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94 mobilità
La rivalsa
dell’elettrone
di Pietro Menga*
L’utilizzo dell’elettricità per la mobilità
è una prospettiva reale e ogni Paese
ha una propria strategia
Il recente scandalo del gruppo Volkswagen, e forse di altre Case, ha almeno il merito di
aver indirizzato una maggiore attenzione sul divario esistente tra le emissioni dichiarate
e quelle effettive delle nostre auto. Un consumo del 20-30% più alto viene ormai accettato
dal consumatore come la normalità, ma è meno noto alla grande platea che le emissioni
inquinanti che erodono la qualità dell’aria e la nostra salute presentano uno scostamento
largamente maggiore. Nelle verifiche dei laboratori olandesi TNO le emissioni reali degli
ossidi di azoto di sedici vetture diesel Euro 6 di costruzione corrente, e del tutto esenti
dalle manipolazioni introdotte sulle auto VW oggi agli onori della cronaca, si sono mediamente rivelate da 4 a 10 volte superiori ai limiti consentiti. E, a conferma di quanto ciò sia
rilevante per la salute umana, recenti studi della Greater London Authority stimano per
la sola città di Londra 5.900 casi annui di mortalità prematura attribuibili a questo inquinante, che si sommano ai 3.500 attribuiti alle polveri sottili che erano finora viste come
il principale imputato. Questo quadro evidenzia due fatti: che le metodologie oggi adottate per verificare il rispetto delle normative su consumi ed emissioni sono inadeguate, e
che rispondere alla sfida della riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2,
contenendo allo stesso tempo le emissioni che influiscono sulla salute, pone all’industria
difficoltà che non possono essere affrontate con i soli motori endotermici; l’imposizione
di norme sempre più stringenti non permette di superare limiti tecnologici oggettivi. Il
solo motore intrinsecamente privo di emissioni resta quello elettrico.
Naturalmente anche per i veicoli a tecnologia elettrica vi è uno scostamento tra i consumi determinati dalla normativa di prova e quelli reali, ma con due differenze sostanziali:
la prima, che le emissioni inquinanti locali che influiscono sulla nostra salute restano
comunque nulle (lo zero dei mezzi elettrici resta zero, e anche per quelli ibridi la cooperazione del motore elettrico contribuisce in questa direzione); la seconda, che col crescente
ricorso alle fonti rinnovabili per la produzione elettrica, la E-Mobility può arrivare alla
lunga e automaticamente a un abbattimento radicale anche delle emissioni di CO2 se non
addirittura all’azzeramento. In sintesi, una potenzialità di”zero emissioni” globali, non
condivisa da nessun’altra tecnologia. Ma anche a tempi più ravvicinati, all’orizzonte del
2020, le analisi a livello dell’Unione Europea stimano che il consumo energetico della
E-Mobility e le conseguenti emissioni di CO2 sarebbero 2,5 volte inferiori a quelli delle
motorizzazioni endotermiche, cifra non lontana dal rappresentare anche la situazione
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italiana con l’attuale mix di fonti (nel 2014
le rinnovabili hanno prodotto in Italia il 38%
dell’energia immessa in rete). In questo quadro il Libro Bianco UE sui Trasporti punta a
dimezzare al 2030 gli automezzi alimentati
da combustibili convenzionali, e l’European
Green Vehicle Initiative stima specificatamente per i veicoli a batteria (includendo gli
ibridi ricaricabili plug-in e range-extended)
una quota di mercato del 10% già per il 2025,
rispetto all’attuale 1,3%. Se seriamente perseguiti, questi obiettivi porterebbero non
solo a una minor esposizione dell’Unione sul
fronte ambientale ed energetico, ma anche
un contributo all’occupazione e alla crescita
del mercato interno.
Poco elettrico. Per ora
FIGURA 1
È innegabile che, anche di fronte al vincolo
UE di dover contenere le emissioni medie
Costo per il Paese delle diverse tecnologie
delle auto a 95 gCO2/km già nel 2020-2021,
l’industria dell’auto abbia fatto la sua parte
per quanto riguarda le motorizzazioni elettriche. Oltre ai molti modelli ibridi vi è oggi
un’offerta commerciale di mezzi elettrici a
batteria e plug-in di tutte le tipologie: autovetture, furgoni, scooter, quadricicli, bus e
minibus, e vengono annunciati per il breve termine i primi modelli con autonomie
di 300 km. Ma perché questa opportunità
si realizzi compiutamente come autentica
diffusione sulle strade, occorrono misure di
supporto in grado di accelerare l’interesse
dei consumatori, ancora molto incerti di
fronte ai prezzi elevati (anche se controbilanciati da costi di esercizio più bassi) e alla
minore autonomia e velocità; di fatto, è la prima volta che l’industria dell’auto si trova a
dover proporre mezzi meno performanti di quelli precedenti, e che vengono quindi percepiti dalla cittadinanza come vantaggiosi per la collettività ma assai meno per sé stessi.
Ne è testimonianza il fatto che in un mercato globale dell’auto che si misura in decine di
milioni di pezzi all’anno, sono state finora vendute solo 290.000 auto elettriche negli USA,
110.000 in Giappone e 170.000 in Europa (Tab. 1). Segno che, nonostante il tasso di crescita
in aumento, vi è ancora molto da fare per stimolare la domanda dell’elettrico fino a quella
massa critica del 10% del mercato preconizzata dalla UE per portare all’autosostentamento
del settore e a effetti percepibili sull’ambiente.
Occorre quindi agire rapidamente, attraverso meccanismi in grado di allacciare offerta
e domanda, connotando il mezzo elettrico di attributi fortemente positivi che possano
stimolare il consumatore. Oggi viene posta molta enfasi sulla necessità di sviluppare
un’estesa rete di ricarica pubblica quale elemento motivante, e fortunatamente almeno
su questo versante sono in vigore in Italia ragionevoli misure di sostegno allineate a una
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TABELLA 1
specifica Direttiva comunitaria che spinge per l’armonizzazione tecnica e per la diffusione di punti di ricarica
in città, nelle stazioni di rifornimento dei carburanti,
sulle autostrade. La rilevanza di questa componente è
AUTO ELETTRICHE SUL
indiscutibile, ma contrariamente a una visione diffusa
PAESE
TIPOLOGIE
MERCATO AUTO ANNUO (%)
che vede la rete di ricarica come fattore di per sé in gra91% batteria
do di generare la scelta verso l’elettrico, i fatti suggeriNorvegia
14%
9% ibride ricaricabili
scono che questa misura, se non associata ad altro, è
46% batteria
altri Paesi europei
2% - 6% 54% ibride
insufficiente a una crescita del mercato nella sua fase di
ricaricabili
decollo iniziale. La rete di ricarica pubblica è un’esigen73% batteria
Italia
0,1%
za operativa e quindi ineludibile, deve essere fatta, ma
27% ibride ricaricabili
non rende l’elettrico più attraente degli altri per l’utilizzatore finale. Ne è prova anche il fatto che l’attuale rete
TABELLA 2
di colonnine di ricarica pubbliche italiane, 3-4 volte più
ridotta di quelle presenti nei Paesi europei più virtuoDensità punti di ricarica auto elettriche
si, ha portato a una diffusione di mezzi elettrici molto
meno che proporzionale (Tab. 2).
Numero punti
Auto elettriche
Densità punti
Le ragioni del successo in quei Paesi (in Norvegia il
ricarica
vendute
ricarica
14% delle vetture oggi vendute è elettrica o plug-in, in
Olanda
8.500
46.000
1 ogni 5,4 auto
Olanda il 6%, in Francia l’1%, mentre il fanalino di coda
Francia
6.000
44.000
1 ogni 7,3 auto
italiano è allo 0,1%) derivano dall’aver semplicemente
Norvegia
5.700
54.000
1 ogni 9,3 auto
connesso offerta e domanda di mercato offrendo al
Germania
4.300
25.500
1 ogni 6,7 auto
consumatore, oltre alla possibilità di ricaricare a casa e
UK
3.800
25.000
1 ogni 6,6 auto
fuori, i normali elementi motivanti a cui questo è conItalia
2.300
3.700
1 ogni 1,6 auto
cretamente sensibile: incentivazioni economiche e fiscali
in grado di riequilibrare almeno in parte il maggior costo in rapporto ai veicoli tradizionali, e incentivazioni
operative che offrano un plus di vantaggi e privilegi nell’utilizzo, magari facendo ricorso
anche a percezioni di status. Un’offerta motivazionale quasi totalmente nelle mani delle
istituzioni, e il risultato di una scelta politica seriamente orientata verso le”zero emissioni”
che vuole premiare l’acquirente finale per i vantaggi che la sua scelta responsabile porta
alla collettività. Si potrebbe fare anche a casa nostra superando il nostro imbarazzante
0,1%, abbiamo buone ragioni per volerlo?
Numero di auto elettriche vendute in Europa
nel 2014
Strategie elettriche
All’origine delle azioni di sostegno attuate negli altri Paesi vi sono dei punti di forza: oltre
a un PIL elevato, la Norvegia ha un’abbondanza di fonti rinnovabili e non ha un’industria
automobilistica da tutelare; la Francia ha un eccesso di elettricità da consumare e vendere
e un’industria che produce auto elettriche; la Germania ha una forte industria dell’auto
che vuole mantenere il primato. Le buone ragioni per l’Italia risiedono invece nelle sue
debolezze: siamo tra i Paesi più esposti sul piano dell’importazione delle fonti energetiche, nel mancato rispetto delle normative europee sulla qualità dell’aria, e negli impegni
di riduzione dei gas serra. Esprimendo in termini monetari l’incidenza di questi fattori
(import energetico, costi sanitari per le emissioni locali, monetizzazione della CO2 – Fig. 1)
per un’auto endotermica e per una elettrica (o meglio per le emissioni della generazione
elettrica, limitandoci alla situazione attuale), scopriamo che la prima pesa sul bilancio del
Paese quattro volte di più della seconda (5,6 c€/km contro 1,4 c€/km) e – sorpresa – che la
voce di maggior peso per noi non è la CO2, da tempo accettata come l’indicatore principe
della bontà di un’auto, ma l’import energetico. Insomma la mobilità elettrica porterebbe
non solo una miglior qualità della vita ma anche a un bel risparmio che potremmo indinovembre/dicembre 2015
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rizzare a opere più meritorie che alimentare le casse dei Paesi da cui acquistiamo energia.
Una diffusione del 10% nel nostro parco potrebbe portare all’Italia risparmi economici di
2-3 MLD di Euro annui, paragonabili a quelli attesi dallo sfruttamento delle risorse petrolifere della Calabria. Volendo inseguire le speranze dell’European Green Car Initiative di
una quota di mercato elettrica del 10% nel 2025, l’Italia dovrebbe introdurre in quel solo
anno 150-200.000 mezzi, e da qui a quella data, seguendo una lenta progressione, dovrebbero circolarne almeno 500.000; oggi abbiamo solo 3.600 auto elettriche: nonostante
l’apprezzabile buona volontà dei progetti oggi in corso in alcune città, come il car sharing
elettrico e altre timide sperimentazioni specialistiche, va ammesso che non è quello il
percorso che di per sé può portare al mercato a 6 cifre prospettato per la prossima decade.
Il tema della E-Mobility dovrebbe essere incluso nell’agenda ambientale ed energetica
con una visione che guardi a un domani vicino, entro un contesto programmatico dotato
di tutti gli strumenti legislativi e finanziari in grado di sollecitare una massa critica di consumatori, considerando assieme all’automobile anche tutti quei segmenti che promettono
la compatibilità applicativa e la sostenibilità economica (TPL, veicoli commerciali, mobilità
leggera). E a questo proposito un’ulteriore ragione di interesse per l’Italia è la presenza di
un tessuto imprenditoriale di eccellenze proprio in quei segmenti, che meriterebbero di
essere valorizzate e consolidate anche per gli evidenti riflessi occupazionali.
Il nostro 0,1% è chiaramente ascrivibile all’assenza di una cabina di regia e di una
programmazione che si sia posta espliciti
TABELLA 3
obiettivi anche quantitativi. Come sempre
le nozze coi fichi secchi vengono male,
Stima degli investimenti devoluti nei Paesi considerati per
l’incentivazione economica ha un ruolo
l’incentivazione economica agli autoveicoli a zero emissioni
sostanziale nell’avvio del processo e il
Incentivazione
Impegno finanziario
reperimento delle risorse resta un punto
Numero totale di
Paese
economica per ogni
complessivo (cifre
autoveicoli
elettrici
di criticità. Gli scarsissimi risultati della
veicolo elettrico (media)
approssimative)
legge 134/2012, che per circa due anni ha
Norvegia
50.000
20.000 €
1 MLD € in 4 anni
erogato contributi all’acquisto per tutte
46.000
8.000 €
370 M € in 2-3 anni
Olanda
le categorie di veicoli “a basse emissioni
44.000
6.300 €
270 M € in 4 anni
Francia
complessive”, derivavano oltre che da
25.000
7.000 €
170 M € in 4 anni
Regno Unito
vincoli burocratici anche dalla sostanziale
2.600
20.000
€
52
MLD € in 2 anni
Danimarca
inadeguatezza dell’incentivazione offerta
5.000
4.200
€
21
M€ in 2 anni
Svezia
ai mezzi elettrici, del tutto insufficiente a
600
10.000
€
6
M€ in 3 anni
Irlanda
renderli minimamente competitivi con le
3.600*
2.500
€**
3
M€ in 2 anni
Italia
tecnologie endotermiche e già consolidate
sul mercato, a loro volta finanziate.
(*) solo in parte (circa 1.250) con incentivazioni
L’impegno economico destinato in (**) quota di contributo dello Stato
Norvegia per l’incentivazione agli elettri- Fonte: CIVES
ci ammonta a oggi a circa 1 MLD di Euro,
in Olanda e Francia attorno ai 300 milioni, in Italia a circa 3 milioni (Tab. 3). Nell’attuale
situazione di vacche magre risulta ancora più impraticabile reperire le risorse necessarie, salvo che si applichi coraggiosamente e concretamente il principio comunitario del
chi inquina paga adottato dai Paesi che credono a questo tema. Un approccio efficace e
fiscalmente “neutro” in vigore in Francia è quello del bonus-malus che, a parità di entrate
fiscali della mobilità stradale, le spalma sui diversi veicoli con una extratassazione (malus)
su quelli a elevate emissioni e un forte credito d’imposta (bonus) per quelli a zero o ridottissime emissioni. Senza di fatto alterare il mercato ma con una reale capacità di rendere
attraente l’elettrico, e assommando alla garanzia di reperimento delle risorse per il tempo
necessario a costituire una massa critica di circolante, anche una valenza informativa che
favorisce una maggior consapevolezza del consumatore sulle ripercussioni delle proprie
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scelte. E forse, con l’attuale basso prezzo del petrolio, non vi è mai stato momento meno
propizio per iniziare a introdurre una qualche forma di carbon-tax, sostenuta ormai dal
Fondo Monetario Internazionale, dalla World Bank e dall’International Energy Agency
che commenta: «Con la carbon tax le politiche energetiche e climatiche si fonderebbero
assieme».
Emissione tassata
In altri Paesi (fra i quali Svizzera, Olanda, Austria, Spagna, Finlandia) l’extrafiscalità è adottata per la tassa annuale di circolazione sulla base delle emissioni climalteranti. Parimenti
efficace sarebbe una sostanziale riduzione dell’IVA (adottata per esempio in Norvegia in
aggiunta al totale abbattimento della tassa di immatricolazione, là elevatissima); tenuto
conto dell’alto prezzo degli elettrici, un’IVA ridotta manterrebbe comunque un ragionevole introito fiscale, e del resto in assenza di incentivi gli elettrici non trovano mercato e
quell’introito mancherebbe ugualmente. L’altro efficace fattore motivante è costituito da
quelle misure regolatorie della mobilità, in particolare cittadina, in grado di connotare
nella visione collettiva l’elettrico - oggi visto come vantaggioso solo per la società - di attributi parimenti vantaggiosi per l’utente finale, così da rovesciare la percezione negativa o
dubbiosa preesistente. Oggi in Norvegia i mezzi elettrici usufruiscono sull’intero territorio
nazionale della sosta gratuita, dell’accesso gratuito alle ZTL, dell’accesso alle corsie dei
mezzi pubblici, dell’azzeramento dei pedaggi su strade, ponti e gallerie; misure che verranno mantenute fino al raggiungimento di una massa critica. Politiche di questa natura
sono sostenute da moltissimi altri Paesi (la legge Merkel, il Piano sulla Qualià dell’Aria di
Segoléne Royal); possono essere misure temporanee a costo sostanzialmente nullo, almeno nella fase iniziale, che da noi rientrano in prevalenza nella sfera delle competenze locali
e che proprio per questa parcellizzazione sono legittimamente suscettibili di formulazioni
differenti e disarmoniche. Oggi soltanto una trentina degli 8.000 Comuni italiani hanno
deliberato interventi in questo senso, a volte con regole contraddittorie e che comunque
per la loro esiguità non sono in grado di incidere sulla percezione della potenziale platea
di consumatori; occorrerebbe viceversa un grosso sforzo di armonizzazione oltre che di
diffusione territoriale, quanto meno nel contesto ANCI e degli accordi tra Regioni.
Un ultimo ingrediente fortemente carente è un atteggiamento proattivo delle istituzioni, che non si limiti a varare progetti dimostrativi o gettare qualche seme attendendo
la risposta spontanea di un mercato incerto e disinformato. Altrove, in Francia e UK per
esempio, vengono condotte indagini attivate dai soggetti istituzionali per identificare il
potenziale di diffusione nei diversi segmenti di mobilità (flotte aziendali, logistica dell’ultimo miglio, TPL, servizi di pubblica utilità) e per identificare la possibilità di ricaricare
nelle abitazioni sostenendola legislativamente ed economicamente. Vi è insomma una
posizione attiva che interagisce con le forze del mercato per accelerare un processo che
diversamente resterebbe troppo lento.
Tutto questo presuppone una volontà, e ancora a monte una visione che finora
non si è manifestata. Nell’ambito del Coordinamento FREE legato al Kyoto Club, è stato
recentemente avanzato un assieme di proposte organiche per contribuire ai contenuti
del Green Act da tempo annunciato dal Governo italiano, e tra queste, su proposta di
CEI-CIVES, l’esigenza di una forte azione di spinta verso la mobilità a zero emissioni. Ci
auguriamo che una volta esauriti gli impegni oggi concentrati sulla nutrita agenda delle
riforme, e anche se la Conferenza sul Clima di Parigi sarà magari già trascorsa, questo
tema possa essere seriamente considerato per allineare anche l’Italia agli altri Paesi
europei. A maggior ragione nel clima di perplessità e incertezze suscitato dalle recenti
vicende dell’industria dell’auto. 
*Presidente CIVES
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