la presunzione di essere liberi

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la presunzione di essere liberi
LA PRESUNZIONE DI ESSERE LIBERI
non siamo mai stati schiavi di nessuno (Gv 8,33)
Iniziamo il nostro percorso di ascolto e di preghiera mettendoci idealmente e spiritualmente in mezzo al
gruppo di persone a cui Gesù si rivolge nel brano che stiamo per ascoltare. Sono Giudei che gli avevano
creduto, staccandosi dalla maggioranza, da quelli che rifiutano la sua pretesa di essere luce del mondo. Anche
noi gli abbiamo creduto, cioè, ciascuno a modo proprio e secondo la sua storia, abbiamo accettato di fare
spazio, tra le tante voci, anche alla Sua, e la riteniamo capace di illuminare la nostra vita, come luce del
mondo. Nell’ascolto, anche in quello di stasera, ci aspettiamo di trovare tante cose diverse: chi cerca un
momento di pace, chi cerca chiarezza nei suoi pensieri, nelle sue scelte, chi cerca di capire un po’ di più Gesù,
chi di sentirlo vicino in modo più forte e intenso … Che cosa cerco?
Anche Gesù questa sera attende la possibilità di entrare e di dire o di realizzare ciò che desidera. Noi, poco
o tanto, gli abbiamo creduto, lo ascoltiamo anche noi come quei Giudei:
Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei
discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo
e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In
verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta
per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.
(Gv 8,31-36)
Credo non ci sia cosa più fastidiosa per un giovane non più adolescente che uno ti dica: Guarda che non sei
libero! Non vedi che sei schiavo? È irritante: uno ci ha messo anni a liberarsi, dai genitori che ti dicono che
cosa devi fare, dal catechismo, dalla scuola dell’obbligo, dalle felpe firmate, dalla musica commerciale, dagli
orari serali, dalla dipendenza economica da casa, magari ha preso anche la patente e adesso? Mi dicono che
non sono libero? E uno si arrabbia, come i giudei che gli avevano creduto! «Noi siamo discendenti di Abramo
e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». L’evangelista Giovanni ha
una fine ironia: pensate a degli ebrei che dicono «non siamo mai stati schiavi»!? E l’Egitto da cui sono stati
liberati mediante Mosè attraverso il Mar Rosso? E l’esilio di 70 anni in Babilonia sotto Nabucodonosor?
Pretendono di essere nati liberi e fanno sorridere perché dimenticano la verità: la verità è che sono nati
schiavi. Prima non erano mica un popolo, non avevano una terra né un re, non erano nessuno.
1. LIBERTÀ DA … Ma non capita solo a loro di dimenticare o di mistificare la verità. Capita anche a noi. Non so
se noi ci sentiamo tutti liberi oppure schiavi. In ogni caso rischiamo di ingannarci come quei giudei quando
riteniamo che la minaccia alla nostra libertà venga solo dall’esterno, quasi a dire: io sono nato libero, come
pensano quei giudei; se adesso non lo sono è perché qualcun altro mi mette degli ostacoli, delle limitazioni
o perché qualcosa, qualche evento o qualche situazione, mi vincola, mi condiziona. Io sarei libero, di mio,
ma mi viene impedito.
Sentiamo che qui si radica un malinteso a proposito della libertà che viene attesa e cercata come possibilità
sempre più ampia di fare o di avere quello che voglio. La libertà andrebbe dunque recuperata, secondo
questo modo d’intendere, rimuovendo gli ostacoli. Quando li avrò rimossi, potrò finalmente fare quello che
sento e sarò libero.
Anche gli altri, però, solo con la loro esistenza, costituiscono un limite all’espansione del mio desiderio,
tuttavia, dato il progresso civile e culturale, riesco ad accettare che la mia libertà finisca dove incomincia
quella dell’altro. Che tradotto significa: L’altro rimane un limite, davanti alla sua libertà devo cioè limitarmi,
e con la testa ho capito che è giusto, logico, civile, eppure la libertà, così come l’abbiamo descritta,
chiederebbe di più e molte volte, se l’altro non ci fosse, sarei più libero. Se ho voglia di ascoltare musica e
vivo in appartamento non sono libero di alzare quanto voglio perché il vicino si infastidisce. Se vivessi da solo
sarei libero di alzare quanto voglio.
Secondo questa visione di libertà, una persona è più libera quanti più ostacoli riesce a togliere attorno a sé
e alla sua volontà, persone comprese. Pienamente libero è chi non ha nulla che lo ostacola, che lo vincola,
chi non ha nulla attorno a sé, nessuno attorno a sé, libero e … solo.
Pensiamo a come viene percepito il matrimonio ma in fondo ogni vocazione: non viene percepito così? Come
qualcosa che dall’esterno ti vincola, una specie di prigione per cui prima eri libero e dopo non più. Non sei
più libero di gestire il tempo come vuoi, di andare a giocare a calcetto ma, molto più, non sei più libero di
tornare indietro, almeno secondo la Chiesa che, notoriamente, per la libertà non ha simpatia (non si pensa
così?); non puoi esprimere i sentimenti che provi, ad esempio se ti innamori di un altra e li devi reprimere
perché ormai hai promesso; non puoi cambiare se scopri di esserti sbagliato, e a chi non capita? Allora meglio
liberi e senza alcun vincolo: conviviamo, ed è meglio, così l’amore non diventa mai una catena, un vincolo,
un legame stabile … oh oh! … amore senza legame … libero senza legami … cioè sono di nuovo solo!
E ti sembra di essere ingabbiato tra due alternative: Libero e solo o legato agli altri e schiavo?
È una strana libertà quella che mi consegna alla solitudine o all’individualismo che ne è sinonimo.
Anche qualora riuscissi ad ottenere la libertà totale come l’abbiamo tracciata ora e come ci viene presentata
e fatta sognare, cioè da vincoli esterni, non avrei ciò che il mio cuore desidera davvero per vivere e che è
d’amare ed essere amato davvero e per sempre cioè essere legato nell’amore.
2. La schiavitù più potente, o la minaccia più seria alla libertà, allora, non proviene dall’esterno: la schiavitù
è dentro ed ha un nome: si chiama peccato, dice Gesù. Chi commette peccato è schiavo del peccato.
Lo schiavo non può decidere di sé, ha altri che governano le sue azioni. Il peccato ci rende schiavi nel senso
che ci mette nelle condizioni di non riuscire del tutto determinare le nostre azioni. Libero, invece, è chi può
decidere di sé stesso, che è diverso da fare ciò che si vuole.
Esempio: Due fidanzati che si amano possono fare ciò che vogliono, andare, comprare, viaggiare, ma sentono
che ciò che vorrebbero di più - buttarsi nella vicenda d’amore che è iniziata promettendosi amore per la vita
- non riescono a farlo per la paura e per il senso che il passo non è alla loro portata. Possono fare ciò che
vogliono ma non riescono a decidere di sé stessi.
La schiavitù è interna a noi. Sappiamo qual è il bene, lo riconosciamo tale e forse lo vogliamo, ma ci troviamo,
per diversi motivi, incapaci di realizzarlo. San Paolo descrive bene questa situazione
Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio
intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la
legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice!
Chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm 7,21-24)
Quello che riscontriamo con disagio in una sorta di conflitto tra ragione - cioè quello che ho capito essere
buono -, volontà - cioè quello che corrispondentemente desidero realizzare - e libertà - quello che di fatto
compio o realizzo - questo conflitto che vede perdente la libertà e dunque mi dichiara schiavo, non è una
fatalità: ha una radice con un nome preciso: è generato dal peccato. Per peccato qui non si intende un’azione
presa da una lunga lista da segnare con una crocetta. Per peccato qui si intende l’adesione profonda ad un
modo di vedere la realtà e la vita che non è quello di Dio. E proprio mentre pensavo di trovarmi libero, devo
ammettere invece - e quanto mi costa - di essere schiavo, incapace di decidere di me stesso.
Sono schiavo anch’io! Se non avviene questa ammissione umile e limpida allora la promessa di Gesù, ogni
promessa di salvezza, ci sembrerà inutile: pregheremo, continueremo a fare gli animatori, magari parleremo
anche di Gesù, ma come di qualcuno non indispensabile, che male non fa ma che non è essenziale per vivere
perché io sono già libero e Lui, in fondo, non mi serve.
La nostra reazione rimarrà quella dei giudei del vangelo che, alla fine del dialogo, giungono a raccogliere
pietre per ucciderlo.
Se invece questa sera qualcuno ammette sinceramente di essere un povero schiavo, un infermo della libertà,
allora, mentre si mette in ascolto, potrà invocare la grazia di tornare discepolo di Gesù, di conoscere la verità
e, secondo le parole di Gesù, sarà la verità stessa a farlo libero.
3. Gesù ci propone di guardare la realtà con i suoi occhi, liberi dal peccato: Conoscerete la verità e la verità
vi farà liberi.
Ecco la promessa. Verità per Giovanni evangelista non è semplicemente corrispondenza tra un fatto e la sua
narrazione (= dire la verità) o tra il pensiero e la parola (= sincerità). Verità è il pensiero di Dio. Se rimanete
nella mia Parola siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi.
La verità non è un concetto, non è qualcosa. Gesù dice più avanti: «io sono la Verità», il pensiero di Dio
svelato, che risplende nella croce di Cristo. La verità è che chi si tiene la vita per sé la perde e chi la perde
per causa mia e del Vangelo, dice Gesù, la trova per sempre. Potremmo dire, parafrasando, che la verità è:
chi si svincola e vive una vita autonoma e indipendente da tutto la perde, chi lega la propria vita per amore
e per sempre, la trova in eterno. Questa verità emerge dalla vita di Gesù, dai suoi gesti, dalle sue scelte, fino
alla scelta di accettare la morte in croce.
Non slegato da tutto per diventare più libero ma libero di dare tutto nel legame con il Padre e con gli uomini.
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Qual è la mia reazione di fronte alla frase di Gesù: ‘diventerete liberi’? Mi sento anch’io bisognoso di liberazione?
O, di fatto, mi sento già libero?
Nella tua esperienza, vivi la libertà più come assenza di vincoli o più come capacità di giocarti nei legami con amore
fedele?
La fedeltà secondo te è un limite alla libertà o la sua espressione piena?
Ho mai fatto l’esperienza che S. Paolo descrive in Rm 7 (v. foglio)? Che il peccato, cioè, mi rende schiavo, meno
capace di fare il bene che voglio: amare Dio, gli altri, me stesso? Provo a far memoria delle mie schiavitù…
Il mio rapporto con Dio, la mia fede, è un’esperienza in cui mi scopro sempre più liberato? O è un’esperienza di
servitù-schiavitù, che mi fa sentire legato nelle scelte, ingabbiato dal dovere o da regole che non posso violare?
(Cfr. Lc 15,11-32, il figlio maggiore) Chiedo a Dio di sentirmi figlio suo… amato… e di essere liberato da ciò che
più mi tiene schiavo.
Ho mai pensato alla libertà come ‘poter dire di sì’ al pensiero di Dio su di me? Ripeto più volte: Rivelami Signore chi
sono ai tuoi occhi…