molto, e dicono che un discepolo deve semplicemente ascoltare e leggere collettivamente con tutti gli altri ed eseguire qualsiasi ordine gli viene dato direttamente o indirettamente attraverso la "catena di comando" dell'istituzione. Le domande sono limitate e standardizzate, se non apertamente scoraggiate o proibite. Ci sono persino dei "discepoli" che non hanno mai parlato direttamente con il loro "guru", e dei quali il "guru" ricorda a malapena il nome (che dire di altri dati essenziali). Tali "guru" (che si trovano in varie denominazioni e vari gruppi) si rendono accessibili soltanto per raccogliere denaro (pagamenti, donazioni, guru dakshina eccetera) e adorazione (guru puja, vyasa puja, programmi di predica pubblici/ impersonali, festival e apparizioni 317 Parama Karuna Devi a eventi pubblici, e così via). Alle lettere o alla posta elettronica rispondono raramente o mai del tutto, figuriamoci alle telefonate. Questo significa che non vogliono alcuna responsabilità personale per il progresso dei loro discepoli. Si tratta di completo impersonalismo, basato sulla presunzione errata che tutti siano uguali, abbiano le stesse qualificazioni (o mancanza di qualificazioni) e gli stessi errori, lo stesso potenziale e la stessa storia, le stesse realizzazioni e le stesse idee errate, e che quindi tutti debbano semplicemente "seguire il sistema" - leggere i libri del "grande acharya" (o quelli "autorizzati dalla organizzazione/ chiesa") ed eseguire ciecamente qualsiasi ordine venga dato loro. Persino quando gli studenti sono messi alla prova per verificare la loro comprensione, si tratta di un esame standard con risposte predeterminate scelte sulla base di considerazioni politiche e dottrinali, poiché gli esaminatori stessi mancano di realizzazioni personali sufficienti. Talvolta i leader arrivano persino ad ammetterlo apertamente, affermando che non hanno bisogno di qualificarsi personalmente o di raggiungere la realizzazione perché non agiscono sotto la propria responsabilità ma "in nome dell'organizzazione". Gli stupidi scambiano questa candida ammissione per una prova di "grande umiltà" e cortocircuitano il processo logico concludendo che poiché l'insegnante afferma di non essere effettivamente qualificato, ciò significa che è una persona umile e sincera, cosa che significa automaticamente che è veramente qualificato - per il fatto di ammettere di non essere qualificato e quindi incapace di prendersi veramente qualche responsabilità. Da qualche parte, in questo ragionamento da contorsionisti, le persone di mente semplice si perdono e rimangono confuse, ma poi viene detto loro che stanno contemplando il "grande mistero mistico" e che quindi dovrebbero essere ancora più ammirati e intimiditi dalle sublimi qualità dei loro insegnanti. 318 Bhagavad gita: capitolo 18 Da dove viene questo sistema? L'avete probabilmente già indovinato. Deriva dalla mentalità abramica, secondo la quale tutti nascono peccatori (a causa del famoso "peccato originale" che consiste nell'incarnazione stessa) poiché non esiste una storia individuale precedente (di vite prima di questa) tutti (tranne coloro che sono già stati sufficientemente indottrinati nella "unica vera fede") sono considerati ugualmente ignoranti in quanto ogni conoscenza e realizzazione che non sia "l'unica vera via" viene considerata nonvalida o persino eretica o blasfema, e deve essere distrutta senza nemmeno esaminarla - proprio come tutti i libri che non sono "approvati dall'unica vera religione" devono essere bruciati senza neppure leggerli. Le differenze in condizioni di nascita (genere, razza, posizione sociale, e così via) e la successiva categorizzazione vengono quindi attribuiti alla indiscutibile volontà di Dio. Per esempio si crede che le donne e le persone di altre razze hanno un'anima minore e sono state create per una posizione subordinata; poiché tale identificazione con il corpo non può essere cambiata, tutti gli individui in questa categoria sono considerati incapaci di qualificarsi a un livello più alto e quindi viene loro proibito anche di provarci (e se lo fanno, vengono insultati, puniti, perseguitati e ridicolizzati). Possiamo facilmente vedere come tali idee sono pesantemente influenzate da tamas, e come l'unica vera soluzione sia la disseminazione della conoscenza e della comprensione autentiche, spiegate così bene da Krishna nella Bhagavad gita. Ajnana ("ignoranza" e sammoha ("confusione") vanno sempre di pari passo, perché l'assenza di conoscenza crea idee confuse, e la confusione diffusa impedisce di acquisire la giusta conoscenza e comprensione. 319 Parama Karuna Devi Il processo dell'ascolto (srutva) è la soluzione. Deve essere attento (ekagrena cetasa) e non semplicemente meccanico, perciò dobbiamo investire una quantità sufficiente di intelligenza e buona volontà. Deve essere eseguito nell'associazione di persone che hanno già realizzato questa conoscenza (tattva darsis, 2.16, 4.34, 5.19) e non semplicemente come scambio di opinioni poco informate e fantasiose considerate tutte ugualmente valide. Tale ascolto deve essere anche attivo, caratterizzato da domande e risposte (pariprasnena, 4.34), e spiegazioni reciproche (bodhayantah parasparam kathayantas, 10.9). Deve essere ripetuto sotto tutte le possibili angolazioni finché ogni dubbio e incomprensione è stato dissipato: come dimostra qui Krishna, l'insegnante deve chiedere personalmente conferma a ogni studente, e se qualcosa ancora non fosse perfettamente chiaro, l'insegnante è pronto a spiegare tutto di nuovo. Ecco ciò che Krishna dice qui ad Arjuna. Possiamo star sicuri che se Arjuna avesse presentato altre domande o dubbi, Krishna avrebbe immediatamente continuato la discussione, presentando gli stessi insegnamenti sotto una prospettiva ancora diversa e ripetendo i concetti fondamentali come ha già fatto nei capitoli precedenti. Incidentalmente, dovremmo notare che il processo continuo dello studio della Bhagavad gita e delle scritture vediche in generale deve essere ripetuto almeno 3 volte, poiché questi versi sono carichi di vari strati di significato, e ogni volta che li leggiamo possiamo trovarvi nuove ispirazioni e realizzazioni. 320 Bhagavad gita: capitolo 18 VERSO 73 arjunah uvaca: Arjuna disse; nastah: distrutta; mohah: confusione; smrtih: memoria; labdha: ritrovata; tvat prasadat: per la tua grazia; maya: mia; acyuta: o Acyuta; sthitah: fermamente stabilito; asmi: io sono; gata: andati; sandehah: i dubbi; karisye: io farò; vacanam: istruzioni; tava: tue. Arjuna disse: "O Acyuta, per la tua benedizione la mia confusione è stata distrutta e ho ritrovato la memoria. Sono fermamente stabilito (nella visione della realtà) e i dubbi sono superati. Seguirò le tue istruzioni." Lo studio di vidya e dharma non è un'imposizione artificiale sulla mente, ma piuttosto il processo di lavare via gli equivoci, la confusione, le illusioni e l'ignoranza (tutti nella categoria di tamas) in modo che la memoria e la consapevolezza originarie dell'anima possano risplendere luminose. Per questo motivo lo studio delle scritture è chiamato svadhyaya - consiste in realtà nella coltivazione della conoscenza del sé, poiché il sé è atman/ brahman, coscienza pura che include ogni esistenza. Non dobbiamo però concludere che sia possibile riconquistare questa consapevolezza della conoscenza universale senza lo studio 321 Parama Karuna Devi degli shastra e senza l'attenta guida del guru. perché l'anima condizionata è coperta da parecchi strati di contaminazione materiale, e questi materiali proiettano ombre molto profonde, che possono essere scambiate per realtà. La meditazione prescritta dal metodo dello yoga è un processo profondamente scientifico, inteso ad addestrare la nostra consapevolezza a contemplare la vera natura di atman/ brahman e non le proiezioni capricciose della mente. La tecnica chiamata "meditazione del testimone" consiste nel distaccarsi da tutti i pensieri, impressioni, ricordi, stimoli sensoriali e desideri che normalmente ingombrano la mente e scorrono attraverso la consapevolezza. Se non diamo loro attenzione, tutti questi movimenti finiranno per perdere potere e si dissolveranno gradualmente, lasciando soltanto la pura coscienza dell'atman. Le persone confuse e sviate potrebbero immaginare che quando questi movimenti della mente (citta vritti) si estinguono, il risultato è una specie di vuoto, e/ o che la "meditazione sul sé" significa che dovremmo diventare consapevoli della nostra personalità materiale, delle sue qualità e difetti eccetera. Ma tutto ciò è soltanto sovrastruttura - proiezioni della mente, identificazioni temporanee e illusorie che non hanno bisogno di essere coltivate e seguite. A un livello superficiale possiamo e dobbiamo essere consapevoli delle qualità del nostro carattere, proprio come siamo consapevoli delle altre circostanze esteriori e relative, come il luogo e il tempo, il carattere e le qualità delle persone attorno a noi, i movimenti di oggetti e corpi, e così via. Ma tutte queste cose sono semplicemente circostanziali, e devono essere considerate su un livello relativo, non scambiate per vere realtà del nostro autentico sé. Fin dall'inizio della Bhagavad gita, abbiamo appreso che l'atman/ brahman è eternamente immutabile (avikara, 2.25), quindi la vera meditazione sul sé deve essere ferma (sthita prajna) e indisturbata 322 Bhagavad gita: capitolo 18 come la fiamma di una lampada quando non c'è vento (nirvata). Ciò sarebbe impossibile se dovessimo concentrarci sulle qualità e attività materiali, che per loro stessa natura devono avere un inizio e una fine. Lo svadhyaya autentico, la vera "contemplazione del sé" deve dunque essere applicata esclusivamente all'atman/ brahman e in ultima analisi allo sviluppo della siddha deha o siddha svarupa, proprio come Patanjali spiega proprio nei primi versi dei suoi Yoga sutra (1.2-4): yogas citta vritti nirodhah, tada drastuh sva rupa avasthanam, vritti sarupyam itiratra, "Yoga è la dissoluzione delle onde della mente, per cui la propria vera forma viene rivelata, poiché le onde della mente sono identificazioni sovrapposte". La confusione (moha) menzionata in questo verso è la radice di ogni ignoranza, che consiste nell'identificazione con il corpo e la mente materiali, che crea un senso errato di soggettività nell'azione e attaccamenti (ahankara e mamatva). Quando tale confusione è dissipata, la percezione del proprio vero sé appare chiaramente come un ricordo riflesso del param atman: sarvasya caham hridi sannivisto mattah smritir jnanam apohanam ca, vedais ca sarvair aham eva vedyo vedanta krid veda vid eva caham, "Io sono situato nel cuore di tutti/ ogni cosa, e da me provengono la memoria, la conoscenza e l'oblio. Io sono lo scopo dello studio di tutti i Veda. Io sono certamente il creatore del Vedanta, e colui che conosce i Veda." (5.15). In quel verso, Krishna affermava chiaramente che per conoscerlo (come atman/ brahman), è necessario studiare tutti i Veda e il Vedanta. In queste scritture autentiche e originarie, le realizzazioni dei grandi Rishi e tattva darshi sono presentate con grande cura e attenzione, con esempi e discussioni che sono specificamente intese ad aiutarci a comprendere l'argomento ed evitare equivoci e idee sbagliate che creano dubbi a causa della dissonanza con la voce del param atman. 323 Parama Karuna Devi Dopo aver raggiunto il livello autentico della realizzazione del sé (atman/ brahman), si diventa veramente capaci di impegnarsi nel servizio devozionale al Supremo, come abbiamo già visto nel verso 18.54: brahma bhutah prasannatma na socati na kanksati, samah sarvesu bhutesu mad bhaktim labhate param, "Chi è stabilito nello stato del Brahman è soddisfatto nel sé, non si lamenta e non aspira a nulla, è ugualmente ben disposto verso tutti gli esseri e ottiene la devozione trascendentale per me." VERSO 74 sanjayah uvaca: Sanjaya disse; iti: così; aham: io; vasudevasya: del figlio di Vasudeva; parthasya: del figlio di Pritha; ca: e; mahatmanah: la grande anima; samvadam: la conversazione; imam: questa; asrausam: che ho ascoltato; adbhutam: meravigliosa; roma harsanam: da far rizzare i capelli. Sanjaya disse: "Ho così ascoltato questa conversazione tra Vasudeva e Arjuna, la grande anima. E' tanto meravigliosa che mi si rizzano i capelli. Il testo della Bhagavad gita iniziava con il vecchio Dhritarastra, reggente al trono, che chiedeva al suo assistente Sanjaya di 324 Bhagavad gita: capitolo 18 parlargli degli eventi che si stavano svolgendo a Kurukshetra: dhritarastra uvaca, dharma ksetre kuru ksetre samaveta yuyutsavah, mamakah pandavas caiva kim akurvata sanjaya, Dhritarastra disse: "O Sanjaya, cosa hanno fatto i miei figli e i figli di Pandu, dopo essersi riuniti nel luogo sacro al Dharma, il campo di battaglia di Kurukshetra, pronti a combattere?" (1.1). Sanjaya aveva continuato descrivendo gli avvenimenti introduttivi (1.24, 1.47, 2.1, 2.9) e testimoniando la manifestazione della Virata Rupa e della forma di Vishnu (11.9, 11.35, 11.50). Ora che la conversazione centrale tra Krishna e Arjuna è conclusa, troviamo Sanjaya che esulta per le meravigliose rivelazioni che ha ascoltato ed esprime la propria gratitudine per la sua guida spirituale, Veda Vyasa, per la cui bontà ha ottenuto una tale benedizione, come dirà nel verso seguente. Troviamo qui parecchie parole interessanti, la prima delle quali è vasudeva, che contiene due significati differenti e complementari. A livello ordinario, Vasudeva (con una prima "a" lunga) è il nome patronimico di Krishna, come "figlio diVasudeva" (con una prima "a" corta). Al proposito, possiamo ricordare che il padre di Krishna, Vasudeva, era il fratello di Kunti, madre di Arjuna e degli altri Pandava, e che Pritha è un altro nome di Kunti. Dunque usando i due nomi Vasudeva e Partha, Sanjaya sta mettendo in luce la forte relazione familiare tra Krishna e Arjuna, che sono cugini di primo grado oltre che amici intimi. A un livello simbolico più profondo, il nome Vasudeva è un appellativo di Vishnu che significa "onnipresente" e si riferisce alla qualità onnipervadente della coscienza Brahman-ParamatmaBhagavan. In relazione con questo significato, il nome Pritha o Prithivi (che significa "la vasta") può essere interpretato come un riferimento a Madre Terra, e quindi Arjuna viene a rappresentare tutti i narah, gli esseri umani che vivono su questo pianeta come "figli di Madre Terra". Sulla base di questa particolare 325 Parama Karuna Devi interpretazione, è molto interessante notare l'attributo di mahatmanah (maha atmanah, "il grande atman") riferito ad Arjuna, a indicare che Arjuna, pur essendo figlio della Madre Suprema, non è semplicemente un jiva atman ma è in realtà shiva tattva, la manifestazione del param atman in questo universo materiale come param guru di tutti gli esseri viventi. Il Bhagavata Purana (4.1.59, 10.69.16, 10.89.59) afferma chiaramente che Krishna e Arjuna sono Nara e Narayana Rishi, i due grandi insegnanti spirituali ai quali si rende omaggio prima di iniziare a studiare le scritture (1.2.4, 5.19.11, 8.16.34, 10.86.35, 11.5.29-30, e l'intero capitolo 8 del dodicesimo canto). Erano apparsi come i figli gemelli di Dharma e Murti, figlia di Daksha (1.3.9, 11.4.6) e secondo il Bhagavata Purana (12.4.41) insegnarono tutti i Purana a Narada, che a sua volta li trasmise a Vyasa. Indirettamente, Sanjaya sta avvertendo Dhritarastra che Krishna e Arjuna non sono persone ordinarie, poiché la loro conversazione è così straordinaria che un'anima sincera sarà invasa dall'estasi nell'ascoltarla e ricordarla ancora e ancora. Dhritarastra dovrebbe dunque comprendere che il suo malvagio figlio Duryodhana sta gravemente sottovalutando i Pandava e Krishna, e sta facendo un terribile errore muovendo guerra contro di loro in modo così ingiusto. Sarà certamente sconfitto, perché ovunque si trovano Krishna e Arjuna, ci sarà certamente sempre la vittoria. La descrizione dei capelli che si rizzano si trovava anche nel primo capitolo (1.29) che descriveva la profonda angoscia di Arjuna nel vedere tutti coloro che erano venuti sul campo di battaglia pronti a morire: sidanti mama gatrani mukham ca parisusyati, vepathus ca sarire me roma harsas ca jayate, "Sento le mie membra perdere forza e la mia bocca è secca. Il mio corpo trema e mi si rizzano i capelli". Questo sintomo, che si verifica non solo sul cuoio capelluto ma anche su altre parti del corpo anche prive di peli (ed è 326 Bhagavad gita: capitolo 18 quindi chiamato "pelle d'oca") è dovuto a una forte emozione che muove i prana nel corpo ed è accompagnata da respirazione irregolare (temporaneamente sospesa, rallentata o accelerata in modo considerevole). Molte emozioni positive o negative possono avere tale effetto, sia sul livello materiale che su quello spirituale, e in effetti si tratta di uno dei principali sintomi dell'estasi spirituale. Altri sono la perdita della coscienza esteriore (svenimento), lacrime, tremiti, spezzarsi della voce, contrazione dei muscoli, e allargamento di occhi, bocca e narici, sudore caldo o freddo, arrossamento della pelle, e così via. VERSO 75 vyasa prasadat: per la grazia di Vyasa; srutavan: uno che ascolta; etat: questo; guhyam: segreto; aham: io; param: supremo/ trascendentale; yogam: yoga; yoga isvarat: dal Signore dello yoga; krsnat: da Krishna; saksat: direttamente; kathayatah: parlando; svayam: personalmente. "Per la grazia di Vyasa ho potuto ascoltare questo supremo segreto trascendentale dello yoga direttamente dalle parole pronunciate personalmente da Krishna, il Signore dello yoga. Sanjaya è certamente un'anima sincera, poiché Veda Vyasa gli ha dato il potere di ascoltare gli insegnamenti di Krishna; sappiamo da altri passi del Mahabharata che tentò varie volte di incoraggiare Dhritarastra a riconsiderare la propria posizione e correggere suo 327 Parama Karuna Devi figlio. Il saggio Vidura aveva fatto la stessa cosa fino al giorno in cui venne apertamente insultato dal nipote Duryodhana. Non è detto esplicitamente, ma possiamo facilmente immaginare che Vyasa, che era padre di Vidura (come pure di Pandu e Dhritarastra) e una grande personalità spirituale con una visione molto chiara del dharma, debba aver avuto conversazioni profonde e significative con Sanjaya in occasione delle sue visite ad Hastinapura, e gli abbia raccomandato di tenere d'occhio la famiglia. In tal caso, gli aveva certamente dato gli strumenti per compiere tale funzione. Nel nostro commento al primo capitolo abbiamo elaborato sulla posizione di Sanjaya come una combinazione di segretario, consigliere, autista e messaggero. Nel sistema di governo vedico un mantri (termine usato oggi con il significato di "ministro") è il fidato sostenitore, compagno costante e assistente personale di uno kshatriya dell'ordine regale. La posizione di mantri poteva essere occupata da un brahmana o da un sudra, con funzioni specifiche basate sul guna e karma dell'individuo. Un brahmana mantri è principalmente un consigliere, e porta messaggi di grande importanza per cui il destinatario potrebbe aver bisogno di buoni consigli materialmente o spiritualmente, o di ulteriori spiegazioni sul significato del messaggio stesso. Un sudra mantri consegna messaggi ordinari o semplici ordini, e si occupa delle necessità personali del re, guida il suo carro, custodisce le sue armi e così via. In entrambi i casi, si tratta di una posizione di grande importanza per un uomo di cui il re si poteva fidare pienamente per la sua stessa vita, e quindi richiede una profonda intelligenza e completa lealtà. In questo verso e in quello precedente, gli insegnamenti di Krishna ad Arjuna sono descritti come etad guhyam e imam samvadam; etad e imam sono rispettivamente la forma femminile e maschile 328 Bhagavad gita: capitolo 18 dello stesso pronome che significa "questo", e alcuni commentatori hanno messo in luce questo fatto per mostrare come gli insegnamenti di Krishna siano perfettamente equilibrati e inclusivi. Altri commentatori hanno visto l'espressione di gratitudine di Sanjaya verso Vyasa come indicazione dell'importanza suprema della discendenza ufficialmente riconosciuta nella trasmissione della conoscenza o guru parampara, ma questo non è il sistema vedico originario. Qui Sanjaya ricorda soltanto Vyasa, e non un'intera linea di guru dai quali Vyasa avrebbe ricevuto la propria autorità. Dobbiamo comprendere che Vyasa è il guru originario - un fatto espresso efficacemente dalla tradizionale celebrazione del Vyasa puja in cui Veda Vyasa è onorato come il guru supremo di tutti i guru, e non un semplice rappresentante o anello in una catena di successione disciplica. Certo, quando questa tradizione viene distorta e sfruttata, il concetto di Vyasa puja dimentica completamente Vyasa e conserva soltanto il vyasa asana, "il seggio/ la posizione di Vyasa", adorando chiunque lo occupi, legittimamente o illegittimamente, e chiamandolo "il supremo guru universale". Persino il giorno della celebrazione viene spostato per adattarsi alla data di nascita di quell'individuo, così che l'intero esercizio diventa una specie di festa di compleanno con tinte religiose, con una grande torta e regali e zero illuminazione spirituale. Come vediamo in questo verso e in tutti gli altri passi degli shastra autentici, ciascun discepolo ha il pieno diritto di avere una relazione personale diretta con il proprio guru, sia che questo guru sia presente in un corpo materiale oppure no - una relazione nella quale nessun altro ha alcun diritto di interferire. La relazione tra guru e sisya è la relazione più profondamente personale che possa mai esistere, e in nessuna circostanza dovrebbe essere trasformata in un giuramento di obbedienza istituzionale collettiva o una 329 Parama Karuna Devi proprietà o bene commerciabile. Purtroppo, alcune persone sono state indotte a credere che la trasmissione della realizzazione spirituale può essere fatta per delega o diritto ereditario da qualche specie di autorità ufficiale basata esclusivamente sui meriti e sulle qualificazioni di un predecessore o predecessori. Questo concetto illusorio esagera l'importanza del "lignaggio spirituale" a un punto che non ha niente a che vedere con il sistema vedico, e anzi è piuttosto tipico delle ideologie abramiche, in cui i preti non hanno bisogno di essere particolarmente qualificati personalmente, ma devono essere obbediti e adorati in modo assoluto, perché si presentano come i rappresentanti esclusivi di Dio attraverso il fondatore storico della loro particolare setta. Questo trucco si chiama "truffa per sostituzione di prodotto" perché attira seguaci presentando una figura deificata del fondatore (messia, profeta, acharya e così via) come il perfetto maestro che tutto dovrebbero seguire, gonfiando il carisma personale del suo personaggio con storie, citazioni e informazioni che non possono essere verificate poiché il fondatore è ormai scomparso e non può essere contattato in modo ordinario. Poi, quando l'ingenuo seguace è stato convertito (e non può andarsene, sotto pena di persecuzione o persino morte), i preti appendono il ritratto del fondatore un po' più in là e prendono la sua posizione, per dare ordini e accettare adorazione in suo nome, e se qualcuno ha delle obiezioni contro le loro stupidaggini, viene accusato di bestemmiare contro il santo fondatore e la sua intera famiglia o lignaggio e contro Dio stesso. Per la stessa ragione alcuni commentatori hanno tradotto con notevole libertà di interpretazione diversi passi degli shastra, per esempio il verso 4.34 della Bhagavad gita (presentato da loro come il verso più importante dell'intero testo) in cui usano il singolare invece della forma plurale, per dare l'impressione che un 330 Bhagavad gita: capitolo 18 sincero ricercatore spirituale debba limitare la propria scelta a un solo guru specifico che viene presentato come l'esclusivo o unico rappresentante "autorizzato" di Krishna. I fatti reali sono piuttosto differenti. In quel verso Krishna parla di "coloro che contemplano direttamente la verità" (tattva darsinah), e la diksha che offrono (upadekshanti) è conoscenza (jnana), e non un riconoscimento di appartenenza e obbedienza a una particolare setta che si presenta come la portatrice indiscutibile della verità assoluta. Fondamentalmente, la lettura autentica di quel verso distrugge la finzione di coloro che (pur ammettendo di non essere qualificati come tattva darshi) affermano di essere i guardiani ufficiali autorizzati di una particolare discendenza in cui l'acharya fondatore era un tattva darshi, così che chiunque desideri essere ammesso nel "popolo eletto" può soltanto ricevere l'iniziazione attraverso di loro. Questa è l'evidenza di come in Kali yuga la gente ha una forte tendenza a prendere o conservare soltanto il peggio da tutti i gruppi e rifiutare qualsiasi cosa buona si possa trovare in un gruppo o nell'altro. In questo modo, qualcuno che è insoddisfatto di un vecchio sistema avvicina un sistema nuovo e ne assorbe soltanto quei concetti, credenze, atteggiamenti e pratiche che sembrano attraenti o compatibili con la sua mentalità precedente. Senza comprendere cosa fosse sbagliato nel sistema vecchio e cosa potrebbe essere sbagliato in quello nuovo, una persona sciocca e ignorante si limita a raccogliere spazzatura e rovina tutto. L'idea di una persona non qualificata che dà diksha alle nuove generazioni in nome della propria discendenza materiale da qualche antenato qualificato vissuto in tempi antichi si trovava tipicamente tra i brahmini di casta illusi e afflitti da un pesante pregiudizio di identificazione corporale. 331 Parama Karuna Devi Poiché questa grave deviazione aveva indebolito moltissimo l'efficacia della tradizione induista, alcuni grandi riformatori religiosi si sono distaccati dall'etichetta dell'induismo e hanno riconfezionato la Bhagavad gita per renderla più attraente per gli occidentali (specialmente per i cristiani protestanti anglo-sassoni negli Stati Uniti, la nazione che a quei tempi era considerata il modello di sviluppo e civiltà). La strategia presentava dei vantaggi: eliminazione dei pregiudizi e privilegi di nascita, sviluppo di uno spirito di unità e comunità, enfasi sul servizio e il lavoro sincero, studio diretto delle scritture, e così via. Purtroppo, a causa della mancanza di vere realizzazioni nei seguaci, l'idea originaria si è persa e gli aspetti esteriori hanno acquisito maggiore importanza, fino al punto di duplicare la mentalità da chiesa e tutti i suoi difetti. Ora che l'influenza cristiana è stata spezzata da una diffusa evoluzione della consapevolezza e conoscenza, e la gente è veramente interessata al sistema vedico originario, gli sciocchi eredi dei grandi riformatori induisti rimangono attaccati alla vecchia confezione e hanno perduto il vero contenuto prezioso che doveva trasportarlo e conservarlo. VERSO 76 rajan: o re; samsmrtya samsmritya: ricordando ancora e ancora; samvadam: la conversazione; imam: questa; adbhutam: 332 Bhagavad gita: capitolo 18 meravigliosa; kesava arjunayoh: di Kesava e Arjuna; punyam: meritoria; hrisyami: provo una grande gioia; ca: e; muhur muhuh: ancora. "O re, ogni volta che penso a questa straordinaria conversazione sacra tra Kesava e Arjuna, provo una grande gioia. Dhritarastra non è realmente il sovrano legittimo, perché era nato cieco e quindi non avrebbe mai potuto tenere attentamente d'occhio il regno e impegnarsi in battaglia per proteggerlo. Questa è la ragione per cui il suo fratello più giovane, Pandu, era salito al trono, e i suoi figli i Pandava erano gli eredi legittimi; Dhritarastra doveva semplicemente occuparsi dell'amministrazione con l'aiuto di Bhishma e Vidura fino al momento in cui i Pandava fossero diventati maggiorenni e capaci di assumersi la responsabilità del trono. Sanjaya però ha un affetto sincero per il vecchio reggente e lo chiama "re" per fargli piacere e per sostenere la sua autostima. E' importante notare che il rispetto e l'affetto di Sanjaya per il vecchio non gli impedisce di avere una chiara visione dei fatti reali, e non lo spinge all'adulazione e alle menzogne compassionevoli, perché sta dicendo chiaramente a Dhritarastra che Krishna e Arjuna sono personalità straordinarie e che vinceranno la battaglia contro Duryodhana, il figlio di Dhritarastra. Le persone sentimentali credono che se si ama e rispetta qualcuno, specialmente gli anziani, non bisogna procurare loro un dispiacere rivelando verità dure, perché ciò può essere interpretato come un tradimento. Si tratta di un'idea illusoria, estremamente pericolosa, paragonabile alla scelta stupida di un medico che rassicura il paziente dicendogli che sta benissimo quando in realtà si trova in punto di morte. Dov'è il beneficio? 333 Parama Karuna Devi Lo scopo della vita umana consiste nel superare l'ignoranza e raggiungere la liberazione dai condizionamenti e dalle identificazioni materiali. Se falliamo in questa impresa, la nostra vita umana è andata sprecata e non ha maggior valore della vita di qualsiasi animale; questa consapevolezza è naturalmente parte della nostra coscienza originaria e intrinseca, perciò negarla o impedire a qualcuno di rendersene conto non è certamente una prova d'amore. Se i vostri parenti anziani hanno bisogno di incoraggiamento per risvegliarsi alla realtà della vita e impegnarsi nel progresso spirituale, dovreste essere pronti a dare loro buone istruzioni, anche se molto rispettosamente e gentilmente. Nella tradizione vedica, la definizione di vriddha ("anziano") non si riferisce all'età del corpo ma all'accumulo di conoscenza e saggezza (jnana vriddha); se qualcuno segue correttamente il sistema vedico, gli anni saranno dedicati ad acquisire maggiore conoscenza e saggezza, ma certe persone con l'età diventano semplicemente senili. Alcuni commentatori hanno tradotto samvada come "messaggio" o persino "vangelo" (poiché il termine greco evangelos significa "buona notizia" o "buon messaggio"), ma ciò può confondere la mente delle persone. Il termine samvada è una combinazione di sam ("insieme", "con") e vada ("discorso"), perciò significa "conversazione" e può venire esteso al significato di "notizia" soltanto quando una persona sta dando informazioni a qualcun altro e ne discutono insieme. L'espressione muhuh muhuh ("ancora e ancora") indica che gli insegnamenti di Krishna dovrebbero essere ricordati ad ogni istante, costantemente, o perlomeno dovrebbero essere studiati più volte. Il metodo standard per studiare le scritture vediche richiede almeno 3 letture di ciascun testo, dall'inizio alla fine; i versi dovrebbero essere studiati sia singolarmente che nel contesto, separatamente e insieme, finché diventa chiaro il significato 334 Bhagavad gita: capitolo 18 dell'intera discussione. E' buona pratica anche memorizzare i versi importanti, ripetendo ogni riga 10 volte e poi ripetendo l'intero verso 10 volte. Il termine punya si riferisce al merito acquisito compiendo una buona azione, e indica che studiando gli insegnamenti di Krishna si acquisiscono meriti virtuosi, come i buoni effetti che si ottengono compiendo yajna, tapah e dana. Krishna ha già detto che considera lo studio sincero della Bhagavad gita come una forma perfettamente legittima di adorazione rivolta a lui, e questo verso conferma che si tratta di una autentica pratica religiosa in sé. L'accumulo di questi punya o meriti virtuosi crea un movimento positivo nella nostra vita e ci eleva a una futura nascita migliore, ai pianeti superiori e alla liberazione dai condizionamenti materiali: tutto ciò grazie al potere della conoscenza, che brucia tutta l'ignoranza e il cattivo karma (4.19, 4.37). La parola hrishyami ("gioisco") indica che la conoscenza e realizzazione trascendentale è la vera fonte di felicità. Le persone intelligenti non cercano la felicità nei piaceri materiali, che dipendono dal contatto dei sensi con gli oggetti materiali e sono quindi temporanei (5.22). Questa situazione instabile produce un movimento costante (rajas) e il movimento causa emozioni, specialmente avidità, paura e ansietà; soltanto quando tali emozioni si sono calmate ci può essere pace, e finché non c'è pace non ci può essere felicità (2.66, 4.40). Non dovremmo pensare che la vita spirituale e la conoscenza trascendentale siano prive di piacere e felicità - anzi, l'atman/ brahman è la vera fonte della pura felicità, che è libera da ogni condizionamento e quindi perfetta ed eterna, come conferma il Bhagavata Purana (ahaituki apratihata yayatma suprasidati, 1.2.6). Krishna aveva già dichiarato che lo yoga è una via felice (9.2) e che la vera felicità si trova nella libertà dai condizionamenti e nella 335 Parama Karuna Devi coscienza suprema dell'atman/ brahman (4.38, 5.13, 5.21, 5.23, 5.24, 6.21, 6.27, 6.28, 14.27). L'esistenza trascendentale è definita come sat ("esistenza"), cit ("coscienza") e ananda ("felicità"). Qui Sanjaya conferma che ascoltando sinceramente la conversazione tra Krishna e Arjuna è possibile ragiungere facilmente questa esistenza trascendentale di eternità e coscienza, che costituisce lo scopo ultimo della vita umana. VERSO 77 tat: quello; ca: e; samsmrtya samsmrtya: ricordando ancora e ancora; rupam: la forma; ati adbhutam: molto meravigliosa; hareh: di Hari; vismayah: stupefazione; me: mia; mahan: grande; rajan: re; hrisyami: sono pieno di gioia; ca: e; punah punah: ancora e ancora. "O grande re, pensando costantemente alla meravigliosa forma di Hari, sento ondate di gioia e di sorpresa, ancora e ancora. Il verso precedente diceva, samsmritya samsmritya ("ricordando ancora e ancora") e hrishyami ca muhur muhuh ("provo gioia ancora e ancora"), e questo verso ripete, samsmritya samsmritya e hrishyami ca punah punah. Tale ripetizione non costituisce un difetto letterario, ma piuttosto esprime la grande importanza e meraviglia degli insegnamenti di 336 Bhagavad gita: capitolo 18 Krishna; il verso precedente diceva adbhutam ("meraviglioso") e questo verso riecheggia ati adbhutam ("molto meraviglioso"). Questa emozione travolgente è l'estasi della meraviglia (vismaya) che sorge della coscienza e realizzazione trascendentale. Abbiamo parlato dello spandakarika che è la pulsazione della felicità orgasmica nell'unione tra l'atman e il brahman, tra shakti e shaktiman, ma qui l'estasi nasce dalla realizzazione dell'unità intrinseca e inerente di atman e brahman. Ci può essere soltanto unione, poiché sono la stessa cosa, sebbene danzino l'uno con l'altro nella rasa lila che consiste nel gustare i sentimenti (rasas) della consapevolezza suprema: raso vai sah, rasam hi evayam labdhva anandi bhavati, "E' gusto, e chi ottiene questo gusto diventa felice", (Taittirya Upanishad, 2.7.1). Questa danza eterna è la forma di Hari (rupam hareh), poiché la forma è prakriti e shakti; è la Madre che dà il corpo e tutto ciò che è collegato con il corpo, sia sul livello spirituale che sul livello materiale (4.9, 7.25, 9.10, 13.20, 13.22, 13.27, 14.4, 18.61). E' soltanto attraverso l'agenzia della Madre che l'atman nasce dal brahman e si unisce nuovamente con il brahman; la devozione è Bhakti Devi, il piacere spirituale è Hladini Shakti, e la conoscenza è Sri Vidya. Nel suo aspetto di Mahamaya, la Madre agisce nel mondo materiale e manifesta i corpi materiali, mentre nel suo aspetto di Yogamaya agisce nel mondo spirituale e manifesta i corpi spirituali. I guna (qualità, poteri, energie) trascendentali di sat (esistenza della relazione del Supremo con le sue parti), cit (conoscenza e coscienza) e ananda (felicità e piacere spirituali) sono dunque rispettivamente bhakti, vidya e hladini shakti. Yogamaya è la "magia di unione" che manifesta tutte le forme spirituali, le attività, gli attributi e così via, a livello spirituale. Senza Yogamaya, Vishnu non avrebbe forma, poiché Yogamaya è 337 Parama Karuna Devi la forma stessa, Bhumarupa ("la cui forma consiste in tutto ciò che esiste") e Linga Bhairavi ("la forma senza forma del Tempo"). Yogamaya manifesta sia le forme spirituali che quelle materiali, come conferma il Devi mahatmya del Markandeya Purana: sarva svarupe sarvese sarva sakti samanvite, "tu esisti come la forma di ogni cosa, governi ogni cosa, possiedi ogni potere" (11.24) e visnuh sarira grahanam aham isana eva ca karita aste, "tu hai fatto prendere forma a Vishnu, a Shiva e a me (Brahma)" (1.84). Un'altra corrispondenza significativa in questi due ultimi versi collega la forma di Hari con Kesava e Arjuna contemporaneamente. Sappiamo che Hari è adorato principalmente come l'aspetto di Vishnu che costituisce la forma composita di HariHara, rappresentata nel verso precedente da Krishna e Arjuna, che sono Narayana e Nara, cioè Vishnu e Shiva. Insieme con Adi Shakti, Yogamaya, costituiscono la Triade conosciuta anche come Jagannatha Purushottama, la Personalità suprema di Dio, che protegge l'universo intero. VERSO 78 yatra: dove; yoga isvarah: il Signore dello yoga; krsnah: Krishna; yatra: dove; parthah: il figlio di Pritha; dhanur dharah: che porta l'arco; tatra: là; srih: prosperità; vijayah: vittoria; bhutih: gloria; dhruva: certa/ permanente; nitih: moralità; matih: opinione; mama: mia. 338 Bhagavad gita: capitolo 18 "Dovunque ci siano Krishna, il Signore dello yoga, e Arjuna il grande arciere, ci saranno prosperità, vittoria, gloria, determinazione e moralità. Questa è la mia opinione. Questo verso che conclude il testo della Bhagavad gita è una benedizione e un phala sruti, la dichiarazione dei meriti del contatto con Krishna e Arjuna attraverso la lettura e il ricordo della loro conversazione. Lo affermava già il verso 18.71: sraddhavan anasuyas ca srinuyad api yo narah, so 'pi muktah subhal lokan prapnuyat punya karmanam, "Qualsiasi essere umano ascolterà questa discussione con fede, libero da invidia e ostilità, diventerà liberato e raggiungerà i pianeti propizi di coloro che hanno compiuto attività virtuose." Secondo la tradizione vedica, i testi sacri sono accompagnati da alcuni versi che affermano che lo studio e la recitazione di quel testo porterà meriti virtuosi, e ogni successo materiale e spirituale. Non bisogna interpretare queste affermazioni come l'indicazione di qualche specie di incantesimo magico che possiamo usare per ottenere i benefici egoistici che desideriamo, ma piuttosto come la potenza purificatrice della conoscenza trascendentale che ci solleverà dai guna inferiori fino a sattva e poi a visuddha sattva. Così, più investiamo la nostra attenzione sincera e la nostra intelligenza nello studio della Bhagavad gita, più riceveremo i suoi effetti benefici. Una recitazione meccanica porterà soltanto risultati limitati, mentre il vero impegno sulla via dello yoga descritta da Krishna darà il beneficio maggiore: vedesu yajnesu tapahsu caiva danesu yat punya phalam pradistam, atyeti tat sarvam idam viditva yogi param sthanam upaiti cadyam, "Uno yogi ottiene benefici maggiori di quelli acquisiti attraverso le attività virtuose prescritte (punya) come la recitazione dei Veda, il compimento di yajna, 339 Parama Karuna Devi l'impegno nell'austerità e la distribuzione di carità. Sapendo tutto questo, lo yogi raggiunge la posizione suprema e originaria." (8.28). Il nome yogesvara che indica qui Krishna è apparso anche nel capitolo sulla forma universale, menzionato sia da Arjuna che da Sanjaya: manyase yadi tac chakyam maya drastum iti prabho, yogesvara tato me tvam darsayatmanam avyayam, "O Signore, maestro supremo dello yoga, se tu pensi che io sia capace di vederla, ti prego di farmi avere la visione diretta del tuo sé imperituro" (11.4) e sanjaya uvaca, evam uktva tato rajan maha yogesvaro harih, darsayam asa parthaya paramam rupam aisvaram, Sanjaya disse, "O re, dicendo queste parole Hari, il grande Signore dello yoga, mostrò ad Arjuna la forma suprema e maestosa" (11.9). Possiamo dunque comprendere che il significato più profondo dello yoga è l'acintya bheda abheda tattva della simultanea unità e distinzione tra Purusha e Prakriti, tra Para e Apara, per la quale gli yogi diventano capaci di vedere il Purushottama in ogni cosa (4.35, 5.7, 5.18, 5.19, 6.29, 6.30, 6.31, 6.32, 7.7, 7.10, 7.19, 8.22, 9.4, 9.5, 9.6, 10.3, 10.15, 10.16, 10.20, 10.39, 11.7, 11.11, 11.13, 11.15, 11.16, 11.20, 11.23, 11.40, 13.14, 13.15, 13.16, 13.17, 13.18, 13.28, 13.29, 13.31, 13.34, 15.13, 15.15, 15.19, 18.20, 18.46, 18.61, 18.62). Sono i Rishi, "coloro che vedono", la cui coscienza è sempre unita alla Coscienza suprema, che è la totalità dell'Esistenza (advaya vastu). E' molto interessante notare che vicino a Krishna chiamato yogesvara, Arjuna viene menzionato con i nomi di partha ("figlio di Pritha") e dhanur dhara ("che porta l'arco"), per ricordarci che l'intera Bhagavad gita fu enunciata allo scopo di incoraggiare Arjuna ad impegnarsi nella dharma yuddha ("battaglia etica") per proteggere la Terra. 340 Bhagavad gita: capitolo 18 Contrariamente a ciò che pensano molte persone, gli insegnamenti di Krishna non sono intesi a convincerci ad abbandonare il mondo e i nostri doveri verso la comunità universale in nome di qualche vaga spiritualità e rinuncia. Ciò viene dimostrato chiaramente dal fatto che al termine della conversazione, Arjuna afferma che è ora pronto a impegnarsi in battaglia, e certamente ha afferrato il suo famoso arco Gandiva, che aveva lasciato cadere all'inizio della narrazione (1.30). Anche noi siamo chiamati a fare la stessa cosa. In questo sacro dovere, dovremmo ricordare il Supremo al quale stiamo offrendo il nostro sacrificio, e anche la Shakti che ci impegna in tale servizio. Ecco perché dovunque ci sia il bhoktri (l'oggetto dell'amore) e il bhakta (la persona che ama), ci deve essere bhakti (amore). La Dea suprema, l'Adi Para Shakti, è conosciuta anche come Mahalakshmi; i suoi nomi sono molti e tutti di buon augurio. Sri significa "opulenza, bellezza, prosperità, benedizione" e in questa forma la Dea Madre accompagna il nome di tutte le persone buone, maschi e femmine, come possiamo vedere nella tradizione indiana e specialmente nel titolo di sri yukta ("unito a Sri") usato per indicare gli uomini sposati, che hanno integrato la propria vita e la propria energia con il potere femminile e che sono quindi qualificati (adhikari) a compiere i rituali sacri. Anche il nome Vijaya ("vittoria") è caratteristicamente associato con Lakshmi, specialmente nella forma della Dea Madre adorata da re e protettori della terra e dei suoi praja. La parola bhuti significa letteralmente "potere", specialmente nel senso di "espansione, prosperità, crescita, sviluppo, evoluzione"; è strettamente collegata con la parola vibhuti che segna il titolo del capitolo 10. Ricordiamo che quando Arjuna chiese a Krishna istruzioni specifiche per la meditazione (10.17), Krishna gli disse di meditare sulla sua vibhuti (10.19), descritta nei capitoli 10 e 11. Questa istruzione è diretta anche a noi, e dovremmo seguirla. 341 Parama Karuna Devi Osservando sinceramente questa istruzione in modo determinato e costante (dhruva), saremo sempre situati sul livello più alto di moralità (niti) perché il nostro comportamento verso tutti gli esseri sarà il servizio pieno di amore e devozione che offriamo al Supremo. Tale consapevolezza include tutte le altre forme di dharma: yavan artha udapane sarvatah samplutodake, tavan sarvesu vedesu brahmanasya vijanatah, "Qualsiasi valore si trovi in un laghetto si trova anche, ad ogni effetto pratico, anche in un grande lago, e similmente ciò che è contenuto in tutti i Veda si può trovare in una persona che ha realizzato la conoscenza del Brahman" (2.46). Il fatto che niti sia unita a dhruva indica che tale moralità non è semplicemente una questione di etichetta sociale o una posizione temporanea e relativa, ma è eterna. Questa è l'opinione di Sanjaya, e anche l'opinione dei grandi Rishi e Acharya. 342