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FaiLaCosaGiusta News numero 4 - marzo 2006 Foglio di informazione elettronico di Vittorio Agnoletto - Europarlamentare del gruppo GUE/NGL Su Internet: www.vittorioagnoletto.it E-Mail: [email protected] Ringraziandovi degli apprezzamenti e delle critiche costruttive alla tre precedenti edizioni, inviamo copia del quarto numero di FaiLaCosaGiusta News. L’augurio è sempre lo stesso: che sia un modo discreto ed efficace di tenervi aggiornati sui fatti e misfatti di Vittorio Agnoletto in quel di Strasburgo e Bruxelles. Sommario INTRO - “Risoluzione Agnoletto sui diritti umani: e ora?” di Vittorio Agnoletto ATTIVITÀ PARLAMENTARI I – Interventi in aula e prese di posizione: 1) 1) 14 novembre 2005: Centri di detenzione segreti in Europa 2) 2) 16 gennaio 2006: Omofobia in Europa 3) 3) 16 gennaio 2006: Dopo la conferenza ministeriale del WTO a Hong Kong 4) 4) 14 febbraio 2006: Clausola diritti dell’uomo e democrazia negli accordi UE Altra dichiarazione di voto: 17 novembre 2005, Codice di condotta europeo sull’esportazione delle armi Dichiarazione scritta per il diritto all'assistenza sanitaria esteso a tutti i residenti in Europa Dalla data di presentazione del testo, gli eurodeputati proponenti hanno tre mesi di tempo per raccogliere le adesioni della maggioranza qualificata dei loro colleghi. Quindi, in questo caso, se entro il prossimo 16 aprile sottoscriverà la dichiarazione il 50 per cento più uno dei parlamentari europei, il testo verrà trasmesso alla Commissione e al Consiglio europei, oltre che ai parlamenti nazionali degli stati membri: 5) 16 gennaio 2006: Diritto all'assistenza sanitaria per tutti i residenti in Europa ATTIVITÀ PARLAMENTARI II – Interrogazioni a Commissione e Consiglio: 1) 1) 8 novembre 2005: Continui massacri in Iraq 2) 2) 8 novembre 2005: Massacro a San José de Apartado, Colombia e impunità colpevoli 3) 14 novembre 2005: Centro trasfusionale del Policlinico di Milano e donazioni sanguigne da parte di cittadini omosessuali 4) 22 novembre 2005: Omosessualità, marcia per l'uguaglianza in Polonia 5) 5 dicembre 2005: Repressione dell'utilizzo di internet da parte della Repubblica popolare cinese (con risposta del Consiglio in data 14 febbraio 2006) 6) 20 dicembre 2005: Sgombero forzato in Kenya del "Deep Sea Village" a Nairobi e violenze della polizia kenyota nella discarica di "Dandora" 7) 23 dicembre 2005: Inceneritore di rifiuti a Scarpino, nel Parco di Monte Gazzo (Genova) 8) 13 febbraio 2006: Asse "Torino-Lione" e pestaggi da parte della polizia italiana ai danni di deputati europei e di cittadini della Val di Susa che dimostrano pacificamente 9) 14 febbraio 2006: Ustica 10) 14 febbraio 2006: Arresto del cittadino turco Mehmet Tarhan e diritto all'obiezione di coscienza in Turchia A VOLTE SI OTTIENE ANCHE QUALCHE RISULTATO: MEHMET É STATO LIBERATO! (v. comunicato stampa del 13 03 06) 11) 3 marzo 2006: Continui massacri nelle comunità colombiane ATTIVITÀ PARLAMENTARI III – Documenti, mozioni e risoluzioni approvate: 1) 1) Decisione del Parlamento europeo sulla costituzione di una commissione temporanea sul presunto coinvolgimento di paesi europei, da parte della CIA, nel trasporto e la detenzione illegale di prigionieri: http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20060012+0+DOC+XML+V0//IT&LEVEL=4&NAV=X&L=IT 2) 2) Risoluzione del Parlamento europeo sulla sesta relazione annuale del Consiglio elaborata ai sensi della misura operativa n. 8 del codice di condotta dell'Unione europea per le esportazioni di armi: http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20050436+0+DOC+XML+V0//IT&LEVEL=4&NAV=X&L=IT 3) 3) Risoluzione del Parlamento europeo sull'omofobia in Europa: http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20060018+0+DOC+XML+V0//IT&LEVEL=4&NAV=X&L=IT 4) 4) Risoluzione Agnoletto sulla clausola relativa ai diritti dell'uomo e alla democrazia negli accordi dell'Unione europea: http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20060056+0+DOC+XML+V0//IT&LEVEL=4&NAV=X&L=IT APPROFONDIMENTI E RIFLESSIONI: 1) 1) Da Carta: "L'Italia fuori dall'Europa", articolo sulle strategie UE in materia di droghe, di Vittorio Agnoletto e Paolo La Marca 2) 2) Da Il manifesto: "Dietro l'alibi dei fondi europei", editoriale di Vittorio Agnoletto sull'alta velocità 3) 3) Un punto di vista esterno: "Lo scandalo che tutti tacciono" di Raffaele Salinari, presidente di Terre des hommes international, portavoce Coordinamento italiano network internazionali "BATTI E RIBATTI" SUL WTO, DAL QUOTIDIANO LIBERAZIONE: - "Abbiamo perso: necessario un esame di coscienza", 18 dicembre 2005 - "Agnoletto dice «al WTO abbiamo perso noi». Caro Vittorio, ma noi chi?", di Pierluigi Sullo, direttore di Carta, 21 dicembre 2005 - "Ha ragione Agnoletto...", di Salvatore Cannavò, 22 dicembre 2005 INIZIATIVE E APPUNTAMENTI: 1) 21 marzo 2006: XI Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie, a Torino, organizza Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie http://www.libera.it 2) 17-24 aprile 2006: missione GUE in Cina: le relazioni commerciali tra UE e Cina 3) 4-7 maggio 2006: IV Forum sociale europeo, Atene; seminari dell'associazione culturale Puntorosso, Forum mondiale delle alternative, Fondazione Rosa Luxemburg, Transform, TNI - Transnational institute, Clat, Encod: «War on drugs, narcomafie e globalizzazione neoliberista», «Violazione dei diritti umani fuori e dentro l'UE: quali strumenti pratici di intervento da parte di società civile e movimenti?», «Sinistra europea e movimenti: quale spazio per la costruzione di un nuovo soggetto antiliberista, radicale, in grado di unire culture e pratiche politiche di tradizioni diverse?» http://www.fse-esf.org http://www.athens.fse-esf.org, http://www.socialforum.gr/italiano_index.htm, http://www.worldsocialforum.com 4) 10-13 maggio 2006: “Encuentro social America Latina, Europa y el Caribe” in occasione del IV Summit UE-America Latina a Vienna: http://www.alternativas.at/ ALTRE INFORMAZIONI: 1) 1) Gli incarichi di Vittorio al Parlamento Europeo 2) 2) La squadra dei collaboratori 3) 3) Elenco degli ultimi articoli pubblicati “Risoluzione Agnoletto sui diritti umani: e ora?” di Vittorio Agnoletto L'ultima volta che mi sono rivolto a voi annunciavo il voto del Parlamento europeo sulla clausola per la democrazia, progetto del quale ero stato nominato relatore. Oggi torno a parlarvi di quella che ormai è diventata la «risoluzione Agnoletto», come viene chiamata nei corridoi e nelle aule di Bruxelles e Strasburgo e, visto il tema, non vi nego che ne sono orgoglioso. Anzitutto, i fatti. Eravamo rimasti al 14 febbraio, giorno del voto sulla clausola europea sui diritti umani e la democrazia nei rapporti tra l'UE e i Paesi terzi. Ebbene, è stata approvata a larghissima maggioranza. L'europarlamento ha riconosciuto la priorità del rispetto dei diritti umani sui profitti. Spetta ora alla Commissione Europea e al Consiglio trasformare la risoluzione approvata a Strasburgo in una direttiva o comunque in una norma vincolante che d' ora in poi dovrà essere applicata agli accordi commerciali tra l'UE e qualunque altro Paese, dagli Stati Uniti al Botswana, e per qualunque intesa economica, anche settoriale, dalla pesca al tessile. Il Parlamento, memore delle difficoltà registrate anche nel recente passato nei rapporti con gli organi esecutivi dell'Unione, ha inserito al paragrafo 10 del documento approvato un preciso messaggio che dovrebbe contribuire a richiamare la Commissione Europea al rispetto della volontà parlamentare. «Il Parlamento sottolinea che non è più disposto a dare il proprio parere conforme a nuovi accordi internazionali che non contengano una clausola relativa ai diritti dell'uomo e della democrazia» si legge nel testo. Un'affermazione perentoria che si aggiunge alla richiesta del Parlamento stesso di essere coinvolto in tutte le decisioni relative all'assunzione o alla soppressione di provvedimenti sanzionatori verso Paesi non rispettosi dei diritti umani o delle regole democratiche. Purtroppo, quella che appare come una vittoria a tutto campo, soprattutto per le associazioni e le Ong che mi hanno aiutato nella stesura della clausola, è solo il primo passo di un iter politico per nulla scontato. Recentemente ho infatti constatato come la Commissione non sempre tenga in seria considerazione le mozioni approvate dal Parlamento, quando queste non rientrano in atti vincolanti sul piano giuridico, come in caso di codecisione (procedura nella quale i due organi hanno lo stesso peso politico) o di parere conforme (un voto necessario del Parlamento europeo su un dossier). Emblematico di questa situazione è il caso di una risoluzione per la quale mi sono impegnato a fondo, per i percorsi che contraddistinguono la mia vita professionale. Si tratta della mozione congiunta per la lotta all'AIDS, approvata il 2 dicembre 2004, che chiedeva alla Commissione un impegno preciso per ottenere, in seno all'Organizzazione mondiale del Commercio, la modifica degli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale. L'obiettivo era quello di facilitare l'accesso ai farmaci antiretrovirali per le popolazioni del sud del mondo. Nonostante la gravità del problema e la necessità di un intervento tempestivo, la Commissione europea non ha dato alcuna continuità alle richieste del Parlamento. Anzi, tramite un suo rappresentante, ha pubblicamente dichiarato, in un'audizione parlamentare organizzata a Bruxelles, di non avere alcuna intenzione di aprire un contenzioso con le grandi multinazionali del farmaco. Molto dipende quindi dalla determinazione con la quale il Parlamento intende perseguire gli obiettivi che si è dato. Anche a costo di avviare un vero e proprio braccio di ferro con la Commissione e il Consiglio, com'è successo anche di recente, ad esempio nel voto contro l'estensione del copyright nel software. Appurato per tanto il rischio di "un buco nell'acqua", mi sono premunito. Lo stesso 14 febbraio, in qualità di relatore della risoluzione approvata, ho chiesto ed ottenuto un primo incontro con Benita Ferrero Waldner, commissaria europea per le Relazioni esterne. É così cominciato un confronto tra Parlamento, Commissione e Consiglio finalizzato ad individuare le modalità con le quali la «risoluzione Agnoletto» verrà recepita dagli organi esecutivi dell'UE. Fin dal primo faccia a faccia ho cercato di verificare nel modo più immediato la disponibilità della Commissione a recepire il messaggio del Parlamento, chiedendo l'intervento della commissaria su tre casi internazionali, paradigmatici delle contraddizioni tra interessi commerciali dell'UE e rispetto dei diritti umani. Il primo è la richiesta di una forte pressione sulla Colombia per evitare nuovi massacri di civili e chiedere l'individuazione dei responsabili delle violenze ai danni della comunità di pace di san Josè de Apartado. Quindi, la liberazione di Mehmet Tarhan, obiettore di coscienza turco, condannato per essersi rifiutato di prestare servizio militare. Infine, un richiamo importante a difesa dell'associazione dei diritti umani tunisina, posta sotto processo e impedita nel proprio lavoro dal governo maghrebino. Colombia, Turchia e Tunisia sono, per motivi differenti, Paesi con i quali l'Unione europea ha forti legami economici e politici. Per tanto, i tre esempi di violazioni dei diritti delle persone che li riguardano rappresentano un campo di prova ottimale per la clausola. Nel caso della Colombia, la commissaria si è impegnata ad inviare una lettera al ministro degli Esteri di Bogotà, con la richiesta di maggiori garanzie e giustizia per i contadini della comunità di san Josè. Per quanto riguarda il pacifista turco, mi ha assicurato che alcuni progressi erano già stati fatti e che la diplomazia europea stava seguendo con attenzione la vicenda. Mehmet Tarhan è stato poi scarcerato il 9 marzo scorso, dopo 11 mesi di prigionia. In merito alla Tunisia, al contrario, ha ricordato che il Paese nordafricano è il principale partner economico della regione mediterranea ed é "nostro interesse" non indebolire l'attuale governo, già minacciato dal rafforzamento dell'integralismo musulmano. Quindi, su questo punto specifico, nessuna risposta alla mia richiesta. Vi sarà quindi chiaro che il confronto con la Commissione europea sull'applicazione della clausola è appena iniziato. A fine marzo incontrerò nuovamente un suo rappresentante. Quel che é certo é che il futuro della risoluzione per i diritti umani dipenderà in buona parte da quanto il Parlamento incalzerà la Commissione. Un segnale positivo, tuttavia, c'è già stato, in quanto l'assemblea di Strasburgo ha chiesto una verifica annuale sull'attuazione della clausola per la democrazia, nel corso della relazione sui diritti umani nel mondo. Lungi dallo scoraggiarci, comunque, abbiamo già in mano un mezzo concreto che le associazioni e le Ong possono sfruttare sin da ora, nella consapevolezza che il Parlamento europeo le ha già individuate come partners ideali per l'implementazione e il controllo dell'attuazione della clausola. É da sottolineare inoltre l'importanza del carattere bidirezionale del vincolo al rispetto dei diritti e dunque l'elemento della reciprocità. In questo modo anche gli altri stati e le associazioni che operano per la tutela dei diritti nei vari Paesi del globo avranno diritto di verificare in Europa il trattamento riservato ad esempio agli immigrati nei centri di permanenza temporanea. I sodalizi impegnati per il rispetto dei diritti umani hanno infatti la facoltà di chiedere, in ogni nazione dove operano, la nascita dei consigli di associazione e delle sottocommissioni dei diritti umani, organi di controllo formati da membri dell'UE e delle nazioni in cui gli stessi volontari prestano servizio. È un'opportunità da cogliere senza indugi. Significa cominciare a costruire concretamente ciò che sul piano istituzionale è formalmente accettato ma la cui realizzazione richiede tempi piuttosto lunghi. Con il pericolo che, in assenza di pressioni da parte dell'europarlamento, l'intero processo subisca un arresto definitivo. Per concludere, mi rendo conto di aver solo iniziato un percorso lungo e complesso. D'altro canto, non sarebbe realistico pensare che l'UE da un momento all'altro interrompa tutti i rapporti commerciali con i Paesi che non rispettano la dignità dei cittadini. Ma abbiamo con noi una nuova «cassetta degli attrezzi», che contiene strumenti adatti a dare credibilità, sostanza e legittimità giuridica alle richieste di tante associazioni che lottano per la difesa dei diritti umani, in ogni parte del mondo. Attività parlamentari I - 1 14 NOVEMBRE 2005 Centri di detenzione Cia in Europa “Carceri segrete: gli abusi impuniti degli Stati Uniti” Intervento di Vittorio in plenaria, a nome del gruppo GUE/NGL: "Signor Presidente, onorevoli colleghi, il vicepresidente Frattini mi ricorda francamente – e non è un insulto – quelle famose scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano. Lui invece ha parlato, ma non ha avuto neanche il coraggio di dire che non si stava alludendo a generiche prigioni nascoste, bensì a veri e propri centri di tortura messi a disposizione della CIA e degli USA da parte di alcuni Stati europei. Commissario Frattini, lei nega l’evidenza. Nega quanto è stato ammesso anche da alcune autorevoli fonti statunitensi. Noi le chiediamo di condurre un’indagine. Certo è che se non si vogliono trovare le prove, non le si troveranno mai... Signor Commissario, lei forse non sa che il 17 febbraio 2003, a Milano, è stato rapito Abu Omar, ex imam della moschea di via Jenner, e che i magistrati di Milano hanno trovato prove incontrovertibili sulle responsabilità dirette della CIA e hanno chiesto l’estradizione di 22 agenti dell’intelligence statunitense? Quale posizione ha assunto la Commissione europea davanti a queste prove? Che cosa ha fatto concretamente, di fronte a questa violazione del diritto di sovranità, per ottenere il rispetto, da parte delle autorità statunitensi, della Convenzione sui diritti umani e sulla tortura? La Commissione non ha fatto nulla. Se questo è il passato, credo che ci sarà ben poco da sperare sull’azione futura della Commissione europea..." Attività parlamentari I - 2 16 GENNAIO 2006 Sull'omofobia in Europa “Discriminare gli omosessuali significa violare i diritti umani” Intervento in plenaria di Vittorio a nome del gruppo GUE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, "o ci arriveremo insieme alla libertà, o non ci arriveremo": sono queste le parole pronunciate da Martin Luther King quando lanciò la campagna per i diritti degli afroamericani. Con tale monito intendeva dire che non esistono i "diritti dei neri" o i "diritti dei bianchi" ma più semplicemente i diritti umani. Combattere l'omofobia non significa mostrare comprensione verso una specifica fascia della popolazione ma significa, in primo luogo, difendere i diritti umani. Mi fa paura l'arroganza di chi nega a un omosessuale la possibilità di donare il sangue; mi fanno paura le campagne discriminatorie di chi non sa parlare di comportamenti a rischio ma allude ancora a soggetti a rischio nella lotta all'AIDS; o ancora coloro che vietano a un omosessuale, solo perché tale, di guidare l'automobile. Né posso tacere su una Commissione che si comporta come Ponzio Pilato. Non chiede il rispetto di una direttiva, che pure esiste, contro le discriminazioni, mentre dovrebbe avviare le procedure di infrazione contro le nazioni che non rispettano la libera scelta dell'orientamento sessuale: questo avviene in Italia, in Polonia e tante altre nazioni. Non si tratta di un problema che tocca soltanto un gruppo di persone, ma riguarda la dignità di tutta l'Unione europea”. Comunicati stampa di riferimento: "Una procedura d'infrazione per i Paesi omofobici", "Calderoli esprime omofobia e razzismo: si dimetta“ su www.vittorioagnoletto.it sezione “Articoli”. Attività parlamentari I - 3 16 GENNAIO 2006 Sulla VI Conferenza ministeriale del WTO di Hong Kong “Altro che round per lo sviluppo...” Intervento di Vittorio in plenaria: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo si doveva chiamare «round per lo sviluppo» ma sinceramente la realtà mi appare ben diversa. Ha vinto l'egoismo del Nord del mondo, ancora una volta, ha vinto l'interesse delle multinazionali statunitensi ed europee, ben sponsorizzate e rappresentate dal lavoro della Commissione europea. Come si fa a parlare di abbattimento del protezionismo o di difesa del libero mercato quando ognuno dei 25mila coltivatori di cotone degli Stati Uniti riceve in media 114mila dollari l'anno in sovvenzioni? Tale pratica produce una diminuzione del prezzo del cotone sul mercato internazionale pari al 15 per cento. I 20 milioni di coltivatori africani vengono così ridotti alla fame: tra loro vi sono contadini di Mali, Benin, Burkina Faso, Ciad, Niger, tutti Paesi che occupano gli ultimi posti nella graduatoria dell'ONU dello sviluppo umano. Come si fa a parlare di sviluppo quando viene prorogata fino al 2013 una politica fondata sul dumping in campo agricolo, il cui risultato è quello di distruggere l'economia dei Paesi in via di sviluppo, considerando che il 70 per cento della popolazione mondiale vive dei prodotti della terra? L'Unione europea e gli Stati Uniti si sono rimpallati a vicenda le accuse ma concretamente nessuno è stato disposto a tagliare subito i sussidi finalizzati all'esportazione del cotone. Questo significa perpetrare un regime di monopolio dominato dalle multinazionali dell'agro-business. Non abbiamo sentito una sola parola sulla necessità di inserire clausole sociali e di rispettarle. Non solo, i Paesi in via di sviluppo sono stati costretti ad aprire i loro mercati ai prodotti industriali del Nord, dovendo abbattere sensibilmente i loro dazi doganali. Ciò si traduce in una competizione impari che darà il "colpo finale" all'industria fino ad ora sviluppatasi in Africa e nelle regioni povere dell'Asia. Inoltre le cifre degli aiuti allo sviluppo previsti non sono ancora state definite e è stato neppure specificato se si tratta di aiuti veri e propri o di prestiti. Questi contributi appaiono come uno specchietto per le allodole che si sta rivelando in tutta la sua falsità. Viene aperto il mercato dei servizi: l'educazione e i servizi sociali e sanitari saranno sempre meno diritti e sempre più merci, disponibili solo per chi potrà acquistarle. Ancora, vi è il rischio che in questo mercato rientri anche l'acqua, una merce che nel prossimo futuro farà concorrenza al petrolio, sarà "l'oro blu" che diventerà economicamente ambito quanto "l'oro nero". Per non parlare della situazione dell'accesso ai farmaci, nei fatti impedito ai 30 milioni di sieropositivi che vivono in Africa.Vorrei sapere come è possibile, di fronte a questa realtà, parlare di «round dello sviluppo»". "In piazza contro il Wto con i dissidenti cinesi", "Vittorio Agnoletto alla Wto di Hong Kong", "L'accordo sui farmaci anti Aids affossa i Paesi poveri “, "Il fallimento annunciato del dogma «libero commercio = fine della povertà»", "Brevetti e Articoli e comunicati stampa di riferimento: farmaci: una condanna a morte per i Paesi poveri", "L'occidente affama i contadini", "Le ragioni dello stallo nei negoziati", "Wto, un'associazione a delinquere", "La Wto non è democratica: tutti partecipano ma pochi decidono", "Abbiamo perso: necessario un esame di coscienza", "I Paesi africani e l'Unione europea" su www.vittorioagnoletto.it sezione “Articoli”. Attività parlamentari I – 4 14 FEBBRAIO 2006 La clausola relativa ai Diritti umani e la democrazia negli accordi della UE “Uno strumento di intervento per imporre i diritti sui profitti” Intervento di Vittorio in plenaria, in occasione del voto sulla risoluzione Agnoletto: "Signor Presidente, onorevoli colleghi, la clausola relativa ai diritti dell'uomo e alla democrazia ha una lunga storia all'interno del Parlamento e parte dal presupposto che i diritti civili e politici ma, intesi in senso lato, anche quelli economici, sociali e culturali, debbano essere al centro della politica dell'Unione europea. Le clausola nasce nei primi anni '90 con l'accordo di Lomé e, proprio nel 1990, è stata applicata anche all'Argentina. Nella sua relazione annuale, il Parlamento europeo chiede ogni anno che questa clausola assuma un maggiore significato ed esorta il Consiglio a conferire al Parlamento un ruolo più importante nella sorveglianza della sua applicazione. Fino ad ora, le richieste del Parlamento non hanno ottenuto risposte soddisfacenti. Attualmente la clausola è inserita in più di cinquanta accordi e viene applicata a oltre centoventi paesi. A tale proposito, va sottolineata l'importanza dell'Accordo di Cotonou, firmato con i Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) nel giugno del 2000, che ha potenziato il ruolo di questa clausola. Il Parlamento europeo deve dare il proprio parere conforme a un accordo prima della sua entrata in vigore, ma non è chiamato a pronunciarsi sull'avvio di una consultazione o sulla parziale sospensione di un accordo. Ciò sminuisce il suo ruolo istituzionale e, più in generale, politico. Per tale motivo ritengo importante sottolineare che il Parlamento non è più disposto a dare il proprio parere conforme a nuovi accordi internazionali che non contengono una clausola relativa ai diritti dell'uomo e alla democrazia. Il Parlamento ritiene poi di dover partecipare alla definizione del mandato negoziale relativo ai nuovi accordi con Paesi terzi e, soprattutto, all'elaborazione delle loro finalità politiche e di promozione dei diritti umani. Inoltre, il Parlamento chiede di essere coinvolto nel processo decisionale concernente l'avvio di una consultazione o la sospensione di un accordo, o ancora la sospensione di eventuali misure adeguate negative che sono già state imposte a un paese. Infine, chiede di essere associato al Consiglio di associazione e alle sottocommissioni sui diritti umani e auspica che le sue delegazioni interparlamentari svolgano un ruolo rafforzato al riguardo, iscrivendo regolarmente all'ordine del giorno delle riunioni le discussioni sulla clausola democratica. Un altro elemento essenziale è la reciprocità tra l'Unione europea e i Paesi terzi, che finora non è stata pienamente sfruttata. Ritengo poi che la clausola debba essere applicata in relazione alla violazione di cui si discute e non in relazione al Paese di cui si discute. È altresì necessario estendere la clausola a tutti i nuovi accordi tra l'Unione europea e i Paesi terzi industrializzati o in via di sviluppo - includendo gli accordi settoriali e gli aiuti commerciali, tecnici o finanziari, sull'esempio di quanto è stato realizzato finora per i paesi ACP. É necessario prevedere l'iscrizione sistematica delle questioni attinenti ai diritti umani all'ordine del giorno del Consiglio di associazione. A tale proposito, si ritiene che il capo delle delegazioni esterne della Commissione nei paesi terzi debba svolgere un ruolo più importante e si chiede l'elaborazione di documenti strategici pluriennali paese per paese, che devono essere discussi regolarmente. É inoltre previsto un dialogo strutturato tra il Consiglio di associazione e la sua sottocommissione sui diritti umani. Si chiede l'istituzione generalizzata delle sottocommissioni sui diritti umani, incaricate di verificare il rispetto, l'applicazione e l'implementazione della clausola democratica, nonché di proporre azioni specifiche positive, volte al miglioramento della democrazia e dei diritti umani. É importante sottolineare che si chiede l'inclusione e la consultazione in queste sottocommissioni dei rappresentanti dei parlamenti e delle organizzazioni della società civile. Vi è poi un ulteriore aspetto estremamente importante. Con questa risoluzione noi riconosciamo che fino ad ora l'applicazione della clausola è stata resa più difficile dal requisito dell'unanimità in seno al Consiglio per l'avvio di una procedura di consultazione. Si chiede pertanto l'abolizione dell'unanimità e, a tal fine, la revisione dell'articolo 300, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, e limita il ruolo del Parlamento europeo in questi casi. Infine, se da un lato si ritiene che la clausola debba essere applicata a tutti i Paesi e a tutti gli accordi, dall'altro lato si ritiene che con gli stati interessati dalla nuova politica di vicinato si potrebbe prevedere la firma di accordi che vadano oltre la clausola democratica, basati sulla condivisione di istituzioni comuni per la promozione dei principi democratici e dei diritti umani, sull'esempio del Consiglio d'Europa e degli accordi regionali”. Comunicati stampa di riferimento: "I diritti prima dei profitti", "La nuova clausola per i diritti umani firmata Agnoletto" su www.vittorioagnoletto.it sezione “Articoli”. Dichiarazione scritta I – 5 16 GENNAIO 2006 Diritto alle cure mediche anche per chi non è in regola col permesso di soggiorno “Assistenza sanitaria per tutti i residenti in Europa” Dichiarazione scritta di Vittorio Agnoletto, Giovanni Berlinguer e altri eurodeputati, realizzata su sollecitazione di alcune associazioni che si occupano specificamente di diritti dei migranti, ovvero: Naga (Associazione volontaria di assistenza sociosanitaria e per i diritti di stranieri e nomadi onlus), Area sanitaria della Caritas e Oikos onlus e altre. "Il Parlamento europeo, – visto l'articolo 116 del suo regolamento, A. considerando che il diritto alla salute si configura come diritto umano fondamentale e che a questo titolo è necessario estendere in Europa l'assistenza sanitaria, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o essenziali anche a tutti i cittadini non europei, compresi quelli non regolari, B. considerando che Italia, Francia, Belgio, Germania, Regno Unito e Spagna hanno già da tempo approvato leggi e/o procedure adeguate per garantire ai cittadini di paesi terzi, anche temporaneamente non in regola con le norme relative all'ingresso e al soggiorno nel territorio degli stati membri, varie forme di accesso alle cure mediche essenziali, C. considerando che il quadro normativo descritto tutela solo in parte i diritti degli individui presenti nel territorio dell'Unione e non garantisce un livello uniforme di servizi, 1. invita la Commissione a proporre una direttiva europea che, senza recare pregiudizio alle responsabilità nazionali in materia, indichi le condizioni di assistenza sanitaria minima da garantirsi a tutti gli stranieri, compresi quelli sprovvisti di regolare permesso di soggiorno; 2. invita la sua commissione competente a farsi promotrice di un'audizione pubblica che monitori la situazione legislativa dei vari Stati Membri in materia, in modo da suggerire una "armonizzazione verso l'alto" di tale legislazione; 3. incarica al suo presidente di trasmettere la presente dichiarazione, con l'indicazione dei nomi dei firmatari, al Consiglio, alla Commissione, ai governi ed ai parlamenti degli stati membri". Attività parlamentari II – 1 Interrogazione al Consiglio sui continui massacri in Iraq Presentata in data 21 giugno 2005 Risposta ottenuta in data 8 novembre 2005. Testo interrogazione Agnoletto. "Il 17 maggio 2005, in Iraq, è stato compiuto un massacro che in apparenza coinvolge direttamente le forze irachene di sicurezza e le forze alleate. Testimoni iracheni hanno fatto sapere che forze speciali del ministero dell'Interno e del "Wolf Battalion" hanno arrestato il 17 maggio 2005 52 musulmani sunniti nei dintorni di Al-Sa'ab, nel Adhamiya District di Bagdad. Dieci ore più tardi, i corpi di tredici persone sono stati ritrovati, con evidenti segni di tortura e maltrattamenti (Si allega la lista dei nomi delle persone i cui corpi sono stati ritrovati in quell'occasione). Le forze di occupazione angloamericane starebbero mettendo in pratica delle misure di allontanamento dei musulmani sunniti dell'area. É a conoscenza il Consiglio della strage che avrebbe avuto luogo il 17 maggio scorso, e a chi ne imputa la responsabilità? Come intende attivarsi il Consiglio nei confronti degli Stati membri direttamente coinvolti nella guerra in Iraq, affinché sia fatta luce sull'accaduto?" Risposta del Consiglio, in data 8 novembre 2005 "Il Consiglio non ha discusso gli avvenimenti menzionati nell'interrogazione. Spetta alle autorità irachene indagare al riguardo. Per migliorare la capacità dell'Iraq in questo settore l'UE ha avviato una missione integrata sullo stato di diritto per l'Iraq, imperniata sulla formazione di giudici, pubblici ministeri, funzionari di polizia e del sistema penitenziario iracheni. L'obiettivo dell'UE è un Iraq sicuro, stabile e unificato che rispetti i diritti umani, eserciti pienamente la propria sovranità e cooperi in maniera costruttiva con i vicini e con la comunità internazionale". Attività parlamentari II – 2 Interrogazione al Consiglio sul massacro di san José de Apartado, in Colombia e sull'impunità per vari crimini commessi ai danni della popolazione Presentata in data 13 luglio 2005 Risposta ottenuta in data 8 novembre 2005. Testo interrogazione Agnoletto. "La comunità di pace di san José de Apartado, una comunità pacifica che tenta di restare al di fuori del conflitto armato, è oggetto di numerose critiche da parte dell'attuale governo. Il governo colombiano ha infatti pubblicato un documento terminologico per la cooperazione internazionale in cui vieta l'appoggio a esperienze di comunità di pace. In seguito al massacro di otto civili, tra cui il capo della comunità e diversi bambini, varie organizzazioni di difesa dei diritti dell'uomo hanno deciso di portare il caso della recente strage di san José dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aia. Intende il Consiglio adottare un ruolo più attivo in materia di difesa delle comunità di pace e delle comunità indigene in Colombia o ritiene, come il governo colombiano, che tutti debbano prendere parte al conflitto? Che cosa intende fare il Consiglio per sostenere le vittime e la lotta contro l'impunità in Colombia? Appoggia il Consiglio l'iniziativa volta a portare gli autori del massacro di san José de Apartado dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia?" Risposta del Consiglio, in data 8 novembre 2005 "L'UE è intervenuta più volte, anche al massimo livello, per difendere le comunità di pace e le comunità indigene della Colombia, dichiarando inoltre apertamente che qualsiasi strategia che rischi di coinvolgere nel conflitto larghi strati della popolazione non può costituire un sostegno al processo di pace e di conciliazione. Le repliche da parte del Governo colombiano sono state rassicuranti. Da quando il Congresso colombiano ha adottato la legge sulla giustizia e sulla pace, il Consiglio sta seriamente riconsiderando il suo approccio, come prevedono le conclusioni del Consiglio del dicembre 2004. Il governo colombiano è consapevole del fatto che la comunità internazionale, in particolare l'UE, non può tollerare né sostenere un piano che prevede l'impunità per reati gravi, specificamente quelli contro l'umanità. Le missioni dell'UE hanno seguito da vicino le indagini sul massacro di san José de Apartado. Il Consiglio non ha preso in esame un eventuale sostegno alla consegna degli autori alla Corte Internazionale di Giustizia". Attività parlamentari II – 3 Interrogazione alla Commissione sul Centro trasfusionale del Policlinico di Milano e donazioni di sangue da parte di cittadini omosessuali Presentata in data 4 ottobre 2005 Risposta ottenuta in data 14 novembre 2005. Testo interrogazione Agnoletto "Il 16 agosto 2005 lo scrittore italiano Paolo Pedote si è visto rifiutare, in quanto gay, dal Centro trasfusionale del Policlinico di Milano, diretto dal professor Paolo Rebulla, la possibilità di donare sangue. Questo episodio ha evidenziato come il rifiuto delle donazioni di sangue da parte di uomini omosessuali corrisponda, in tale ospedale, a una politica e a una pratica generalizzata. Il vicepresidente dell'associazione "Amici del Policlinico" ha affermato: "Il problema é esclusivamente sanitario. I test ci dicono che il sangue di eventuali donatori maschi omosessuali non é sicuro al cento per cento. Se lo fosse, non avremmo problemi ad accettarlo, così come facciamo con le omosessuali donne". Occorre ricordare non solo che tutto il sangue donato deve essere sottoposto a specifici test e che nessuno può essere ritenuto a priori sicuro al 100%, ma anche che tale affermazione, così come i comportamenti conseguenti, sono in netto contrasto, sul piano scientifico, con quanto dichiarato da anni dall'UNAIDS e dai più prestigiosi centri di ricerca che parlano di "comportamenti a rischio" (indipendentemente che siano praticati da eterosessuali o da omosessuali) e non di "orientamenti sessuali a rischio". Non ritiene la Commissione di dover censurare tale decisione, infondata sul piano scientifico e contraria ai trattati istitutivi dell'Unione Europea che proibiscono solennemente discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale? Non ritiene la Commissione di dover chiedere allo Stato italiano di intervenire urgentemente per modificare tale situazione?" Risposta di Markos Kyprianou a nome della Commissione, in data 14 novembre 2005 "Allo scopo di proteggere la salute pubblica e di prevenire la trasmissione di malattie infettive ai pazienti, è della più grande importanza che vengano prese tutte le misure di precauzione necessarie sia precedentemente che durante la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano donato da cittadini europei e dei suoi componenti. È per questo motivo che il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la direttiva 2002/98/CE, che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti allo scopo di assicurare un elevato livello di protezione della salute umana, in conformità con l'articolo 152 del trattato che istituisce la Comunità europea. L’articolo 29 della direttiva 2002/98/CE fa obbligo alla Commissione di sviluppare i requisiti tecnici che riguardano, tra l’altro, le informazioni da richiedere ai donatori potenziali compresi i requisiti relativi all’idoneità dei donatori di sangue e di plasma, che comprendono criteri di esclusione permanente ed eventuali deroghe. I “Criteri di idoneità dei donatori di sangue intero e di emocomponenti” sono fissati all’allegato III della direttiva della Commissione 2004/33/CE. I criteri di “esclusione permanente di donazioni allogeniche” comprendono tra l’altro “persone che abbiano avuto o che potrebbero avere un comportamento sessuale ad alto rischio di trasmissione di malattie infettive". Tali requisiti tecnici si applicano in modo uniforme a tutti i donatori di sangue dell’Unione europea." Attività parlamentari II – 4 Interrogazione alla Commissione sulla marcia dell'uguaglianza a Poznan, in Polonia Presentata in data 22 novembre 2005 Risposta ottenuta in data 28 novembre 2005 Testo interrogazione Agnoletto, Musacchio, Zingaretti, Frassoni, Rizzo, Catania, Pannella, Fava, Sbarbati, Di Pietro, Chiesa, Guidoni, Bonino "L'omosessualità va rispettata ma non deve essere promossa": questa la motivazione all'origine della decisione del sindaco di Poznan (Polonia occidentale) Ryszard Grobelny, che ha vietato di tenere nella sua città una Marcia di uguaglianza indetta per il 19 novembre in occasione della Giornata internazionale della tolleranza dell'Unesco. La decisione del sindaco ha trovato il sostegno delle autorità regionali e si iscrive probabilmente nel nuovo corso politico polacco. Gli organizzatori non hanno tuttavia rinunciato al corteo previsto. Decine di arresti sono stati effettuati durante la manifestazione. Le forze dell'ordine sono intervenute subito dopo il suo inizio, fermando diversi attivisti, ma anche numerosi oppositori alla marcia dell'orgoglio gay riunitisi per protestare contro il corteo. "'Stop all'omofobia" e "Libertà di parola" erano alcuni degli slogan scanditi dai partecipanti, sostenuti nella loro battaglia da organizzazioni in difesa dei diritti umani come Amnesty international. Non ritiene la Commissione, incaricata del controllo sui Trattati, che le autorità polacche abbiamo violato gli articoli 10 (Libertà di espressione) e 11 (Libertà di riunione e di associazione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nonché gli articoli 10 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione) e 11 (Libertà di espressione e d'informazione) della Carta europea dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza? Che misure intende prendere la Commissione per garantire pienamente la libertà di espressione in Polonia?" Risposta del signor Spidla a nome della Commissione, in data 28 novembre 2005 "La Commissione ritiene che la libertà di espressione e di informazione come anche la non discriminazione a motivo delle tendenze sessuali, consacrate rispettivamente negli articoli 11 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sono parte integrante dei principi costitutivi dell’Unione europea. La Commissione è fortemente impegnata ai fini dell’eliminazione delle discriminazioni in tutti gli stati membri, compresa la Polonia, laddove la questione rientri nelle competenze comunitarie. In tale ambito la Commissione si adopera per prevenire le discriminazioni a motivo delle tendenze sessuali come statuito all’articolo 13 del trattato CE. La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione, di condizioni di lavoro e di formazione professionale è un esempio concreto di un’azione intrapresa in tale ambito. La direttiva proibisce la discriminazione a motivo, tra l’altro, delle tendenze sessuali per quanto concerne l’accesso all’occupazione e alla formazione professionale, le condizioni di lavoro e la partecipazione a organizzazioni di lavoratori o datori di lavoro. Gli eventi verificatisi a Poznan il 19 novembre 2005 esulano però dal campo di applicazione della direttiva. La Commissione non dispone di una competenza generale per intervenire a favore di cittadini dell’UE in tali questioni. La sua competenza può essere invocata soltanto nei casi in cui sia in gioco la legislazione comunitaria. Tale principio, espresso nella giurisprudenza della Corte di giustizia europea, è anche ribadito all’articolo 51 della Carta il quale recita: “Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione …". È comunque utile ribadire che, se una persona ritiene che i suoi diritti fondamentali siano stati violati, può rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per ottenere riparazione dopo aver esperito le vie di ricorso nazionali". Attività parlamentari II – 5 Interrogazione alla Commissione e al Consiglio sulla repressione dell'uso di internet da parte della Repubblica popolare cinese Presentata in data 29 settembre 2005 Risposta ottenuta in data 5 dicembre 2005. Testo interrogazione Agnoletto alla Commissione. "Il governo di Pechino ha elaborato e si appresta ad applicare un nuovo inaccettabile "regolamento", che reprime duramente gli utilizzatori cinesi di internet e soprattutto coloro che partecipano ai "gruppi di discussione", paventando pericoli "per la sicurezza nazionale e l'interesse pubblico". I media on line devono registrarsi presso gli uffici della censura governativa e "essere diretti al servizio delle persone e del socialismo". Questo nuovo regolamento punta a censurare anche l'azione delle ONG, definite "elementi di sabotaggio" del sistema cinese. Non intende la Commissione proporre una sospensione della cooperazione tecnologico-informatica con la Cina fino a quando non otterrà garanzie che tale repressione non verrà sospesa? Come intende agire la Commissione per non partecipare in termini tecnologici a questa nuova "Tien An Men informatica", in evidente contrasto con le libertà politiche e civili individuali che sono alla base dell'Unione europea? Quali sono i passi che la Commissione ha compiuto per comunicare alla Repubblica Popolare Cinese la sua contrarietà a tali misure?" Risposta della signora Ferrero-Waldner a nome della Commissione, in data 5 dicembre 2005 "La Commissione condivide le stesse preoccupazioni espresse dall’Onorevole parlamentare in merito alle restrizioni imposte all’uso di internet in Cina. L’Unione europea ha costantemente attribuito un ruolo di primo piano alla libertà di espressione nell’ambito del dialogo con la Cina, prestando particolare attenzione da qualche tempo al tema dell’utilizzo di internet. Tale questione è stata affrontata sia nell’ambito del dialogo bilaterale UE-Cina sui diritti umani, la cui ultima sessione si è tenuta a Pechino lo scorso 24 e 25 ottobre, sia nel contesto del dialogo politico, anche ai massimi livelli". Risposta del Consiglio, in data 14 febbraio 2006 "Facendo riferimento alla risposta data all'interrogazione orale H-0900/05, il Consiglio torna a ribadire che condivide le preoccupazioni dell'Onorevole parlamentare riguardo alle restrizioni della libertà di espressione, anche su internet, in Cina. La questione è sistematicamente sollevata presso le autorità cinesi a tutti i livelli, da ultimo in occasione del dialogo UE-Cina sui diritti umani che si è svolto a Pechino il 24 e 25 ottobre 2005. Il Consiglio continuerà a sollevare questo tema con le autorità cinesi". Attività parlamentari II – 6 Interrogazione alla Commissione sullo sgombero forzato del Deep sea village a Nairobi e violenze della polizia keniota nella discarica di Dandora Presentata in data 18 ottobre 2005 Risposta ottenuta in data 20 dicembre 2005 Testo interrogazione Agnoletto. "Due gravi fatti di violenza ed ingiustizia hanno colpito nuovamente la città di Nairobi e la vita degli abitanti delle sue baraccopoli. Il 23 settembre 2005, nella baraccopoli di "Deep Sea" (WestlandsNairobi, Kenya), migliaia di cittadini kenyoti sono stati fatti sloggiare coercitivamente da polizia, militari e uomini assoldati per sgomberare gli slums stessi. Il 1° ottobre 2005, nella discarica del Mukuru, tra Dandora e Korogocho (Eastlands – Nairobi, Kenya), un corteo di cittadini, pastori e preti residenti nelle baraccopoli adiacenti alla discarica si è riunito pacificamente per rivendicare i propri diritti alla salute, alla sicurezza e alla casa, ma sono stati attaccati con bottiglie, sassi e altri oggetti contundenti per ben tre volte. Ci sono stati anche alcuni feriti. La polizia, che aveva autorizzato la manifestazione e che avrebbe dovuto proteggerla, più volte chiamata per intervnire a difesa del corteo, non si è presentata. Premesso che per la demolizione di "Deep Sea" il governo del Kenya ha violato il Commento Generale n. 7 del 16 Maggio 1997 del Comitato sui diritti economici, sociali e culturali dell’ONU (di cui il Paese africano fa parte) che attribuisce allo Stato “il dovere di astenersi da qualunque sgombero forzato e di garantire che la legge sia applicata verso rappresentanti dello Stato stesso o terze parti che attuano sgomberi forzati”, si vuole sapere: 1. quali sono le valutazioni della Commissione sull'accaduto e quali pressioni intende esercitare sul governo di Nairobi perché venga messa fine alla demolizione di "Deep Sea", soprattutto nel momento in cui non vengono offerte alternative alle popolazioni locali; 2. se esiste un impegno della Commissione nell'ambito della cooperazione UE-Kenya per attivare progetti di costruzione di abitazioni che possano offrire alternative agli abitanti delle baraccopoli di Nairobi, e più in generale del Kenya". Risposta del signor Michel a nome della Commissione, in data 20 dicembre 2005 "1. Gli sgomberi effettuati nei paesi in via di sviluppo vanno considerati nel contesto della crescita rapida e disordinata delle città. Le baraccopoli accolgono il 70% della popolazione urbana dell’Africa, ovvero 180 milioni di persone. Secondo i rapporti di UN-Habitat, due residenti urbani su cinque vivono in condizioni insalubri. Purtroppo in Kenya non sono rari gli sgomberi forzati, come quelli segnalati nell’interrogazione. La Commissione ritiene che, anche se giustificati, gli sgomberi debbano aver luogo solo dopo aver esaminato a fondo il problema in tutte le dimensioni e basandosi sulla partecipazione e consultazione delle persone o dei gruppi colpiti. Gli sgomberi forzati e per giunta violenti sono inammissibili. È necessario infatti garantire un’adeguata risistemazione ed attuare delle misure di accompagnamento, o altrimenti soprassedere agli sgomberi. Nel quadro dell’accordo di Cotonou, l’Unione europea ha avviato con il governo del Kenya un dialogo politico relativo, in particolare, al rispetto dei diritti umani, dei principi democratici, dello stato di diritto e della governance. In tale contesto, la risoluzione 1993/77 della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, del 10 marzo 1993, afferma che la pratica degli sgomberi forzati costituisce una flagrante violazione dei diritti umani, e sollecita i governi alla restituzione immediata, alla compensazione e/o alla consegna di un alloggio o terreno alternativo adeguati. Questo punto sarà ribadito alle autorità kenyote. 2. Sebbene quello degli alloggi non sia uno dei settori chiave della cooperazione con il Kenya, la Commissione sostiene il settore sociale e le popolazioni più povere del Kenya attraverso diversi strumenti. - La Comunità europea, assieme ad altri donatori, sostiene attivamente il programma Kensup, avente una dotazione di 6 milioni di dollari e realizzato da UN-Habitat con il governo del Kenya. Il programma mira all’elaborazione ed attuazione di un programma nazionale di ristrutturazione delle baraccopoli. Tra gli interventi previsti si segnalano: l’elaborazione dei piani strategici, la ristrutturazione degli alloggi, il miglioramento delle infrastrutture materiali e sociali e della gestione dei rifiuti, nonché la creazione di attività generatrici di reddito e la lotta al virus dell’immunodeficienza umana/sindrome da immunodeficienza acquisita (HIV/AIDS). - Gli interventi di bilancio in favore della strategia per la riduzione della povertà (125 milioni di euro) mirano a fornire un aiuto di bilancio al Kenya, rafforzare le capacità del Paese a ristabilire la crescita ed assisterlo nelle azioni volte a ridurre la povertà. Una parte di questi aiuti è connessa al miglioramento delle attività realizzate nei settori dell’istruzione e della sanità. - La Commissione finanzia inoltre altre azioni finalizzate direttamente alle popolazioni più povere: programmi di attività comunitarie (20 milioni di euro), che mirano ad aiutare le collettività locali ad assumersi direttamente le responsabilità del proprio sviluppo e a sostenere le iniziative in materia di biodiversità a beneficio delle comunità più vulnerabili; programma di sanità a livello distrettuale (15 milioni di euro), che mira a garantire servizi sanitari qualitativamente migliori, più facilmente accessibili e maggiormente sensibili al fabbisogno delle comunità; linee di bilancio (20 milioni di euro) - esecuzione di progetti da parte di organizzazioni non governative ed organizzazioni internazionali, a copertura di interventi in numerosi settori: acqua, sanità, attività generatrici di reddito, ambiente e foreste tropicali, diritti dell’uomo e buona governance". Attività parlamentari II – 7 Interrogazione alla Commissione sull'inceneritore di rifiuti a Scarpino, nel Parco di Monte Gazzo (Genova) Presentata in data 19 ottobre 2005 Risposta ottenuta in data 23 dicembre 2005. Testo interrogazione Agnoletto. Oltre 10mila cittadini della Valpolcevera hanno chiesto agli enti locali competenti l'istituzione di un parco urbano in località Scarpino nelle aree già sito di importanza comunitaria SIC IT1331615 e SIC IT1331501 su cui gravano danni ambientali rilevanti per la salute, provocati dalla discarica di rifiuti esistente, le cui conseguenze d'inquinamento compromettono l'habitat marino del santuario per i mammiferi marini Pelagos, istituito il 25.11.1999 tra Francia, Italia e Principato di Monaco e divenuto esecutivo con legge 11.10.2001 n. 391. Rischia ora di prodursi un ulteriore aggravamento delle condizioni ambientali in quest'area, se si procedesse, come da delibera della Provincia di Genova 304/2005, sulla base della conferenza dei sindaci del 25 luglio 2005, alla costruzione, a Scarpino, di un inceneritore di rifiuti urbani contiguo alla discarica esistente. Attualmente la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani trattati indiscriminatamente è ferma al 12,5%, ed è uno dei fattori responsabili del grave inquinamento delle falde acquifere e dei rischi per la salute delle popolazioni, mentre l'obiettivo del decreto legislativo Ronchi 11/1997 è di portarla ad almeno il 35% del totale. Nessun obiettivo di incremento del riciclo e di separazione dei rifiuti, in coerenza con il decreto Ronchi, viene richiamato dalla delibera 304/2005. Inoltre, l'incenerimento di rifiuti urbani non separati provoca ricadute d'agenti inquinanti, quali diossine, furani, metalli pesanti, che si depositerebbero nel percolato della discarica e nelle aree circostanti, con conseguente inquinamento del mare e pesanti rischi per la salute pubblica. Con sentenza del 13.1.2005 la Corte di giustizia europea ha rammentato l'obbligo degli stati membri alla tutela ambientale adeguata dei SIC protetti e inseriti nelle liste nazionali note alla Commissione europea. La Provincia ha intanto dato mandato al Comune di Genova, tramite la controllata AMIU, di avviare una gara per assegnare lo studio di fattibilità dell'impianto e il suo inserimento operativo nel piano finanziario comunale. Intende la Commissione intervenire presso il governo italiano e la Provincia di Genova per verificare se, nell'iter legislativo fin qui seguito nella scelta del sito e nel lancio della gara in corso, sia stata interamente applicata la direttiva 2001/42/CE sulla valutazione dell'impatto ambientale strategico, che prevede la ricerca di alternative tecniche e di sito, e se siano state garantite le tutele ambientali dei SIC (direttiva 92/43/CEE) e dei territori adiacenti Scarpino? Risposta del signor Dimas a nome della Commissione, in data 23 dicembre 2005 In primo luogo va rilevato che la direttiva 2001/42/CE del Parlamento e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (la cosiddetta direttiva VAS), si applica a piani e a programmi e non a singoli progetti come quello a cui si riferisce l’onorevole parlamentare. Un atto legislativo comunitario a cui ci si potrebbe eventualmente richiamare è la direttiva 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (direttiva VIA), come modificata dalla direttiva 97/11/CE del Consiglio, del 3 marzo 1997 e dalla direttiva 2003/35/CE del Parlamento e del Consiglio, del 26 maggio 2003. La direttiva VIA si applica a singoli progetti, compresi quelli relativi ad inceneritori di rifiuti, e prevede che, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto. I progetti contemplati dalla direttiva VIA (Valutazione di impatto ambientale) sono definiti nell’articolo 4, che rimanda agli allegati I e II. Gli inceneritori di rifiuti pericolosi rientrano tra i progetti contemplati dall’allegato I, per i quali la valutazione di impatto ambientale è sempre obbligatoria. Gli inceneritori di rifiuti non pericolosi rientrano nell’allegato I se la loro capacità è superiore a 100 tonnellate al giorno, nell’allegato II(11)(b) se la loro capacità è inferiore a tale soglia. Per i progetti dell’allegato II gli Stati membri devono stabilire (mediante la cosiddetta procedura di ‘screening’) se potranno avere effetti rilevanti sull’ambiente. In tal caso si deve procedere ad una VIA. Sulla base delle informazioni fornite circa il tipo di danni che l’inceneritore potrebbe provocare e gli habitat o le specie che potrebbero essere colpiti e visto che a quanto pare si è ancora nelle prime fasi del processo di autorizzazione, la Commissione ritiene che non vi siano elementi che lascino presumere l’esistenza di una violazione della legislazione comunitaria. Attività parlamentari II – 8 Interrogazione alla Commissione sull'asse Torino-Lione e pestaggi della polizia italiana di deputati europei e di cittadini della Val di Susa Presentata in data 30 novembre 2005 Risposta ottenuta in data 13 febbraio 2006. Testo interrogazione Agnoletto, Bertinotti, Musacchio, Morgantini, Catania. Nella notte tra il 28 e 29 novembre 2005 la delegazione della commissione per le petizioni del Parlamento europeo, in visita ufficiale presso la Val di Susa per valutare vari aspetti legati alla costruzione dell'asse Lione-Torino, ha potuto assistere alla militarizzazione dell'intera valle da parte delle forze di polizia italiana, che con inaudita violenza ha impedito qualsiasi manifestazione pacifica diretta a denunciare in modo democratico l'inizio dei lavori della Lione-Torino. Il sottoscritto deputato europeo è stato anche oggetto di schiaffi, calci e altre violenze fisiche e verbali da parte della polizia locale, sotto gli occhi di altri colleghi europarlamentari. I pestaggi sono avvenuti in "Località Passeggeri" di Susa, dopo l'ordine dato alle macchine dell'impresa "CMC" di transitare dalla località Venaus nel territorio di Vonteoux, attraversando i terreni di proprietà della compagnia "SITAF", che confina con i luoghi in cui si svolgono le prime sperimentazioni geologiche. Alla cittadinanza locale è stato impedito di circolare in tutta la valle; nella mattinata del 29 novembre 2005 tutti gli accessi alla valle sono stati bloccati. Può la Commissione europea specificare se ritenga compatibile l'erogazione dei fondi europei per la Lione-Torino con il comportamento inammissibile delle autorità politiche locali e delle forze di polizia italiane e se non ritenga opportuno sospendere i finanziamenti fino a quando non avrà ottenuto garanzie formali e verificabili da parte del governo italiano sul rispetto della volontà delle popolazioni locali rispetto alla Lione-Torino? Non intende condannare il comportamento delle autorità locali, politiche e di polizia, che hanno dato l'ordine evidente di procedere a pestaggi anche di deputati europei nell'esercizio del loro mandato parlamentare, pur di procedere ai lavori in Val di Susa? Risposta del signor Frattini, a nome della Commissione, in data 14 febbraio 2006 Il comportamento delle forze di polizia in casi come quello descritto dall’onorevole parlamentare, compete, in linea di massima, alle autorità nazionali e non rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario. La Commissione non è pertanto competente ad intervenire in merito. Ciò detto, la Commissione ricorda che gli stati membri sono tenuti, in virtù dell’articolo 10 del trattato CE e, se il caso, del protocollo sui privilegi e sulle immunità, a non ostacolare l’esercizio delle funzioni dei deputati europei. Per quanto riguarda l’utilizzo dei fondi europei, esso risponde alle regole di gestione di cui al regolamento (CE) n. 2236/95 del Consiglio, del 18 settembre 1995, che stabilisce i principi generali per la concessione di un contributo finanziario della Comunità nel settore delle reti transeuropee[1]. Attività parlamentari II – 9 Interrogazione al Consiglio sulla più lunga istruttoria della storia giudiziaria italiana: Ustica Presentata in data 12 luglio 2005 Risposta ottenuta in data 14 febbraio 2006. Testo interrogazione Agnoletto, Rizzo, Guidoni, Morgantini, Di Pietro, Sbarbati, Bertinotti, Catania Musacchio, Napoletano, Prodi e Fava "Il 27 giugno saranno trascorsi 25 anni dal disastro di Ustica, nel quale persero la vita 85 persone. Nel 1999, al termine della più lunga istruttoria della storia giudiziaria italiana, il giudice istruttore R. Priore ha emesso una sentenza nella quale si afferma che "l'incidente al DC9 è occorso a seguito di un'azione militare di intercettamento [...] Il DC9 è stato abbattuto nel corso di un'azione di polizia internazionale". Recentemente la Corte d'assise di Roma ha ritenuto colpevoli di "alto tradimento" alcuni generali appartenenti, all'epoca dei fatti, all'Aeronautica militare italiana, per non aver informato la magistratura della presenza accertata di aerei militari nelle vicinanze del DC9 al momento del disastro. 1. È in grado il Consiglio di verificare il reale contributo alle indagini da parte degli stati, membri e non, espressamente citati dalla risoluzione del Parlamento europeo del 7 ottobre 1999 (B50148/199) (Francia, Italia, Regno Unito e USA)? 2. Intende il Consiglio adoperarsi affinché si ottengano dal governo libico tutte le informazioni possibili sull'accaduto, che il colonnello Gheddafi da sempre sostiene di possedere? Risposta del Consiglio, in data 14 febbraio 2006 Il Consiglio non è stato informato degli eventi ai quali l'Onorevole parlamentare fa riferimento nella sua interrogazione ed in ogni caso non è competente a pronunciarsi su una procedura giurisdizionale in corso in uno stato membro. Attività parlamentari II – 10 Interrogazione alla Commissione sull'arresto del cittadino turco Mehmet Tarhan e diritto all'obiezione di coscienza in Turchia Presentata in data 18 luglio 2005 Risposta ottenuta in data 14 febbraio 2006. Testo interrogazione Agnoletto [ "Il cittadino turco Mehmet Tarhan è un attivista gay: il 27 ottobre 2001 si è dichiarato "obiettore di coscienza" rifiutandosi di sottomettersi al servizio militare obbligatorio nelle Forze Armate turche. Nell'Unione europea il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare si prefigura nei fatti come uno dei diritti fondamentali della persona e fa parte del patrimonio politico, culturale e di civiltà che l'UE propone ai paesi dell'allargamento, fra cui la Turchia. Mehmet Tarhan rifiuta di prestare servizio militare anche perché potrebbe facilmente essere mandato nella regione curda della Turchia e gli potrebbe essere ordinato di sparare a civili, donne, bambini e uomini. Mehmet Tarhan è stato arrestato l'8 aprile 2005 ed è stato trasferito alla prigione militare di Sivas dove ha iniziato uno sciopero politico della fame. È accusato ai sensi dell'articolo 88 del Codice penale militare turco, ovvero di "insubordinazione davanti al comando", e può essere condannato fino a cinque anni di prigione. Il signor Tarhan è stato oggetto di torture e sevizie in carcere, anche da parte delle autorità legali che amministrano il penitenziario. Anche alcuni suoi sostenitori sono stati arrestati, intimiditi e poi rilasciati. Non ritiene il Consiglio che il diritto all'obiezione di coscienza faccia politicamente parte integrante dei "criteri politici di Copenaghen" e che quindi il suo riconoscimento diventi un obbligo per la Turchia? Non ritiene il Consiglio che il signor Tarhan debba essere immediatamente scarcerato, alla luce della sua situazione personale e delle sue legittime convinzioni politiche? Tenendo conto della valenza politica del caso, quali sono i passi che il Consiglio intende compiere per assicurarsi delle condizioni di salute e di trattamento di Mehmet Tarhan?" Risposta della Commissione, in data 14 febbraio 2006 "Come l'Onorevole parlamentare saprà, l'Unione ha avviato i negoziati di adesione con la Turchia lunedì 3 ottobre. È stato un momento storico e un ulteriore passo importante nell'evoluzione delle relazioni tra l'UE e la Turchia, che ha segnato l'avvio di un processo lungo e rigoroso che si svilupperà conformemente agli orientamenti del quadro di negoziazione adottato quello stesso giorno dal Consiglio. Come sancito nel quadro di negoziazione, ci si aspetta che la Turchia sostenga il processo di riforma; essa in particolare dovrebbe consolidare e ampliare la legislazione e le misure di attuazione in numerosi settori. I progressi compiuti in tali settori dovrebbero essere irreversibili nonché pienamente ed efficacemente attuati; pertanto la Commissione, invitata a riferire periodicamente al Consiglio al riguardo, continuerà a seguire attentamente detti progressi. In relazione agli argomenti specifici sollevati dall'Onorevole parlamentare, la Commissione, nella relazione sui progressi compiuti dalla Turchia nel 2005, presentata recentemente, osserva che la Turchia non riconosce il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio e non ha un servizio civile alternativo, come prescritto dalla raccomandazione del Consiglio d'Europa che stabilisce i principi riguardanti l'obiezione di coscienza. Sia nel partenariato per l'adesione adottato dal Consiglio nel 2003 che nel nuovo partenariato per l'adesione recentemente proposto dalla Commissione, la Turchia è invitata ad adottare e attuare disposizioni concernenti l'esercizio della libertà di pensiero, coscienza e religione. Sono settori prioritari anche l'eliminazione della tortura e dei maltrattamenti, nonché il miglioramento delle condizioni di detenzione, in merito ai quali ci si aspetta che la Turchia compia importanti progressi nel processo di riforma. L'Onorevole parlamentare può essere certo che l'Unione annette importanza ai temi in questione e che proseguirà l'attento controllo e la valutazione dei progressi compiuti". BUONE NOTIZIE: MEHMET TARHAN È STATO SCARCERATO! Comunicato stampa del 13 marzo 2006 Dopo la liberazione di Mehmet Tarhan, obiettore di coscienza gay, incarcerato dalle autorità turche per la sua posizione nonviolenta: «ORA L'UE FACCIA IN MODO CHE LA TURCHIA RICONOSCA IL DIRITTO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA» Strasburgo - C'è soddisfazione nelle parole di Vittorio Agnoletto, appena ricevuta una notizia attesa da mesi: Mehmet Tarhan è stato liberato. La comunicazione ufficiale è giunta oggi dalla rete Payday, che in una nota annuncia la scarcerazione dell'obiettore di coscienza omosessuale, avvenuta pochi giorni fa. «Aspettavamo la sua liberazione da mesi - dichiara l'europarlamentare della Sinistra unitaria europea, già autore di alcune interrogazioni alla Commissione europea sul "caso" del pacifista turco - ; sono felice per lui, la sua famiglia, le migliaia di persone che ne hanno supportato la causa. Finalmente una buona notizia da un Paese che viola ancora i principali diritti umani, come la libertà di obiezione di coscienza e quindi la possibilità di non prestare servizio militare, "reato" per il quale l'attivista gay era stato incarcerato. Ora - conclude Agnoletto - mi aspetto che il governo turco riconosca i suoi errori. Quello che è successo a Mehmet Tarhan non deve accadere mai più: l'Europa deve pretendere il rispetto dei diritti umani dalla Turchia». Attività parlamentari II – 11 Interrogazione alla Commissione sui continui massacri in Colombia Presentata in data 3 marzo 2005 Risposta ottenuta in data 3 marzo 2006. Testo interrogazione Agnoletto "In Colombia le zone umanitarie e le comunità di pace che tentano di restare al di fuori del conflitto armato sono costantemente oggetto di numerosi e indiscriminati attacchi da parte dell'esercito, com'è accaduto con l'uccisione dei coordinatori della zona umanitaria di Arenas Altasa della comunità di pace di San José de Apartadò, Arlen Salas David, lo scorso 17 novembre, ed Edilberto Vasquez Cardona, il 12 gennaio. Questi fatti dimostrano che le rassicurazioni del governo colombiano non sono credibili e che anzi permane l'impunità per i responsabili di gravi reati. Non ritiene opportuno la Commissione che l'Unione europea incrementi i propri sforzi per garantire il rispetto dei diritti umani in Colombia, ad esempio verificando la reale destinazione finale dei fondi per la tutela delle zone umanitarie, le comunità indigene e le comunità di pace e garantendo, attraverso l'invio di "osservatori a lungo termine", il corretto svolgimento non solo delle operazioni di voto, ma di tutta la campagna elettorale?". Risposta della signora Ferrero-Waldner a nome della Commissione, in data 3 marzo 2006 "Nella sua interrogazione, l’onorevole parlamentare fa riferimento alla situazione di san José de Apartado. La Commissione europea è altrettanto consapevole e preoccupata degli attacchi perpetrati contro i membri della comunità di pace. L’Unione europea ha più volte manifestato la propria preoccupazione al governo colombiano, chiedendo che i responsabili vengano perseguiti per i reati commessi. In seguito agli omicidi del novembre 2005 e gennaio 2006 e alla mancanza di progressi nell’indagine sull'uccisione di altre otto persone nel febbraio 2005, la troika dell'Unione europea ha deciso di intraprendere un'iniziativa in merito alla situazione di san José de Apartado, che ha avuto luogo il 2 febbraio 2006, con il signor Carlos Franco, direttore del programma presidenziale dei diritti dell’uomo. La Commissione concorda sul fatto che debba essere fatto il possibile per assicurare il rispetto dei diritti umani in Colombia. Come suggerisce l’onorevole parlamentare, la Commissione controlla la reale destinazione finale dei finanziamenti destinati a tutti i progetti (la Commissione rimanda l’onorevole parlamentare alla risposta data alla sua interrogazione orale H-613/05 durante l’ora delle interrogazioni della sessione del Parlamento del settembre 2005) attraverso una gestione dei fondi conforme alla normativa di bilancio dell’Unione, che prevede la realizzazione di monitoraggi e revisioni contabili annuali, esterni ed interni. Quanto alla specifica proposta dell’onorevole parlamentare di verificare il corretto svolgimento della campagna elettorale e delle operazioni di voto, la Commissione ha valutato l'opportunità e i rischi di tale missione in Colombia ed ha deciso di non inserire la Colombia nell'elenco dei paesi prioritari per il monitoraggio elettorale del 2006". Approfondimenti e riflessioni – 1 Carta, 5 dicembre 2005 War on Drugs, “L'Italia fuori dall'Europa” di Vittorio Agnoletto e Paolo La Marca Introduzione Il futuro orientamento dell’Unione Europea in tema di droghe trova i suoi presupposti nell’analisi della situazione dell’unione ben delineata nella relazione annuale 2004 dell’EMCDDA (European Monitoring Centre for Drug and Drug Addiction), dal quale emergono i dati di principale importanza relativamente alla situazione attuale: • • Aumento del numero delle richieste di trattamento per uso di cocaina Nonostante non sia ancora stata individuata una efficace terapia sostituiva per la cocaina, il numero delle richieste di trattamento per uso di cocaina è in aumento in tutti i Paesi dell’Unione, con le punte più alte in Olanda e Spagna (dove rappresentano rispettivamente il 35% ed il 26% delle richieste totali). Le ricerche indicano che una percentuale che varia dall’1 al 10% dei giovani europei (di età compresa tra i 15 e i 34 anni) ha utilizzato cocaina almeno una volta nella vita, e la metà lo ha fatto negli ultimi 12 mesi, mentre nei contesti di feste e raves questa percentuale sale al 40 – 60%. Le quantità sequestrate dalle forze dell'ordine sono anch’esse in aumento in tutta l’Unione, particolarmente in Germania, Francia e Italia. • • Uso intensivo di cannabis fra i giovani e giovanissimi La cannabis resta la sostanza illegale più utilizzata nell’UE, 1 adulto su 5 l’ha utilizzata almeno una volta nella propria vita. I tassi di prevalenza più alti sono quelli registrati fra i giovani (15 – 34 anni) e vanno dall’ 1% di Estonia, Portogallo e Svezia al 35% di Danimarca, Spagna, Francia e Regno Unito, mentre la prevalenza d’uso fra i giovanissimi (15 – 16 anni) è intorno al 15%. In totale una percentuale oscillante fra il 5 ed il 10% dei giovani Europei ha utilizzato cannabis negli ultimi 12 mesi. D’altro canto la cannabis rappresenta anche una sorta di cartina tornasole del fallimento degli sforzi dell’EU rivolti alla riduzione della domanda (strategia fino ad ora prioritaria nelle politiche di contrasto alle droghe nell’Unione). Anche se i tassi di prevalenza del consumo sono in aumento la cannabis non mostra nessuna correlazione con il passaggio a droghe più pesanti (le ricerche individuano invece correlazioni significative con le sostanze legali: alcol e tabacco), resta la sostanza illegale di minor impatto sulla salute e rispetto ai problemi di sicurezza. Nonostante questo è la sostanza per la quale la legge interviene più spesso: circa un quarto dei detenuti per droga nell’UE è incriminato per reati legati al consumo/detenzione di cannabis. • • Aumento dell’uso di ecstasy I dati europei mostrano chiaramente che i tassi relativi al consumo di ecstasy sono ancora in aumento, mentre l’uso di anfetamine (molto più diffuse in passato, specialmente nel nord e nell’est Europa) sembra essere in diminuzione. Circa due terzi dei paesi membri dell’Unione riporta che l’uso di ecstasy è divenuto più comune che quello di anfetamine fra i giovani (15 – 35 anni). Una percentuale variabile fra il 5 ed il 13% dei giovani (15 – 24) in Repubblica Ceca, Spagna, Irlanda, Lettonia, Olanda e Regno Unito ha utilizzato ecstasy nell’ultimo anno. Anche se fino ad ora il Paese membro dell’EU con il maggiore tasso di produzione (dedotto a partire dagli interventi delle forze dell'ordine) era la Repubblica Ceca, gli ultimi dati segnalano un allargarsi della produzione illegale anche al Belgio, alla Germania, all’Estonia, alla Francia, alla Lettonia, alla Lituania e al Regno Unito. • • Modificazioni del fenomeno dei consumi Non vi è niente di fluido e cangiante come il consumo di sostanze visto come fenomeno, cioè come un elemento che ha ormai da tempo cessato di essere qualcosa di cui si possa incolpare il “vizioso”, per divenire un comportamento diffuso e stratificato, con una complessità di carattere antropologico, sociale, culturale e storico. L’uso di eroina per via endovenosa, che sembrava essersi stabilizzato, attualmente è tornato ad aumentare in Repubblica Ceca, Slovenia e Finlandia, Germania, Irlanda e in tutti i 10 nuovi paesi membri dell’EU (l’Osservatorio europeo per le droghe e le tossicodipendenze stima che vi siano fra gli 850mila e 1,33 milioni di consumatori per via endovenosa in EU). I Paesi del Baltico, la Russia, l’Estonia la Finlandia e la Svezia sono interessate dal diffondersi del Fentanyl (o Metilfentanyl), un oppiaceo sintetico, utilizzato come anestetico, fino a 100 volte più potente dell’eroina. Anche fra i Paesi dove fino a pochi anni fa il problema principale era l’uso di oppiacei (e spesso per via endovenosa) ora si segnala un aumento sostanziale del poli-consumo, cioè del consumo abituale di più sostanze contemporaneamente, o nel medesimo arco di tempo, amfetamine e metamfetamine soprattutto. • • Declino dei decessi droga-correlati Il numero di decessi correlati all’uso di droghe è in modesto declino in Europa. Francia e Spagna in particolare segnalano tendenze in discesa a partire dalla meta degli anni ’90, mentre Germania, Grecia, Italia e Portogallo riportano diminuzioni più marcate a partire dall’anno 2000. Questo sviluppo positivo viene correlato alla diminuzione generale del consumo endovenoso, all’aumento degli accessi ai servizi terapeutici e di sostituzione farmacologica e ai servizi di “prima linea” (specificamente il lavoro di strada, e la peer-education). In ogni caso, anche se la diminuzione dei decessi è statisticamente significativa, i numeri assoluti delle morti sono ancora storicamente molto alti, e i dati sembrano indicare un alto livello di rischio per i nuovi paesi membri dell’EU. • • HIV, epatiti e malattie infettive Anche se nell’area dell'Europa occidentale l’epidemia da HIV fra i consumatori di droghe per via endovenosa mostra segni di arresto, o recessione, la preoccupazione per i dati provenienti dai nuovi stati membri, e dalle nazioni con essi confinanti, sta crescendo. Attualmente l’Estonia, la Russia, la Lettonia e l’Ucraina sono i paesi con il più alto tasso di crescita dell’epidemia da HIV a livello mondiale, e anche se i più recenti dati mostrano un trend in discesa la prevalenza rimane molto alta, con picchi in aree locali che arrivano al 40, 30 e 20 per cento rispettivamente in Estonia, Polonia e Lettonia. La necessità di intervenire con programmi e strategie per il trattamento e la prevenzione della diffusione dell’epatite B (HBV) e C (HCV) fra i consumatori di droghe per via endovenosa è da considerare di prioritaria importanza, tenendo conto dell’altissima prevalenza a livello europeo: rispettivamente 85 e 95%. Anche se la prevalenza della tubercolosi (TBC) fra i consumatori di droghe per via endovenosa è molto bassa, i dati a disposizione indicano livelli di infezione in crescita significativa nei paesi baltici e in alcuni paesi che confinano con l’EU a est, sottolineando la necessità di mantenere un alto livello di sorveglianza. Il Piano d’azione 2005 – 2012 Nel giugno 2004 il Consiglio dell’Unione Europea ha messo a punto la struttura del nuovo piano per l’Unione in materia di droghe, che riparte da quanto fatto nel precedente piano (terminato nel 2004) e soprattutto da una analisi dettagliata dei successi e fallimenti fin qui raggiunti, delineati con chiarezza nella piattaforma avanzata delineata nel «Rapporto Catania» approvato dal Parlamento di Strasburgo lo scorso dicembre. Il nuovo piano si compone di due azioni di respiro triennale, inframmezzate da passaggi di valutazione, ad interim (2008) e finale (2012), atti a verificarne l’andamento e a contestualizzare i risultati raggiunti in chiave futura. Gli elementi basilari di questa nuova strategia vogliono innanzitutto confermare i valori su cui è fondata l’Unione Europea: rispetto della dignità umana, libertà democrazia, uguaglianza e diritti. Ci si prefigge di tutelare il benessere individuale, collettivo e societario, offrendo un elevato livello di sicurezza attraverso l’adozione di un approccio il più possibile equilibrato e mirato all’integrazione a differenti livelli: fra i diversi paesi membri; fra i singoli paesi e l’Unione Europea; fra le istituzioni (locali e centrali) e la società civile nel suo complesso; fra le potenzialità locali, regionali, nazionali e transnazionali; fra la politica, la ricerca e la pratica quotidiana nel settore. Gli obiettivi Gli obiettivi generali che il Consiglio identifica, tenendo conto del quadro attuale, sono sostanzialmente due: • contribuire al conseguimento di un elevato livello di tutela della salute (nella moderna accezione di well-being), attuando pratiche mirate a ridurre i danni per la salute dei cittadini, specificamente rispetto alle attività di informazione e prevenzione; • intensificare un approccio comune allo scopo di assicurare un alto livello di sicurezza, dando particolare impulso alle azioni atte a combattere la criminalità organizzata, attraverso il contrasto alle attività di produzione e traffico di droghe su vasta scala. Il nuovo piano, pur mantenendo un approccio generale mirato a combinare le azioni di contenimento della domanda e di riduzione dell’offerta di droghe e rinforzando ancora una volta i temi della sicurezza, sottolinea con maggior forza rispetto al passato le questioni relative al contenimento e alla riduzione dei danni derivanti dal consumo di droghe, relativi alla diffusione del virus HIV, delle epatiti e delle altre patologie correlate, prendendo definitivamente atto delle evidenze scientifiche derivanti dall’ormai quindicinale esperienza acquisita nel campo della riduzione del danno in ambito europeo. Tenendo conto dell’attuale situazione in ciascuno dei 25 paesi membri, verrà data priorità alle azioni che dimostreranno di essere: • • • • • • innovative e portatrici di valore aggiunto; • realistiche e quantificabili; • trasparenti per quanto riguarda la tempistica, l’organizzazione ed il feedback; • coerenti con gli obiettivi del piano di azione; • limitate per settore (integrazione/pluridisciplinarietà vs frammentazione/singolarità). La logica che anima il piano d’azione pur mirando a dare un forte impulso ai meccanismi inter-relazionali interni all’EU (fra i paesi membri, fra le forze di polizia, fra il modo politico e la società civile, etc.), prende atto che con l’inclusione degli ultimi dieci membri l’EU diviene di fatto il più grande “mercato” delle droghe al mondo e riconosce che le potenzialità e le capacità di intervento in ambito europeo non risultano essere sfruttate a pieno a causa di un carente coordinamento, in parte dovuto ai diversi quadri politici in cui le organizzazioni si muovono. Si vuole quindi porre particolare attenzione alle attività nel campo della cooperazione internazionale, sia dal punto di vista delle logiche dei flussi migratori e per le questioni legate alla sicurezza ma anche per ciò che riguarda lo scambio di informazioni, di esperienze, di “buone pratiche”, nell’ottica della costruzione di una politica globale sulle droghe che sappia guardare all’esterno in modo efficace e visibile (un esempio attuale su tutti è l’emergenza HIV fra i consumatori di droghe in rapida e preoccupante emersione nei paesi ai confini dell’EU, riconosciuta recentemente anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità). Prevenzione, riduzione dei danni e cura: un approccio circolare Basandosi sull’esperienza maturata in precedenza, L’EU si prefigge lo sviluppo e la sostenibilità di un sistema globale, integrato e quantificabile, basato sulla conoscenza, per migliorare l’output nell’ambito delle attività di prevenzione, cura e di riduzione dei danni, al fine di contribuire significativamente al contenimento della domanda di droga e dei danni correlati al consumo. Differentemente dal passato il piano stabilisce chiaramente che le misure preventive, le potenzialità di cura e le misure volte a ridurre i danni NON sono in contrasto fra loro, bensì andrebbero proposte in modo integrato, per rinforzarsi a vicenda in un ottica circolare, e non necessariamente top-down oppure bottom-up, che sappia tener conto delle peculiarità di ogni setting (necessità emergenti, potenzialità presenti, diversi livelli di rischio per la salute in relazione alle varie forme di consumo): «alla cura va preferita la prevenzione, alla riduzione dei danni va preferita la cura e all’assenza di qualsiasi sforzo per ridurre al minimo possibile i rischi per la salute dei consumatori di droghe, e della società nel suo complesso, va preferita la riduzione dei danni». Vengono conseguentemente individuate le seguenti priorità: • potenziare l’efficacia e la sostenibilità delle attività di prevenzione dell’uso di droghe e sensibilizzare ai rischi collegati con le droghe, mediante la diffusione di informazioni affidabili e di elevata qualità tra i giovani ed i gruppi bersaglio specifici; • migliorare la disponibilità di programmi di cura, comprensivi dell’assistenza psico-sociale, di provata efficacia in tutti gli Stati membri dell’UE, come pure l’accesso ai medesimi. Il trattamento dei problemi di salute dovuti al consumo di droghe lecite ed illecite dovrebbe diventare parte integrante delle politiche sanitarie della Comunità; • migliorare la possibilità di interventi tesi a ridurre i danni, che dovrebbero essere integrati nei mezzi di cura offerti a livello nazionale. Al riguardo dovrebbe essere dato particolare rilievo all’ HIV/AIDS e ad altre infezioni a trasmissione ematica. Nonostante l’impianto di grande potenzialità apra scenari ottimistici, il programma europeo non è, a nostro parere, esente da incongruenze e contraddizioni, la prima delle quali sta nelle premesse: viene sottolineato che molti degli obiettivi prefissati dal precedente piano d’azione non sono stati raggiunti, soprattutto a riguardo delle azioni volte a ridurre la domanda di droghe, eppure le nuove priorità sono esattamente volte in gran parte alla riduzione della domanda senza che l’impianto generale venga modificato per tentare nuove soluzioni e strategie. Sebbene la formulazione del piano EU ne recepisca in parte gli intenti e l’orientamento, la distanza dal “sentiero” tracciato dal Rapporto votato dal Parlamento europeo, che propone un percorso di evoluzione dell’intero settore, è ancora grande. Basti considerare le differenze che sussistono a proposito delle questioni: • della de-penalizzazione del consumo; • • • della de-classificazione della cannabis rispetto alla risposta legale/giuridica e della regolamentazione a norma di legge dell’auto-coltivazione; del ruolo anche culturale sempre più importante che le strategie e politiche di riduzione dei danni hanno raggiunto attraverso l’esperienza di questi anni, e anche della loro evoluzione nell’ottica dell’evidenza scientifica, in termini di azioni e progetti nei territori (sale da iniezione, Pill-testing, potenziamento della “bassa soglia”); della ricerca sulla produzione legale controllata dallo Stato su quelle che oggi consideriamo sostanze stupefacenti (farmaci, bevande e cibi, tessili, plastici, etc.). Queste discrepanze saranno il tema centrale dell’incontro previsto per la prossima primavera al Parlamento Europeo. La conferenza promossa da ENCOD (European Coalition for Just and Effective Drugs Policies) con la partecipazione del network CLAT (Conferenza Latina sulla Riduzione dei Danni Correlati al Consumo di Droghe), offrirà l’opportunità di un ampio confronto tra associazioni, ricercatori, operatori dei servizi pubblici, rappresentanti delle istituzioni locali dei 25 Paesi dell’UE e parlamentari europei anche in previsione della prossima conferenza biennale della CLAT che si realizzerà nella primavera 2007 in Italia. Con la speranza di avere per allora un governo disponibile, non solo a parole, a modificare profondamente la politica italiana e a porla in sintonia con gli orientamenti prevalenti in Europa. Approfondimenti e riflessioni – 2 Il manifesto, 22 febbraio 2006 Alta velocità: “Dietro l'alibi dei fondi europei” editoriale di Vittorio Agnoletto Se si osserva il comportamento di molti leader politici sulla vicenda TAV non c'è da meravigliarsi che l'Italia sia finita al 40° posto nella classifica internazionale sull'onestà stilata qualche giorno fa da Transparency International. Da almeno un anno risuona incessante il ritornello: "Ce lo impone l'Unione Europea, se non si avviano i lavori l'Italia perderà i fondi". Lo hanno dichiarato uno dopo l'altro molti ministri, lo hanno affermato non una sola voce Mercedes Bresso e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. Chi si oppone alla TAV sarebbe quindi anche un cattivo cittadino che non ha a cuore le sorti nazionali visto che mostra assoluta indifferenza al rischio che la patria possa perdere ingenti finanziamenti europei. L'importante è arraffare il malloppo, senza neanche perdere tempo a domandarsi se non sia possibile riuscire ad utilizzarlo, almeno in parte, in qualche altro modo: ad esempio potenziando l'attuale linea ferroviaria e accettando che qualche container impieghi trenta minuti in più per raggiungere Lione da Torino, ma evitando così scempi ambientali e rischi sanitari. Ma la verità è ben diversa: dei venti miliardi di euro originariamente previsti, per il periodo 2007-2013 dalla Commissione Europea per le grandi opere, dopo il Consiglio Europeo del 15 dicembre 2005 ne sono rimasti solo sei. Assolutamente insufficienti per finanziare anche solo parzialmente (dal venti al trenta per cento per i tratti internazionali e il dieci per cento per le tratte nazionali) le trenta grandi opere originariamente previste e che quindi devono essere selezionate in ordine di priorità. La precedenza sarà data a quei progetti per i quali i lavori sono già in stato avanzato e nei quali l'UE ha investito oltre 2,5 miliardi di euro. Ben diversa è la sentenza della TAV: non solo i lavori non sono iniziati (fino ad ora l'UE ha infatti stanziato solo il 5,11 per cento della prevista quota comunitaria, fondi destinati alla fase progettuale e sull'utilizzo dei quali il governo avrebbe potuto chiedere una proroga, entro il 31ottobre 2005), ma la Commissione Europea ha avviato una procedura contro l'Italia per aver cancellatola la VIA (Valutazione di impatto ambientale) dai progetti definitivi sulle grandi opere, TAV compresa. Inoltre proprio due settimane fa la Commissione petizioni del Parlamento europeo ha richiesto all'unanimità un'ulteriore valutazione sui rischi ambientali e sanitari. In conclusione, ad oggi appare del tutto improbabile che vi siano fondi europei per l'alta velocità in Val di Susa, e dall'Europa non arriva alcuna pressione perché si proceda con i lavori. Il governo italiano ovviamente è da tempo consapevole di tale situazione, anzi ne è addirittura corresponsabile avendo partecipato alle decisione del Consiglio Europeo del 15 dicembre. Quindi i ministri hanno dichiarato e continuano a dichiarare consapevolmente il falso. Ma poteva la governatrice Mercedes Bresso non sapere tutto ciò? Possibile che non si fosse consultata con il presidente della Commissione Trasporti, onorevole Paolo Costa, oltretutto eletto nella sua stessa lista al Parlamento europeo? Il quale è talmente consapevole della situazione che il 15 febbraio in una lettera inviata all' onorevole Janusz Lewandowski, presidente della commissione budget, scrive: "Se la posizione del Consiglio Europeo dovesse essere accettata, l'idea del network sarebbe distrutta e gli obiettivi del TEN-T (il network del trasporto transeuropeo) non sarebbero più raggiungibili e l'intero programma TENT sarà declassato a un insieme disordinato di lavori pubblici". Qualcuno aveva almeno informato Prodi di quale era la situazione prima di continuare ad invocare una sua presa di posizione giunta poi con l'infelice "decido io"? In tanti, e da parti diverse, hanno nascosto la verità ai cittadini non solo della Val di Susa; ma certamente è più difficile perdonare chi ha sfilato a Porto Alegre parlando di bilancio partecipativo e del coinvolgimento delle popolazioni locali. L'alibi degli obblighi europei è stato quindi utilizzato dal governo per realizzare attraverso la vicenda TAV uno scontro politico/ideologico in difesa del modello liberista della società. Modello che prevede: una sempre maggiore delocalizzazione produttiva fuori dall'Europa fondata sull'abbassamento del costo del lavoro e la negazione dei diritti; la rottura dei legami sociali e comunitari ancora esistenti in Europa; la trasformazione del nostro continente in una regione attraversata da grandi infrastrutture di trasporto, dove, ad una sempre più selvaggia concentrazione di capitali, corrisponderà un aumento esponenziale della disoccupazione e del lavoro nero. Il principio guida del raggiungimento del massimo profitto possibile coniugato con il più assoluto (e suicida) disprezzo per ogni forma di bene comune. Il mito dell'alta velocità ben sintetizza anche simbolicamente tutto ciò. Ma dietro le bugie, spesso, insieme a grandi "motivazione ideologiche", si nascondono precisi interessi materiali. L´importante è assegnare gli appalti, distribuire contratti ad aziende amiche, poi se l'opera non si farà, o non verrà conclusa, poco importa, le aziende riceveranno comunque le penali da parte pubblica e il denaro, girando, lascerà qualche alone attorno a sé. La partecipazione di un'ampia fetta dell'opposizione a questa battaglia in favore della TAV rappresenta la condivisione culturale, prima ancora che politica, di un modello liberista della società, nella convinzione di poterne dominare gli effetti più deleteri e socialmente dannosi. Quest'opera di contenimento dovrebbe essere resa possibile dalla conquista della cabina di regia, identificata nel governo. É la medesima logica che ha portato DS e Margherita a sostenere la nuova versione della direttiva Bolkestein nel recente voto di Strasburgo. Ma l'essenza del liberismo è appunto il dominio dell'economia finanziaria sulle istituzioni politiche: anche per questo l'idea di gestire un liberismo dal volto umano è destinata a rimanere nel migliore dei casi un'illusione. Per il resto non vorrei nemmeno pensare (ma talvolta a dubitare si indovina) che anche in questo campo la vicinanza di alcuni interessi economici possa avere un qualche peso. La lotta per una alternativa alla TAV, lungi dall'essere una rissa di cortile, rappresenta quindi un punto centrale di confronto sulla società e il futuro che intendiamo costruire. L'impegno comune per battere la destra, ed in particolare questa destra, e per provare a governare con un programma che rappresenti il punto più alto possibile di mediazione dentro la coalizione, non può e non deve essere confuso con la consegna del silenzio. Non c'è motivo di scandalo nel dichiarare esplicitamente che dentro al centrosinistra è da tempo aperta una contesa sulla dimensione strategica dell'agire politico ed in particolare sulla posizione d'assumere verso le politiche liberiste. Punto di vista esterno Il manifesto, 23 febbraio 2006 “Lo scandalo che tutti tacciono ” di Raffaele Salinari Era dai tempi della «Milano da bere» e dei cinquemila miliardi alla cooperazione che non si assisteva ad uno scandalo come quello dei tagli ai fondi per le Nazioni unite ed al contemporaneo spostamento degli stessi su opere infrastrutturali legate al made in Italy ecclesiale. Uno scandalo che all'epoca sarebbe parso risibile, data la cultura politica dominante, e ben poca cosa rispetto alla massa circolante di danari per tutti, ong incluse. Oggi, a fronte della scarsità delle risorse, ma soprattutto degli impegni presi nei confronti delle Nazioni unite per la lotta alla povertà e il sostegno agli Obiettivi del Millennio, lo scandalo dei venti milioni dati all'Img e poi «girati» all'ospedale della Congregazione dei Figli dell'Immacolata per il loro ospedale a Tirana, appare eticamente e politicamente insopportabile. Sono fondi chiaramente sottratti ad altre agenzie Onu, già ampiamente amputati delle risorse necessarie dai vari e ripetuti tagli che tutti i paesi ricchi, a partire dagli Usa, hanno progressivamente operato negli ultimi tre anni. L'Italia è, come noto, il paese che meno investe in cooperazione e diritti umani, e questo poco invidiabile primato viene giustificato dai conti in rossi dello Stato. Anche recentemente, durante la presentazione di una inchiesta commissionata dal Cini (Coordinamento italiano network internazionali), che mostrava chiaramente l'interesse degli italiani a sostenere la lotta alla povertà nel mondo, un esponente della destra, l'onorevole Maurizio Gasparri, ha ammesso i tagli ma giustificandoli con le ristrettezze del momento. Ora, a parte la chiara contraddizione tra questi tagli e il sostegno milionario alle missioni di guerra, i dati dell'ultima impresa della Farnesina contraddicono palesemente anche questa "foglia di fico", gettando infine una luce chiarissima sulla volontà di utilizzare i fondi a disposizione non per onorare gli impegni internazionali, che non portano voti né clientele sempre buone, ma per favorire le strutture gestite dagli amici, laici o cattolici che siano, e tutto questo in spregio alle più elementari norme di accettazione da parte dei «beneficiari». L'isteria elettorale non dovrebbe giungere a questi livelli, non dovremmo permettere che questioni «interne» mettano a repentaglio la vita di milioni di esseri umani per una manciata di voti, negando alle agenzie Onu la base delle loro operazioni. Mi aspetto ora che l'Unione si palesi gridando allo scandalo, che i fruitori di questo copioso finanziamento ci ripensino, e che le ong legate alla Cei dicano la loro, come noi abbiamo detto la nostra. "Batti e ribatti" dal quotidiano Liberazione 18 dicembre 2005 Wto: “A Hong Kong abbiamo perso. Necessario un esame di coscienza” di Vittorio Agnoletto Ha vinto l'egoismo del nord del mondo, delle multinazionali statunitensi ed europee. Ma soprattutto abbiamo perso noi. I sindacati che non sono riusciti a spiegare che le masse povere dei contadini e dei lavoratori del sud del mondo non sono gli avversari degli agricoltori e dei lavoratori europei; i nostri movimenti, poiché non abbiamo saputo trasformare la forza accumulata nei Social Forum di Porto Alegre, di Mumbay, di Firenze nella capacità di organizzare vertenze mondiali sui temi quali la difesa dei beni comuni come l'acqua e la terra, l'accesso ai servizi pubblici come diritti; hanno perso i partiti di sinistra che non hanno saputo, ammesso che vi credano, spiegare ai propri elettori che il destino del pianeta è uno solo e che se oggi è il sud del mondo a pagare il prezzo più alto di questo modello di sviluppo, presto arriverà anche il nostro turno. Abbiamo sperato che il governo Lula in Brasile potesse essere una garanzia per tutti i disperati della terra. Di fronte alle pressioni USA il Brasile ha vacillato, il G20 (l'alleanza di alcuni PVS contro le politiche liberiste) é rimasto poco più che un simulacro, e il Brasile apre alle politiche liberiste lasciando al proprio destino i Paesi più poveri. Si possono vincere tante elezioni in tanti Paesi ma é difficile che quelle vittorie possano modificare realmente in profondità la vita della gente, con e per la quale ci battiamo, se veniamo sconfitti così duramente alla conferenza del WTO. Possiamo e dobbiamo continuare ad indicare con precisione i responsabili di questo nuovo massacro sociale ma dobbiamo fare dentro di noi un profondo esame di coscienza per quello che non siamo stati capaci di fare e di spiegare. Sarebbe già un passo avanti se questa consapevolezza fosse di casa nelle stanze delle segreterie dei partiti di sinistra, in Europa e nel mondo. Ma l'impressione é che nell'emisfero nord del Pianeta, sopratutto in Europa, il liberismo abbia conquistato molto seguaci a sinistra, anche se tanti non lo riconoscono ancora (ufficialmente). Se la bozza di accordo presentata oggi al vertice della WTO sarà approvata non é retorica affermare che continueranno ad aumentare le distanze tra i più ricchi e i più poveri e le condizioni di questi ultimi peggioreranno sempre più. Abbiamo perso quella che, in questi giorni, era diventata la principale battaglia materiale e simbolica di tutti i PVS e dei movimenti di tutto il mondo: il taglio in tempi brevissimi dei sussidi all'esportazione per i prodotti agricoli e per il cotone. Dietro questi freddi numeri ogni giorno si consuma una nuova pagina della tragedia africana fatta di fame e povertà. I PVS sono costretti ad aprire i loro mercati ai prodotti industriali del nord, dovendo abbattere i loro dazi doganali: una competizione impari che distruggerà ulteriormente l'industria (ancora in fase embrionale) in Africa e nelle regioni povere dell'Asia. Gli aiuti allo sviluppo non sono confermati attraverso cifre definite e nemmeno viene precisato se si tratta di aiuti veri o di prestiti: uno specchietto per le allodole che si rivela in tutta la sua falsità. Viene avviato il mercato dei servizi: educazione, servizi sociali e sanitari saranno sempre meno diritti e sempre più merci disponibili per chi potrà acquistarli. Anche l'acqua diventerà merce e nel prossimo futuro il suo mercato farà concorrenza a quello del petrolio. 21 dicembre 2005 “Agnoletto dice «al Wto abbiamo perso noi». Caro Vittorio, ma noi chi?” di Pierluigi Sullo Ho letto (su Liberazione di ieri) l’articolo di Vittorio Agnoletto e sono rimasto male. Prima di tutto, com’è ovvio, per l’esito della conferenza della Wto a Hong Kong, su cui non c’è niente da aggiungere agli articoli degli inviati di Liberazione. Poi, però, sono rimasto male anche per il tono funebre - non me ne voglia Vittorio - dei suoi argomenti: «Abbiamo perso noi», scrive. Ma «noi» chi? Non siamo riusciti a trasformare la «forza accumulata» - dice così - grazie ai Forum sociali mondiali e il movimento di questi anni, «nella capacità di organizzare vertenze mondiali». Questa cosa delle “vertenze mondiali” gliel’ho sentita dire, se non sbaglio, a una Porto Alegre di qualche anno fa: non ero d’accordo allora e non sono d’accordo adesso. E vorrei dunque - si fa per conversare tra amici dire perché mi pare, quella espressione, del tutto fuorviante. Così come mi pare sbagliato mettere il lutto se Lula, eletto presidente del Brasile con l’accompagnamento di grandi speranze e persona chiave del vertice Wto di Cancun, finisce per «vacillare», come scrive Vittorio, dopo avere per altro pagato fino all’ultimo centesimo il debito con il Fondo monetario internazionale (che naturalmente cresce, perché l’usura funziona così), impedendosi di fare ad esempio una ragionevole riforma agraria. Lo stesso Agnoletto annota: «Si possono vincere tante elezioni in tanti paesi, ma è difficile che quelle vittorie possano modificare realmente in profondità la vita della gente». Esatto. Anche la vittoria di Evo Morales in Bolivia, come a suo tempo in Ecuador quella di Lucio Gutiérrez, è accompagnata da grandi speranze. Ma siccome il tempo non passa del tutto invano, l’elezione di “Evo” è accompagnata anche da cautela, da parte di molti dei movimenti sociali e indigeni del paese, che hanno concesso all’“indigeno presidente” tre mesi per verificare se davvero vorrà, e potrà, mettere in salvo dalle multinazionali il gas del paese, depenalizzare la coltivazione di coca (che non è cocaina), avviare l’assemblea costituente per dare al paese una struttura istituzionale innovativa e democratica, ecc. Così, c’è poco da stupirsi se, come dice con amarezza Vittorio, «nell’emisfero nord del pianeta, soprattutto in Europa, il liberismo ha conquistato molti seguaci a sinistra». E che novità sarebbe? Avete mai sentito quel che dice Rutelli della liberalizzazione dei servizi pubblici? O cosa intende, quando pronuncia la parola “sviluppo”, Pierluigi Bersani? Sì che l’avete sentito: la pubblicazione del brano di un discorso di Robert Kennedy, sulla prima di Liberazione, domenica scorsa, era una vera delizia. Un tempo, la sinistra non credeva che il Prodotto interno lordo esaurisse l’umanità. Oggi una certa sinistra sì. Ma viceversa: si può invece sostenere che ad Hong Kong “abbiamo vinto noi”? Non credo proprio. Ma non è forse vero che la misura del cinismo, oltre ogni limite, con cui i governi e i potenti dell’economia del nord guardano alle catastrofi sociali, sanitarie, ambientali del sud è un metro – anche - della loro sostanziale disperazione? Lo so, è una tesi probabilmente troppo ottimistica. Ma se pensiamo agli argomenti di Mercedes Bresso e di Sergio Chiamparino a favore della Tav, tanto deboli, pretestuosi e ideologici [l’ideologia dello “sviluppo”, appunto], allora possiamo sperare che il famoso limite non l’abbia raggiunto solo la natura, ma anche la possibilità di distruggerla con il consenso di chi ci vive immerso. Ad esempio, i valsusini. La cui resistenza tenace si nutre di legami personali, di buoni argomenti frutto di un lungo studio, di amore per la loro terra e di una democrazia sostanziale. Di Valle di Susa, in giro per il mondo, ce ne sono a migliaia, a centinaia di migliaia. Solo che non funzionano come una “forza accumulata”, non sono necessariamente “di sinistra” [almeno nell’accezione eurocentrica] e non dichiarano “vertenze globali”. Insomma non si comportano come l’espansione a scala planetaria degli usi, costumi, linguaggi e modi di organizzazione della sinistra europea dell’Otto e Novecento. Si può dire che il movimento di Porto Alegre ha perso? Secondo me sta vincendo, come stanno vincendo la Val di Susa, la gente dello Stretto e i pugliesi che hanno difeso con successo – eleggendo Nichi Vendola – il loro acquedotto. Altrove no, si perde. Nella “Cina comunista” lo “sviluppo” marcia come un titanico caterpillar, spianando montagne, uccidendo uomini come topi nelle miniere e deviando i grandi fiumi. La società civile non è ancora abbastanza forte. In Bolivia, “abbiamo” fin qui impedito la svendita del gas, cacciato due presidenti ed eletto uno che – forse – non ci sarà bisogno di cacciar via. Eccetera. Ma, allo stesso tempo, la necessità di una nuova democrazia e il rifiuto di questo “sviluppo” stanno diventando senso comune: se no perché, in sondaggi successivi, la maggioranza degli italiani si è dichiarata contro la guerra, contro gli Ogm e a favore dei valsusini? Viviamo in una complicata transizione, in cui “sinistra” è una parola multiforme, i cambiamenti avvengono a macchie, saltando qui e là e creando lentamente – secondo i tempi degli umani e non dei telegiornali – un nuovo legame sociale, in cui ogni “sintesi” [la mia compresa] è spericolata. So che Vittorio non è tipo da smontarsi facilmente: abbiamo un sacco di cose da fare, “noi”. 22 dicembre 2005 “Ha ragione Agnoletto..." di Salvatore Cannavò Ha ragione Agnoletto quando scrive con nettezza che a Hong Kong il movimento ha perso e che ora serve un esame di coscienza. Ha ragione anche se è vero quello che ha scritto, sempre su Liberazione, Sabina Morandi e cioè che il movimento ha sviluppato una grande iniziativa nella ex colonia britannica mostrando determinazione, radicalità e presenza organizzata. É anche vero che giornali come il Financial Times parlano di “accordicchio”, di sostanza ancora tutta da negoziare e mostrano la loro insoddisfazione. Ma si tratta di un’insoddisfazione tipica di chi vorrebbe avere tutto e subito. In realtà la sconfitta c’è stata e gli accordi siglati dalla Wto possono innescare una spirale negativa perché invertono il segno che i lavori dell’Organizzazione mondiale del commercio avevano subito prima a Seattle e poi a Doha. Quindi occorre fare una riflessione che, ovviamente, avrà bisogno di tempo e di sedi collettive adeguate. E a questo scopo aiuta il confronto tra opinioni diverse come quella espressa ieri su queste colonne da Gigi Sullo, di Carta. Opinione coerente con le cose che Sullo ha sempre sostenuto in questi anni di movimento ma che non miconvince e credo non regga rispetto a quanto avvenuto. Quello che salta agli occhi, innanzitutto, è il ritrovato asse tra Usa e Ue. Non che le due potenze economiche abbiano interessi convergenti su tutto ma la gestione del vertice è stata fatta cercando di portare a casa un pacchetto di negoziazioni possibili che mettessero al centro gli interessi delle multinazionali delle due superpotenze globali, multinazionali che spesso coincidono. Questa realtà è probabilmente il frutto combinato di due elementi. Da un lato la guerra in Iraq fa sentire i suoi effetti nel medio periodo: quella guerra c’è stata, gli Usa hanno segnato un punto sullo scacchiere geopolitico globale e possono iniziare a ricavarne una rendita di posizione. Allo stesso tempo quella guerra non è vinta del tutto, le resistenze sono molteplici e l’apporto della Ue inizia a essere benvenuto. Se a questo si aggiunge che i due principali leader europei che si sono opposti all’unilateralismo di Bush, Chirac e Schroeder, sono oggi l’uno fuori dal gioco politico (addirittura finito come dipendente di Putin) e l’altro offuscato politicamente e mediaticamente, si capisce quanto sia possibile il ritorno del “multilateralismo” - inteso come gestione concertata tra Usa e Ue su scala internazionale - con il conseguente rilancio dell’offensiva neoliberista su scala globale. A questo scenario va associato il secondo aspetto che salta agli occhi dalle conclusioni di Hong Kong: il ruolo dei paesi medi, delle potenze emergenti che, nel caso di Brasile e India (per non parlare della Cina), sono guidati da governi di sinistra o progressisti. Il caso brasiliano è ovviamente il più eclatante e il più disarmante. La patria di Porto Alegre e dei Forum sociali, il paese che ha incarnato una speranza per tutta l’America latina è quello che si mette alla testa della trattativa al ribasso con Usa e Ue per difendere la propria produzione agricola intesa come agrindustria e non certo come tutela dei Sem Terra o della popolazione contadina. L’involuzione di Lula in chiave interna fa oggi la sua prova sullo scenario internazionale, quello comprensibile alla maggior parte dei movimenti globali, gli stessi che pure sulla sua esperienza di governo avevano riposto molte speranze. Il voltafaccia del Brasile potrebbe avere serie ripercussioni in America latina e costituisce un pessimo segnale per la brillante (e altrettanto speranzosa) vittoria di Evo Morales ma mostra anche la fragilità di quell’ipotesi che prevede di dotare di efficacia politica i movimenti attraverso la via di governi in compromesso con il liberismo dominante. L’ultimo elemento di riflessione riguarda più direttamente i movimenti, il loro ruolo e la loro azione specifica. Su scala internazionale, ma anche in Italia e in Europa in relazione ai Forum sociali europei, si è sviluppato un dibattito che ha visto contrapposte due ipotesi: da una parte la valorizzazione dei Forum come semplici spazi aperti al confronto; dall’altra la maggiore importanza conferita alla costruzione di reti permanenti in grado di sviluppare un’iniziativa comune coordinata su scala globale, le «vertenze mondiali» di cui parla Agnoletto e che non piacciono per nulla a Sullo. Il fatto è che, sia pure in una condizione di esistenza forte del movimento, di sua crescita e di sua iniziativa politica su scala globale - è giusto ascrivere a questa dinamica il successo in Bolivia così come la lotta contro la Tav o la vittoria al referendum francese sulla Costituzione europea - il nodo di scadenze decisive che diventano misura dei rapporti di forza complessivi non può essere saltato. Altrimenti non si spiegherebbe, a contrario, l’enfasi da tutti noi posta sul fallimento di Seattle e su quella che, allora, per noi è stata una vittoria. E quella vittoria - tra l’altro ottenuta più per contraddizioni interne ai governi della Wto che per forza soggettiva del movimento - è stata decisiva nello sviluppo della stagione dei social forum. L’esito di Hong Kong rende il problema dell’efficacia politica dei movimenti ancora più urgente. Il “fronte occidentale”, in particolare le forze della sinistra europee, hanno sottovalutato l’importanza del vertice di Hong Kong. Per rimediare a quella sconfitta una delle strade da seguire, certo non l’unica, è quella di rafforzare i legami comuni, le campagne permanenti, le sedi di incontro e di iniziativa. Su questa strada si è spinta molto in avanti la Via Campesina che ha ben collegato i movimenti contadini di mezzo mondo così come altre campagne, legate alle tematiche della Wto, hanno saputo realizzare un buon lavoro. Per il resto siamo in ritardo. Così come siamo ancora in deficit rispetto a un collegamento internazionale delle sinistre anticapitaliste. É un punto di snodo decisivo perché forse a Hong Kong si è aperta una nuova fase e non possiamo farci trovare impreparati. ALTRE INFORMAZIONI Gli incarichi di Vittorio al Parlamento Europeo: Commissione per gli affari esteri, Membro Commissione per il commercio internazionale, Membro sostituto Sottocommissione per i diritti dell'uomo, Membro Delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti, Membro sostituto Assemblea parlamentare paritetica ACP (Africa, Carabi e Pacifico)-UE, Membro Intergruppo Globalizzazione, Vice-presidente Integruppo Federalista, Membro Gruppo parlamentare di amicizia con il popolo kurdo, Coordinatore Relatore su “La clausola dei diritti umani e della democrazia negli accordi dell’Unione Europea”. La squadra dei collaboratori: A Milano, Barbara Battaglia, addetta stampa Italia Giosuè De Salvo, segretario politico tel. 02 87395155, fax. 02 875045 A Bruxelles, Fabiano Cesaroni, assistente parlamentare Riccardo Falduto, stagista Nicola Flamigni, stagista Cora Ranci, stagista Stefano Squarcina, coordinatore staff gruppo GUE/NGL Forniscono inoltre un importante supporto a Vittorio: a Milano, Giorgio Riolo e tutto lo staff di Puntorosso ; a Bruxelles e Strasburgo, Gianfranco Battistini, Roberto Lo Priore, Chiara Tamburini Elenco degli ultimi articoli pubblicati, rintracciabili sul sito www.vittorioagnoletto.it/articoli: “Lotta all'HIV/AIDS: il 2005, anno cruciale”, Mani tese del 1 novembre 2005 “La battaglia dei farmaci l'hanno persa i paesi poveri”, Carta Etc. - Mensile n. 4 del 7 novembre 2005 “L'accordo sui farmaci anti AIDS affossa i paesi poveri”, Il manifesto del 13 dicembre 2005 “Le ragioni dello stallo nei negoziati”, Liberazione del 15 dicembre 2005 “Il mio viaggio nella guerra colombiana”, Lavori in corso n. 13 del 16 dicembre 2005 “Abbiamo perso: necessario un esame di coscienza”, Liberazione del 18 dicembre 2005 “Agnoletto dice «al WTO abbiamo perso noi». Caro Vittorio, ma noi chi?”, Liberazione del 21 dicembre 2005 “Ha ragione Agnoletto”, Liberazione del 22 dicembre 2005 “I Paesi africani e l'Unione europea”, Come n. 246 del 12 gennaio 2006 “Tav, le ragioni del no”, Lavori in corso n. 15 del 13 gennaio 2006 “Due forum, un problema”, Carta n. 3 del 23 gennaio 2006 “Alta velocità - Dietro l'alibi dei fondi europei”, Il manifesto del 22 febbraio 2006 “Mr Global continua a vincere”, replica a Gianni Riotta, Il Corriere della sera del 4 marzo 2006 FaiLaCosaGiusta News numero 4 - marzo 2006 Foglio di informazione elettronico di Vittorio Agnoletto - Europarlamentare del gruppo GUE/NGL Su Internet: www.vittorioagnoletto.it E-Mail: [email protected] Se desiderate ricevere i prossimi numeri, scrivete all’indirizzo: [email protected] Se siete stati incidentalmente inclusi in questa mailing list e volete essere rimossi, scrivete all’indirizzo: [email protected]