MASCHIO O FEMMINA? SEGNALI PRECOCI DI UN POSSIBILE
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MASCHIO O FEMMINA? SEGNALI PRECOCI DI UN POSSIBILE
MASCHIO O FEMMINA? SEGNALI PRECOCI DI UN POSSIBILE DISTURBO DELL’IDENTITA’ DI GENERE di Raffaella Visini Per identità di genere si intende il continuo e persistente senso di sé come maschio o come femmina. I bambini nascono con delle proprie caratteristiche di personalità che vengono poi incanalate verso la mascolinità o la femminilità a seconda del proprio sesso di appartenenza. Ma non è solo la programmazione genetica a definire cosa sia una personalità maschile o femminile, lo facciamo anche noi e la cultura. Il bambino, crescendo, impara che certe espressioni sono appropriate alla propria “etichetta sessuale” e altre no, e cerca di adattarsi al modello ritenuto accettabile nella sua famiglia e nella società in cui vive. Possiamo dire dunque che la formazione dell’identità di genere è il risultato di un compromesso tra la personalità e lo stereotipo offerto o imposto. Un disturbo dell’identità di genere può nascere nel momento in cui un individuo non si riconosce nel proprio sesso di appartenenza, manifestando disagio e sofferenza dovute al senso di estraneità che prova nei confronti dei propri genitali e del proprio ruolo sessuale, e sente invece una forte identificazione con il sesso opposto, tanto da desiderare di essere trattato come membro di quel sesso. In età adulta questi individui, nella speranza di porre fine alla loro terribile sofferenza psicologica, possono arrivare a richiedere la riattribuzione chirurgica del sesso (transgender). Nei bambini si possono individuare alcuni sintomi che potrebbero predire lo sviluppo di un disturbo dell’identità di genere in adolescenza o nell’età adulta. Non sono assolutamente indici sicuri, ma porvi attenzione ed eventualmente rivolgersi ad un professionista, può fare la differenza nel garantire una crescita armoniosa del proprio figlio/a rispetto alla sua identità di genere, qualunque essa sia. Intanto non bisogna sottovalutare affermazioni esplicite, ripetute nel tempo, da parte del bambino/a rispetto all’appartenere al sesso opposto o al voler diventare dell’altro sesso. Bisogna insospettirsi se il vestirsi con abiti della madre, nel caso di un maschietto, o con indumenti maschili per un senso di inadeguatezza rispetto alla propria femminilità, nel caso di una bambina, diventa un comportamento persistente, costante e diffuso. E’ bene prestare attenzione ai ruoli che i bambini preferiscono interpretare durante i giochi e le fantasie e notare se scelgono sempre ruoli appartenenti al sesso opposto e se prediligono attività prettamente maschili (ad es. giochi violenti), se bambine, o femminili (ad es. giocare con la Barbie), se maschietti. Un altro segnale può essere la preferenza di compagni/e di gioco del sesso opposto ed un crescente isolamento rispetto al gruppo di compagni/e dello stesso sesso. Alcuni bambini simulano movimenti del corpo stereotipicamente caratteristici dell’altro sesso o variano il tono della voce. Detto ciò è però doveroso sottolineare che alcuni di questi sintomi si presentano comunemente in età evolutiva in alcuni periodi e poi recedono in fretta. Possono esser dovuti a particolari momenti di stress, quali la nascita di un fratellino dell’altro sesso o ad un insuccesso nel gruppo dei pari. E’ molto comune anche il caso di bambini che non amano gli sport o i giochi violenti ma non mostrano alcun desiderio di appartenere al genere opposto né alcun interesse particolare per la sfera femminile. O quello delle bambine cosiddette “maschiaccio” che però non mostrano avversione rispetto alla propria femminilità né disagio nei confronti dei propri attributi fisici. E’ bene preoccuparsi dunque solo se i sintomi precedentemente esposti si protraggono nel tempo e sono fonte di disagio e sofferenza psicologica da parte del bambino/a interessato/a, tanto da arrivare a compromettere il suo funzionamento sociale o scolastico. PERCHE’ PUO’ SUCCEDERE Allo stato attuale delle conoscenze, va considerata tra le cause del disturbo la presenza almeno di una predisposizione biologica, fondata su aspetti temperamentali o su effetti ormonali di incompleta o eccessiva androgenizzazione cerebrale del feto nei mesi di gestazione. A questa predisposizione alla nascita, si deve poi aggiungere un legame insicuro con la figura di attaccamento che abbia minato l’immagine di sé, l’autostima e il senso di autoefficacia, creando una sorta di fragilità nel bambino ed una maggiore sensibilità agli interventi dell’ambiente esterno. Questa condizione non gli consentirebbe di fronteggiare con serenità le risposte giudicanti del suo ambiente di fronte ad atteggiamenti discrepanti rispetto al proprio ruolo sessuale ma lo porterebbe invece a vivere con disagio crescente alcune sue caratteristiche. In questo quadro è necessario poi inserire, quali fattori di rischio, gli atteggiamenti dei genitori nei confronti del sesso del figlio/a e della femminilità e mascolinità in generale. Diventa rilevante ad esempio una netta preferenza da parte di uno o di entrambi i genitori per il sesso del figlio in arrivo, con eventuale conseguente delusione alla nascita; particolari timori o avversioni per le manifestazioni di mascolinità o femminilità; l’utilizzo del figlio dello stesso sesso come sostegno o alleato contro l’altro genitore. Questi elementi possono portare il genitore a non scoraggiare eventuali comportamenti di travestitismo nel figlio, messi in atto da quest’ultimo nel tentativo di ottenere la sua approvazione e il suo affetto. Sia l’allontanamento sdegnoso del genitore dello stesso sesso (ad esempio il padre a cui non piace il figlio effeminato) sia l’eccessivo appoggio sul figlio/a (ad esempio la madre che si fa difendere dalla figlia mascolina) sono comportamenti che contribuiscono all’insorgere di un disturbo dell’identità di genere, venendo a mancare nel figlio/a l’identificazione con il genitore dello stesso sesso, necessaria allo sviluppo di una identità coerente. (“Il disturbo dell’identità di genere” Ed. McGraw-Hill)