I solidi platonici: origine e storia

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I solidi platonici: origine e storia
I SOLIDI PLATONICI: ORIGINE E STORIA
“In primo luogo è chiaro a chiunque che fuoco, terra, acqua e aria sono corpi: e ogni
specie di corpo ha anche profondità. Ed è assolutamente necessario che la profondità
includa la natura del piano; e la superficie piana e rettilinea è formata da triangoli”
Platone
Il Timeo di Platone
Lo storico Proclo (V sec. d.C.) attribuisce a Pitagora la scoperta di questi poliedri, ma ad
oggi non sono pervenuti frammenti delle sue opere e quindi quest’ipotesi non è
verificabile. I poliedri regolari compaiono per la prima volta nel Timeo di Platone e proprio
per questo sono anche detti “solidi platonici”.
Quello che segue è il famoso passaggio del Timeo platonico (capitolo XX), in cui il filosofo
greco illustra la costruzione dei solidi e il loro legame con i quattro elementi fondamentali,
terra, aria, acqua e fuoco
Nell’opera Platone racconta l’origine del mondo che avviene per opera del Demiurgo, il
divino artefice, che plasma la materia partendo da una situazione di caos, in cui la materia
è informe, sul modello della perfezione del mondo iperuranico (in particolare delle idee
matematiche). Il primo livello d’ordine della materia viene quindi effettuato attraverso i 4
elementi naturali fondamentali: acqua, aria, terra, fuoco, che Platone associa a 4 dei
poliedri regolari, ad indicare l’ordine matematico-geometrico che il cosmo e la natura
possiedono. Platone racconta come inizialmente l’universo fosse composto di fuoco e di
terra, necessari affinché tutto ciò che esisteva fosse rispettivamente visibile e tangibile;
poi, affinchè l’universo fosse perfettamente proporzionato, occorrevano altri due elementi
da interporre tra i primi due: acqua e aria.
«In primo luogo è chiaro a chiunque che fuoco, terra, acqua e aria sono corpi: e ogni
specie di corpo ha anche profondità. Ed è assolutamente necessario che la profondità
includa la natura del piano; e la superficie piana e rettilinea è formata da triangoli. Tutti i
triangoli derivano da due triangoli, ciascuno dei qual ha un angolo retto e due acuti; e di
questi triangoli l’uno ha dall’una e dall’altra parte, una parte uguale di angolo retto diviso
da lati uguali, l’altro due parti disuguali di angolo retto diviso da parti disuguali. Questo è il
principio che noi stabiliamo per il fuoco e per gli altri corpi, procedendo secondo un
ragionamento necessario e verosimile: quanto ai principi superiori a questi, li conosce il
dio, e, fra gli uomini, chi a lui è caro. Ora bisogna dire quali sono i quattro bellissimi corpi,
fra di loro dissimili, di cui alcuni possono, dissolvendosi generarsi reciprocamente: se
scopriamo questa cosa, abbiamo la verità intorno alla nascita della terra e del fuoco e di
tutti gli altri elementi che secondo una proporzione stanno nel mezzo. […] lasciando da
parte gli altri triangoli, stabiliamo dunque che fra i molti triangoli uno sia il più bello, e cioè
quel triangolo che ripetuto forma un terzo triangolo, cioè l’equilatero. […]»
Riprendendo
la
concezione
atomistica
sviluppata da Democrito nel secolo precedente
Platone spiega come tutti questi elementi
presenti in natura, proprio in quanto corpi solidi
e quindi con una profondità, debbano essere
formati da piccole “particelle” piane triangolari.
In particolar modo da due tipi di triangoli,
entrambi rettangoli: quello isoscele, con angoli
di 45°, che permette di costruire un quadrato, e
quello, come preciserà in seguito, con gli angoli
di 30° e 60° che permette di costruire un
triangolo equilatero “che fra i molti triangoli …
sia il più bello”.
«Ora definiamo meglio quello che prima si è detto in modo oscuro. Infatti ci sembrava che
i quattro elementi traessero tutti origine uno dall’atro, ma questa visione non era corretta. I
realtà i quattro elementi derivano dai triangoli che abbiamo scelto, e cioè tre si formano da
quello che ha i lati disuguali, mentre il quarto è formato esso soltanto al triangolo isoscele.
Non possono dunque dissolversi tutti quanti reciprocamente, in modo che da un grande
numero di corpi piccoli nasca un piccolo numero di corpi grandi, e viceversa, ma questo
vale soltanto per i primi tre: poiché derivano tutti da un solo triangolo, quando i più grandi
si dissolvono, se ne formeranno molti e piccoli, i quali accolgono le figure a loro
appropriate, e quando, invece numerosi corpi piccoli si dividono nei triangoli, derivando un
solo numero di una sola massa, costituiranno un’altra grande specie. Dunque, quanto si è
detto sula loro reciproca generazione sia sufficiente.»
Tutti gli elementi presenti in natura derivano dai due triangoli scelti; ma mentre uno, il
cubo, è formato dal triangolo rettangolo isoscele (con angoli di 45°) gli altri tre (tetraedro,
ottaedro e icosaedro) prendono origine dal triangolo rettangolo con gli angoli di 30° e 60°.
Quindi non è possibile che un elemento che prenda origine dal triangolo rettangolo
isoscele si dissolva in un altro elemento che prenda origine dall’altro triangolo. Ma Platone
ammette la possibilità che elementi che prendono origine dallo stesso tipo di triangolo
(quello con angoli di 30° e 60°) si dissolvano e si trasformino in elementi che prendono
origine dallo stesso triangolo; quindi, come vedremo in un passo successivo dell’opera,
tetraedri, ottaedri e icosaedri possono scomporsi nei loro triangoli costitutivi e dare origine
ad elementi (poliedri) diversi.
«Quello che si deve qui di seguito spiegare è come si sia formata ciascuna specie di essi,
e dalla combinazione di quanti numeri. Si comincerà dalla prima specie, che è ordinata nel
modo più semplice: elemento di essa è il triangolo che ha l’ipotenusa lunga il doppio del
lato minore. Se si accostano due triangoli di questo tipo secondo la diagonale, e per tre
volte si ripete l’operazione, e le diagonali e i lati piccoli convergono nello stesso punto,
come in un centro, dai sei triangoli nasce un solo triangolo equilatero: e se si compongono
insieme quattro triangoli equilateri, formano per ogni tre angoli piani un angolo solido che
segue immediatamente il più ottuso degli angoli piani. Formati questi quattro angoli,
abbiamo la prima specie di solidi[…].»
Nella prima parte di questo brano Platone precisa le caratteristiche del triangolo
rettangolo con i lati diseguali, di cui ha prima parlato: si tratta del triangolo rettangolo con
angoli di 30° e 60°, perché è l’unico che ha l’ipotenusa doppia del cateto minore.
Poi ci fornisce la spiegazione di come formare un triangolo equilatero: non viene pensato,
come noi siamo abituati, come quel triangolo formato da due triangoli rettangoli con angoli
di 30° e 60° simmetrici rispetto al cateto maggiore; esso nasce come risultato
dell’accostamento lungo le rispettive ipotenuse di sei triangoli rettangoli, secondo la figura
sopra riportata. Osserviamo che se il triangolo equilatero fosse formato nella prima
maniera, non si conserverebbe il gruppo di simmetrie. Così invece, qualunque solido si
formi con questi triangoli, comunque lo si ruoti, sempre poggiando su una base, risulta
essere simmetrico.
Se si compongono assieme quattro triangoli equilateri, in modo che si formino quattro
angoloidi – nel testo presenti sotto il nome di “angoli solidi” – e ogni angoloide sia formato
da tre angoli piani, otteniamo la prima specie di solido che è appunto il tetraedro.
Osserviamo che questo solido è formato da
triangoli rettangoli con angoli di 30°
e 60°
«La seconda specie si forma dagli stessi triangoli, riuniti insieme in otto triangoli equilateri,
in modo da formare un angolo solido da quattro angoli piani: e quando vi siano sei angoli
di questo tipo, il corpo della seconda specie è così compiuto.»
Platone parla ora della seconda combinazione possibile con i triangoli rettangoli di 30° e
60°. Sei si accostano otto triangoli equilateri, in modo che si formino sei angoloidi,
ciascuno dei quali formato da quattro angoli piani, si ottiene la seconda specie di solido,
l’ottaedro. Questa specie è formata da
triangoli rettangoli con angoli di 30° e 60°.
«La terza specie è formata da centoventi triangoli connessi insieme, da dodici angoli solidi,
compresi ciascuno da cinque triangoli equilateri piani, e ha per base venti triangoli
equilateri. E l’uno dei due elementi, dopo aver generato queste figure, terminò la sua
funzione.»
Se infine si considerano 20 triangoli equilateri, in modo che accostati formino dodici
angoloidi, ciascuno formato da cinque angoli piani, si ottiene la terza specie di solido,
ovvero l’icosaedro. Questa specie è formata da
triangoli rettangoli con angoli
di 30° e 60°. Qui si conclude la serie di elementi e di poliedri che si possono ottenere a
partire dai triangoli rettangoli scaleni.
«Il triangolo isoscele generò la natura della quarta specie, che è formata da quattro
triangoli isosceli con gli angoli retti congiunti nel centro, così da formare un tetragono
equilatero: sei di questi tetragoni equilateri, accostati insieme, formano otto angoli solidi,
ciascuno dei quali è formato dall’armonica combinazione di tre angoli piani eretti. La figura
del corpo che così è formata è quella cubica, ed ha per base sei tetragoni equilateri piani.
Vi era ancora una quinta combinazione, di cui il dio si servì per decorare l’universo.»
Platone esaurisce infine il discorso dando origine al cubo che
descrive a partire dal triangolo rettangolo isoscele. Infatti, questo
triangolo ripetuto due volte dà origine al quadrato che Platone chiama
tetragono regolare. Accosta quindi sei di questi tetragoni, in modo da
formare otto angoloidi ciascun dei quali è formato da tre quadrati tutti
perpendicolari tra loro. Questa è chiamata “armonica combinazione”
poiché è l’unica perfetta, con angoli definiti di 90°.
Poi Platone fa un accenno anche al dodecaedro, dicendo che servì al dio per “decorare
l’universo”. Il dodecaedro viene associato all’etere, con cui appunto sono fatti gli astri e le
stelle. Questo è l’unico passaggio in cui Platone menziona il dodecaedro. Secondo alcune
interpretazioni sceglie il dodecaedro perché è il poliedro che meglio approssima la sfera,
cosa già teorizzata dai pitagorici. Osserviamo che il dodecaedro è formato da pentagoni
che non prendono origine da nessuno dei due triangoli di cui ha parlato in precedenza; in
questo modo Platone differenzia nettamente gli elementi del mondo terrestre, terra, aria,
acqua e fuoco, corruttibili, imperfetti, che prendono origine dai due triangoli sunnominati,
da quello del mondo extraterrestre, perfetto, incorruttibile, l’etere ha un’origine a sé, non
riducibile a triangoli terrestri.
Ma come Platone associa i poliedri agli elementi?
Nel capitolo successivo del Timeo, Platone spiega il criterio delle associazioni.
«… alla terra diamo la figura cubica; perché delle quattro specie la terra è la più immobile,
e dei corpi il più plasmabile. Ed è soprattutto necessario che tale sia quel corpo che ha le
basi più salde. Ora dei triangoli posti da principio, è più salda naturalmente la base di
quelli a lati uguali che di quelli a lati disuguali, e quanto alle figure piane che compone
ciascuna specie di triangoli, il tetragono equilatero, tanto nelle parti che nel tutto, è di
necessità più solidamente assiso del triangolo equilatero… e poi all’acqua la forma meno
mobile delle altre (icosaedro), al fuoco la più mobile (tetraedro), e all’aria l’intermedia
(ottaedro): e così il corpo più piccolo al fuoco, il più grande all’acqua, e l’intermedio all’aria,
e inoltre il più acuto al fuoco, il secondo per acutezza all’aria, e il terzo all’acqua. Ora di
tutte queste forme quella che ha il minor numero di basi è necessariamente la più mobile
per natura, perché è la più tagliente e in ogni sua parte la più acuta di tutte, ed è anche la
più leggera, essendo costituita dal minor numero delle medesime parti, così la seconda ha
in secondo grado tutte queste qualità, e in terzo grado la terza. Sia dunque conforme e
retta e verosimile ragione la figura della piramide elemento e germe del fuoco, e diciamo la
seconda per generazione quella dell’aria e la terza quella dell’acqua…….E quanto poi ai
rapporti dei numeri, dei movimenti e della altre proprietà, il dio, dopo aver compiuto queste
cose con esattezza, fino a che lo permetteva la natura della necessità spontanea o
persuasa, collocò dappertutto la proporzione e l’armonia.»
Platone, nei capitoli XXI e XXII del Timeo, spiega le associazioni, partendo dalla terra che
viene associata al cubo. Questo perché “la terra è la più immobile” e in effetti il cubo da
un certo senso di immobilità, anche per il fatto che gli angoli sono tutti di 90°. Ma
soprattutto è quel “corpo che ha le basi più salde” e il quadrato, da cui è formato il cubo,
rappresenta benissimo questa stabilità, meglio di un triangolo.
Platone associa poi il fuoco al tetraedro, l’aria all’ottaedro e l’acqua all’icosaedro. Le
motivazioni di queste associazioni sono da ricercarsi nell’aspetto geometrico e algebrico di
questi solidi, ovvero nella loro forma e nel loro volume. Infatti, l’elemento più leggero viene
associato al solido più leggiero e così con gli altri elementi. Inoltre, Platone fa leva sulla
mobilità dell’elemento e del solido dicendo che il poliedro con minor numero di basi
(facce), quindi il tetraedro, è necessariamente più mobile e quindi va associato
all’elemento più mobile, il fuoco. Quello mobile in maniera intermedia, l’ottaedro, è
associato all’aria, meno mobile del fuoco, ma più mobile dell’acqua, cui viene associato il
poliedro meno mobile, ovvero l’icosaedro. Poi Platone pone attenzione anche all’acutezza
degli angoli. Infatti, il solido con gli angoli più acuti, il tetraedro, viene associato
all’elemento più “acuto”, ovvero il fuoco. Infine. Dopo aver creato un insieme ordinato, dio
diede il tocco finale a tutto il creato, inserendo proporzione ed armonia
«La terra, incontrandosi col fuoco e disciolta dall’acutezza di esso, errerebbe qua e là fino
a che le sue parti incontrandosi si riunissero di nuovo, perché esse non potrebbero mai
passare in altra specie. Ma l’acqua, disgregata dal fuoco o anche dall’aria, può darsi che
ricomponendosi divenga un corpo di fuoco o due di aria. E se l’aria è in dissoluzione, dai
frammenti d’una sola delle sue parti possono nascere due corpi di fuoco […]. E viceversa
due corpi di fuoco si ricompongono insieme in una sola specie d’aria. E se l’aria è
soverchiata da due parti e mezzo d’aria, si comporrà una parte intera d’acqua.»
Platone riprende a parlare della dissoluzione e dell’aggregazione degli elementi,
precisando una sorta di “chimica geometrica”. Innanzitutto, fuoco e terra se si scontrano
rimarranno fuoco e terra; non possono interagire perché sono formati da due specie di
triangoli diversi. Viceversa, ad esempio, l’acqua disgregata dal fuoco può trasformarsi in
due parti d’aria: infatti una “particella” di acqua, rappresentata dall’icosaedro, è formata
da120 triangoli rettangoli scaleni, che possono ricombinarsi tra loro in modo diverso
formando due “particele” di aria, ciascuna formata da 48 di tali triangoli, e una di fuoco,
formata da 24 triangoli (
. Oppure, se l’aria ad esempio è circondata
da due parti e mezzo di aria, si formerà una parte di acqua.
Dall’Ellenismo al Rinascimento
L’opera di Platone suscitò un profondo
interesse nel mondo ellenistico. In
particolare Euclide ed Archimede svolsero
un ruolo fondamentali per la teorizzazione
delle proprietà dei poliedri.
Nei libri XI, XII e XIII dei suoi Elementi,
Euclide (fine IV, inizi III sec. a.C.) si
occupa di geometria solida, determinando
tra l’altro le relazioni che riguardano lo
spigolo e il raggio della sfera circoscritta ad
un poliedro e dimostrando che i poliedri
regolari sono solo cinque. Archimede
(287-212 a.C.) invece si occupa dei
poliedri semiregolari chiamati anche
poliedri archimedei. Essi hanno le facce
costituite ancora da poligoni regolari, ma non tutti dello stesso tipo (ad esempio triangoli
equilateri e ottagoni), che devono essere disposte nello stesso modo attorno ad ogni
vertice; questi solidi nascono dal troncamento dei poliedri regolari e anche in questo caso
c’è un numero limitato di possibili combinazioni: si dimostra infatti che i poligoni
semiregolari sono solo 13.
L’immagine qui riportata è un particolare de “La scuola di Atene” di Raffaello. Si vede un
matematico che sta facendo una dimostrazione con il compasso; secondo alcuni studiosi
si tratterebbe di Euclide, secondo altri del suo degno “successore” Archimede.
La matematica greca, dopo i notevoli risultati del III secolo a.C., subisce un secolare
declino interrotto solo dalle opere di Tolomeo. Si assiste ad una sua rinascita solo nel III
sec. d.C., con gli studi di Pappo e del grande algebrista greco Diofanto. Pappo, vissuto tra
il III e IV sec. d. C. scrisse alcuni commentari agli Elementi di Euclide e nella sua opera più
importante, la Collezione matematica, espone in modo completo e sistematico le
conoscenze matematiche dell’epoca, riportando talvolta interi brani di opere che sono poi
andate perdute. In particolare Pappo studia in modo nuovo, attraverso lo studio delle
sezioni circolari, le caratteristiche dei poliedri inscritti in una sfera.
Nel Rinascimento, con la riscoperta della filosofia platonica, riprende lo studio dei poliedri
da parte di matematici, pittori e scultori, tanto che risulta difficile distinguere gli studi
scientifici da quelli artistici.
Piero della Francesca (1416/17-1492) nel suo “De quinque corporibus regolaris” si
occupa dei cinque solidi platonici, anche se ne pala in termini artistici e non matematici;
egli sostiene che qualsiasi corpo naturale, all’apparenza complesso e senza forma, è in
realtà riconducibile a questi cinque poliedri regolari, eterno modello di perfezione.
Luca Pacioli (1471-1514), studente di Piero della Francesca, traduce in volgare l’opera
del maestro nel suo “De divina proportione", pubblicato a Venezia 1509. L’intera seconda
parte della sua opera è dedicata ai solidi platonici e al loro legame con la sezione aurea.
Pacioli era affascinalto dal rapporto aureo senza il quale “…moltissime cose de
admiratione dignissime in philosophia, nè in alcun altra scientia mai a luce poterono
pervenire” , da metterlo in relazione con la Divinità: "Poichè Dio portò in essere la virtù
celestiale, la quinta essenza, e attraverso di essa creò i quattro solidi ... la terra, l'aria,
l'acqua e il fuoco ... così la nostra sacra proporzione diede forma al cielo stesso
assegnando al dodecaedro ... il solido costruito con dodici pentagoni, che non può essere
costruito senza la nostra sacra proporzione." Pacioli stesso ci informa che "il più
accreditato pittore in prospettiva, architetto, musicista e uomo di tutte vertu doctato,
Leonardo da Vinci, dedusse ed elaborò una serie di diagrammi di solidi regolari ...";
all’interno dell’opera troviamo infatti oltre sessanta illustrazioni su poliedri di Leonardo da
Vinci.
Giovanni Keplero e il Mysterium cosmographicum
Giovanni Keplero (1571-1630) ha dato contributi importanti allo studio dei solidi platonici,
scoprendo, a partire da essi, altri due solidi regolari concavo-convessi noti come solidi
stellati. Nel 1810 il matematico francese Louis Poinsot elaborò il modello degli gli altri
due poliedri stellati oggi conosciuti.
Keplero è noto soprattutto come astronomo, per le sue famose Tre Leggi. Egli aveva una
concezione del mondo pitagorico-platonica, sullo stile del Timeo, che prende nuovamente
piede intorno al 1600 dopo il predominio dell’aristotelismo. L’approccio pitagorico vede il
mondo come sistema geometrico e la geometria, poichè esisteva prima del mondo, è da
considerarsi divina. Keplero aveva la «convinzione di una struttura del mondo
matematicamente definibile, che trovava la sua formulazione teologica nella credenza che
nella creazione del mondo Dio fosse guidato da considerazioni matematiche, l’irremovibile
certezza che la semplicità sia anche un segno di verità e che la semplicità matematica si
identifichi con l’armonia e la bellezza, e infine che l’utilizzazione della sorprendente
circostanza che esistono esattamente cinque poliedri che soddisfano le più alte esigenze
di regolarità e che devono pertanto avere necessariamente qualcosa a che fare con la
struttura dell’universo» (cit. Il meccanicismo e l’immagine del mondo, E.J.Dijksterhuis).
Keplero cercava una teoria che spiegasse da un lato i dati che erano stati raccolti sulle
dimensioni delle orbite dei pianeti e dall’altro giustificasse perché ci fossero solo 6 pianeti
(terra inclusa); questa spiegazione la trovò proprio nei cinque solidi platonici. Egli riuscì a
trovare una correlazione tra le distanze dei pianeti dal Sole e i raggi delle sfere, che
rappresentavano le orbite dei pianeti, in cui potevano essere inscritti e circoscritti i cinque
poliedri regolari. Nell’opera giovanile “Mysterium cosmographicum” (1596) Keplero
descrive un modello eliocentrico di Universo chiuso e armonico, e fissa, in accordo con le
dimensioni dei poliedri, il numero delle sfere celesti, le loro proporzioni e le relazioni tra i
loro movimenti «… La sfera della Terra è la misura di tutte le altre orbite. Le si circoscriva
un dodecaedro. La sfera che lo circonda sarà quella di Marte. Si circoscriva un tetraedro
attorno a Marte. La sfera che lo circonda sarà quella di Giove. Si circoscriva un cubo a
Giove. La sfera che lo circonda sarà quella di saturno. Ora si inscriva un icosaedro
nell’orbita della Terra. La sfera inscritta sarà quella di Venere. Si inscriva un ottaedro
dentro Venere. La sfera inscritta sarà quella di Mercurio. Ecco la base del numero dei
pianeti.»
Al centro dell’universo c’è il Sole, attorno al quale sono circoscritte una serie di sfere, su
cui sono “incastonati” i cinque pianeti noti. La sfera più esterna è quella su cui è situata
l’orbita di Saturno, circoscritta al suo cubo, in cui è inscritta a sua volta la sfera dell’orbita
di Giove. Procedendo verso l’interno, inscritto in tale sfera, troviamo il tetraedro, che
inscrive al suo interno la sfera dell’orbita di Marte. Troviamo poi inscritto in essa il
dodecaedro, in cui è inscritta la sfera dell’orbita della Terra. Inscritto in tale sfera troviamo
l’icosaedro, che contiene la sfera dell’orbita di Venere. Infine inscritto in tale sfera troviamo
l’ottaedro, nella cui sfera inscritta troviamo l’orbita dell’ultimo pianeta, che è Mercurio.
Immaginando che la prima sfera, quella di Saturno, abbia il raggio uguale all’orbita del
pianeta, allora anche tutte le altre sfere, teorizza Keplero, hanno il raggio pari all’orbita del
proprio pianeta. La Terra, sostiene Keplero, è stata scelta come punto intermedio,
spartiacque tra i solidi stabili (cubo, tetraedro, dodecaedro), che sono esterni all’orbita
terrestre, e quelli più instabili (ottaedro, icosaedro), che invece sono interni all’orbita
terrestre. Keplero pensò proprio di “aver guardato nella mente del creatore”.
In seguito Keplero si accorse che il suo modello non corrispondeva ai risultati delle
osservazioni ( si può dimostrare che le distanze reali differiscono da quelle ipotizzate da
Keplero con errori fino al 40%) e perciò abbandonò questo modello, giungendo poi a
formulare le sue famose Tre Leggi, da cui Newton prenderà l’avvio per dimostrare la
Legge di Gravitazione Universale.
Cartesio ed Eulero
Numerosi sono stati i matematici che, dopo Keplero, hanno dato importanti contributi allo
studio delle proprietà dei poliedri regolari, tra cui René de Cart, più comunemente noto con
il nome di Cartesio, filosofo e matematico francese del XVII sec, e Leonhard Euler, noto
con il nome di Eulero, matematico e fisico svizzero del XVIII. Nel suo De Solidorum
elementis, ritrovato solo a metà del secolo scorso, Cartesio intuisce alcune relazioni tra
spigoli, vertici e facce dei poliedri, ma solo un secolo dopo Eulero riuscirà a trovare la
relazione, V+F-S=2 nota come la Relazione di Eulero.
Dalla seconda metà del 1800 fino ai nostri giorni, la bellezza e armonia dei poliedri
continua a rivivere in numerose opere di artisti, come Salvator Dalì, Maurits Cornelis
Escher, Lucio Saffaro o Mimmo Palatino e a stimolare il loro studio tra i matematici.