NOTA DI APPROFONDIMENTO Regioni italiane e cooperazione

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NOTA DI APPROFONDIMENTO Regioni italiane e cooperazione
NOTA DI APPROFONDIMENTO
Regioni italiane e cooperazione allo sviluppo
L'aiuto pubblico allo sviluppo riveste un ruolo determinante non solo come elemento autonomo
di crescita ma, soprattutto, come fattore catalizzatore per promuovere la creazione di
quell’ambiente favorevole alla crescita socio-economica e al miglioramento delle condizioni di
vita delle popolazioni nei PVS.
L’Italia - insieme ai principali Paesi industrializzati - ha importanti responsabilità nel promuovere
significativi interventi volti ad alleviare la povertà e a sostenere lo sviluppo socio-economico
delle aree sottosviluppate. Il nostro Paese ha sempre svolto un ruolo significativo nel campo
della Cooperazione allo Sviluppo. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito ad un
affievolimento degli interventi, accompagnato da un ridimensionamento delle risorse finanziarie
disponibili (tendenza corretta in parte dalla finanziaria 2007) che spiegano il primato negativo
dell’Italia in sede OCSE (tra gli ultimi per quanto riguarda il rapporto APS/PIL).Tale rapporto è,
infatti, passato dallo 0,37% nel 1987-88 allo 0,15% nel 2004, 0,29% nel 2005 (dovuto
,soprattutto, alla cancellazione del debito Iraq e alle maggiori erogazioni a istituzioni finanziarie
multilaterali) e allo 0,20% nel 2006.
Negli ultimi anni le Regioni italiane hanno maturato importanti esperienze in un campo
tradizionalmente riservato alla competenza dello Stato, quello della cooperazione
internazionale. E' questa una conseguenza del processo di decentramento politico e
amministrativo apportato dalle modifiche legislative e costituzionali degli ultimi dieci anni, che
ha mutato ( estendendola) la missione istituzionale delle Regioni italiane( ciò vale anche per le
competenze in materia di Commercio estero, con la modifica nel 2001 del Titolo V della nostra
Costituzione).
Infatti, nel corso degli ultimi anni alla Cooperazione allo sviluppo realizzata a livello centrale si
è affiancata la “cooperazione decentrata”.
Con questo termine si intende una azione di cooperazione allo sviluppo svolta dalle
Autonomie locali italiane (Regioni, Province, Comuni), singolarmente o in consorzio tra loro
(coinvolgendo anche la società civile organizzata presente sul territorio di relativa competenza
amministrativa quali università, sindacati,piccole e medie imprese, imprese sociali), in
partenariato con enti omologhi dei Paesi in Via di sviluppo (partenariato territoriale,
transfrontaliero, di prossimità ecc.). Si tratta di una forma di cooperazione che coinvolge sia la
società civile del “Nord” sia quella del “Sud” nelle varie fasi di ideazione, progettazione ed
esecuzione dei progetti di sviluppo.
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Le Regioni investono una quota crescente delle proprie risorse di bilancio in attività di
cooperazione allo sviluppo attraverso apposite leggi regionali, ma la loro autonomia nel
settore della cooperazione allo sviluppo è solo parziale, basandosi sulla capacità propositiva
ad esse riconosciuta dalla legge 49/87, art. 2 comma 5.
L’efficacia della cooperazione decentrata regionale dipende strettamente da due fattori: da
una parte la capacità delle Regioni di instaurare partenariati attivi e di coinvolgere in forma
partecipata le forze vive del proprio territorio, dall’altra la capacità della Direzione Generale
per la Cooperazione allo Sviluppo di mettere a disposizione degli Enti locali risorse e sinergie
(programmi quadro) idonei ad orientare, coordinare e cofinanziare i singoli interventi evitando
dispersioni, duplicazioni e frammentazioni.
Quasi tutte le Regioni italiane si sono dotate di una legge regionale riguardante la cooperazione internazionale allo sviluppo. In ogni legge sono specificate le finalità della stessa le quali
corrispondono a quelle elencate dalla legge nazionale n. 49 del febbraio 1987, che a loro volta
si ispirano ai principi sanciti dalle Nazioni Unite e dalle convenzioni CEE-ACP.
Gli obiettivi che si propongono di raggiungere le leggi regionali, oltre i generali obiettivi
riguardanti il mantenimento della pace, il raggiungimento dello sviluppo dei popoli, il
riconoscimento dei diritti fondamentali della persona e dei popoli, la promozione delle libertà
democratiche e della cooperazione internazionale, sono:
• soddisfacimento dei bisogni primari;
• salvaguardia della vita umana;
• autosufficienza alimentare;
• valorizzazione delle risorse umane;
• tutela delle minoranze etniche, linguistiche e religiose;
• conservazione del patrimonio ambientale;
• attuazione e consolidamento dei processi di sviluppo endogeno;
• crescita economica, sociale e culturale dei Paesi in via di sviluppo;
• miglioramento della condizione femminile e dell’infanzia e sostegno della promozione
della donna.
Anche le attività contenute nelle varie leggi, così come gli obiettivi, coincidono con quelle della
più generale legge nazionale; le Regioni sono così autorizzate ad intervenire nei seguenti
settori:
• elaborazione di studi, progettazione, fornitura e costruzione di impianti, infrastrutture,
attrezzature e servizi; realizzazione di progetti di sviluppo integrati;
• partecipazione, anche finanziaria, all’attività e al capitale di organismi, banche e fondi
internazionali, impegnati nella cooperazione con i paesi in via di sviluppo;
• impiego di personale qualificato per compiti di assistenza tecnica, amministrazione e
gestione, valutazione e monitoraggio dell’attività di cooperazione allo sviluppo;
• formazione professionale e promozione sociale di cittadini dei Paesi in via di sviluppo in
loco, in altri Paesi in via di sviluppo e in Italia e formazione di personale italiano
destinato a svolgere attività di cooperazione allo sviluppo;
• attuazione di interventi specifici per migliorare la condizione femminile e dell’infanzia;
• sostegno alla realizzazione di interventi e progetti ad opera di organizzazioni non
governative;
• promozione di programmi di educazione ai temi di educazione allo sviluppo e iniziative
volte all’intensificazione degli scambi culturali tra l’Italia e i Paesi in via di sviluppo.
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Sono per legge escluse dalle attività di cooperazione internazionale quelle di carattere militare e
quelle che perseguono fini lucrativi. Fra le attività delle Regioni sono comprese anche quelle
inerenti agli interventi straordinari destinati a fronteggiare casi di calamità naturali, situazioni di
denutrizione e di carenza igienico-sanitarie e di presenza di conflitti armati.
Anche se la stessa legge nazionale prevede l’utilizzo dei fondi della cooperazione allo sviluppo
per fronteggiare emergenze di questo tipo, è necessaria comunque una distinzione tra i due
interventi che hanno natura e finalità differenti.
L’intervento di emergenza è un intervento sicuramente temporaneo, la cui finalità consiste nel
fronteggiare una situazione provocata da fattori umani (i conflitti) e/o naturali ripristinando nel
più breve termine possibile, le condizioni originarie; gli effetti dell’intervento risultano così avere
una durata limitata. L’intervento di cooperazione, invece, è volto ad apportare miglioramenti
nella qualità della vita, a prescindere da situazioni occasionali, consentendo un cambiamento
sostanziale della situazione di partenza e garantendo, qualora sia soddisfatto il criterio di
sostenibilità del progetto stesso, risultati di lungo periodo.
L’ampia diffusione dei conflitti e degli eventi tragici ha però condotto spesso ad un uso
strumentale, anche a fini politici, delle emergenze, che producono un forte impatto emotivo
sull’opinione pubblica, cosicché gran parte degli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo
sono utilizzati per gli interventi di emergenza.
Si può dunque affermare che, per quanto riguarda obiettivi, finalità e attività svolte, le leggi
regionali, riferendosi principalmente ad una stessa legge (49/87), non presentano sostanziali
differenze.
Per quanto riguarda invece gli strumenti di attuazione della legge, le varie Regioni adottano
diversi sistemi di programmazione: la Valle d’Aosta, la Lombardia, la Sardegna, l’ Abruzzo, la
Basilicata si dotano di una programmazione annuale generalmente proposta dalla Giunta
regionale, sentito il parere degli organi consultivi, qualora previsto, e approvata dal Consiglio
regionale.
Anche il Piemonte e la Puglia si servono di una programmazione annuale, ma il Piemonte
approva i piani annuali sulla base di direttive triennali di carattere programmatico, mentre nella
programmazione annuale pugliese vengono individuati obiettivi ed attività anche pluriennali.
Pur facendo riferimento ad una programmazione triennale, così come avviene per la Liguria, i
piani di attuazione del Lazio, del Veneto e delle Marche sono annuali.
L’Umbria è la sola regione che adotta una programmazione biennale; mentre l’Emilia Romagna,
pur dotandosi di un programma pluriennale, utilizza bandi annuali per le ONG.
I programmi regionali della cooperazione internazionale del Friuli Venezia Giulia e della
Toscana hanno una durata corrispondente a quella del Piano regionale di sviluppo. La provincia
di Trento non ha una programmazione di durata ben definita, ma i programmi non hanno
comunque un periodo inferiore all’anno.
Infine, la legge provinciale di Bolzano e quella regionale molisana non prevedono alcun tipo di
programmazione
e
questo,
conferendo
maggiore
spazio
alla
discrezionalità
dell’amministrazione regionale, rappresenta un limite al controllo pubblico e il finanziamento dei
singoli interventi promossi dalle ONG, dagli enti locali e dagli altri soggetti della cooperazione, si
rivela in questo caso lungo e farraginoso.
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Oltre agli altri organi di indirizzo sovranazionali (Unione europea e organizzazioni internazionali)
a cui fanno riferimento nella definizione di propri obiettivi, le singole Regioni si dotano di
specifici organi regionali: la legge della Valle d’Aosta prevede, per esempio, un Comitato
regionale di coordinamento degli interventi di cooperazione, di solidarietà e di educazione allo
sviluppo istituito presso la presidenza della Giunta regionale; la Liguria si serve di un Comitato
consultivo per la solidarietà internazionale e la cooperazione allo sviluppo nominato con decreto
del Presidente della Giunta regionale; il Friuli Venezia Giulia ha istituito il Comitato regionale per
la cooperazione allo sviluppo e il partenariato internazionale.
Agiscono in materia di cooperazione allo sviluppo delle apposite Conferenze regionali: è il caso
della Giunta Regionale ligure che convoca una Conferenza sulla cooperazione allo sviluppo al
termine del periodo di validità del programma; Molise e Umbria convocano ogni due anni una
Conferenza Regionale sulla Cooperazione allo Sviluppo; rappresentano organi di consultazione
e di verifica anche le Conferenze regionali sulla cooperazione allo sviluppo e il partenariato
internazionale del Friuli Venezia Giulia e della Toscana.
Organi di consultazione sono i vari comitati e commissioni tecnico-scientifiche nominate dalla
Giunte regionali di alcune regioni (Piemonte, Lombardia, Sardegna, ).La Regione Veneto si
avvale, per studi e pareri su materie di competenza regionale, della collaborazione tecnicoscientifica della Commissione europea per la democrazia.
La provincia di Trento, invece, ha cosituito un Comitato di gestione per l’attuazione di ciascun
progetto, con il compito di avanzare proposte in ordine alla progettazione, monitoraggio,
realizzazione e valutazione dei progetti con particolare riguardo al coinvolgimento del
volontariato e della comunità locale.
Il Consiglio Regionale del Piemonte ha promosso un forum annuale, aperto a tutte le istituzioni,
gli Enti e le associazioni che operano negli ambiti e per le finalità della legge, per un confronto
sugli indirizzi programmatici e sullo stato di attuazione della legge regionale.
L’azione di cooperazione della Toscana viene, invece, sostenuta da Gruppi di coordinamento
tra tutti i soggetti interessati agli interventi in una determinata area geografica o per una
determinata area tematica, con il compito di favorire il coordinamento degli interventi e la
programmazione degli stessi per area geografica, e dal Comitato per i diritti umani e per la
cultura di pace che concorre alla formulazione del programma triennale e dei piani annuali degli
interventi di promozione dei diritti umani e della cultura di pace.
Da ricordare anche che a livello di Conferenza delle Regioni opera l’OICS ( Osservatorio
interregionale per la Cooperazione allo Sviluppo). Lo stesso Formez dedica una particolare
attenzione ai temi della cooperazione internazionale.
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