film discussi insieme
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film discussi insieme
Vento di terra regia e sceneggiatura: Vincenzo Marra (Italia, 2004) fotografia: Mario Amura montaggio: Luca Benedetti musica: Sandro Peticca scenografia: Giuseppe Pirrotta interpreti Vincenzo Pacilli (Enzo), Edoardo Melone (Bruno), Francesco Giuffrida (Luca), Giovanna Ribera (Marina), Vincenza Modica (Antonietta), Francesco Di Leva (Tarantino) produzione: R&C distribuzione: Mikado durata: 1h 30’ VINCENZO MARRA Napoli - 1972 2001 Tornando a casa 2004 Vento di terra LA STORIA Vincenzo abita con la sua famiglia un appartamento di Secondigliano, in uno di quegli edifici di cemento che hanno reso la Napoli della periferia fin troppo nota. La madre e la sorella lavorano in casa alla macchina per cucire, il padre è operaio. I soldi sono pochi, quelli per pagare l’affitto mancano. Vincenzo fa qualcosa da precario presso un fabbro e consegna i capi che madre e sorella confezionano. Un giorno un amico paterno gli dice che è necessario che pensi con più serietà al suo futuro, la sua famiglia ha bisogno di lui. Quando muore il padre, lasciando tutti impreparati, Vincenzo, scoraggiato e incapace di trovare da solo una soluzione alle difficoltà della sua famiglia, si fa coinvolgere dagli amici in una rapina. È un grosso errore di cui sente subito dopo la gravità: va dall’amico del padre e gliene parla e l’uomo, dopo avergli ricordato quello che suo padre aveva sempre tentato di insegnargli, gli offre anche una mano: «Sono qui, se ci sono problemi li risolviamo insieme». Lo troviamo poco dopo in caserma, a fare la scuola allievi. Regole severe, disciplina da non discutere, esercitazioni da eseguire su ordini imposti con autoritarismo, e ore di studio sui banchi. Il suo compagno di camera gli chiede «A te, chi lo ha fatto fare?» E poi: «Io ho un figlio di due anni e a Catania non c’è futuro né per me, né per lui». Una mattina, una telefonata drammatica da casa costringe Vincenzo a rientrare di corsa. Sua madre, ormai giunta alla disperazione per lo sfratto non più rimandabile, sta per scavalcare la ringhiera del balcone e buttarsi nel vuoto. Vincenzo è l’unico che riesce a dissuaderla. Stremata da una lunga depressione, la donna lascia Napoli e si trasferisce nella casa della figlia, a Cassino, dove su interessamento dello zio, la ragazza fa l’operaia alla Fiat. Ma a Natale, quando Vincenzo ritorna da loro per un permesso di pochi giorni, è ormai entrato nell’esercito a pieno titolo, si accorge che la sorella nasconde uno strano imbarazzo e non solo perché la madre non è ancora riuscita a superare la lontananza da Napoli. La sorella gli confessa che dietro l’interessamento dello zio ci sono sempre state delle losche intenzioni, nonostante lei abbia ormai incontrato proprio tra i VENTO DI TERRA 257 28 colleghi della Fiat un bravo ragazzo di Pescara, e abbiano in progetto di andare a vivere insieme. Vincenzo si sente profondamente offeso e si precipita a casa di quello zio, insultandolo. Nel 1999 eccolo in Kosovo, in missione. L’amico di un tempo, quello incontrato all’inizio della leva, che si sorprende di trovarlo tra quei soldati appena arrivati, gli chiede «Che cosa ci fai qui?». Vincenzo non dice niente, ma il suo silenzio è pieno di significato. È lì per guadagnare qualcosa di più e dare una casa alla madre. Darle una vita tranquilla. Al rientro in Italia, accolta la domanda di essere assegnato alla sede di Napoli, è a casa con la madre che ha ripreso il suo lavoro alla macchina da cucire e contento di sapere che la sorella è felice con l’uomo che la ama e un bambino di pochi mesi. I problemi più grossi sembrano ormai alle spalle, ma un dolore improvviso lo sorprende mentre è alla guida del motorino, dopo un turno di notte. In ospedale la diagnosi è seria. A casa, ormai dimesso, riceve la visita di un avvocato che gli spiega come a nome di un gruppo di altri colleghi stia cercando di raccogliere le prove per dimostrare che le malattie dei ragazzi andati in missione Kosovo sono dovute all’uranio impoverito. L’invito è di firmare le carte che gli lascia e che gli consentono di portare avanti la sua difesa. Vincenzo, ormai assente da tutto e da tutti, non dice nulla. (LUISA ALBERINI) LA CRITICA Vento di terra, opera seconda di Vincenzo Marra che nel 2002 aveva vinto [...] a Venezia, il premio come miglior film alla Settimana della Critica con Tornando a casa, ci porta nuovamente nella difficile realtà partenopea [con] la storia del diciottenne Vincenzo che vive con la sua famiglia nel quartiere di Secondigliano a Napoli. Dopo l’improvvisa scomparsa del padre, il ragazzo si trova a dover aiutare la famiglia. Inizia allora un viaggio di formazione che passa dalla criminalità per finire militare in Aeronautica. In mezzo, tutta una serie di vicissitudini [...]. Nella periferia di Napoli Marra ha scoperto che vivono quasi un milione di persone. 258 VENTO DI TERRA «Un vero e proprio esercito di anime - sottolinea - tutte “senza paracadute”. Ossia persone che non avendo un lavoro garantito, un’assicurazione sanitaria, una carta di credito, anche solo rompendosi una gamba si trovano completamente a terra. La loro situazione precipita e ogni evento collaterale negativo s’ingigantisce». (Il Giornale, 8 settembre 2004) Il nuovo corso realista del cinema italiano fa un bel salto in alto con l’opera seconda del talentuoso napoletano Vincenzo Marra, già autore del premiatissimo Ritorno a casa. In Vento di terra il suo protagonista, l’ultimo fratello del Rocco di Visconti [...], è un 18enne qualunque, vittima del degrado di un quartiere napoletano. [...] Un film che documenta con occhio lucido (anche di pianto) e impietoso non solo la realtà sociale, ma le sensazioni, i dubbi e i sentimenti, impastato di sguardi e di silenzi, necessario come una legge morale. E insieme è un racconto pieno di imprevisti e probabilità psicologiche, molto ben reso da attori non tutti professionisti tra cui l’eroe-non eroe Vincenzo Pacilli, Edoardo Melone, Giovanna Ribera, Francesco Giuffrida, un’orchestra di gente molto ben sintonizzata nelle sfortune della vita. Tutto senza retorica, senza pietismi né moralismi: Marra guarda avanti con uno stile rigoroso che riflette un pensiero rigoroso. (MAURIZIO PORRO, Corriere della Sera, 18 settembre 2004). Marra è un consapevole erede del neorealismo, questo fiume carsico che non finisce mai di scorrere nell’inconscio dei cinema italiano: periodicamente, nascono registi che non solo vogliono raccontare la realtà, ma girano i film dentro di essa, con uno spirito in cui la denuncia sociale si incrocia con la curiosità del reporter, Marra, che è anche un ottimo documentarista) lavora con attori non professionisti, costruisce con la storia, gira esclusivamente in ambienti reali. Alla base di Vento di terra c’è un paesaggio urbano - le vele di Secondigliano, periferia napoletana esterna - e un volto; quello del giovane Vincenzo Pacilli che regala una incredibile verità al protagonista Enzo. Un ragazzo come tanti che vorrebbe avere una vita tranquilla ma è costretto a inventar- si qualcosa dopo la morte del padre. E sceglie la stessa via che tanti ragazzi poveri del Sud hanno percorso prima di lui: entra nell’esercito spedito in Kosovo [...]. Marra mette in scena i paesaggi umani e sociali che un emarginato di oggi è costretto a percorrere: la periferia degradata con i suoi soprusi, gli enigmi incomprensibili di un dopoguerra lontano e assurdo. Lo fa senza alcun compiacimento: il suo stile è prosciugato. [...] C’è una scena in cui gli altri registi avrebbe calcato sul pedale del melodramma e che Marra gira con una distanza quasi brechtiana, quella in cui Enzo spiega alla sua ragazza che si debbono lasciare, perché lui non ha lavoro e ha troppi pensieri. Vedendola a Venezia (nella sezione Orizzonti) ci è venuta in mente una durissima battuta del film Leone d’Oro, Vera Drake, in cui un sottoproletario inglese dice ai figli «se non puoi sfamarli, non puoi neppure amarli». (ALBERTO CRESPI, l’Unità, 16 settembre 2004) Come una sceneggiata dalle atmosfere plumbee e tristi, «Vento di terra» parla dei diseredati, dei «non protetti», di coloro che in un contesto esistenziale drammatico possono fare affidamento solo su se stessi. Marra dà prova di rigore e serietà e fra i non attori emerge il malinconico Pacelli, ma la voluta semplicità di tono del film sconfina nello schematismo; e ne risulta soprattutto infiacchito il finale che dovrebbe essere forte e di denuncia. (ALESSANDRA LEVANTESI, la Stampa, 18 settembre 2004) Un film che potrebbe essere solo un film e non un’inchiesta, un romanzo, una serie tv, come accade troppo spesso. Perché rende nuovamente visibile ciò che l’abitudine o i media hanno cancellato alla vista. E lo fa non mostrando mai una cosa alla volta, ma due: la povertà e la dignità, l’orgoglio e il disonore, l’amore e la paura. Nascosti in un destino come tanti, quello di Vincenzo, [...] seguito mese dopo mese, in famiglia, in caserma o in Kosovo, con un’attenzione e una sensibilità che rendono nuovi strumenti logori come il dialetto e il mescolare attori e non-attori. Un perfetto antidoto a tanto mediocre e pessimo cinema italiano. (FABIO FERZETTI, Il Messaggero, 8 settembre 2004) I COMMENTI DEL PUBBLICO DA PREMIO Maria Cossar - Il film, raggelante, parla da solo e lascia un impatto forte allo spettatore: un sentimento di impotenza di amarezza di disperazione. Senza ribellione ma con rassegnazione, il protagonista si lascia vivere come un eroe del nostro tempo. La narrazione di notevole efficacia ci mette a contatto con una realtà magari diversa dalla nostra: un’umanità ben descritta, che denuncia un’intera generazione che vive in un sociale proibitivo. È un pugno in faccia allo spettatore che riflette con accoramento e grande amarezza. Giuseppe Gario - Il film di Vincenzo Marra non è perfetto, ma ha grandissime qualità. È ricco di umanità: Vincenzo e la sua famiglia reagiscono a problemi e ingiustizie non con l’insulto (contro la giustizia venduta o l’assurdità militare), ma cercando una soluzione e, quando il caso, riconoscendo il proprio errore con gli amici (Vincenzo dopo la rapina) o con i famigliari (la mamma quando tenta il suicidio). È una famiglia vera, e vere le amicizie: vere, non eroiche, quindi apparentemente banali. Nei contenuti, la critica è severa ma sobria: il percorso di incivilimento di Vincenzo - e dei superstiti della famiglia - è narrato con ironia ma senza acrimonia, con un equilibrio che non è rassegnazione. Le periodiche riprese di Vincenzo in motorino ne segnano le tappe: all’inizio è un ragazzino informe e un po’ ritardato, poi acquista sicurezza e eleganza (e una nuova bellissima fidanzata), ma la civilizzazione è un viaggio verso la morte (il funerale in Kosovo, l’apparecchio abbattuto, la squadra con le tute antiradiazioni, il cancro), che sempre gli si presenta anche come dovere da compiere. Formalmente è godibilissimo: l’andamento rapsodico è quello della vita di ogni giorno e le scene spesso più suggerite che sviluppate dimostrano un raro e prezioso rispetto per la sensibilità e l’intelligenza dello spettatore. Il linguaggio parlato - sottotitolato in italiano, anche qui l’ironia è reale ma quasi amichevole - è perfettamente coerente. En passant, Marra dichiara con pudore e VENTO DI TERRA 259 di nuovo con ironia il suo modello poetico: Michelangelo («quello dei biglietti da centomila», sembra dire in un veloce passaggio su Vincenzo che conta i soldi). Inoltre, è un genio della maieutica: nel dibattito dopo il film, si è quasi costretti a reagire, con giudizi e pregiudizi, e qualcuno deve addirittura intervenire due volte. Marra filosofo non va cercato nel film, ma nelle reazioni degli spettatori. Le panoramiche su Napoli e Milano sono la nostra testimonianza: si monumentum requiris circumspice. Infine, omaggio al budget, che dev’essere stato minimo. Marra riesce a fare poesia con i materiali di tutti i giorni, per di più scelti tra quelli che qualcuno potrebbe considerare di scarto. Complimenti. OTTIMO Michele Zaurino - Per fortuna anche in Italia e non solo in Iran o Turchia esistono cineasti capaci di affrontare temi come povertà, dignità, solitudine, frustrazione e abbandono sociale. Vincenzo Marra è sicuramente uno di questi e Vento di terra è un mirabile esempio di cinema-verità. Quando poi la vicenda non si svolge in paesi remoti ma è impietosamente ambientata nella degradata periferia di Napoli cresce in noi, che viviamo la nostra comoda realtà, il disagio di fronte a tali difficoltà esistenziali e l’irritazione nei confronti di chi quotidianamente ci avvolge in una cortina di falsi problemi, luoghi comuni e pregiudizi. La storia di Vincenzo, diciottenne di non belle speranze, più che raccontata, è vissuta dentro la stessa realtà e inizia dal sottolavoro, la morte del padre e il rischio-malavita per proseguire con l’inevitabile arruolamento in Aeronautica Militare e la missione in terra straniera. Nulla è superfluo, anche il Kosovo e la malattia da uranio impoverito ci confermano in parallelo con Fahrenheit 9/11 e citando Nuto Revelli che le guerre sono sempre e comunque le «guerre dei poveri». Cristina Zauli - Il film rappresenta una efficace denuncia di situazioni a noi tanto lontane, eppure geograficamente relativamente vicine. In una visione quotidiana “milanese”, dettata 260 VENTO DI TERRA dall’ansia e dello stress del super lavoro, in cui proprio il lavoro pare aver fagocitato tutti gli ambiti esistenziali di un individuo, a scapito della sua serenità psicologica e di valori umani imprescindibili e irrinunciabili, fa riflettere il problema del suo esatto opposto. Due opposti tuttavia che provocano per differenti ragioni malessere e senso di inadeguatezza. Mi ha colpito lo squallore di tutti i luoghi (Napoli, Milano, Cassino) vissuti dai protagonisti che anche quando sembrano aver migliorato la loro situazione, non riescono a dare colore alle loro esistenze segnate e grigie. Il film è anche giusta denuncia delle conseguenze delle “missioni militari” in Kosovo, di cui forse si è parlato troppo poco. Qualunquista invece, come ha detto qualcuno (e ritengo che il regista non abbia voluto attribuire alla vicenda questo significato), attribuire genericamente tutti i mali alle varie guerre, poichè se non ci fossero gli eventi bellici, sicuramente e assolutamente deprecabili, l’uomo troverebbe comunque altri strumenti non meno perfidi per sfogare la propria aggressività, che sociologi di fama hanno peraltro (e purtroppo!) ritenuto rappresentare una delle matrici evoluzionistiche del genere umano. Grazia Agostoni - Film lucido, senza retorica, umanissimo e vero. Tristissimo anche ma, nel suo rtmo lento e nel suo stile asciutto, molto “bello”. E, si spera, anche utile. BUONO Donatella Napolitano - Bravo Marra a raccontare la realtà di tanti giovani che devono affrontare la vita in “salita”. Però di fatti ne racconta troppi a scapito di approfondimenti e descrizioni di personaggi, che talvolta risultano stereotipi. Notevole è la descrizione della città e della sua periferia con quelle costruzioni progettate sicuramente da architetti valenti ma che mancano di un contorno urbano degno di questo nome. Alessandra Casnaghi - Il “vento di terra” sospinge al largo e rende difficile lo stare in mare, anche il galleggiare. Chissà se il titolo del bel film di Marra si riferisce a questo? La prima par- te, sebbene di una mestizia sconcertante, mi è parsa ben trattata, con un paio di sequenze di forte impatto emotivo. Nel finale Vento di terra batte qualche colpo a vuoto e mi è parso decisamente meno convincente. Non pretendevo a tutti i costi un finale “buonista”, ma dopo 90 minuti di sfortuna, ingiustizie, soprusi, la terribile malattia del povero protagonista mi è parsa una beffa che rischia di eccedere in senso opposto. Bruno Bruni - Al centro del film le problematiche sociali del Sud, ancora una volta oggetto di attenta analisi e di denuncia. Il regista napoletano conosce bene la realtà economica e sociale della sua città e in questo spaccato ci mostra le difficoltà quotidiane del vivere in certi quartieri: indigenza diffusa, disoccupazione, insicurezza, prevaricazioni… I giovani vedono poche prospettive nel loro futuro, l’impiego pubblico nella maggior parte dei casi, risulta essere l’unica alternativa al precariato. La vita militare finisce per essere lo sbocco più ambito, anche per un certo prestigio che essa offre. Film molto ben realizzato dalla recitazione efficace e spontanea, sfugge a una facile retorica, ma non al chiché dell’autocommiserazione. L’ottimismo della volontà si richiede a queste giovani leve che non paghe dell’impiego statale, potranno tentare altre vie. Spesso invece la tranquillità di un ancoraggio sicuro risulta motivo di appagamento anche se, talvolta, causa dei propri mali. Giuste e opportune le reazioni di denuncia, se si potranno ridurre situazioni di sottosviluppo e di ingiustizia. Una divisione dei ruoli però si impone: quello dello Stato per gli interventi che gli competono e quello del cittadino per le responsabilità che gli sono proprie. Franca Sicuri - Marra è un regista alla ricerca della realtà, non la più facile, non la più piacevole, ma quella dei più sfortunati che, faticando a sopravvivere perché non sono nati al posto giusto, sono disposti a tutto per non affondare. Il regista racconta con affetto la storia di un giovane che prova di tutto per vivere in modo normale e, senza commettere crimini, dopo una prima disperata esperienza, cerca di raggranellare qualche soldo in più, rischiando la vita, per assicurare a sé e ai suoi una vita decente. Bravi gli attori e neoattori. Commovente la storia. Perfetta la regia, dopo un inizio forse un po’ lento. Umberto Poletti - Un neorealismo rinverdito e aggiornato. Non più biciclette, ma un ossessivo correre in motorino verso magri guadagni e ancor più magre speranze. C’è uno squarcio non soltanto di Napoli, ma di questa Italia del XXI secolo che, con buona pace dei benpensanti e delle anime belle, arranca non per vivere, ma per sopravvivere. Si potrà discutere sulla vicenda degli effetti dell’uranio impoverito, ma rimane la realtà che la vita del giorno dopo giorno necessita di soldi, per non morire di fame, per non rischiare di scivolare nella delinquenza. Un film coraggioso che, se riletto alla luce della cronaca di queste ultime settimane, conferma l’esistenza di aree sociali tragiche, da 228 euro di pensione mensile. Buon appetito! Paola Niola - Con linguaggio sobrio e privo di retorica viene raccontata una storia emblematica, su cui è doveroso riflettere. DISCRETO Vittoriangela Bisogni - Discreti e asciutti si susseguono linearmente gli enunciati che narrano la vicenda. Ciascuno chiuso dal suo bravo punto fermo (con dissolvenza o meno). È una storia nota del Sud: il giovane pur di buona volontà, che non riesce a costruirsi un’esistenza decente perché la sorte si accanisce inesorabilmente contro di lui e la sua famiglia. Lo spettatore afferra l’iter narrativo e a ogni successivo capitolo si aspetta nuove sciagure. Per la verità un po’ troppo concentrate. Il film è denso di fatti che si susseguono rapidamente con frequenti e ampie ellissi, perciò lo spettatore è necessariamente attento; eppure io non ho sentito ritmo né intensità: c’è un senso di piattezza che, a mio avviso, è il limite del film. Luisa Alberini - Mentre scorrono le prime immagini (quegli edifici ammassati gli uni agli altri, fino a diventare inconfondibili) quando appare il gigantesco complesso che ha reso quel luogo fin troppo noto, e subito dopo, quando i sottotiVENTO DI TERRA 261 toli aprono le porte di una lingua chiusa su se stessa, capiamo subito che la storia che segue è solo una delle tante, che in quella città ai margini della città possono essere raccontate. Forse questa è proprio la storia di quel luogo, una storia da respirare, da ascoltare con quelle parole, che per noi hanno bisogno di traduzione, poche, dure, taglienti. A cui però non è negata la speranza, anche se si è voluto un finale drammatico, che forse non aspettavamo. E al quale, proprio per il linguaggio con cui viene registrata, si ha voglia di ribellarsi. Marcello Napolitano - Un film che delude le mie aspettative, dopo il buon risultato di Tornando a casa. La vicenda di Vincenzo è troppo negativa: gli capitano tutte le disgrazie possibili. Ma soprattutto gli attori, con le loro facce immobili e in genere inespressive, non veicolano il dramma: sono piuttosto figurine di presepe che uomini; l’unica eccezione mi pare la madre, che pur nel modulo espressivo scelto dal regista, mostra negli occhi un dramma vero e non letterario. Anche sociologicamente Marra sembra mancare il bersaglio: vuole programmaticamente esprimere il disagio sociale di certe classi e mostra molto invece una mancanza di vitalità, di un minimo di ambizione personale; il traguardo del lavoro è incasellare le lettere, guardando l’orologio. Lo stesso protagonista, di profilo, non ha una volta la schiena diritta, sempre curvo come ad attendere la prossima botta dal destino; quando esce per punire il violatore della sorella sembra che voglia gettargli giù la casa e poi se ne va via con un’imprecazione liberatoria; non parliamo poi del suo rarissimo sorriso. Marra si conferma un regista con ottima tecnica, fotografia, montaggio, ma a mio avviso ha stavolta scelto un argomento sociale trattato con molta maggiore incisività da altri (per es. i fratelli Frazzi di Certi bambini), lo ha annacquato nella sua drammaticità, e ha scelto un modulo di recitazione ed attori abbondantemente inespressivi. MEDIOCRE Adele Bugatti - Nel paesaggio della periferia degradata di Napoli il vento soffia, quasi sempre, costante contro ogni 262 VENTO DI TERRA possibilità di risollevarsi dalla tragedia immanente. Questa è la tesi del film che racconta la storia di Vincenzo Pacilli, personaggio che pare riscattarsi con l’arruolamento nell’arma (una tesi cara a Pier Paolo Pasolini) ma... si susseguono vicende quasi tutte prevedibili e nefaste, raccontate con tono distaccato. Un documentario sociale però dovrebbe enunciare il vero motivo del contendere, gli intrighi, i fini, gli interessi (vedi Le mani sulla città di Francesco Rosi). In questo film invece è stato scelto il racconto distaccato, citando alcuni problemi reali senza indagarne le cause. Mi pare che manchino un’ipotesi e una tesi, magari di parte ma di cui si possa discutere. Si lanciano solo schegge di provocazione che possono essere recepite, a mio parere, solo da chi già conosce i problemi della città. Dei tratti neorealisti attribuiti al film da alcuni critici, poi, ho notato solo la scelta di attori non professionisti. In questo film è solo vento di terra, senza cambi di direzione. Mario Piatti - Film deludente - forse da Marra, dopo la buona prova di Tornando a casa, ci si aspettava troppo. Come spesso accade nei film a tesi, si sceglie un caso limite e si accumulano tali e tanti eventi negativi da rendere inverosimile una storia che, pure, potrebbe essere esemplare. Al povero protagonista capita di tutto: il padre muore, la famiglia viene sfrattata, la madre tenta il suicidio, la sorella viene insidiata dalla zio sporcaccione. Marra segue le vicissitudini del ragazzo prendendone lo spunto per denunciare quanto può esserci di negativo: dal lavoro precario e avvilente agli inevitabili sbocchi malavitosi, dalla fabbrica disumana all’ufficiale giudiziario disonesto, dai sistemi di non formazione dell’esercito all’utilizzo dei militari in compiti impropri, dal piccolo speculatore edilizio al sistema bancario, per finire con l’uranio impoverito e le sue nefaste conseguenze. Poteva essere la denuncia di un sistema, diventa solo la storia di un poveretto perseguitato dalla sorte. Detto dei contenuti occorre aggiungere che il modo di narrare appare superato e fiacco, lentezza e ripetitività delle situazioni tolgono ritmo a un film già opprimente per la evidentemente voluta inespressività degli interpreti.