Politica olandese dei Coffee Shop

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Politica olandese dei Coffee Shop
Politica olandese dei Coffee Shop
UN CASO DI STUDIO: "HARM REDUCTION" E NORMALIZZAZIONE NELLA POLITICA
OLANDESE DEI "COFFEESHOP"
di Massimiliano Sfregola
A conclusione di un lavoro sul regime proibizionista che caratterizza la presenza delle droghe
nella società e sulla percezione che i vari attori, di volta in volta o interagendo ne danno, è
opportuno affrontare un caso che in base alle nostre considerazioni, potremmo definire
anomalo.
Abbiamo accennato al problema delle differenti politiche attuate nei paesi europei, consapevoli
che pur in presenza di modelli estremamente avanzati, permanga l’impossibilità di accettare
l’assoggettamento delle sostanze attualmente inserite nelle tabelle alle logiche del mercato: in
sostanza una legalizzazione, magari esclusivamente delle c.d. droghe leggere, non è allo stato
attuale possibile.
Esiste però un'eccezione.
Dal 1976, nei Paesi Bassi è possibile di acquistare e consumare in locali aperti al pubblico
conosciuti come coffeeshop un quantitativo entro i 5gr. (fino a pochi anni fa erano 30) a persona
di hascisc o marijuana senza alcun rischio di venire denunciati o arrestati. (1)
Nel caso dei coffeeshop, ritroviamo gli elementi simbolici e normativi tanto del proibizionismo
quanto di una sorta di legalizzazione; appare subito chiaro, infatti, come i rapporti locali tra
l’opinione pubblica e le agenzie formali siano basati su valori e norme sociali diversi, rispetto
agli altri paesi del mondo.
Attraverso la lettura del dato normativo, diversi paesi adottano una sorta di tolleranza nei
confronti del consumo (che in casi come l’Italia ha più la forma di una non belligeranza) ma in
nessun caso troviamo esercizi commerciali dove la vendita ed il consumo vengano regolati,
anche se ora vedremo a quali condizioni, come per il tabacco e l’alcol.
Excursus storico. Perchè proprio in Olanda?
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Sull’Olanda e le sue politiche sulla droga si è detto e scritto molto ovunque, alimentando miti di
ogni tipo; è diventata un modello tanto per i sostenitori dell’attuale regime di controllo, che ne
evidenziano i “fallimenti” (2) e dipingono Amsterdam come “Mecca del vizio” (3), quanto per
coloro che reclamano un atteggiamento liberale e lo assumono ad esempio.
Una premessa importante, va però fatta: parliamo di normalizzazione e tolleranza in quanto in
Olanda vige un regime proibizionista analogo a quello di tutti gli altri paesi del mondo.
Il consumo e la coltivazione di cannabis non costituiscono reato, mentre per il possesso si
rischiano fino a 5 anni di carcere. Ma, allora, come funziona il modello olandese?
Per rispondere a questa domanda, è necessario affrontare la storia della diffusione di massa
delle droghe in Europa ed analizzare le differenze che hanno caratterizzato questo paese
rispetto agli altri.
Dalla Baan Commission alle licenze municipali
Secondo Fromberg (4) il particolare sistema sociale olandese, è basato sulla convivenza tra
cattolici e protestanti, tra il sistema di valori mercantile e l’emergere all’inizio dello scorso secolo
dei gruppi politicizzati, liberali o socialisti. L’Autore definisce questo sistema Verzuiling; “apart
referring to the social, and togheter to the geographic dimension” (5).
Secondo Janssen (6), per la società olandese si può parlare di “layers”, a proposito della
divisione tra classe dominante e subculture; “a complicated system of underlayers and
upperlayers are kept together by institutionalized tolerance, which, in the Dutch situation, is a
prerequisite for the functioning of the social system.”
Sul piano politico, il “compromesso” è la strategia dominante, sopratutto per le politiche sociali;
in Olanda la diffusione dell’uso di droghe, si è sviluppata lungo le linee descritte nel precedente
capitolo per l’Italia. Abitudine, ristretta alle minoranze di immigrati, i primi furono i cinesi con
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l’oppio (7), mentre si era diffusa la cannabis ma “..confined to rather elitist circles of young
artists and students in Amsterdam and drew only small attention.” (8).
Ben presto, la diffusione del consumo non medico, sopratutto tra i giovani, crebbe con
l’atteggiamento ostile delle istituzioni; “..smoking cannabis became a symbol of the
hippie-subculture..” (9).
Il governo, costituì una commissione (10), la cosiddetta Baan-Commission, con lo scopo di
indagare i pericoli connessi con la cannabis; questa individuò gli stupefacenti il cui rischio era
da considerare “unacceptable” e quelli invece “acceptable” e suggerì, inoltre, di differenziare le
pene per “..make a clear-cut distinction between drug users and traffickers”, ma in particolare “a
strict separation between the trade in soft and hard drugs” (11).
Le conclusioni, vennero inserite nell’Opium Law, approvato nel 1976 e nel quale, ritroviamo due
tabelle: nella prima le droghe pesanti (eroina, cocaina, LSD) nella seconda le c.d. “soft drugs”
(cannabis e derivati, funghi allucinogeni, peyotil).
Il principio è in sè una novità, anche se non clamorosa considerando che il possesso ed il
traffico continuano ad essere sanzionati, come nel resto d’Europa.
Da questo punto di vista, il cambiamento è comprensibile solo in una logica “olandese”;
l’azione, infatti, viene mossa dal cosiddetto “expediency principle”, che “empowers the public
prosecutor’s office to refrain from initiating criminal proceedings on grounds derived from public
interests” (12). Venne, inoltre, predisposto un testo con le Guidelines for Investigation and
prosecution of Drug Offences, a cura del ministero della giustizia; in esso veniva data grande
enfasi alla lotta al narcotraffico e “low priority to the sale of small quantities of cannabis” (13).
Queste misure, inserite in un sistema dove le municipalità (14) godono di un vasto potere
decisionale, sono caratterizzate da un consenso “triangolare” tra capo della polizia, sindaco e
pubblico ministero (15).
La conseguenza fu un approccio variabile in base alla situazione locale; “typically the situation
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is less strict in major cities than in the smaller town and villages”.
Ma cosa avveniva, nel frattempo, sul piano sociale?
Le droghe, rappresentavano un fenomeno caratteristico delle sub-culture antagoniste, degli
anni ’60 e questi movimenti gli diedero il carattere “ricreativo”, inserendone il consumo
quotidiano tra le attività svolte nei cosidetti “Youth Centre” (16).
Per l’approviggionamento venivano riforniti dai c.d. “House dealers” (17); in pratica si trattava di
piccolo spaccio protetto dai gestori di questi centri ricreativi, che in base all’Opium Law, purchè
limitato a questi luoghi, era considerato una “minor offence”.
Benchè realtà “non ufficiale”, legata ai luoghi di ritrovo della cultura underground dell’epoca,
qualcuno iniziò a pensare di trasformare un sistema artigianale come quello degli “house
dealers”, in un’attività organizzata (18); ottenere una licenza di pub tradizionale, nel quale
gestire il commercio della cannabis, poteva risultare oneroso e complesso, mentre per un
koffiehuis o per una tea house “...there are virtually no rules or regulations regarding its
establishment” (19) (e “alcol-free” sono rimasti tranne poche eccezioni).
All’approssimazione e trascuratezza dello “squat” seguì l’ambiente ospitale e convenzionale del
teahouse, nome che i primi gestori scelsero per queste nuove attività, consentendogli di
integrarsi nella cultura locale ed agli acquirenti di riconoscerle.
Il nome di questi esercizi, pur rimanendo l’intento “allusivo”, presto mutò in coffeshop, anche per
evitare confusione con le sale da tè che non vendevano marijuana o hascisc.
Lo spazio per la vendita al dettaglio, fu trasferito al banco ed organizzata in porzioni
preconfezionate e pesate, così da allontanare l’immagine della contrattazione che avveniva con
gli spacciatori; gli stessi gestori iniziarono a curare la vendita al dettaglio, effettuando acquisti
all’”ingrosso”, in modo da allontanare la figura del pusher dal locale.
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L’aumento della domanda, aumentò e diversificò anche l’offerta; presto vennero messi a
disposizione dei veri e propri “menù”.
In pieno allarme eroina, le questioni inerenti la cannabis (20), assunsero per le autorità olandesi
un rilievo marginale.
Questi esercizi, ormai commerciali quasi a tutti gli effetti, divennero un dato di fatto ed alcune
municipalità scelsero di tollerare questa “evoluzione” purchè la vendita rispettasse le direttive
del ministero della giustizia: esse sono riassumibili nella sigla AHOJG.
A (advertising), proibita qualsiasi forma di pubblicità; H (hard drugs), vietata la vendita di droghe
pesanti; (O) non arrecare disturbo; (J) vietato l’ingresso ai minori di 18 anni; (G) Non superare il
quantitativo di 5gr. per transazione (21).
Tuttavia, almeno il divieto di esporre pubblicità, è stato facilmente aggirato, grazie alle
numerose attività collaterali perfettamente legali; vendita di gadget, ma anche strumenti come
pipe, cylum, semi (22) e relative attrezzature professionali per la coltivazione ecc., oltre
naturalmente al richiamo, teoricamente implicito, della denominazione coffeeshop. (23)
Il nome di questi esercizi non è legato alla politica sulla cannabis, ma appartiene a luoghi
pubblici particolarmente diffusi nel nord Europa. Nella tradizione olandese un koffiehuis ha una
funzione di luogo di ritrovo non dissimile da quella del pub inglese, ma con la sostanziale
differenza che non vengono serviti alcolici.
Questa caratteristica è estremamente importante per comprendere l’origine dei coffeeshop,
poichè il complesso meccanismo è stato all’origine appannaggio delle subculture di cui si è
detto.
Diffusione dei coffeeshop e problemi correlati
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Solo ad Amsterdam si contano circa 350 coffeshop (24), ed il numero complessivo in Olanda è
poco inferiore a 1000.
A distanza di oltre venticinque anni dall’Opium law, questi locali hanno ormai poco in comune
con la realtà sociale degli anni ’70 che ne aveva permesso la nascita e con la struttura
semi-clandestina dell’origine; oggi sono assimilati agli altri esercizi commerciali della città,
nell’aspetto e nella composizione sociale dei clienti.
L’offerta si è specializzata, tanto nel tipo di locale quanto nella merce; “there are coffeeshop
with a youthful public as their major patronage, and there are coffeeshop which are mainly
frequented by somewhat older people” (25), come molti frequentati principalmente da turisti.
Con lo stesso principio dei pub, anche l’”atmosfera” è un dato rilevante: come ricorda Korf
“...dimly lit coffeeshops with worn carpets, broken furniture and smell of incense, reminiscent of
the old, hippy days hardly exist anymore..” (26). Lontani dalla percezione degradata che può
derivare da un ipotetico “luogo di spaccio”, la maggior parte ha un arredamento curato nei
particolari e molti sono divenuti veri e propri luoghi di culto (27); Bulldog, Club 36, Grassopher,
Baba, The doors, Abraxas,ecc., sono solo alcuni nomi che hanno contribuito all‘immagine
“rassicurante“, e consumistica, che questi luoghi hanno assunto.
Molti hanno accentuato questa tendenza di rottura, rispetto al degradato mondo delle
“hard-drugs”, inserendo “..activities such as table games, pool, biliards, and table soccer” (28) e
materiale informativo sull’AIDS e sul pericolo rappresentato dalle droghe pesanti.
Inoltre, la municipalità di Amsterdam ha pubblicato un pamphlet con la lista dei coffeeshop
autorizzati, indicando anche consigli sul corretto utilizzo dei derivati della cannabis.
White widow, orange bud, super skunk, purple haze ecc. vengono trattati nel contesto
olandese, al pari di qualsiasi altro bene, orientati in base a preferenze e mode, soggette quindi
alle comuni regole di mercato (29); secondo Cohen “..Cannabis use in Amsterdam might be
found among many different lifestyles. The cultural spread of cannabis use has been easy,
since smoking cannabis products has become socially accepted behaviour” (30).
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Dal punto di vista della normalizzazione culturale, possiamo ritenerlo un esperimento
soddisfacente; “.. per la verità si può scoprire che la maggior parte dei consumatori di droghe si
autoimpongono controlli di tutti i tipi. Questi controlli sono molto simili per tutte le droghe che si
analizzano. Si apprendono nell’ambito di stili di vita e di ambienti nei quali la proibizione delle
droghe, e le relative coercizioni legali, sono diventate completamente irrilevanti. Nell’ambito di
questi stili di vita, il consumo di droghe è funzionale e svolge un ruolo nella elaborazione e nel
mantenimento delle norme collettive (controllo sociale), dei piaceri e delle identità...” (31).
Pur riconoscendogli i caratteri di originalità e l’indubbio successo su molti fronti, permangono
perplessità sull’esperimento di normalizzazione olandese.
Tre gli ordini: 1) l’ambiguità legislativa, 2) la scarsità di dati sul consumo generale, 3) la natura
di caso unico.
Quanto al primo punto, l’attuale regime è basato sulla separazione giuridica e culturale tra soft e
hard drugs. Se questo rappresenta un principio chiaro, dal punto di vista del consumo, non
altrettanto può dirsi per ciò che concerne lo spaccio.
L’evoluzione del fenomeno dei coffeeshop ha agito in modo considerevole sugli stili di
consumo, ma non altrettanto può dirsi del “backdoor problem”(32); il paradosso rappresentato
dalla “semi-legalità” dell’esistenza dei coffeeshop e dalla totale illegalità della produzione dei
beni che vi vengono venduti, è un nodo mai risolto.
Come sostiene Korf “..small scale dealing is tolerated although still illegal; while import export
and large scale dealing are actively prosecuted”(33).
Da ciò deriva un atteggiamento ambiguo tanto nelle autorità quanto nei gestori; i primi
formalmente impegnati a contrastare il traffico interno ed internazionale nel rispetto degli
impegni derivanti dalle Convenzioni, hanno sempre escluso categoricamente l’ipotesi di
accettare una produzione interna legale; “..conflicts with its duties pursuant to international
treaties, enforcement would require a disproportionately large effort, and the fact that in an open
economy such as that of the Netherlands it would be impossible to develop and maintain a
closed system.” (34), ma allo stesso tempo tollerano il loro approvvigionarsi presso canali di
distribuzione clandestina.
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Tale situazione e l’estendersi dei profitti derivanti dal business della marijuana, ha comportato
che il traffico in passato gestito da piccoli e medi rifornitori, sia oggi sotto il controllo delle grandi
organizzazioni criminali, come ammesso nel 1993 dal Dutch Criminal Investigation Authorities.
Questa situazione è stata definita da Lap “..Dutch legislator amotivational syndrome concerning
cannabis”(35).
I gestori, d’altro canto, hanno faticosamente cercato di dotare di un’immagine “rispettabile” la
loro attività, marcando, ma non recidendo di netto, il confine esistente con il mondo del
narcotraffico. Certamente come la contiguità dei mercati si riduce drasticamente nella fase della
vendita al dettaglio, ma non riesca a produrre sostanziali mutamenti(36).
L’alternativa è rappresentata dal mercato interno dei piccoli e medi produttori ma “..although
tolerating the retail trade of hashish and marijuana in the coffeeshops, no similar system are
applied toward the wholesale-trade or production and growing of cannabis in The
netherlands.”(37)
Il narcotraffico è organizzato e lavora con prodotti d’importazione, provenienti da regioni dove il
costo della manodopera è basso; questo processo, in assenza di un deciso intervento
legislativo, difficilmente si potrebbe assestare su direttive differenti.
Tuttavia, restano importanti gli obiettivi del governo olandese; alla luce del principio
dell’accettabilità del rischio, la questione della tolleranza è stata ampiamente affrontata tenendo
conto del rischio concreto di isolamento livello internazionale mediato con la necessità di
attuare una politica ritenuta opportuna, nel pieno esercizio della sovranità, limitabile ma non
derogabile, da accordi multilaterali.
Veniamo, ora, alla questione della scarsità dei dati sul consumo. Chiariamo questa
affermazione. Disponiamo di esaurienti (38) indagini quantitative e qualitative sul consumo,
anche a proposito della cultura e stratificazione sociale dei frequentatori abituali coffeeshop
(39).
La natura stessa della questione, però, oscillante tra “bianco e nero“, rende quelle indagini
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parziali, tra un’accettazione senza giudizi che la cultura olandese ha manifestato anche per altri
social problem come la prostituzione, l’aborto, l’eutanasia, i matrimoni tra omosessuali, e la
necessità di evitare attriti ideologici sul piano internazionale, sopratutto nei confronti degli altri
stati dell’Unione Europea.
Valutando i risultati dell’ultima indagine si potrebbe concludere che l’attuale politica è
soddisfacente: “..Cannabis lifetime use in the Netherlands shows an expected increase, from
15.6 per cent in 1997 to 17.0 per cent in 2001. In the lowest address density municipalities,
lifetime cannabis use is much lower, but increasing as well (from 10.5 to 11.4 per cent). For
cocaine there also is an upward trend in the Netherlands, from 2.1 to 2.9 per cent, as there is
for ecstasy, from 1.9 to 2.9 per cent. All classic party drugs show an increase, which is even
true for alcohol (from 90.2 to 91.6 per cent).”.
Non bisogna dimenticare, però, che la prospettiva di ricerca ha valori di giudizio olandesi, volti
cioè a contenere il consumo, ritardare il più possibile la prima esperienza e veicolare le
preferenze sulle “soft drugs” (40).
Cosa dire ad esempio della linea di confine tra la vendita tra il “grigio” ed il “nero”? Come
valutare una variabile importante come il traffico di droghe appartenenti a realtà culturali
contigue a quella della cannabis, come l’extasi o la cocaina? Come valutarne la reale
“estraneità” al circuito dei coffeeshop e l’appartenenza allo “smercio di strada”?
I dati in possesso, possono far pensare che il meccanismo sanzionatorio delle “priorità” abbia
dato vita ad una cultura accettata della cannabis, strappata al mercato dello spaccio (strictu
sensu) e collocata accanto ad alcol e tabacco, pur in posizione di prova, in attesa di venire
“ammessa a pieno titolo” tra le sostanze ricreative legali; a distanza di oltre trent’anni le
trasformazioni nella società e nel mondo della droga hanno visto questa singolare forma di
“legalizzazione”, all’avanguardia nell’interpretare i mutamenti in atto .
L’ultimo ordine di questioni, attiene all’esportabilità del modello olandese.
Ci siamo dilungati sui dettagli della nascita del sistema dei coffeeshop, per far emergere come
questa situazione sia il frutto di precise scelte dovute ad un’attitudine sicuramente
antiproibizionista dell‘Olanda, ma anche a circostanze storiche favorevoli, che ne hanno
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consentito la nascita.
Il clima socio-culturale del periodo tra gli anni ’60 e ’70, è stato teatro anche di altri esperimenti;
citiamo, solo per completezza,il caso dell’Alaska dove dal 1975 al 1990 è stato in vigore un
sistema di legalizzazione de iure e de facto della marijuana (41), sancito dalla Corte Suprema e
revocato per via referendaria, mentre il consumo era stato depenalizzato in dieci stati degli
U.S.a. tra il 1973 ed il 1980. Gli esempi non mancano, ma vanno considerati come reazioni ai
mutamenti dell’epoca di cui i coffeshop rappresentano l’unica esperienza sopravvissuta.
Tra allora ed oggi, come già esposto nel capitolo storico, l’atteggiamento ha subito continue
oscillazioni, ma la repressione generalizzata di ogni tipo di consumo che abbiamo visto
riaffacciarsi con periodicità, ha comunque lasciato il suo segno negli U.S.A, ma con vicende
alterne anche in Europa.
Il proibizionismo totale, e l’etichetta deviante applicata a qualsiasi condotta di consumo di droga
sono ormai parte della tradizione culturale, particolarmente nelle generazioni anteriori agli anni
‘60, come l’atteggiamento libertario è appannaggio delle più giovani (42).
Gli equilibri sono mutabili, a dispetto delle dichiarazioni politiche e delle scelte legislative, a
conferma della sua complessità.
Possiamo concludere che un’esperienza come quella olandese difficilmente otterrebbe analoghi
risultati, se esportata in un contesto sociale ed istituzionale dove l’atteggiamento non fosse
maturo per una revisione pragmatica che riconsideri il consumo di droga; non più esclusivo
contrasto di un atteggiamento compulsivo, ma problematizzazione di un complesso fenomeno
sociale.
NOTE
(1) In realtà hashish e marijuana non sono gli unici stupefacenti acquistabili con le particolari
regole olandesi; oltre ai citati coffeeshop, troviamo un altro tipo di esercizi detti smart-shop,
specializzati nella vendita di sostanze psicoattive naturali (reperibili anche altrove) ma
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sopratutto dei magic mushrooms(letteralmente funghi magici), funghi contenenti psilocibina
(sostanza bandita dalle convenzioni internazionali) con proprietà allucinogene e dei peyotil,
leggendari cactus originari dell’America centrale contenente mescalina (anche questa sostanza
è fuorilegge per le convenzioni).
(2) Vedi le citate Relazioni di A.Costa e P.Soggiu, al meeting Rainbow Warrior
(3) Jansen a.C.M.The development of a “legal” consumers’ market for cannabis: the “coffee
shop” fenomenon in p.179
(4) Fromberg E.The case of the netherlands.1994. www.thc.nl/documents/fromberg1994.htm
(5) id.
(6) Janssen O. Normalization of the drugs problem: an outline of the dutch drugs policy.
www.drugtext.org/articles/ojan1.htm
(7) Vedi il capitolo II per il problema dell'oppio legato alla minoranza cinese negli U.S.A, alla fine
del XIX secolo
(8) id.
(9) Fromberg, id.
(10) Scelta analoga venne presa in quegli anni da Regno Unito (Wootton Commission), Canada
(Le Dain Committee) e U.S.A.(the Shafer Committee)
(11) Jansen, op.cit.
(12) id.
(13) Korf D.J.Cannabis retail markets in Amsterdam. www.drugtext.org/articles/902106.htm
(14) E' necessario ricordare che in Olanda il sistema di potere è largamente decentralizzato,
così la municipalità (equivalente al nostro comune) acquista molta autonomia nella scelta delle
politiche pubbliche.
(15) id.
(16) Sorta di circolo ricreativo, molto in voga negli anni ‘60
(17) Fromberg
(18) Van Schaik N. The dutch experience. Real Deal Publishing,2002. Il primo coffeshop, venne
aperto ad Amsterdam nel 1972, da un giovane ”hippie”, Wernard Bruining e alcuni suoi amici e
fu chiamato Mellow Yellow. Vedi Appendice E
(19) Jansen,id.
(20) Van Schaik N. The dutch experience. Real Deal Publishing, 2002. The police was fully
concentrated on the heroin, that hit the Amsterdam market in 1972, even though hash was as
forbidden as the opiate.
(21) Abraham M.D.Places of drug purchase in the netherlands.CEDRO,1994. www.frw.uva.nl.
5gr.è il quantitativo massimo che la legge consente (a causa della pressione dei paesi
confinanti, sopratutto Francia e Germania, l’Opium Act è stato modificato. La quantità ammessa
prima, era di 30 gr.)
(22) A proposito della coltivazione, siamo in presenza di un’altra eccezione olandese; questa,
infatti, se finalizzata esclusivamente al consumo personale non è vietata. L’acquisto è possibile
al dettaglio in negozi detti growshop.
(23) Vedi in Appendice, Allegato E
(24) Korf,id. Le cosidette “home rules” furono elaborate alla base di regole dettate
autonomamente dai singoli esercizi. Il primo in questione fu Henk de Vries.
(25) Jansen., op.cit.
(26) Korf, op.cit.
(27) Vedi Appendice E
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(28) id.
(29) Sono piuttosto comuni le offerte speciali, mentre molti esercizi si sono specializzati
trattando particolari qualità.
(30) Aa.Vv.Licit and illicit drug use in Amsterdam, op.cit., p.66-67
(31) Cohen P.
(32) Progress report on the drug policy of the Netherlands. Ministerie van Volksgezondheid,
Welzijn.2000-2001. Per Backdoor problem si intende la questione dell’acquisto all’”ingrosso” di
cannabis, da parte dei gestori dei coffeeshop, che avviene tramite contatti con
narcotrafficanti.(Lap M. Cannabis and coffeeshop,1994. www.drugtext.org)
(33) Korf, op.cit.
(34) Progress report on the drug policy of the Netherlands
(35) Lap M. Cannabis and coffeeshop 1994. www.drugtext.org/articles/nedweed1.htm
(36) E' nostra opinione che, al contrario, il narcotraffico tragga ingenti vantaggi dalla situazione
di semi-legalità avendo garantita una vendita all’ingrosso, senza alcuna tassazione (anche se
Becchi, Turvani sostengono nella loro analisi economica che i costi della corruzione siano
persino più alti) e potendo liberamente mantenere l’unità dei mercati di droghe leggere e
pesanti senza particolari impedimenti.
(37) Lap M., op.cit.
(38) Vedi la già citata Licit and illict drug use in Amsterdam di Cohen.
(39) Vedi, a proposito lo studio etnografico di Sifaneck e Kaplan (citato), realizzato con il
metodo dell’osservazione diretta, di interviste e raccolta di materiale vario (foto, articoli di
quotidiani e settimanali, ecc.). Interessante anche l’indagine di Jansen (op.cit.) visitando su
base regolare dei coffeshop ad Amsterdam nel periodo 1985-1989.
(40) Progress report on the drug policy of the Netherlands 2001, p.30)
(41) Arnao G. Cannabis.Uso e abuso, 1993, Stampa alternativa, p.56
fonte: Il regime di proibizione delle droghe: costruzione e rappresentazione di media, istituzioni
e mondo scientifico
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