BIBLIOTECONOMIA SOCIALE

Transcript

BIBLIOTECONOMIA SOCIALE
GIOVANNI DI DOMENICO
LUCIANO BIANCIARDI TRA ENGAGEMENT E
"BIBLIOTECONOMIA SOCIALE"*
Quando finisce un dopoguerra?
Nessuno può
sicuramente dirlo.
(Marino Moretti)
Richiamerò solo per accenni il quadro delle scelte, degli impegni e degli eventi che caratterizzarono l'esperienza di Luciano Bianciardi nella Biblioteca
Chelliana di Grosseto. Il mio intento è semmai quello di soffermarmi su alcune
'condizioni al contorno' e su alcune fonti, che possono aiutarci a interpretare
quell'esperienza. Vorrei farlo, pur se in maniera estremamente schematica, con
riferimento a due ambiti di discorso: da una parte la biblioteconomia e la politica bibliotecaria nel dopoguerra e nella prima metà degli anni Cinquanta; dall'altra alcuni aspetti dell'ideologia, della cultura e della politica culturale della sinistra italiana in quello stesso periodo, aspetti che non mi sembrano estranei al
modo di muoversi e di operare di un intellettuale in qualche modo solo prestato
alle biblioteche, come forse fu Luciano Bianciardi. Naturalmente, si tratterebbe
di capire anche se ci furono e quali furono i punti di aderenza, di sovrapposizione tra i due ambiti. Conterei di verificarlo in ordine a quattro questioni:
- l'impegno e l'ideologia della ricostruzione
—la biblioteconomia e le biblioteche "viste da sinistra"
—il rapporto di Bianciardi con la comunità professionale dei bibliotecari
- il legame tra la sua Chelliana e la rinnovata tradizione delle biblioteche po
polari.
Vediamoli nell'ordine. Nel 1948-1949 Luciano Bianciardi s'impegnò con
grande determinazione nello scavo e nel ricupero dei libri della Biblioteca Chelliana. I volumi erano stati colti, nello scantinato di una scuola, dalla piena del
fiume Ombrone del 1944 e da allora erano rimasti prigionieri del fango. La
* In alcune parti di questo intervento ripropongo considerazioni e concetti già svolti in un
lavoro (Da Kansas City alla Braida del Guercio: biblioteche, bibliotecari e lettori nell'esperienza di lavoro e nella rivisitazione letteraria di Luciano Bianciardi) consegnato per un volume collettaneo
dell'Editrice Bibliografica di Milano. Il volume, dedicato alla presenza delle biblioteche e
dei bibliotecari nella letteratura, è attualmente (marzo 2003) in corso di trattamento redazionale. Rubo la locuzione "biblioteconomia sociale" a PIERO INNOCENTI, Pretesti della
memoria per Emanuele Casamassima: studi sulle biblioteche e politica delle biblioteche in Italia nel secon-
do dopoguerra, «La specola», 1991, n. 1, p. 149-263, in part. p. 175-181. Mi sembra che essa
si presti molto bene a riassumere e a riflettere valori, temi e pratiche della stagione che vide
Bianciardi tra i protagonisti della nostra vita bibliotecaria.
Giovanni Di Domenico
Chelliana aveva in precedenza subito gravi danni di guerra1.
§1. Il tema della ricostruitone postbellica
Gettandosi generosamente, e all'inizio senza compenso alcuno, nell'opera di
ricostruzione della biblioteca cittadina (catalogo compreso), Bianciardi intese
certo nutrire di sostanza umana e di concretezza il suo sentirsi parte di quella
più ampia cultura della ricostruzione (sociale ed economica, ma anche morale e
civile) del Paese, che nell'Italia uscita dal fascismo e dalla guerra fece da ideale di
riferimento e da collante politico/culturale per quasi tutta l'intellettualità democratica e progressista. Sui limiti di quell'orizzonte in passato molto si è detto,
talvolta con interventi anche ingenerosi e di piglio pesantemente dottrinario 2. E
però la parola d'ordine del ricostruire non «solo le case o le industrie ma gli animi e la società» 3 fu effettivamente mobilitante, mostrandosi in grado di conquistare coscienze e intelligenze e di diventare uno dei luoghi più frequentati
sulle pagine delle maggiori riviste del periodo, come «II politecnico», «II ponte»
e «Società». Queste ultime due furono anche tra le poche voci non di settore a
occuparsi di biblioteche nei primi anni del dopoguerra.
«Il ponte», la rivista degli antifascisti e degli azionisti Fiorentini raccolti attorno a Piero Calamandrei, pubblicò, tra gli altri, un importante articolo di Anita Mondolfo 4 , articolo che non nominava la Chelliana tra le biblioteche deva-
1
Avrebbe poi raccontato Bianciardi: «[...] All'inizio della guerra la Chelliana possedeva
un complesso di 70.000 volumi e poteva considerarsi una delle più grosse biblioteche
comunali della Toscana. Il 29 novembre 1943, l'edificio di via Mazzini, colpito da una
bomba, fu in gran parte distrutto, e la Biblioteca, che per il momento era stata danneg
giata solo negli arredi, rimase a lungo incustodita ed esposta alla rapina. La signorina
Broli, che dirigeva la Biblioteca all'inizio della guerra, aveva provveduto a decentrare e
nascondere i cimeli e le opere di maggior pregio ad Istia d'Ombrone, affidandone la cu
stodia al parroco Don Omero Mugnaini: in tal modo, si è potuta salvare una parte, la
più piccola ma anche la più preziosa, del vecchio patrimonio. Solo più tardi, e quando
era già rilevante il guasto provocato dalle continue ruberie [...], i libri furono trasportati,
con mezzi primitivi e scarsa cautela, parte a Roselle, e parte nel seminterrato della
Scuola Industriale [...]. Questo secondo blocco fu praticamente distrutto dalla piena dell'Ombrone del 1944. Nel 1949, quando si cominciò a tentare una ricostruzione della Bi
blioteca, si constatarono danni paurosi. Dei 70.000 volumi solo un terzo era rimasto
[...], ma le devastazioni cieche della natura e della gente avevano decimato collezioni e
raccolte [...]».
Il brano è tratto da una lettera dattiloscritta priva di data, inviata a Rino Gracili. La lettera, già custodita nell'archivio della Chelliana, non è attualmente disponibile. Riproduco il testo da ANNA BONELLl-LETIZIA CORSO, La Biblioteca comunale Chelliana: note per
una descrizione storica, «Culture del testo» 1,1995, n. 1, p. 137.
2
Vedi, per esempio, ROMANO LUPERINI, Gli intellettuali di sinistra e l'ideologia della ricostru
zione, Roma, Edizioni di «Ideologie», 1971.
3
Situatone, «Società» 1, 1945, n. 1-2, p. 6.
4
A. MONDOLFO, Le biblioteche d'Italia e la guerra, «II ponte» 2,1946, n. 6, p. 549-552.
20
Luciano Bianciardi tra engagement e "biblioteconomia sociale"
state dal conflitto 5, ma che non dovette sfuggire a Luciano Bianciardi, all'epoca
già iscritto al Partito d'Azione. La Mondolfo non si limitava a presentare il tristissimo bilancio delle devastazioni subite dalle biblioteche italiane (ora gli edifìci, ora i libri 6, ora i cataloghi), non segnalava solo l'aggravante rappresentata
«dalla rarefazione del gettito delle pubblicazioni nuove italiane»7, ma tracciava
anche le linee generali di un programma possibile di ricostruzione,
«inteso da una parte a dotare di libri idonei, in serie possibilmente complete, i centri
depauperati e dall'altra a ridare all'uso pubblico il libro bello, il libro di qualità [...]» (8).
Il programma suggerito dalla Mondolfo poggiava su pochi, ma chiari punti:
—trasferire duplicati di opere antiche dalle biblioteche maggiori alle bibliote
che danneggiate;
—per il materiale moderno, convogliare verso le biblioteche nuclei librari di
studiosi non più attivi; sollecitare doni e cessioni da parte di società
scientifiche
e culturali e di loro singoli membri; invitare i privati in possesso di raccolte
specializzate a collocare «i propri libri presso le biblioteche devastate
chiedendo per sé magari un prestito illimitato e un ex-lìbrìs che perpetui il
ricordo dell'offerta liberale»9;
—«disciplinare questo lavoro» mediante la creazione di un Centro italiano del
libro, sull'allora recente modello inglese dell'Interallied Book Center;
—ridare vita alle biblioteche popolari, un campo «in cui tutto è da fare [...],
dal quadro della beneficenza a quello della promovenda legislazione»10;
—migliorare gli scambi culturali con gli altri paesi: «Fortunatamente con gli
istituti degli Stati Uniti d'America stiamo allacciando rapporti molto cordiali
e
altrettanto proficui; senza dire che là si è formato, ora è un anno, il Centro
americano del libro a esclusivo vantaggio delle biblioteche europee
danneggiate»11.
Per Anita Mondolfo la ricostruzione del tessuto bibliotecario nazionale sarebbe quindi dovuta passare innanzi tutto attraverso il riscatto culturale e morale della società civile e l'impegno responsabile degli individui (studiosi, bibliofili, editori).
Un anno prima, Francesco Barberi era a sua volta intervenuto sulla necessa-
5
La Chelliana fu invece menzionata da Fernanda Ascarelli in una cronaca successiva.
Vedi Le biblioteche italiane e la guerra, «Rivista storica italiana» 60,1948, p. 181.
6
«Peraltro è uscito salvo dai validi rifugi apprestati quasi tutto l'immenso nostro patri
monio bibliografico di gran pregio» (A. MONDOLFO, op. cit, p. 549).
7
Ivi, p. 550.
«Ivi, p. 551.
9
Ibidem.
10
Ivi, p. 552.
11
Ibidem. Non sarebbero però mancate, di lì a poco, le polemiche sull'identificazione dei
danni subiti e discussioni anche sui criteri di distribuzione e circolazione dei libri ameri
cani, giunti in Italia come aiuto postbellico e insieme come strumento di propaganda ideologica. Cfr. P. INNOCENTI, op. cit, p. 165-167.
21
Giovanni Di Domenico
ria centralità delle biblioteche nell'opera di ricostruzione 12, e lo aveva fatto con
accenti non diversi da quelli usati dalla gran parte dell'intellettualità democratica:
«[...] se si deve, insieme con la ricostruzione materiale del paese, por mano senza indugio al risanamento morale degl'italiani, s'intuisce quale enorme importanza in tale
missione siano per avere le biblioteche»13.
Barberi insisteva su tre concetti:
1.il problema della ricostruzione nel campo delle biblioteche coincide con
quello del loro rinnovamento e adeguamento «ai bisogni della cultura,
bisogni che, da un secolo in qua, esse (e non per colpa loro) sono sempre
meno in grado di soddisfare»14 . Il fascismo e la guerra hanno portato al
grado massimo di gravita lacune legislative, carenze bibliografiche e disservizi
di più antica origine;
2.«una moderna biblioteca pubblica» nel nostro paese non può che ispirarsi
a modelli europei ed anglosassoni avanzati e basati sul nesso fiscalità/servizi;
3. «scuola e biblioteca sono due aspetti inseparabili, della medesima importanza, di un unico problema»15.
Emergeva, nelle posizioni di Barberi, un forte richiamo alla responsabilità storica e politica delle classi dirigenti nazionali per i ritardi accumulatisi nel settore e
insieme un primo tentativo di suggerire una prospettiva di riforma16. Alcuni anni dopo, Barberi riprese e ampliò questi argomenti in un saggio pubblicato da
«Società»17, nel quale tornò a indagare sulle cause remote (latitanza dei governi
12
F; BARBERI, Biblioteche, «Aretusa» 2,1945, n. 11-12, p. 77-80.
13 Ivi, p. 77.
14
Ibidem.
15
Ivi, p. 80. Su questo punto, cfr. PAOLO TRANIELLO, Storia delle biblioteche in Italia: dal
l'Unità a oggi, con scritti di Giovanna Granata, Claudio Leombroni, Graziano Ruffini,
Bologna, II mulino, 2002, p. 209.
16
Prospettive per il dopoguerra è il significativo titolo sotto il quale l'intervento di Barberi fi
gura ora nella sua raccolta Biblioteche in Italia: saggi e conversazioni, Firenze, Giunta regionale-Nuova Italia, 1981, p. 13-16.
17
F. BARBERI, Le biblioteche, una crisi secolare, «Società» 5, 1949, n. 1, p. 74-97. Nelle sue
Schede di un bibliotecario (1933-1975), Roma, AIB, 1984, Barberi racconterà le particolari
vicende legate alla diffusione, pubblicazione e ricezione di questo lavoro (v. p. 87-88,
92, 94, 95, 111). Si tratta del testo di un contributo presentato a Firenze nell'aprile del
1948, un paio di settimane prima del voto politico, durante un importante convegno di
intellettuali e artisti d'area comunista. Il 29 marzo dell'anno seguente, il Ministero, nella
persona del direttore generale Arcamone, vietò a Barberi di replicare la conferenza in
Angelica: un veto dettato probabilmente dal ministro Gonella e che arrivò all'ultimo
minuto, costringendo gli organizzatori AIB a rimandare indietro il pubblico. «Sollecitato
da amici, ma anche un po' per dispetto» (Schede..., p. 94), Barberi decise allora di conse
gnare lo scritto al periodico «Società», notoriamente vicino al PCI. L'articolo incassò,
dopo quello di Fortunato Pintor, l'apprezzamento dell'antico maestro Enrico Jahier, ma
la pubblicazione su «Società» provocò conseguenze antipatiche: nel 1951, matura ormai
la sua candidatura a ispettore, Barberi si vide sottoposto a un'inchiesta preventiva sulla
sua eventuale appartenenza al PCI.
22
Luciano Bianciardi tra engagement e "biblioteconomia sociale"
liberali), prossime (il fascismo, la guerra) e presenti (finanziamenti assai scarsi)
di un generale stato di crisi e arretratezza delle biblioteche italiane, del loro uso
improprio, della gravissima assenza di un autentico servizio pubblico di biblioteca, in più rimarcando l'insufficiente articolazione tipologica dell'offerta bibliotecaria nostrana:
«La specializzazione scientifica e l'istruzione obbligatoria mancarono di operare in
Italia quella scissione delle biblioteche in diversi tipi, che sarebbe stata necessaria. Fornite originariamente d'indirizzo enciclopedico o ecclesiastico, adesso, nell'impossibilità di
mantenere l'uno o l'altro, vennero assumendone uno genericamente umanistico, pur
non potendo dirsi specializzate neanche in questo campo»18.
Sembrava, a Barberi, che il riscatto non potesse che principiare dall'urgente
sistemazione della mortificata Nazionale di Roma: occorreva risolvere il problema della sede e assegnare alla Nazionale un servizio di «catalogazione centrale degli stampati [...] delle più importanti biblioteche di Roma e d'Italia [...]»".
Bisognava, per il resto, procedere a «una razionale classificazione delle pubbliche biblioteche»20, secondo tre aggregati tipologici:
—«biblioteche di conservazione, con fondi antichi e materiale moderno di
consultazione per lo studio dei manoscritti e delle antiche edizioni»21 , da
affidare a bibliotecari con solida formazione paleografica e bibliografica, in
gradodi intensificare il trattamento catalografico uniforme a stampa dei
manoscritti;
—«moderne biblioteche specializzate, di tipo universitario: umanistiche,
scientifiche, tecniche»22, per le quali realizzare significative economie di scala,
attraverso il coordinamento degli acquisti e la fusione delle raccolte disperse
nei vari istituti;
—«biblioteche per tutti», autonome sotto il profilo amministrativo, con am
pio orario di apertura, con cataloghi agili e aggiornati, liberali nei prestiti,
con sezioni per i ragazzi, finanziate «mediante una lieve imposta comunale
proporzionale al reddito»23.
Non è difficile cogliere nel programma di Barberi principii, umori ed elaborazioni della parte più consapevole del bibliotecario italiano nel dopoguerra.
Parliamo, tuttavia, di una posizione di minoranza. Se non mancarono aiuti e inNella sua Storia della biblioteca in Italia (Milano, Editrice Bibliografica, 1984, p. 334) Enzo
Bottasso attacca ferocemente lo scritto di Barberi, fornendo anche una diversa interpretazione degli eventi: «Questa dimostrazione di assoluta ignoranza, incapace perfino
di distinguere fra le politiche condotte dalla Destra storica e dalla Sinistra, valse naturalmente all'interessato la promozione a ispettore [...]».
18
F. BARBERI, Le biblioteche, una crisi..., cit., p. 82.
Ivi, p. 91.
20 Ivi, p. 93.
21
Ibidem.
22
Ivi, p. 94.
23 Ivi, p. 95-96.
19
23
Giovanni Di Domenico
ferventi a favore delle biblioteche distrutte o danneggiate dagli eventi bellici 24,
mancò invece una riflessione approfondita sulla ricostruzione come opportunità di ripensamento e di rinnovamento dei caratteri costitutivi della tradizionale
politica bibliotecaria italiana e del suo rapporto con il nuovo sviluppo democratico, civile, culturale del nostro Paese. A questa carenza di elaborazione si accompagnò una pratica riorganizzatrice degli apparati ministeriali e dei ranghi
professionali di tipo burocratico/centralistico, che non ruppe chiaramente con
la politica bibliotecaria del fascismo e che presto risentì anche di inquinamenti
di tipo clientelare, oltre che di assoluta povertà programmatica e di confusione
organizzativa2S. Ben altra fu per esempio la strada seguita in Germania, un paese
che usciva dalla guerra con problemi analoghi ai nostri, anzi di più ampia portata, ma nel quale la ricostruzione assunse immediatamente il carattere di uno
straordinario sforzo elaborativo, di lungimiranza biblioteconomica, d'investimento sull'innovazione e d'impegno istituzionale e organizzativo, come avrebbe
saputo notare dopo pochi anni un viaggiatore d'eccezione quale Emanuele Casamassima26.
Da parte sua, Bianciardi - nel deserto dei progetti e delle idee - scelse inizialmente la strada dell'esempio individuale e della testimonianza morale: ricuperarli, intanto e per quanto è possibile, i libri. In fondo, salvarli dal fango significò per lui praticare una sorta di umanesimo militante e non retorico, e significò annullare anche fisicamente ogni 'separatezza' o privilegio rispetto alla fatica quotidiana di quei lavoratori dei cantieri e delle miniere27 che ai suoi occhi
rappresentavano autentiche avanguardie di progresso e di «modernità giusta e
priva di compromessi» per Grosseto e per la Maremma28.
E poi c'è un'altra componente etico-ideologica da considerare: la condanna
della 'irresponsabilità' della cultura, la necessità del suo impegno civile, l'engage24
Gli interventi furono tra l'altro documentati in una pubblicazione ministeriale in due
parti, uscite nel 1947 e nel 1953. Vedi La ricostruitone delle biblioteche italiane dopo la guerra
1940-1945. I: / danni, a e. del Ministero della pubblica istruzione, Ufficio studi e pubbli
cazioni, Roma, Direzione generale accademie e biblioteche, 1947; II: La ricostruzione, a e. di
Ettore Apollonj, Alda Angelini, Alberto Spina (Ministero della pubblica istruzione, Ufficio
studi e pubblicazioni), Roma, Direzione generale accademie e biblioteche, 1953.
25
Per una puntuale ricostruzione del periodo, vedi TRANIELLO, op. cit, p. 209-229.
26
Vedi ora E. CASAMASSIMA, Viaggio nelle biblioteche tedesche (1956-1963), con un saggio di bi
bliografia dei suoi scritti 1951-1995, a e. di P. Innocenti, con la collboraz. di Chiara Caducei,
Cristina Cavallaro, Katiuscia Dormi, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2002.
27
Avrebbe scritto Bianciardi qualche tempo dopo (Nascita di uomini democratici, ora in L.
BIANCIARDI, L'alibi del progresso: scritti giornalistici ed elzeviri, Milano, ExCogita, 2000, p. 204):
«Io sono con loro, i badilanti e i minatori della mia terra, e ne sono orgoglioso; se in qual
che modo la mia poca cultura può giovare al loro lavoro, alla loro esistenza, stimerò buo
na questa cultura, perché mi permette di restituire, almeno in parte, lavoro che è stato spe
so anche per me: non m'importa più quando mi dicono che questa è cultura engagée».
28
Vedi ADOLFO TURBANTI, Bianciardi e le lotte di classe in Maremma, in Luciano Bianciardi tra
neocapitalismo e contestatone: convegno di studi per il ventennale della morte promosso dalla Camera del
lavoro di Grosseto (Grosseto, 22-23 marzo 1991), a e. di Velio Abati [et al.], Roma, Editori
riuniti, 1992 p. 131-155.
24
Luciano Bianciardi tra engagement e "biblioteconomia sociale"
meni degli intellettuali, insomma le parole d'ordine dei tempi moderni sartriani,
rilanciate subito anche in Italia, soprattutto dagli intellettuali de «II politecnico»29. Quella di Bianciardi fu anche una forma di engagement (30), senz'altro
genuina e scevra da opportunismi. Insomma, se ha senso introdurre distinzioni
di questo tipo, l'impressione è che sin dall'inizio Bianciardi fondasse il proprio
rapporto con la biblioteca su basi ideologico-culturali e di passione civile piuttosto che strettamente professionali: su questo secondo versante gli stimoli indubbiamente difettavano.
§ 2. La biblioteconomia e le biblioteche viste "da sinistra"
Per la verità, negli anni di Bianciardi in Chelliana la sinistra, segnatamente
quella comunista, non brillò a sua volta per attenzione e originalità di proposte
in materia di biblioteche. Soprattutto al principio del decennio, pesarono le discutibili torsioni in chiave materialistico-dialettica cui fu sottoposta anche la biblioteconomia31. E pesò il condizionamento ideologico della scelta di campo,
che si tradusse nel frequente riferimento alle lontane realizzazioni sovietiche.
Anche un personaggio di rilievo come Francesco Barberi trovò il modo di esaltare "il rivoluzionario, grandioso sviluppo" del servizio bibliotecario nell'URSS».
Echi impliciti di questa visione trionfalistica dell'organizzazione bibliotecaria
sovietica, a partire dalla sua capillarità e dalla sua ricchezza documentaria, si
trovano anche tra le pieghe di alcuni elzeviri di Bianciardi; anzi, in Bianciardi
una stessa stima accomunava il sistema bibliotecario sovietico e quello americano, entrambi contrapposti come modelli ideali alle intollerabili magagne nostrane". ,<
Divenuto direttore della Chelliana, Bianciardi fu anche accusato - probabilmente a torto - di selezionare l'offerta di periodici con eccessivo riguardo per la
cultura di orientamento 'socialcomunista'34. Certo: Grosseto era amministrata da
29
Vedi in particolare JEAN-PAUL SARTRE, Una nuova cultura come cultura sintetica, «II politecnico», n. 16,12 gennaio 1946, p. 1 e 4.
30
Cfr. GIAN CARLO FERRETTI, La morte irridente: ritratto critico di Luciano Bianciardi uomo,
giornalista, traduttore, scrittore, Lecce, Manni, 2000, p. 9.
31
Come accadde, per esempio, in un convegno fiorentino del 1950. Vedi CATERINA
SANTORO, Le biblioteche nell'Unione Sovietica, in Scienza e cultura nell'URSS: atti del convegno
d'informazione sui recenti studi e ricerche sovietiche (Firenze, 24-25 novembre 1950), Roma, Edizioni Associazione Italia-URSS, 1951, p. 96-104.
52
F. BARBERI, Le biblioteche, una crisi..., cit., p. 84. Il modello sovietico affascinò peraltro
anche un vecchio socialista come Ettore Fabietti. Vedi la relazione II libro per il popolo (aspetto culturale), in Atti del primo congresso nazionale della cultura popolare (Firenze, 15-18 ottobre
1947), Milano, Vallardi, 1948, p. 39.
33
Vedi in particolare L. BIANCIARDI, Bibliotecari, «La gazzetta», Livorno, 29 giugno 1952,
ora in ID., L'alibi ..., cit., p. 65-67.
34
Vedi IPPOLITO BASTIANI, La Biblioteca Chelliana è soltanto al servigio della cultura, «La
gazzetta», Livorno, 12 settembre 1952, p. 4. L'articolo contestava la fondatezza delle ac25
Giovanni Di Domenico
comunisti e socialisti e con l'amministrazione comunale, i partiti della sinistra, il
sindacato, Bianciardi mantenne un rapporto dialettico, che da parte sua era fatto
di vicinanza/distinzione politica35, di libertà di pensiero e comportamenti, ma
anche di affinità culturale. E, ripeto, fu proprio sul terreno dei valori, delle idealità generali della sinistra, più che su quello bibliotecnico, che la sua concezione
e il suo progetto di biblioteca assunsero la loro fisionomia. Quali furono questi
contenuti? Ne possiamo richiamare diversi: la critica di ogni forma di distacco
degli intellettuali dalle masse lavoratoci; la necessità di una conversione democratica dell'intellettualità tradizionale; l'insistenza sul nesso gramsciano cultura/trasformazione della società; la battaglia delle idee necessaria alla rinascita civile e morale del Paese e all'edificazione democratica del suo futuro. Da questi
principii e finalità Bianciardi non si sentì distante, così le attività della Chelliana,
soprattutto tra il 1952 e il 1954, recarono indubbiamente anche questo segno,
ma, aggiungo, senza chiusure settarie o banalizzazioni propagandistiche36.
È però un fatto che la penetrazione della Chelliana nel contesto cittadino
fosse affidata da Bianciardi soprattutto all'organizzazione di tutta una serie di
eventi e riunioni culturali. Ebbene, l'idea era quella, di innegabile sapore togliattiano, di aprire al ceto medio, di mobilitare quante più energie intellettuali fosse
possibile nella lotta per la diffusione democratica della cultura, di alimentare i
fermenti culturali e sociali della provincia grossetana con spunti e problematiche di respiro nazionale, di bandire le chiusure localistiche, di sollecitare il coinvolgimento attivo dei partecipanti, privilegiando la formula del dibattito.
Come sappiamo, con gli aspetti illusori e fideistici di questo discorso Bianciardi avrebbe fatto poi i conti nella rivisitazione satirica e pamphletistica del
Lavoro culturale. Sotto il profilo della storia, bibliotecaria più che biblioteconomica italiana, sarebbe d'altro canto da approfondire il grado di 'tipicità', o per converso di eccezionalità, di quest'aspetto della sua esperienza. Formulata in soldoni, la domanda potrebbe essere questa: in che misura è esistita negli anni Cinquanta una pratica di biblioteca "dal basso" (mi riferisco evidentemente in modo quasi esclusivo alle realtà locali, in particolare ma non solo dell'Italia centrale), ispirata a questi stessi valori e fondata su queste stesse attività? C'è da chiederselo in rapporto a una temperie, la prima metà degli anni Cinquanta, in cui i
partiti erano centrali nella vita del paese, avevano una presenza ramificata, in cui
le culture politiche erano quelle dominanti, ma in cui l'attenzione per le biblioteche era assai blanda e comunque quasi sempre concentrata su ciò che accadecuse, riportando tra l'altro l'elenco completo dei titoli, suddivisi per aree d'interesse.
35
Bianciardi fu iscritto al Partito d'Azione dall'autunno del 1945 fino allo scioglimento.
In seguito preferì non prendere altre tessere, pur apertamente simpatizzando per i parti
ti della sinistra e in particolare per il PCI. Fece parziale eccezione il suo coinvolgimento
(1953) nella breve vicenda del Movimento di unità popolare, piccola formazione "terzaforzista".
36
Osservazioni simili si potrebbero fare a proposito del Circolo del cinema, all'organiz
zazione del quale Bianciardi si dedicò in quello stesso periodo. Tutto ciò risulta miraco
losamente compatibile con quei tratti "irregolari" della sua formazione e della sua per
sonalità in particolare richiamati in G. C. FERRETTI, op. cit, p. 11-12.
26
Luciano Bianciardi tra engagement e "biblioteconomia sociale"
va al centro, al ministero, alla direzione generale.
§ 3. Americanismo in biblioteca
Bianciardi seguì probabilmente un doppio binario di incremento delle raccolte, l'uno rispettoso della vocazione antica della Chelliana e volto ad aggiornare e a completare i fondi e i filoni già esistenti; l'altro più orientato a soddisfare nuovi bisogni sia di informazione, sia di lettura (e quindi: la saggistica corrente, i quotidiani, le riviste e la narrativa contemporanea, in particolare quell'americana). Sappiamo poi che volle la sua Chelliana fortemente radicata nella
realtà locale, che adottò politiche liberali di accesso e prestito, che attivò servizi
di assistenza e di consulenza anche telefonici. Resterebbe da capire in che misura, e con quale grado di consapevolezza, questi orientamenti ricuperarono,
magari surrettiziamente, qualcosa dal modello statunitense della public library.
Nella Chelliana, biblioteca in qualche modo nuova, "per tutti", aperta come la
città che piaceva a Bianciardi («la città tutta periferia, aperta, aperta ai venti ed ai
forestieri, fatta di gente di tutti i paesi») 37, possiamo forse apprezzare un'altra
componente del "mito americano", di Kansas City, del pionierismo e della frontiera, suggestioni che Bianciardi coltivava da tempo e che, mescolate con altre,
dettero senso a diversi momenti e luoghi (il circolo del cinema, soprattutto) del
suo impegno per Grosseto.
Ora, la public library (la biblioteca per tutti i cittadini, istituto nato con la democrazia, ecc), si avviava a diventare un possibile modello di riferimento per
l'organizzazione bibliotecaria nel nostro paese soprattutto grazie alle battaglie,
alle proposte e all'attività di Virginia Carini Dainotti (mi riferisco al progetto,
poi solo fa parte realizzato, del Servizio Nazionale di Lettura)38. C'erano stati
per la verità dei precedenti importanti, ma contrastati, negli interventi di Ettore
Fabietti già a partire dal 1916 e di Luigi De Gregori nel periodo fascista, ma è
indubbio che solo dai primi anni Cinquanta questo discorso s'impose all'attenzione della collettività professionale, diventò per molti un'idea forza e si concretò anche in un programma di politica bibliotecaria nazionale, centrato sul
superamento della biblioteca popolare, che era ritenuta - a torto o a ragione - un
retaggio del quale liberarsi. Il tutto, per quel che può valere, con l'adesione politica delle forze laiche di centro e il tutto tenuto insieme anche - non esclusivamente ma anche - da una più generale ammirazione culturale per i vincitori
americani e da spinte ideologiche di, per così dire, americanismo filoatlantico.
Tuttavia, nel dopoguerra e negli anni della guerra fredda e del frontismo (ma
anche prima: Americana di Vittorini era uscita nel 1942), non venne meno tra gli
intellettuali di sinistra, almeno tra quelli non di strettissima osservanza, un'attenzione per le componenti democratiche e sociali della cultura, della letteratura
37
38
L. BIANCIARDI, II lavoro culturale, Milano, Feltrinelli, 1997, p. 15.
Vedi il recente Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra: atti del
Convegno (Udine, 8-9 novembre 1999), a c. di Angela Nuovo, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2002.
27
Giovanni Di Domenico
e del cinema americani, cui in parte il mito bianciardiano di Kansas City forse
può essere assimilato. Anche qui e con estrema prudenza c'è forse materia per
apprezzare nel lavoro bibliotecario di Bianciardi, pure per molti versi eccezionale se non unico, una tendenza a cercare nella public library americana qualcosa
di utile alla costruzione di un modello democratico italiano di biblioteca pubblica, radicato nella realtà territoriale, ma non biecamente localista, incardinato
nell'ente locale, e comunque con una forte vocazione di servizio. Gli capitò di
osservare:
«Forse 800 frequentatori in un centro di 25.000 abitanti possono sembrare molti ma
non bisogna dimenticare che tutti i 25.000 pagano le tasse e tutti hanno diritto a quel
servizio pubblico. Bisognerebbe raggiungerli tutti, studiando continuamente forme e
mezzi diversi e più adeguati»39.
Dove, tra l'altro, si stabiliva un nesso, sia pure indiretto, tra fiscalità e diritto
dei cittadini al servizio bibliotecario, che è costitutivo del concetto di public library40 e che anche bibliotecari di spicco come Francesco Barberi tentavano di
introdurre nell'attardata realtà italiana. E poi pensiamo al personaggio negativo
del bibliotecario Chellini Sforza nel Lavoro culturale:
«[...] il vecchio bibliotecario non amava i seccatori. Come molti dei suoi colleghi,
considerava la biblioteca un suo luogo privato e cacciava con grandi urlacci i ragazzini
del ginnasio che a volte si affacciavano là dentro e chiedevano di poter dare un'occhiata
alle riviste»41.
La vocazione al servizio è al contrario l'essenza della biblioteca bianciardiana. Al tempo stesso, lontano da alcuni furori ideologici e da una certa astrattezza, che pure attecchirono nella lettura dominante della public library nel nostro
Paese, Bianciardi concepì la biblioteca pubblica come un istituto pienamente interno alla realtà italiana, ai suoi processi di costruzione della democrazia, e
quindi non di forzata e supina importazione. Infine, non sembrerebbe peregrino immaginare che il nesso città aperta/biblioteca aperta sia servito non
poco ad affrancare la vicenda della Chelliana di Bianciardi dal dirigismo conservatore e dal pedagogismo confessionale cui erano improntati gli indirizzi di politica bibliotecaria di parte governativa (lo dico a proposito, per esempio, della
strategia gonelliana dei centri di lettura).
§ 4. La colleganza difficile
Negli anni di Bianciardi in Chelliana, il corpo professionale dei bibliotecari,
con pochissime eccezioni, esprimeva sul piano culturale, su quello politico e an39
Parole pronunciate al Convegno per le biblioteche, svoltosi a Firenze il 6-7 marzo 1954. La
sintesi dell'intervento si trova in «Letture per tutti» 6,1954, n. 2, p. 26.
40
Vedi P. TRANIELLO, La biblioteca pubblica: storia di un istituto nell'Europa contemporanea,
Bologna, II mulino, 1997.
41 L. BIANCIARDI, Il lavoro culturale, cit., p. 68.
28
Luciano Bianciardi tra engagement e "biblioteconomia sociale"
che su quello tecnico un orientamento di netta continuità con il passato prebellico. Esso non aveva peraltro a disposizione assetti disciplinari e di ricerca solidi
cui fare riferimento; si nutriva degli apporti di una manualistica piuttosto- corriva; cercava molto faticosamente nelle sedi congressuali di ricostituire il proprio tessuto connettivo; coltivava per lo più un'idea e una pratica di biblioteca
appartate, provinciali, che della biblioteca non coglievano né le problematiche
organizzative, né le potenzialità di rinnovamento in sintonia con le esigenze di
crescita democratica della società italiana42.
A Bianciardi il lavoro di bibliotecario piaceva (a esperienza conclusa dichiarò
che quello della Chelliana era stato il periodo più bello della sua vita); i suoi colleghi, soprattutto quelli regolarmente inquadrati nei ranghi ministeriali, gli piacevano invece pochissimo. Di questo suo disagio ci restano soprattutto testimonianze giornalistico/letterarie. Bianciardi ritrasse una prima volta i bibliotecari - anziani, donne, giovani - proprio a congresso, in uno dei suoi "Incontri
provinciali" del 195243, definendoli sarcasticamente «oscuri eroi della conservazione»44, ammettendo peraltro che avessero diritto a un risarcimento di visibilità: «il lavoro del bibliotecario è spesso ignorato»45; vedendoli però perdersi
in grottesche chimere di «immortalità, per così dire, bibliografica»46. Chi furono
insomma i bibliotecari per Bianciardi? Potremmo rispondere così: una categoria
sospesa tra tormento impiegatizio ed erudizione minore, una categoria ancora
priva di un'autentica e moderna identità professionale, poco fattiva e dignitosa,
con l'occhio rivolto alla tradizione e al prestigio che poteva (un po' d'accatto)
derivarne, piuttosto che alle necessità presenti delle biblioteche italiane e di un
rapporto con i lettori ancora tutto da costruire.
Proprio nel pieno del suo massimo impegno in Chelliana, Bianciardi dedicò
dunque ai colleghi bibliotecari un bozzetto "dall'interno" tutt'altro che lusinghiero. Fu - divertissement letterario a parte - qualcosa che fa pensare: una netta
presa di distanza, che ebbe motivazioni complesse, di natura psicologica, ideologica, professionale: Bianciardi detestava nei bibliotecari il conformismo culturale e comportamentale, la retorica della tradizione, l'assenza di passione civile,
gli alibi corporativi; vedeva per la biblioteca una funzione di progresso, l'avrebbe voluta nuova, rispondente alle istanze di crescita e di espansione democratica della società; non trovava nei suoi colleghi la forza intellettuale e morale
che li rendesse protagonisti di questo cambiamento. Una volta di più, il suo
passaggio lavorativo in biblioteca ci appare costruito su valori ed esigenze intellettuali e culturali, su una missione civile, più che su un'adesione ai contenuti
piuttosto poveri e alla realtà nazionale piuttosto pigra della professione bibliotecaria. Nel momento della crisi e della fuga da Grosseto, l'appartenenza professionale fu, forse non a caso, la prima a cadere47.
42
43
44
45
46
47
Cfr. P. INNOCENTI, op. cit, p. 159-174.
L. BlANCIARDI, Bibliotecari, cit.
Ivi, p. 67.
Ivi, p. 64.
Ibidem.
All'insofferenza culturale di Bianciardi per i bibliotecari del suo tempo sembra fare da
29
Giovanni Di Domenico
5. La Chelliana di Bianciardi: una biblioteca popolare?
È argomento da non trascurare il legame tra alcune caratteristiche e attività
(le bibliotechine frazionali, il bibliobus, le letture e le conferenze decentrate)
della Chelliana nell'ultimo periodo bianciardiano (1953-1954) e l'apparentemente rinvigorita tradizione delle biblioteche popolari nel dopoguerra48.
Proviamo anche qui, rapidamente, a definire qualche elemento di contesto,
collocando sullo sfondo il proliferare, soprattutto nel centro nord, ma anche in
Sardegna, di attività bibliotecarie decentrate, che interessarono ora le popolazioni
urbane, ora le campagne49.
Nell'ottobre del 1947 si era svolto il primo Congresso nazionale della cultura
popolare, con la partecipazione, tra gli altri, dopo l'emarginazione fascista, dell'anziano Ettore Fabietti. Il congresso aveva dato luogo alla ricostituzione dell'Unione italiana della cultura popolare e della gloriosa Federazione bibliotecaria
di fabiettiana memoria, grazie anche all'impegno di Riccardo Bauer, uno dei
fondatori di «Giustizia e libertà»50.
Nel suo intervento51, Fabietti aveva collocato l'auspicata rinascita del movimento delle biblioteche popolari («un magnifico sforzo collettivo») 52 nel quadro
più generale della ricostruzione («la lotta delle industrie, degli scambi, della redenzione economica [...]; la lotta nella quale l'uomo vale quanto sa, può perché
sa, vuole perché sa»)53. Aveva poi precisato la vocazione della "biblioteca popolare moderna": uno strumento di diffusione della cultura, che «lungi dal conservare rinnova continuamente il suo contenuto», ma anche «una guida illuminata
contrappeso il fastidio di Barberi per quegli intellettuali venuti sì a contatto con la professione, ma poco propensi a spendersi sul serio in biblioteca, In una sua nota del 1956
Barberi fu particolarmente duro (Schede..., cit, p. 140): «Provo un fastidio crescente verso
alcuni giovani intellettuali, capitati per caso nel gregge dei bibliotecari: essi non sanno rinunciare alla letteratura e se la ridono degli studi professionali. Non mirano, come altri
onesti colleghi, all'evasione puntando faticosamente sulla cattedra universitaria; sono soltanto degli spostati, degl'intellettuali disorganici, secondo il concetto gramsciano. L'alibi
del loro disinteresse per la professione (nella quale potrebbero rendere più di tanti altri)
sono lo stato di arretratezza delle biblioteche italiane, l'incompetenza ministeriale, la mediocrità di direttori e direttrici ecc: tutte cose che dovrebbero impegnarli più a fondo se
fossero intellettuali realmente engagés, quali pretendono di essere». Barberi e Bianciardi ci
raccontano da opposte sponde la storia di un rapporto fallito, quello tra intellettualità in
formazione e professione bibliotecaria (e biblioteconomia), che può aver negativamente
rallentato lo sviluppo delle nostre biblioteche (e la percezione della biblioteca nell'opinione
pubblica italiana) nel cruciale periodo che va dalla fine della guerra alla vigilia del cosiddetto
miracolo economico.
_____________________________________________________________________
48
Per un inquadramento generale, vedi GIOVANNI LAZZARI, Libri e popolo: politica della bi
blioteca pubblica in Italia dall'Unità ad oggi, Napoli, Liguori, 1985.
49
Vedi P. I NNOCENTI , op. cit., p. 176-177.
50
Vedi E. BOTTASSO, op. cit., p. 330.
51
E. FABIETTI, op. cit., p. 29-39.
52 Ivi, p. 30.
53
Ivi, p. 31.
30
Luciano Bianciardi tra engagement e "biblioteconomia sociale"
dei lettori»54. Ne aveva abbozzato il programma bibliografico: «libri utili» alla vita pratica, ma anche alla crescita intellettuale e morale; in ogni caso, «libri scritti
per tutti»55. Aveva inoltre indicato la strada da percorrere: la trasformazione della biblioteca popolare in «biblioteca per tutti», in «ufficio di consulenza intellettuale del gruppo di popolazione a cui serve»56, sull'esempio nordamericano. Di
quest'ultimo aveva apprezzato la capacità di espansione:
«Alle biblioteche maggiori si devono aggiungere le loro innumerevoli propaggini. Da
parecchi anni si cerca di propagare il libro anche nelle campagne, per mezzo delle biblioteche ambulanti»57.
Fabietti aveva anche fatto cenno alle biblioteche auto-trasportate: «E il libro
per fanciulli arriva in auto-biblioteche a fattorie lontane [,..]» 58. Non sembrano
pochi i concetti e gli indirizzi messi successivamente in pratica da Bianciardi e
non dovrebbe risultare un'impropria forzatura leggere il suo come un tentativo
che volle riconoscersi appunto nell'arduo (e alla fine irrisolto) processo di trasformazione della biblioteca popolare in biblioteca per tutti.
In quegli stessi anni, parallelamente, si erano sviluppate iniziative di parte
governativa e cattolica verso le zone più arretrate del paese, a partire da un convegno palermitano del 1948, dedicato alle biblioteche popolari e scolastiche: si
puntava alla realizzazione di "biblioteche per il popolo" sotto il controllo canonico dei provveditorati e dei circoli scolastici. Da qui poi sarebbe nata l'idea
(velleitaria) dei centri di lettura59.
Riflessi equilibrati e non corrivi delle politiche ministeriali si ebbero però nei
contributi di Guido Arcamone (direttore generale delle accademie e biblioteche)
ed Ettore Apollonj (ispettore centrale al Ministero della pubblica istruzione) a
un convegno barese del settembre 1952°°. In quella circostanza, entrambi man54 Ivi, p. 32.
55
Ivi, p. 33.
56
Ivi, p. 32.
57 Ivi, p. 37.
58
Ivi, p. 38.
59
Cfr. G. LAZZARI, op. cit., p. 119-126. Nel 1952 la Chelliana ospitò un corso regionale
per la preparazione ai servizi delle biblioteche popolari e scolastiche, organizzato dal Mini
stero della Pubblica Istruzione. L'esito del corso soddisfece Bianciardi, come si legge in
un'intervista da lui rilasciata a caldo. Vedi M[AURO] MANCINI, Con (elmetto e lo spaglino
passò in rassegna due chilometri di libri, «II Tirreno», Livorno, 27 giugno 1952, p. 4: « [le trenta
maestre partecipanti] erano venute da principio [...] soltanto con l'idea 'burocratica' di su
perare il corso per quel valore di 'mezzo punto' che avrebbe dato loro in sede di graduato
ria professionale, e a mano a mano che procedevamo nelle lezioni, si sono appassionate al
lavoro, si sono tutte stupite che in una Biblioteca esistano certi problemi organizzativi e in
conclusione hanno dato vita ad un corso riuscitissimo che credo abbia destato con [sai.:
non] inutili simpatie verso la Biblioteca, in molti ambienti della città».
60
Vedi G. ARCAMONE, Funzione e sviluppo delle biblioteche popolari ed E. APOI.LONJ, Vita di
una biblioteca popolare, entrambi in Atti del Convegno nazionale su "I problemi della formazione
dei giovani lavoratori" (Bari, 16-17-18 settembre 1952), Roma, Tip. C. Cattaneo, 1953, rispet
tivamente alle p. 185-194 e 194-200.
31
Giovanni Di Domenico
tennero ferma la barra della conversione delle biblioteche popolari in biblioteche pubbliche a tutto tondo, pur insistendo sulla prospettiva dei centri di
lettura (per l'istituzione dei quali già si stava scontando un netto ritardo legislativo); entrambi misurarono criticamente la distanza della biblioteca popolare italiana dalla vivace e radicata realtà del servizio pubblico di biblioteca nel Nord
Europa e negli Stati Uniti; entrambi imperniarono inevitabilmente la funzione
sociale della biblioteca per tutti sulla componente educativa dell'offerta bibliografica e di servizio; entrambi, infine, accennarono ai bibliobus, per segnalami
l'importante contributo a una maggiore e più rapida circolazione dei libri".
Per suo conto, il Partito comunista promosse la costituzione, a Roma, nel
1949, di un Centro del libro popolare e poi a Milano di una cooperativa del libro popolare. Il Centro mirava a sviluppare iniziative a sostegno delle "aspirazioni di cultura delle classi popolari". Sempre nel 1949, cominciò a uscire la rivista del Centro, «Letture per tutti», che avrebbe cessato le pubblicazioni nel
1954*2. «Letture per tutti» diede ampio rilievo al lavoro di Bianciardi in Chelliana
e soprattutto alle iniziative che guardavano al pubblico popolare, quello fìsicamente e culturalmente più lontano dalla biblioteca e dal libro63.
Nel programma bianciardiano di divulgazione e promozione della lettura tra la
popolazione rurale possiamo in sostanza cogliere da un lato una sorta di compromesso culturale con le posizioni del Partito comunista, presidiate soprattutto
dagli amministratori locali; da un altro lato sintomatici elementi di continuità con
la tradizione migliore delle biblioteche popolari, di cui bibliotechine e bibliobus
conservarono, insieme con molti valori, anche alcuni limiti: labilità di impianto
biblioteconomico, una certa ingenuità 'illuministica' e volontaristica, anche uno
sfondo retorico-moraleggiante (quest'ultimo imputabile non a Bianciardi, ma ad
alcuni suoi sostenitori)64.
61
Arcamone annunciò (p. 193 del suo intervento) anche una prossima attivazione di bi
bliobus in Sicilia e in Sardegna.
62
Vedi E. BOTTASSO, op. cit, p. 331-333.
63
Su questo punto si vedano le lucide considerazioni svolte da VELIO ABATI, Bianciardi
intellettuale a Grosseto, in laudano Bianciardi tra neocapitalismo..., cit., p. 114 (si veda anche
l'ampio corredo bibliografico nella corrispondente nota 22, p. 126-127). Abati sottolinea
le affinità programmatiche tra le attività di Bianciardi alla Chelliana e le linee di inter
vento in materia di cultura popolare che emergono dalla lettura di alcuni periodici co
munisti a carattere militante di quel periodo. Per altro verso, Abati fa notare il rilievo
che nelle medesime sedi tu riconosciuto alle iniziative della biblioteca grossetana.
Nell'ambito delle iniziative collegate al Centro del libro popolare, fu pubblicato anche
un libncino (MASSIMO RIVA, Manuale per le biblioteche popolari, Roma, Edizioni di cultura
sociale, 1950), di carattere prevalentemente propagandistico, ma nel quale non è difficile
intravedere suggerimenti e ipotesi di lavoro simili ad alcune delle realizzazioni bianciardiane: «Occorrono [...] lavoro e studio collettivo sul libro, conferenze popolari, recen
sioni parlate di libri nuovi, letture di pagine scelte, utili per diffondere una rapida cono
scenza dell'opera. Occorre, insomma, che accanto alla biblioteca ci sia addirittura un
circolo di cultura» (p. 59).
64
Vedi, per esempio, il corsivo anonimo Anche per loro i libri?, «La gazzetta», Livorno, 3
aprile 1953, p. 4.
32
Luciano Bianciardi tra engagement e "biblioteconomia sociale"
In tutte le politiche e le iniziative di quegli anni emersero diversi elementi di
conflitto, oltre che aspetti di affinità e comuni limiti, tra almeno tre diverse concezioni dell'emancipazione culturale delle classi subalterne, quelle d'ispirazione
cattolica, comunista e laica. Nei primi due casi decisamente prevalsero esigenze di
mantenimento o di conquista del consenso. Sul còte cattolico/democristiano, in
particolare, si andò per le spicce e la preoccupazione di mantenere il controllo ideologico sulle pratiche di lettura sembrò spesso fare aggio su qualsiasi altra finalità65. Al contrario, la proiezione esterna della Chelliana appare coraggiosa e originale, nonché basata su di un modello di decentramento più moderno e, diciamo,
disinteressato, di altri praticati o vagheggiati negli anni Cinquanta in Italia. E se
talvolta affiorò tutta l'insofferenza dell'uomo per gli aspetti amministrativi e regolamentari del lavoro bibliotecario66, la novità dell'iniziativa - che associata allo
spirito di sacrificio di Bianciardi ne determinò poi un buon esito e una certa tenuta nel tempo - fu nell'atteggiamento di ascolto e di apertura nei confronti delle
esigenze dei potenziali lettori, un atteggiamento privo di ogni sussiego e di
ogni inclinazione astrattamente pedagogica e paternalistica:
«In un primo tempo il lavoro non è stato facile, poiché bisognava superare la diffidenza dei contadini, conquistare un pubblico giovane alla lettura. Noi crediamo di esserci riusciti: si tratta naturalmente di dedicare molta attenzione alla scelta dei libri, discuterne, sentire che cosa i contadini vogliono e volta per volta portare il libro più adatto»67.
§ 6. Considerazioni finali
Una riflessione più ampia potrebbe evidenziare un viluppo di problemi irrisolti nel tentativo bianciardiano di trasformare gradualmente la Chelliana da biblioteca storica a moderno strumento di lavoro e di crescita culturale della nuova cittadina e del territorio maremmano. Il progetto politico finì per sovrapporsi a quello biblioteconomico e a condizionarlo con i suoi limiti: la "politica culturale" non incontrò le ragioni e le istanze di una realtà economico-sociale che
stava cambiando e che non si lasciava incasellare facilmente nei suoi schemi interpretativi; la categoria di "cultura popolare" non offrì strumenti di analisi e
d'intervento in grado di colmare efficacemente le distanze tra mondo del libro e
mondo del lavoro e di superare vecchie e nuove diffidenze; le iniziative assunsero forme e contenuti eterogenei e in fondo sterili. L'attività della Chelliana
sembrò allora smarrirsi nell'incertezza tra il peso della tradizione, un presente da
65
L'apporto migliore della cultura cattolica alla rinascita bibliotecaria in quegli anni va
cercato altrove, sul versante vaticano e su temi "alti", storico-eruditi, bibliologici e di
normazione catalografica. Vedi P. INNOCENTI, op. cit, p. 172.
66
Secondo una testimonianza della figlia Luciana, «era una persona totalmente sprovvista
di senso pratico, incapace di gestire cose come schede di richiesta e tessere». Vedi alla pa
gina Web http://www.trax.it /luciana _ bianciardi. htm [ultima consultazione: 14 agosto
2002],
67
II brano è stralciato dalla citata sintesi dell'intervento di Bianciardi al convegno fiorentino
del 6-7 marzo 1954.
33
Giovanni Di Domenico
biblioteca popolare e da contenitore di dibattiti, le aperture verso destinazioni
più mirate. Soprattutto, la biblioteca non riuscì a procurarsi le risorse organizzative che le servivano per interpretare e soddisfare, come pure avrebbe voluto, le
esigenze "di base" di un pubblico potenzialmente più vasto e per dare continuità
ed estensione alla propria offerta di servizio. Pochi mesi prima di lasciare
Grosseto e la Chelliana per Milano e l'editoria, Bianciardi si sarebbe mostrato
pienamente consapevole di questi ritardi, segnalando molto concretamente, nella
scarsezza di personale, nell'insufficienza dell'orario di apertura e nella carenza di
presenze i problemi immediati da affrontare68. Ma era appunto vicino il momento della sua crisi di rapporto con la realtà grossetana: ai suoi occhi la biblioteca stava cessando, insieme con molte altre cose, di rappresentare un luogo
produttivo di esercizio del lavoro intellettuale; piuttosto, essa si avviava a diventare luogo della memoria e della creazione letteraria.
68
Ivi.
34