Didattica dell`arte contemporanea ASPETTI DELLA FORMAZIONE
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Didattica dell`arte contemporanea ASPETTI DELLA FORMAZIONE
MODULO 4 Didattica dell’arte contemporanea Prof. Giorgio Nonveiller ASPETTI DELLA FORMAZIONE ARTISTICA E DELLE FONTI DELLA PITTURA DI JACKSON POLLOCK 1. Premessa didattica Sul tema proposto vi possono essere varie ipotesi di lezione su Jackson Pollock: a) partire da un ampio quadro dell’arte degli U.S.A. da Stuart Davis a T. H. Benton, attraversando la stagione del muralismo messicano degli anni Venti e Trenta (J. C. Orozco, D. Rivera e D. A. Siqueiros), una pittura di critica sociale dalle connotazioni politiche, tendenzialmente un’“arte di massa” e, dopo il rapporto con Benton, che è stato uno dei maestri di Pollock, l’artista si accosta all’arte europea: dal Picasso di Guernica al contatto con artisti legati al Surrealismo come Joan Miró e André Masson, nei loro soggiorni a New York dei primi anni Quaranta. A questo proposito vanno sottolineati tali aspetti poiché sono stati importanti nella formazione di Pollock; b) accentuare il momento di maturazione di Pollock, mettendo a fuoco soprattutto la “Scuola di New York” e degli “Irascibili” identificando intorno al 1940-42 la svolta che pone le premesse dell’Action Painting e di altre espressioni alternative come quelle di B. Newmann, A. Reinhardt, M. Rothko; c) trattare monograficamente la figura di Jackson Pollock e gli aspetti della sua personalità artistica, considerando gli ambienti artistico-culturali da lui attraversati come una sorta di campo dinamico che fa da sfondo al suo operato; d) partire da una o più opere significative, attuandone una sorta di ‘decostruzione’, recuperando in chiave ermeneutica alcuni motivi storico-critici fondamentali. Queste quattro ipotesi non sono certo tutte quelle pensabili, ma danno un’idea più precisa delle tematiche che esse possono suggerire. Per quanto mi riguarda mi soffermerò sull’ipotesi a) in quanto viene lasciata un po’ sullo sfondo, mentre l’ipotesi b) è invece quella maggioritaria nella trattazione sull’artista. Terrò conto anche dell’ipotesi c) in quanto Pollock ha avuto una vita piuttosto movimentata negli anni giovanili e la sua biografia si connette strettamente agli aspetti formativi della sua pittura, che non sono del tutto prescindibili; l’ipotesi b) invece tutto sommato è la più reperibile, soprattutto se si tratta di fornire una sorta di panoramica tra anni Quaranta e Cinquanta dell’arte degli U.S.A. dove una città come New York in quegli anni ha avuto una funzione centrale. L’ipotesi d) sarebbe la più sofisticata, più consona a ipotesi di lezioni universitarie, che implicano già una conoscenza dell’ambiente artistico nordamericano, e che per ora tralascerei, ma che potrebbe essere oggetto di qualche esercitazione. La mia tematizzazione non si limita a mettere in forma una lezione già bella e formulata, ma vorrebbe fornire dei materiali un po’ meno ‘grezzi’ – diciamo pure – di quelli che caratterizzano molti manuali, per una ulteriore elaborazione che entro un programma di Storia dell’arte contemporanea in un terzo anno di un liceo classico, o in un quinto anno di un liceo artistico o di un istituto d’arte possa essere facilmente ‘ritagliabile’ secondo criteri opportuni, suscettibile inoltre di suggerire possibili ricerche, approfondimenti ed esercitazioni. 2. La vita e la carriera artistica di Pollock Paul Jackson Pollock nasce il 28 gennaio 1912 nel Watkins Ranch a Cody in Woyming, ed è il quinto figlio di genitori di origine scozzese/irlandese. La madre è Stella Mary Mc Clure (18751958) e il padre Le Roy Pollock (1876-1933) nati e cresciuti in Jowa, sono presbiteriani, ma non hanno mai impartito alcuna educazione religiosa ai figli. Alcuni mesi dopo, il 28 novembre, la famiglia Pollock parte per San Diego. Tra il 1913 e il 1917 la famiglia vive in una fattoria a Phoenix in Arizona, poi si trasferisce a Chico in California. Nel 1919 i genitori vendono la Fattoria di Chico e comperano un Hotel a Janesville. Nel 1922 vanno a stare in una nuova Fattoria in Orland in California. Il fratello Charles, più grande di Jackson di una decina d’anni, si impiega al giornale “Los Angeles Times” e poiché era interessato all’arte contemporanea, interesse condiviso dalla famiglia, invia riviste sull’arte d’avanguardia come “The Dial” e l’”American Mercury”. Nel 1923 la famiglia ritorna a Phoenix; Jackson ha 11 anni e si iscrive alla scuola elementare fino al febbraio successivo. Egli esplora gli antichi siti indiani. Nel 1924 la famiglia torna a Chico e nel 1925 si trasferisce nel Riverside, vicino a Chicago. Nel 1926 il fratello Charles – che ha già 24 anni – si iscrive all’Art Student League, dove segue i corsi di Thomas Hard Benton (Neosho 1889 – Kansas City 1975). Nel 1927 Jackson ha 15 anni e lavora alle rilevazioni al Gran Canyon col fratello Sanford – che è più vecchio di 3 anni – e iniziano i problemi con l’alcol. Si iscrive alla Riverside High School, ma non si adatta al nuovo ambiente. Nel 1928, in marzo, lascia la scuola (forse espulso) a causa di una lite. La famiglia trasloca a Los Angeles. Frequenta i corsi d’arte di Frederick John de St. Vrain Schwankovsky, che lo introduce alla teosofia e agli insegnamenti di Jiddu Krishnamurti (Madanapalle, Madras 1897 – Ojai, California 1986), che rappresentano per Jackson le prime esperienze di tipo religioso. Tra gli artisti ha già modo di frequentare Philip Guston e Manuel Tolegian. Durante l’anno scolastico 1928-29 viene espulso per aver preso parte alla pubblicazione e distribuzione di un volantino di protesta contro la scuola che frequentava. Nel 1929 scopre il lavoro dell’artista messicano Diego Rivera (Guanajato 1866 - Città del Messico 1956) in alcune riunioni comuniste. Nel 1930 Jackson è diciottenne ed elimina il suo primo nome Paul. Si iscrive alla Manual Arts School con l’aiuto di Schwankovsky e segue corsi di modellazione in argilla e disegno. Nel contempo lavora e legge molto. In giugno va col fratello Charles al Pomona College, in California, per vedere il nuovo murale di José Clemente Orozco (Zopotlán 1883 – Città del Messico 1949) intitolato Prometeo. In autunno si trasferisce a New York con l’intenzione di seguire i corsi di Thomas Benton. In ottobre Benton e Orozco iniziano i murales alla New School of Social Research. E’ molto probabile che in quella fase Pollock abbia conosciuto Orozco. Nel 1931 Jackson viaggia con il compagno di corso Manuel Tolegian per cogliere il “colore locale” dei luoghi visitati soprattutto disegnando, un’esperienza che per il giovane artista è risultata entusiasmante. Al ritorno si iscrive a New York a un corso tenuto da Benton, e si interessa anche di scultura. E’ nel 1932 che si va precisando la vocazione per l’arte di Pollock, pur tra incertezze sul proprio futuro. E’ anche un periodo di ideali politici. In un viaggio di studio con Charles vede a Los Angeles, alla Chournard Art School, i murales di David Alfaro Siqueiros (Chihuahua 1898 Cuernavaca 1976). Nel 1933 si iscrive ai corsi di copia dal vero, di pittura e composizione di John Sloan (Lockhaven 1871 – Hannover 1951), che sostituisce Benton, e di scultura di Robert Laurent alla Arts Students League. Il padre si ammala e muore. Ha sempre il sostegno e l’incoraggiamento di Benton. Nel 1934 l’artista esegue nell’inverno dei lavori sperimentali di piccolo formato. Due donne si prendono cura di lui: l’una è Caroline Pratt, direttrice della scuola presso la quale Jackson fa il portiere, l’altra è Helen Marot che è un’insegnante interessata alla psicologia. Intanto egli vive con un sussidio di disoccupazione e tiene una prima mostra di ceramiche, organizzata dalla moglie Rita di Benton. Nel 1935 abbandona la Arts Students League, mantenendo l’amicizia con Benton che continua ad aiutarlo economicamente. Entra in agosto nel nuovo Federal Art Project, al quale lavorerà per anni – pur con delle interruzioni – fino al 1943. Tale progetto è stato ideato da F.D. Roosvelt entro il New Deal, come organismo statale W.P.A. (Work Project Administration) per promuovere le committenze pubbliche per gli artisti. Le commissioni di quadri danno a Jackson una certa stabilità economica, cosa che gli consente di sperimentare e di sviluppare un proprio stile personale che comincerà ad emergere soprattutto intorno al 1938. Il fratello Charles si trasferirà a Washington e lascia l’appartamento di New York a Jackson che vivrà col fratello Sanford, che pure è interessato all’arte. Nel 1936 entrambi i fratelli parteciperanno al laboratorio sperimentale aperto da Siqueiros, dalla primavera fino a dicembre, dove si praticano nuove tecniche di pittura murale, e si elaborano anche stendardi per manifestazioni comuniste. Incontra poi la pittrice Lee Krasner al Sindacato degli artisti, che quando rincontrerà anni dopo diventerà sua moglie. Nel 1937 inizia un trattamento psichiatrico contro l’alcolismo, incoraggiato da Sanford. Espone Cotton Pickers, una tempera su tavola (1934-35) (fig. 2) in una mostra a febbraio con Sanford, Philip Guston e Tolegian alla Temporary Galleries of the Municipal Art Commitee. Conosce il critico-artista John Graham che avrà un notevole ascendente su Jackson e che su di lui scriverà in più occasioni come di una giovane promessa dell’arte americana. Tale conoscenza risale al soggiorno estivo dai Benton, dove si ubriacherà, fino ad essere arrestato, dimostrando grande instabilità emotiva e irresponsabilità. A Natale trascorre un periodo a Kansas City con i Benton, l’ultimo soggiorno che farà col suo vecchio maestro. Nel 1938 in giugno decide spontaneamente di ricoverarsi al New York Hospital per una cura di disintossicazione dall’alcol. Nel contempo realizza numerose ciotole e targhe in rame battuto. I Benton incoraggiano l’artista a lavorare, intuendone pienamente il talento e le potenzialità: vi è una lettera di Rita Benton1 inequivocabile a questo proposito. All’inizio dell’anno, nel 1939, torna in terapia con un medico e psicoanalista junghiano: Joseph L. Henderson, che utilizza i suoi disegni sul piano terapeutico. Nell’estate è ricoverato per sei mesi in un’istituzione psichiatrica2. Nel 1940 da maggio a ottobre, Pollock viene escluso dal progetto WPA; il periodo è difficile e teso, caratterizzato anche da pressioni politiche circa la sua simpatia per il comunismo. Nel 1941 è riformato dal servizio militare ed è in cura presso un altro analista junghiano: la dottoressa Violet Staub de Lazlo, che pure utilizza i suoi disegni durante le sedute. Lee Krasner scopre di vivere a poca distanza da Pollock: corre nel suo studio e così inizia la loro relazione che finirà con la morte dell’artista. Nel 1942 nei primi mesi espone alla McMillen Gallery, su invito di Graham, ove espone Birth, in una collettiva di artisti americani ed europei tra cui figurano opere di Picasso, Matisse, Braque, Derain, Stuart Davis, Walt Kubin e Lee Krasner. La relazione con la Krasner fu importantissima per Pollock, sicuramente equilibratrice, di sprone e di promozione per l’arte. Gli presenta il suo maestro di pittura Hans Hofmann (Weissenburg, Baviera 1880 – New York 1966), notevole pittore, didatta e anticipatore dell’Action painting. Conosce il critico James Johnson Sweeney, la collezionista e gallerista Peggy Guggenheim che il 20 ottobre aprirà la galleria The Art of this Century a New York. Attraverso William Baziotes (Pittsburg 1912 – New York 1963) Pollock conosce Robert Motherwell (Abeerden, Washington, 1915 – Cape Code, Massachusetts 1991), che con Roberto Sebastian Matta cerca di creare un gruppo di artisti legati all’”automatismo psichico” al di fuori dall’influenza di Breton. Pur non volendo aderire a un gruppo, Pollock, la Krasner, Motherwell, Baziotes e rispettive mogli sperimenteranno varie forme di scrittura automatica. Pollock lavorerà per breve tempo come aiutante in un’industria serigrafica, imparandone la tecnica, utilizzandola molto nei due anni seguenti. Espone The flame (1934-38 ca.) nella mostra “Artists for Victory" al Metropolitan Museum af Art. Nel 1943 la Guggenheim lo invita assieme a Motherwell a esporre nella sua galleria in una mostra collettiva sul collage. Motherwell lavora, per l’occasione, nello studio di Pollock. A novembre tiene la sua prima personale alla galleria Art of This Century, presentata da J. Johnson Sweeney, che è stata un successo. La Guggenheim gli commissiona una grande opera murale. Si tratta di Mural, che finirà all’Università dello Iowa. 1 Cfr. Jackson Pollock, a cura di Laura Maeran, in Jackson Pollock a Venezia, catalogo della mostra (Venezia, Museo Correr, piazza San Marco, 23 marzo – 30 giugno 2002), con scritti di vari, Skira, Ginevra-Milano, 2002, p. 238, che riporta una frase fondamentale della lettera di Rita Benton. 2 Si veda l’estratto della lettera di Sanford Pollock al fratello Charles, del luglio del 1941, in: Jackson Pollock, Lettere, riflessioni, testimonianze, a cura di Elena Pontiggia, Milano, SE, 2000², p. 49. Nel 1944 è invitato da Sidney Janis all’esposizione “Arte astratta e surrealista negli Stati Uniti”, nella sezione dei surrealisti. Su consiglio di Janis Soby e Sweeney, il direttore del dipartimento di Pittura e Scultura del Museum of Modern Art di New York, Alfred H. Barr acquista il dipinto The She-Wolf, per 650 dollari, ed è la prima opera comperata da un museo. Lavora a opere grafiche presso lo Stanley William Hayter Atelier 17. Nel 1945 espone al The Art Club of Chicago 17 dipinti e 8 disegni nel mese di marzo. Tra marzo e aprile tiene la seconda mostra alla galleria Art of This Century con numerosi dipinti, disegni e gouaches. La Guggenheim gli rinnova il contratto cin un aumento di stipendio e l’obbligo di consegnarle tutte le opere prodotte, ad eccezione di una. Il 25 ottobre sposa Lee Krasner con una cerimonia religiosa in una chiesa sulla Quinta Strada. Il mese dopo si trasferiscono a Springs in Long Island, sove hanno acquistato una casa grazie a un prestito della Guggenheim. Nel 1946 dipinge The Key, e la copertina per il libro di memorie di Peggy Guggenheim, dal titolo: Out if this Century. Espone per la terza personale nella galleria Art of This Century, con 11 oli e 8 tempere. La critica si pronuncia molto positivamente sulla mostra. In dicembre partecipa con Two (fig. 23) all’Annual Exhibition of Contemporary American Painting, al Whitney Museum of American Art. Nel 1947 tiene in gennaio la quarta personale alla galleria Art of This Century con 16 opere divise due serie, introdotta da W.N.M. Davies. Esegue le prime opere con la tecnica del dripping, dipinte lasciando sgocciolare il colore direttamente dalla pennellessa o dal barattolo, su una tela stesa a terra. Peggy Guggenheim decide di tornare in Europa, e quindi chiude la galleria il 31 maggio. Il contratto di Pollock con la Guggenheim scade nel ’48, la gallerista cerca quindi una nuova mercante che sarà Betty Parsone, che firmerà in dicembre un nuovo contratto fino a giugno ’48, che poi sarà rinnovato fino al ’52. Partecipa al Whitney Annual con Galaxy. Nel 1948 tiene la personale alla Betty Parsons Gallery (sempre a New York) dove presenta 17 opere. Le recensioni sono per lo più favorevoli. Continua a sperimentare il dripping, utilissando un miscuglio di colore, sabbia e altri materiali eterogenei. Sei opere di Pollock sono presentate alla XXIV Biennale di Venezia entro la mostra della Collezione Guggenheim, presentata da Giulio Carlo Argan. La mostra sarà poi spostata a Firenze in febbraio del ’49 e a Roma allo GNAM in giugno del ’49. In autunno inizia la cura di disintossicazione dall’alcol con il dottor Elwin H, Heller, che lo tiene lontano dall’alcol per due anno. Fino a quando nell’autunno del ’50 muore in un incidente d’auto. Nel 1949 tiene la personale alla Betty Parsone Gallery con 26 lavori del ’48. Incontra Alfonso Ossorio (Isola di Luzon a Manile, Filippine 1916 – New York 1990), col quale Pollock stabilirà una profonda amicizia. Inizia a modellare la terracotta nello studio di Roseanne Lawrence Larkin, vicina di casa a East Hampton, fino al 1950. Presenta due sculture al MoMA di New York alla mostra “Sculptures by Painters”. In settembre partecipa con un Untitled alla mostra “Intrasubjectives” alla Samuel M Klootz Gallery di New York, una collettiva che raccoglie opere di Baziotes, Gorky, Graves, Hofmann, de Kooning, Motherwell, Reinhardt, Rothko, Tobey e Tomlin che sancisce la nascita dell’”Espressionismo astratto” come movimento. A novembre-dicembre personale alla Betty Parsons Gallery con 35 opere con titoli numerici, corredata da un plastico di Peter Blake di un “museo ideale” che incorpora piccole sculture in gesso e metallo di Pollock. Su richiesta di Blake, Marcel Breuer che aveva progettato una casa di Bertram Geller a Long Island visita la mostra e gli commissione un ‘murale’ per i Geller. Al Whitney Annual del 1950 partecipa con Number 24 del 1949. Nel 1950 il MoMA acquisisce Number 1, del ’48. Utilizza con Lee nell’inverno la casa di Ossorio e Ted Dragon di New York, in assenza degli amici che si trovano all’estero. In marzo Jackson e Lee tornano a Long Island, e Pollock inizia a lavorare al Mural per casa Geller. Si unisce a un gruppo di pittori d’avanguardia, capeggiato da Barnet Newmann. Espone alla XXV Biennale di Venezia tre opere nel padiglione U.S.A., entro un gruppo presentato da Alfred H. Barr Jr., che comprendeva anche Arshile Gorky (Hajotz Zore, Armenia Turca, 1904 – Connecticut 1948) e Wilhelm de Kooning (Rotterdam 1904 – Long Island 1997). Il 22 luglio apre la prima personale in Italia, a Venezia all’Ala Napoleonica del Museo Correr, con 23 opere della collezione Peggy Guggenheim, di cui due prestate dalla Stedelijk Museum di Amsterdam, organizzata dalla “Tre mani”: Giuseppe Marchiori, Oreste Ferrari, Bruno Alfieri, con la collaborazione de Peggy Guggenheim e Vittorio Carrain. Nell’estate un fotografo, Hans Namuth, lo riprende durante l’esecuzione di tre dipinti (circa 200 fotografie). Poi verso settembre Namuth gira un film mentre Pollock realizza l’opera in vetro Number 29. Alla fine delle riprese si concede un drink, ricominciando con le bevande alcoliche che rendono l’artista violento, scatenando spesso la sua ira in presenza di ospiti. Purtroppo l’alcol diventa il protagonista distruttivo di Pollock fino alla sua morte. In ottobre Leo Castelli organizza la mostra “Young Painters in U,S. & France” alla Sidney Janis Gallery a cui Pollock partecipa con Number 8, del ’50. Al Whitney Annual espone Number 3, del ’50. Tra novembre e dicembre tiene la personale alla Betty Parsons Gallery con lavori del 1950. Nel 1951 partecipa alla mostra del MoMA “Abstract Painting and Sculture in America” con Number 1, del ’48. A Parigi espone alla collettiva “Véhémences Confrontées” organizzata da Michel Tapié alla Galleria Nina Dausset, con Number 8 del ’50. Stretta corrispondenza con Ossorio. Tende ad abolire i colori concentrandosi sul bianco e nero. Il 14 giugno viene proiettato per la prima volta al MoMA il film di Hans Namuth, co-prodotto con Paul Falkenberg, con la colonna sonora di Morton Feldman (importante musicista americano del secolo scorso) e la voce narrante di Pollock. Il settembre l’artista inizia la terapia contro l’alcolismo a New York col dottor Grant Mark che dura fino all’autunno 1953. In ottobre-novembre Lee Krasner presenta la prima personale alla Betty Parsons Gallery. In novembre-dicembre espone poi Pollock con 21 quadri dipinti principalmente in nero, su tele grezze, con immagini figurative. Nel 1952 in gennaio scade il contratto con Betty Parsons che Pollock vuole lasciare perché non soddisfatto delle vendite delle opere. La gallerista lo convince a rimanere fino a maggio. Stipulerà poi un contratto con Sidney Janis. In maggio si apre allo studio Paul Facchetti la prima personale a Parigi: “Jackson Pollock 1948-1951”, organizzata da Ossorio con la collaborazione di Michel Tapié, che scrive la presentazione in catalogo. La mostra viene accolta con grande interesse dal mondo artistico francese. In aprile-luglio partecipa alla mostra organizzata da Dorothy Miller presso il MoMA “15 Americans”, ove Pollock è presente con 8 opere dal 1948 al 1951. Clement Greenberg organizza e presenta in catalogo presso il Benninton College in Vermont “Retrospective Show of the Paintings of Jackson Pollock”, dal 1943 al 1951. Nel 1953 espone alla mostra “12 Peintres et Sculpteurs Contemporains” organizzata dall’International Progam del MoMA in collaborazione Andrei Carnduff Richtie con quattro dipinti di cui la prima sede è Parigi al Musée National d’Art Moderne, poi va a Zurigo, Düsseldorf, Stoccolma,Helsinki e Oslo. Alla Withney Annual espone Number 5, del ’52. Nel 1954 dipinge pochissimo. In febbraio si apre la seconda personale da Sidney Janis, con dieci opere del ’53. Nell’estate si frattura una caviglia, mentre aiuta de Kooning e la moglie a traslocare. Ciò aggrava la sua inattività. La madre di Pollock è in cattiva salute e supera alcuni infarti a fatica. Ella vive presso il figlio Sanford. Nel 1955 continua l’inattività di Pollock. Riprende le sessioni di analisi con il dottor Ralph Klein che ha lo studio a New York; durante i viaggi frequenta il Cedar Bar. In settembre Lee Krasner presenta una personale di collage alla Stable Gallery con successo. Pare che questo fatto renda a Pollock sempre più difficile dipingere. Tra fine novembre e dicembre Sidney Janis presenta una retrospettiva intitolata “15 Years of Jackson Pollock”, con 16 oli dal 1934-38 al 1955, tra cui l’ultima tela che è Search del ’55. Nel 1956 non dipinge praticamente più e confessa alla dottoressa Hubbard che non lavora perché non è sicuro di avere qualcosa da esprimere. Andrei Richtie in maggio scrive all’artista che il MoMA sta organizzando un ciclo di mostre dedicate ad artisti nel pieno della loro carriera, intitolato “Work in Progress”, e che lui sarebbe l’artista proposto per aprire il ciclo di esposizioni. In luglio Lee Krasner parte per l’Europa, anticipando un viaggio già progettato da tempo, poiché la loro relazione è in crisi per l’alcolismo e la depressione di Jackson e per la relazione con la studentessa d’arte Ruth Kligman, conosciuta al Cedar Bar, e che va a vivere con lui a Springs, mentre Lee è in Europa. Tre settimane dopo, l’11 agosto, mentre accompagna Ruth con l’amica Edith Metzger a un concerto, guida in stato di ubriachezza e si schianta con la macchina contro un albero a Fireplace Road alle 22,15 circa e muore d’un colpo, come pure la Metzger; mentre la Kligman sopravvive all’incidente. Lee Krasner torna immediatamente dall’Europa per il funerale: il trauma e il dolore è profondo; la pittrice tenta di sublimarlo nella pittura nei due cicli Earth Green del 1957-59 e Night Journey. La mostra del MoMA concepita come “Work in Progress” si trasforma in una retrospettiva in memoria dell’artista scomparso, celebrato con una mostra di 35 dipinti, 9 acquerelli e disegni tra il 1938 e il 1956. 3. Aspetti della formazione artistica e delle fonti di Jackson Pollock Un excursus biografico preliminare era importante per mettere a fuoco come tra arte e vita nella vicenda di una figura quale Jackson Pollock siano assolutamente inestricabili e come tale nesso possa essere quanto mai illuminante per comprenderne lo spessore e la complessità culturale. Credo che la parabola di Pollock rappresenti la testimonianza di una tragica presa di coscienza di un artista e un intellettuale statunitense che, con grande lucidità, ha capito perfettamente le strettoie nelle quali la pittura e l’arte in generale si è dibattuta e si dibatte nella contemporaneità. Naturalmente la carriera di Pollock non è stata solo una vicenda americana, ma proprio perché fa parte di uno dei momenti più alti e originali dell’arte statunitense degli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, presenta necessariamente, direi quasi, fin dalle sue origini forti implicazioni con la cultura e l’arte europea, oltre che con quella americana per precisi motivi storico-geografici, e quindi resta un’esperienza ragguardevole per tutta l’arte occidentale. Il momento più importante e finale della parabola di Pollock, il decennio tra il 1946-47 e il 1956, non deve subire eccessive semplificazioni né riduttivismi cui spesso facili e troppo correnti definizioni dell’Action painting3 hanno dato luogo, senza tenere conto delle matrici culturali da cui i dipinti più noti dell’artista hanno preso le mosse, sempre in un complesso scambio culturale con artisti della generazione precedente e della propria (e opere relative) con i quali ha avuto rapporti diretti o indiretti, entrando inoltre in contatto con alcuni critici d’arte, galleristi e collezionisti particolarmente illuminati. Percorrendo i primi anni della vicenda di Pollock saltano subito agli occhi le difficoltà economiche nelle quali la sua famiglia si è sempre dibattuta, da prima della nascita di Jackson nel Woyming, nel Far West, ai continui trasferimenti alla ricerca di un lavoro stabile tra l’Arizona e la California, per lo più soggiornando e lavorando in centri agricoli con paesaggi dagli sconfinati orizzonti. Al tempo stesso la famiglia aveva un grande interesse per l’arte a cui si dedicheranno anche i fratelli maggiori del Nostro. Nel 1923, a 11 anni, a Phoenix Jackson ha modo di esplorare precocemente antichi siti degli indiani d’America, che poi saranno oggetto di ulteriore studio per certe modalità rituali ed espressive che in parte intenzioneranno la sua pittura nella sua maturità artistica, una fonte d’immagini in qualche modo archetipiche, a cui guarderà nei primi anni Quaranta anche un artista come Adolph Gottlieb (New York 1903-1974). Gli stretti rapporti col fratello più anziano Charles lo aiutano a introdursi nelle scuole artistiche più rinomate, mantenendo un ottimo livello di informazione circa l’arte contemporanea europea ed americana. Il rapporto con un docente come Schwankovsky nel 1928 gli ha trasmesso la cultura 3 Alludo ovviamente alla ‘vulgata’ sull’argomento. Devo invece ricordare che fu un notevole critico, teorico ed estetologo come Harold Rosenberg (New York City 1906 – 1978) a coniare il termine in un articolo della rivista “Art News” del dicembre del 1952, per distinguere alcuni giovani (in primis Jackson Pollock, Wilhelm De Kooning, Franz Kline, Philip Guston, Sam Francis) dall’Abstract expressionism (espressionismo astratto) che era sicuramente un termine più comprensivo delle tendenze della Scuola di New York di quegli anni, ma anche più generico. teosofica, attraverso l’insegnamento di Krishnamurti4, assieme al misticismo e allo yoga. D’altro canto, Pollock conosceva i culti esotici e le pratiche pseudoreligiose diffuse nella California, come ha notato Sam Hunter5. Debbo ricordare che la teosofia resta comunque una delle premesse culturali dell’astrattismo: sia nella versione di Kandinskij che in quella di Mondrian. Nel 1930 Charles lo introduce negli ambienti artistici newyorkesi. L’impatto con la grande metropoli è stato per Jackson culturalmente fondamentale, anche se gli ingenerava un senso di caos e di disorientamento. A New York troverà i propri compagni di strada, in quella che poi si chiamerà la Scuola di New York, esercitando un notevole ascendente su molti di loro. In questi anni assieme al fratello acquista i fascicoli della rivista “American Ethnology”, che attesta l’interesse per i pellerossa e la loro arte. E’ stato detto, infatti, da vari studiosi che Pollock ha avuto modo di frequentare una riserva indiana nei dintorni di Chico in California e fu testimone di riti tribali. In una intervista di parecchi anni dopo Pollock ha dichiarato: Sono sempre rimasto molto colpito dalle qualità plastiche dell’arte degli Indiani d’America. Gli Indiani sono dei veri pittori, perché hanno la capacità di scegliere le immagini appropriate, e di capire che cos’è un soggetto pittorico. Il loro colore è sostanzialmente quello dell’Ovest, la loro visione ha quella universalità che ha la vera arte. Alcuni hanno trovato dei riferimenti all’arte e alla calligrafia degli Indiani americani in certe parti dei miei quadri. Non era una cosa voluta, ma probabilmente la conseguenza di ricordi e di entusiasmi lontani.6 Nel 1929 il Nostro era rimasto colpito dalle immagini di Diego Rivera, esponente di spicco del muralismo messicano; l’anno dopo vedrà le opere di José Clemente Orozco: entrambi artisti che cominciavano ad avere importanti committenze negli Stati Uniti per edifici pubblici particolarmente rappresentativi, poiché sicuramente costituivano un esempio per la nuova stagione del Federal Art Project, che qualche anno dopo praticherà anche Pollock nel 1935 e poi nel ’36, nel Laboratorio sperimentale di Siqueiros col fratello Sanford, dove ha avuto modo di esperire nuove tecniche pittoriche. Forse un piccolo olio su tela come Composition with Figures and Banners, 1934-38 ca. (fig. 4), è riferibile a questa esperienza. A Siqueiros si ispirano anche alcuni disegni del Nostro, come Untitled (Figure composition), del 1938-41 (fig. 5), come dimostrano due opere del pittore messicano un po’ più tarde come Vittime della guerra, del 1945, e Caino negli Stati Uniti, del 1947 (fig. 6). Fino a queste date resta importante l’indicazione del regionalismo americano di Benton (fig. 3), non oltre il 1938-39 direi, ma più incisivo sarà negli anni successivi l’esempio di Orozco che avrà una certa rilevanza in dipinti del Nostro come Untitled (Bald Woman with Skeleton), 1938-41 (fig. 7); Naked Man, 1938-41 (fig. 16) per fare solo due esempi. Quest’ultimo dipinto, sul piano ideativo piuttosto che su quello stilistico, non è poi tanto lontano da un affresco di Orozco nella cupola dell’Hospicio Cabañas, intitolato L’uomo, del 1938-39 (fig. 18), a Guadalajara nello Stato di Jalisco, ma senza il titanismo delle ascendenze neobizantine e michelangiolesche che lo caratterizzano. Se guardiamo meglio Naked Man, notiamo una figura maschile ignuda, massiccia come certe figure di Picasso, che porta una maschera infuocata da uccello. Un curioso occhio-becco catalizza la nostra attenzione, un becco che non è quello proprio di un rapace (fig. 17) ma di un piccolo volatile che forse “vede” col becco. La maschera infuocata, su cui le pennellate di Pollock insistono più che in altre parti del dipinto, fanno pensare ad uno stregone col corpo impiastrato di bianco (fig. 16). Potremmo interpretarlo come un personaggio che si sta preparando a un rito particolare, mentre l’allusione inequivocabile ad uno spazio interno potrebbe far pensare ad una amplificazione 4 Quasi sicuramente nel filone della Blavatsky, vicino però ad Annie Besant, prima che Krishnamurti prendesse le distanze dalla teosofia, nel 1929. 5 Cfr. S. Hunter, Un maestro americano:Jackson Pollock 1930-1949. Mito e realtà, in: Jackson Pollock, catalogo citato a nota 1, p. 64. 6 L’intervista è del 1944 di Howard Putzel, in Jackson Pollock, Lettere, riflessioni, testimonianze, cit., p. 62. immaginativa di un incidente domestico: il fuoco sprizza parallelamente al braccio destro del personaggio e, più sotto, dal braciere di un camino7. Sappiamo che nel 1937 Pollock era in analisi dalla dottoressa Violet Staub de Lazlo8 con la quale l’artista ebbe una discussione sull’arte dei pellerossa, affermando che sentiva una specie di “sciamanica attitudine verso le immagini”, che faceva sicuramente parte della dimensione costruttiva e creativa della personalità di Pollock, a cui la psicoterapeuta junghiana non poteva che fare appello durante la cura. Sicuramente l’artista ebbe modo di leggere alcune opere di Jung, legate anche all’indirizzo analitico prescelto. Va notato che Jung veniva letto parecchio da altri artisti della Scuola di New York, sia per l’attenzione che imprestavano ai problemi del simbolo, sia per quelli legati all’inconscio collettivo. Vi sono alcune opere di Pollock, caratterizzate da un’evidente invenzione simbologica, che mostrano chiaramente le tracce di queste letture come il dipinto Untitled (Composition with Serpent Mask) del 1938-41 (fig. 8), dai colori molto intensi, dove il serpente mascherato è una figura totemica. Qui l’ascendenza surrealista di André Masson è già piuttosto evidente e ben assimilata: basta guardare un’opera dell’artista francese del periodo come Paesaggio irochese del 1943 (fig. 9). Parecchi disegni sono sulla stessa linea come Untitled, del 1838-40 (fig. 10), o un’altra complessa figurazione come Untitled, del 1938-41 ca. (fig. 11), che meriterebbero un’attenta lettura iconologica. Il 1939, come abbiamo visto, sarà un anno di ricovero per alcolismo e di ripresa di sedute analitiche con il dottor Joseph L. Henderson, uno dei primi analisti junghiani degli Stati Uniti, particolarmente sensibile all’arte9. Una lettera del fratello Sanford a Charles10 parla di questo periodo e del miglioramento di Jackson dopo il ricovero nell’istituzione psichiatrica, che però non è durato a lungo poiché le persone più vicine all’artista hanno dovuto chiedere aiuto. Ivi si parla di un dottore che lo segue regolarmente: con ogni probabilità è lo stesso dottor Henderson, notando che Jackson è ligio alle cure. Nella lettera Sanford scrive inoltre: [Jack] soffre di una nevrosi evidente. Il suo ritorno alla normalità e all’autonomia dipende da molti fattori nascosti e da altri più evidenti. Dato che una parte dei suoi problemi (forse una gran parte) risale ai suoi rapporti nell’infanzia, con la madre in particolare e la famiglia in generale, per lui sarebbe estremamente angosciante e forse disastroso vederla in questo momento. Nessuno può prevedere con certezza la sua reazione, ma ci sono buone ragioni per pensare che sarebbe negativa. Non voglio entrare in particolari, né tentare di fare l’analisi del suo caso: è infinitamente complesso e, pur comprendendolo, non sono in grado di scriverne chiaramente. L’elenco di alcuni sintomi ti darà l’idea della natura del problema: irresponsabilità, depressione (papà), sovreccitazione ed alcoolismo sono i segni più evidenti. E anche autodistruzione. Di positivo c’è la sua arte che diventerà molto importante, ne sono sicuro, se le lascia la possibilità di svilupparsi. Come ti dicevo in altre lettere, si è completamente scrollato di dosso il giogo di Benton e sta facendo qualcosa di autenticamente creativo. E anche qui, benché ne “senta” il significato e le implicazioni, non mi ritengo abbastanza qualificato per parlarne. Il suo pensiero si rifà, credo, a quello di uomini come Beckmann, Orozco e Picasso. Siamo persuasi che, se tiene duro, il suo lavoro avrà un peso reale. La sua è una pittura astratta, intensa, molto evocatrice. […] 7 Forse vi è anche un ricordo del Prometeo di Orozco che Pollock è andato a vedere al Pomona College col fratello nel 1930 (vedi più sopra). Orozco dipingerà più volte – prima e dopo - temi di uomini e donne infuocate come ad esempio: La Vittoria, 1944, olio su tela cm 55x61, Città del Messico, Collezione Carrello-Gil; Prometeo, 1944, olio su tela cm 73x93, Ivi. 8 Violet Staub de Lazlo ha curato negli Stati Uniti varie edizioni di opere di Carl Gustav Jung in traduzione inglese. 9 Infatti ha pubblicato un volume in collaborazione con Dyane S. Sherwood su Transformation of the Psyche. The Symbolic Alchemy of the Splendor Solis, London, Routledge, 2003; e precedentemente era uscito un volume in collaborazione con Mand Oakes, appunto su The wisdom of the serpent. The myth of Death, Rebirth, and Ressurrection, nel 1990, probabilmente dallo stesso editore. Data la generazione alla quale apparteneva Joseph L. Henderson, con ogni probabilità si tratta di ristampe di opere precedentemente pubblicate. 10 La lettera di Sanford Pollock è del luglio del 1941, della quale è pubblicato un ampio stralcio in: Jackson Pollock, Lettere, riflessioni, testimonianze, cit., pp. 49-50. Il ’39 però è anche l’anno nel quale Pollock vedrà esposta Guernica di Pablo Picasso al Museum of Modern Art di New York, che studierà attentamente e lascerà una traccia profonda nel suo lavoro. Vari disegni ci sono pervenuti che sono ispirati all’opera del pittore spagnolo, tra cui Untitled (Sheet of Studies), recto e verso, 1939-42 ca. (fig. 12) e Untitled (Sheet of Studies), 193942 (fig. 13), dove l’assimilazione del linguaggio picassiano è fortemente personalizzata: tali disegni non sono tanto variazioni sul tema, quanto spunti figurali per nuove invenzioni. Lo si vede benissimo in Untitled, 1939-42 (fig. 14). L’ascendenza di Guernica e di Picasso, è piuttosto chiara in Pollock ed arriva fino ai primi ‘dripping’ veri e propri del 1947 e tutto sommato ha avuto un’azione positiva sull’immaginario e le formulazioni pittoriche dell’artista, come in alcuni altri artisti europei (intendo naturalmente, non tanto il fenomeno del picassismo dell’immediato dopoguerra, quanto le ‘appropriazioni’ originali e trasformatrici che vengono dal linguaggio del grande maestro andaluso). Di Picasso interessava Pollock la capacità di accostarsi alle dimensioni del sacro e del mito ma soprattutto l’attitudine a evocare aspetti essenziali dell’esistenza come la nascita e la morte. Due dipinti del Nostro come Nascita, del 1938 ca., e Immagine mascherata, dello stesso anno11, dimostrano chiaramente questo tipo di interesse. In un’intervista rilasciata da Pollock a un gallerista12 ai primi del 1944, ebbe a dire tra l’altro: […] Riconosco che la pittura importante di questi ultimi cento anni è stata fatta in Francia. I pittori americani sono stati quasi sempre al di fuori della pittura moderna. (Ryder è il solo pittore americano che mi interessi.) Il fatto che molti buoni pittori moderni europei siano qui13 è molto importante, perché permettono una certa comprensione dei problemi della pittura moderna. Io sono particolarmente impressionato del loro concetto di inconscio come sorgente dell’arte. Questa idea mi interessa più degli stessi dipinti, perché i due artisti che ammiro di più, Picasso e Miró, vivono ancora in Europa. Dello stesso periodo è un dipinto come Head, 1939-41 (fig. 15), un’immagine visionaria di grande intensità nella quale da una sorta di fondo nero spiccano tre occhi14, due narici e una strana bocca che apparenta l’immagine stessa a fattezze mostruose piuttosto impressionanti, che ci trasmettono un senso inquietante di ossessività. Head fa parte di una serie di immagini metamorfiche che sono tipiche di questa fase, come ad esempio The Moon Woman, del 1942 (fig. 18) nella quale gli spunti di Picasso e Miró e certe scritture di origine automatica, che vengono da Masson, hanno dato luogo ad un’immagine affatto inedita di donna-luna nera (fig. 19). Una figura ambivalente di un essere notturno dalle fattezze, più che probabili, di una donna divoratrice. Un disegno a penna come Untitled, del 1943 (fig. 20), potrebbe essere apparentabile ad una figura abbigliata da sciamano. A questo periodo proporrei di datare il disegno a china di un paesaggio onirico dello Sketchbook15 di Pollock conservato alla Morgan Library di New York, nel quale il ricordo di Masson è evidente (fig. 22). Nel 1942 la relazione con la Krasner è per Pollock un importante elemento di sostegno, di sprone e di promozione del suo lavoro allargando la cerchia delle conoscenze. Sarà il critico d’arte James Johnson Sweeney a consigliare Peggy Guggenheim di visitare lo studio dell’artista. Attraverso il pittore William Baziotes Pollock conosce Robert Motherwell16 che assieme alle loro mogli sperimenteranno la scrittura automatica. Il ’42 è per Pollock un anno di grande lavoro poiché, oltre 11 Riprodotti in L’arte moderna, Milano, Fratelli Fabbri, 1967, vol. XIII, Correnti contemporanee II, pp. 34 e 36. L’intevista è stata rilasciata da Pollock a Howard Putzel, un gallerista socio di Peggy Guggenheim, in “Arts and Architecture”, febbraio 1944. E’ leggibile nella sua integrità in Jackson Pollock, Lettere, riflessioni, testimonianze, cit. a nota 2, pp. 61-62. 13 Essi risiedevano per lo più a New York. 14 Si noti l’allusione induista del terzo occhio nella fronte. 15 Si veda William S. Lieberman, Lo sketchbook di Pollock alla Morgan Library, in: Jackson Pollock, catalogo della mostra cit., p. 109-121, il disegno è riprodotto a p. 113. 16 Debbo notare che sia Baziotes che Motherwell erano dei pittori molto colti, con studi regolari. Soprattutto il secondo era capace di dare anche un apporto critico di rilievo al lavoro artistico. 12 a partecipazioni a esposizioni con una o più opere, preparerà la prima personale che terrà nella galleria di Peggy Guggenheim: Art of This Century in novembre del 1943. Tra le opere esposte vi sono Guardian of the Secret, The Mad Moon Woman, Male and Female17, The Moon Woman (fig. 18), Cuts the Circle, The She-Wolf, Stenographic Figure18, The Magic Mirror, Conflict e altre ancora. Di questa esposizione Dore Ashton19 ha scritto: I dipinti, con i loro suggestivi titoli mitici e i segni arcani scritti sulla superficie, furono tra le prime opere espressioniste astratte ad essere esposte pubblicamente, in cui fosse chiaramente indicato l’interesse per gli antichi miti drammatici. Ci sono figure di centurioni, tavole profetiche, miti metamorfici (per lo più di origine greca) dipinti a colori torbidi, abbozzati alla rinfusa in un primo piano molto ravvicinato. E’ già chiara la tendenza di Pollock a segnare la superficie con una continuità lineare, un tipo di écriture che gli è peculiare. La mostra in questione, sulla quale ho lasciato parlare una critica d’arte che è stata un’attendibile testimone, ha avuto un grande successo ed è stata decisiva nella carriera dell’artista. Credo che vada visto in una sequenza temporale abbastanza ravvicinata un dipinto come Two, del 1943-45 (fig. 23) rispetto a quelli esposti in The Art of This Century. Composto quasi a pannelli come Male and Female del 1942, ma con una costruzione meno geometrizzante e tenendo fermo un certo gioco ambiguo tra piani in lieve profondità e la superficie dipinta, gioco che viene ottenuto attraverso una pacata proliferazione di segni che da quei piani fuoriescono. Ne vengono due figure frammentate e tra loro un po’ osmotiche, dipinte in una gamma ristretta di cromie, rispettando persino20 certi rapporti di equilibrio compositivo. Il tema è quello del doppio, un doppio che non è mai simmetrico, e dove uno dei due personaggi può diventare l’ombra dell’altro e viceversa. Affine a questo dipinto è Beach Figures, del 1944 (fig. 24), che delinea con un’insolita gamma di ocra, grigi e marrone due figure, l’una maschile e l’altra femminile, un cane, altre due figure piccole quasi speculari alle prime, disegnate con qualche residuo stilistico tardo cubista e tracciate in maniera stenografica. Ritengo che in Beach Figures abbiamo un’immagine figurativa iniziale che non ha subito le modifiche che successivamente l’artista di solito imprimeva ai suoi dipinti, attraverso stratificazioni di segni e interventi di tipo gestuale, atti a coprire l’immagine di partenza e, quindi, la stessa superficie pittorica, pervenendo ad approdi formali e linguistici completamente diversi21. Di maggiore interesse per gli sviluppi della pittura di Pollock è il Portrait of H.M., del 1945 (fig. 25), di straordinario vigore espressionistico: il gesto dell’artista si traduce in veloci pennellate e ‘fissa’ una sorta di simultaneismo, quasi memore di certe impostazioni futuriste poiché, in effetti, si tratta di una sovrapposizione di piani, accresciuta dai diversi tipi di segni che li attraversano mediante forti contrasti cromatici. Untitled, del 1946 ca., è una gouache e pastello su carta, una sorta di palinsesto di segni e cromie diverse (fig. 26) che proliferano nel foglio dipinto, senza privilegiare alcuna direzione, pure essendo caratterizzato da un andamento ovoidale su più piani. La composizione è tale da costituire una sorta di nucleo compresso che potrebbe svilupparsi in più direzioni e in guise diversissime: un momento genetico e iniziale di una ‘galassia’ pittorica, all’inizio di ogni sua possibile espansione. Penetrando 17 Riprodotto in L’arte moderna, vol. XIII, cit., p. 15. Riprodotto ivi, p. 37. 19 Cfr. D. Ashton, Gli inizi dell’Espressionismo astratto in America, in: L’arte moderna, vol. XIII, cit., p. 10. 20 Parrebbe un paradosso, ma non è tale perché dimostra che l’artista padroneggiava benissimo aspetti compositivi tradizionali entro percorsi pittorici particolarmente impervi e difficili, le cui formulazioni linguistiche erano affatto nuove. 21 Si veda a questo proposito l’intervista che la moglie di Pollock, Lee Krasner, concede a B.H. Friedman, resa pubblica nel 1969, riportata da Ellen G. Landau, Jackson Pollock: il corpo e la natura, in: Jackson Pollock a Venezia, cat. cit., p. 74. 18 l’immagine a un livello più ravvicinato e “lenticolare” possiamo scorgere un intero repertorio di segni, che potrebbero dare origine ad altre opere. Il 1946 è sicuramente una data liminare per la pittura di Pollock: il dipinto Untitled di quell’anno (fig. 27) è una gouache su carta di dimensioni contenute (cm 56,5x82,6), ma di una certa ampiezza di sviluppi per la ricchezza messa in essere dalle virtuali suggestioni figurali, che paradossalmente sussistono per il fatto che l’artista le ha in parte distrutte, attuando delle campiture che evocano una spazialità ampia, costellata di segni e di primi ‘gesti’ con i bianchi liquidi della tempera, lanciati direttamente sul foglio, imprimendo loro un ritmo parossistico affine al jazz di quegli anni. Si tratta in effetti di inedite strategie pittoriche che costituiscono anche un modo nuovo di comporre e raccordare forme diverse. E’ facile capire da questo punto di partenza quanto certi sviluppi del posteriore gruppo COBRA, squisitamente europeo, debba ad un pittore come Pollock22. Molto vicino a quest’opera è il dipinto Circumcision (fig. 28), che può suggerire un rituale d’iniziazione e di ingresso vero e proprio entro una particolare comunità sociale. L’uso dei colori timbrici tende a dare lo stesso risalto a tutte le parti del dipinto. Vi è tuttavia una certa dominante verticale nella composizione che culmina nella maschera di un officiante stregone – sopra, un po’ sulla destra rispetto all’asse centrale - con la sottolineatura ritmica dei segni neri un po’ insistiti, che attenuano certi contrasti dei colori e delimitano energicamente alcune campiture del dipinto. La composizione è caratterizzata da varie forme triangolari acute che imprimono l’andamento drammatico di un rituale cruento, dove l’aspetto violento che può assumere il sacro in una società tribale è perfettamente evocato23. Mi sembra che una fonte possa essere la Crocifissione di Picasso del ’41 (olio su tavola cm 51x66, collezione privata), con insoliti contrasti di forme e di colori, particolarmente stridenti nei gialli, che sicuramente Pollock conosceva bene, data l’enorme diffusione delle riproduzioni in numerose pubblicazioni e cataloghi dei dipinti del pittore andaluso nell’immediato dopoguerra. Anche qui si tratta del sacro e precisamente del sacrificio sulla croce che Picasso ha trattato con particolare crudezza. Circumcision è un dipinto che dimostra non solo la perfetta assimilazione di Pollock del linguaggio picassiano, ma anche il modo assolutamente originale di utilizzarlo per nuove creazioni inedite e, quindi, come una delle fonti del dipinto non risulti evidente di primo acchito poiché, quanto viene rielaborato dall’artista, implica una trasformazione linguistica completa. Il 1946 abbiamo detto che è stato un anno liminare per Pollock, in quanto si è aperta una nuova fase della sua pittura più matura che pochi mesi dopo, nel 1947 troviamo già in Enchanted Forest (fig. 29). Quanto scrive l’artista del suo lavoro in quell’anno è particolarmente illuminante: La mia pittura non nasce sul cavalletto. Non tendo praticamente mai la tela prima di dipingerla. Preferisco fissarla non tesa sul muro o per terra. Ho bisogno della resistenza di una superficie dura. Sul pavimento mi sento più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del quadro, poiché in questo modo posso camminarci 22 Penso che persino certe raffinatezze grafiche di uno dei quattro pittori del gruppo Cobra, il belga Pierre Alechinsky, sarebbero impensabili senza un’opera decisamente pionieristica come questa. 23 Trovo che quanto scrive Angelica Zander Rudenstine potrebbe far apparire un tantino casuale l’attribuzione del titolo Circumcision nel dipinto da parte dell’artista. Ella racconta che si era rivolta a Lee Krasner nel 1981 per avere spiegazioni sulla “natura stranamente specifica” del titolo, pertanto le diede un’intervista nella quale la Krasner affermò che esso era il risultato di una consultazione: “Quando mi chiese di entrare [nello studio] a vedere il dipinto con lui, mi disse: Cosa ti suggerisce?’. E io dissi: ‘Davvero non saprei, Jackson. La sola cosa che mi appare chiara è che si tratta di un qualche tipo di rituale’. Fu in seguito a questa conversazione, non immediatamente ma qualche tempo dopo, che Pollock disse: ‘ Cosa ne pensi di Circoncisione?’ ‘Sì, è bello’. E’ così che quel quadro ebbe il suo titolo.” Ciò non significa che l’idea del rito non fosse inizialmente quella giusta, a cui poi seguì una riflessione, che diede luogo al titolo definitivo, che non mi sembra affatto possa ritenersi casuale. Poiché la violenza del sacro è ben presente nel rituale cruento del dipinto, ritengo che un titolo come Circoncisione lo focalizzi ancor di più. Al massimo si potrà dire che la circoncisione non era forse nell’intenzione iniziale dell’artista, ma sicuramente lo era quella di un rito, e di un rito piuttosto cruento. Per l’intervista si veda: A. Zander Rudenstine, Peggy Guggenheim Collection, Venice, New York, Harry N, Abrams, e The Solomon R. Guggenheim Foundation, 1985, p. 634. La traduzione è riportata in E. G. Landau, Jackson Pollock: il corpo e la natura, cit., p. 86, n. 15, che va vista per qualche altro riferimento. sopra, lavorare sui quattro lati, ed essere letteralmente nel quadro. E’ un metodo simile a quello degli Indiani dell’Ovest che lavorano sulla sabbia. Mi allontano sempre più dagli strumenti tradizionali del pittore come il cavalletto, la tavolozza, i pennelli, ecc. Preferisco la stecca, la spatola, il coltello e la pittura fluida che faccio sgocciolare, o un impasto grasso di sabbia, di vetro polverizzato o di altri materiali extrapittorici. Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quello che faccio. Solo dopo una specie di ‘presa di coscienza’ vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di fare dei cambiamenti, di distruggere l’immagine ecc. perché un quadro ha una vita propria, Tento di lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto col quadro il risultato è caotico. Altrimenti c’è armonia totale.24 Un dipinto come Enchanted Forest rappresenta una delle prime opere di svolta verso l’Action Painting che Pollock in qualche modo precorre nella Scuola di New York, diventandone l’indiscusso punto di riferimento. L’opera presenta un quoziente di aleatorietà forse più alto rispetto ai dipinti successivi dell’artista, o per lo meno dove il gusto della scoperta, della novità e dell’azzardo sono più evidenti. Qui si vede che Pollock si muove sopra la tela con tutto il corpo. Benché compaia rispetto ad altre opere dell’artista una certa qual ‘imperizia’, l’idea di un fitto intreccio boschivo inestricabile ci ‘restituisce’ persino la percezione dei colpi di luce tra le frasche, mantenendo tutto il fascino di un complesso dipinto che finisce per evocare una “foresta incantata”. Con lieve forzatura ermeneutica, potremmo dire, con un certo margine di certezza, che così l’artista aveva visto l’opera, dopo averla dipinta. Guardando sei notissime fotografie di Pollock nello studio, mentre lavorava negli anni 1949, 1950 e ’5125 possiamo notare come il corpo dell’artista in qualche modo ‘entrava’ fisicamente e mentalmente nell’opera pittorica, movendosi sopra e intorno a grandi tele stese per terra. Le posizioni del corpo dell’artista sono piegate o appoggiate sulla tela col ginocchio destro, mentre con la mano sinistra tiene un barattolo di colore, con la destra muove la pennellessa che lascia sgocciolare una pittura fluida sulla tela, delineando con ampi gesti circolari o angolari del braccio le tracce del gesto che delinea segni, itinerari lineari e possibili percorsi perfino labirintici. In effetti l’artista, con il gesto che coinvolge tutto il corpo, potenzialmente può trasmettere l’esperienza che lo costituisce come corporeità nel suo rapportarsi al mondo, nel suo protendersi verso le cose e gli altri, essendo egli stesso come corpo e come persona, nella sua singolarità, parte del mondo, dando espressione anche alle dimensioni inconsce di questo rapportarsi e protendersi come lo stesso Pollock aveva intuito benissimo nel suo interesse verso l’inconscio –. L’artista attua e concepisce spesse volte il suo gesto come un rito vero e proprio, che per il Nostro è ancora il rito della pittura, ma di lì a pochi anni si protenderà verso gli happenings (eventi piuttosto che oggetti), la teatralizzazione, le ‘performance’, la Body Art, come vedremo nelle prossime lezioni. Ma la corporeità, che interviene nell’atto stesso del dipingere, è anche un modo per definire, espandere e dare espressione ad una propria spazialità, che è strettamente connessa al vissuto dell’artista, e ne è l’effettivo prolungamento vitale e creativo. Sappiamo che chi ha introdotto sperimentalmente il gesto nel disegno, nella grafica e nella pittura è il grande artista francese André Masson (Balagny, Oise 1896 – Paris 1987), che fin dalle primizie del movimento Surrealista ha avuto un’importante esperienza pittorica in quel contesto culturale – poi si è staccato da Breton –; successivamente è vissuto negli Stati Uniti tra il 1941 e il 1945, soprattutto a New York. Come abbiamo visto, Masson era uno dei tre artisti europei che Pollock studiava e che lo interessavano di più, prendendo spunti dal suo lavoro, come abbiamo già notato più volte. In Pollock la gestualità legata alla sua pittura è tendenzialmente espansiva, connessa al suo ‘dionisismo’, con un moto centrifugo rispetto al nucleo dell’opera, egli procede per stratificazioni infittendo la trama dell’immagine, creando spesso una sorta di palinsesto, prediligendo tele di grandi dimensioni. André Masson invece delinea dei veri e propri calligrammi di ascendenza 24 Lo scritto è comparso, nella rivista “Possibilities”, edita da R. Motherwell e da H. Rosenberg a New York nel 1947. E’ stato ripreso in traduzione italiana in Jackson Pollock a Venezia, catalogo cit., p. 239. 25 Ripubblicate in J. Pollock, Lettere, riflessioni, testimonianze, cit., pp. 131-39. orientale e anche quando elabora delle immagini gestuali, tende a un grafismo elegantemente strutturato, con spunti naturalistici (come nidi d’insetti, polluzioni o altro) e poetico-letterari, evitando di sovrapporre fitte reti di gesti o di segni – con un innegabile senso della misura - nei fogli, nelle lastre o nelle tele, che sono sempre di dimensioni più contenute rispetto a quelle di Pollock26. Più volte si è insistito da parte della critica d’arte sull’alea e sul fenomeno della casualità nell’opera d’arte di matrice gestuale in maniere molto parziali, se non equivoche, forse perché soltanto praticando questo tipo esperienza pittorica è possibile afferrarne problemi e modalità. Anche l’alea ha dei limiti, nel senso che il gesto dell’artista non è mai del tutto casuale e, direi fondamentalmente, secondo due modalità: l. l’esercizio e la pratica gestuale tende a configurare il prodotto grafico o pittorico che ne deriva in maniera sempre più connessa a una certa struttura, che deriva dal fatto che il gesto di ciascun artista ha una determinata direzione e si attua e sviluppa secondo delle ‘dominanti’ particolari che si configurano, in un certo senso, come una Gestalt che differenzia un artista dall’altro (o chiunque si avventuri in esperienze del genere), per cui può diventare una specie di ‘ripetizione differente’, in qualche modo controllabile – entro certi limiti - ‘a monte’ dell’opera che ne deriva; 2. quando l’artista gestuale avverte un certo ‘stato di grazia’, che è una vera e propria urgenza espressiva, come nel furor di Pollock, agisce una sorta di controllo dall’’interno’, ma non in termini coscienti, per cui l’apparente caos che ne deriva durante ‘l’azione’ poi si compone nell’opera, come diceva Pollock nel testo che abbiamo citato, cercando di non perdere il contatto col quadro per generare quell’“armonia totale” che ne deriva. Nelle opere successive del Nostro artista possiamo anche distinguere i due modi diversi. Un primo modo è esemplificabile in Reflection of the Big Dipper, del 1947 (fig. 30): un segno nero conclude il dipinto ed è nitidamente distinguibile nelle sue curve ellissoidali, sopra un ‘fondo’ cromaticamente ricco di timbri contrastanti come il giallo-blu, violacei e azzurrini argentei, ecc. Alcune “taches” piuttosto scure, verso il nero, rendono più ambiguo il ‘percorso lineare’ e invitano il riguardante a sprofondare nella ricca trama del dipinto. Ancora più evidente è Sentieri ondulati, dello stesso anno (fig. 31) ove il “disegno” spiraliforme più che sovrapporsi interagisce con la ricca trama di segni tra l’argento e l’alluminio che copre un fondo verdognolo, con qualche emergenza giallo-arancio. La composizione sembra galleggiare su una superficie liquida che potrebbe estendersi indefinitamente. Il secondo modo lo troviamo in Sea Change, del ’47 (fig. 32), con una trama fitta ed elaboratissima, un palinsesto illeggibile e in buona parte in-visibile, poiché stratificato entro una trama talmente ricca che tende a sfaldare l’immagine, ed è una sfida persino per le attitudini mnemoniche dell’osservatore. Le ‘taches’ nere che si sono dilatate sulla superficie del dipinto coprono l’orditura costruita dalla gestualità dell’artista, probabilmente nello strato intermedio del palinsesto, imprimendo una forte ambiguità all’immagine. Infatti, se ci sembra di vedere virtuali immagini, per esempio un uovo inclinato di 50° ca., rispetto alla linea orizzontale della base del dipinto, uovo che appare ‘collocato’ nella fascia centrale orizzontale, spostato verso il margine destro del quadro, in realtà ad una ispezione più accurata tale configurazione tende a sfaldarsi, rendendo l’immagine cangiante a seconda del riferimento dato dall’esplorazione percettiva e dalle relative scelte fatte volta per volta dal riguardante. Paradossalmente in Sea Change Jackson Pollock fissa un’immagine che è in mutamento, fermandosi al punto giusto, laddove interviene il processo di consunzione e di entropia dell’immagine stessa, eppure, malgrado ciò, è un dipinto riuscito e ‘caratterizzato’ dalla sua notevole indefinitezza. Tra le due modalità che ho tentato di descrivere Number 23, del 1948 (fig. 33), si colloca in una posizione intermedia, la cui trama di segni sottili appare leggibile, almeno virtualmente. La struttura nera che galvanizza l’immagine diventa meno definita per gli ampi segni gestuali rossi, gialli, argentei e bianchi che la attraversano in punti anche cruciali rendendo la percezione del dipinto più 26 Sulle opere segniche e gestuali dal 1941 al 1960 di Masson, si veda: Roland Barthes, Semiografia di André Masson, Roma, Magma, 1976. instabile. Se tagliamo un particolare (come nella fig. 34), l’intensità dell’immagine si costituisce quasi come un mondo a sé, come se per reggersi pittoricamente non avesse bisogno di tutto il dipinto, del quale pure è parte. 3. Conclusione A questo punto reputo che la completa formazione di Pollock, ai suoi 35 anni, era pienamente compiuta, sia per le strategie sperimentali che l’artista era riuscito straordinariamente a crearsi e a mettere in gioco, sia per l’elaborazione di un ‘repertorio’ di immagini possibili sulle quali aveva lavorato negli anni della piena maturità, cioè dal 1948 fino alla sua tragica scomparsa nel 1956, costellata di opere importanti e di alcuni capolavori. Il caso di Jackson Pollock, come si può vedere dalla esposizione che ne ho tentato, puntando su alcuni aspetti controversi, è quello di un artista molto problematico, e quindi va necessariamente affrontato – per quanto possibile - superando schemi e cristallizzazioni critiche correnti, che occultano il vero spessore del suo pensiero artistico. Il mio intento è stato esattamente questo, nei limiti di un modulo delle lezioni on line, poiché ritengo che la modesta esigenza di fornire alcuni materiali di lavoro, spero non scontati, giovi anche all’arricchimento dell’esposizione didattica da cui possono scaturire lezioni ed esercitazioni, cercando di rinsaldare per l’appunto una connessione tra didattica e ricerca. Ritengo che la didattica non possa essere solo la ripetizione di cose già sapute, ma anche un tentativo di mettere alla prova alcune questioni, aprendole a prospettive ulteriori, poiché la strumentazione didattica, per l’appunto, si può largamente giovare di una interrogazione intorno alle opere, alla storia, alla critica, ma anche intorno alla creatività di un artista. 4. Esercitazioni didattiche Ognuno dei temi che qui si potrebbero suggerire, assieme ad altri analoghi che ciascun corsista potrebbe formulare, può essere suscettibile di una progettazione didattica per una o più lezioni, nonché per gli approfondimenti da suggerire dapprima agli insegnanti, poi agli studenti, e per la auspicabile visita di studio alle opere di Jackson Pollock conservate alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Oltre ai suggerimenti che potrà darvi la tutor del corso, Prof.ssa Monica Nicoli, formulo qui alcune ipotesi per esercitazioni e approfondimenti: 1. Il contesto artistico statunitense precedente all’opera di Jackson Pollock. 2. I soggiorni degli artisti francesi della cerchia surrealista a New York negli anni di guerra e la loro influenza sull’arte americana. 3. La pittura di Jackson Pollock dal 1948 al 1956. 4. Jackson Pollock e la Scuola di New York. 5. La formazione e la pittura di Lee Krasner. [Si vedano le figg. 36-40 dei dipinti della Krasner che qui sono stati riprodotti senza commento] 6. Il ruolo di Peggy Guggenheim nella fortuna di Jackson Pollock. 7. Una delle mostre di Jackson Pollock a Venezia, scegliendo tra: la Biennale del 1948, la Biennale del 1950, la personale all’Ala Napoleonica del 1950, la Biennale del 1978, La Biennale del 1995 e la retrospettiva all’Ala Napoleonica del 2002 (qui ampiamente utilizzata). Opere di Jackson Pollock e di altri artisti di riferimento, riprodotte o prese in esame: l. Jackson Pollock, Untitled (Selfportrait), 1931-35, olio su tela cm 18,4x13,3, Fondazione Pollock e Krasner di New York. 2. Jackson Pollock, Cotton Pickers, 1934-35, tempera su tavola, cm 66,6x107,3, coll. privata. 3. Thomas Hart Benton, Grandinata, 1940, olio su tela cm 82,5x100, Ombra (USA), Joselyn Art Museum. 4. Jackson Pollock, Composition with Figures d Banners, 1934-38, olio su tela cm 27x29,8, Museum of Fine Arts of Houston. 5. Jackson Pollock, Untitled (Figure Composition), 1938-41 ca., matite colorate e grafite su carta cm 35,8x28,3, New York, The Metropolitan of Art. 6. David Alfaro Siquieros, Sopra: Vittime della guerra, 1945, pittura murale cm 400x246, Città del Messico, Palazzo delle Belle Arti. Sotto: Caino negli Stati Uniti, 1947, pirolixina cm 73x96, Collezione privata. 7. Jackson Pollock, Untitled (Bald Woman with Skeleton), 1938-41, olio su masonite cm 50,8x61, New York, Joan T. Washburn Gallery. 8. Jackson Pollock, Composition with Serpent Mask, 1938-41, olio su masonite cm 30,2x26,6, Ivi. 9. André Masson, Paesaggio irochese, 1943, olio su tela cm 81x100, Paris, Collezione privata. 10. Jackson Pollock, Untitled, 1938-41 ca., matite colorata e grafite su carta cm 36,2x25,4, New York, The Metropolitan Museum of Art. 11. Jackson Pollock, Untitled, 1938-41 ca., matita colorata e grafite su carta cm 36,2x25,4, Ivi. 12. Jackson Pollock, Untitled (Sheet of Studies), 1939-42 ca., recto e verso, penna, inchiostro e matita colorata su carta cm 33x26, Ivi. 13. Jackson Pollock, Untitled (Sheet of Studies), 1939-42 ca., penna, inchiostro, grafite e matite colorate su cartoncino cm 35,6x27,9, Ivi. 14. Jackson Pollock, Untitled (Sheet of Studies), 1939-42 ca., penna e pastello su lino e carta cm 25x20, Monaco, Collezione privata. 15. Jackson Pollock, Head, 1938-41, olio su tela cm 40,6x40, Lisbona, The Bernardo Collection – Sintra Museu de Arte Moderna. 16. Jackson Pollock, Naked Man, 1938-41 ca., olio su tela cm 127x61, New York, Collezione privata. 17. Jackson Pollock, Naked Man, 1938-41 ca., Particolare della testa, Ivi. 18. José Clemente Orozco, L’uomo, 1938-39, affresco della cupola dell’Hospicio Cabañas, Guadalajara, Stato di Jalisco. 19. Jackson Pollock, The Moon Woman, 1942, olio su tela cm 175,2x109,3, Venezia, Peggy Guggenheim Collection. 20. Jackson Pollock, The Moon Woman, 1942, Particolare della testa, Ivi. 21. Jackson Pollock, Untitled, 1943, penna, inchiostro nero e pastello cm 32x22, Monaco, Collezione privata. 22. Jackson Pollock, Sketchbook, Foglio 25, cm 15,1x33, New York, Traw Collection, The Pierpont Library. 23. Jackson Pollock, Two, 1943-45, olio su tela 193x110, Venezia, Peggy Guggenheim Collection. 24. Jackson Pollock, Beach Figures, 1944, olio su tela cm 68,5x50,8, New York, The PollockKrasner Foundation. 25. Jackson Pollock, Portrait of H.M., 1945, olio su tela cm 91,4x19,2, Iowa City, University of Iowa Musum of Art. 26. Jackson Pollock, Untitled, 1946 ca., gouache e pastelli su carta cm 58x80, Venezia, Peggy Guggenheim Collection. 27. Jackson Pollock, Untitled, 1946, gouache su carta cm 56,5x82,6, Lugano, Thyssen-Borsemizsa Collection. 28. Jackson Pollock, Circumcision, 1946, olio su tela cm 142,3x168, Venezia, Peggy Guggenheim Collection. 29. Jackson Pollock, Enchanted Forest, 1947, olio su tela cm 221,3x114,6, Ivi. 30. Jackson Pollock, Reflection of the Big Dipper, 1947, olio su tela cm 111x92, Amsterdam, Stedelijk Museum. 31. Jackson Pollock, Sentier ondulati, 1947, olio su tela cm114x86, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna. 32. Jackson Pollock, Sea Change, 1947, olio su tela cm 147x112,1, Seattle Art Museum. 33. Jackson Pollock, Number 34, 1949, smalto su carta incollata su masonite cm 59,7x81,3x1,9, Utica, New York, Munsor Williams Proctor Arts Institute, Museum of Art. 34. Jackson Pollock, Number 34, 1949, Particolare, Ivi. 35. Jackson Pollock, A sinistra: Untitled, 1950-51 ca., monotipo cm 21,2x14 (M42), New York, The Pollock-Krasner Foundation. A destra: Untitled, 1950-51, monotipo su seta cm 21,6x14. Ivi. 36. Lee Krasner, Self Portrait, 1931-33, olio su tela cm 45,9x40,6, New York, Robert Miller Gallery. 37. Lee Krasner, Gansevoort II, 1935, olio su tela cm 63,5x68,5, Ivi. 38. Lee Krasner, Lavender, 1942, olio su tela cm 61,9x76,8, Ivi. 39. Lee Krasner, Lava, 1949, olio su tavola cm 101,6x76,2, Ivi. 40. Lee Krasner, Lava, 1949, Particolare, Ivi. Bibliografia ragionata: 1. Riferimenti della lezione: Buona parte dei riferimenti della lezione si rifanno alle opere esposte e riprodotte in catalogo dell’importante mostra veneziana di cinque anni fa: L’America di Pollock. Jackson Pollock a Venezia. Gli “Irascibili”e la Scuola di New York, catalogo dell’esposizione (Venezia, Museo Correr e Mestre, Centro Culturale Candiani, 23 marzo-30 giugno 2002) a cura di V. Santo, S. Bortoli e C. Cecchetto; scritti di G. Romanelli, B. Alfieri, P. Rylands, A. B. Oliva, S. Hunter, E. G. Landau, K. Varnedoe, W.S. Lieberman, F. Pivano, Milano, Skira, 2002 (il volume contiene una bibliografia essenziale dal 1944 al 1993, pp. 247-49, e una buona biografia di J. Pollock, a cura di Laura Maeran, pp. 237-41). Per un avvìo al tema proposto si veda la recensione di G. Nonveiller, L’America di Pollock. Jackson Pollock a Venezia. Gli “Irascibili” e la Scuola di New York, “Terzoocchio”, A. XXVIII, N. 103, giugno 2002, p. 16. 2. Sugli sviluppi dell’arte negli USA: Barbara Rose, American Art Since 1900, New York, Frederick A. Praeger, Inc., 1967; tr. it. A. Castellani, Arte americana del Novecento, Torino, E.R.I., 1970 (particolarmente i capitoli 5 e 6). Più circoscritto il contributo di Sam Hunter sull’arte del dopoguerra negli U.S.A.: AA.VV., L’arte dopo il ’45, Milano, Il Saggiatore, 1959 (ultimo capitolo). Sulla temperie artistica della “Scuola di New York”, si veda: Dore Ashton, Gli inizi dell’espressionismo astratto in America, in “L’Arte moderna”, vol. XIII, Correnti contemporanee II, Milano, Fabbri, 1967, pp. 1-40 (con Antologia critica a pp. 322-38 e Bibl. a pp. 370-72.). Nello stesso volume si veda inoltre: Sam Hunter, Action painting, la generazione eroica, a pp. 41-80. Tra i maggiori critici del periodo, di veda Harold Rosenberg, The Anxious Object. Art today and its audience, New York, 1964; tr it. di G. Drudi: L’oggetto ansioso, Milano, Bompiani, 1967, e inoltre si veda di un grande storico dell’arte medievale, attentissimo alla contemporaneità: Meyer Shapiro, L’arte moderna, Torino, Einaudi, 1986, in particolare il capitolo: Pittura astratta recente (1957), pp. 226-38. 3. Alcune fonti di studio per Jackson Pollock: Jackson Pollock, Lettere, riflessioni, testimonianze, a cura di Elena Pontiggia, Milano, SE, 1991 e 2000². La testimonianza di Peggy Guggenheim, Una vita per l’arte, pref. di Gore Vidal, intr. di Alfred Barr jr., Milano, Rizzoli, 1982, capitoli 15°, 17° e passim. Tra le monografie sull’artista: Bryan Robertson, Jackson Pollock,New York, Harry N. Abrams, 1960, tr. it., Milano, 1961. Francis V. O’Connor, Eugene V. Traw, A Catalogue Raisonnée of Paintings, Drawings, and Other Works, voll. I-IV, New Haven – London, Yale University Press, 1978. Francis V. O’Connor, A Catalogue Raisonnée of Paintings, Drawings, and Other Works. Supplement Number One, The Pollock-Krasner Foundation, Inc., 1995. Tra le monografie in lingua italiana: Enrico Crispolti, Pollock. Un saggio critico, Milano, Scheiwiller, 1958; Italo Tomassoni, Pollock, Firenze, Sadea Sansoni, 1968; Alberto Busignani, Pollock, Firenze, Sadea/Sansoni, 1970. Tra i cataloghi: Jackson Pollock, Venezia, Ala Napoleonica, Museo Correr, luglio 1950, catalogo della mostra cura delle “Tre mani”, con introd. di Peggy Guggenheim e un saggio di Bruno Alfieri, Venezia, 1950; Jackson Pollock 1912-1956, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a cura di Nello Ponente, presentazione di Palma Bucarelli e introduzione di Sam Hunter, Roma, 1958. 4. Su Lee Krasner: Ellen G. Landau, Jackson Polloch e Lee Krasner:“l’erotismo dell’influenza“, in Jackson Pollock a Venezia, catalogo cit., pp. 173-182; Id., Incanalare il desiderio. I collage di Lee Krasner dei primi anni cinquanta, Ivi, pp. 189-94. Per la biografia si veda Lee Krasner, Ivi, p. 244. 5. Per approfondire la tematica proposta: B. H. Friedman, Jackson Pollock, Energy Made Visible, New York, Mc Graw-Hill Book Co., 1972; W. Jackson Rushing, Ritual and Mith. Native American Culture and Abstract Expressionism, in: The Spiritual in Art: Abstract Painting 1890-1985, County Museum of Art, Los Angeles, 1985 (a cui si rifanno alcune considerazioni sintetiche di G. Berti, Pollock e l’arte dei Pellerossa, in “Terzoocchio”, A. XXVIII, n, 103, pp. 13-15); e lo scritto di Ellen G. Landau, Jackson Pollock: il corpo e la natura, in: L’America di Pollock…, catalogo cit. della mostra di Venezia, pp. 73-89, considerando altresì la bibliografia richiamata nelle note.