FaiLaCosaGiusta News

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FaiLaCosaGiusta News
numero 4 - marzo 2006
Foglio di informazione elettronico di Vittorio Agnoletto - Europarlamentare del gruppo GUE/NGL
Su Internet: www.vittorioagnoletto.it E-Mail: [email protected]
Ringraziandovi degli apprezzamenti e delle critiche costruttive alla tre precedenti edizioni, inviamo
copia del quarto numero di FaiLaCosaGiusta News. L’augurio è sempre lo stesso: che sia un modo
discreto ed efficace di tenervi aggiornati sui fatti e misfatti di Vittorio Agnoletto in quel di Strasburgo e
Bruxelles.
Sommario
INTRO - “Risoluzione Agnoletto sui diritti umani: e ora?” di Vittorio Agnoletto
ATTIVITÀ PARLAMENTARI I – Interventi in aula e prese di posizione:
1) 1)
14 novembre 2005: Centri di detenzione segreti in Europa
2) 2)
16 gennaio 2006: Omofobia in Europa
3) 3)
16 gennaio 2006: Dopo la conferenza ministeriale del WTO a Hong Kong
4) 4)
14 febbraio 2006: Clausola diritti dell’uomo e democrazia negli accordi UE
Altra dichiarazione di voto: 17 novembre 2005, Codice di condotta europeo sull’esportazione
delle armi
Dichiarazione scritta per il diritto all'assistenza sanitaria esteso a tutti i residenti in Europa
Dalla data di presentazione del testo, gli eurodeputati proponenti hanno tre mesi di tempo
per raccogliere le adesioni della maggioranza qualificata dei loro colleghi. Quindi, in questo
caso, se entro il prossimo 16 aprile sottoscriverà la dichiarazione il 50 per cento più uno dei
parlamentari europei, il testo verrà trasmesso alla Commissione e al Consiglio europei, oltre
che ai parlamenti nazionali degli stati membri:
5) 16 gennaio 2006: Diritto all'assistenza sanitaria per tutti i residenti in Europa
ATTIVITÀ PARLAMENTARI II – Interrogazioni a Commissione e Consiglio:
1) 1)
8 novembre 2005: Continui massacri in Iraq
2) 2)
8 novembre 2005: Massacro a San José de Apartado, Colombia e impunità
colpevoli
3) 14 novembre 2005: Centro trasfusionale del Policlinico di Milano e donazioni
sanguigne da parte di cittadini omosessuali
4) 22 novembre 2005: Omosessualità, marcia per l'uguaglianza in Polonia
5) 5 dicembre 2005: Repressione dell'utilizzo di internet da parte della Repubblica
popolare cinese (con risposta del Consiglio in data 14 febbraio 2006)
6) 20 dicembre 2005: Sgombero forzato in Kenya del "Deep Sea Village" a Nairobi e
violenze della polizia kenyota nella discarica di "Dandora"
7) 23 dicembre 2005: Inceneritore di rifiuti a Scarpino, nel Parco di Monte Gazzo
(Genova)
8) 13 febbraio 2006: Asse "Torino-Lione" e pestaggi da parte della polizia italiana ai danni
di deputati europei e di cittadini della Val di Susa che dimostrano pacificamente
9) 14 febbraio 2006: Ustica
10) 14 febbraio 2006: Arresto del cittadino turco Mehmet Tarhan e diritto all'obiezione di
coscienza in Turchia
A VOLTE SI OTTIENE ANCHE QUALCHE RISULTATO: MEHMET É STATO LIBERATO!
(v. comunicato stampa del 13 03 06)
11) 3 marzo 2006: Continui massacri nelle comunità colombiane
ATTIVITÀ PARLAMENTARI III – Documenti, mozioni e risoluzioni approvate:
1) 1) Decisione del Parlamento europeo sulla costituzione di una commissione
temporanea sul presunto coinvolgimento di paesi europei, da parte della CIA, nel
trasporto e la detenzione illegale di prigionieri:
http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20060012+0+DOC+XML+V0//IT&LEVEL=4&NAV=X&L=IT
2) 2) Risoluzione del Parlamento europeo sulla sesta relazione annuale del Consiglio
elaborata ai sensi della misura operativa n. 8 del codice di condotta dell'Unione
europea per le esportazioni di armi:
http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20050436+0+DOC+XML+V0//IT&LEVEL=4&NAV=X&L=IT
3) 3) Risoluzione del Parlamento europeo sull'omofobia in Europa:
http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20060018+0+DOC+XML+V0//IT&LEVEL=4&NAV=X&L=IT
4) 4) Risoluzione Agnoletto sulla clausola relativa ai diritti dell'uomo e alla democrazia
negli accordi dell'Unione europea:
http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20060056+0+DOC+XML+V0//IT&LEVEL=4&NAV=X&L=IT
APPROFONDIMENTI E RIFLESSIONI:
1) 1) Da Carta: "L'Italia fuori dall'Europa", articolo sulle strategie UE in materia di
droghe, di Vittorio Agnoletto e Paolo La Marca
2) 2) Da Il manifesto: "Dietro l'alibi dei fondi europei", editoriale di Vittorio Agnoletto
sull'alta velocità
3) 3) Un punto di vista esterno: "Lo scandalo che tutti tacciono" di Raffaele Salinari,
presidente di Terre des hommes international, portavoce Coordinamento italiano network
internazionali
"BATTI E RIBATTI" SUL WTO, DAL QUOTIDIANO LIBERAZIONE:
- "Abbiamo perso: necessario un esame di coscienza", 18 dicembre 2005
- "Agnoletto dice «al WTO abbiamo perso noi». Caro Vittorio, ma noi chi?",
di Pierluigi Sullo, direttore di Carta, 21 dicembre 2005
- "Ha ragione Agnoletto...", di Salvatore Cannavò, 22 dicembre 2005
INIZIATIVE E APPUNTAMENTI:
1) 21 marzo 2006: XI Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle
mafie,
a Torino, organizza Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie
http://www.libera.it
2) 17-24 aprile 2006: missione GUE in Cina: le relazioni commerciali tra UE e Cina
3) 4-7 maggio 2006: IV Forum sociale europeo, Atene;
seminari dell'associazione culturale Puntorosso, Forum mondiale delle alternative,
Fondazione Rosa Luxemburg, Transform, TNI - Transnational institute, Clat, Encod: «War on
drugs, narcomafie e globalizzazione neoliberista», «Violazione dei diritti umani fuori e
dentro l'UE: quali strumenti pratici di intervento da parte di società civile e movimenti?»,
«Sinistra europea e movimenti: quale spazio per la costruzione di un nuovo soggetto
antiliberista, radicale, in grado di unire culture e pratiche politiche di tradizioni diverse?»
http://www.fse-esf.org
http://www.athens.fse-esf.org,
http://www.socialforum.gr/italiano_index.htm,
http://www.worldsocialforum.com
4) 10-13 maggio 2006: “Encuentro social America Latina, Europa y el Caribe” in occasione
del IV Summit UE-America Latina a Vienna: http://www.alternativas.at/
ALTRE INFORMAZIONI:
1) 1) Gli incarichi di Vittorio al Parlamento Europeo
2) 2) La squadra dei collaboratori
3) 3) Elenco degli ultimi articoli pubblicati
“Risoluzione Agnoletto sui diritti umani: e ora?” di Vittorio Agnoletto
L'ultima volta che mi sono rivolto a voi annunciavo il voto del Parlamento europeo sulla clausola per
la democrazia, progetto del quale ero stato nominato relatore. Oggi torno a parlarvi di quella che
ormai è diventata la «risoluzione Agnoletto», come viene chiamata nei corridoi e nelle aule di
Bruxelles e Strasburgo e, visto il tema, non vi nego che ne sono orgoglioso.
Anzitutto, i fatti. Eravamo rimasti al 14 febbraio, giorno del voto sulla clausola europea sui diritti
umani e la democrazia nei rapporti tra l'UE e i Paesi terzi. Ebbene, è stata approvata a larghissima
maggioranza. L'europarlamento ha riconosciuto la priorità del rispetto dei diritti umani sui profitti.
Spetta ora alla Commissione Europea e al Consiglio trasformare la risoluzione approvata a
Strasburgo in una direttiva o comunque in una norma vincolante che d' ora in poi dovrà essere
applicata agli accordi commerciali tra l'UE e qualunque altro Paese, dagli Stati Uniti al Botswana, e
per qualunque intesa economica, anche settoriale, dalla pesca al tessile.
Il Parlamento, memore delle difficoltà registrate anche nel recente passato nei rapporti con gli organi
esecutivi dell'Unione, ha inserito al paragrafo 10 del documento approvato un preciso messaggio
che dovrebbe contribuire a richiamare la Commissione Europea al rispetto della volontà
parlamentare. «Il Parlamento sottolinea che non è più disposto a dare il proprio parere conforme a
nuovi accordi internazionali che non contengano una clausola relativa ai diritti dell'uomo e della
democrazia» si legge nel testo.
Un'affermazione perentoria che si aggiunge alla richiesta del Parlamento stesso di essere coinvolto
in tutte le decisioni relative all'assunzione o alla soppressione di provvedimenti sanzionatori verso
Paesi non rispettosi dei diritti umani o delle regole democratiche.
Purtroppo, quella che appare come una vittoria a tutto campo, soprattutto per le associazioni e le
Ong che mi hanno aiutato nella stesura della clausola, è solo il primo passo di un iter politico per
nulla scontato.
Recentemente ho infatti constatato come la Commissione non sempre tenga in seria considerazione
le mozioni approvate dal Parlamento, quando queste non rientrano in atti vincolanti sul piano
giuridico, come in caso di codecisione (procedura nella quale i due organi hanno lo stesso peso
politico) o di parere conforme (un voto necessario del Parlamento europeo su un dossier).
Emblematico di questa situazione è il caso di una risoluzione per la quale mi sono impegnato a
fondo, per i percorsi che contraddistinguono la mia vita professionale. Si tratta della mozione
congiunta per la lotta all'AIDS, approvata il 2 dicembre 2004, che chiedeva alla Commissione un
impegno preciso per ottenere, in seno all'Organizzazione mondiale del Commercio, la modifica degli
accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale. L'obiettivo era quello di facilitare l'accesso ai farmaci
antiretrovirali per le popolazioni del sud del mondo.
Nonostante la gravità del problema e la necessità di un intervento tempestivo, la Commissione
europea non ha dato alcuna continuità alle richieste del Parlamento. Anzi, tramite un suo
rappresentante, ha pubblicamente dichiarato, in un'audizione parlamentare organizzata a Bruxelles,
di non avere alcuna intenzione di aprire un contenzioso con le grandi multinazionali del farmaco.
Molto dipende quindi dalla determinazione con la quale il Parlamento intende perseguire gli obiettivi
che si è dato. Anche a costo di avviare un vero e proprio braccio di ferro con la Commissione e il
Consiglio, com'è successo anche di recente, ad esempio nel voto contro l'estensione del copyright
nel software.
Appurato per tanto il rischio di "un buco nell'acqua", mi sono premunito. Lo stesso 14 febbraio, in
qualità di relatore della risoluzione approvata, ho chiesto ed ottenuto un primo incontro con Benita
Ferrero Waldner, commissaria europea per le Relazioni esterne. É così cominciato un confronto tra
Parlamento, Commissione e Consiglio finalizzato ad individuare le modalità con le quali la
«risoluzione Agnoletto» verrà recepita dagli organi esecutivi dell'UE.
Fin dal primo faccia a faccia ho cercato di verificare nel modo più immediato la disponibilità della
Commissione a recepire il messaggio del Parlamento, chiedendo l'intervento della commissaria su
tre casi internazionali, paradigmatici delle contraddizioni tra interessi commerciali dell'UE e rispetto
dei diritti umani.
Il primo è la richiesta di una forte pressione sulla Colombia per evitare nuovi massacri di civili e
chiedere l'individuazione dei responsabili delle violenze ai danni della comunità di pace di san Josè
de Apartado.
Quindi, la liberazione di Mehmet Tarhan, obiettore di coscienza turco, condannato per essersi
rifiutato di prestare servizio militare.
Infine, un richiamo importante a difesa dell'associazione dei diritti umani tunisina, posta sotto
processo e impedita nel proprio lavoro dal governo maghrebino. Colombia, Turchia e Tunisia sono,
per motivi differenti, Paesi con i quali l'Unione europea ha forti legami economici e politici. Per tanto,
i tre esempi di violazioni dei diritti delle persone che li riguardano rappresentano un campo di prova
ottimale per la clausola.
Nel caso della Colombia, la commissaria si è impegnata ad inviare una lettera al ministro degli Esteri
di Bogotà, con la richiesta di maggiori garanzie e giustizia per i contadini della comunità di san Josè.
Per quanto riguarda il pacifista turco, mi ha assicurato che alcuni progressi erano già stati fatti e che
la diplomazia europea stava seguendo con attenzione la vicenda. Mehmet Tarhan è stato poi
scarcerato il 9 marzo scorso, dopo 11 mesi di prigionia.
In merito alla Tunisia, al contrario, ha ricordato che il Paese nordafricano è il principale partner
economico della regione mediterranea ed é "nostro interesse" non indebolire l'attuale governo, già
minacciato dal rafforzamento dell'integralismo musulmano. Quindi, su questo punto specifico,
nessuna risposta alla mia richiesta.
Vi sarà quindi chiaro che il confronto con la Commissione europea sull'applicazione della clausola è
appena iniziato. A fine marzo incontrerò nuovamente un suo rappresentante. Quel che é certo é che
il futuro della risoluzione per i diritti umani dipenderà in buona parte da quanto il Parlamento
incalzerà la Commissione.
Un segnale positivo, tuttavia, c'è già stato, in quanto l'assemblea di Strasburgo ha chiesto una
verifica annuale sull'attuazione della clausola per la democrazia, nel corso della relazione sui diritti
umani nel mondo.
Lungi dallo scoraggiarci, comunque, abbiamo già in mano un mezzo concreto che le associazioni e
le Ong possono sfruttare sin da ora, nella consapevolezza che il Parlamento europeo le ha già
individuate come partners ideali per l'implementazione e il controllo dell'attuazione della clausola.
É da sottolineare inoltre l'importanza del carattere bidirezionale del vincolo al rispetto dei diritti e
dunque l'elemento della reciprocità. In questo modo anche gli altri stati e le associazioni che
operano per la tutela dei diritti nei vari Paesi del globo avranno diritto di verificare in Europa il
trattamento riservato ad esempio agli immigrati nei centri di permanenza temporanea.
I sodalizi impegnati per il rispetto dei diritti umani hanno infatti la facoltà di chiedere, in ogni nazione
dove operano, la nascita dei consigli di associazione e delle sottocommissioni dei diritti umani,
organi di controllo formati da membri dell'UE e delle nazioni in cui gli stessi volontari prestano
servizio.
È un'opportunità da cogliere senza indugi. Significa cominciare a costruire concretamente ciò che
sul piano istituzionale è formalmente accettato ma la cui realizzazione richiede tempi piuttosto
lunghi. Con il pericolo che, in assenza di pressioni da parte dell'europarlamento, l'intero processo
subisca un arresto definitivo.
Per concludere, mi rendo conto di aver solo iniziato un percorso lungo e complesso. D'altro canto,
non sarebbe realistico pensare che l'UE da un momento all'altro interrompa tutti i rapporti
commerciali con i Paesi che non rispettano la dignità dei cittadini. Ma abbiamo con noi una nuova
«cassetta degli attrezzi», che contiene strumenti adatti a dare credibilità, sostanza e legittimità
giuridica alle richieste di tante associazioni che lottano per la difesa dei diritti umani, in ogni parte
del mondo.
Attività parlamentari I - 1
14 NOVEMBRE 2005
Centri di detenzione Cia in Europa
“Carceri segrete: gli abusi impuniti degli Stati Uniti”
Intervento di Vittorio in plenaria, a nome del gruppo GUE/NGL:
"Signor Presidente, onorevoli colleghi, il vicepresidente Frattini mi ricorda francamente – e non è un
insulto – quelle famose scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano. Lui invece ha
parlato, ma non ha avuto neanche il coraggio di dire che non si stava alludendo a generiche prigioni
nascoste, bensì a veri e propri centri di tortura messi a disposizione della CIA e degli USA da parte di
alcuni Stati europei.
Commissario Frattini, lei nega l’evidenza. Nega quanto è stato ammesso anche da alcune autorevoli
fonti statunitensi. Noi le chiediamo di condurre un’indagine. Certo è che se non si vogliono trovare le
prove, non le si troveranno mai...
Signor Commissario, lei forse non sa che il 17 febbraio 2003, a Milano, è stato rapito Abu Omar, ex
imam della moschea di via Jenner, e che i magistrati di Milano hanno trovato prove incontrovertibili
sulle responsabilità dirette della CIA e hanno chiesto l’estradizione di 22 agenti dell’intelligence
statunitense?
Quale posizione ha assunto la Commissione europea davanti a queste prove? Che cosa ha fatto
concretamente, di fronte a questa violazione del diritto di sovranità, per ottenere il rispetto, da parte
delle autorità statunitensi, della Convenzione sui diritti umani e sulla tortura? La Commissione non
ha fatto nulla.
Se questo è il passato, credo che ci sarà ben poco da sperare sull’azione futura della Commissione
europea..."
Attività parlamentari I - 2
16 GENNAIO 2006
Sull'omofobia in Europa
“Discriminare gli omosessuali significa violare i diritti umani”
Intervento in plenaria di Vittorio a nome del gruppo GUE:
“Signor Presidente, onorevoli colleghi, "o ci arriveremo insieme alla libertà, o non ci arriveremo":
sono queste le parole pronunciate da Martin Luther King quando lanciò la campagna per i diritti degli
afroamericani. Con tale monito intendeva dire che non esistono i "diritti dei neri" o i "diritti dei
bianchi" ma più semplicemente i diritti umani. Combattere l'omofobia non significa mostrare
comprensione verso una specifica fascia della popolazione ma significa, in primo luogo, difendere i
diritti umani.
Mi fa paura l'arroganza di chi nega a un omosessuale la possibilità di donare il sangue; mi fanno
paura le campagne discriminatorie di chi non sa parlare di comportamenti a rischio ma allude ancora
a soggetti a rischio nella lotta all'AIDS; o ancora coloro che vietano a un omosessuale, solo perché
tale, di guidare l'automobile.
Né posso tacere su una Commissione che si comporta come Ponzio Pilato. Non chiede il rispetto di
una direttiva, che pure esiste, contro le discriminazioni, mentre dovrebbe avviare le procedure di
infrazione contro le nazioni che non rispettano la libera scelta dell'orientamento sessuale: questo
avviene in Italia, in Polonia e tante altre nazioni. Non si tratta di un problema che tocca soltanto un
gruppo di persone, ma riguarda la dignità di tutta l'Unione europea”.
Comunicati stampa di riferimento: "Una procedura d'infrazione per i Paesi omofobici",
"Calderoli esprime omofobia e razzismo: si dimetta“ su www.vittorioagnoletto.it sezione “Articoli”.
Attività parlamentari I - 3
16 GENNAIO 2006
Sulla VI Conferenza ministeriale del WTO di Hong Kong
“Altro che round per lo sviluppo...”
Intervento di Vittorio in plenaria:
“Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo si doveva chiamare «round per lo sviluppo» ma
sinceramente la realtà mi appare ben diversa. Ha vinto l'egoismo del Nord del mondo, ancora una
volta, ha vinto l'interesse delle multinazionali statunitensi ed europee, ben sponsorizzate e
rappresentate dal lavoro della Commissione europea.
Come si fa a parlare di abbattimento del protezionismo o di difesa del libero mercato quando ognuno
dei 25mila coltivatori di cotone degli Stati Uniti riceve in media 114mila dollari l'anno in sovvenzioni?
Tale pratica produce una diminuzione del prezzo del cotone sul mercato internazionale pari al 15 per
cento. I 20 milioni di coltivatori africani vengono così ridotti alla fame: tra loro vi sono contadini di
Mali, Benin, Burkina Faso, Ciad, Niger, tutti Paesi che occupano gli ultimi posti nella graduatoria
dell'ONU dello sviluppo umano.
Come si fa a parlare di sviluppo quando viene prorogata fino al 2013 una politica fondata sul
dumping in campo agricolo, il cui risultato è quello di distruggere l'economia dei Paesi in via di
sviluppo, considerando che il 70 per cento della popolazione mondiale vive dei prodotti della terra?
L'Unione europea e gli Stati Uniti si sono rimpallati a vicenda le accuse ma concretamente nessuno è
stato disposto a tagliare subito i sussidi finalizzati all'esportazione del cotone. Questo significa
perpetrare un regime di monopolio dominato dalle multinazionali dell'agro-business.
Non abbiamo sentito una sola parola sulla necessità di inserire clausole sociali e di rispettarle. Non
solo, i Paesi in via di sviluppo sono stati costretti ad aprire i loro mercati ai prodotti industriali del
Nord, dovendo abbattere sensibilmente i loro dazi doganali. Ciò si traduce in una competizione
impari che darà il "colpo finale" all'industria fino ad ora sviluppatasi in Africa e nelle regioni povere
dell'Asia.
Inoltre le cifre degli aiuti allo sviluppo previsti non sono ancora state definite e è stato neppure
specificato se si tratta di aiuti veri e propri o di prestiti. Questi contributi appaiono come uno
specchietto per le allodole che si sta rivelando in tutta la sua falsità.
Viene aperto il mercato dei servizi: l'educazione e i servizi sociali e sanitari saranno sempre meno
diritti e sempre più merci, disponibili solo per chi potrà acquistarle.
Ancora, vi è il rischio che in questo mercato rientri anche l'acqua, una merce che nel prossimo
futuro farà concorrenza al petrolio, sarà "l'oro blu" che diventerà economicamente ambito quanto
"l'oro nero".
Per non parlare della situazione dell'accesso ai farmaci, nei fatti impedito ai 30 milioni di sieropositivi
che vivono in Africa.Vorrei sapere come è possibile, di fronte a questa realtà, parlare di «round dello
sviluppo»".
"In piazza contro il Wto con i dissidenti cinesi",
"Vittorio Agnoletto alla Wto di Hong Kong", "L'accordo sui farmaci anti Aids affossa i Paesi
poveri “, "Il fallimento annunciato del dogma «libero commercio = fine della povertà»", "Brevetti e
Articoli e comunicati stampa di riferimento:
farmaci: una condanna a morte per i Paesi poveri", "L'occidente affama i contadini", "Le ragioni dello
stallo nei negoziati", "Wto, un'associazione a delinquere", "La Wto non è democratica: tutti
partecipano ma pochi decidono", "Abbiamo perso: necessario un esame di coscienza", "I Paesi
africani e l'Unione europea" su www.vittorioagnoletto.it sezione “Articoli”.
Attività parlamentari I – 4
14 FEBBRAIO 2006
La clausola relativa ai Diritti umani e la democrazia negli accordi della UE
“Uno strumento di intervento per imporre i diritti sui profitti”
Intervento di Vittorio in plenaria, in occasione del voto sulla risoluzione Agnoletto:
"Signor Presidente, onorevoli colleghi, la clausola relativa ai diritti dell'uomo e alla democrazia ha
una lunga storia all'interno del Parlamento e parte dal presupposto che i diritti civili e politici ma,
intesi in senso lato, anche quelli economici, sociali e culturali, debbano essere al centro della
politica dell'Unione europea.
Le clausola nasce nei primi anni '90 con l'accordo di Lomé e, proprio nel 1990, è stata applicata
anche all'Argentina. Nella sua relazione annuale, il Parlamento europeo chiede ogni anno che questa
clausola assuma un maggiore significato ed esorta il Consiglio a conferire al Parlamento un ruolo
più importante nella sorveglianza della sua applicazione. Fino ad ora, le richieste del Parlamento non
hanno ottenuto risposte soddisfacenti. Attualmente la clausola è inserita in più di cinquanta accordi
e viene applicata a oltre centoventi paesi. A tale proposito, va sottolineata l'importanza dell'Accordo
di Cotonou, firmato con i Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) nel giugno del 2000, che ha potenziato
il ruolo di questa clausola.
Il Parlamento europeo deve dare il proprio parere conforme a un accordo prima della sua entrata in
vigore, ma non è chiamato a pronunciarsi sull'avvio di una consultazione o sulla parziale
sospensione di un accordo. Ciò sminuisce il suo ruolo istituzionale e, più in generale, politico.
Per tale motivo ritengo importante sottolineare che il Parlamento non è più disposto a dare il proprio
parere conforme a nuovi accordi internazionali che non contengono una clausola relativa ai diritti
dell'uomo e alla democrazia.
Il Parlamento ritiene poi di dover partecipare alla definizione del mandato negoziale relativo ai nuovi
accordi con Paesi terzi e, soprattutto, all'elaborazione delle loro finalità politiche e di promozione dei
diritti umani.
Inoltre, il Parlamento chiede di essere coinvolto nel processo decisionale concernente l'avvio di una
consultazione o la sospensione di un accordo, o ancora la sospensione di eventuali misure
adeguate negative che sono già state imposte a un paese.
Infine, chiede di essere associato al Consiglio di associazione e alle sottocommissioni sui diritti
umani e auspica che le sue delegazioni interparlamentari svolgano un ruolo rafforzato al riguardo,
iscrivendo regolarmente all'ordine del giorno delle riunioni le discussioni sulla clausola democratica.
Un altro elemento essenziale è la reciprocità tra l'Unione europea e i Paesi terzi, che finora non è
stata pienamente sfruttata.
Ritengo poi che la clausola debba essere applicata in relazione alla violazione di cui si discute e non
in relazione al Paese di cui si discute.
È altresì necessario estendere la clausola a tutti i nuovi accordi tra l'Unione europea e i Paesi terzi industrializzati o in via di sviluppo - includendo gli accordi settoriali e gli aiuti commerciali, tecnici o
finanziari, sull'esempio di quanto è stato realizzato finora per i paesi ACP.
É necessario prevedere l'iscrizione sistematica delle questioni attinenti ai diritti umani all'ordine del
giorno del Consiglio di associazione. A tale proposito, si ritiene che il capo delle delegazioni esterne
della Commissione nei paesi terzi debba svolgere un ruolo più importante e si chiede l'elaborazione
di documenti strategici pluriennali paese per paese, che devono essere discussi regolarmente.
É inoltre previsto un dialogo strutturato tra il Consiglio di associazione e la sua sottocommissione
sui diritti umani. Si chiede l'istituzione generalizzata delle sottocommissioni sui diritti umani,
incaricate di verificare il rispetto, l'applicazione e l'implementazione della clausola democratica,
nonché di proporre azioni specifiche positive, volte al miglioramento della democrazia e dei diritti
umani. É importante sottolineare che si chiede l'inclusione e la consultazione in queste
sottocommissioni dei rappresentanti dei parlamenti e delle organizzazioni della società civile.
Vi è poi un ulteriore aspetto estremamente importante. Con questa risoluzione noi riconosciamo che
fino ad ora l'applicazione della clausola è stata resa più difficile dal requisito dell'unanimità in seno
al Consiglio per l'avvio di una procedura di consultazione. Si chiede pertanto l'abolizione
dell'unanimità e, a tal fine, la revisione dell'articolo 300, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la
Comunità europea, e limita il ruolo del Parlamento europeo in questi casi.
Infine, se da un lato si ritiene che la clausola debba essere applicata a tutti i Paesi e a tutti gli
accordi, dall'altro lato si ritiene che con gli stati interessati dalla nuova politica di vicinato si
potrebbe prevedere la firma di accordi che vadano oltre la clausola democratica, basati sulla
condivisione di istituzioni comuni per la promozione dei principi democratici e dei diritti umani,
sull'esempio del Consiglio d'Europa e degli accordi regionali”.
Comunicati stampa di riferimento: "I diritti prima dei profitti", "La nuova clausola per i diritti umani
firmata Agnoletto" su www.vittorioagnoletto.it sezione “Articoli”.
Dichiarazione scritta I – 5
16 GENNAIO 2006
Diritto alle cure mediche anche per chi non è in regola col permesso di soggiorno
“Assistenza sanitaria per tutti i residenti in Europa”
Dichiarazione scritta di Vittorio Agnoletto, Giovanni Berlinguer e altri eurodeputati, realizzata su sollecitazione
di alcune associazioni che si occupano specificamente di diritti dei migranti, ovvero: Naga (Associazione
volontaria di assistenza sociosanitaria e per i diritti di stranieri e nomadi onlus), Area sanitaria della Caritas e
Oikos onlus e altre.
"Il Parlamento europeo,
–
visto l'articolo 116 del suo regolamento,
A.
considerando che il diritto alla salute si configura come diritto umano fondamentale e che a
questo titolo è necessario estendere in Europa l'assistenza sanitaria, le cure ambulatoriali ed
ospedaliere urgenti o essenziali anche a tutti i cittadini non europei, compresi quelli non
regolari,
B.
considerando che Italia, Francia, Belgio, Germania, Regno Unito e Spagna hanno già da
tempo approvato leggi e/o procedure adeguate per garantire ai cittadini di paesi terzi, anche
temporaneamente non in regola con le norme relative all'ingresso e al soggiorno nel
territorio degli stati membri, varie forme di accesso alle cure mediche essenziali,
C.
considerando che il quadro normativo descritto tutela solo in parte i diritti degli individui
presenti nel territorio dell'Unione e non garantisce un livello uniforme di servizi,
1.
invita la Commissione a proporre una direttiva europea che, senza recare pregiudizio alle
responsabilità nazionali in materia, indichi le condizioni di assistenza sanitaria minima da
garantirsi a tutti gli stranieri, compresi quelli sprovvisti di regolare permesso di soggiorno;
2.
invita la sua commissione competente a farsi promotrice di un'audizione pubblica che
monitori la situazione legislativa dei vari Stati Membri in materia, in modo da suggerire una
"armonizzazione verso l'alto" di tale legislazione;
3.
incarica al suo presidente di trasmettere la presente dichiarazione, con l'indicazione dei nomi
dei firmatari, al Consiglio, alla Commissione, ai governi ed ai parlamenti degli stati membri".
Attività parlamentari II – 1
Interrogazione al Consiglio sui continui massacri in Iraq
Presentata in data 21 giugno 2005
Risposta ottenuta in data 8 novembre 2005.
Testo interrogazione Agnoletto.
"Il 17 maggio 2005, in Iraq, è stato compiuto un massacro che in apparenza coinvolge direttamente le
forze irachene di sicurezza e le forze alleate. Testimoni iracheni hanno fatto sapere che forze speciali
del ministero dell'Interno e del "Wolf Battalion" hanno arrestato il 17 maggio 2005 52 musulmani
sunniti nei dintorni di Al-Sa'ab, nel Adhamiya District di Bagdad. Dieci ore più tardi, i corpi di tredici
persone sono stati ritrovati, con evidenti segni di tortura e maltrattamenti (Si allega la lista dei nomi
delle persone i cui corpi sono stati ritrovati in quell'occasione). Le forze di occupazione angloamericane starebbero mettendo in pratica delle misure di allontanamento dei musulmani sunniti
dell'area.
É a conoscenza il Consiglio della strage che avrebbe avuto luogo il 17 maggio scorso, e a chi ne
imputa la responsabilità? Come intende attivarsi il Consiglio nei confronti degli Stati membri
direttamente coinvolti nella guerra in Iraq, affinché sia fatta luce sull'accaduto?"
Risposta del Consiglio, in data 8 novembre 2005
"Il Consiglio non ha discusso gli avvenimenti menzionati nell'interrogazione.
Spetta alle autorità irachene indagare al riguardo. Per migliorare la capacità dell'Iraq in questo
settore l'UE ha avviato una missione integrata sullo stato di diritto per l'Iraq, imperniata sulla
formazione di giudici, pubblici ministeri, funzionari di polizia e del sistema penitenziario iracheni.
L'obiettivo dell'UE è un Iraq sicuro, stabile e unificato che rispetti i diritti umani, eserciti pienamente
la propria sovranità e cooperi in maniera costruttiva con i vicini e con la comunità internazionale".
Attività parlamentari II – 2
Interrogazione al Consiglio sul massacro di san José de Apartado, in
Colombia e sull'impunità per vari crimini commessi ai danni della
popolazione
Presentata in data 13 luglio 2005
Risposta ottenuta in data 8 novembre 2005.
Testo interrogazione Agnoletto.
"La comunità di pace di san José de Apartado, una comunità pacifica che tenta di restare al di fuori
del conflitto armato, è oggetto di numerose critiche da parte dell'attuale governo. Il governo
colombiano ha infatti pubblicato un documento terminologico per la cooperazione internazionale in
cui vieta l'appoggio a esperienze di comunità di pace.
In seguito al massacro di otto civili, tra cui il capo della comunità e diversi bambini, varie
organizzazioni di difesa dei diritti dell'uomo hanno deciso di portare il caso della recente strage di
san José dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aia.
Intende il Consiglio adottare un ruolo più attivo in materia di difesa delle comunità di pace e delle
comunità indigene in Colombia o ritiene, come il governo colombiano, che tutti debbano prendere
parte al conflitto?
Che cosa intende fare il Consiglio per sostenere le vittime e la lotta contro l'impunità in Colombia?
Appoggia il Consiglio l'iniziativa volta a portare gli autori del massacro di san José de Apartado
dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia?"
Risposta del Consiglio, in data 8 novembre 2005
"L'UE è intervenuta più volte, anche al massimo livello, per difendere le comunità di pace e le
comunità indigene della Colombia, dichiarando inoltre apertamente che qualsiasi strategia che rischi
di coinvolgere nel conflitto larghi strati della popolazione non può costituire un sostegno al
processo di pace e di conciliazione. Le repliche da parte del Governo colombiano sono state
rassicuranti.
Da quando il Congresso colombiano ha adottato la legge sulla giustizia e sulla pace, il Consiglio sta
seriamente riconsiderando il suo approccio, come prevedono le conclusioni del Consiglio del
dicembre 2004. Il governo colombiano è consapevole del fatto che la comunità internazionale, in
particolare l'UE, non può tollerare né sostenere un piano che prevede l'impunità per reati gravi,
specificamente quelli contro l'umanità.
Le missioni dell'UE hanno seguito da vicino le indagini sul massacro di san José de Apartado. Il
Consiglio non ha preso in esame un eventuale sostegno alla consegna degli autori alla Corte
Internazionale di Giustizia".
Attività parlamentari II – 3
Interrogazione alla Commissione sul Centro trasfusionale del
Policlinico di Milano e donazioni di sangue da parte di cittadini
omosessuali
Presentata in data 4 ottobre 2005
Risposta ottenuta in data 14 novembre 2005.
Testo interrogazione Agnoletto
"Il 16 agosto 2005 lo scrittore italiano Paolo Pedote si è visto rifiutare, in quanto gay, dal Centro
trasfusionale del Policlinico di Milano, diretto dal professor Paolo Rebulla, la possibilità di donare
sangue. Questo episodio ha evidenziato come il rifiuto delle donazioni di sangue da parte di uomini
omosessuali corrisponda, in tale ospedale, a una politica e a una pratica generalizzata.
Il vicepresidente dell'associazione "Amici del Policlinico" ha affermato: "Il problema é
esclusivamente sanitario. I test ci dicono che il sangue di eventuali donatori maschi omosessuali
non é sicuro al cento per cento. Se lo fosse, non avremmo problemi ad accettarlo, così come
facciamo con le omosessuali donne". Occorre ricordare non solo che tutto il sangue donato deve
essere sottoposto a specifici test e che nessuno può essere ritenuto a priori sicuro al 100%, ma
anche che tale affermazione, così come i comportamenti conseguenti, sono in netto contrasto, sul
piano scientifico, con quanto dichiarato da anni dall'UNAIDS e dai più prestigiosi centri di ricerca
che parlano di "comportamenti a rischio" (indipendentemente che siano praticati da eterosessuali o
da omosessuali) e non di "orientamenti sessuali a rischio".
Non ritiene la Commissione di dover censurare tale decisione, infondata sul piano scientifico e
contraria ai trattati istitutivi dell'Unione Europea che proibiscono solennemente discriminazioni
fondate sull'orientamento sessuale? Non ritiene la Commissione di dover chiedere allo Stato italiano
di intervenire urgentemente per modificare tale situazione?"
Risposta di Markos Kyprianou a nome della Commissione, in data 14 novembre 2005
"Allo scopo di proteggere la salute pubblica e di prevenire la trasmissione di malattie infettive ai
pazienti, è della più grande importanza che vengano prese tutte le misure di precauzione necessarie
sia precedentemente che durante la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la
distribuzione del sangue umano donato da cittadini europei e dei suoi componenti. È per questo
motivo che il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la direttiva 2002/98/CE, che stabilisce
norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la
distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti allo scopo di assicurare un elevato livello di
protezione della salute umana, in conformità con l'articolo 152 del trattato che istituisce la Comunità
europea.
L’articolo 29 della direttiva 2002/98/CE fa obbligo alla Commissione di sviluppare i requisiti tecnici
che riguardano, tra l’altro, le informazioni da richiedere ai donatori potenziali compresi i requisiti
relativi all’idoneità dei donatori di sangue e di plasma, che comprendono criteri di esclusione
permanente ed eventuali deroghe. I “Criteri di idoneità dei donatori di sangue intero e di
emocomponenti” sono fissati all’allegato III della direttiva della Commissione 2004/33/CE. I criteri di
“esclusione permanente di donazioni allogeniche” comprendono tra l’altro “persone che abbiano
avuto o che potrebbero avere un comportamento sessuale ad alto rischio di trasmissione di malattie
infettive". Tali requisiti tecnici si applicano in modo uniforme a tutti i donatori di sangue dell’Unione
europea."
Attività parlamentari II – 4
Interrogazione alla Commissione sulla marcia dell'uguaglianza a
Poznan, in Polonia
Presentata in data 22 novembre 2005
Risposta ottenuta in data 28 novembre 2005
Testo interrogazione Agnoletto, Musacchio, Zingaretti, Frassoni, Rizzo, Catania, Pannella, Fava, Sbarbati, Di
Pietro, Chiesa, Guidoni, Bonino
"L'omosessualità va rispettata ma non deve essere promossa": questa la motivazione all'origine
della decisione del sindaco di Poznan (Polonia occidentale) Ryszard Grobelny, che ha vietato di
tenere nella sua città una Marcia di uguaglianza indetta per il 19 novembre in occasione della
Giornata internazionale della tolleranza dell'Unesco. La decisione del sindaco ha trovato il sostegno
delle autorità regionali e si iscrive probabilmente nel nuovo corso politico polacco.
Gli organizzatori non hanno tuttavia rinunciato al corteo previsto.
Decine di arresti sono stati effettuati durante la manifestazione. Le forze dell'ordine sono intervenute
subito dopo il suo inizio, fermando diversi attivisti, ma anche numerosi oppositori alla marcia
dell'orgoglio gay riunitisi per protestare contro il corteo. "'Stop all'omofobia" e "Libertà di parola"
erano alcuni degli slogan scanditi dai partecipanti, sostenuti nella loro battaglia da organizzazioni in
difesa dei diritti umani come Amnesty international.
Non ritiene la Commissione, incaricata del controllo sui Trattati, che le autorità polacche abbiamo
violato gli articoli 10 (Libertà di espressione) e 11 (Libertà di riunione e di associazione) della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo nonché gli articoli 10 (Libertà di pensiero, di coscienza e
di religione) e 11 (Libertà di espressione e d'informazione) della Carta europea dei diritti
fondamentali, proclamata a Nizza?
Che misure intende prendere la Commissione per garantire pienamente la libertà di espressione in
Polonia?"
Risposta del signor Spidla a nome della Commissione, in data 28 novembre 2005
"La Commissione ritiene che la libertà di espressione e di informazione come anche la non
discriminazione a motivo delle tendenze sessuali, consacrate rispettivamente negli articoli 11 e 21
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sono parte integrante dei principi costitutivi
dell’Unione europea.
La Commissione è fortemente impegnata ai fini dell’eliminazione delle discriminazioni in tutti gli stati
membri, compresa la Polonia, laddove la questione rientri nelle competenze comunitarie. In tale
ambito la Commissione si adopera per prevenire le discriminazioni a motivo delle tendenze sessuali
come statuito all’articolo 13 del trattato CE.
La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la
parità di trattamento in materia di occupazione, di condizioni di lavoro e di formazione professionale
è un esempio concreto di un’azione intrapresa in tale ambito. La direttiva proibisce la
discriminazione a motivo, tra l’altro, delle tendenze sessuali per quanto concerne l’accesso
all’occupazione e alla formazione professionale, le condizioni di lavoro e la partecipazione a
organizzazioni di lavoratori o datori di lavoro.
Gli eventi verificatisi a Poznan il 19 novembre 2005 esulano però dal campo di applicazione della
direttiva. La Commissione non dispone di una competenza generale per intervenire a favore di
cittadini dell’UE in tali questioni. La sua competenza può essere invocata soltanto nei casi in cui sia
in gioco la legislazione comunitaria. Tale principio, espresso nella giurisprudenza della Corte di
giustizia europea, è anche ribadito all’articolo 51 della Carta il quale recita: “Le disposizioni della
presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di
sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione …".
È comunque utile ribadire che, se una persona ritiene che i suoi diritti fondamentali siano stati
violati, può rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per ottenere riparazione dopo aver
esperito le vie di ricorso nazionali".
Attività parlamentari II – 5
Interrogazione alla Commissione e al Consiglio sulla repressione
dell'uso di internet da parte della Repubblica popolare cinese
Presentata in data 29 settembre 2005
Risposta ottenuta in data 5 dicembre 2005.
Testo interrogazione Agnoletto alla Commissione.
"Il governo di Pechino ha elaborato e si appresta ad applicare un nuovo inaccettabile "regolamento",
che reprime duramente gli utilizzatori cinesi di internet e soprattutto coloro che partecipano ai
"gruppi di discussione", paventando pericoli "per la sicurezza nazionale e l'interesse pubblico". I
media on line devono registrarsi presso gli uffici della censura governativa e "essere diretti al
servizio delle persone e del socialismo". Questo nuovo regolamento punta a censurare anche
l'azione delle ONG, definite "elementi di sabotaggio" del sistema cinese.
Non intende la Commissione proporre una sospensione della cooperazione tecnologico-informatica
con la Cina fino a quando non otterrà garanzie che tale repressione non verrà sospesa? Come
intende agire la Commissione per non partecipare in termini tecnologici a questa nuova "Tien An
Men informatica", in evidente contrasto con le libertà politiche e civili individuali che sono alla base
dell'Unione europea? Quali sono i passi che la Commissione ha compiuto per comunicare alla
Repubblica Popolare Cinese la sua contrarietà a tali misure?"
Risposta della signora Ferrero-Waldner a nome della Commissione, in data 5 dicembre 2005
"La Commissione condivide le stesse preoccupazioni espresse dall’Onorevole parlamentare in
merito alle restrizioni imposte all’uso di internet in Cina. L’Unione europea ha costantemente
attribuito un ruolo di primo piano alla libertà di espressione nell’ambito del dialogo con la Cina,
prestando particolare attenzione da qualche tempo al tema dell’utilizzo di internet. Tale questione è
stata affrontata sia nell’ambito del dialogo bilaterale UE-Cina sui diritti umani, la cui ultima sessione
si è tenuta a Pechino lo scorso 24 e 25 ottobre, sia nel contesto del dialogo politico, anche ai
massimi livelli".
Risposta del Consiglio, in data 14 febbraio 2006
"Facendo riferimento alla risposta data all'interrogazione orale H-0900/05, il Consiglio torna a
ribadire che condivide le preoccupazioni dell'Onorevole parlamentare riguardo alle restrizioni della
libertà di espressione, anche su internet, in Cina. La questione è sistematicamente sollevata presso
le autorità cinesi a tutti i livelli, da ultimo in occasione del dialogo UE-Cina sui diritti umani che si è
svolto a Pechino il 24 e 25 ottobre 2005. Il Consiglio continuerà a sollevare questo tema con le
autorità cinesi".
Attività parlamentari II – 6
Interrogazione alla Commissione sullo sgombero forzato del Deep sea
village a Nairobi e violenze della polizia keniota nella discarica di
Dandora
Presentata in data 18 ottobre 2005
Risposta ottenuta in data 20 dicembre 2005
Testo interrogazione Agnoletto.
"Due gravi fatti di violenza ed ingiustizia hanno colpito nuovamente la città di Nairobi e la vita degli
abitanti delle sue baraccopoli. Il 23 settembre 2005, nella baraccopoli di "Deep Sea" (WestlandsNairobi, Kenya), migliaia di cittadini kenyoti sono stati fatti sloggiare coercitivamente da polizia,
militari e uomini assoldati per sgomberare gli slums stessi. Il 1° ottobre 2005, nella discarica del
Mukuru, tra Dandora e Korogocho (Eastlands – Nairobi, Kenya), un corteo di cittadini, pastori e preti
residenti nelle baraccopoli adiacenti alla discarica si è riunito pacificamente per rivendicare i propri
diritti alla salute, alla sicurezza e alla casa, ma sono stati attaccati con bottiglie, sassi e altri oggetti
contundenti per ben tre volte. Ci sono stati anche alcuni feriti. La polizia, che aveva autorizzato la
manifestazione e che avrebbe dovuto proteggerla, più volte chiamata per intervnire a difesa del
corteo, non si è presentata. Premesso che per la demolizione di "Deep Sea" il governo del Kenya ha
violato il Commento Generale n. 7 del 16 Maggio 1997 del Comitato sui diritti economici, sociali e
culturali dell’ONU (di cui il Paese africano fa parte) che attribuisce allo Stato “il dovere di astenersi
da qualunque sgombero forzato e di garantire che la legge sia applicata verso rappresentanti dello
Stato stesso o terze parti che attuano sgomberi forzati”, si vuole sapere:
1.
quali sono le valutazioni della Commissione sull'accaduto e quali pressioni intende esercitare
sul governo di Nairobi perché venga messa fine alla demolizione di "Deep Sea", soprattutto nel
momento in cui non vengono offerte alternative alle popolazioni locali;
2.
se esiste un impegno della Commissione nell'ambito della cooperazione UE-Kenya per
attivare progetti di costruzione di abitazioni che possano offrire alternative agli abitanti delle
baraccopoli di Nairobi, e più in generale del Kenya".
Risposta del signor Michel a nome della Commissione, in data 20 dicembre 2005
"1. Gli sgomberi effettuati nei paesi in via di sviluppo vanno considerati nel contesto della crescita
rapida e disordinata delle città. Le baraccopoli accolgono il 70% della popolazione urbana dell’Africa,
ovvero 180 milioni di persone. Secondo i rapporti di UN-Habitat, due residenti urbani su cinque
vivono in condizioni insalubri.
Purtroppo in Kenya non sono rari gli sgomberi forzati, come quelli segnalati nell’interrogazione. La
Commissione ritiene che, anche se giustificati, gli sgomberi debbano aver luogo solo dopo aver
esaminato a fondo il problema in tutte le dimensioni e basandosi sulla partecipazione e
consultazione delle persone o dei gruppi colpiti. Gli sgomberi forzati e per giunta violenti sono
inammissibili. È necessario infatti garantire un’adeguata risistemazione ed attuare delle misure di
accompagnamento, o altrimenti soprassedere agli sgomberi.
Nel quadro dell’accordo di Cotonou, l’Unione europea ha avviato con il governo del Kenya un
dialogo politico relativo, in particolare, al rispetto dei diritti umani, dei principi democratici, dello
stato di diritto e della governance. In tale contesto, la risoluzione 1993/77 della Commissione per i
diritti umani delle Nazioni Unite, del 10 marzo 1993, afferma che la pratica degli sgomberi forzati
costituisce una flagrante violazione dei diritti umani, e sollecita i governi alla restituzione immediata,
alla compensazione e/o alla consegna di un alloggio o terreno alternativo adeguati. Questo punto
sarà ribadito alle autorità kenyote.
2. Sebbene quello degli alloggi non sia uno dei settori chiave della cooperazione con il Kenya, la
Commissione sostiene il settore sociale e le popolazioni più povere del Kenya attraverso diversi
strumenti.
- La Comunità europea, assieme ad altri donatori, sostiene attivamente il programma Kensup, avente
una dotazione di 6 milioni di dollari e realizzato da UN-Habitat con il governo del Kenya. Il
programma mira all’elaborazione ed attuazione di un programma nazionale di ristrutturazione delle
baraccopoli. Tra gli interventi previsti si segnalano: l’elaborazione dei piani strategici, la
ristrutturazione degli alloggi, il miglioramento delle infrastrutture materiali e sociali e della gestione
dei rifiuti, nonché la creazione di attività generatrici di reddito e la lotta al virus
dell’immunodeficienza umana/sindrome da immunodeficienza acquisita (HIV/AIDS).
- Gli interventi di bilancio in favore della strategia per la riduzione della povertà (125 milioni di euro)
mirano a fornire un aiuto di bilancio al Kenya, rafforzare le capacità del Paese a ristabilire la crescita
ed assisterlo nelle azioni volte a ridurre la povertà. Una parte di questi aiuti è connessa al
miglioramento delle attività realizzate nei settori dell’istruzione e della sanità.
- La Commissione finanzia inoltre altre azioni finalizzate direttamente alle popolazioni più povere:
programmi di attività comunitarie (20 milioni di euro), che mirano ad aiutare le collettività locali ad
assumersi direttamente le responsabilità del proprio sviluppo e a sostenere le iniziative in materia di
biodiversità a beneficio delle comunità più vulnerabili;
programma di sanità a livello distrettuale (15 milioni di euro), che mira a garantire servizi sanitari
qualitativamente migliori, più facilmente accessibili e maggiormente sensibili al fabbisogno delle
comunità;
linee di bilancio (20 milioni di euro) - esecuzione di progetti da parte di organizzazioni non
governative ed organizzazioni internazionali, a copertura di interventi in numerosi settori: acqua,
sanità, attività generatrici di reddito, ambiente e foreste tropicali, diritti dell’uomo e buona
governance".
Attività parlamentari II – 7
Interrogazione alla Commissione sull'inceneritore di rifiuti a Scarpino,
nel Parco di Monte Gazzo (Genova)
Presentata in data 19 ottobre 2005
Risposta ottenuta in data 23 dicembre 2005.
Testo interrogazione Agnoletto.
Oltre 10mila cittadini della Valpolcevera hanno chiesto agli enti locali competenti l'istituzione di un
parco urbano in località Scarpino nelle aree già sito di importanza comunitaria SIC IT1331615 e SIC
IT1331501 su cui gravano danni ambientali rilevanti per la salute, provocati dalla discarica di rifiuti
esistente, le cui conseguenze d'inquinamento compromettono l'habitat marino del santuario per i
mammiferi marini Pelagos, istituito il 25.11.1999 tra Francia, Italia e Principato di Monaco e divenuto
esecutivo con legge 11.10.2001 n. 391.
Rischia ora di prodursi un ulteriore aggravamento delle condizioni ambientali in quest'area, se si
procedesse, come da delibera della Provincia di Genova 304/2005, sulla base della conferenza dei
sindaci del 25 luglio 2005, alla costruzione, a Scarpino, di un inceneritore di rifiuti urbani contiguo
alla discarica esistente. Attualmente la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani trattati
indiscriminatamente è ferma al 12,5%, ed è uno dei fattori responsabili del grave inquinamento delle
falde acquifere e dei rischi per la salute delle popolazioni, mentre l'obiettivo del decreto legislativo
Ronchi 11/1997 è di portarla ad almeno il 35% del totale.
Nessun obiettivo di incremento del riciclo e di separazione dei rifiuti, in coerenza con il decreto
Ronchi, viene richiamato dalla delibera 304/2005. Inoltre, l'incenerimento di rifiuti urbani non separati
provoca ricadute d'agenti inquinanti, quali diossine, furani, metalli pesanti, che si depositerebbero
nel percolato della discarica e nelle aree circostanti, con conseguente inquinamento del mare e
pesanti rischi per la salute pubblica.
Con sentenza del 13.1.2005 la Corte di giustizia europea ha rammentato l'obbligo degli stati membri
alla tutela ambientale adeguata dei SIC protetti e inseriti nelle liste nazionali note alla Commissione
europea. La Provincia ha intanto dato mandato al Comune di Genova, tramite la controllata AMIU, di
avviare una gara per assegnare lo studio di fattibilità dell'impianto e il suo inserimento operativo nel
piano finanziario comunale.
Intende la Commissione intervenire presso il governo italiano e la Provincia di Genova per verificare
se, nell'iter legislativo fin qui seguito nella scelta del sito e nel lancio della gara in corso, sia stata
interamente applicata la direttiva 2001/42/CE sulla valutazione dell'impatto ambientale strategico, che
prevede la ricerca di alternative tecniche e di sito, e se siano state garantite le tutele ambientali dei
SIC (direttiva 92/43/CEE) e dei territori adiacenti Scarpino?
Risposta del signor Dimas a nome della Commissione, in data 23 dicembre 2005
In primo luogo va rilevato che la direttiva 2001/42/CE del Parlamento e del Consiglio, del 27 giugno
2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (la
cosiddetta direttiva VAS), si applica a piani e a programmi e non a singoli progetti come quello a cui
si riferisce l’onorevole parlamentare.
Un atto legislativo comunitario a cui ci si potrebbe eventualmente richiamare è la direttiva
85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati (direttiva VIA), come modificata dalla direttiva 97/11/CE del
Consiglio, del 3 marzo 1997 e dalla direttiva 2003/35/CE del Parlamento e del Consiglio, del
26 maggio 2003. La direttiva VIA si applica a singoli progetti, compresi quelli relativi ad inceneritori
di rifiuti, e prevede che, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un
impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro
ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto. I progetti contemplati dalla direttiva
VIA (Valutazione di impatto ambientale) sono definiti nell’articolo 4, che rimanda agli allegati I e II.
Gli inceneritori di rifiuti pericolosi rientrano tra i progetti contemplati dall’allegato I, per i quali la
valutazione di impatto ambientale è sempre obbligatoria. Gli inceneritori di rifiuti non pericolosi
rientrano nell’allegato I se la loro capacità è superiore a 100 tonnellate al giorno, nell’allegato II(11)(b)
se la loro capacità è inferiore a tale soglia. Per i progetti dell’allegato II gli Stati membri devono
stabilire (mediante la cosiddetta procedura di ‘screening’) se potranno avere effetti rilevanti
sull’ambiente. In tal caso si deve procedere ad una VIA.
Sulla base delle informazioni fornite circa il tipo di danni che l’inceneritore potrebbe provocare e gli
habitat o le specie che potrebbero essere colpiti e visto che a quanto pare si è ancora nelle prime
fasi del processo di autorizzazione, la Commissione ritiene che non vi siano elementi che lascino
presumere l’esistenza di una violazione della legislazione comunitaria.
Attività parlamentari II – 8
Interrogazione alla Commissione sull'asse Torino-Lione e pestaggi della
polizia italiana di deputati europei e di cittadini della Val di Susa
Presentata in data 30 novembre 2005
Risposta ottenuta in data 13 febbraio 2006.
Testo interrogazione Agnoletto, Bertinotti, Musacchio, Morgantini, Catania.
Nella notte tra il 28 e 29 novembre 2005 la delegazione della commissione per le petizioni del
Parlamento europeo, in visita ufficiale presso la Val di Susa per valutare vari aspetti legati alla
costruzione dell'asse Lione-Torino, ha potuto assistere alla militarizzazione dell'intera valle da parte
delle forze di polizia italiana, che con inaudita violenza ha impedito qualsiasi manifestazione pacifica
diretta a denunciare in modo democratico l'inizio dei lavori della Lione-Torino.
Il sottoscritto deputato europeo è stato anche oggetto di schiaffi, calci e altre violenze fisiche e
verbali da parte della polizia locale, sotto gli occhi di altri colleghi europarlamentari. I pestaggi sono
avvenuti in "Località Passeggeri" di Susa, dopo l'ordine dato alle macchine dell'impresa "CMC" di
transitare dalla località Venaus nel territorio di Vonteoux, attraversando i terreni di proprietà della
compagnia "SITAF", che confina con i luoghi in cui si svolgono le prime sperimentazioni geologiche.
Alla cittadinanza locale è stato impedito di circolare in tutta la valle; nella mattinata del 29 novembre
2005 tutti gli accessi alla valle sono stati bloccati.
Può la Commissione europea specificare se ritenga compatibile l'erogazione dei fondi europei per la
Lione-Torino con il comportamento inammissibile delle autorità politiche locali e delle forze di polizia
italiane e se non ritenga opportuno sospendere i finanziamenti fino a quando non avrà ottenuto
garanzie formali e verificabili da parte del governo italiano sul rispetto della volontà delle popolazioni
locali rispetto alla Lione-Torino? Non intende condannare il comportamento delle autorità locali,
politiche e di polizia, che hanno dato l'ordine evidente di procedere a pestaggi anche di deputati
europei nell'esercizio del loro mandato parlamentare, pur di procedere ai lavori in Val di Susa?
Risposta del signor Frattini, a nome della Commissione, in data 14 febbraio 2006
Il comportamento delle forze di polizia in casi come quello descritto dall’onorevole parlamentare,
compete, in linea di massima, alle autorità nazionali e non rientra nel campo di applicazione del
diritto comunitario. La Commissione non è pertanto competente ad intervenire in merito. Ciò detto,
la Commissione ricorda che gli stati membri sono tenuti, in virtù dell’articolo 10 del trattato CE e, se
il caso, del protocollo sui privilegi e sulle immunità, a non ostacolare l’esercizio delle funzioni dei
deputati europei.
Per quanto riguarda l’utilizzo dei fondi europei, esso risponde alle regole di gestione di cui al
regolamento (CE) n. 2236/95 del Consiglio, del 18 settembre 1995, che stabilisce i principi generali
per la concessione di un contributo finanziario della Comunità nel settore delle reti transeuropee[1].
Attività parlamentari II – 9
Interrogazione al Consiglio sulla più lunga istruttoria della storia
giudiziaria italiana: Ustica
Presentata in data 12 luglio 2005
Risposta ottenuta in data 14 febbraio 2006.
Testo interrogazione Agnoletto, Rizzo, Guidoni, Morgantini, Di Pietro, Sbarbati, Bertinotti, Catania Musacchio,
Napoletano, Prodi e Fava
"Il 27 giugno saranno trascorsi 25 anni dal disastro di Ustica, nel quale persero la vita 85 persone.
Nel 1999, al termine della più lunga istruttoria della storia giudiziaria italiana, il giudice istruttore R.
Priore ha emesso una sentenza nella quale si afferma che "l'incidente al DC9 è occorso a seguito di
un'azione militare di intercettamento [...] Il DC9 è stato abbattuto nel corso di un'azione di polizia
internazionale".
Recentemente la Corte d'assise di Roma ha ritenuto colpevoli di "alto tradimento" alcuni generali
appartenenti, all'epoca dei fatti, all'Aeronautica militare italiana, per non aver informato la
magistratura della presenza accertata di aerei militari nelle vicinanze del DC9 al momento del
disastro.
1.
È in grado il Consiglio di verificare il reale contributo alle indagini da parte degli stati, membri
e non, espressamente citati dalla risoluzione del Parlamento europeo del 7 ottobre 1999 (B50148/199) (Francia, Italia, Regno Unito e USA)?
2.
Intende il Consiglio adoperarsi affinché si ottengano dal governo libico tutte le informazioni
possibili sull'accaduto, che il colonnello Gheddafi da sempre sostiene di possedere?
Risposta del Consiglio, in data 14 febbraio 2006
Il Consiglio non è stato informato degli eventi ai quali l'Onorevole parlamentare fa riferimento nella
sua interrogazione ed in ogni caso non è competente a pronunciarsi su una procedura
giurisdizionale in corso in uno stato membro.
Attività parlamentari II – 10
Interrogazione alla Commissione sull'arresto del cittadino turco Mehmet
Tarhan e diritto all'obiezione di coscienza in Turchia
Presentata in data 18 luglio 2005
Risposta ottenuta in data 14 febbraio 2006.
Testo interrogazione Agnoletto
[
"Il cittadino turco Mehmet Tarhan è un attivista gay: il 27 ottobre 2001 si è dichiarato "obiettore di
coscienza" rifiutandosi di sottomettersi al servizio militare obbligatorio nelle Forze Armate turche.
Nell'Unione europea il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare si prefigura nei fatti come
uno dei diritti fondamentali della persona e fa parte del patrimonio politico, culturale e di civiltà che
l'UE propone ai paesi dell'allargamento, fra cui la Turchia. Mehmet Tarhan rifiuta di prestare servizio
militare anche perché potrebbe facilmente essere mandato nella regione curda della Turchia e gli
potrebbe essere ordinato di sparare a civili, donne, bambini e uomini. Mehmet Tarhan è stato
arrestato l'8 aprile 2005 ed è stato trasferito alla prigione militare di Sivas dove ha iniziato uno
sciopero politico della fame. È accusato ai sensi dell'articolo 88 del Codice penale militare turco,
ovvero di "insubordinazione davanti al comando", e può essere condannato fino a cinque anni di
prigione. Il signor Tarhan è stato oggetto di torture e sevizie in carcere, anche da parte delle autorità
legali che amministrano il penitenziario. Anche alcuni suoi sostenitori sono stati arrestati, intimiditi e
poi rilasciati.
Non ritiene il Consiglio che il diritto all'obiezione di coscienza faccia politicamente parte integrante
dei "criteri politici di Copenaghen" e che quindi il suo riconoscimento diventi un obbligo per la
Turchia? Non ritiene il Consiglio che il signor Tarhan debba essere immediatamente scarcerato, alla
luce della sua situazione personale e delle sue legittime convinzioni politiche? Tenendo conto della
valenza politica del caso, quali sono i passi che il Consiglio intende compiere per assicurarsi delle
condizioni di salute e di trattamento di Mehmet Tarhan?"
Risposta della Commissione, in data 14 febbraio 2006
"Come l'Onorevole parlamentare saprà, l'Unione ha avviato i negoziati di adesione con la Turchia
lunedì 3 ottobre. È stato un momento storico e un ulteriore passo importante nell'evoluzione delle
relazioni tra l'UE e la Turchia, che ha segnato l'avvio di un processo lungo e rigoroso che si
svilupperà conformemente agli orientamenti del quadro di negoziazione adottato quello stesso
giorno dal Consiglio.
Come sancito nel quadro di negoziazione, ci si aspetta che la Turchia sostenga il processo di
riforma; essa in particolare dovrebbe consolidare e ampliare la legislazione e le misure di attuazione
in numerosi settori. I progressi compiuti in tali settori dovrebbero essere irreversibili nonché
pienamente ed efficacemente attuati; pertanto la Commissione, invitata a riferire periodicamente al
Consiglio al riguardo, continuerà a seguire attentamente detti progressi.
In relazione agli argomenti specifici sollevati dall'Onorevole parlamentare, la Commissione, nella
relazione sui progressi compiuti dalla Turchia nel 2005, presentata recentemente, osserva che la
Turchia non riconosce il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio e non ha un
servizio civile alternativo, come prescritto dalla raccomandazione del Consiglio d'Europa che
stabilisce i principi riguardanti l'obiezione di coscienza. Sia nel partenariato per l'adesione adottato
dal Consiglio nel 2003 che nel nuovo partenariato per l'adesione recentemente proposto dalla
Commissione, la Turchia è invitata ad adottare e attuare disposizioni concernenti l'esercizio della
libertà di pensiero, coscienza e religione. Sono settori prioritari anche l'eliminazione della tortura e
dei maltrattamenti, nonché il miglioramento delle condizioni di detenzione, in merito ai quali ci si
aspetta che la Turchia compia importanti progressi nel processo di riforma.
L'Onorevole parlamentare può essere certo che l'Unione annette importanza ai temi in questione e
che proseguirà l'attento controllo e la valutazione dei progressi compiuti".
BUONE NOTIZIE: MEHMET TARHAN È STATO SCARCERATO!
Comunicato stampa del 13 marzo 2006
Dopo la liberazione di Mehmet Tarhan, obiettore di coscienza gay, incarcerato dalle
autorità turche per la sua posizione nonviolenta:
«ORA L'UE FACCIA IN MODO CHE LA TURCHIA RICONOSCA IL DIRITTO
ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA»
Strasburgo - C'è soddisfazione nelle parole di Vittorio Agnoletto, appena ricevuta una notizia attesa
da mesi: Mehmet Tarhan è stato liberato. La comunicazione ufficiale è giunta oggi dalla rete Payday,
che in una nota annuncia la scarcerazione dell'obiettore di coscienza omosessuale, avvenuta pochi
giorni fa.
«Aspettavamo la sua liberazione da mesi - dichiara l'europarlamentare della Sinistra unitaria
europea, già autore di alcune interrogazioni alla Commissione europea sul "caso" del pacifista turco
- ; sono felice per lui, la sua famiglia, le migliaia di persone che ne hanno supportato la causa.
Finalmente una buona notizia da un Paese che viola ancora i principali diritti umani, come la libertà
di obiezione di coscienza e quindi la possibilità di non prestare servizio militare, "reato" per il quale
l'attivista gay era stato incarcerato.
Ora - conclude Agnoletto - mi aspetto che il governo turco riconosca i suoi errori. Quello che è
successo a Mehmet Tarhan non deve accadere mai più: l'Europa deve pretendere il rispetto dei diritti
umani dalla Turchia».
Attività parlamentari II – 11
Interrogazione alla Commissione sui continui massacri in Colombia
Presentata in data 3 marzo 2005
Risposta ottenuta in data 3 marzo 2006.
Testo interrogazione Agnoletto
"In Colombia le zone umanitarie e le comunità di pace che tentano di restare al di fuori del conflitto
armato sono costantemente oggetto di numerosi e indiscriminati attacchi da parte dell'esercito,
com'è accaduto con l'uccisione dei coordinatori della zona umanitaria di Arenas Altasa della
comunità di pace di San José de Apartadò, Arlen Salas David, lo scorso 17 novembre, ed Edilberto
Vasquez Cardona, il 12 gennaio.
Questi fatti dimostrano che le rassicurazioni del governo colombiano non sono credibili e che anzi
permane l'impunità per i responsabili di gravi reati.
Non ritiene opportuno la Commissione che l'Unione europea incrementi i propri sforzi per garantire il
rispetto dei diritti umani in Colombia, ad esempio verificando la reale destinazione finale dei fondi
per la tutela delle zone umanitarie, le comunità indigene e le comunità di pace e garantendo,
attraverso l'invio di "osservatori a lungo termine", il corretto svolgimento non solo delle operazioni
di voto, ma di tutta la campagna elettorale?".
Risposta della signora Ferrero-Waldner a nome della Commissione, in data 3 marzo 2006
"Nella sua interrogazione, l’onorevole parlamentare fa riferimento alla situazione di san José de
Apartado. La Commissione europea è altrettanto consapevole e preoccupata degli attacchi perpetrati
contro i membri della comunità di pace. L’Unione europea ha più volte manifestato la propria
preoccupazione al governo colombiano, chiedendo che i responsabili vengano perseguiti per i reati
commessi. In seguito agli omicidi del novembre 2005 e gennaio 2006 e alla mancanza di progressi
nell’indagine sull'uccisione di altre otto persone nel febbraio 2005, la troika dell'Unione europea ha
deciso di intraprendere un'iniziativa in merito alla situazione di san José de Apartado, che ha avuto
luogo il 2 febbraio 2006, con il signor Carlos Franco, direttore del programma presidenziale dei diritti
dell’uomo.
La Commissione concorda sul fatto che debba essere fatto il possibile per assicurare il rispetto dei
diritti umani in Colombia. Come suggerisce l’onorevole parlamentare, la Commissione controlla la
reale destinazione finale dei finanziamenti destinati a tutti i progetti (la Commissione rimanda
l’onorevole parlamentare alla risposta data alla sua interrogazione orale H-613/05 durante l’ora delle
interrogazioni della sessione del Parlamento del settembre 2005) attraverso una gestione dei fondi
conforme alla normativa di bilancio dell’Unione, che prevede la realizzazione di monitoraggi e
revisioni contabili annuali, esterni ed interni.
Quanto alla specifica proposta dell’onorevole parlamentare di verificare il corretto svolgimento della
campagna elettorale e delle operazioni di voto, la Commissione ha valutato l'opportunità e i rischi di
tale missione in Colombia ed ha deciso di non inserire la Colombia nell'elenco dei paesi prioritari per
il monitoraggio elettorale del 2006".
Approfondimenti e riflessioni – 1
Carta, 5 dicembre 2005
War on Drugs, “L'Italia fuori dall'Europa”
di Vittorio Agnoletto e Paolo La Marca
Introduzione
Il futuro orientamento dell’Unione Europea in tema di droghe trova i suoi presupposti nell’analisi
della situazione dell’unione ben delineata nella relazione annuale 2004 dell’EMCDDA (European
Monitoring Centre for Drug and Drug Addiction), dal quale emergono i dati di principale importanza
relativamente alla situazione attuale:
•
•
Aumento del numero delle richieste di trattamento per uso di cocaina
Nonostante non sia ancora stata individuata una efficace terapia sostituiva per la cocaina, il numero
delle richieste di trattamento per uso di cocaina è in aumento in tutti i Paesi dell’Unione, con le punte
più alte in Olanda e Spagna (dove rappresentano rispettivamente il 35% ed il 26% delle richieste
totali).
Le ricerche indicano che una percentuale che varia dall’1 al 10% dei giovani europei (di età
compresa tra i 15 e i 34 anni) ha utilizzato cocaina almeno una volta nella vita, e la metà lo ha fatto
negli ultimi 12 mesi, mentre nei contesti di feste e raves questa percentuale sale al 40 – 60%. Le
quantità sequestrate dalle forze dell'ordine sono anch’esse in aumento in tutta l’Unione,
particolarmente in Germania, Francia e Italia.
•
•
Uso intensivo di cannabis fra i giovani e giovanissimi
La cannabis resta la sostanza illegale più utilizzata nell’UE, 1 adulto su 5 l’ha utilizzata almeno una
volta nella propria vita.
I tassi di prevalenza più alti sono quelli registrati fra i giovani (15 – 34 anni) e vanno dall’ 1% di
Estonia, Portogallo e Svezia al 35% di Danimarca, Spagna, Francia e Regno Unito, mentre la
prevalenza d’uso fra i giovanissimi (15 – 16 anni) è intorno al 15%. In totale una percentuale
oscillante fra il 5 ed il 10% dei giovani Europei ha utilizzato cannabis negli ultimi 12 mesi.
D’altro canto la cannabis rappresenta anche una sorta di cartina tornasole del fallimento degli sforzi
dell’EU rivolti alla riduzione della domanda (strategia fino ad ora prioritaria nelle politiche di
contrasto alle droghe nell’Unione). Anche se i tassi di prevalenza del consumo sono in aumento la
cannabis non mostra nessuna correlazione con il passaggio a droghe più pesanti (le ricerche
individuano invece correlazioni significative con le sostanze legali: alcol e tabacco), resta la
sostanza illegale di minor impatto sulla salute e rispetto ai problemi di sicurezza. Nonostante questo
è la sostanza per la quale la legge interviene più spesso: circa un quarto dei detenuti per droga
nell’UE è incriminato per reati legati al consumo/detenzione di cannabis.
•
•
Aumento dell’uso di ecstasy
I dati europei mostrano chiaramente che i tassi relativi al consumo di ecstasy sono ancora in aumento, mentre
l’uso di anfetamine (molto più diffuse in passato, specialmente nel nord e nell’est Europa) sembra essere in
diminuzione. Circa due terzi dei paesi membri dell’Unione riporta che l’uso di ecstasy è divenuto più comune
che quello di anfetamine fra i giovani (15 – 35 anni). Una percentuale variabile fra il 5 ed il 13% dei giovani (15
– 24) in Repubblica Ceca, Spagna, Irlanda, Lettonia, Olanda e Regno Unito ha utilizzato ecstasy nell’ultimo
anno. Anche se fino ad ora il Paese membro dell’EU con il maggiore tasso di produzione (dedotto a partire
dagli interventi delle forze dell'ordine) era la Repubblica Ceca, gli ultimi dati segnalano un allargarsi della
produzione illegale anche al Belgio, alla Germania, all’Estonia, alla Francia, alla Lettonia, alla Lituania e al
Regno Unito.
•
•
Modificazioni del fenomeno dei consumi
Non vi è niente di fluido e cangiante come il consumo di sostanze visto come fenomeno, cioè come un
elemento che ha ormai da tempo cessato di essere qualcosa di cui si possa incolpare il “vizioso”, per divenire
un comportamento diffuso e stratificato, con una complessità di carattere antropologico, sociale, culturale e
storico.
L’uso di eroina per via endovenosa, che sembrava essersi stabilizzato, attualmente è tornato ad aumentare in
Repubblica Ceca, Slovenia e Finlandia, Germania, Irlanda e in tutti i 10 nuovi paesi membri dell’EU
(l’Osservatorio europeo per le droghe e le tossicodipendenze stima che vi siano fra gli 850mila e 1,33 milioni di
consumatori per via endovenosa in EU).
I Paesi del Baltico, la Russia, l’Estonia la Finlandia e la Svezia sono interessate dal diffondersi del Fentanyl (o
Metilfentanyl), un oppiaceo sintetico, utilizzato come anestetico, fino a 100 volte più potente dell’eroina. Anche
fra i Paesi dove fino a pochi anni fa il problema principale era l’uso di oppiacei (e spesso per via endovenosa)
ora si segnala un aumento sostanziale del poli-consumo, cioè del consumo abituale di più sostanze
contemporaneamente, o nel medesimo arco di tempo, amfetamine e metamfetamine soprattutto.
• •
Declino dei decessi droga-correlati
Il numero di decessi correlati all’uso di droghe è in modesto declino in Europa. Francia e Spagna in particolare
segnalano tendenze in discesa a partire dalla meta degli anni ’90, mentre Germania, Grecia, Italia e Portogallo
riportano diminuzioni più marcate a partire dall’anno 2000. Questo sviluppo positivo viene correlato alla
diminuzione generale del consumo endovenoso, all’aumento degli accessi ai servizi terapeutici e di
sostituzione farmacologica e ai servizi di “prima linea” (specificamente il lavoro di strada, e la peer-education).
In ogni caso, anche se la diminuzione dei decessi è statisticamente significativa, i numeri assoluti delle morti
sono ancora storicamente molto alti, e i dati sembrano indicare un alto livello di rischio per i nuovi paesi
membri dell’EU.
• •
HIV, epatiti e malattie infettive
Anche se nell’area dell'Europa occidentale l’epidemia da HIV fra i consumatori di droghe per via endovenosa
mostra segni di arresto, o recessione, la preoccupazione per i dati provenienti dai nuovi stati membri, e dalle
nazioni con essi confinanti, sta crescendo.
Attualmente l’Estonia, la Russia, la Lettonia e l’Ucraina sono i paesi con il più alto tasso di crescita
dell’epidemia da HIV a livello mondiale, e anche se i più recenti dati mostrano un trend in discesa la
prevalenza rimane molto alta, con picchi in aree locali che arrivano al 40, 30 e 20 per cento rispettivamente in
Estonia, Polonia e Lettonia.
La necessità di intervenire con programmi e strategie per il trattamento e la prevenzione della diffusione
dell’epatite B (HBV) e C (HCV) fra i consumatori di droghe per via endovenosa è da considerare di prioritaria
importanza, tenendo conto dell’altissima prevalenza a livello europeo: rispettivamente 85 e 95%.
Anche se la prevalenza della tubercolosi (TBC) fra i consumatori di droghe per via endovenosa è molto bassa,
i dati a disposizione indicano livelli di infezione in crescita significativa nei paesi baltici e in alcuni paesi che
confinano con l’EU a est, sottolineando la necessità di mantenere un alto livello di sorveglianza.
Il Piano d’azione 2005 – 2012
Nel giugno 2004 il Consiglio dell’Unione Europea ha messo a punto la struttura del nuovo piano per
l’Unione in materia di droghe, che riparte da quanto fatto nel precedente piano (terminato nel 2004) e
soprattutto da una analisi dettagliata dei successi e fallimenti fin qui raggiunti, delineati con
chiarezza nella piattaforma avanzata delineata nel «Rapporto Catania» approvato dal Parlamento di
Strasburgo lo scorso dicembre.
Il nuovo piano si compone di due azioni di respiro triennale, inframmezzate da passaggi di
valutazione, ad interim (2008) e finale (2012), atti a verificarne l’andamento e a contestualizzare i
risultati raggiunti in chiave futura.
Gli elementi basilari di questa nuova strategia vogliono innanzitutto confermare i valori su cui è
fondata l’Unione Europea: rispetto della dignità umana, libertà democrazia, uguaglianza e diritti. Ci si
prefigge di tutelare il benessere individuale, collettivo e societario, offrendo un elevato livello di
sicurezza attraverso l’adozione di un approccio il più possibile equilibrato e mirato all’integrazione a
differenti livelli: fra i diversi paesi membri; fra i singoli paesi e l’Unione Europea; fra le istituzioni
(locali e centrali) e la società civile nel suo complesso; fra le potenzialità locali, regionali, nazionali e
transnazionali; fra la politica, la ricerca e la pratica quotidiana nel settore.
Gli obiettivi
Gli obiettivi generali che il Consiglio identifica, tenendo conto del quadro attuale, sono
sostanzialmente due:
• contribuire al conseguimento di un elevato livello di tutela della salute (nella moderna
accezione di well-being), attuando pratiche mirate a ridurre i danni per la salute dei cittadini,
specificamente rispetto alle attività di informazione e prevenzione;
• intensificare un approccio comune allo scopo di assicurare un alto livello di sicurezza, dando
particolare impulso alle azioni atte a combattere la criminalità organizzata, attraverso il
contrasto alle attività di produzione e traffico di droghe su vasta scala.
Il nuovo piano, pur mantenendo un approccio generale mirato a combinare le azioni di contenimento
della domanda e di riduzione dell’offerta di droghe e rinforzando ancora una volta i temi della
sicurezza, sottolinea con maggior forza rispetto al passato le questioni relative al contenimento e
alla riduzione dei danni derivanti dal consumo di droghe, relativi alla diffusione del virus HIV, delle
epatiti e delle altre patologie correlate, prendendo definitivamente atto delle evidenze scientifiche
derivanti dall’ormai quindicinale esperienza acquisita nel campo della riduzione del danno in ambito
europeo.
Tenendo conto dell’attuale situazione in ciascuno dei 25 paesi membri, verrà data priorità alle azioni che
dimostreranno di essere:
•
•
•
•
•
•
innovative e portatrici di valore aggiunto;
•
realistiche e quantificabili;
•
trasparenti per quanto riguarda la tempistica, l’organizzazione ed il feedback;
•
coerenti con gli obiettivi del piano di azione;
•
limitate per settore (integrazione/pluridisciplinarietà vs frammentazione/singolarità).
La logica che anima il piano d’azione pur mirando a dare un forte impulso ai meccanismi inter-relazionali
interni all’EU (fra i paesi membri, fra le forze di polizia, fra il modo politico e la società civile, etc.), prende atto
che con l’inclusione degli ultimi dieci membri l’EU diviene di fatto il più grande “mercato” delle droghe al
mondo e riconosce che le potenzialità e le capacità di intervento in ambito europeo non risultano essere
sfruttate a pieno a causa di un carente coordinamento, in parte dovuto ai diversi quadri politici in cui le
organizzazioni si muovono. Si vuole quindi porre particolare attenzione alle attività nel campo della
cooperazione internazionale, sia dal punto di vista delle logiche dei flussi migratori e per le questioni legate alla
sicurezza ma anche per ciò che riguarda lo scambio di informazioni, di esperienze, di “buone pratiche”,
nell’ottica della costruzione di una politica globale sulle droghe che sappia guardare all’esterno in modo
efficace e visibile (un esempio attuale su tutti è l’emergenza HIV fra i consumatori di droghe in rapida e
preoccupante emersione nei paesi ai confini dell’EU, riconosciuta recentemente anche dall’Organizzazione
mondiale della Sanità).
Prevenzione, riduzione dei danni e cura: un approccio circolare
Basandosi sull’esperienza maturata in precedenza, L’EU si prefigge lo sviluppo e la sostenibilità di
un sistema globale, integrato e quantificabile, basato sulla conoscenza, per migliorare l’output
nell’ambito delle attività di prevenzione, cura e di riduzione dei danni, al fine di contribuire
significativamente al contenimento della domanda di droga e dei danni correlati al consumo.
Differentemente dal passato il piano stabilisce chiaramente che le misure preventive, le potenzialità
di cura e le misure volte a ridurre i danni NON sono in contrasto fra loro, bensì andrebbero proposte
in modo integrato, per rinforzarsi a vicenda in un ottica circolare, e non necessariamente top-down
oppure bottom-up, che sappia tener conto delle peculiarità di ogni setting (necessità emergenti,
potenzialità presenti, diversi livelli di rischio per la salute in relazione alle varie forme di consumo):
«alla cura va preferita la prevenzione, alla riduzione dei danni va preferita la cura e all’assenza di
qualsiasi sforzo per ridurre al minimo possibile i rischi per la salute dei consumatori di droghe, e della
società nel suo complesso, va preferita la riduzione dei danni».
Vengono conseguentemente individuate le seguenti priorità:
• potenziare l’efficacia e la sostenibilità delle attività di prevenzione dell’uso di droghe e
sensibilizzare ai rischi collegati con le droghe, mediante la diffusione di informazioni
affidabili e di elevata qualità tra i giovani ed i gruppi bersaglio specifici;
•
migliorare la disponibilità di programmi di cura, comprensivi dell’assistenza psico-sociale, di
provata efficacia in tutti gli Stati membri dell’UE, come pure l’accesso ai medesimi. Il
trattamento dei problemi di salute dovuti al consumo di droghe lecite ed illecite dovrebbe
diventare parte integrante delle politiche sanitarie della Comunità;
•
migliorare la possibilità di interventi tesi a ridurre i danni, che dovrebbero essere integrati nei
mezzi di cura offerti a livello nazionale. Al riguardo dovrebbe essere dato particolare rilievo
all’ HIV/AIDS e ad altre infezioni a trasmissione ematica.
Nonostante l’impianto di grande potenzialità apra scenari ottimistici, il programma europeo non è, a
nostro parere, esente da incongruenze e contraddizioni, la prima delle quali sta nelle premesse:
viene sottolineato che molti degli obiettivi prefissati dal precedente piano d’azione non sono stati
raggiunti, soprattutto a riguardo delle azioni volte a ridurre la domanda di droghe, eppure le nuove
priorità sono esattamente volte in gran parte alla riduzione della domanda senza che l’impianto
generale venga modificato per tentare nuove soluzioni e strategie.
Sebbene la formulazione del piano EU ne recepisca in parte gli intenti e l’orientamento, la distanza
dal “sentiero” tracciato dal Rapporto votato dal Parlamento europeo, che propone un percorso di
evoluzione dell’intero settore, è ancora grande. Basti considerare le differenze che sussistono a
proposito delle questioni:
• della de-penalizzazione del consumo;
•
•
•
della de-classificazione della cannabis rispetto alla risposta legale/giuridica e della
regolamentazione a norma di legge dell’auto-coltivazione;
del ruolo anche culturale sempre più importante che le strategie e politiche di riduzione dei
danni hanno raggiunto attraverso l’esperienza di questi anni, e anche della loro evoluzione
nell’ottica dell’evidenza scientifica, in termini di azioni e progetti nei territori (sale da
iniezione, Pill-testing, potenziamento della “bassa soglia”);
della ricerca sulla produzione legale controllata dallo Stato su quelle che oggi consideriamo
sostanze stupefacenti (farmaci, bevande e cibi, tessili, plastici, etc.).
Queste discrepanze saranno il tema centrale dell’incontro previsto per la prossima primavera al
Parlamento Europeo. La conferenza promossa da ENCOD (European Coalition for Just and Effective
Drugs Policies) con la partecipazione del network CLAT (Conferenza Latina sulla Riduzione dei Danni
Correlati al Consumo di Droghe), offrirà l’opportunità di un ampio confronto tra associazioni,
ricercatori, operatori dei servizi pubblici, rappresentanti delle istituzioni locali dei 25 Paesi dell’UE e
parlamentari europei anche in previsione della prossima conferenza biennale della CLAT che si
realizzerà nella primavera 2007 in Italia. Con la speranza di avere per allora un governo disponibile,
non solo a parole, a modificare profondamente la politica italiana e a porla in sintonia con gli
orientamenti prevalenti in Europa.
Approfondimenti e riflessioni – 2
Il manifesto, 22 febbraio 2006
Alta velocità: “Dietro l'alibi dei fondi europei”
editoriale di Vittorio Agnoletto
Se si osserva il comportamento di molti leader politici sulla vicenda TAV non c'è da meravigliarsi che
l'Italia sia finita al 40° posto nella classifica internazionale sull'onestà stilata qualche giorno fa da
Transparency International.
Da almeno un anno risuona incessante il ritornello: "Ce lo impone l'Unione Europea, se non si
avviano i lavori l'Italia perderà i fondi". Lo hanno dichiarato uno dopo l'altro molti ministri, lo hanno
affermato non una sola voce Mercedes Bresso e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. Chi si
oppone alla TAV sarebbe quindi anche un cattivo cittadino che non ha a cuore le sorti nazionali visto
che mostra assoluta indifferenza al rischio che la patria possa perdere ingenti finanziamenti europei.
L'importante è arraffare il malloppo, senza neanche perdere tempo a domandarsi se non sia
possibile riuscire ad utilizzarlo, almeno in parte, in qualche altro modo: ad esempio potenziando
l'attuale linea ferroviaria e accettando che qualche container impieghi trenta minuti in più per
raggiungere Lione da Torino, ma evitando così scempi ambientali e rischi sanitari.
Ma la verità è ben diversa: dei venti miliardi di euro originariamente previsti, per il periodo 2007-2013
dalla Commissione Europea per le grandi opere, dopo il Consiglio Europeo del 15 dicembre 2005 ne
sono rimasti solo sei. Assolutamente insufficienti per finanziare anche solo parzialmente (dal venti al
trenta per cento per i tratti internazionali e il dieci per cento per le tratte nazionali) le trenta grandi
opere originariamente previste e che quindi devono essere selezionate in ordine di priorità. La
precedenza sarà data a quei progetti per i quali i lavori sono già in stato avanzato e nei quali l'UE ha
investito oltre 2,5 miliardi di euro.
Ben diversa è la sentenza della TAV: non solo i lavori non sono iniziati (fino ad ora l'UE ha infatti
stanziato solo il 5,11 per cento della prevista quota comunitaria, fondi destinati alla fase progettuale
e sull'utilizzo dei quali il governo avrebbe potuto chiedere una proroga, entro il 31ottobre 2005), ma
la Commissione Europea ha avviato una procedura contro l'Italia per aver cancellatola la VIA
(Valutazione di impatto ambientale) dai progetti definitivi sulle grandi opere, TAV compresa. Inoltre
proprio due settimane fa la Commissione petizioni del Parlamento europeo ha richiesto all'unanimità
un'ulteriore valutazione sui rischi ambientali e sanitari.
In conclusione, ad oggi appare del tutto improbabile che vi siano fondi europei per l'alta velocità in
Val di Susa, e dall'Europa non arriva alcuna pressione perché si proceda con i lavori.
Il governo italiano ovviamente è da tempo consapevole di tale situazione, anzi ne è addirittura
corresponsabile avendo partecipato alle decisione del Consiglio Europeo del 15 dicembre. Quindi i
ministri hanno dichiarato e continuano a dichiarare consapevolmente il falso.
Ma poteva la governatrice Mercedes Bresso non sapere tutto ciò? Possibile che non si fosse
consultata con il presidente della Commissione Trasporti, onorevole Paolo Costa, oltretutto eletto
nella sua stessa lista al Parlamento europeo?
Il quale è talmente consapevole della situazione che il 15 febbraio in una lettera inviata all' onorevole
Janusz Lewandowski, presidente della commissione budget, scrive: "Se la posizione del Consiglio
Europeo dovesse essere accettata, l'idea del network sarebbe distrutta e gli obiettivi del TEN-T (il
network del trasporto transeuropeo) non sarebbero più raggiungibili e l'intero programma TENT sarà
declassato a un insieme disordinato di lavori pubblici".
Qualcuno aveva almeno informato Prodi di quale era la situazione prima di continuare ad invocare
una sua presa di posizione giunta poi con l'infelice "decido io"? In tanti, e da parti diverse, hanno
nascosto la verità ai cittadini non solo della Val di Susa; ma certamente è più difficile perdonare chi
ha sfilato a Porto Alegre parlando di bilancio partecipativo e del coinvolgimento delle popolazioni
locali.
L'alibi degli obblighi europei è stato quindi utilizzato dal governo per realizzare attraverso la vicenda
TAV uno scontro politico/ideologico in difesa del modello liberista della società. Modello che
prevede: una sempre maggiore delocalizzazione produttiva fuori dall'Europa fondata
sull'abbassamento del costo del lavoro e la negazione dei diritti; la rottura dei legami sociali e
comunitari ancora esistenti in Europa; la trasformazione del nostro continente in una regione
attraversata da grandi infrastrutture di trasporto, dove, ad una sempre più selvaggia concentrazione
di capitali, corrisponderà un aumento esponenziale della disoccupazione e del lavoro nero. Il
principio guida del raggiungimento del massimo profitto possibile coniugato con il più assoluto (e
suicida) disprezzo per ogni forma di bene comune.
Il mito dell'alta velocità ben sintetizza anche simbolicamente tutto ciò.
Ma dietro le bugie, spesso, insieme a grandi "motivazione ideologiche", si nascondono precisi
interessi materiali. L´importante è assegnare gli appalti, distribuire contratti ad aziende amiche, poi
se l'opera non si farà, o non verrà conclusa, poco importa, le aziende riceveranno comunque le
penali da parte pubblica e il denaro, girando, lascerà qualche alone attorno a sé.
La partecipazione di un'ampia fetta dell'opposizione a questa battaglia in favore della TAV
rappresenta la condivisione culturale, prima ancora che politica, di un modello liberista della società,
nella convinzione di poterne dominare gli effetti più deleteri e socialmente dannosi. Quest'opera di
contenimento dovrebbe essere resa possibile dalla conquista della cabina di regia, identificata nel
governo. É la medesima logica che ha portato DS e Margherita a sostenere la nuova versione della
direttiva Bolkestein nel recente voto di Strasburgo. Ma l'essenza del liberismo è appunto il dominio
dell'economia finanziaria sulle istituzioni politiche: anche per questo l'idea di gestire un liberismo dal
volto umano è destinata a rimanere nel migliore dei casi un'illusione.
Per il resto non vorrei nemmeno pensare (ma talvolta a dubitare si indovina) che anche in questo
campo la vicinanza di alcuni interessi economici possa avere un qualche peso.
La lotta per una alternativa alla TAV, lungi dall'essere una rissa di cortile, rappresenta quindi un
punto centrale di confronto sulla società e il futuro che intendiamo costruire. L'impegno comune per
battere la destra, ed in particolare questa destra, e per provare a governare con un programma che
rappresenti il punto più alto possibile di mediazione dentro la coalizione, non può e non deve essere
confuso con la consegna del silenzio. Non c'è motivo di scandalo nel dichiarare esplicitamente che
dentro al centrosinistra è da tempo aperta una contesa sulla dimensione strategica dell'agire politico
ed in particolare sulla posizione d'assumere verso le politiche liberiste.
Punto di vista esterno
Il manifesto, 23 febbraio 2006
“Lo scandalo che tutti tacciono ”
di Raffaele Salinari
Era dai tempi della «Milano da bere» e dei cinquemila miliardi alla cooperazione che non si assisteva ad uno
scandalo come quello dei tagli ai fondi per le Nazioni unite ed al contemporaneo spostamento degli stessi su
opere infrastrutturali legate al made in Italy ecclesiale. Uno scandalo che all'epoca sarebbe parso risibile, data
la cultura politica dominante, e ben poca cosa rispetto alla massa circolante di danari per tutti, ong incluse.
Oggi, a fronte della scarsità delle risorse, ma soprattutto degli impegni presi nei confronti delle Nazioni unite
per la lotta alla povertà e il sostegno agli Obiettivi del Millennio, lo scandalo dei venti milioni dati all'Img e poi
«girati» all'ospedale della Congregazione dei Figli dell'Immacolata per il loro ospedale a Tirana, appare
eticamente e politicamente insopportabile. Sono fondi chiaramente sottratti ad altre agenzie Onu, già
ampiamente amputati delle risorse necessarie dai vari e ripetuti tagli che tutti i paesi ricchi, a partire dagli Usa,
hanno progressivamente operato negli ultimi tre anni.
L'Italia è, come noto, il paese che meno investe in cooperazione e diritti umani, e questo poco invidiabile
primato viene giustificato dai conti in rossi dello Stato. Anche recentemente, durante la presentazione di una
inchiesta commissionata dal Cini (Coordinamento italiano network internazionali), che mostrava chiaramente
l'interesse degli italiani a sostenere la lotta alla povertà nel mondo, un esponente della destra, l'onorevole
Maurizio Gasparri, ha ammesso i tagli ma giustificandoli con le ristrettezze del momento. Ora, a parte la chiara
contraddizione tra questi tagli e il sostegno milionario alle missioni di guerra, i dati dell'ultima impresa della
Farnesina contraddicono palesemente anche questa "foglia di fico", gettando infine una luce chiarissima sulla
volontà di utilizzare i fondi a disposizione non per onorare gli impegni internazionali, che non portano voti né
clientele sempre buone, ma per favorire le strutture gestite dagli amici, laici o cattolici che siano, e tutto questo
in
spregio
alle
più
elementari
norme
di
accettazione
da
parte
dei
«beneficiari».
L'isteria elettorale non dovrebbe giungere a questi livelli, non dovremmo permettere che questioni «interne»
mettano a repentaglio la vita di milioni di esseri umani per una manciata di voti, negando alle agenzie Onu la
base delle loro operazioni. Mi aspetto ora che l'Unione si palesi gridando allo scandalo, che i fruitori di questo
copioso finanziamento ci ripensino, e che le ong legate alla Cei dicano la loro, come noi abbiamo detto la
nostra.
"Batti e ribatti" dal quotidiano Liberazione
18 dicembre 2005
Wto: “A Hong Kong abbiamo perso. Necessario un esame di coscienza”
di Vittorio Agnoletto
Ha vinto l'egoismo del nord del mondo, delle multinazionali statunitensi ed europee. Ma soprattutto
abbiamo perso noi. I sindacati che non sono riusciti a spiegare che le masse povere dei contadini e
dei lavoratori del sud del mondo non sono gli avversari degli agricoltori e dei lavoratori europei; i
nostri movimenti, poiché non abbiamo saputo trasformare la forza accumulata nei Social Forum di
Porto Alegre, di Mumbay, di Firenze nella capacità di organizzare vertenze mondiali sui temi quali la
difesa dei beni comuni come l'acqua e la terra, l'accesso ai servizi pubblici come diritti; hanno perso
i partiti di sinistra che non hanno saputo, ammesso che vi credano, spiegare ai propri elettori che il
destino del pianeta è uno solo e che se oggi è il sud del mondo a pagare il prezzo più alto di questo
modello
di
sviluppo,
presto
arriverà
anche
il
nostro
turno.
Abbiamo sperato che il governo Lula in Brasile potesse essere una garanzia per tutti i disperati della
terra. Di fronte alle pressioni USA il Brasile ha vacillato, il G20 (l'alleanza di alcuni PVS contro le
politiche liberiste) é rimasto poco più che un simulacro, e il Brasile apre alle politiche liberiste
lasciando al proprio destino i Paesi più poveri.
Si possono vincere tante elezioni in tanti Paesi ma é difficile che quelle vittorie possano modificare
realmente in profondità la vita della gente, con e per la quale ci battiamo, se veniamo sconfitti così
duramente alla conferenza del WTO. Possiamo e dobbiamo continuare ad indicare con precisione i
responsabili di questo nuovo massacro sociale ma dobbiamo fare dentro di noi un profondo esame
di coscienza per quello che non siamo stati capaci di fare e di spiegare.
Sarebbe già un passo avanti se questa consapevolezza fosse di casa nelle stanze delle segreterie
dei partiti di sinistra, in Europa e nel mondo. Ma l'impressione é che nell'emisfero nord del Pianeta,
sopratutto in Europa, il liberismo abbia conquistato molto seguaci a sinistra, anche se tanti non lo
riconoscono
ancora
(ufficialmente).
Se la bozza di accordo presentata oggi al vertice della WTO sarà approvata non é retorica affermare
che continueranno ad aumentare le distanze tra i più ricchi e i più poveri e le condizioni di questi
ultimi peggioreranno sempre più. Abbiamo perso quella che, in questi giorni, era diventata la
principale battaglia materiale e simbolica di tutti i PVS e dei movimenti di tutto il mondo: il taglio in
tempi brevissimi dei sussidi all'esportazione per i prodotti agricoli e per il cotone.
Dietro questi freddi numeri ogni giorno si consuma una nuova pagina della tragedia africana fatta di
fame e povertà. I PVS sono costretti ad aprire i loro mercati ai prodotti industriali del nord, dovendo
abbattere i loro dazi doganali: una competizione impari che distruggerà ulteriormente l'industria
(ancora in fase embrionale) in Africa e nelle regioni povere dell'Asia.
Gli aiuti allo sviluppo non sono confermati attraverso cifre definite e nemmeno viene precisato se si
tratta di aiuti veri o di prestiti: uno specchietto per le allodole che si rivela in tutta la sua falsità.
Viene avviato il mercato dei servizi: educazione, servizi sociali e sanitari saranno sempre meno diritti
e sempre più merci disponibili per chi potrà acquistarli. Anche l'acqua diventerà merce e nel
prossimo futuro il suo mercato farà concorrenza a quello del petrolio.
21 dicembre 2005
“Agnoletto dice «al Wto abbiamo perso noi». Caro Vittorio, ma noi chi?”
di Pierluigi Sullo
Ho letto (su Liberazione di ieri) l’articolo di Vittorio Agnoletto e sono rimasto male. Prima di tutto,
com’è ovvio, per l’esito della conferenza della Wto a Hong Kong, su cui non c’è niente da aggiungere
agli articoli degli inviati di Liberazione. Poi, però, sono rimasto male anche per il tono funebre - non
me ne voglia Vittorio - dei suoi argomenti: «Abbiamo perso noi», scrive. Ma «noi» chi? Non siamo
riusciti a trasformare la «forza accumulata» - dice così - grazie ai Forum sociali mondiali e il
movimento di questi anni, «nella capacità di organizzare vertenze mondiali». Questa cosa delle
“vertenze mondiali” gliel’ho sentita dire, se non sbaglio, a una Porto Alegre di qualche anno fa: non
ero d’accordo allora e non sono d’accordo adesso. E vorrei dunque - si fa per conversare tra amici dire perché mi pare, quella espressione, del tutto fuorviante.
Così come mi pare sbagliato mettere il lutto se Lula, eletto presidente del Brasile con
l’accompagnamento di grandi speranze e persona chiave del vertice Wto di Cancun, finisce per
«vacillare», come scrive Vittorio, dopo avere per altro pagato fino all’ultimo centesimo il debito con il
Fondo monetario internazionale (che naturalmente cresce, perché l’usura funziona così),
impedendosi di fare ad esempio una ragionevole riforma agraria. Lo stesso Agnoletto annota: «Si
possono vincere tante elezioni in tanti paesi, ma è difficile che quelle vittorie possano modificare
realmente in profondità la vita della gente». Esatto. Anche la vittoria di Evo Morales in Bolivia, come
a suo tempo in Ecuador quella di Lucio Gutiérrez, è accompagnata da grandi speranze. Ma siccome
il tempo non passa del tutto invano, l’elezione di “Evo” è accompagnata anche da cautela, da parte
di molti dei movimenti sociali e indigeni del paese, che hanno concesso all’“indigeno presidente” tre
mesi per verificare se davvero vorrà, e potrà, mettere in salvo dalle multinazionali il gas del paese,
depenalizzare la coltivazione di coca (che non è cocaina), avviare l’assemblea costituente per dare al
paese una struttura istituzionale innovativa e democratica, ecc.
Così, c’è poco da stupirsi se, come dice con amarezza Vittorio, «nell’emisfero nord del pianeta,
soprattutto in Europa, il liberismo ha conquistato molti seguaci a sinistra». E che novità sarebbe?
Avete mai sentito quel che dice Rutelli della liberalizzazione dei servizi pubblici? O cosa intende,
quando pronuncia la parola “sviluppo”, Pierluigi Bersani? Sì che l’avete sentito: la pubblicazione del
brano di un discorso di Robert Kennedy, sulla prima di Liberazione, domenica scorsa, era una vera
delizia.
Un tempo, la sinistra non credeva che il Prodotto interno lordo esaurisse l’umanità.
Oggi una certa sinistra sì. Ma viceversa: si può invece sostenere che ad Hong Kong “abbiamo vinto
noi”? Non credo proprio. Ma non è forse vero che la misura del cinismo, oltre ogni limite, con cui i
governi e i potenti dell’economia del nord guardano alle catastrofi sociali, sanitarie, ambientali del
sud è un metro – anche - della loro sostanziale disperazione? Lo so, è una tesi probabilmente troppo
ottimistica. Ma se pensiamo agli argomenti di Mercedes Bresso e di Sergio Chiamparino a favore
della Tav, tanto deboli, pretestuosi e ideologici [l’ideologia dello “sviluppo”, appunto], allora
possiamo sperare che il famoso limite non l’abbia raggiunto solo la natura, ma anche la possibilità di
distruggerla con il consenso di chi ci vive immerso. Ad esempio, i valsusini. La cui resistenza tenace
si nutre di legami personali, di buoni argomenti frutto di un lungo studio, di amore per la loro terra e
di una democrazia sostanziale. Di Valle di Susa, in giro per il mondo, ce ne sono a migliaia, a
centinaia di migliaia. Solo che non funzionano come una “forza accumulata”, non sono
necessariamente “di sinistra” [almeno nell’accezione eurocentrica] e non dichiarano “vertenze
globali”. Insomma non si comportano come l’espansione a scala planetaria degli usi, costumi,
linguaggi e modi di organizzazione della sinistra europea dell’Otto e Novecento.
Si può dire che il movimento di Porto Alegre ha perso? Secondo me sta vincendo, come stanno
vincendo la Val di Susa, la gente dello Stretto e i pugliesi che hanno difeso con successo –
eleggendo Nichi Vendola – il loro acquedotto. Altrove no, si perde. Nella “Cina comunista” lo
“sviluppo” marcia come un titanico caterpillar, spianando montagne, uccidendo uomini come topi
nelle miniere e deviando i grandi fiumi. La società civile non è ancora abbastanza forte. In Bolivia,
“abbiamo” fin qui impedito la svendita del gas, cacciato due presidenti ed eletto uno che – forse –
non ci sarà bisogno di cacciar via. Eccetera. Ma, allo stesso tempo, la
necessità di una nuova democrazia e il rifiuto di questo “sviluppo” stanno diventando senso
comune: se no perché, in sondaggi successivi, la maggioranza degli italiani si è dichiarata contro la
guerra, contro gli Ogm e a favore dei valsusini?
Viviamo in una complicata transizione, in cui “sinistra” è una parola multiforme, i cambiamenti
avvengono a macchie, saltando qui e là e creando lentamente – secondo i tempi degli umani e non
dei telegiornali – un nuovo legame sociale, in cui ogni “sintesi” [la mia compresa] è spericolata.
So che Vittorio non è tipo da smontarsi facilmente: abbiamo un sacco di cose da fare, “noi”.
22 dicembre 2005
“Ha ragione Agnoletto..."
di Salvatore Cannavò
Ha ragione Agnoletto quando scrive con nettezza che a Hong Kong il movimento ha perso e che ora
serve un esame di coscienza. Ha ragione anche se è vero quello che ha scritto, sempre su
Liberazione, Sabina Morandi e cioè che il movimento ha sviluppato una grande iniziativa nella ex
colonia britannica mostrando determinazione, radicalità e presenza organizzata.
É anche vero che giornali come il Financial Times parlano di “accordicchio”, di sostanza ancora tutta
da negoziare e mostrano la loro insoddisfazione. Ma si tratta di un’insoddisfazione tipica di chi
vorrebbe avere tutto e subito. In realtà la sconfitta c’è stata e gli accordi siglati dalla Wto possono
innescare una spirale negativa perché invertono il segno che i lavori dell’Organizzazione mondiale
del commercio avevano subito prima a Seattle e poi a Doha. Quindi occorre fare una riflessione che,
ovviamente, avrà bisogno di tempo e di sedi collettive adeguate. E a questo scopo aiuta il confronto
tra opinioni diverse come quella espressa ieri su queste colonne da Gigi Sullo, di Carta. Opinione
coerente con le cose che Sullo ha sempre sostenuto in questi anni di movimento ma che non
miconvince e credo non regga rispetto a quanto avvenuto. Quello che salta agli occhi, innanzitutto, è
il ritrovato asse tra Usa e Ue. Non che le due potenze economiche abbiano interessi convergenti su
tutto ma la gestione del vertice è stata fatta cercando di portare a casa un pacchetto di negoziazioni
possibili che mettessero al centro gli interessi delle multinazionali delle due superpotenze globali,
multinazionali che spesso coincidono. Questa realtà è probabilmente il frutto combinato di due
elementi. Da un lato la guerra in Iraq fa sentire i suoi effetti nel medio periodo: quella guerra c’è
stata, gli Usa hanno segnato un punto sullo scacchiere geopolitico globale e possono iniziare a
ricavarne una rendita di posizione. Allo stesso tempo quella guerra non è vinta del tutto, le
resistenze sono molteplici e l’apporto della Ue inizia a essere benvenuto. Se a questo si aggiunge
che i due principali leader europei che si sono opposti all’unilateralismo di Bush, Chirac e
Schroeder, sono oggi l’uno fuori dal gioco politico (addirittura finito come dipendente di Putin) e
l’altro offuscato politicamente e mediaticamente, si capisce quanto sia possibile il ritorno del
“multilateralismo” - inteso come gestione concertata tra Usa e Ue su scala internazionale - con il
conseguente
rilancio
dell’offensiva
neoliberista
su
scala
globale.
A questo scenario va associato il secondo aspetto che salta agli occhi dalle conclusioni di Hong
Kong: il ruolo dei paesi medi, delle potenze emergenti che, nel caso di Brasile e India (per non
parlare della Cina), sono guidati da governi di sinistra o progressisti.
Il caso brasiliano è ovviamente il più eclatante e il più disarmante. La patria di Porto Alegre e dei
Forum sociali, il paese che ha incarnato una speranza per tutta l’America latina è quello che si mette
alla testa della trattativa al ribasso con Usa e Ue per difendere la propria produzione agricola intesa
come agrindustria e non certo come tutela dei Sem Terra o della popolazione contadina.
L’involuzione di Lula in chiave interna fa oggi la sua prova sullo scenario internazionale, quello
comprensibile alla maggior parte dei movimenti globali, gli stessi che pure sulla sua esperienza di
governo avevano riposto molte speranze. Il voltafaccia del Brasile potrebbe avere serie ripercussioni
in America latina e costituisce un pessimo segnale per la brillante (e altrettanto speranzosa) vittoria
di Evo Morales ma mostra anche la fragilità di quell’ipotesi che prevede di dotare di efficacia politica
i movimenti attraverso la via di governi in compromesso con il liberismo
dominante.
L’ultimo elemento di riflessione riguarda più direttamente i movimenti, il loro ruolo e la loro azione
specifica. Su scala internazionale, ma anche in Italia e in Europa in relazione ai Forum sociali
europei, si è sviluppato un dibattito che ha visto contrapposte due ipotesi: da una parte la
valorizzazione dei Forum come semplici spazi aperti al confronto; dall’altra la maggiore importanza
conferita alla costruzione di reti permanenti in grado di sviluppare un’iniziativa comune coordinata
su scala globale, le «vertenze mondiali» di cui parla Agnoletto e che non piacciono per nulla a Sullo.
Il fatto è che, sia pure in una condizione di esistenza forte del movimento, di sua crescita e di sua
iniziativa politica su scala globale - è giusto ascrivere a questa dinamica il successo in Bolivia così
come la lotta contro la Tav o la vittoria al referendum francese sulla Costituzione europea - il nodo di
scadenze decisive che diventano misura dei rapporti di forza complessivi non può essere saltato.
Altrimenti non si spiegherebbe, a contrario, l’enfasi da tutti noi posta sul fallimento di Seattle e su
quella che, allora, per noi è stata una vittoria. E quella vittoria - tra l’altro ottenuta più per
contraddizioni interne ai governi della Wto che per forza soggettiva del movimento - è stata decisiva
nello sviluppo della stagione dei social forum. L’esito di Hong Kong rende il problema dell’efficacia
politica dei movimenti ancora più urgente. Il “fronte occidentale”, in particolare le forze della sinistra
europee, hanno sottovalutato l’importanza del vertice di Hong Kong. Per rimediare a quella sconfitta
una delle strade da seguire, certo non l’unica, è quella di rafforzare i legami comuni, le campagne
permanenti, le sedi di incontro e di iniziativa. Su questa strada si è spinta molto in avanti la Via
Campesina che ha ben collegato i movimenti contadini di mezzo mondo così come altre campagne,
legate alle tematiche della Wto, hanno saputo realizzare un buon lavoro. Per il resto siamo in ritardo.
Così come siamo ancora in deficit rispetto a un collegamento internazionale delle sinistre
anticapitaliste.
É un punto di snodo decisivo perché forse a Hong Kong si è aperta una nuova fase e non possiamo
farci trovare impreparati.
ALTRE INFORMAZIONI
Gli incarichi di Vittorio al Parlamento Europeo:
Commissione per gli affari esteri, Membro
Commissione per il commercio internazionale, Membro sostituto
Sottocommissione per i diritti dell'uomo, Membro
Delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti, Membro sostituto
Assemblea parlamentare paritetica ACP (Africa, Carabi e Pacifico)-UE, Membro
Intergruppo Globalizzazione, Vice-presidente
Integruppo Federalista, Membro
Gruppo parlamentare di amicizia con il popolo kurdo, Coordinatore
Relatore su “La clausola dei diritti umani e della democrazia negli accordi dell’Unione
Europea”.
La squadra dei collaboratori:
A Milano,
Barbara Battaglia, addetta stampa Italia
Giosuè De Salvo, segretario politico
tel. 02 87395155, fax. 02 875045
A Bruxelles,
Fabiano Cesaroni, assistente parlamentare
Riccardo Falduto, stagista
Nicola Flamigni, stagista
Cora Ranci, stagista
Stefano Squarcina, coordinatore staff gruppo GUE/NGL
Forniscono inoltre un importante supporto a Vittorio:
a Milano, Giorgio Riolo e tutto lo staff di Puntorosso ;
a Bruxelles e Strasburgo, Gianfranco Battistini, Roberto Lo Priore, Chiara Tamburini
Elenco degli ultimi articoli pubblicati, rintracciabili sul sito www.vittorioagnoletto.it/articoli:
“Lotta all'HIV/AIDS: il 2005, anno cruciale”, Mani tese del 1 novembre 2005
“La battaglia dei farmaci l'hanno persa i paesi poveri”, Carta Etc. - Mensile n. 4 del 7
novembre 2005
“L'accordo sui farmaci anti AIDS affossa i paesi poveri”, Il manifesto del 13 dicembre 2005
“Le ragioni dello stallo nei negoziati”, Liberazione del 15 dicembre 2005
“Il mio viaggio nella guerra colombiana”, Lavori in corso n. 13 del 16 dicembre 2005
“Abbiamo perso: necessario un esame di coscienza”, Liberazione del 18 dicembre 2005
“Agnoletto dice «al WTO abbiamo perso noi». Caro Vittorio, ma noi chi?”, Liberazione del 21 dicembre 2005
“Ha ragione Agnoletto”, Liberazione del 22 dicembre 2005
“I Paesi africani e l'Unione europea”, Come n. 246 del 12 gennaio 2006
“Tav, le ragioni del no”, Lavori in corso n. 15 del 13 gennaio 2006
“Due forum, un problema”, Carta n. 3 del 23 gennaio 2006
“Alta velocità - Dietro l'alibi dei fondi europei”, Il manifesto del 22 febbraio 2006
“Mr Global continua a vincere”, replica a Gianni Riotta, Il Corriere della sera del 4 marzo 2006
FaiLaCosaGiusta News
numero 4 - marzo 2006
Foglio di informazione elettronico di Vittorio Agnoletto - Europarlamentare del gruppo GUE/NGL
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