Rassegna - Centro Europeo di Studi Rossettiani

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Rassegna - Centro Europeo di Studi Rossettiani
Laura D'Angelo – M. Laura Pracilio
Rassegna dei Giovedì Rossettiani 2009
- Seminari e Incontri di studio -
§ I Rossetti e l’Inghilterra vittoriana: storia e genio di una famiglia
Si è svolta tra marzo e aprile la rassegna "Giovedì Rossettiani 2009", organizzata dal Centro
Europeo di Studi Rossettiani con il patrocinio del Dipartimento di Studi Medievali e Moderni della
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università d'Annunzio di Chieti-Pescara. Il ciclo di seminari,
curato dal professor Gianni Oliva, docente di Letteratura italiana dell'Ateneo e Direttore del Centro,
è stato aperto nella splendida cornice della Sala della Pinacoteca di Palazzo d’Avalos con
l'intervento del professor Francesco Marroni, direttore del Dipartimento di Scienze Linguistiche e
Letterarie della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere della d'Annunzio, sul tema "I Rossetti e
l'Inghilterra vittoriana: storia e genio di una famiglia". Un appuntamento fisso per i mesi di marzo e
aprile, a cadenza settimanale, che ha visto la partecipazione di docenti delle Università di Chieti e
Pescara (Facoltà di Lettere e Filosofia e di Lingue e letterature straniere) e dell'Università di Ferrara
e il coinvolgimento di professori e studenti degli Istituti secondari di Vasto. Gli incontri
'monotematici' hanno toccato vari aspetti riguardanti gli esponenti della famiglia Rossetti, dalle
biografie alla poetica letteraria e pittorica, con l'intento di far conoscere al pubblico il 'patrimonio
culturale' che da Vasto ha avuto origine e di cui ora la città si riappropria attraverso la proposta dei
'Giovedì Rossettiani' e di un prossimo Convegno Internazionale, 'I Rossetti e l'italia', che si terrà a
Vasto tra il 10 e il 12 dicembre 2009 in cui interverranno i maggiori studiosi italiani, inglesi
e americani del 'rossettismo'.
Marroni ha riferito di essersi accostato agli studi sulla famiglia Rossetti nel 1970 in quanto
espressione di uno dei momenti fondamentali della storia inglese e americana.
Il relatore si è soffermato in modo particolare sulla personalità poliedrica di Gabriele Rossetti il cui
genio è stato trasmesso ai propri figli, che incarnano non solo le caratteristiche dell’età vittoriana
ma anche gli ideali della poesia romantica, sottolineando come, dopo gli studi di Giannantonio, solo
nel 1982 c’è stata una ridefinizione della poetica inglese attraverso lo studio sia delle opere dei
Rossetti che dei carteggi di Gabriele; tale studio, curato dall’Università di Napoli, ha permesso di
avere un’idea nuova e diversa dell’Italia Unita.
L’attenzione di Marroni si è centrata innanzitutto su Gabriele Rossetti, definito ‘’exul
immeritus’’, quale uomo politico e scrittore che identifica il suo destino umano e letterario con
quello di Dante Alighieri.
Gabriele Rossetti, nato a Vasto il 18 febbraio 1783, giunge in Inghilterra, proveniente da Malta,
nel 1824, a 37 anni, proprio nel periodo in cui scompare Lord Byron.
In questa “nuova terra” il Rossetti, nel 1826, sposa la secondogenita di Gaetano Polidori
(segretario dell’Alfieri) e la loro abitazione è posta in una residenza stabile al 38 di Charlotte Str.
I due danno la vita ad una messe di future grandi personalità: Maria Francesca (1827),
Dante Gabriel (1828), William Michael (1829), Christina Giorgina (1830).
Particolarmente famoso è Dante Gabriel che, sempre in Inghilterra, incontra Charles Lyell e suo
figlio, autore de ’’I Principi di Geologia’’, garantiranno stima e sostegno economico ai Rossetti.
Non a caso William Michael lo ricorda come uomo estremamente generoso anche per il bonifico di
50-100 sterline ricevuto, e come riportato in “Ricordi” di Gianni Oliva, Casa Editrice Rocco
Carabba-Lanciano 2006.
.
Nel 1848 Dante Gabriel dà vita, insieme a William Hunt, Ford Madox Brown e John Everett
Millais, alla ‘’Pre-Raphaelite Brotherood’’ con l'idea di superare l’arte accademica e l’arte
contemporanea senza rompere con la tradizione, con il Medioevo, con Dante.
Questi scrittori e pittori assumono a modello la poesia di John Keats, mentre l’estetismo
bussa alle porte; ma ciò che garantisce il successo alla confraternita è la nascita del periodico ‘’The
Germ’’ affidato a giovani poco più che ventenni.
Dante Gabriel, insoddisfatto del presente, si fa sostenitore di una narrativa nuova attraverso
l’esigenza di un rinnovamento retorico che comporta la rottura con la Royal Accademy. In questa
atmosfera prevalgono le arti che si confrontano tra loro con un forte dialogismo tra la poesia e la
pittura.
Paladino assoluto del ‘’The Germ’’ è John Ruskin, che incontra Dante Gabriel nel 1859, il quale
dipinge la sacra famiglia con un grande naturalismo cioè con il realismo nella pittura: ’’l’alba di una
nuova era nell’arte’’.
Il periodico è fondamentale soprattutto in quanto contiene, in quattro fascicoli, le liriche dei
Preraffaeliti e di Christina Rossetti che, pur avendo all’epoca solo 19 anni, esprime tutta la
strategia dell’occultamento di sé, la continuità dialogica tra la vita e la morte, la ricerca di una
semplicità poetica e dell’intertestualità biblica, la poesia come continua interrogazione sul mistero
del mondo, l’amore per Dio e di conseguenza la marginalità dalle cose terrene pur se, alla fine, ella
stessa si rende schiava delle passioni terrene.
Il suo ‘’Goblin Market’’ rappresenta una risposta al ‘’Jenny’’ di Dante Gabriel, in cui lo
scrittore mette in guardia le ragazze vergini dalla contaminazione della prostituzione e per Christina
è essenziale la coalizione tra le donne per non piegarsi ad essa.
Durante l’incontro Marroni ha voluto attraversare le vicende più importanti di questa famiglia
rivolgendo l’attenzione sui giudizi espressi da T.S.Eliot che vede se stesso padre del modernismo
pur ponendosi in una condizione contraddittoria, da Virginia Woolf la quale in ‘’I am Christina
Rossetti’’ cita la poetessa come una grande artista sul piano di Wordsworth, Keats, Tennyson.
Nonostante tutto ciò, chi tiene viva l’idea delle ’’radici’’ è, alla fine, William Michael il quale, pur
essendo un semplice impiegato governativo che avrebbe voluto dedicarsi maggiormente alla
letteratura, è colui che si occupa non solo della ristampa del ”The Germ’’ ma anche di essere il
filologo e lo storico delle carte di famiglia, come ben illustrato dal Prof. Oliva nel suo ‘’Ricordi’’.
§ A Londra, da vasto: le dimore reali ed estetiche dei Rossetti
La storia dei Rossetti prende le mosse da una scissione, da un traumatico distacco dalla
propria terra d’origine, del capofamiglia Gabriele – esordisce Paola Spinozzi, docente di Letteratura
Inglese all'Università di Ferrara.
Un allontanamento forzato e sofferto, una discrasia insanabile che non interessa soltanto la figura
dell’esule, costretto ad abbandonare la patria, pena la vita, per i suoi versi palesemente
antimonarchici, ma i cui effetti si ripercuotono anche sugli stessi figli, sulla famiglia intera.
La storia dei Rossetti è dunque storia di tante storie, di personalità problematiche ma senza dubbio
inquiete e geniali, che serbano, che recano impressa nella propria vita, e di riflesso nella propria
opera, l’impronta indelebile di tale frattura originaria.
La famiglia Rossetti è una famiglia d’origine italiana, che si ritrova a vivere in un paese straniero e
che continua a conservare le proprie tradizioni, trasmettendo la propria italianità agli stessi figli.
Ma i Rossetti sono anche cittadini inglesi, che nascono, vivono in Inghilterra e ne respirano i
fermenti culturali, problematizzandone gli aspetti salienti, rivitalizzandoli con apporti nuovi ed
originali.
Un dualismo ontologico intrinseco che comporta continui rimandi, infiniti parallelismi tra la
costante ricerca di equilibrio, di armonia, di vivere appieno il proprio essere inglesi e la propria
italianità, e quel senso di disagio per tale condizione dimidiata, per quel senso di assenza e di
separazione, per la consapevolezza di vivere su un limite e paradossalmente, di essere quel limite.
Profonde e molteplici sono dunque le connessioni interculturali tra l’Italia e l’Inghilterra, tra Vasto e
Londra, riscontrabili nella vita, nei versi, nelle immagini.
Da una parte il piccolo borgo natio, dall’altra la grande e grigia metropoli, “terra di libertà”, la
seconda casa per esuli e rivoluzionari provenienti da ogni parte d’Europa, costretti a lasciare la
propria terra ed a rifarsi una nuova vita oltremare.
Ed è proprio la casa, anzi, per meglio dire sono proprio le case, abitate o solo immaginate dai
Rossetti, ad attrarre la nostra attenzione, in quanto diventano significanti simbolici atti a suffragare
ulteriori richiami sussistenti tra Vasto e Londra.
La casa intesa come il luogo intimo dove svolgiamo gran parte della nostra esistenza. Sia essa stessa
un rifugio o una sorta di prigione, è sempre in ogni caso il posto dei ricordi, degli oggetti, dei
progetti.
La casa abitata o abbandonata, che ci appartiene e alla quale, spesso inconsapevolmente
apparteniamo; le tante case che non ci sono più, ambienti ormai vuoti, freddi e scuri, ruderi
scricchiolanti, case di altri, nuove, rinnovate nell’uso e nella finalità, eppure sempre case della
memoria, di una memoria che non è solo individuale, ma anche collettiva, storico-culturale.
Quattro sono le case dei Rossetti che ci permettono di istituire una sequenza di chiasmi italo britannici:
-
le case italiane viste dall’Italia;
-
le case italiane viste da Londra;
-
le case di Londra viste da Londra;
- le case di Londra viste dall’Italia;
E se proprio la dimora, reale o solo costruita, estetica, mediata, diventa un ulteriore strumento
d’analisi, una premessa è forse d’obbligo.
Gabriele, pur desiderandolo ardentemente, non ritornerà mai a Vasto. I figli, non vi metteranno mai
piede.
Soffermiamoci sulla figura del capofamiglia e sul punto di partenza, su Vasto.
Tutti noi forse abbiamo nella mente, magari con accenti di chiara ascendenza romantica,
l’immagine del poeta, exul immeritus, che osserva la propria terra allontanarsi pian piano, dalla
balaustrata del bastimento sul quale è stato costretto ad imbarcarsi, intento a scrutare l’orizzonte per
imprimere nella mente ogni dettaglio della costa, ogni colore e sapore, fin quando questo non
diventa solo un punto dai contorni sempre più vaghi, per poi silenziosamente scomparire.
L’esule , la cui figura viene traslata in veste d’eroe risorgimentale, trovando una sorta di
consacrazione in ambito ideologico- letterario, è però in primis un uomo, un uomo che vive sulla
propria pelle il distacco e sente quel dolore e quella nostalgia; un vastese che lascia la casa
d’infanzia, i propri ricordi ed oggetti.
I figli, che nasceranno a Londra, vivranno come italiani in altre case, straniere, londinesi, ognuno
dei quali mostrerà un modo del tutto personale di “vivere” la propria dimora, o di rapportarsi a
quella paterna d’origine, con cui avranno sempre un rapporto mediato, mai diretto.
Così, se Gabriele ricorda il paese natio, “il picciol municipio dei romani” , i “vaghi lidi”, le “colline
apriche” che lo videro bambino, con versi intensi e nostalgici, e affida alla pagina quel bisogno di
ricostruire la propria patria, di ritrovarla, di consolidarne la memoria e ribadire la propria identità,
se il poeta si pone all’insegna del bipolarismo dolore –nostalgia, con un’ operazione che non esula
da una idealizzazione e mitizzazione della propria terra, non si può dire lo stesso delle
testimonianze biografiche di cui disponiamo.
Queste, descrivendo la casa allo stesso tratteggiano l’artista, con un tono mediato che non assume
quelle inflessioni patetiche o commosse, che caratterizzano chi in quegli ambienti vi ha vissuto per
ben vent’anni.
Così, “il nido d’aquile a mezzodì dall’aspetto torreggiante e allo stesso tempo umile” 1, dai “cinque
piani elevatissimi e un largo fienile al pian terreno”, 2 la casa maestosa e allo stesso tempo dimessa,
prospiciente il mare, quell’azzurro limpido che tanto aveva affascinato il giovane poeta, la “dimora
che si ergeva alta alta su una roccia dirupata”3 quasi come un“antico fortilizio dall’aspetto severo ed
imponente” 4, è tratteggiata con accenti che sembrano ricalcare la personalità del poeta, come se tra
casa e uomo si istituisca un rapporto osmotico fatto di continui rimandi ed influenze reciproche.
La casa di Vasto è dunque idealizzata, mediata, testualizzata, esiste nei ricordi e nelle parole.
Un’ ulteriore chiave interpretativa, in questo caso anonima ed impersonale, si esplica nella
testimonianza del figlio William Michael, tratta da His Family-Letters with a Memoir del 1895,
nella quale Vasto è ricordata con la precisione tipica del filologo che ne ripercorre asetticamente le
vicende storiche con toni nettamente diversi dagli accorati accenti paterni.
Se gli altri fratelli sceglieranno deliberatamente di tacere, cercheranno di ignorare, per William
Michael la casa di Vasto c’è, Vasto esiste, seppur solo come un indeterminato luogo della mente: un
luogo non tangibile, mediato dai testi, dalla scrittura, dai contatti epistolari, sempre termine di un
rapporto complesso che non si estrinseca, di un contatto virtuale finalizzato com’è ad
istituzionalizzare la figura di Gabriele ed a permettergli, sebbene solo mediante l’invio dei suo
componimenti, il sempre desiderato ritorno in patria.
I Rossetti vivono in case inglesi, che sono vere, reali.
Dimore di una città straniera, che magari si confondono alle tante altre, che si perdono nei tanti
profili grigi ed irregolari degli altri edifici, i cui contorni severi si affievoliscono nella nebbia o nella
bruma sottile, tanto da far pensare a degli schizzi al carboncino di un artista di strada. Eppure tali
dimore, pur nella loro alterità, non possono non essere legate all’ ambiente d’origine di chi le abita.
1
Cfr. TEODORICO PIETROCOLA ROSSETTI, Gabriele Rossetti, in Rossetti. Autobiografie di famiglia, a cura
di Luigi Murolo, Vasto, Il Torcoliere, 2004, pp. 69-70.
2
Ibidem, p.69-70.
3
MARIA LUISA GIARTOSIO DE COURTEN, “Capitolo I. Gabriele Rossetti: da Napoli all’esilio”, in I
Rossetti. Storia di una famiglia, Milano, Alpes, 1931, p. 13.
4
Ibidem, p.13.
La famosa foto di Carroll condensa questa duplicità, queste ricorrenti identità antitetiche che
devono convivere: l’effetto è quasi straniante, giacchè i personaggi ritratti all’esterno della casa
londinese sono abruzzesi, sono italiani trapiantati in un altro contesto.
Se la casa di Vasto esiste tutt’ora, ancora domina il paesaggio circostante restaurata e rinnovata
nella sua funzione originaria, non si può dire lo stesso delle due case inglesi dove i quattro figli
trascorsero l’infanzia con i genitori, delle quali però ci rimane una testimonianza di William
Michael: egli ricorda due immagini in particolare, quella di un quadro raffigurante i lidi italiani, e
quella di una foto in bianco e nero della regina Vittoria a teatro. Oggetti apparentemente di scarso
valore, che diventano dei veri e propri simboli, visivi, tangibili, di tale multipla identità intrinseca,
di tale costante della vita dei Rossetti.
Ancor più gli oggetti si arricchiscono di profonde valenze simboliche nella casa di Dante Gabriel,
la dimora estetica, dalle tipiche fattezze inglesi, dalla facciata esterna possente e rigorosa, in
classico stile tudor, che Dante Gabriel prende in affitto in Cheyne Walk, nel “cuore” stesso della
City.
Una casa che l’autore di House of Life abita ed allo stesso tempo “costruisce”, una casa “voluta” e
studiata con gusto nei minimi particolari, con una sofisticazione estrema che la rende a pieno titolo
la dimora estetica per eccellenza.
Le descrizioni dei biografi si soffermano sugli oggetti, sulla disposizione, sull’arredamento, il tutto
finalizzato a creare una vera e propria densità scenica, voluta, fortemente ricercata e studiata nei
dettagli: ecco così l’amabile padrone di casa ricevere i vecchi amici e magari discorrere di arte, di
letteratura tra oggetti di vario tipo e provenienza, che acquistava nei negozi di rigattieri o nelle aste,
tra vasi, candelabri, specchi, porcellane blu, libri, ritratti, suppellettili dal Giappone; tra oggetti
d’arredo più disparati ma esteticamente affascinanti. Non un museo di oggetti costosi ed incongrui,
sebbene il fenomeno del collezionismo si stesse generalizzando un po’ in tutta Europa, ma una
scenografia artistica a tutti gli effetti, studiata con gusto.
La casa decadente, estetica, che divora se stessa e l’artista creatore.
Domina infatti al suo interno, la cupezza, la pesantezza del mobilio, dei tappeti, dei tendaggi, spessi
e tetri, la poca luce. Il buio. …inner room was dark… candles seemed unable to light it 5. Nella casa
così voluta, così posseduta fino in fondo, l’artista demiurgo soffre di insonnia. Un’insonnia costante
che egli cerca di curare con l’assunzione di oppiacei. Eppure ogni notte, una candela rimaneva
accesa, accanto al pesante letto a baldacchino6. E Dante Gabriel attendeva il sonno con cura, con
pazienza. La sua assenza, diventa malattia mortale. Una malattia quasi preludio alla morte stessa,
che sembra preparata con zelo, quasi con lucida consapevolezza, come se crescesse in lui a poco a
poco, come il resto, come la casa che “veste” chi la abita, come gli arredi con le loro associazioni,
nei pensieri o nelle immagini7.
La casa dell’esteta, che non può essere del tutto reale, la casa “troppo piena”, quasi a riempire un
vuoto, la casa che non ci appartiene mai totalmente e che dobbiamo lasciare.
Con una visione che è forse già malinconica, la casa si presta così al pianto disilluso per la misera
condizione umana o al riso, ed ecco che allora diventa eccesso, parodia, disordine: come nel
giardino, dove Dante Gabriel accoglie animali d’ogni specie, soprattutto esotici, creando non pochi
problemi ai vicini, a detta del Marillier che ne ricorda le continue lamentele e ci parla di ben oltre
150 animali: ecco “convivere” assieme pavoni, cervi, conigli, armadilli, per dirne solo alcuni, e tra
questi poter scorgere saltellare ogni tanto all’improvviso dei canguri, nonché camaleonti o
addirittura foche, e sembrerebbe che lo stesso padrone di casa, per acquistare un bel toro zebù,
5
T. HALL CAINE, Recollections of Dante Gabriel Rossetti, Boston, Robert Brothers, 1883.
6
Ibidem.
7
WALTER PATER, Dante Gabriel Rossetti (1883), in Appreciations, London, Macmillan, 1910, pp. 214-215.
avesse addirittura chiesto in prestito le 20 sterline necessarie al fratello8!
La narrazione aneddotica, dal vivace sapore coloristico, evidenzia quell’originalità, quella
eccentricità, nel senso di porsi “oltre il centro”, in un indefinito àtopos, che caratterizza l’uomo
così come la casa, e che si pone come denominatore comune per tutta la famiglia Rossetti.
Se Christina e Dante Gabriel scelgono deliberatamente il silenzio per quanto concerne la casa di
Vasto, la dimora testualizzata, mai conosciuta realmente, tale amnesia non equivale ad un oblio, ad
un rinnegarsi, ad una volontà di non appartenere, ma forse è funzionale proprio ad erigere una
distanza, una forma di difesa.
Eppure, è proprio da questo osservatorio, che forse potremmo definire privilegiato, che prende le
mosse la loro ricerca espressiva, con la quale getteranno ulteriori luci ed ombre sul mondo.
§ Elizabeth Siddal, la modella malinconica dei Preraffaelliti
Terzo evento dei “seminari e incontri di studio”, ha visto protagonista Eleonora Sasso che si
è soffermata sulla figura di Elizabeth Siddal, la modella malinconica dei preraffaelliti, (Londra, 25
luglio 1829-Londra, 11 febbraio, 1862), nota anche con il diminutivo Lizzy o Lizzie, poetessa e
pittrice. La Siddal, divenne, da semplice sarta, una delle Muse dei preraffaelliti: incarnò
perfettamente la loro idea di femminilità. Walter Deverell scoprì questa creatura leggiadra, pervasa
da una malinconia straziante e da una “tenebrosità dell’animo” paragonabile alla nona piaga
d’Egitto, e la presentò al circolo dei preraffaelliti.
Posò per William Holman Hunt, John Everett Millais ma fu la modella per eccellenza di Dante
Gabriel Rossetti, di cui si innamorò e con il quale convolò a nozze nel 1860.
Posò, inoltre, per l’Ophelia di Millais (1852) e fu costretta a rimanere a lungo immersa in un
ruscello, per rappresentare la morte del personaggio shakespeariano.
La sua forza di resistenza fu enorme, anche quando si ruppe una delle lampade che servivano a
riscaldare l’acqua: però la modella si ritrovò colpita da una bronchite che le minò la salute.Faceva
anche uso del laudano, una sostanza stupefacente di uso medico ma che venne usata come droga,
che per i suoi effetti devastanti sul corpo e sulla mente la portò alla morte.
Non era la donna eterea che i pittori amavano idealizzare, nonostante Dante Gabriel cercasse
sempre di ritrarla bella e dolce: aveva un carattere forte e deciso.
John Ruskin, che si occupò di finanziare tutte le opere artistiche prodotte dalla Siddal, la definì:
“Beautiful as the reflection of a Golden mountain in a crystal lake”.
Il tormento della sua vita fu, però, Dante Gabriel il quale aveva timore di presentare la donna, di
umili origini, ai propri genitori e rimandò per ciò varie volte le nozze accentuando lo stato di
depressione di cui ella soffrì per tutta la vita. Nel 1861 diede alla luce un bambino nato morto, da
questo momento non si riprese più e poco dopo morì suicida.
Rossetti, spinto dall’amico Ford Madox Brown, bruciò la lettera d’addio della moglie che il pittore
aveva trovato in quanto, il suicidio pubblicamente condannabile. Nella tomba insieme al corpo della
modella il pittore fece porre anche le poesie di lei tra le quali le più importanti:
“A Year and A Day”, che riflette lo stato d’animo di lei, il senso del nulla accompagnato da
metafore acquatiche che assumono valenze mortifere anche per I tradimenti continui di Dante
Gabriel;
“At Last” (Infine) dove prevalgono i dualismi “vita-notte, morte-giorno” che riassumono la
metafora del Sole nero;
“True Love”, ballata elegiaca, basata sul contrasto eros-thanatos e sull’idea del ritorno alla
sepoltura.
8
Cfr. H. C. MARILLIER, op. Cit., p. 120.
Il quaderno, che conteneva le sue opere, le fu infilato tra i capelli rossi visti sempre “raggianti come
le frecce dell’aurora”. Infatti la sua figura ophelizzata fu contrassegnata dai capelli rossi ondulati
che Dante Gabriel tante volte aveva ritratto.
Nel 1869, però, Rossetti, ossessionato, riprese dalla tomba il quaderno delle poesie e le pubblicò
insieme alle proprie.
Dante Gabriel nell’opera “The Kiss” creò l’archetipo erotico di Elizabeth e nel “Dear dove divine”
la descrisse come un angelo della malinconia che, come ha riferito anche Gianni Oliva, è una
visione della vita che nasce con la mancanza di certezze, quando vengono meno l’aspirazione
all’assoluto, la creatività; tutto implica, perciò, la riflessione, l’introspezione.
E non solo la malinconia pervase in Lizzy ma anche il complesso di Ophelia attraverso l’idea
dell’acqua “che è la patria delle ninfe vive, è anche la patria delle ninfe morte. È l’autentica
materia della morte decisamente femminile […] Ofelia è una creatura nata per morire nell’acqua,
[…] vi ritrova il suo elemento, l’elemento della morte giovane e bella, […] della morte senza
orgoglio né vendetta del suicidio masochista” (Gaston Bachelard).
Christina Rossetti le dedicò: “In an artist’s studio” in cui colse la vera essenza di Elizabeth.
William Michael fu il suo confidente, le fu affezionato e la identificò sempre, nonostante intuì
subito che da Dante Gabriel veniva trattata come un oggetto da collezionare, come una donna
d’animo puro, raffinato: “Una creatura meravigliosa che trasuda dignità e dolcezza, dotata di una
modestia rispettosa e di un distaccato disdegno; ricordo i suoi tratti particolari, i suoi occhi spenti,
la pelle luminosa e una cascata di capelli biondo rame” (William Michael Rossetti).
§ L'esilio di Gabriele Rossetti
Dal piccolo borgo del Regno di Napoli, Vasto, a Napoli, Malta, Londra si muove il percorso
dell'esule Gabriele Rossetti, oggetto del seminario di Gianni Oliva.
Mete differenti, dunque, che costituiscono lo sfondo delle vicende di una vita, delle peripezie di un
uomo, e che, proprio in quanto mete vissute e sofferte, perdono quell’impersonalità da annotazioni
diaristiche doverose, per arricchirsi di un significato particolare, essendo intimamente connesse
all’uomo ed alla sua interiorità. La storia di Gabriele Rossetti è storia di un esilio, di un
allontanamento traumatico dalla propria terra d’origine. Un esilio in parte preannunciato, anticipato
da una serie di continue partenze e fughe fino al giorno del congedo definitivo, ma mai accettato
interamente e considerato sempre ingiusto, eccessivo.
D’altronde, ci troviamo nell’ Europa delle conquiste napoleoniche e nell’Italia dei Borboni. In
questi anni caldi, turbolenti, il malcontento generale per lo strapotere monarchico sfocia nelle
continue rivolte di anarchici e insurrezionalisti e, quindi, non stupisce che l’esilio sia un fenomeno
particolarmente diffuso.
Ecco così i noti patrioti dai nomi famosi, oggi ricordati come eroi, e la massa anonima dei tanti che
avevano abbracciato la causa comune della libertà, affollare le numerose navi dirette all’estero,
soprattutto verso l’Inghilterra, in cerca della salvezza e di una nuova vita.
Come molti altri, dunque, anche il vastese Rossetti è costretto all’esilio, e colpisce che tale
allontanamento sia dovuto a motivazioni politiche.
Che c’entrava infatti egli con la politica?
Gabriele era un poeta, un uomo di lettere, non un politico militante, né tanto meno un rivoltoso che
impugnava le armi. Un exul immeritus, come Dante e al pari di Dante, il poeta prediletto. Semmai la
sua unica arma era la penna.
E fu proprio la poesia la causa efficiente del suo triste destino, che lo porta a sperimentare “mille
avventure, mille aneddoti”, proprio lui che, di indole pigra e refrattaria ad ogni tipo di avventura,
quasi per uno scherzo beffardo del destino, “fu costretto a vivere una vita di avventura”,9 e ad esser
9
Cfr. G. OLIVA, Introduzione, a G. ROSSETTI, La vita mia, Il testamento, Lanciano, Carabba, 2004, p.9.
“per la politica perseguitato e bandito”10.
Se i suoi versi minacciosi contro Ferdinando I, o ancor più riferiti alla patria“ pur bella cogli astri
sul crine”, vennero accolti, durante i moti del 1821, dalla gioventù napoletana come veri slogan da
sussurrare di bocca in bocca o da urlare a squarciagola nell’incitare alla rivoluzione, se le sue rime,
permeate da quegli ideali intensi di libertà, di identità civile, da quell’amore per la patria, mai
rinnegati, divengono un forte strumento di propaganda e potente messaggio di rivoluzione, egli era
in realtà un uomo semplice.
“Nato di onesta ma povera famiglia”, proveniente dal popolo ed appartenente al popolo, come più
volte ha dichiarato con orgoglio,conobbe fin dall’infanzia le miserie dell’esistenza e le ingiustizie
dei più forti.
Nella piccola Vasto, infatti, il borgo degli affetti, delle origini, dei giochi infantili, sempre
vagheggiato e rimpianto, la vita non doveva essere sonnolenta come può sembrare quella di un
piccolo centro di provincia: e infatti Gabriele vede con i propri occhi tutta la tragicità delle
sommosse popolari del 1799, e cresce tra grida di dolore e tra grida di libertà, profondamente scosso
dal sangue, dalle tante morti e rapine, ma allo stesso tempo, profondamente rapito dalla letteratura,
dalla poesia, da Dante, mostrando l’amore e la propensione per le lettere e gli studi, mai
abbandonati e coltivati per l’intero arco della sua vita.
Colpisce la semplicità della rima facile e leggera, forte ed intensa proprio in virtù della sua
naturalezza, dal tocco delicato, ma capace di arrivare all’essenza più genuina, alla realtà più intima.
Ripercorrendone l’opera biografica, sbirciando quasi con un certo pudore nella sua vita,
“curiosissimo romanzo11”, vi troviamo sì la storia di un uomo, ma un po’ anche la storia di tutti,
giacchè egli non si limita ad offrire un affresco storico di valore, trasportandoci prima nelle
sommosse popolari, poi negli intrighi della corte borbonica, per catapultarci all’improvviso nella
“florida Malta” ed infine nella nebbiosa Londra, ma ci parla in primis di sé, dell’impotenza e
miseria umane, delle delusioni napoleoniche, del dolore del distacco e dell’accorato rimpianto del
ritorno.
Il primo esilio avviene nel 1804, quando il giovane ventunenne lascia l’amata Vasto per
approfondire gli studi letterari a Napoli. È l’addio,che poi risulterà definitivo, ai “vaghi lidi” alla
“florida collina” all’“azzurro del cielo e del mare”12, ai genitori ed ai fratelli, che non vedrà più.
A Napoli, arrivano i primi successi come poeta, con una fama e notorietà che accrescono di pari
passo alla sua sventura, tant’è che il “poeta fashionable”, etichettato come pericoloso e bandito dal
regno, è costretto a fuggire. S’impone un nuovo esilio, l’ultimo addio al suolo italiano: così le coste
italiane scompaiono all’orizzonte mentre appaiono quelle straniere di Malta.
È solo una breve parentesi: riconosciuto e perseguitato dal Console di Napoli Gerardi, il “ vate
fuggiasco” è costretto ad una nuova fuga, questa volta per Londra, una partenza definitiva.
Ecco che, ancora, i lidi si sovrappongono ai lidi, e il golfo di Napoli, scorto in mare aperto,
dirimpetto alla balaustrata del bastimento, richiama vecchi colori e sapori, per sovrapporsi a quello
più piccolo della rimpianta Vasto. Ancora lo sguardo solitario e pensoso dell’esule si sofferma sul
profilo indefinito della costa, quasi a volerne serbare ogni particolare come un ricordo prezioso, da
custodire gelosamente e coccolare nei momenti di solitudine.
Il viaggio è molto lungo, e sembra quasi trasportare il nostro poeta in un altro mondo, dove tutto è
diverso, nuovo, sconosciuto. Un’ alterità che disorienta, già con il primo approccio alla lingua
inglese, che acuisce quel senso di spaesamento, nonché di vero e proprio estraniamento linguistico,
che non può non palesarsi con tutta la sua forza all’arrivo, per poi lasciare il posto alla meraviglia,
10
G.ROSSETTI, Carteggi, vol.II, cit., p.68.
11
Cfr. G. OLIVA, Introduzione, a G. ROSSETTI, op. cit., p.10.
12
Ibidem, pag. 15.
allo stupore.
Ecco Londra! Ecco la City, la grigia e nebbiosa metropoli, la città rifugio per molti italiani, la città
della rivoluzione industriale, ricca ed impeccabile, la città “ovunque libro scritto”, dove ogni cosa è
immensa, dove tutto è in più e ben organizzato, dove perfino “ le campane sembrano suonare in
musica” 13 .
Qui, dopo le prime difficoltà, trova tanti altri italiani, come Guglielmo Pepe o Rossini, qui conosce
Foscolo, qui conosce la donna che diventerà sua moglie, la figlia di Gaetano Polidori.
Divenuto primo professore al King’s College, è ancora tempo di cambiamenti: nuove abitazioni,
nuovi indirizzi, ma soprattutto, nuovi affetti.
Ecco nascere, uno dietro l’altro i quattro figli, grandi personalità, che tanta importanza avranno nel
panorama culturale dell’Ottocento europeo.
Colpisce, nelle testimonianze biografiche, quella comunanza di affetto e stima sinceri che lega il
padre e i figli, che vibra di accenti accorati, di soddisfazione per il loro talento nelle parole di
Gabriele, per arricchirsi di toni ammirati e nostalgici in quelle dei figli.
Vedendoli crescere, “loro nati liberi, lui servo” e cogliendovi di riflesso la propria stessa immagine,
quella di un esule ormai invecchiato e stanco ,Gabriele non può non sperare, ancora una volta, che
gli venga concesso il tanto sognato ed agognato ritorno. Ma il desiderio risulta vano, come sempre
la patria è negata, questa volta definitivamente. Ultima speranza, unica consolazione, quindi, sono
proprio i figli, nella cui immagine egli vedeva nascere e continuar la propria.
Tutto è perduto…Io non vedrò. Forse voi vedrete.
Se Rossetti non tornerà mai più nè in Italia, né tantomeno a Vasto, una sorta di riscatto, di
risarcimento morale al dolore e rimpianto paterni si colgono nell’opera del figlio William Michael,
il figlio più simile, l’erede spirituale, se così possiamo definirlo, l’attento osservatore della vita del
padre.
Così rivive, nelle parole del figlio, l’immagine del poeta che rincasa stanco, dopo una faticosa
giornata di lavoro come tante, sul far della sera, mentre pian piano il cielo di Londra indugia
all’imbrunire e vede svanire lentamente, per perdersi silenziosi, sbuffi di fumo dai tanti comignoli
dai profili irregolari. Così rivivono i giorni lieti trascorsi in famiglia, così ci strappano un sorriso i
tanti detti abruzzesi o le superstizioni locali mai dimenticati, o ci incuriosiscono i tanti quadretti
familiari, con gli animali domestici compresi. Ecco il gatto “che fa l’Y” , il vecchio gatto della
famiglia dalla posa bizzarra e originale, ecco il padrone di casa assopirsi dopo il pasto “russando
rumorosamente”.
Foto di famiglia, aneddoti coloriti e commossi, di un tempo rimpianto che non c’è più, che fanno
rivivere l’uomo, il padre, il marito, colto nella vita di tutti i giorni, nell’intimità del nucleo familiare,
nelle abitudini più private.
E forse è proprio questo il vero ritorno del Rossetti, è proprio qui, in questo ritratto, nel suo prodotto
artistico -letterario, nonché in parte in quello dei figli, che si realizza la tanto agognata fine
dell’esilio.
Non soltanto nei tentativi di William Michael di celebrare il padre instaurando contatti con Vasto,
ma anche e soprattutto ai nostri giorni, grazie al lavoro di studiosi e critici che hanno fatto giustizia
delle alte qualità del poeta come dell’uomo, rivalutandone ed approfondendone l’opera e la figura,
restituendo loro la corretta collocazione nel panorama culturale. Così Gabriele oggi torna in patria.
E nel modo migliore. È questa la vera fine del suo esilio.
13
Ibidem, p.92.
§ Approccio alla pittura preraffaellita
Utilissimo è l'approccio alla pittura preraffaellita offerto da Bianca Campli, docente
dell'Istituto d'Arte di Vasto, nel penultimo evento dei “giovedì Rossettiani”, che ha posto
l’attenzione sulla confraternita di pittori inglesi.
Nel 1848 Dante Gabriel Rossetti, William Hunt, Ford Madox Brown, John Everett Millais danno
vita alla “Pre-Raphaelite Brotherood” :
«Essi (i preraffaelliti) non imitano la pittura, dipingono semplicemente dalla natura, e si sono
schierati come un sol uomo, contro quel genere d’insegnamento, iniziato dopo l’epoca di Raffaello,
opponendosi, in realtà, all’intero sentire delle scuole del Rinascimento, sentire composto di
indolenza, infedeltà, sensualità e sciocco orgoglio.
Se aderiranno ai loro principi, dipingendo la natura com’è intorno a loro, con l’aiuto della scienza
moderna e la serietà degli uomini del XIII e XIV secolo, fonderanno una nuova e nobile scuola in
Inghilterra” (John Ruskin).
La Campli si è soffermata in modo particolare su Dante Gabriel Rossetti il “grande italiano
tormentato dall’inferno di Londra” (John Ruskin) con un excursus di parole e immagini partendo da
L’infanzia di Maria (olio su tela 1849 Londra,Tate Gallery) e L’Annunciazione (olio su tela 1850,
Tate Gallery) attraverso l'Anniversario della morte di Beatrice (1853-Oxford, Ashmolean Museum);
Beatrice incontra Dante (1855); Dante sogna la morte di Beatrice (1871-Liverpool,Walker Art
Gallery); Paolo e Francesca (1855- Londra Tate Gallery); fino alla Visione di Lia e Rachele
(1855), Nozze di San Giorgio e della principessa Sabra (1857-Londra Tate Gallery); Lo studiolo
blu (1857); Elena di Troia (1863-Amburgo, Kunsthalle); Venere Verticordia (1863 Bournemouth
Russel-Cotes Art Gallery); Beata Beatrix (1862 Londra Tate Galery); Amatissima (1865 Londra
Tate Gallery); Monna Vanna (1866 Londra Tate Gallery); Pia dei Tolomei (1868); Sogno (1868
Oxford, Ashmolean Museum); Pandora (1869 Faringdon Collection); fino alla disamina delle opere
La Donna della Fiamma (1870); Giardino Segreto (1872 Manchester, City Art Gallery); La
Ghirlanda (1873 Londra, Guildhalle Art Gallery); Proserpina (1874 Londra Tate Gallery); Astarte
Siriaca (1877 Manchester City Art Gallery); La donna della finestra (1879); Sogno di giorno
(1880); La visione di Lancillotto del sacro Graal-Oxford Union Murals (1857 Oxford, Ashmolean
Museum); ha presentato, poi, le opere di John Everett Millais, William Hunt, Ford Madox Brown,
Henry Wallais, William Morr
is, Edward Burne Jones.
Molto interessanti sono state le annotazioni della Campli sugli echi moderni e contemporanei del
Preraffaellismo nella pubblicità e nell'arte: ad esempio, singolare risulta il caso di Yasumasa
Morimura, arista giapponese, e i suoi 'travestimenti' aristici; così come sono ravvisabili nella
fotografia per la moda le somiglianze con giochi ed effetti di luce sulle modelle in posa.
§ La ricerca poetica di Christina Rossetti: una sfida all’Inghilterra vittoriana
Mariaconcetta Costantini ha iniziato la sua ricerca poetica di Christina Rossetti: una sfida
all'Inghilterra vittoriana, centrando l'attenzione sul volto della Vergine nel noto dipinto Ecce
Ancilla Domini di Dante Gabriel Rossetti, notando come sia in realtà quello della sorella Christina.
Un volto delicato, che pare evocare con la sua purezza, con quel candore virgineo, quasi un che di
inafferrabile e di etereo, ma che allo stesso tempo esprime quasi un atteggiamento di timore, di
pudore e ritrosia.
Un’immagine, si badi bene, iconica, trasfigurata, aderente ai canoni della ricerca artistica
preraffaellita del fratello e pertanto funzionale a veicolare determinati valori, poco vicina alle reali
fattezze ed alla vera fisionomia della quarta ed ultima figlia del poeta Gabriele. Anche se
disponiamo di altre immagini (anche fotografiche) più veritiere, il ritratto migliore di Christina è
quello che la poetessa lascia di sé, nella sua Poesia, nel suo bisogno incessante di esprimere se
stessa ed il mondo attorno a sé.
Una ricerca al tempo stesso originale ed incisiva, dagli accenti in apparenza vivaci e spesso
stravaganti, ma celante, dietro tale rima gioiosa ed irregolare, una personalità problematica, che
scruta se stessa, il proprio dolore, la propria solitudine.Ma se conoscere il mondo per come è
davvero equivale a rifiutarlo, o perlomeno a tentare di cambiarlo, il grido silenzioso di profonda
angoscia della poetessa, non può non trasformarsi in denuncia;una denuncia ovattata, protetta dalla
fantasia, dal metro irregolare, dal sonno o dal sogno, ma che appare con tutta la sua chiarezza a chi
sa guardare oltre. Un verso di Christina forse è più esaustivo di tante descrizioni: chi ha visto il
vento? Né tu, né io; ma quando gli alberi piegano la testa è il vento che passa.
Così la società vittoriana, trasfigurata e parodiata nel poemetto Goblin Market, assume i tratti
grotteschi ed iperbolici di un mercato di folletti, e gli uomini, chiusi nel conformismo di dogmi
patriarcali, costruito da una società maschile, divengono creature ridicole e mostruose nella loro
aggressività e grettezza, continuamente saltellanti come il metro utilizzato; o ancora ricorrono
immagini vivide e colorite di chiaro sapore favolistico esiodeo, quando la tendenza
all’antropizzazione si sofferma sul mondo animale, il cui comportamento tipico diventa
rappresentativo di vizi e virtù umane.
Fanno la comparsa sulla scena gli esseri inferiori, i deboli, i disprezzati, dalle colombe amanti in
volo spensierate, agli anfibi, per i quali Christina ha sempre mostrato una particolare attenzione. Ma
non possono mancare i forti, i cattivi: così i giochi amorosi e i sogni dei colombi vengono
bruscamente spezzati dall’aquila predatrice, e il coccodrillo continua a cibarsi ed ingozzarsi dei
suoi simili, senza sosta, “affamato come la morte”.
Una poesia ricca di contenuti e di valenze interpretative difficili,dunque, che si presta a svariati
livelli di lettura, capace di acquerelli delicati di sapore romantico e di bozzetti sgradevoli e
riprovevoli per la morale comune, per di più, cosa stranissima ed inaudita, opera di una donna!
Se Ruskin infatti definisce l’opera della poetessa come eccentrica, priva di gusto e palesemente
offensiva, denunciandone la totale assenza di “Form”e quindi non degna di esser pubblicata,
Virginia Woolf apprezza la grandezza, tanto della poesia quanto della donna, una donna che
descrive come“all’apparenza composta, d’aspetto tranquillo, ma di una vivacità interiore che
nasconde una personalità bizzarra e stravagante. In breve una vera artista”.
La più piccola di casa Rossetti, “l’angelico piccolo demonio di casa”, come amava definirla con
affetto il padre, dall’angolo silenzioso dove la società maschile relega il femminile così come tutto
ciò che è altro da sé e dunque secondario, inferiore, sgradito, mostra la propria insofferenza nei
confronti della realtà storica contemporanea, rifiutandone le regole e cercando di smascherarle, per
quanto possibile, protetta dai suoi versi: la poesia diventa così scelta obbligata per contravvenire
all’antinomia dei binarismi e per affermare il proprio io, essere se stessa.
Una femminista ante litteram, che nella critica ai ruoli sessuali patriarcali culturalmente imposti,
nella denuncia di ogni forma di violenza, nell’attenzione per gli esclusi ed i deboli sembra
anticipare le teorie decostruzioniste e post-decostruzioniste delle femministe del secolo scorso; una
provocatrice silenziosa, che s’interroga contemporaneamente sui dogmi religiosi della teologia,
definita da Ruskin in accordo alla mentalità comune come “dangereous science for women”, e sui
limiti di una società scricchiolante sotto il peso angosciante delle teorie evoluzionistiche di Darwin.
Christina sceglie di essere, ma non dopo aver abbracciato una vera e propria etica della rinuncia.
E la poetessa rinuncia ai sogni, all’amore, rinuncia a svelarsi ed a svelare la propria interiorità, a
perdere la propria autonomia.
Una scelta difficile ma coraggiosa di autoaffermazione, dunque, che in Winter my secret viene
celebrata nella figura della donna che non rivela all’uomo insistente, alcun segreto, facendosi
addirittura beffe di lui e della sua vuota ostinazione.
In an Artist studio, il fratello Dante Gabriel “uccideva” a poco a poco, con ogni pennellata sulla
tela, la modella amata Elisabeth per trasformarne il volto in quello di un fantasma, “nutrendosi ogni
giorno del suo sembiante, non per come è, ma per come riempie i suoi sogni”.
E se Lizzie non vedeva che altre alternative che la morte, Christina sceglie di sfidare con la propria
arte, sensibile ed originale, l’ordine precostituito della società vittoriana.