film discussi insieme

Transcript

film discussi insieme
Vento di terra
regia e sceneggiatura: Vincenzo Marra (Italia, 2004)
fotografia: Mario Amura
montaggio: Luca Benedetti
musica: Sandro Peticca
scenografia: Giuseppe Pirrotta
interpreti Vincenzo Pacilli (Enzo), Edoardo Melone (Bruno),
Francesco Giuffrida (Luca), Giovanna Ribera (Marina),
Vincenza Modica (Antonietta), Francesco Di Leva (Tarantino)
produzione: R&C
distribuzione: Mikado
durata: 1h 30’
VINCENZO MARRA
Napoli - 1972
2001 Tornando a casa
2004 Vento di terra
LA STORIA
Vincenzo abita con la sua famiglia un appartamento di Secondigliano, in uno di quegli edifici di cemento che hanno
reso la Napoli della periferia fin troppo nota. La madre e la
sorella lavorano in casa alla macchina per cucire, il padre è
operaio. I soldi sono pochi, quelli per pagare l’affitto mancano. Vincenzo fa qualcosa da precario presso un fabbro e
consegna i capi che madre e sorella confezionano. Un giorno un amico paterno gli dice che è necessario che pensi con
più serietà al suo futuro, la sua famiglia ha bisogno di lui.
Quando muore il padre, lasciando tutti impreparati, Vincenzo, scoraggiato e incapace di trovare da solo una soluzione alle difficoltà della sua famiglia, si fa coinvolgere dagli
amici in una rapina. È un grosso errore di cui sente subito
dopo la gravità: va dall’amico del padre e gliene parla e l’uomo, dopo avergli ricordato quello che suo padre aveva sempre tentato di insegnargli, gli offre anche una mano: «Sono
qui, se ci sono problemi li risolviamo insieme». Lo troviamo
poco dopo in caserma, a fare la scuola allievi. Regole severe,
disciplina da non discutere, esercitazioni da eseguire su ordini imposti con autoritarismo, e ore di studio sui banchi. Il
suo compagno di camera gli chiede «A te, chi lo ha fatto fare?» E poi: «Io ho un figlio di due anni e a Catania non c’è
futuro né per me, né per lui». Una mattina, una telefonata
drammatica da casa costringe Vincenzo a rientrare di corsa.
Sua madre, ormai giunta alla disperazione per lo sfratto non
più rimandabile, sta per scavalcare la ringhiera del balcone e
buttarsi nel vuoto. Vincenzo è l’unico che riesce a dissuaderla. Stremata da una lunga depressione, la donna lascia Napoli e si trasferisce nella casa della figlia, a Cassino, dove su
interessamento dello zio, la ragazza fa l’operaia alla Fiat. Ma
a Natale, quando Vincenzo ritorna da loro per un permesso
di pochi giorni, è ormai entrato nell’esercito a pieno titolo,
si accorge che la sorella nasconde uno strano imbarazzo e
non solo perché la madre non è ancora riuscita a superare la
lontananza da Napoli. La sorella gli confessa che dietro l’interessamento dello zio ci sono sempre state delle losche intenzioni, nonostante lei abbia ormai incontrato proprio tra i
VENTO DI TERRA 257
28
colleghi della Fiat un bravo ragazzo di Pescara, e abbiano in
progetto di andare a vivere insieme. Vincenzo si sente
profondamente offeso e si precipita a casa di quello zio, insultandolo.
Nel 1999 eccolo in Kosovo, in missione. L’amico di un tempo, quello incontrato all’inizio della leva, che si sorprende di
trovarlo tra quei soldati appena arrivati, gli chiede «Che cosa
ci fai qui?». Vincenzo non dice niente, ma il suo silenzio è
pieno di significato. È lì per guadagnare qualcosa di più e dare una casa alla madre. Darle una vita tranquilla. Al rientro
in Italia, accolta la domanda di essere assegnato alla sede di
Napoli, è a casa con la madre che ha ripreso il suo lavoro alla
macchina da cucire e contento di sapere che la sorella è felice
con l’uomo che la ama e un bambino di pochi mesi. I problemi più grossi sembrano ormai alle spalle, ma un dolore
improvviso lo sorprende mentre è alla guida del motorino,
dopo un turno di notte. In ospedale la diagnosi è seria. A casa, ormai dimesso, riceve la visita di un avvocato che gli spiega come a nome di un gruppo di altri colleghi stia cercando
di raccogliere le prove per dimostrare che le malattie dei ragazzi andati in missione Kosovo sono dovute all’uranio impoverito. L’invito è di firmare le carte che gli lascia e che gli
consentono di portare avanti la sua difesa. Vincenzo, ormai
assente da tutto e da tutti, non dice nulla. (LUISA ALBERINI)
LA CRITICA
Vento di terra, opera seconda di Vincenzo Marra che nel
2002 aveva vinto [...] a Venezia, il premio come miglior film
alla Settimana della Critica con Tornando a casa, ci porta
nuovamente nella difficile realtà partenopea [con] la storia
del diciottenne Vincenzo che vive con la sua famiglia nel
quartiere di Secondigliano a Napoli. Dopo l’improvvisa
scomparsa del padre, il ragazzo si trova a dover aiutare la famiglia. Inizia allora un viaggio di formazione che passa dalla
criminalità per finire militare in Aeronautica. In mezzo, tutta una serie di vicissitudini [...]. Nella periferia di Napoli
Marra ha scoperto che vivono quasi un milione di persone.
258 VENTO DI TERRA
«Un vero e proprio esercito di anime - sottolinea - tutte
“senza paracadute”. Ossia persone che non avendo un lavoro
garantito, un’assicurazione sanitaria, una carta di credito,
anche solo rompendosi una gamba si trovano completamente a terra. La loro situazione precipita e ogni evento collaterale negativo s’ingigantisce». (Il Giornale, 8 settembre 2004)
Il nuovo corso realista del cinema italiano fa un bel salto in
alto con l’opera seconda del talentuoso napoletano Vincenzo Marra, già autore del premiatissimo Ritorno a casa. In
Vento di terra il suo protagonista, l’ultimo fratello del Rocco di Visconti [...], è un 18enne qualunque, vittima del degrado di un quartiere napoletano. [...] Un film che documenta con occhio lucido (anche di pianto) e impietoso non
solo la realtà sociale, ma le sensazioni, i dubbi e i sentimenti, impastato di sguardi e di silenzi, necessario come una
legge morale. E insieme è un racconto pieno di imprevisti e
probabilità psicologiche, molto ben reso da attori non tutti
professionisti tra cui l’eroe-non eroe Vincenzo Pacilli,
Edoardo Melone, Giovanna Ribera, Francesco Giuffrida,
un’orchestra di gente molto ben sintonizzata nelle sfortune
della vita. Tutto senza retorica, senza pietismi né moralismi: Marra guarda avanti con uno stile rigoroso che riflette
un pensiero rigoroso. (MAURIZIO PORRO, Corriere della Sera, 18 settembre 2004).
Marra è un consapevole erede del neorealismo, questo fiume carsico che non finisce mai di scorrere nell’inconscio dei
cinema italiano: periodicamente, nascono registi che non
solo vogliono raccontare la realtà, ma girano i film dentro di
essa, con uno spirito in cui la denuncia sociale si incrocia
con la curiosità del reporter, Marra, che è anche un ottimo
documentarista) lavora con attori non professionisti, costruisce con la storia, gira esclusivamente in ambienti reali.
Alla base di Vento di terra c’è un paesaggio urbano - le vele
di Secondigliano, periferia napoletana esterna - e un volto;
quello del giovane Vincenzo Pacilli che regala una incredibile verità al protagonista Enzo. Un ragazzo come tanti che
vorrebbe avere una vita tranquilla ma è costretto a inventar-
si qualcosa dopo la morte del padre. E sceglie la stessa via
che tanti ragazzi poveri del Sud hanno percorso prima di
lui: entra nell’esercito spedito in Kosovo [...]. Marra mette
in scena i paesaggi umani e sociali che un emarginato di oggi è costretto a percorrere: la periferia degradata con i suoi
soprusi, gli enigmi incomprensibili di un dopoguerra lontano e assurdo. Lo fa senza alcun compiacimento: il suo stile è
prosciugato. [...] C’è una scena in cui gli altri registi avrebbe
calcato sul pedale del melodramma e che Marra gira con
una distanza quasi brechtiana, quella in cui Enzo spiega alla
sua ragazza che si debbono lasciare, perché lui non ha lavoro
e ha troppi pensieri. Vedendola a Venezia (nella sezione
Orizzonti) ci è venuta in mente una durissima battuta del
film Leone d’Oro, Vera Drake, in cui un sottoproletario inglese dice ai figli «se non puoi sfamarli, non puoi neppure
amarli». (ALBERTO CRESPI, l’Unità, 16 settembre 2004)
Come una sceneggiata dalle atmosfere plumbee e tristi,
«Vento di terra» parla dei diseredati, dei «non protetti», di
coloro che in un contesto esistenziale drammatico possono
fare affidamento solo su se stessi. Marra dà prova di rigore e
serietà e fra i non attori emerge il malinconico Pacelli, ma la
voluta semplicità di tono del film sconfina nello schematismo; e ne risulta soprattutto infiacchito il finale che dovrebbe essere forte e di denuncia. (ALESSANDRA LEVANTESI, la
Stampa, 18 settembre 2004)
Un film che potrebbe essere solo un film e non un’inchiesta,
un romanzo, una serie tv, come accade troppo spesso. Perché rende nuovamente visibile ciò che l’abitudine o i media
hanno cancellato alla vista. E lo fa non mostrando mai una
cosa alla volta, ma due: la povertà e la dignità, l’orgoglio e il
disonore, l’amore e la paura. Nascosti in un destino come
tanti, quello di Vincenzo, [...] seguito mese dopo mese, in
famiglia, in caserma o in Kosovo, con un’attenzione e una
sensibilità che rendono nuovi strumenti logori come il dialetto e il mescolare attori e non-attori. Un perfetto antidoto
a tanto mediocre e pessimo cinema italiano. (FABIO FERZETTI, Il Messaggero, 8 settembre 2004)
I COMMENTI DEL PUBBLICO
DA PREMIO
Maria Cossar - Il film, raggelante, parla da solo e lascia un
impatto forte allo spettatore: un sentimento di impotenza di
amarezza di disperazione. Senza ribellione ma con rassegnazione, il protagonista si lascia vivere come un eroe del nostro tempo. La narrazione di notevole efficacia ci mette a
contatto con una realtà magari diversa dalla nostra: un’umanità ben descritta, che denuncia un’intera generazione che
vive in un sociale proibitivo. È un pugno in faccia allo spettatore che riflette con accoramento e grande amarezza.
Giuseppe Gario - Il film di Vincenzo Marra non è perfetto,
ma ha grandissime qualità. È ricco di umanità: Vincenzo e
la sua famiglia reagiscono a problemi e ingiustizie non con
l’insulto (contro la giustizia venduta o l’assurdità militare),
ma cercando una soluzione e, quando il caso, riconoscendo
il proprio errore con gli amici (Vincenzo dopo la rapina) o
con i famigliari (la mamma quando tenta il suicidio). È una
famiglia vera, e vere le amicizie: vere, non eroiche, quindi
apparentemente banali. Nei contenuti, la critica è severa ma
sobria: il percorso di incivilimento di Vincenzo - e dei superstiti della famiglia - è narrato con ironia ma senza acrimonia, con un equilibrio che non è rassegnazione. Le periodiche riprese di Vincenzo in motorino ne segnano le tappe:
all’inizio è un ragazzino informe e un po’ ritardato, poi acquista sicurezza e eleganza (e una nuova bellissima fidanzata), ma la civilizzazione è un viaggio verso la morte (il funerale in Kosovo, l’apparecchio abbattuto, la squadra con le
tute antiradiazioni, il cancro), che sempre gli si presenta anche come dovere da compiere. Formalmente è godibilissimo: l’andamento rapsodico è quello della vita di ogni giorno e le scene spesso più suggerite che sviluppate dimostrano
un raro e prezioso rispetto per la sensibilità e l’intelligenza
dello spettatore. Il linguaggio parlato - sottotitolato in italiano, anche qui l’ironia è reale ma quasi amichevole - è perfettamente coerente. En passant, Marra dichiara con pudore e
VENTO DI TERRA 259
di nuovo con ironia il suo modello poetico: Michelangelo
(«quello dei biglietti da centomila», sembra dire in un veloce passaggio su Vincenzo che conta i soldi). Inoltre, è un genio della maieutica: nel dibattito dopo il film, si è quasi costretti a reagire, con giudizi e pregiudizi, e qualcuno deve
addirittura intervenire due volte. Marra filosofo non va cercato nel film, ma nelle reazioni degli spettatori. Le panoramiche su Napoli e Milano sono la nostra testimonianza: si
monumentum requiris circumspice. Infine, omaggio al budget, che dev’essere stato minimo. Marra riesce a fare poesia
con i materiali di tutti i giorni, per di più scelti tra quelli
che qualcuno potrebbe considerare di scarto. Complimenti.
OTTIMO
Michele Zaurino - Per fortuna anche in Italia e non solo in
Iran o Turchia esistono cineasti capaci di affrontare temi come povertà, dignità, solitudine, frustrazione e abbandono
sociale. Vincenzo Marra è sicuramente uno di questi e Vento
di terra è un mirabile esempio di cinema-verità. Quando poi
la vicenda non si svolge in paesi remoti ma è impietosamente ambientata nella degradata periferia di Napoli cresce in
noi, che viviamo la nostra comoda realtà, il disagio di fronte
a tali difficoltà esistenziali e l’irritazione nei confronti di chi
quotidianamente ci avvolge in una cortina di falsi problemi,
luoghi comuni e pregiudizi. La storia di Vincenzo, diciottenne di non belle speranze, più che raccontata, è vissuta
dentro la stessa realtà e inizia dal sottolavoro, la morte del
padre e il rischio-malavita per proseguire con l’inevitabile
arruolamento in Aeronautica Militare e la missione in terra
straniera. Nulla è superfluo, anche il Kosovo e la malattia da
uranio impoverito ci confermano in parallelo con Fahrenheit 9/11 e citando Nuto Revelli che le guerre sono sempre e comunque le «guerre dei poveri».
Cristina Zauli - Il film rappresenta una efficace denuncia di
situazioni a noi tanto lontane, eppure geograficamente relativamente vicine. In una visione quotidiana “milanese”, dettata
260 VENTO DI TERRA
dall’ansia e dello stress del super lavoro, in cui proprio il lavoro pare aver fagocitato tutti gli ambiti esistenziali di un individuo, a scapito della sua serenità psicologica e di valori umani imprescindibili e irrinunciabili, fa riflettere il problema del
suo esatto opposto. Due opposti tuttavia che provocano per
differenti ragioni malessere e senso di inadeguatezza. Mi ha
colpito lo squallore di tutti i luoghi (Napoli, Milano, Cassino) vissuti dai protagonisti che anche quando sembrano aver
migliorato la loro situazione, non riescono a dare colore alle
loro esistenze segnate e grigie. Il film è anche giusta denuncia
delle conseguenze delle “missioni militari” in Kosovo, di cui
forse si è parlato troppo poco. Qualunquista invece, come ha
detto qualcuno (e ritengo che il regista non abbia voluto attribuire alla vicenda questo significato), attribuire genericamente tutti i mali alle varie guerre, poichè se non ci fossero
gli eventi bellici, sicuramente e assolutamente deprecabili,
l’uomo troverebbe comunque altri strumenti non meno perfidi per sfogare la propria aggressività, che sociologi di fama
hanno peraltro (e purtroppo!) ritenuto rappresentare una delle matrici evoluzionistiche del genere umano.
Grazia Agostoni - Film lucido, senza retorica, umanissimo e
vero. Tristissimo anche ma, nel suo rtmo lento e nel suo stile asciutto, molto “bello”. E, si spera, anche utile.
BUONO
Donatella Napolitano - Bravo Marra a raccontare la realtà di
tanti giovani che devono affrontare la vita in “salita”. Però di
fatti ne racconta troppi a scapito di approfondimenti e descrizioni di personaggi, che talvolta risultano stereotipi. Notevole
è la descrizione della città e della sua periferia con quelle costruzioni progettate sicuramente da architetti valenti ma che
mancano di un contorno urbano degno di questo nome.
Alessandra Casnaghi - Il “vento di terra” sospinge al largo e
rende difficile lo stare in mare, anche il galleggiare. Chissà se il
titolo del bel film di Marra si riferisce a questo? La prima par-
te, sebbene di una mestizia sconcertante, mi è parsa ben trattata, con un paio di sequenze di forte impatto emotivo. Nel
finale Vento di terra batte qualche colpo a vuoto e mi è parso
decisamente meno convincente. Non pretendevo a tutti i costi un finale “buonista”, ma dopo 90 minuti di sfortuna, ingiustizie, soprusi, la terribile malattia del povero protagonista
mi è parsa una beffa che rischia di eccedere in senso opposto.
Bruno Bruni - Al centro del film le problematiche sociali del
Sud, ancora una volta oggetto di attenta analisi e di denuncia. Il regista napoletano conosce bene la realtà economica e
sociale della sua città e in questo spaccato ci mostra le difficoltà quotidiane del vivere in certi quartieri: indigenza diffusa, disoccupazione, insicurezza, prevaricazioni… I giovani
vedono poche prospettive nel loro futuro, l’impiego pubblico nella maggior parte dei casi, risulta essere l’unica alternativa al precariato. La vita militare finisce per essere lo sbocco
più ambito, anche per un certo prestigio che essa offre. Film
molto ben realizzato dalla recitazione efficace e spontanea,
sfugge a una facile retorica, ma non al chiché dell’autocommiserazione. L’ottimismo della volontà si richiede a queste
giovani leve che non paghe dell’impiego statale, potranno
tentare altre vie. Spesso invece la tranquillità di un ancoraggio sicuro risulta motivo di appagamento anche se, talvolta,
causa dei propri mali. Giuste e opportune le reazioni di denuncia, se si potranno ridurre situazioni di sottosviluppo e di
ingiustizia. Una divisione dei ruoli però si impone: quello
dello Stato per gli interventi che gli competono e quello del
cittadino per le responsabilità che gli sono proprie.
Franca Sicuri - Marra è un regista alla ricerca della realtà,
non la più facile, non la più piacevole, ma quella dei più
sfortunati che, faticando a sopravvivere perché non sono nati al posto giusto, sono disposti a tutto per non affondare. Il
regista racconta con affetto la storia di un giovane che prova
di tutto per vivere in modo normale e, senza commettere
crimini, dopo una prima disperata esperienza, cerca di raggranellare qualche soldo in più, rischiando la vita, per assicurare a sé e ai suoi una vita decente. Bravi gli attori e
neoattori. Commovente la storia. Perfetta la regia, dopo un
inizio forse un po’ lento.
Umberto Poletti - Un neorealismo rinverdito e aggiornato.
Non più biciclette, ma un ossessivo correre in motorino verso
magri guadagni e ancor più magre speranze. C’è uno squarcio
non soltanto di Napoli, ma di questa Italia del XXI secolo che,
con buona pace dei benpensanti e delle anime belle, arranca
non per vivere, ma per sopravvivere. Si potrà discutere sulla vicenda degli effetti dell’uranio impoverito, ma rimane la realtà
che la vita del giorno dopo giorno necessita di soldi, per non
morire di fame, per non rischiare di scivolare nella delinquenza. Un film coraggioso che, se riletto alla luce della cronaca di
queste ultime settimane, conferma l’esistenza di aree sociali
tragiche, da 228 euro di pensione mensile. Buon appetito!
Paola Niola - Con linguaggio sobrio e privo di retorica viene
raccontata una storia emblematica, su cui è doveroso riflettere.
DISCRETO
Vittoriangela Bisogni - Discreti e asciutti si susseguono linearmente gli enunciati che narrano la vicenda. Ciascuno
chiuso dal suo bravo punto fermo (con dissolvenza o meno).
È una storia nota del Sud: il giovane pur di buona volontà,
che non riesce a costruirsi un’esistenza decente perché la sorte
si accanisce inesorabilmente contro di lui e la sua famiglia. Lo
spettatore afferra l’iter narrativo e a ogni successivo capitolo si
aspetta nuove sciagure. Per la verità un po’ troppo concentrate. Il film è denso di fatti che si susseguono rapidamente con
frequenti e ampie ellissi, perciò lo spettatore è necessariamente attento; eppure io non ho sentito ritmo né intensità: c’è un
senso di piattezza che, a mio avviso, è il limite del film.
Luisa Alberini - Mentre scorrono le prime immagini (quegli
edifici ammassati gli uni agli altri, fino a diventare inconfondibili) quando appare il gigantesco complesso che ha reso
quel luogo fin troppo noto, e subito dopo, quando i sottotiVENTO DI TERRA 261
toli aprono le porte di una lingua chiusa su se stessa, capiamo subito che la storia che segue è solo una delle tante, che
in quella città ai margini della città possono essere raccontate. Forse questa è proprio la storia di quel luogo, una storia
da respirare, da ascoltare con quelle parole, che per noi hanno bisogno di traduzione, poche, dure, taglienti. A cui però
non è negata la speranza, anche se si è voluto un finale drammatico, che forse non aspettavamo. E al quale, proprio per il
linguaggio con cui viene registrata, si ha voglia di ribellarsi.
Marcello Napolitano - Un film che delude le mie aspettative,
dopo il buon risultato di Tornando a casa. La vicenda di Vincenzo è troppo negativa: gli capitano tutte le disgrazie possibili. Ma soprattutto gli attori, con le loro facce immobili e in genere inespressive, non veicolano il dramma: sono piuttosto figurine di presepe che uomini; l’unica eccezione mi pare la madre, che pur nel modulo espressivo scelto dal regista, mostra
negli occhi un dramma vero e non letterario. Anche sociologicamente Marra sembra mancare il bersaglio: vuole programmaticamente esprimere il disagio sociale di certe classi e mostra molto invece una mancanza di vitalità, di un minimo di
ambizione personale; il traguardo del lavoro è incasellare le lettere, guardando l’orologio. Lo stesso protagonista, di profilo,
non ha una volta la schiena diritta, sempre curvo come ad attendere la prossima botta dal destino; quando esce per punire
il violatore della sorella sembra che voglia gettargli giù la casa e
poi se ne va via con un’imprecazione liberatoria; non parliamo
poi del suo rarissimo sorriso. Marra si conferma un regista con
ottima tecnica, fotografia, montaggio, ma a mio avviso ha stavolta scelto un argomento sociale trattato con molta maggiore
incisività da altri (per es. i fratelli Frazzi di Certi bambini), lo
ha annacquato nella sua drammaticità, e ha scelto un modulo
di recitazione ed attori abbondantemente inespressivi.
MEDIOCRE
Adele Bugatti - Nel paesaggio della periferia degradata di
Napoli il vento soffia, quasi sempre, costante contro ogni
262 VENTO DI TERRA
possibilità di risollevarsi dalla tragedia immanente. Questa è
la tesi del film che racconta la storia di Vincenzo Pacilli,
personaggio che pare riscattarsi con l’arruolamento nell’arma (una tesi cara a Pier Paolo Pasolini) ma... si susseguono
vicende quasi tutte prevedibili e nefaste, raccontate con tono distaccato. Un documentario sociale però dovrebbe
enunciare il vero motivo del contendere, gli intrighi, i fini,
gli interessi (vedi Le mani sulla città di Francesco Rosi). In
questo film invece è stato scelto il racconto distaccato, citando alcuni problemi reali senza indagarne le cause. Mi pare che manchino un’ipotesi e una tesi, magari di parte ma di
cui si possa discutere. Si lanciano solo schegge di provocazione che possono essere recepite, a mio parere, solo da chi
già conosce i problemi della città. Dei tratti neorealisti attribuiti al film da alcuni critici, poi, ho notato solo la scelta di
attori non professionisti. In questo film è solo vento di terra, senza cambi di direzione.
Mario Piatti - Film deludente - forse da Marra, dopo la
buona prova di Tornando a casa, ci si aspettava troppo. Come spesso accade nei film a tesi, si sceglie un caso limite e si
accumulano tali e tanti eventi negativi da rendere inverosimile una storia che, pure, potrebbe essere esemplare. Al povero protagonista capita di tutto: il padre muore, la famiglia
viene sfrattata, la madre tenta il suicidio, la sorella viene insidiata dalla zio sporcaccione. Marra segue le vicissitudini
del ragazzo prendendone lo spunto per denunciare quanto
può esserci di negativo: dal lavoro precario e avvilente agli
inevitabili sbocchi malavitosi, dalla fabbrica disumana
all’ufficiale giudiziario disonesto, dai sistemi di non formazione dell’esercito all’utilizzo dei militari in compiti impropri, dal piccolo speculatore edilizio al sistema bancario, per
finire con l’uranio impoverito e le sue nefaste conseguenze.
Poteva essere la denuncia di un sistema, diventa solo la storia di un poveretto perseguitato dalla sorte. Detto dei contenuti occorre aggiungere che il modo di narrare appare superato e fiacco, lentezza e ripetitività delle situazioni tolgono
ritmo a un film già opprimente per la evidentemente voluta
inespressività degli interpreti.