Il maestro fantasma
Transcript
Il maestro fantasma
Il maestro fantasma di Carlo Boschi Sotto la maschera mi pare di soffocare, mi colano dai capelli gocce grosse di sudore e quelle che mi arrivano in bocca sono troppo salate e bruciano le labbra. L’odore aspro che risale dalla divisa come da un camino mi esalterebbe, se ora tirassi bene e avessi il tempo giusto. Invece mi provoca perfino dei lievi capogiri di nausea: tiro male e puzzo come un animale, un cane bagnato. A trenta secondi dalla fine del secondo tempo sono dietro di quattro stoccate e a quanto pare, visto che penso a quanto sono puzzolente, non vedo l’ora di trovarmi sotto una doccia. Il mio avversario è alto e corpulento (scaccio continuamente il pensiero “panzone maledetto”, il rispetto per l’avversario è sacro), una specie di gigante che sembra togliermi anche l’aria intorno. Prima mi ha tirato una botta dritta e io non ho detto ah, di nuovo sorpreso dalla sua velocità, chissà come fa a essere così rapido, panz… grosso com’è. Mi ha fatto male, mi verrà un livido grosso come un cd, un tondo bruno a sbucare dal colletto della camicia, è quasi estate. Intanto suona la fine del tempo, mi tolgo la maschera neanche stessi affogando. Lui, l’avversario, è lindo e asciutto come un figurino nella sua divisa immacolata e ridacchia col suo maestro, sento che chiede chi dovrebbe incontrare alla prossima diretta e io giuro a me stesso che tiferò per lui ma so che non lo farò. Mi guardo un po’ intorno e vedo arrivare da ore undici uno mai visto prima, sui settanta e vestito di marrone. Ha le gambe storte come un buttero e cammina caracollando tanto che gli guardo i piedi aspettandomi di vedere gli speroni. Viene deciso verso di me e con l’indice sulla bocca dice “togligli la misura” e io sto per rispondere “beh, mi riuscisse…” quando lui con passi veloci come in un sogno mi fa vedere come. Eccone un altro veloce come non dovrebbe, penso, ma sono rapito da quella specie di danza che ora ripete ancora più lesta. “Capito come?, e suonati dentro una musica che ti piace, ritmata abbastanza. Dentro, capito?, nella tua testa.” Il giudice ci richiama e io sono talmente concentrato nel pensare alla musica giusta che neanche s’è spenta la “i” dell’ a voi che mi becco un’altra botta, sempre dritta e sempre nello stesso punto. Dodici a sette, insomma è finita, guardo di lato e vedo il vecchio in marrone che scuote la testa e poi fa due movimenti in avanti con il collo quasi fosse un piccione, però a me fa piuttosto pensare a qualcuno che segue il battere di un tamburo, qualcosa di tribale, di rituale. In quell’istante sento la mia musica, inutile dire il titolo, è un pulsare elettronico, puro ritmo e nessuna melodia, incalzante a forse centottanta battute al minuto. Infatti lui, l’avversario, vorrebbe fare la stessa cosa di prima ma questa volta sciolgo la misura nella danza del vecchio, due passi indietro, quasi un ocho da tango ma alla velocità del fulmine e lui rimane inchiodato nel suo affondo, la punta della spada a trenta lunghissimi centimetri dalla mia clavicola dolorante. Gli prendo il ferro in terza e quasi mi dispiace da come è facile, la mia spada si flette in un arco esatto contro il suo petto. Ora vorrei rovesciare la testa indietro e ridere ma guardo il mio maestro misterioso e lui ha le labbra stirate, proprio così, vuole dire. Poi tocco due volte di fluetto la mano avversaria e urlo di gioia nella mia nuvola di puzzo acido. Lo raggiungo, vado in vantaggio, l’ultimo punto lo faccio in onore del vecchio, aspetto l’affondo e poi di nuovo quell’ocho indietro che risolvo in un arresto. Le maschere di noi due contendenti fanno fini diverse, io me la tengo fra le mani come un bacile da suffumigi e aspiro forte, lui la sbatte con violenza a terra. Voglio sapere tutto di quel vecchio, penso, ma lo vedo svicolare con la sua buffa andatura verso l’uscita e quando finalmente mi libero dal rullo e mi metto a correre, fuori c’è un deserto da periferia. Il mio livido diventa verdognolo, poi giallo, prima di scomparire è un’ombra appena visibile, passa l’estate e comincia la nuova stagione. Non ho più saputo nulla del vecchio, ho chiesto in giro ma nessuno sa niente di lui, nessuno lo ricorda. Magari è un vecchio maestro dimenticato, oppure un eccentrico appassionato di scherma che inganna la pensione in giro per palazzetti e palestre, ma a Gennaio sono quasi convinto di averlo sognato. Poi una sera esco molto tardi dalla sala e fuori dal cancello c’è la sua piccola figura intabarrata in un pesante cappotto, dondola sulle gambe storte, quasi non gli vedo la faccia. “Poi, quella volta, sono uscito alla terza diretta, non male però” gli dico. Lui stira chiedergli le chi labbra, sia ma lo lui sapevo mette di già, vuole dire. l’indice sulla bocca: Sto “se per mi accompagni per un po’ ti racconto una storia, ma tu non la dire in giro”, poi comincia a camminare e fatti due passi si volta per vedere se lo sto seguendo. Camminiamo accanto, fa un freddo cane, sul marciapiede facciamo un’unica grande ombra dalla forma strana.