3. - BEACHMED-e

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Projet BEACHMED – Phase A
3.
ASPETTI AMBIENTALI DELLA PIATTAFORMA CONTINENTALE.
CONDIZIONI PER L’IMPIEGO DI CAVE MARINE E PER IL RIPASCIMENTO
3.1
Le caratteristiche ambientali della piattaforma continentale delle Regioni
Partner
3.1.1
La Regione Lazio
3.1.1.1 LE AREE MARINE PROTETTE
Nell’ambito del progetto
“Studio d’impatto ambientale per lo
sfruttamento di depositi sabbiosi
sommersi lungo la piattaforma continentale laziale ai fini di ripascimento” (ICRAM 2002), è apparso di
fondamentale importanza evidenziare gli usi legittimi del mare (aree marine protette, parchi nazionali, oasi
blu, barriere artificiali, terminali offshore, cavi, condotte di scarico, oleodotti, aree di sversamento dei materiali portuali, poligoni militari) con
particolare riferimento alle aree
“sensibili” dal punto di vista naturalistico, al fine di programmare correttamente le attività di
dragaggio e prevedere, eventualmente, misure adeguate per la mitigazione degli effetti (Pellegrini e al., 2002).
L’indagine condotta ha evidenziato la presenza, nel settore meridionale della piattaforma continentale laziale, di aree a significativa Valencia ambientale: area marina protetta “Secche di Tor Paterno” e le oasi blu di Gianola, Monte Orlando e di Scauri. Nell’area sono state segnalate attività con una diretta ricaduta economica sulla popolazione residente quali la pratica
della pesca e dell’acquacoltura. A tutto ciò si aggiunge la presenza sia di strutture quali terminali off-shore (torri, piattaforme e oleodotti), cavi, condotte di scarico e poligoni militari (Istituto
Idrografico della Marina, 1991a; 1991b), sia di zone destinate allo sversamento dei materiali
portuali. In particolare, la presenza e la distribuzione delle aree di scarico dei materiali portuali è
stata ricostruita sulla base dei dati forniti dal Ministero dell’Ambiente. I dati relativi alle altre
voci (terminali off-shore, cavi, condotte di scarico e poligoni militari) sono invece stati ottenuti
dai portolani, consultati presso le locali Capitanerie di Porto e aggiornati a dicembre 2001 (Istituto Idrografico della Marina, 2001a; 2001b), e dalle carte nautiche (Istituto idrografico della
Marina, 1986; 1987; 1988; 1993).
Le informazioni ottenute dalle carte nautiche e dai portolani, nonché quelle reperite direttamente presso uffici pubblici e ministeri (capitanerie di porto, ministero dell’ambiente, ecc.)
e di seguito descritte sono state quindi utilizzate per la realizzazione della Carta dei Vincoli e
degli Usi del Mare che riporta: la fascia compresa entro il limite delle tre miglia, le aree marine
protette, i parchi nazionali, le oasi blu del WWF, i porti principali, cavi e condotte, i terminali
off-shore, le zone di divieto di ancoraggio e pesca, le aree di sversamento dei materiali portuali
e i poligoni militari.
Nell’area in studio sono presenti due aree marine protette (Secche di Tor Paterno e Isola
di Ventotene e Santo Stefano), l’area marina di competenza del Parco Nazionale
dell’Arcipelago Toscano (Isola di Giannutri) e tre oasi blu (WWF).
L’area naturale marina protetta “Secche di Tor Paterno” è stata istituita con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 29 novembre 2000 (G.U. n.16 del 20/01/01). La sua gestione
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è attualmente affidata a “Roma Natura” (Ente Regionale per la Gestione del Sistema delle Aree
Naturali Protette nel Comune di Roma). Data la peculiarità ecologica dell’area, essa comprende
un’unica zona di riserva generale, delimitata dai seguenti punti:
a) 41°37’.30N - 12°20’.50E
b) 41°36’.00N - 12°21’.90E
c) 41°34’.50N - 12°19’.50E
d) 41°35’.80N - 12°18’.00E
L’area naturale marina protetta “Isole di Ventotene e Santo Stefano” è stata istituita con Decreto Ministeriale del 12 dicembre 1997 (G.U. n.47 del 20/02/1998), mentre con decreto ministeriale dell’11 maggio 1999 è stata istituita l’omonima riserva terrestre. La riserva
presenta una triplice zonazione, con un’area di riserva integrale (zona A), un’area di riserva orientata (zona B) e un’area di riserva generale (zona C). Essa è delimitata dai seguenti punti:
a) 40°49’.13N - 13°23’.13E
b) 40°49’.47N - 13°25’.95E
c) 40°48’.33N - 13°27’.87E
d) 40°47’.58N - 13°28’.00E
e) 40°46’.80N - 13°28’.80E
f) 40°46’.27N - 13°25’.33E
g) 40°46’.77N - 13°22’.90E
h) 40°48’.45N - 13°24’.78E
Le tre oasi blu (WWF) presenti nell’area sono, infine, l’oasi di Villa di Tiberio (C.D.
19/05/1995), di M.te Orlando (C.D. 04/02/1993) e di Gianola (C.D. 14/07/1992).
Oasi blu di Villa di Tiberio: situata nei pressi di Sperlonga (LT), costituisce il settore a
mare dell’oasi Villa di Tiberio e si estende dal litorale per circa 11 ettari su fondi sabbiosi e rocciosi.
Oasi blu di Monte Orlando: la zona di mare antistante il parco urbano di Monte Orlando costituisce l’oasi blu di Monte Orlando. Essa si estende a mare per circa 295.000 m2 ed è
delimitata da tre boe di colore giallo, con miraglio ad X, sprovviste della segnalazione luminosa
notturna, nelle seguenti posizioni:
All’interno dell’oasi sono vietate, salvo alcune eccea) 41°12’.12N - 13°24’.12E
zioni,
la
pesca e la navigazione a distanze inferiori ai 100m
b) 41°12’.10N - 13°34’.56E
dalla costa; la sosta alle imbarcazioni è invece consentita nei
c) 41°12’.26N - 13°35’.20E
due corridoi posti rispettivamente all’estremità ovest ed est dell’oasi, per
l’osservazione marina in apnea o subacquea, previo accordo
con l’associazione concessionaria (WWF). L’accesso e la
sosta, nell’intera area, sono consentite esclusivamente alle
imbarcazioni del WWF.
Oasi blu di Monte Gianola: l’oasi si estende
nell’insenatura antistante il parco regionale suburbano di
Gianola e Monti di Scauri; essa raggiunge i 4.5m di profondità massima, la costa è a scogliera con spiaggette a ciottoli e
con fondali sabbiosi.
3.1.1.2 LES PRATERIE DI FANEROGAME
Altro aspetto particolarmente importante per la caratterizzazione ambientale è la distribuzione delle fanerogame marine, in particolare della Posidonia oceanica, lungo la piattaforma
continentale laziale.
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Nel tratto di costa che si
estende dal limite settentrionale
del Lazio fino alla località di Civitavecchia, le informazioni raccolte
descrivono, nel tratto di mare
compreso tra la località di Graticciara ad ovest e la foce del fiume
Fiora ad est, una prateria di Posidonia oceanica estremamente degradata. Fin dal limite superiore,
intorno ai 15m di profondità, la
prateria si presenta, infatti, intervallata da ampie zone di “matte”
morta; questa situazione è presente fino alla profondità di 20m dove fasci sparsi o piccole macchie
si rinvengono insieme a “matte”
morta e ampi catini di sedimento
fine. Oltre i 20m si trova soprattutto “matte” morta, spesso infangata e poco visibile. In tutta questa zona non si può parlare di prateria di Posidonia oceanica bensì di fasci isolati o “semi-prateria” (Ardizzone e Belluscio,
1996).
La prateria di Posidonia sopra citata è interrotta in prossimità della foce del fiume Fiora;
a sud di tale foce (Punta Morelle) il fondale è caratterizzato da substrato duro di natura organogena che si estende fino a circa 25m, intervallato da zone di sabbia. In questa zona, la Posidonia
è presente a macchie intervallata ad ampie zone di “matte” morta.
La Posidonia oceanica, interrotta nei pressi della foce dell’Arrone, riprende più a sud
con caratteristiche simili fino alla foce del Marta. In questa zona, dagli 11-13m di profondità fino ai 18m, sono evidenti sempre più ampie zone di “matte” morta, intervallate a rocce sparse.
Oltre tale profondità si osservano ampie zone sabbiose e “matte” morta, con radi fasci di Posidonia.
Un’altra prateria di Posidonia si rinviene nella zona antistante il litorale di Marina di
Tarquinia, delimitata a ponente dal fiume Marta e a levante dal fiume Mignone; questa si insedia, a partire dai 7m di profondità, sia su sabbia che su “matte”. Oltre i 10-12m il fondale presenta ampie zone rocciose con articolate formazioni organogene e Posidonia. Alla profondità di
18-20m il fondale è caratterizzato prevalentemente da “matte” morta e vari affioramenti rocciosi; sono presenti rade macchie e fasci isolati di Posidonia.
Nel tratto di litorale che si estende tra il fiume Mignone e Civitavecchia, il fondale è di
natura prevalentemente rocciosa con sacche di sabbia. La Posidonia oceanica è sempre presente
con macchie più o meno grandi, sia nei catini di sabbia che sulla roccia (Ardizzone e Belluscio,
1996). In particolare, nella zona delimitata a nord dalla località Bagni di Sant’Agostino e a sud
da Torre Valdaliga, la fanerogama è presente con maggiori densità su sabbia rispetto a quella
insediata su roccia.
In prossimità dell’approdo di Torre Valdaliga, la Posidonia oceanica è insediata su un
substrato roccioso. Il limite superiore è situato attorno ai 2m di profondità e risulta fortemente
influenzato dalla natura rocciosa del substrato; il limite inferiore si presenta anch’esso molto irregolare ed è compreso tra 12 e 14m di profondità (ICRAM, 1995).
Nel tratto di costa a sud di Civitavecchia fino Capo Linaro il fondale si presenta roccioso, con ampi canali di sabbia. Macchie di Posidonia, più o meno grandi, sono evidenti sia nei
catini di sabbia che sulla roccia. La prateria che si estende dal molo di levante del porto di Civi-
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tavecchia a Torre del Marangone si presenta in macchie sia su sabbia che su roccia. Il limite superiore coincide con la linea di costa, mentre quello inferiore raggiunge i 20m. Un’altra prateria,
che si estende tra 10 e 20m nella zona delle secche dinanzi Capo Linaro, è impiantata su roccia
con l’eccezione di piccole macchie su fondi mobili confinanti.
Nella zona tra Santa Marinella e Santa Severa si osserva Posidonia su sabbia, prevalentemente in fasci isolati, “matte” morta e ampi cantini di sabbia.
Nei pressi della località dei Grottini (S. Severa), il fondale è prevalentemente roccioso
con alternanza di ampi canali e catini di sabbia. Fino a 7-8m di profondità sono presenti radi fasci di Posidonia su roccia e chiazze di “matte” morta. Più a largo diviene predominante la “matte” morta, con ampi catini di sabbia. Sono presenti piccole macchie sparse di Posidonia e basse
formazioni rocciose. La fanerogama diventa sempre più rada con l’aumentare della profondità.
Proseguendo verso sud si trovano le secche di Macchia Tonda, formazioni rocciose di
origine organogena che si sviluppano dai primi metri di profondità fino a raggiungere i 20m. Ad
una profondità di 7-8m, sia sulla roccia che nei canali di sabbia, è presente Posidonia rada. Oltre
i 10m si rinvengono, assieme alla roccia, ampi tratti di “matte” morta con radi fasci di Posidonia. La “matte" morta risulta dominante alla profondità di circa 14m ed i fasci di Posidonia diventano sempre più radi con l’aumentare della profondità.
A nord di Ladispoli, macchie di Posidonia si trovano sulle secche di Torre Flavia. Queste formazioni appaiono articolate, con roccia bassa di origine organogena e canali di sabbia.
Macchie di Posidonia, piccole e rade, sono presenti nei catini di sabbia che si intervallano alle
formazioni rocciose.
Nei fondali più meridionali la fanerogama risulta assente.
L’unica area in tutto il Lazio centrale dove è presente Posidonia è in prossimità delle
secche di Tor Paterno. Tali secche, situate davanti la località di Torvaianica, sono costituite da
alcune formazioni rocciose che si estendono fino a quattro miglia dalla costa. Sulle formazioni
rocciose più costiere, ad una profondità di circa 10m, non si rinviene Posidonia, mentre su quelle più esterne, ad una profondità compresa tra 18 e 40m, si trovano alcune zone ricoperte dalla
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fanerogama.
Le indagini condotte dall’Università “La Sapienza” di Roma per conto del Ministero
della Marina Mercantile (1993) sui fondali della secca evidenziano nella parte più superficiale,
fino alla profondità di 30m, la presenza di macchie di Posidonia intervallate a formazioni rocciose più o meno articolate e a chiazze di “matte” morta. E’ una prateria che appare quasi ovunque in regressione.
Uno studio recente (Bataloni, 2000) eseguito sulla secca di Tor Paterno conferma la
presenza di un mosaico di Posidonia oceanica su fondo duro e mobile e su “matte”, di fondi
rocciosi con coralligeno, spesso infangato, e della biocenosi del coralligeno - facies a Paramunicea clavata.
Nel tratto di costa compreso tra Torre Astura ed i laghi pontini è presente una prateria di
Posidonia divisa in due parti da un’ampia radura sabbiosa situata davanti la località di Lido di
Foce Verde. Tra Torre Astura e Capo Portiere, la prateria di Posidonia su “matte” si presenta
piuttosto compatta alla profondità di 15m, meno compatta per la presenza di ampie zone di erosione intorno ai 20m, e a chiazze fino a 32m di profondità. Da Capo Portiere fino al lago di Caprolace fino ai 16-18m di profondità, si trova una prateria di P. oceanica a macchie sparse e con
maggiori densità fino a circa 30m.
La fanerogama è assente tra la foce del lago Caprolace ed il promontorio del Circeo,
dove invece è presente Cymodocea nodosa. Ardizzone e Belluscio (1996), Spada et al. (2001) e
Diviacco et al. (2001) segnalano tra le Grottacce e Torre Astura piccole chiazze di Cymodocea
nodosa, la cui presenza diviene più importante nella radura che separa i due tratti di prateria di
Posidonia e davanti i laghi costieri, ad una profondità compresa tra 10 e 20m. Un altro prato di
Cymodocea nodosa, caratterizzato da un notevole numero di radure sabbiose al suo interno, si
estende dal lago di Caprolace fino al Circeo tra 7 e 14m di profondità. La definizione di “prato”
in questo caso può essere impropria dato che si tratta in realtà di una serie di cespugli di Cymodocea.
Nel tratto di litorale che va dal promontorio del Circeo fino a Terracina si insedia
un’estesa prateria di Posidonia oceanica su sabbia o in fasci isolati e “matte” morta, il cui margine inferiore è situato a circa 22-24m di profondità. La prateria mostra un’area di maggior densità (più di 150 fasci/mq) nelle acque prospicienti il promontorio del Circeo, la foce del fiume
Sisto e tra Terracina e Torre Canneto. Queste tre aree sono circondate da zone di Posidonia che
presentano modesti valori di densità, equivalenti ad una condizione di “semi-prateria”. La mag-
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gior parte dell’area è occupata da una prateria molto rarefatta e con ampie zone di “matte” morta. Tra Terracina e la foce del lago Lungo è presente una prateria, prevalentemente su “matte”,
caratterizzata da una zona centrale piuttosto estesa. Due propaggini più degradate si estendono
sia verso ponente che levante, riducendosi in prossimità del lago Lungo (densità inferiori ai 50
fasci mq). In questa zona si osservano ampie zone di “matte” morta ed è netta la regressione
verso terra del margine inferiore che si trova tra i 20 e 10m. Più a sud di lago Lungo la Posidonia oceanica risulta assente. Nel golfo di Gaeta non è presente Posidonia oceanica (Zurlini e Bedulli, 1983).
Per quanto riguarda la fanerogama marina Cymodocea nodosa, Ardizzone e Belluscio
(1996) e Diviacco et al. (2001) segnalano, tra Rio Torto e Torre Olevola, un prato insediato su
una conca sabbiosa che in passato doveva ospitare un tratto di prateria di Posidonia. Tale zona,
dai margini irregolari, possiede un limite superiore frammentato su sabbia, con chiazze sparse.
In prossimità della località di Scauri si trova una ridotta area a Cymodocea situata lungo
la batimetria dei 10m, costituita da radure sabbiose e con limiti irregolari. Numerose altre chiazze di questa fanerogama si rinvengono fino al fiume Garigliano; in particolare quella situata tra
Torre Giano e Torre del Fico, più grande delle altre, che inizia ad una profondità di 12 m e che
un tempo doveva far parte dell’adiacente area di prateria.
L’isola di Ponza presenta una prateria di Posidonia che la circonda completamente,
tranne la zona antistante Cala Chiaia di Luna. I fondali dell’isola nei versanti orientale, occidentale e nord occidentale, si presentano piuttosto ripidi, con profondità elevate a breve distanza
dalla costa: questo giustifica l’estensione limitata delle praterie. Lungo il margine inferiore delle
praterie, situato a circa 38-40m di profondità, si rinviene una fascia di “matte” morta. Ampie aree di “matte” morta si osservano nei pressi della località “il Frontone”. La Posidonia si insedia
su roccia intorno agli scogli delle Formiche, intorno a Punta della Madonna, Punta bianca e anche lungo il versante nord occidentale dell’isola. Nelle altre aree la fanerogama è presente su
sabbia o “matte”.
Anche l’isola di Palmarola presenta una prateria che la circonda quasi totalmente. Le
praterie più estese si rinvengono lungo il versante meridionale fino alla profondità di 32m. Altre
zone ampie con Posidonia si osservano nei pressi di Monte tramontana e Punta Grottelle. Praterie su roccia si sviluppano lungo il versante sud occidentale (secca di Mezzogiorno) e nord occidentale dell’isola (Punta Tramontana). Inoltre, sono presenti piccole praterie sia su sabbia o
“matte” che su roccia lungo i fondali del versante orientale.
L’Isola di Zannone è quasi completamente circondata da una fascia di Posidonia; il suo
limite inferiore è collocato intorno ai 37-38 m di profondità e “matte “morta si rinviene fino a
circa 40m.
Entrambe le isole di Ventotene e S. Stefano hanno praterie di Posidonia di estensione
ridotta, a causa dei fondali estremamente ripidi. A Ventotene, Posidonia è presente lungo tutto il
versante sud occidentale insediata su roccia fino a circa 16m di profondità e su sabbia o “matte”fino a 36-37m. I fondali del versante settentrionale dell’isola mostrano un’ampia zona con
Posidonia sia su sabbia o “matte” che su roccia. Posidonia prevalentemente su roccia si osserva
lungo il versante meridionale. L’isola di S. Stefano presenta praterie su roccia di ridotte estensioni. I margini inferiori delle praterie descritte in ambedue le isole possono raggiungere i 4041m di profondità.
3.1.1.3 LA POPOLAZIONE ITTICA
Le principali informazioni sul popolamento ittico demersale della piattaforma continentale laziale, tra 0 e 150 m di profondità, provengono essenzialmente dai dati raccolti durante
campagne sperimentali di pesca a strascico, realizzate dal Dipartimento di Biologia Animale e
dell’Uomo dell’Università di Roma “La Sapienza”. Tali campagne sono state svolte nell’ambito
di due progetti di ricerca, uno nazionale e l’altro internazionale, denominati rispettivamente
Gru.N.D. (Gruppo Nazionale Demersali) e MedITSIT (Mediterranean International Trawl Sur-
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vey). Il primo, avviato nel 1985 prevede campagne di pesca sperimentali nella stagione autunnale, il secondo iniziato nel 1994 si svolge nella stagione primaverile.
Sono state censite in tutto 13 specie di pesci cartilaginei, 89 di pesci ossei, 18 cefalopodi
e 18 crostacei, per un totale di 138 specie. Dai dati a disposizione sul popolamento demersale
della piattaforma laziale, il nasello (Merluccius merluccius) risulta la specie commerciale più
abbondante a partire dai 50m di profondità, mentre la triglia di fango (Mullus barbatus) e il polpo (Octopus vulgaris) mostrano rendimenti maggiori tra i 10 e i 50m. La cattura del nasello, ed
ancor più della triglia di fango, è concentrata sui giovanili ed è fortemente condizionata
dall’intensità del reclutamento16. Tra le altre specie maggiormente catturate vi è il fragolino
(Pagellus erythtrinus) (rendimento massimo 2.8 kg/h), il potassolo (Micromesistius potassou), la
musdea (Phycis blennoides), il moscardino bianco (Eledone cirrhosa) e il gambero rosa (Parapenaeus longirostris) (Ardizzone et al., 1998c).
Il popolamento presente nella fascia più prossima alla costa è caratterizzato da concentrazioni elevate di giovanili di pesci tipici della piattaforma, in particolare la triglia di fango (M.
barbatus) e il pagello (Pagellus acarne). La triglia di fango è la specie maggiormente caratterizzante la porzione interna della piattaforma e costituisce circa il 60% dell’abbondanza totale. Altre specie caratteristiche di questo popolamento sono il fragolino Pagellus erythrinus, il sugherello bianco Trachurus mediterraneus, il nasello M. merluccius, la gallinella Trigla lucerna, la
menola Spicara flexuosa, lo sparaglione Diplodus annularis e il calamaro Loligo vulgaris. Si
tratta di specie che vivono su fondali sabbiosi misti a fango e detrito caratterizzati dalla presenza
delle biocenosi delle Sabbie Fini Ben Calibrate (SFBC), dei fondi misti sabbioso-fangosi (SFBC
e Fanghi Terrigeni Costieri - VTC) e del detritico costiero (DC) (Pérès e Picard, 1964).
Il secondo gruppo, localizzato nel tratto di mare che va dai 50 ai 120m di profondità, è
costituito da specie che prediligono fondi fangosi caratterizzati dalle biocenosi del VTC e del
Detritico Infangato (DE); la specie più abbondante è il nasello insieme alla menola e al gambero
rosa (Parapenaeus longirostris). Anche il cavillone Lepidotrigla cavillone e la seppia elegante
Sepia elegans sono costituenti importanti di questo gruppo. Altre specie che contribuiscono in
modo significativo in termini di abbondanza sono la suacia Arnoglossus laterna e il serrano bruno Serranus hepatus.
Il terzo gruppo, infine, è costituito da specie che raggiungono concentrazioni significative sul margine della piattaforma, caratterizzato da sedimenti detritici infangati, colonizzati dal
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crinoide Leptometra phalangium (biocenosi del Detritico del Largo - facies a Leptometra phalangium), il cosiddetto “feniccio”. Questa specie è distribuita tra 120 e 180m di profondità, dove
raggiunge elevati valori in termini di biomassa e abbondanza numerica. E’ stato osservato che in
corrispondenza della facies a Leptometra phalangium vivono ben 82 specie demersali. Le specie
tipiche di questo raggruppamento sono il nasello M. merluccius, il merluzzetto Trisopterus minutus capelanus, il pesce trombetta Macroramphosus scolopax e l’argentina Argenthina sphyraena tra i pesci, Illex coindetii e P. longirostris rispettivamente tra i cefalopodi e i crostacei.
In generale i valori più bassi di biodiversità sono stati osservati, sulla piattaforma, nel
popolamento più costiero: ciò è dovuto alla presenza di ampie aree di nursery di M. barbatus e
P. acarne, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. La diversità biologica tende ad aumentare con l’incremento della profondità: infatti, nella porzione più profonda della piattaforma è presente un raggruppamento maggiormente diversificato e composto sia da specie tipiche della
piattaforma sia da specie euribate (ad esempio P. longirostris, Macropipus depurator, L. cavillone, etc.).
Diversi studi, tra Capo Circeo e Terracina (Ardizzone, 1982; Ardizzone e Pelusi, 1983;
ECOMAR, 1981), sono stati condotti sulla pesca a strascico entro le tre miglia dalla costa, zona
in cui è vietata (legge 963 del 14.7.65, art. 111), per caratterizzare il popolamento demersale
presente e valutare i danni ad esso arrecati da questa attività illegale.
La pesca a strascico entro le tre miglia risulta particolarmente dannosa poiché viene
condotta a livelli di sovrasfruttamento degli stocks costieri, colpisce gli stadi giovanili di molte
specie (Ardizzone, 1982), e altera, spesso irreversibilmente, biocenosi bentoniche, quali la prateria di Posidonia, di notevolissima importanza nell’equilibrio biologico della fascia costiera
(Ardizzone e Migliuolo, 1982). L’area considerata, ad 1 miglio dalla costa, tra 8m e 12m di profondità, risulta caratterizzata dalla presenza di specie variabili stagionalmente in funzione di migrazioni genetiche; la triglia di fango è presente allo stadio giovanile (spesso per il 100%) nel
periodo estivo-autunnale; cefalopodi quali il calamaro (L. vulgaris), la seppia (S. officinalis) e il
polpo (O. vulgaris) sono presenti principalmente dalla fine dell’inverno alla tarda primavera; il
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rombo Bothus podas è invece presente tutto l’anno. A due miglia dalla costa, all’interno della
prateria di Posidonia oceanica tra 12 e 25m di profondità, la composizione delle catture è usualmente monotona e dominata dal polpo (fino a 12.5 Kg/ora). L’interesse dei pescatori in
quest’area è comunque legato alla possibilità di cattura di specie pregiate quali la marmora,
l’orata, il pagro, diverse specie di saraghi (Diplodus sargus, D. vulgaris, D. puntazzo), l’aragosta
(Palinurus elephas) e altre specie un tempo assai abbondanti ed ormai occasionali a causa
dell’intenso sfruttamento e delle modificazioni delle biocenosi di fondo. A tre miglia, su un
fondale di 50 m, le catture risultano più eterogenee: le specie regolarmente presenti sono la triglia di fango, la razza (Raja asterias), il fragolino (P. erythrynus), il moscardino rosso e il moscardino bianco (Eledone moscata e E. cirrhosa), il calamaro (L. vulgaris) e il nasello (M. merluccius). La frazione giovanile è considerevole per gran parte delle specie.
3.1.2
La Regione Toscana
3.1.2.1 LE AREE MARINE PROTETTE
Sulla piattaforma continentale Toscana insistono tre aree marine di particolare singolarità e sensibilità ambientale, motivo per cui di cui sono aree marine protette di prossima istituzione (isole dell’Arcipelago Toscano, Secche della Meloria, Monti dell'Uccellina-Foce dell'Ombrone-Formiche di Grosseto-Talamone).
Aree naturali protette in Toscana (anno 2000)
(Fonte: Sistema Informativo Territoriale Regione Toscana)
L'Arcipelago Toscano è già parco nazionale, istituito con L. 305, 28.08.89-DD.MM.
21.07.89/29.08.90, comprendente una parte a terra di 16856 ha (tutte e sette le isole dell'Arcipelago Toscano: Elba, Giglio, Capraia, Montecristo, Pianosa, Giannutri, Gorgona) ed una parte a
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mare di 56766 ha, costituita dalle aree marine attorno alle isole minori. In Italia, dopo l'istituzione di alcune riserve, l'Arcipelago toscano è il più grande Parco Marino d'Europa. Il Parco è
caratterizzato da una grande varietà di habitat popolati da svariate forme di vita ed è proprio la
varietà delle coste e dei fondali a garantire questa elevata diversità biologica. Pianosa registra la
prateria di Posidonia più importante del Tirreno settentrionale, con un'ampia fascia che circonda
l’isola colonizzata da densi fasci di foglie. Gorgona, Capraia, Montecristo, Giglio e Giannutri
vedono invece la prateria ridotta ad una zona costiera, vista la pendenza di fondali rocciosi che
sprofondano velocemente nel blu e la scarsa quantità di baie con basso fondale. Anche all’Elba
è possibile osservare normalmente questa pianta e le praterie sono più o meno in buono stato in
dipendenza di localizzazioni specifiche e quindi di ambienti più o meno favorevoli.
Fra le aree marine protette prossime ad istituzione quella più a Nord è situata intorno alle Secche della Meloria, area di bassi fondali situata circa 6 km ad ovest del porto di Livorno.
Le secche si estendono per circa 40 km ben oltre le delimitazioni rappresentate da tre fanali luminosi esistenti. La Meloria, oltre ad essere una località ove i subacquei livornesi hanno da
sempre effettuato immersioni, è un luogo storico che conserva importanti testimonianze del passato. Quest'area, infatti, ha visto svolgersi la battaglia del 1284 tra genovesi e pisani ed altri eventi di mare che hanno segnato la storia della navigazione di questo settore del Mar Tirreno.
L'estremità nord delle Secche della Meloria è rappresentata dalla Testa di Tramontana, fondale
interessante per i subacquei che vi trovano un ambiente di Coralligeno, ricco di anfratti, che si
leva dai 24 metri del fondale di fango e sabbia, fino ad un sommo di circa 9 metri. A ponente, il
ciglio esterno determina una lunga formazione coralligena che abbraccia le Secche e si presenta
come un ambiente suggestivo, ricco di vita e carico di colori. Tutta l'area è caratterizzata dalla
presenza della Posidonia oceanica, il cui sviluppo è favorito dalla scarsa profondità dei fondali e
dal ricco sedimento. Nel lato sud-ovest vi sono ampi banchi di Coralligeno dominati dalla gorgonia bianca e dalla Posidonia. In tutta l'area, inoltre, è attivo un processo di espansione delle
alghe Caulerpa racemosa e Caulerpa prolifera che risultano aver ampliato la loro distribuzione,
colonizzando aree più profonde, che raggiungono anche i 40 metri.
Il comprensorio dell’area marina protetta dei Monti dell'uccellina e Formiche di
Grosseto interessa una linea di costa di circa 15 km, che comprende i Monti dell'Uccellina, la
Palude della Trappola con la foce dell'Ombrone ed il Promontorio di Talamone. Il territorio che
si affaccia sul Golfo di Talamone è costituito dalla verde e ben coltivata pianura della bonifica,
che si estende fino all'abitato di Fonteblanda. La regione costiera tra Talamone e la foce dell'Ombrone presenta un andamento piuttosto pianeggiante e questo fattore si riflette sulla struttura dei fondali marini che degradano dolcemente fino alla batimetrica dei 50 metri. Il tratto del
litorale può essere sommariamente diviso in due zone. Quella a nord, tra Cala di Forno e l'Ombrone, è di natura sabbiosa ed è caratterizzata dalla batimetrica dei 10 metri che dista 1-2 km
dalla linea di riva. La porzione a sud è, invece, caratterizzata da una morfologia rocciosa, tanto che la batimetrica dei 10 metri si trova a pochi metri dalla costa. Le Formiche di Grosseto si trovano a circa una
ventina di chilometri dalla terra ferma; sono piccoli
isolotti che si ergono bruscamente da un fondale di
circa 100 metri.
La piattaforma continentale toscana comprende inoltre una buona parte del Santuario per i
mammiferi marini, che è un'area marina protetta internazionale creata ai sensi di un Accordo internazionale tra Francia, Italia e Principato di Monaco per tutelare un vasto tratto di mare costituito da zone marittime situate nelle acque interne e nei mari territoriali della Repubblica francese, della Repubblica italiana e del Principato di Monaco, nonché dalle zone di alto mare adiacenti. Per la sua vasta
estensione (87.000 Kmq), per la vincolistica e per l'iter istitutivo, risulta atipica rispetto alle altre
aree marine protette italiane.
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3.1.2.2 LE PRATERIE DI FANEROGAME
Per quanto riguarda la caratterizzazione ambientale della piattaforma continentale toscana, si può far riferimento alla Carta Bionomica dei Mari Toscani del 1995 (ENEA, 1995). La
carta, compilata sulla base di informazioni ottenute tra il 1985 e il 1993, copre un vasto tratto
dell’Alto Tirreno e del Mar Ligure orientale di notevole interesse ambientale, segnalando in totale 26 unità di popolamento. A causa della scala scelta (1:250.000) queste ultime corrispondono solo in parte alle biocenosi–tipo della tradizione bionomica mediterranea di Pérès e Picard
(1964), in altri casi corrispondono a facies o altri raggruppamenti di più biocenosi-tipo analoghe.
In considerazione poi dell’estrema ricchezza floro-faunistica della zona, la carta riporta
un numero ridotto (51) di specie cospicue, dove per specie cospicue si intendono specie dominanti in termini di abbondanza e/o biomassa, oppure specie vistose e di grossa taglia, o comunque specie la cui abbondanza apparisse per qualche motivo significativa dal punto di vista bionomico.
La tendenza dinamica dei popolamenti (legata a situazioni di instabilità dovuta a cause
morfologiche, idrodinamiche, sedimentologiche, ecc..) è presunta sulla base della presenza di
facies caratteristiche, dell’abbondanza di specie particolari, della struttura quantitativa dei popolamenti, della loro fisionomia generale.
In merito alla presenza di Posidonia oceanica, nei mari toscani sono state identificate e mappate
16 praterie principali della fanerogama marina (Cinelli F., Università di Pisa):
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-
5 sono localizzate lungo la costa continentale (Livorno, Baratti, Golfo di Follonica, Talamone, Ansedonia),
- 2 sulle secche di Meloria e Vada,
- 9 attorno alle isole dell'Arcipelago Toscano (Gorgona, Capraia, Elba, Pianosa, Montecristo,
Scoglio d'Africa, Giglio, Giannutri, Formiche di Grosseto).
Zone più ristrette colonizzate dalla
pianta sono presenti lungo le coste del Promontorio dell'Argentario. Le praterie più estese sono quelle situate sulle secche di Meloria.
La prateria, estesa dai primi metri di profondità fino alla batimetrica dei 30 metri, è sottoposta a diverse fonti di disturbo, sia di origine
antropica (vicinanza del porto di Livorno, impatto delle reti a strascico, ancoraggi), che naturale (erosione per azione delle correnti di
fondo), che ne alterano la fisionomia in modo
più o meno consistente nelle diverse zone. Importanti praterie sono inoltre a Vada e a Scoglio d'Africa, nel Golfo di Follonica e attorno
a Pianosa. Le condizioni ecologiche delle praterie sono da considerarsi mediamente buone, in particolare nelle aree insulari. Le praterie maggiormente disturbate da cause antropiche sono quelle situate davanti all'area urbana di Livorno,
tra Castiglioncello e Cecina e nel Golfo di Follonica. In queste ultime due aree sono stati riscontrati evidenti segni di regressione soprattutto in prossimità del limite superiore. Sulle Secche di
Meloria e Vada si hanno situazioni disturbate, anche gravemente, nelle porzioni più vicine a terra, mentre le praterie sono da considerare in buono stato di salute per la maggior parte della loro
estensione.
3.1.2.3 LA POPOLAZIONE ITTICA
La definizione delle condizioni ottimali di
sfruttamento delle risorse ittiche si può ricondurre a
specifici modelli matematici che analizzano le rese di
pesca (in determinati anni, o aree) ottenute a diversi
livelli di sfruttamento della popolazione. Una variante del classico modello di Sliaefer applicato al bacino
ligure tirrenico fornisce i risultati per due delle specie
più rappresentative, la triglia (nella zona costiera) e il
nasello (più al largo).
Per il nasello, l'intensità di pesca nella Toscana meridionale è prossima al massimo sostenibile,
mentre nella Toscana settentrionale la situazione appare di sottosfruttamento. Il contrario accade nel caso
della triglia che risulta fortemente sovrasfruttata nella
Toscana settentrionale. Tali risultati sono anche coerenti con la consistenza e la struttura del naviglio da
pesca che vede nella marineria di Viareggio una dominanza delle imbarcazioni di piccole dimensioni
che non potendo allontanarsi molto dalla costa inducono un sovrasfruttamento delle specie costiere (es.
triglia) ed un sottosfruttamento di quelle del largo
(es. nasello).
Per formulare modelli descrittivi o predittivi dell'evoluzione delle popolazioni ittiche è
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necessario parametrizzare nel dettaglio le loro caratteristiche eco-biologiche in quanto queste
possono essere molto dissimili non solo nell'ambito dei diversi gruppi sistematici (teleostei, elasmobranchi, molluschi, crostacei) ma soprattutto in conseguenza dei livelli della rete trofica,
delle strategie ecologiche, dei livelli di specializzazione o di resilienza ecc. Almeno per le specie principali è quindi necessario raccogliere sufficienti dati statistici per poter stimare una vasta
serie di indicatori necessari a definire la specie sul piano popolazionistico. I più comuni di questi sono la definizione della distribuzione di taglia e d'età, le correlazioni morfometriche, la stima dei parametri relativi al modello di crescita, l'analisi del fenomeno riproduttivo e della fecondità, la valutazione degli indici di mortalità sia naturale sia dovuta alla pesca, la posizione
trofica nell'ecosistema, la densità e biomassa degli stock, la loro distribuzione spaziale (ad es.
l'areale dei tre più importanti crostacei commerciali, lo scampo, il gambero rosa e la pannocchia,
è riportato in figura). Per numerose specie, soprattutto demersali, questi indici sono analizzati da
decenni e vengono trasmessi regolarmente agli Organismi Ministeriali, a quelli dell'UE e a quelli della FAO che, su differenti livelli di scala geografica, sono incaricati di formulare su basi
scientifiche le indicazioni gestionali.
La zonazione delle aree di pesca risponde a due tipi di esigenze: da una parte è necessaria per evitare la conflittualità tra i diversi tipi di mestiere (ad esempio la pesca o strascico è ostacolata dalla presenza di tremagli o palangari in mare, che possono a loro volta essere danneggiati da questa), ed inoltre le specie presenti lungo la costa o quelle del largo hanno tempi biologici ed esigenze gestionali anche molto differenti. L'area di mare più vicina alla costa è zona di
nursery, ovvero zona di concentrazione degli avannotti di numerose specie pregiate quali paraghi, triglie, sogliole, e quindi già nel 1965, con la Legge n° 963, è stata interdetta alla pesca a
strascico che potrebbe causare l'eliminazione di gran parte degli individui appena nati. Nel
2000, tra Livorno e Piombino, sono state inoltre posizionate 80 strutture sommerse di dissuasione, che oltre alla funzione di ostacolo alla pesca illegale possono avere un effetto positivo sull'ambiente favorendo l'incremento della complessità trofica. Anche nelle zone del largo si hanno
però importanti zone di nursery per altre specie: in figura sono illustrate quelle del nasello e del
gattuccio nella Toscana settentrionale, localizzate sulla batimetrica dei 200 m intorno e a nord
dell'Isola di Gorgona.
3.1.3
La Regione Liguria
3.1.3.1 LE AREE MARINE PROTETTE
Il sistema di aree protette della Regione Liguria individua diverse emergenze di elevato
valore ambientale sulla piattaforma continentale, che consistono in due aree marine di reperimento (Isola di Gallinara e Isola Bergeggi) e due aree marine protette antistanti Portofino e le
Cinque Terre. Sono altre quattro le nuove aree marine protette liguri la cui istituzione è già prevista per legge. Oltre a Bergeggi e Gallinara, di interesse nazionale, due nuove aree marine protette di interesse regionale sorgeranno a Portovenere e a Capo Mortola, ampliando l'estensione
delle preesistenti aree terrestri.
Ovviamente la costa è interessata anche dall’area marina protetta internazionale del
Santuario dei Mammiferi Marini o dei Cetacei. In ambito marino non si ritrovano invece siti di
importanza comunitaria (SIC) o zone di protezione speciale (ZPS).
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Mappa delle aree protette della Liguria. In rosso sono indicate le aree marine (fonte: www.parks.it)
Gallinara e Bergeggi quindi fanno parte dell'articolato sistema di parchi e aree protette
regionali e sono state dichiarate riserve naturali.
La Riserva Naturale Regionale dell'Isola Gallinara si estende su di una superficie di
11 ha. Per il notevole pregio biologico e archeologico dei fondali, ancora in parte integri, è prevista l'istituzione di una riserva marina.
Sul lato nord-occidentale dell'isola, dove si trova il piccolo porticciolo, il fondale a partire da 8 m di profondità è prevalentemente costituito da una vasta piana sabbiosa, parzialmente
coperta da un mosaico di matte morta e di aiuole di Posidonia oceanica, che collega l'isola alla
terraferma. Attorno ai 13-15 m di profondità si trovano larghe chiazze di Posidonia oceanica in
discrete condizioni vegetative, anche se la densità dei fasci non raggiunge valori elevati e qua e
là si osservano segni lasciati da ancore. Tra i 15 e i 17 m il fondale è costituito da matte morta,
sulla quale si sviluppano popolamenti algali fotofili (Padina pavonica, Acetabularia acetabulum,
Dictyopteris membranacea, Dasycladus vermicularis). Sul lato nordorientale, tra 10 e 17 m il
fondo è costituito da resti di matte morta di Posidonia oceanica abbondantemente ricoperti di
sedimento, colonizzati da un popolamento algale (Acetabularia acetabulum, Dictyopteris membranacea, Cystoseira spinosa, Penicillus capitatus). Nella parte più settentrionale di questo lato
si sviluppa, attorno a 12 m di profondità, un minuscolo prato di Cymodocea nodosa.
Sul lato sudorientale, infine, una matte di Posidonia oceanica, solo parzialmente vitale,
occupa una fascia abbastanza ristretta della parte orientale della baia compresa tra il corpo centrale dell'isola e P. Falconara.
I fondali marini prospicienti l'area protetta regionale della falesia di Punta delle Grotte e
dell'Isola di Bergeggi presentano un notevole interesse, sia dal punto di vista geologico, sia da
quello biologico.
L'isola di Bergeggi, situata a circa 250 metri dalla costa, ha una forma subtriangolare. Il canale che la separa dalla terraferma è poco profondo, circa 70-72 metri e il suo fondale è generalmente sabbioso, con numerosi affioramenti rocciosi. Le profondità maggiori si raggiungono in corrispondenza della costa orientale, con paretine e salti rocciosi.
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Anche se le dimensioni più ridotte dell'isola e le profondità leggermente minori sono responsabili di una minore varietà ed eterogeneità dei fondali, rispetto a quelli della Gallinara, le
due isole presentano nel complesso fisionomie simili, a cui corrispondono popolamenti in buona
parte analoghi.
Attorno all’Isola, i gradienti batimetrici e le diverse esposizioni del substrato, uniti alla
natura geologica di quest’ultimo, favoriscono l’instaurarsi di numerose associazioni biologiche,
notevolmente differenti ma a breve distanza tra loro.
La ricchezza di grotte ed anfratti favorisce lo sviluppo di associazioni algali sciafile e di
numerose biocenosi di fondo duro e mobile, tra cui spiccano il Coralligeno, le Grotte Semioscure, le Grotte Oscure e la Prateria di Posidonia oceanica.
Per quanto riguarda la fauna marina, le zone più interessanti attorno all’Isola sembrano
essere le punte aperte verso il largo, dove i substrati rocciosi raggiungono profondità maggiori.
Comunque anche nelle zone rivolte verso terra, dove generalmente la falesia termina a pochi
metri di profondità, si possono trovare particolari enclaves, come piccole cavità o pareti rocciose riparate ed in ombra, nelle quali si sviluppano popolamenti ad elevata ricchezza specifica animale.
Vale infine la pena di segnalare la presenza di una specie di origine tropicale, Oculina
patagonica (Antozoi Sclerattiniari), segnalata in Italia solamente a Bergeggi ed Albisola. La vicinanza di questi due siti con il porto di Savona può spiegare tale presenza con il trasporto operato da qualche nave.
L’Isola di Bergeggi, già sottoposta, per la parte emersa, insieme alla falesia antistante, a
vincolo di Riserva Naturale Regionale è stata individuata (insieme all’Isola di Gallinara) tra le
aree di reperimento per l'istituzione di parchi e riserve marine art. n.36 Legge n.394/1991.
I fondali Noli, sempre compresi nel territorio
di Bergheggi, sono anche Sito di Importanza Comunitaria (SIC): il sito, distinto in quattro subsiti, è caratterizzato da praterie di Posidonia oceanica e da tratti
rocciosi con formazioni a Coralligeno. Il subito più
meridionale, antistante Noli, comprende una prateria di
P. oceanica di circa 40 ha, che nella sua parte settentrionale, al confine con Spotorno, si allarga e si avvicina a riva. Gli altri tre subsiti comprendono una prateria di posidonia che si estende tra Spotorno e Bergeggi,
con una superficie di 80 ha. I fondali marini prospicienti la falesia calcarea di Bergeggi e l’isola
omonima presentano un notevole interesse naturalistico. La Grotta Marina di Bergeggi costituisce un ambiente notevolmente diversificato e ricco di popolamenti biologici e di specie.
L'Area Marina Protetta di Portofino è stata istituita dal Ministero dell'Ambiente ai
sensi del decreto 6 giugno 1998, successivamente sostituito integralmente con il decreto del 26
aprile 1999. Il tratto di mare che circonda il Promontorio di Portofino è un'area di grande interesse per la conservazione della biodiversità del Mediterraneo. La sua morfologia accidentata e
il rapido susseguirsi di diversi livelli di profondità, l'eterogeneità della natura del fondo, in cui si
alternano ripide pareti rocciose e tratti sabbiosi, piccole grotte e massi di varie dimensioni, le
diverse condizioni di illuminazione ed esposizione alle correnti determinano una grande ricchezza di microambienti in cui vivono numerosissime specie animali e vegetali di interesse
scientifico ed economico.
Per la presenza di una falesia molto accentuata, la prateria di Posidonia oceanica può svilupparsi
quasi esclusivamente all'interno delle baie e lungo i
lati del Promontorio (da Porto Pidocchio verso Camogli e tra Punta Cervara e Punta Pedale verso Santa
Margherita) dove il pendio dei fondali è più dolce e,
comunque, non raggiunge mai estensioni rilevanti.
Quella presente su lato orientale è stata anche seria-
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mente compromessa dall'attività di discarica di materiale terroso nella zona del Covo di NordEst, e benché la discarica sia inattiva da tempo, i guasti arrecati non sembrano recuperabili in
tempi brevi.
Rade praterie di Cymodocea nodosa sono presenti intorno ai 10-15 m di profondità nel
tratto di mare verso Santa Margherita Ligure. Le biocenosi tipiche del versante meridionale del
Promontorio sono il precoralligeno in cui è spesso presente la gorgonia Eunicella singularis e
dominato da zoantari (Parazoanthus axinellae), madreporari solitari (Leptopsammia pruvoti, Balanophyllia italica) e coloniali (Cladocora caespitosa) ed il coralligeno con le diverse facies caratterizzate, a seconda delle condizioni locali, da diverse specie di gorgonacei (Paramuricea clavata, Eunicella cavolinii e Corallium rubrum).
Lungo il versante meridionale del Promontorio di Portofino, in migliaia di anni, l'attività
degli organismi biocostruttori ha formato, lungo le falesie tra i 20 e i 50 m di profondità, concrezioni di notevole spessore che costituiscono uno dei paesaggi sottomarini più spettacolari del
Mediterraneo. Insieme alle alghe rosse sciafile (Mesophyllum lichenoides e Lithophyllum expansum, Peyssonelia squamaria) che costituiscono lo strato basale di questi fondali, si sviluppa
una ricca comunità animale dominata ancora da organismi che producono concrezioni calcaree,
quali i briozoi (Sertella septentrionalis, Pentapora fascialis, Smittina cervicornis, Rhynchozoon
pseudodigitatum, Myriapora truncata) ed i madreporari (Leptopsammia pruvoti, Madracis pharensis, Hoplangia durotrix). Il coralligeno di Portofino è anche caratterizzato da un ricco popolamento di spugne (Phorbas tenacior, Oscarella lobularis, Petrosia ficiformis, Chondrosia reniformis, Agelas oroides, Acanthella acuta, Axinella verrucosa, Axinella damicornis, Aplysina
cavernicola, Dictyonella incisa, Dysidea fragilis), cnidari (Parazoanthus axinellae, Gerardia savaglia, Cerianthus membranaceus) e ascidie (Halocynthia papillosa).
Lo strato elevato è costituito da grandi spugne
(Spongia agaricina, S. officinalis, Cacospongia scalaris, Ircinia foetida) alcune anche d'interesse economico, dal corallo rosso (facies a Corallium rubrum) e dalle gorgonie (Eunicella cavolinii, Paramuricea clavata).
La facies a Paramuricea clavata rappresenta uno degli
ambienti più spettacolari del Promontorio e, probabilmente, di tutto il Mediterraneo occidentale. Lungo il
versante meridionale questa gorgonia raggiunge, tra i
30 ed i 50 m di profondità dimensioni notevoli (anche
oltre un metro d'altezza) e densità di popolazione di oltre 20 colonie/m2.
Il corallo rosso è presente in Liguria in maniera consistente solo in questo tratto di costa. A Portofino, tra i 20 e i 45 metri di profondità, le colonie trovano condizioni ideali per lo
sviluppo e raggiungono densità elevatissime (oltre 400-600 colonie/m2) anche se le dimensioni
rimangono ridotte.
Il tratto di mare compreso nell’Area Marina Protetta delle Cinque Terre va dalla zona di Punta Mesco, a Monterosso, a quella di Capo Montenegro, a Riomaggiore, ed è particolarmente ricco di specie animali e vegetali.
Le pareti rocciose, come pure le numerose
secche e gli scogli isolati, sono popolate da innumerevoli gorgonie, come la policroma Leptogorgia
sarmentosa e la bianca Eunicella verrucosa, una
specie rara nel Mediterraneo ma piuttosto comune
in queste acque.
Le ripide pareti rocciose di Punta Mesco e
Capo Montenegro sono le più ricche di vita e ospitano specie rare come, oltre la già citata Eunicella
verrucosa, la rarissima Gerardia savaglia, o Corallo
nero; al Mesco, cosa inconsueta per il resto del
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Mediterraneo, già a 15/20 metri di profondità si possono osservare magnifici ventagli di Paramuricea clavata, la Gorgonia rossa. E proprio queste due aree, che rappresentano le zone di mare di maggior pregio e varietà, sono sottoposte a maggior tutela (zona A e zona B).
Va sottolineato inoltre che queste acque sono comprese nel Santuario dei Cetacei, un'area protetta internazionale dove questi animali sono particolarmente presenti.
Anche i fondali delle Cinque Terre sono considerati fra i più vari e ricchi di fauna marina della Liguria.
In una superficie di fondale relativamente ridotta
come quella delle Cinque Terre, condividono lo spazio vitale numerosissime specie, alcune poco frequenti in altre
località del Mediterraneo, ciascuna delle quali rappresentata da un notevole numero d'individui. La relativa torbidezza di queste acque, riducendo l'illuminazione dei fondali,
consente inoltre d'osservare a pochi metri di profondità diverse specie "sciafile", amanti cioè della penombra, che
solitamente vivono a profondità più impegnative, come la Paramuricea clavata, la più bella gorgonia del Mediterraneo.
Il fondale costiero roccioso, caratterizzante la quasi totalità dell'Area protetta, se si escludono le spiagge di Monterosso e Corniglia, agevola l'insediamento di numerose specie algali. Alle varie profondità si osserva infatti una grande presenza di questi organismi che, grazie alla loro capacità di produrre nutrimento a partire dall'energia solare, realizzano il
primo anello della catena alimentare.
La Posidonia è piuttosto diffusa sui fondali sabbiosi
delle Cinque Terre: a parte diverse macchie di varie dimensioni sparse qua e là, a Monterosso è presente una vera e
propria prateria che si estende, a partire da una profondità di
5-8 metri sino a 20-25, da Punta Mesco alla spiaggia della
Fegina. Nella zona di Corniglia è invece presente la Cimodocea che qui forma una piccola prateria.
3.1.3.2 LE PRATERIE DI FANEROGAME
Per quanto riguarda la costa sommersa, la Liguria è caratterizzata da una notevole varietà ambientale concentrata in una ristrettissima piattaforma continentale: la fascia delle acque costiere è infatti molto esigua e l'estensione dei fondali compresi all'interno della batimetrica dei
50 metri è di soli 481 chilometri quadrati, superficie occupata da fondali rocciosi, fondali detritici fangosi e sabbiosi, praterie di fanerogame marine.
La Regione Liguria è dotata di una cartografia preliminare dei principali popolamenti
marini costieri, con particolare riferimento alle praterie di Posidonia oceanica. Questa è in fase
di realizzazione definitiva a scala
1:10.000, e riporta una mappatura di dettaglio di questi insediamenti marini.
Se ne riporta a fianco una tavola
come esempio.
Attualmente è disponibile la cartografia delle Fanerogame marine dell'ENEA del 1995, ad oggi ancora l'unica,
importante fonte su scala regionale di informazioni riguardo alla comunità biologica, costituita da 44 tavole in scala
1:25.000 che coprono l’intero arco ligure e
che contengono i seguenti due tipi di informazione: tipo di prateria ed estensione
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della zona in ettari. Il livello informativo differenziato graficamente tra i due tipi di praterie
(Cymodocea e Posidonia) è stato creato per la redazione della “Carta della vocazione alla maricoltura”.
L’analisi delle tavole ha consentito di riscontrare lungo le coste della Liguria, trascurando le numerose formazioni minori, circa una cinquantina di praterie di Posidonia oceanica. La
loro estensione è estremamente disuguale, e va da un minimo di pochi ettari ad un massimo di
circa 760 ha (prateria del Golfo Paradiso, tra Genova-Quarto e Sori).
Si tratta nel complesso di meno di 4800 ettari di praterie, pari a circa il 10-15 % dei
fondali liguri compresi tra la superficie e 35 m di profondità. Di questi 4800 ha, 3500 ha si trovano nella Riviera di Ponente, mentre i rimanenti 1300 ha si trovano nella Riviera di Levante
(da notare che la sola prateria del Golfo Paradiso occupa 760 ha). Il rapporto tra la superficie di
prateria nel Ponente e quella nel Levante è dunque di quasi 3 a 1.
Volendo dettagliare per Provincia, si osserva quanto segue: la Provincia di Imperia possiede complessivamente oltre 2400 ha di praterie, pari a quasi il 51% di quelle presenti nell'intera Liguria. La Provincia di Savona possiede in totale 1000 ha, cioè il 22 % circa della Liguria.
La Provincia di Genova possiede poco meno di 1200 ha di praterie, corrispondenti al 25 % della
Liguria. Infine, la Provincia della Spezia possiede soltanto un centinaio di ettari, pari soltanto al
2 % della Liguria.
Risultano dunque evidenti differenze notevoli nell'estensione delle praterie di Posidonia
oceanica in Liguria, benché esse siano comprese nell'ambito di un arco costiero relativamente
breve e apparentemente omogeneo dal punto di vista ambientale.
Queste differenze possono essere analizzate più agevolmente se le praterie vengono
raggruppate in classi di taglia. In questo modo si ottengono i risultati presentati nella seguente
tabella:
PROV.
Praterie molto grandi (>200 ha)
Praterie grandi
(100-200 ha)
Praterie medie (20100 ha)
Praterie piccole
(10-20 ha)
Praterie molto piccole (<10 ha)
Imperia
6
1
3
1
0
Savona
2
1
4
3
6
Genova
1
1
4
5
4
La Spezia
0
0
2
3
4
(fonte: ENEA, Atlante delle Fanerogame marine, 1995)
Trascurando l'incidenza delle praterie molto piccole (che come s'è detto non sono adeguatamente valutate), il dato di maggior interesse che scaturisce da questa analisi è che il Ponente Ligure (ed in particolar modo la Provincia di Imperia) è caratterizzato da praterie molto grandi, mentre nel Levante sono più importanti le praterie medie e, soprattutto, piccole.
Tra le cause di questa differenza di distribuzione, quella antropica può senz'altro essere
evocata almeno in parte nel caso della Provincia di Genova, che è caratterizzata da una maggioranza di praterie piccole, pur dimostrando di poter ospitare praterie molto grandi (Golfo Paradiso); Genova è la Provincia che soffre indubbiamente del maggior carico antropico. Tale causa
non spiega però il fatto che la Provincia della Spezia, relativamente poco antropizzata, abbia anch'essa praterie prevalentemente di taglia piccola, come e più della maggiormente antropizzata
provincia di Savona. E' probabile che la differenza di taglia tra le praterie delle 4 Province abbia
principalmente causa naturale, e sia in particolare legata alla differenza nei morfotipi costieri.
Riassumendo i dati per Provincia, si rileva quanto segue. Nella Provincia di Imperia, le
praterie di P. oceanica si estendono per 49 km (su 61 km complessivi) il che significa che l'80 %
della costa è bordato da praterie. La Provincia di Savona ha 42 km (su 81 km) con praterie, equivalenti al 52%. Per la Provincia di Genova, le cifre sono rispettivamente 36 km (su 107 km)
e 34%. Infine, le coste della Provincia della Spezia sono bordate da praterie di Posidonia oceanica solo per un totale di 9 km (su 81 km), pari all'11%. Anche in questo caso, le vistose differenze nelle 4 Province sembrano essere in relazione maggiormente con cause naturali, anche se
si osservano importanti indizi di riduzione della lunghezza delle praterie di Posidonia oceanica
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nel savonese e nel ponente di Genova, cioè nelle due zone più antropizzate della Liguria.
A conclusioni diverse può invece portare l'analisi della profondità cui si trova il limite inferiore
delle varie praterie. In Liguria, la profondità media del limite inferiore è risultata pari a soli 23
m, benché P. oceanica possa vivere anche a profondità di 35-40 m ed oltre (Boudouresque e
Bianconi, 1986). Anche in questo caso, però, vi sono importanti differenze a seconda della Province: per Imperia, tale valore è 28 m; per Savona, 21 m; per Genova, 22 m; per La Spezia, infine, 24 m.
Distribuzione delle fanerogame nel tratto P. Spiaggia-P.Palma (SP)
(fonte: ENEA, Atlante delle Fanerogame marine, 1995)
Si può osservare che, in media, il limite inferiore si trova a quote minori rispetto alla media ligure nelle Province di Savona e Genova, quelle cioè gravate da un maggior carico urbano ed industriale, e a quote maggiori rispetto alla media ligure nelle Province di Imperia e La Spezia, relativamente meno aggredite dall'impatto antropico.
Collegato a quanto sopra è inoltre la grande estensione dei prati di Cymodocea nodosa sui fondali liguri. In Liguria, tale specie "secondaria" risulta occupare circa 2300 ha, cioè quasi la metà
della superficie coperta da P. oceanica. Nella Provincia di Imperia C. nodosa occupa un po' meno di 660 ha. La Provincia di Savona e la Provincia di Genova possiedono entrambe circa 800
ha. La Provincia della Spezia, infine, solo 60 ha.
Per quanto riguarda invece lo sviluppo costiero, i prati di Cymodocea nodosa bordano 114 km
di litorale (pari a circa il 35% della costa ligure), dei quali 31 km (51%) ricadono nella Provincia di Imperia, 51 km (63 %) nella Provincia di Savona, 26 km (24%) nella Provincia di Genova, e 7 km (8%) nella Provincia della Spezia.
L'abbondanza di Cymodocea nodosa in Liguria potrebbe forse essere anch'essa in relazione ad una situazione di degrado ambientale generalizzato (ENEA, 1955).
La Carta delle Biocenosi Marine è un altro strumento utile alla caratterizzazione ed alla pianificazione ambientale, realizzato nell’ambito di un protocollo d’Intesa tra la Regione Liguria , che ha fornito i dati territoriali, e l’ICRAM, Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e
Tecnologia Applicata al Mare, che nel 1999 ha avviato un progetto pilota per la realizzazione di
una cartografia bionomica dell’ambiente marino costiero della Liguria.
Un progetto in corso riguarda la Carta delle principali Biocenosi Costiere 1:10.000 in
fase di redazione, che rappresenterà una sintesi della precedenti carte delle Biocenosi Marine e
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Projet BEACHMED – Phase A
delle Fanerogame.
Cartografie di dettaglio disponibili sono le seguenti:
- Carta biocenotica dei fondi antistanti : Comune di Alassio, fondali compresi tra Comune di Andora e Cogoleto, Isola di Bergeggi, Isola Gallinara, Comune di Quiliano,
Comune di Spotorno, Città di Imperia,
- Golfo del Tigullio.
- Mappatura Fanerogame nei fondali tra Voltri e Capo Noli
- Carta sedimentologica
3.1.4 Il Dipartimento de l’Hérault
L’estrazione di sedimenti sommersi ha un impatto sulle comunità viventi che va preso
in considerazione. Per ciò, è necessario da un lato, conoscere l’ambiente nel quale ci si propone
di intervenire e dall’altro valutare gli impatti che un’estrazione potrebbe apportare a questo ambiente.
3.1.4.1 LE AREE MARINE PROTETTE
Nel dipartimento de l’Hérault la zona al largo del capo d‘Agde, con una superficie di
2.329 ha e che si estende fino a 1.5 miglia della costa, è stata proposta come sito d’importanza
comunitaria, integrerebbe quindi la rete Natura 2000 e potrebbe diventare una zona speciale di
conservazione. Questi fondali sono caratterizzati da praterie di posidonia, fondi rocciosi vulcanici, aree a matte morta, fondi sabbiosi.
Fonte: http://www.airesmarines.org
La riserva marina di Cerbère-Banyuls creata nel 1974 copre una superficie marina di
650 ha e la sua lunghezza lineare in senso parallelo alla costa è di circa sette chilometri. I principali ecosistemi e biocenosi (ambiente marino e terrestre) corrispondono agli ambienti di costa
rocciosa, prateria, coralligeno e secche rocciose.
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Projet BEACHMED – Phase A
Fonte: http://www.airesmarines.org
Il parco naturale regionale della Camargue, creato nel 1970, si sviluppa nella parte orientale del dipartimento del Hérault (il cui limite è situato a 4°30 'E). Il parco si estende verso
mare fino a tre miglia e copre una superficie marina globale di 35.000 ha.
La zona marina litorale presenta dei fondali mobili, sabbiosi e sabbioso-fangosi poco
profondi. L’isobata dei -10 m si allontana da 700 a 2500 metri della riva.
Il litorale della Camargue è una zona ad alta produttività biologica grazie alla sua posizione prossima alla foce del Rodano. Il fenomeno dell’upwelling (risalita di sostanze nutritive
dai fondali marini grazie a correnti ascensionali) generato da venti di terra favorisce lo sviluppo
di specie planctoniche (come le larve di crostacei e di molluschi) e il reclutamento di pesci.
I popolamenti che caratterizzano le biocenosi bentoniche delle sabbie fini ben calibrate
infralitorali sulla fascia costiera sono costituiti da individui filtratori. Generalmente, i popolamenti dei sedimenti superficiali sono rappresentati dalla presenza di molluschi bivalvi (valore
elevato di biomassa) e di policheti (alta densità di individui). Più di 130 specie di molluschi sono state registrate (Venus gallina, Mactra corallina, Donax sp... etc.). Le telline (Donax sp.) sono presenti con una popolazione molto importante che popola le zone sabbiose poco profonde
della punta dello Espiguette al grande Rodano; queste sono oggetto di un’intensa pesca professionale e sportiva.
Un popolamento naturale di ostriche piatte (Ostrea edulis) esisteva anche nel golfo di
Beauduc, ma ha subito un forte impoverimento dovuto in particolare alla pesca a strascico.
Ricci di mare commestibili (Paracentrotus lividus) e non commestibili (Arbacia lixula)
sono presenti nelle dighe, come pure polpi (Octopus vulgaris) e seppie (Sepia officinalis), ma in
quantità scarsa. Anche alcuni molluschi (Mytilus sp.) si sviluppano nelle dighe, ma le onde violente e le forti correnti non permettono uno sviluppo costante e stabile. La fauna ittica è ben
rappresentata ad eccezione dei pesci di roccia (cernia, scorfano...) che non dispongono di sufficiente habitat. Tutta la zona costiera, in particolare il golfo di Beauduc, è nota per essere molto
ricca in fauna marina, in particolare in pesci eurialini. Questi pesci generalmente passano una
fase del loro ciclo di accrescimento negli stagni.
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Tuttavia, mancano i dati per quantificare gli stock. I pesci più i pescati sono la spigola
(Dicentrarchus labrax), la sogliola (solea vulgaris), il rombo gigante (Rhombus maximus), la
platessa (Platichthys flessus), lo sgombro (Scomber scombrus), il muggine (Mugil sp.), l'aterina
(Atherina hepsetus) e l'orata (Sparus aurata). La zona marina costituisce anche un habitat ed una
zona di predazione per l’avifauna acquatica.
Fonte: www.parcs-naturels-regionaux.tm.fr
Lo Schéma Directeur d’Aménagement et de Gestion des Eaux du bassin RhôneMéditerranée-Corse (SDAGE-RMC, 1996) sostiene la tematica relativa alla protezione e la gestione degli ambienti litorali; un atlante di bacino, stato dei luoghi realizzato in occasione dell'elaborazione del SDAGE, presenta una carta relativa a questa tematica con la sua leggenda (carta
"ambienti - protezione e gestione - territorio litorale mediterraneo", atlante di bacino RMC,
1995).
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Carta « Milieux – Protection et gestion – territoire littoral méditerranéen », Fonte : Atlas de bassin
RMC, 1995, (Agence de l’Eau RMC et DIREN du bassin RMC pour le compte du Comité de Bassin)
Carta « Milieux – Protection et gestion – territoire littoral méditerranéen », Fonte: Atlas de bassin
RMC, 1995, (Agence de l’Eau RMC et DIREN du bassin RMC pour le compte du Comité de Bassin)
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3.1.4.2 LE PRATERIE DI FANEROGAME
La Posidonia è una specie mediterranea endemica protetta a livello nazionale ed europeo e dichiarata habitat naturale d'interesse comunitario nel programma Natura 2000. Le praterie di Posidonia, che fungono da rifugio e da nursery a numerose specie, sono abbastanza rare ad
ovest del Rodano (SDAGE-RMC, a sembrare).
In Languedoc, i posidonieti sono situati tra i 2 e 11 metri di profondità. Infatti, la loro
estensione è limitata a largo a causa della torbidità delle acque che impedisce la penetrazione
della luce; poiché inoltre il settore costiero risulta piuttosto esposto dal punto di vista idrodinamico a causa della linearità delle coste, i posidonieti limitano la propria estensione verso la costa. Nel Roussillon, particolarmente sulla costa Vermeille, le acque più chiare permettono un'estensione dei posidonieti su profondità più importanti (http://www.cegel.univ-montp2.fr).
Importanti studi sono stati realizzati dalla CEGEL sulla cartografia delle praterie di Posidonia. Queste carte, realizzate al 1/10 000 o 1/60 000 sono integrate ad un sistema GIS in formato MAPINFO; i dati derivano da tecniche diverse: video-interpretazione, analisi sonar...
Alcuni di questi lavori sono disponibili (Agde - Valras - Argelès); altri dovrebbero esserlo prossimamente (Villeneuve - Sète - Grande-Motte). Un documento di sintesi elaborato dalla CEGEL dovrebbe essere disponibile prossimamente ed uno studio condotto dalla CEGEL per
la DIREN e la regione Languedoc-Roussillon (Collart et al.).
Vengono di seguito presentate delle carte, elaborate dalla CEGEL con dati più vecchi
ma che permettono di avere una visione sintetica sulla scala della zona di studio. Oltre ai dati
del CEGEL, per la zona situata al largo del Languedoc-Roussillon, esiste dei dati sparsi e frammentari che situano (in modo schematico per alcune) le zone di posidonia in alcuni settori. Si
può citare così il lavoro di Dutrieux et al. ed un lavoro che cataloga le praterie di Posidonia nella
riserva di Cerbère (IFREMER, in stampa).
Localizzazione delle zone naturali tra Leucate e Cap d’Agde ottenuta dai lavori della CEGEL.
(Fonte CEGEL, http://www.cegel.univ-montp2.fr/)
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Projet BEACHMED – Phase A
Localizzazione delle zone naturali tra Sète e la Camargue ottenuta dai lavori della CEGEL. (Source CEGEL, http://www.cegel.univ-montp2.fr/)
3.1.4.3 IL BENTHOS E L’IMPATTO DEL L’ESTRAZIONE SUI FONDALI MARIN
Il bentos, legato ai sedimenti superficiali, è direttamente toccato dall'estrazione in ambiente marino. Elemento della catena alimentare, la perturbazione del suo habitat può avere conseguenze sullo stock dei pesci. D'altra parte, gli organismi bentonici costituiscono un buon indicatore delle perturbazioni del mezzo, tanto che i suoi popolamenti sono dipendenti dalle condizioni circostanti (fisici e biologici) (ARMINES/DIREM, 2002). I vari metodi di studio del bentos sono descritti in ARMINES/DIREM (2002): attrezzi di prelievo, analisi dei dati, classificazione dei popolamenti e dei loro habitat, cartografia dei popolamenti, legame tra la composizione delle comunità ed il grado di perturbazione del loro ambiente.
Nella tematica Beachmed relativa all'estrazione in mare di depositi sabbiosi, è particolarmente importante la conoscenza della fauna bentonica. L'estensione della flora bentonica
(principalmente delle alghe) è limitata dalla penetrazione della luce; le operazioni d'estrazione
hanno dunque un impatto ambientale che tocca soprattutto la fauna bentonica.
La caratterizzazione dei fondali della piattaforma continentale della LanguedocRoussillon dal punto di vista della fauna e della flora è una tematica di studio importante. Due
principali organismi mirano a questi studi:
- la IFREMER è un attore principale nella conoscenza della flora: studi sulle alghe invadenti...
- il laboratorio ARAGO di Banyuls/mare (Univ. Parigi VI) ha una conoscenza approfondita
della fauna bentonica. Nel quadro del programma SYSCOLAG iniziato dalla regione Languedoc-Roussillon e la IFREMER e controllato dalla CEPRALMAR, una tesi è attualmente in
corso sull'utilizzo del macrobenthos come indicatore dei cambiamenti ambientali. La creazione di una base di dati che raccolgono informazioni sulla composizione delle comunità macrobentoniche lungo le coste del Languedoc-Roussillon è prevista. Questa base di dati dovrebbe
essere messa sotto forma di GIS. La fine di questi lavori è prevista per la fine dell'anno 2005.
La relazione ARMINES/DIREM (2002) costituisce un documento di sintesi sulle conoscenze relative all'impatto dell'estrazione sul mezzo marino, ai metodi esistente per valutare
quest'impatto ed alle condizioni di recupero del mezzo e propone un'importante bibliografia su
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Projet BEACHMED – Phase A
questa tematica. La relazione espone nei dettagli:
GLI IMPATTI FISICI:
- modifica della morfologia dei fondali - l'estrazione di sedimento lascia delle impressioni che differiscono secondo la forma e secondo il tipo di macchina utilizzata
- conseguenze immediate sul regime locale delle correnti, il regime di onde ed il
transito sedimentario - la modifica dei fondali può comportare quella delle correnti,
quella della propagazione della onde quando la profondità di scavo è inferiore alla
profondità d'azione delle onde o anche quella del transito sedimentario creando trappole di sedimenti
- ripercussioni eventuali sulla stabilità del litorale – le onde che contribuiscono al
transito sedimentario a livello della caratteristica di costa, nel caso di una modifica
delle onde in seguito ad un'estrazione, si possono verificare conseguenze sulla stabilità del litorale; d'altra parte se il fondo diventa una trappola per i sedimenti, si verificano dei deficit nei flussi sedimentari diretti verso il litorale. Su questa tematica, ci si
può riferire a Du Gardin ed Al (2003).
- aumento temporaneo della torbidezza - in occasione dell'estrazione, delle nuvole
torbide si formano: sul fondo con riduzione in sospensione in occasione dell'estrazione, nella colonna d'acqua nel caso di straripamenti (sgombro dell'eccedenza d'acqua
con le particelle più fini).
- modifica della natura dei fondali e della qualità dei sedimenti superficiali - può
trattarsi di una conseguenza diretta dell'estrazione, quando è inserito uno strato di sedimenti diverso dello strato superficiale esistente, o indiretta quando un fondale è coperta di sedimenti che provengono dalle vicinanze. La modifica del fondo riguarda
allora la granulometria, la porosità, la stabilità dei sedimenti.
GLI IMPATTI BIOLOGICI:
- impatto sul bentos - l'impatto sul bentos è innanzitutto diretto, in occasione dell'estrazione (distruzione, sotterramento, sforzo, soffocamento). L'impatto sulle comunità
bentoniche è realizzato anche attraverso la modifica della natura dei fondali (granulometria, stabilità) poiché da un lato, l'instabilità dello strato superficiale può impedire la ricolonizzazione dei fondali e d'altra parte, se la ricolonizzazione si produce, essendo i popolamenti bentonici (assemblaggi di specie) molto dipendenti dal substrato,
saranno diversi da quelli d'origine.
- impatto sugli organismi della colonna d'acqua - l'impatto diretto è considerato trascurabile; la riduzione del bentos potrebbe avere un impatto sui piani superiori della
catena alimentare ma, benché ancora male conosciuto, quest'impatto sembra limitato.
3.1.5
La Generalitat Valenciana
3.1.5.1 LE AREE MARINE PROTETTE
L’ambiente marino del litorale della Comunità Valenciana possiede una buona rappresentazione delle comunità marine del Mediterraneo.
Negli ultimi vent’anni varie squadre di ricerca divise tra le diverse Università della
Comunità Valenciana hanno identificato, localizzato ed in alcuni casi concreti cartografato una
cinquantina circa di comunità bentoniche su un totale di circa settanta prese in considerazione in
tutto il bacino del Mediterraneo tra cui sono comprese le comunità batiali ed abissali, poco studiate nel nostro litorale.
La diagnosi sullo stato attuale di conservazione dell’ambiente marino del litorale della
Comunità Valenciana può sintetizzarsi nei seguenti punti:
1) La conservazione delle praterie di posidonia
2) La conservazione di specie e fondi marini
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Projet BEACHMED – Phase A
3) Riserve marine e spazi naturali protetti
4) La contaminazione delle acque litorali
5) Manifestazioni dell’eutrofizzazione nella zona costiera
6) Torbidità delle acque e infangamento dei fondali marini
7) Opere e costruzioni sulla costa (pennelli, dighe, scogliere, dighe e porti turistici)
8) Il recupero delle spiagge e impatti ambientali connessi
9) Scogliere artificiali
10) Emissari sottomarini
Gli spazi naturali della costa Valenciana sono protetti nella loro gran parte.
Le
iniziative
sorte
dall’Amministrazione Centrale e regionale hanno dato luogo all’attuale
localizzazione di numerosi settori
della zona litoranea della Comunità
Valenciana nei quali si contemplano
alcune forme di protezione in virtù
di diversi aspetti considerati di interesse che si riscontrano nella flora,
nella fauna e nel quadro geologico.
Le aree protette della Comunità Valenciana comportano una superficie totale di circa 118.000 ha dei
quali circa 62.000 ha corrispondono
ad aree marine.
In funzione della forma di protezione che le regola, è possibile trovare soprattutto Parchi
naturali litorali, Zone umide catalogate, Microriserve vegetali e Spazi appartenenti alla Rete Natura 2000. Inoltre, esistono anche numerosi spazi i quali, anche se non sono tutelati da nessuna
forma di protezione specifica di livello Regionale o Statale, sono immuni da processi di urbanizzazione.
In funzione della loro natura gli ecosistemi che si insediano in tali aree possono classificarsi fondamentalmente come zone umide litoranee, cordoni dunari, fondi marini e rilievi di
grande pregio. Tutti questi spazi si caratterizzano con importanti biocenosi che giocano un ruolo
essenziale nella biologia di molte specie migratorie e pertanto la loro importanza dal punto di
vista naturalistico oltrepassa l’ambito regionale.
Nel litorale della Comunità Valenciana, le zone umide hanno una speciale rilevanza.
Prova ne sia che sei zone umide Valenciane sono catalogate come Zone Umide di Importanza
Internazionale sotto l’egida del Trattato di Ramsar e che otto lo sono come Zone di Speciale
Protezione per gli Uccelli (ZEPAS). Tutti questi spazi si sono integrati contribuendo alla Rete
Nautra 2000 di spazi europei, secondo quanto disposto nella Direttiva di Habitats 92/43/CEE,
come Spazi di Interesse Comunitario (SIC). Dei tredici Parchi Naturali esistenti nella Comunità
Valenciana, nove sono litoranei e, tra questi, sei sono zone umide costiere.
Le acque litoranee confinanti , o zone umide litoranee, formano il nucleo generatore di
vita più importante di tutto il contesto marino, data la straordinaria convergenza di energia e materiali trascinati nella fascia costiera.
Stagni, paludi, “albuferas” o lagune litoranee sono luoghi dove normalmente sussiste
una grande concentrazione di nutrienti che sono utilizzati da numerose specie animali per condurre i diversi processi dei loro cicli vitali.
Alcune di queste formazioni sono separate dalla spiaggia da barre emerse, “fleches” e
cordoni che hanno potuto generare aree dunari e spiagge che proteggono queste zone
dall’azione delle onde; possono stare collegate con il mare direttamente in forma naturale o arti-
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Projet BEACHMED – Phase A
ficiale o essere sottoposte a periodi asciutti e periodi umidi in dipendenza dallo stato del livello
del mare o del livello freatico.
Quando si trattano sistemi di interazione tra acque continentali e marine con forme molto diverse di presentazione, è frequente utilizzare una classificazione ecologica basata sulle caratteristiche chimiche delle loro acque.
In questa maniera si possono trovare i seguenti tipi:
- Risorgive o polle: acque praticamente dolci, pH basso e scarso contenuto in nutrienti
- “Albuferas”: lagune litoranee separate dal mare da cordoni dunari con acque dolci,
pH alto e elevati contenuti in nutrienti
- Paludi: lamine d’acqua di superficie, oligosaline e con bassa quantità di nutrienti
- Saline e “saladares”: masse di acqua con salinità uguali o, più frequentemente, superiori all’acqua del mare. Oggetto di sfruttamento industriale per l’estrazione del sale
Nella Comunità Valenciana, degli 11 Spazi Naturali Protetti collegati al litorale, 4 riguardano sistemi marini:
- La Riserva Marina delle Isole Columbretes (1990).
- La Riserva di Capo San Antonio (1993).
- La Riserva dell’Isola di Tabarca (1986).
- La Riserva della Sierra de Irta (2002).
Ognuna di queste riserve fu dichiarata tale in momenti politici diversi e ognuna di esse
era sottoposta ad una pressione caratteristica che ne giustificava in qualche
modo la definizione di spazio protetto.
Per cui l’interesse della pesca, la protezione delle praterie di posidonia,
l’estrazione illegale del corallo rosso o
criteri connessi alla protezione delle
risorse della pesca, sono stati e sono
alcuni dei fattori determinanti per la
protezione dei fondali marini.
Un punto di rilievo rispetto
all’ambito delle competenze è che ,
sul totale di spazi naturali protetti del
litorale, soltanto le Riserve Marine di
Tabarca e Columbretes si trovano in
parte
sotto
competenza
dell’Amministrazione Centrale, in entrambe i casi in ragione del loro avere nel proprio ambito
territoriale, totalmente o in parte, acque esterne che restano fuori dalle competenze
dell’Amministrazione regionale.
Sempre in entrambe i casi, la legislazione di creazione delle riserve è stata a carico del
Ministerio de Agricultura, Pesca y Alimentación e dell’Amministrazione Regionale (Autonómica) nelle acque interne di sua competenza.
Le 30 miglia che separano le isole Columbretes da Castellòn così come le loro caratteristiche di isolotti vulcanici di piccola estensione, hanno implicato una forma di protezione per
l’ambiente marino.
Le isole furono qualificate come Parco Naturale dalla Generalitat Valenciana nel
1988 e attualmente hanno la qualifica di Riserva Naturale.
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Projet BEACHMED – Phase A
La necessità di proteggere le specie di interesse per la pesca dalla loro estinzione, ha portato
alla creazione della Riserva Marina nel 1989.
La Riserva Marina ha una forma di quadrilatero ed una superficie totale di 4.400 ha di competenza statale.
I fondali marini delle isole vulcaniche sono
ripidi. Le acque presentano un’elevata trasparenza
che permette lo sviluppo di alghe come le laminarie a profondità maggiori che altrove. Dalla creazione della Riserva, si sono osservati aumenti significativi nel numero di aragoste, cosa che ha fatto pensare alla possibilità per cui la Riserva funzioni da nursery di ripopolazione nelle zone
adiacenti a quelle in cui , in maniera naturale, possono arrivare le larve di questo crostaceo che
hanno un prolungato periodo di vita planctonica. La Riserva Marina contiene due riserve integrali intorno agli isolotti di La Columbrete Grande e El Bergantín.
La creazione della Riserva Marina di Tabarca si è basata sullo studio elaborato
dall’Università di Alicante nel quale si è evidenziato il buono stato dell’ambiente marino così
come delle comunità biologiche che lo abitano e in particolare delle risorse di interesse per la
pesca. La riserva marina, di forma rettangolare, ha una superficie di 1.400 ha, di cui un 60% si
trova in acque esterne di competenza statale mentre il 40% restante corrisponde ad acque interne
sotto la gestione della Generalidad Valenciana. I fondali della riserva marina oscillano tra 0 e
40 m di profondità con substrati rocciosi e arenoso-fangosi nei quali cresce la pianta marina Posidonia Oceanica. La prateria di questa pianta acquatica, in regressione in altre zone del mediterraneo, presenta in Tabarca un ottimo stato di salute: è estesa e densa e offre alimento e rifugio
a svariate specie di invertebrati come la “nacra”, attualmente rara, e di vertebrati, direttamente o
indirettamente connessi alle attività di pesca locali. Le risorse di interesse ittico sono abbondanti
: tra le specie demersali si segnalano “serranos, meros, congrios, morenas” e “salmonetes”
mentre tra le specie di superfice si possono citare “salpas, corvas, chirretes, doradas” e “seriolas”.
E’ stata individuata una zona di massima protezione (riserva integrale) nell’estremo orientale della Riserva , al di fuori dell’isolotto di Nao. Nel resto della Riserva è autorizzata la
pesca professionale a traino o “currican” (nelle acque interne è ugualmente permessa la pesca
con la canna e “chambel”). E’ inoltre permessa la pesca artigianale con le “morunas” (trappole
di rete tipiche della zona che si calano nel numero di dodici , in occasione di determinati mesi).
3.1.5.2 LE PRATERIE DI FANEROGAME
Le praterie di Posidonia Oceanica sono elementi essenziali di protezione preferenziale
nell’ecosistema marino delle coste mediterranee spagnole. Queste praterie esigono la massima
attenzione nello sviluppo di progetti di opere marittime e nella pianificazione e gestione integrata del litorale mediterraneo. La Posidonia Oceanica è una fanerogama endemica del Mediterraneo dalle caratteristiche molto peculiari che occorre conoscere per non commettere gravi errori
ambientali nella programmazione e costruzione di opere marittime; tra tali caratteristiche si distinguono: ruolo strategico nell’ecosistema litoraneo, longevità millenaria, bisogno di luce e
acque trasparenti, crescita molto lenta, riproduzione infrequente, bisogno di substrato arenoso,
formazione di barriere a lunghissimo termine, stabilizzazione di profili di spiaggia, caduta di foglie in autunno, ecc.
Anche se i processi di sedimentazione molto intensi possono ucciderla, la posidonia oceanica è in special modo sensibile all’aumento di torbidità delle acque marine causato da scarichi a mare e all’erosione persistente della spiaggia sommersa che può strappare le sue radici
ed i rizomi.
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Projet BEACHMED – Phase A
La posidonia svolge quindi un importante ruolo sia dal punto di vista ambientale che da
punto di vista della geomorfologia litoranea. Non esiste in acque fangose (per esempio da Vinaroz a Peñíscola per effetto della foce dell’Ebro) né a profondità superiori a circa 50 m.
La distribuzione delle praterie oceaniche catalogate lungo la costa della Comunità Valenciana è quella indicata nella seguente tabella:
PRATERIE DI POSIDONIA OCEANICA CATALOGATA (ha)
Praterie di Posidonia
In buono stato
Degradate
Alicante
Valencia
Castellón
15.092
649
6.012
Comunidad
Valenciana
21.754
3.464
8.474
2.417
14.355
Esempio di distribuzione delle Biocenosi Marine (fonte: Generalitat Valenciana - D. G. de Puertos y Costas, Servicio de Costas, Sistema Informaciòn Costero)
La distanza media dal bordo della costa in cui si trovano queste praterie catalogate è
sensibilmente minore nella provincia di Alicante (0-300 m), mentre nelle province di Castellòn
e Valencia, con l’eccezione del fronte litorale di Cabanes- Torreblanca (200-500 m), si trovano
normalmente a distanze superiori.
Le grandi estensioni esistenti hanno avuto un momento di regressione a partire dagli anni ’70. La massiccia affluenza antropica sulle coste, l’inesistenza di infrastrutture di depurazione, lo scarico di acque residuali in mare, l’erosione costiera e le attività di pesca a strascico,
hanno provocato le regressione generalizzata di tale ecosistema praticamente lungo la totalità
del litorale valenciano.
Come diagnosi finale, assumendo un grado di regressione praticamente irreversibile del-
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Projet BEACHMED – Phase A
le praterie di posidonia nel litorale della Comunità Valenciana, sembra che l’unica alternativa
disponibile consista nello sviluppare le misure di protezione di quel che resta di questa risorsa
naturale nell’attesa che nuovi progressi della tecnologia di ripopolazione dei fondali marini, che
oggi si presenta costosa e problematica, permettano di ricostruire almeno alcuni dei fondali marini un tempo dominati da questa specie singolare.
3.2
Gli aspetti ambientali nell’impiego di depositi sabbiosi marini
3.2.1
Generalità
La scelta di una località di prelievo adeguato rispetto alle condizioni ambientali (coperture sedimentarie, zone sensibili, attività di pesca, ecc..) rappresenta la condizione fondamentale
per lo sfruttamento del giacimento ed la sua ecocompatibilità con gli eventuali impatti indotti,
deve essere in qualunque caso compatibile con le regolamentazioni in vigore.
Nel quadro di questo tipo di studio, le caratteristiche generali del settore in questione
(conoscenze tratte della letteratura) e gli eventuali conflitti devono essere valutati prima di tutto
ed in seguito occorre effettuare indagini conoscitive originali.
La compatibilità ambientale
dello sfruttamento deve inoltre essere
verificata per mezzo di controlli effettuati contemporaneamente ai lavori di
prelievo e infine dopo l’ultimazione
dei lavori.
Sulla base di queste considerazioni si può definire un programma per
le procedure standard da seguire per lo
studio della compatibilità ambientale
riguardo ai lavori di prelievo di sabbie
relitte in mare in previsione di un ripascimento.
Uno schema di lavoro generale, predisposto dall’ICRAM (Istituto Centrale per Ricerca
Applicata al Mare) per la Regione Lazio, articolato in 4 livelli principali e da applicare nei limiti
di ogni situazione specifica, può essere il seguente:
1. valutazioni preliminari;
2. caratterizzazione delle zone di manutenzione;
3. controllo durante l’esecuzione dei lavori;
4. monitoraggio.
Una descrizione dettagliata delle metodologie adottate dall’ICRAM è indicata
nell’ANNESSO II « Metodologie per la valutazione dell’impatto ambientale dovuto alla
coltivazione dei depositi sabbiosi marini » disponibile sulla versione web del sito
www.beachmed.it.
Per caratterizzare l’area della piattaforma continentale dove si situerà la zona interessata
dal prelievo di sabbie relitte in previsione del ripascimento (o, nel caso di un’area con vari piani
di possibile coltivazione, per la scelta della località di prelievo più adeguato), un’area più vasta
e significativa di specchio marino è inizialmente indagata nelle sue componenti ambientali attraverso l'esame e la discussione critica delle informazioni disponibili in letteratura. Si effettuano in seguito dalle analisi e dalle indagini conoscitive puntuali, se si ritengono le informazioni
bibliografiche insufficienti.
L'esclusione della banda della piattaforma continentale compresa tra 0.00 e -40.00 m
sono un esempio di valutazione ambientale preliminare a grande scala. Le riserve naturali, le
zone protette, le formazioni ad alto valore dal punto di vista della fauna e della biologia devono
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Projet BEACHMED – Phase A
essere in generale messe in evidenza e, preferibilmente, essere escluse per la ricerca di località
d'interesse minerario.
Nel caso in cui la coltivazione del fondale allo scopo del ripascimento risulti accettabile, il livello relativo alla caratterizzazione dettagliata della zona di prelievo è effettuato attraverso indagini specifiche e con la scelta di un numero adeguato e significativo di transetti che saranno in seguito monitorati nel tempo.
Nel corso dei controllo durante i lavori, il tipo di attività da sorvegliare e la frequenza
dei controlli stessi sono stabiliti sulla base dei tempi organizzativi e delle indicazioni fornite dal
livello precedente.
Successivamente, le indagini da condurre avranno lo scopo di fornire dati relativi alle
variazioni dei parametri esaminati, causate dalle estrazioni e che mirano a misurare l'estensione
e l'importanza di impatti, rispetto alla situazione iniziale.
Tenuto conto della delicatezza della questione, come pure dell'investimento in mezzi ed
in tempo di queste campagne, è più che opportuno prevedere procedure standard che possono
contribuire, tra l'altro, alla definizione di una nuova regolamentazione del settore.
3.2.2 L’impiego dei giacimenti marini di sabbia
Anche considerando i possibili impatti diretti sull’ambiente terrestre e sull’ambiente socio-economico, praticamente la totalità degli impatti
ambientali generati dall’estrazione di sabbia si ripercuotono sull’ambiente marino.
Il dragaggio dei fondali marini può alterare
la qualità delle acque, la geomorfologia e la composizione dei substrati e colpire le comunità bentoniche, plancton e necton.
Dal punto di vista degli effetti di questo tipo
di opere su organismi e comunità marine, possiamo
considerare tre processi diversi :
- Dragaggio di materiali dai fondali
- Gli effetti temporali nel momento del rinascimento
- Gli effetti a lungo termine dei materiali apportati
La estrazione delle sabbie rappresenta ancora una alternativa scarsamente disponibile
lungo il nostro litorale, come vedremo nel seguente punto. Ciononostante questa tecnica è stata
utilizzata per la ricostruzione di numerose spiagge, soprattutto nella provincia di Alicante, utilizzando come base il giacimento di Sierra Helada.
In questa fase le principali azioni che generano impatto sono le seguenti:
- L’aratura dei fondali da parte dei mezzi di dragaggio
- La dilavatura dei materiali dragati nei pozzi di
stoccaggio delle draghe (overflow)
Sebbene i giacimenti potenziali che presentano elevati contenuti di fino vengono scartati per considerazioni economiche ed ambientali, si deve tener conto che le perdite
massime di materiale per overflow possono raggiungere il
30% del volume del dragaggio. Di questo volume perso, il
60% corrisponde a materiale con Φ < 0.063 mm mentre un 25% restante corrisponde a materiale
con Φ < 0.125 mm. Ciò produce due effetti importanti che devono essere considerati: aumento
di particelle in sospensione e torbidità a breve termine e cambi litologici della superficie del
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Projet BEACHMED – Phase A
fondale che possono interferire la sua ricolonizzazione di fauna e flora.
Sulle praterie di Posidonia Oceanica il dragaggio di sabbia può causare, come regola
generale, impatti di due tipi: diretti ed indiretti.
Gli impatti diretti possono essere prodotti dal dragaggio di fondali colonizzati da prateria di posidonia oceanica. In questo caso i danni sopra quest’ultima sarebbero immediati e irreversibili.
Nonostante la sua gravità, il dragaggio diretto non costituisce una minaccia reale poiché
non si effettuano mai dragaggi su tali tipi di fondali se non per meri incidenti ed errori negli
studi propedeutici.
D’altronde in zone prossime ad una prateria di posidonia , i dragaggi possono provocare
erosioni persistenti e coinvolgere queste praterie in forma simile all’erosione che si produce sulle spiagge. La rappresentazione cartografica delle praterie di Posidonia è di conseguenza un elemento essenziale per la sua protezione.
Allo stesso modo è necessario approfondire la conoscenza sulle interferenze che si producono sui fondali adiacenti a quelli di sfruttamento, determinando indicatori di biodiversità e la
cartografia di influenza che permettono di utilizzare tecniche di sfruttamento ottimali e di stabilire adeguati ritmi di sfruttamento dei giacimenti marini.
3.2.3 Le attività per la valutazione degli aspetti ambientali relativi all’impiego di
cave marine di sabbia previste nel progetto BEACHMED
Per sviluppare parte delle attività assegnate alla Generalità Valenciana nell’ambito del
progetto BEACHMED, la Direzione Generale Porti e coste ha ritenuto opportuna la partecipazione di professori e gruppi di ricerca delle due università di Valencia
- Universitat de València Estudi General (UVEG); y
- Universidad Politécnica de Valencia (UPV).
Queste Università hanno esperienza per quanto attiene allo sviluppo di progetti collegati
con l’ambiente marino e con l’erosione ed il recupero di spiagge delle coste valenciane.
L’obiettivo dei lavori della convenzione è il completamento degli studi da realizzare da
parte delle Generalidad Valenciana nel quadro del progetto BEACHMED. Questi lavori di ricerca devono completarne altri già realizzati nell’ambito valenciano.
Le attività oggetto della Convenzione e saranno diretti dalla Direzione Generale di Porti
e Coste della Generalidad Valenciana e saranno realizzate da gruppi di ricerca della Universitat
de València-Estudi General e della Universitat Politècnica de València, diretti rispettivamente
dal Prof. A. Manuel García-Carrascosa e dai Proff. Josep R. Medi-na e José Serra.
Questi lavori avranno la durata di 12 mesi (luglio 2003 – luglio 2004) e saranno incentrati su tre aree fondamentali:
(1) Valutazione ambientale delle operazioni di estrazione e versamento di sabbie e loro
impatto su giacimenti marini impiegati e spiagge recuperate
(2) Valutazione dei problemi erosivi nel litorale Valenciano
(3) Valutazione sulla localizzazione di nuovi depositi sedimentari
Tutti questi lavori verranno sviluppati nell’ambito della Gestione Integrata delle Zone
Costiere proclamata pubblicamente dal Governo Valenciano nella Giornata del 23 gennaio
2003.
Anche se le tre aree fondamentali saranno coordinate dalla Direzione Generale di Porti
e Costa della Generalidad Valenciana, il lavoro dei gruppi di ricerca delle due Università di Valencia, sarà incentrato sulle prime due aree (Valutazione ambientale delle operazioni di estrazione e versamento e problemi erosivi nel litorale).
Nello specifico i compiti e gli obiettivi principali e di ricerca, oggetto della Convenzione per lo sviluppo di BEACHMED, sono i seguenti:
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- Metodologie di Valutazione di impatto ambientale. In questo lavoro si analizzeranno la
Legislazione e la sua applicazione negli Studi di Impatto Ambientale nell’ambiente costiero valenciano. L’obiettivo principale di questo lavoro è sistematizzare ed ordinare i
criteri più importanti di valutazione e di validazione ambientale nei progetti e nelle opere
costiere (estrazione e versamento di sabbie soprattutto) e ottenere una proposta metodologica per l’elaborazione di questi studi in maniera estensiva, nel caso di estrazione di sabbie ad alte profondità. Questo obiettivo include le seguenti attività:
a) Analisi degli aspetti più importanti della Legislazione ambientale applicabile alle opere
e attività che si sviluppano nel litorale valenciano
b) Descrizione degli elementi critici più comuni degli Studi di Impatto Ambientale delle
opere e delle attività che si sviluppano nel litorale valenciano
c) Descrizione degli elementi e dei fattori ambientali più importanti da considerare nei
progetti di estrazione delle sabbie da giacimenti marini ed alimentazione artificiale delle spiagge
d) Proposta metodologica, conclusioni e raccomandazioni sugli elementi più importanti da
considerare nei procedimenti di valutazione di impatto ambientale di progetti di estrazione di sabbie da giacimenti marini ed alimentazione artificiale delle spiagge. Estensione della proposta ad estrazione di sabbia ad alta profondità
- Monitoraggio del giacimento di Sierra Helada. In questo lavoro si studierà l’impatto a
posteriori delle estrazioni massicce di sabbia operate nel giacimento situato alle pendici
della Sierra Helada, tra gli anni ’80 e ’90. L’obiettivo è valutare l’impatto sull’ambiente
marino di una estrazione massiccia, localizzata e costante come quella realizzata in Sierra
Helada, ottenendo una cartografia di interferenze e conclusioni e raccomandazioni sul suo
sfruttamento. Questo obiettivo include le seguenti attività:
e) Rilievo dei fondali marini interessati dalle attività di estrazione mediante immersioni
subacquee con registrazione fotografica e videografica ed altre tecniche di rilevamento
di fondali considerate adeguate.
f) Caratterizzazione biocenotica della fauna e della flora di questi fondali: identificazione
delle comunità bentoniche localizzate, loro specie caratteristiche e loro grado di rappresentazione. Visione diretta mediante immersione subacquea ed indiretta mediante dragaggio
g) Valutazione del possibile stadio di regressione di queste comunità bentoniche ed identificazione di bioindicatori dei fattori ambientali concreti relazionati a questa potenziale
regressione
h) Nel caso in cui l’area di estrazione di sabbia o la zona adiacente sia occupata da praterie
di fanerogame marine (Posidonia Oceanica e/o Cymodocea Nodosa) si procederà
all’identificazione di particelle pilota, ad una valutazione de loro stato di conservazione,
alla identificazione degli aspetti regressivi facendo uso di tecniche di ricostruzione e, se
necessario, di tecniche acustiche per la stima delle biomasse/copertura;
i) Studio granulometrico dei sedimenti attualmente superficiali dell’area di estrazione e
valutazione dei possibili effetti dello
squilibrio sedimentario nei fondali
adiacenti a tale area con particolare
riguardo agli effetti su organismi e
comunità bentoniche
j) Cartografia delle aree sensibili circostanti e conclusioni, raccomandazioni sullo sfruttamento del giacimento
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Projet BEACHMED – Phase A
3.3
Gli aspetti ambientali relativi alle interazioni tra la spiaggia esistente ed i ripascimenti in sabbia
3.3.1 I ripascimenti in sabbia
Lo stesso processo di aumento dell’estensione della spiaggia emersa attraverso
l’apporto di sabbie può sortire gravi problemi ambientali.
In generale, si tratta di apportare materiali di tessitura adeguata per garantire un periodo
di permanenza sulla spiaggia sufficiente per rendere conveniente il notevole investimento economico di questo tipo di opere.
In un versamento massiccio, la frazione più fina dei sedimenti è dilavata dal moto ondoso, producendo aumenti temporanei di torbidità nelle acque, mentre quella più grossolana rimane e può provocare interrimento delle comunità più in superficie.
Sull’impatto dei ripascimenti circa le praterie di posidonia, solo i versamenti molto intensi o reiterati possono danneggiarla a condizione che si superi la sua velocità di accrescimento
verticale , stimata in 4 cm/anno.
Il dilavamento progressivo delle spiagge alimentate artificialmente, difficilmente può
raggiungere tassi di deposizione in eccesso di 1 cm/anno nelle zone adiacenti coperte da posidonie (generalmente a partire da 3 m di profondità).
3.3.2 Effetti a lungo temine
Per lo studio degli effetti a lungo termine è necessario completare i monitoraggi ambientali nei luoghi di estrazione e versamento che in ciascun caso si stabiliscono nei programmi
di vigilanza ambientale. E’ necessario controllare la evoluzione delle zone di intervento sia dal
punto di vista geomorfologico (ad esempio profili della spiaggia) che da quello biologico (ad esempio indicatori di biodiversità o censimenti).
Nel 2001, con il progetto p. I+D 2000 – 2001
POSICOST si sono studiati gli effetti a medio e lungo
termine di alcune rigenerazioni artificiali, realizzati
su spiagge della Comunità Valenciana con presenza di
praterie di Posidonie Oceaniche. Nel progetto si conclude che la rigenerazione di spiagge può favorire la
crescita della Posidonia Oceanica in determinate circostanze.
La Posidonia Oceanica non può sopportare
processi erosivi persistenti nel substrato arenoso nel
quale ha i sui rizomi e le sue radici. L’erosione persistente della spiaggia sommersa finisce per lasciare i
rizomi alla mercé delle correnti del fondale che strappano e uccidono la pianta.
A ciò contribuisce anche la colonizzazione dei
rizomi e delle radice da parte di spugne ed altri organismi incrostanti che li perforano causandone la morte.
I processi erosivi sembrano essere una causa frequente della regressione delle praterie
dei litorali mediterranei spagnoli.
Posto che i fenomeni erosivi delle spiagge emerse e sommerse sono intimamente connessi, la miglio maniera di evitare danni alle praterie per questa causa è quella di mantenere
stabile la spiaggia vicina.
Così , l’aumento moderato del deposito di sedimenti può avere effetti benefici per la Posidonia Oceanica, in quelle zone dove ha sofferto processi erosivi come il caso di praterie in zo-
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ne adiacenti a spiagge in erosione dove è stata effettuata un alimentazione artificiale.
In sintesi, si può affermare che le origini del problema degli impatti di questo tipo di
opere siano da individuare nell’assenza o nella carenza di rigore degli studi preliminari di impatto ambientale.
Pertanto è necessario stabilire una Metodologia per valutazioni e monitoraggi di estrazioni e rigenerazioni che permetta di effettuare valutazioni ambientali ex ante ed ex post in forma sistematica sulle operazioni di estrazioni /versamento di sabbia estendendo , inoltre, la Metodologia per giacimenti in acque profonde.
3.3.3 Le attività per la valutazione degli aspetti ambientali relativi al ripascimento
di sabbia previste nel progetto BEACHMED
I compiti e gli obiettivi principali di ricerca oggetto della Convenzione per lo sviluppo
di BEACHMED, sono i seguenti:
- Monitoraggio ambientale di spiagge. In questa attività si studierà l’impatto a posteriori dei
versamenti di sabbia realizzati in alcune delle spiagge recuperate o rigenerate con volumi provenienti da Sierra Helada. L’obiettivo è valutare l’impatto sull’ambiente dei versamenti realizzati al fine di ottenere conclusioni e raccomandazioni valide per l’esecuzione di questo tipo di
opere. Il progetto pilota contempla la realizzazione del monitoraggio delle spiagge di Levante
(non rigenerata) e Ponente (rigenerata) di Benidorm, di Areanl (rigenerata) e la Fossa en Calpe
( non rigenerata) ed in quella di San Juan – Muchavista (rigenerata) in Alicante-El Campello.
Questo lavoro comporta le seguenti attività:
a. Rilievo dei fondali marini interessati dalle attività di versamento con immersione subacquea e registrazione fotografica – videografica ed altre tecniche di rilievo considerate adeguate
b. Caratterizzazione biocenotica della fauna e della flora di questi fondali: identificazione delle comunità
bentoniche localizzate, loro specie caratteristiche e
loro grado di rappresentazione. Visione diretta mediante immersione subacquea .
c. Valutazione del possibile stadio di regressione di
queste comunità bentoniche ed identificazione di
bioindicatori dei fattori ambientali concreti relazionati a questa potenziale regressione
d. Nel caso in cui l’area di versamento di sabbia o la
zona adiacente sia occupata da praterie di fanerogame marine (Posidonia Oceanica e/o Cymodocea Nodosa) si procederà all’identificazione di particelle
pilota, ad una valutazione del loro stato di conservazione , alla identificazione degli aspetti regressivi facendo uso di tecniche di ricostruzione e, se necessario, di tecniche acustiche per la stima delle biomasse/copertura;
e. Studio granulometrico dei sedimenti attualmente
superficiali dell’area di versamento e valutazione dei
possibili effetti dello squilibrio sedimentario nei
fondali adiacenti a tale area con particolare riguardo
agli effetti su organismi e comunità bentoniche
f. Cartografia delle aree sensibili circostanti, se ritenuto necessario, e conclusioni, raccomandazioni sulla rialimentazione della spiaggia
- Monitoraggio delle spiagge. In questa attività si proseguiranno i monitoraggi di precisione
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delle spiagge che permettono di stimare l'affidabilità delle restituzioni fotogrammetriche e continuare nel miglioramento delle conoscenze sull’evoluzione naturale delle nostre spiagge. Si
proseguirà il monitoraggio dell’evoluzione fisica delle spiagge di la Fossa (non rigenerata) e
Arenal (rigenerata) nel Calpe, condotta dal Laboratorio de Puertos y Costas de la Universidad Politécnica de Valencia (LPC-UPV) all’interno del Progetto POSICOST (2000-2001) ed i
monitoraggi delle spiagge di “El Saler” e del nord di Valencia condotti dal LPC-UPV tramite
la Dirección General de Costas del Ministerio de Medio Ambiente (DGC-MMA) nel periodo
1993-1997. Le attività collegate a questa fase sono:
g. Monitoraggio della spiaggia di La Fossa (Calpe) includendo la linea di riva e tre profili
di precisione con metodologia POSICOST(2000-2001) che permettono di completare le
serie già realizzate. Monitoraggio della spiaggia di Arenal (Calpe) includendo la line di
riva e quattro rilievi di precisione con metodologia POSICOST(2000-2001) che permettono di completare le serie già realizzate.
h. Monitoraggio della spiaggia di “El Saler” (Valencia) che comprende un minimo di cinque profili di precisione e tracciamento di linee di riva tra i 7 punti di misura utilizzati
per la DGC-MMA (1993-1997) e integrazione dei risultati. Monitoraggio della spiaggia
a nord di Valencia che comprende i profili e le linee di riva dei 10 punti di misura monitorati nello studio DGC-MMA(1995-1997) e sua integrazione.
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