LaStampa_”E` importante la fibra anche ai pastori”

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LaStampa_”E` importante la fibra anche ai pastori”
LA STAMPA
VENERDÌ 11 MARZO 2016
Primo Piano .7
.
UN FUTURO POSSIBILE
Più export a innovazione Leader
delle imprese green
nei prodotti
alimentari
EXPORT
77 PRODOTTI
AGROALIMENTARI
23 al 1° posto
24%
44,3%
INNOVAZIONE
14,9%
Imprese
non green
Imprese
green
28,8%
Pasta
54 sul podio
Pomodori
Insaccati
Ortaggi
Aceto
Vinoo
Fagioli
Ciliegie
Sardine
FONDAZIONE SYMBOLA /ASSOLOMBARDA
LE INTERVISTE
Confindustria non sceglie
presidenti di società
quotate, non va bene
Piccola produzione
artigianale e industria
possono convivere
Alberto Bombassei
Carlo Petrini
Patron della Brembo
e parlamentare di Scelta Civica
Fondatore e presidente
internazionale di Slow Food
MARCO ALPOZZI/LAPRESSE
IMAGOECONOMICA
“Ma le imprese devono
diventare più grandi”
“È importante portare
la fibra anche ai pastori”
Alberto Bombassei: “L’informatizzazione
è opportunità, non perdita di occupazione”
Carlo Petrini: “Attenzione a non puntare
su un’economia sostenibile solo di facciata”
FRANCESCO SPINI
MILANO
«Sono sempre stato convinto
che il successo sia frutto anche
della capacità di interpretare i
cambiamenti e trasformarli in
opportunità». Secondo Alberto
Bombassei, patron della Brembo e parlamentare di Scelta Civica, l’analisi del professor Deaglio, con l’idea di puntare sull’agro-alimentare per ambire a
una crescita del 2%, «è suggestiva e convincente». Ma, aggiunge l’imprenditore, «non
posso non sottolineare come,
quel poco di crescita che stiamo
registrando, arriva in buona
parte dalla cara e vecchia automobile, e comunque dalla tantissima meccanica d’eccellenza
che il Paese sa esprimere, oltre
che dalla farmaceutica».
Ingegner Bombassei, resteremo legati alla nostra classica
manifattura?
«Non solo. Credo che la strada
tracciata da Expo vada ali-
mentata. Proprio in quell’occasione avevo provato a promuovere al Kilometro Rosso una
grande esposizione della meccanica legata all’alimentare e all’agricoltura. Non ce l’abbiamo
fatta, ma ero e sono convinto
che l’eccellenza italiana in quei
settori, che vanno dalle macchine per il packaging a quelle per
l’agricoltura, vada valorizzata».
Dopo la crisi, l’industria italiana
può ancora fare la differenza?
«Ne sono certo. Nonostante
nessuno tra gli imprenditori lo
ammetta apertamente, il grande problema è quello delle dimensioni delle nostre imprese.
Mentre la cultura dell’internazionalizzazione comincia ad affermarsi, sono troppi quelli che,
magari dicendo che le condizioni non glielo permettono, non
hanno una vera tensione verso
la crescita dimensionale. Non
mi ricordo da quanto tempo
Confindustria non sceglie un
presidente titolare di un’azien-
da quotata. Credo che anche
questo sia un segnale».
E la politica? In Europa si parla di
un’industria 4.0...
«Una profonda digitalizzazione
della società e del sistema produttivo rappresenta una straordinaria opportunità, l’argomento è stato finalmente affrontato in modo serio anche
nella commissione Attività Produttive della Camera: forse anche la politica si sta accorgendo
che è un treno che non possiamo perdere».
Vede delle resistenze?
«Dobbiamo combattere i preconcetti, spesso riguardano il rischio di veder ridotta l’occupazione a causa di sistemi produttivi sempre più automatici e robotizzati. Non è così: l’occupazione
crescerà, e anche in modo significativo, ma i profili e le competenze dovranno essere molto diversi. La scuola deve saper accompagnare questo processo».
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ROBERTO FIORI
ALBA
«Il futuro è contadino». Carlo
Petrini ce lo dice al telefono,
mentre sta viaggiando verso
Noli. Difficile dargli torto, visto
che con lui in auto c’è Quinto
Chionetti, il patriarca del Dolcetto di Dogliani. «Andiamo a
mangiare i pesci per festeggiare i suoi novant’anni».
Ma al di là della prova provata,
condivide l’analisi di Deaglio?
«Certo, ho sempre sostenuto le
potenzialità del comparto agroalimentare, con tutte le sue diversità, per dare linfa all’economia dell’Italia. Ci può essere un
dialogo tra piccola produzione
artigianale e grande industria:
se l’atteggiamento è virtuoso, le
opportunità possono essere
enormi. Ma c’è un pericolo».
Quale?
«Puntare su un’economia verde
solo di facciata, darsi un po’ di
trucco per camuffare i vecchi
modelli e offrire una parvenza
di nuovo. Il buon esito di una
convivenza sta nell’equilibrio e
nelle proporzioni. Nel ragionare in termini di qualità e non di
quantità. Non ha senso usare le
pratiche della sostenibilità come belletto, occorre farle diventare un reale progetto, fermando la cementificazione del suolo
agricolo, incentivando l’azione
dei giovani, valorizzando il patrimonio agroalimentare. Dobbiamo ricordarci l’etimo di patrimonio, che è “patris munus”,
ovvero dono dei padri».
Non teme l’accusa di essere considerato un conservatore?
«Tutt’altro: il dialogo tra tradizione e innovazione può essere
la vera ricchezza del nostro Paese. Io non penso a un’Italia
chiusa su se stessa. Credo che
la vera rivoluzione sia far arrivare la fibra ottica anche sull’Appennino per dare più strumenti ai pastori. Se c’è una cosa
in cui l’Italia ha sempre dato il
meglio fin dal Rinascimento, è
far dialogare la dimensione artigiana e contadina con le più
moderne tecnologie».
Siamo ancora in tempo?
«Il treno non è affatto perso. Bisogna smetterla con un visione
agricola fatta solo di vecchie realtà, ci sono tanti giovani impegnati
e con idee ambiziose. E all’estero
ci viene riconosciuto un “savoirfaire”, uno stile di vita che ci offre
indubbi vantaggi. Ma solo se non
oltrepassiamo il limite. Pensiamo
all’esempio virtuoso delle Langhe: oggi sono sinonimo di grandi
vini e una meta turistica internazionale, ma non sono lontani i
tempi in cui si scappava da queste
colline e il Dolcetto si vendeva più
caro del Barolo. Ciò che è stato
fatto con il vino, può essere replicato con i formaggi, le birre artigianali, gli ortaggi al servizio della
ristorazione e dei mercati locali.
E con tutta la filiera che ruota intorno. Altro che nicchia, è un settore con enormi potenzialità».
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