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Lo scrittore Ala al-Aswani, il pediatra che guida i Fratelli musulmani Abdul Moneim Aboul Fottouh, il politologo Amr Shoubaki e il fondatore del fronte Kefaya, Abdel Halim Kandil. Quattro intellettuali che esprimono punti di vista diversi. Ma concordano sul fatto che l’attuale regime di Mubarak è sempre più anacronistico. E l’unica soluzione per contrastare i fondamentalisti sarebbe dare spazio alla società civile e fare le riforme necessarie Egitto: dietro l’alibi del fondamentalismo di Farian Sabahi Contrasto_Reuters CULTURA & POTERE 2 Ad alimentare il radicalismo islamico è la “conseguenze dittatura che ha rovinato l’Egitto e le cui inevitabili sono la povertà e la devote abiti islamici nuovi in cambio di quelli occidentali usati; la povera Suad è costretta a fargli da amante per guadagnare il denaro corruzione”, dichiara severo Ala al-Aswani, necessario a mantenere il figlio di primo letto, diventato il più discusso scrittore egiziano in ma quando resta incinta è obbligata ad abortire seguito alla pubblicazione del romanzo d’esor- con la forza; il giovane Taha è figlio del portidio Palazzo Yacoubian che ha suscitato grande naio e, essendogli preclusa la carriera di poliscandalo per i temi affrontati: amori, soprusi, ziotto a causa delle sue umilissime origini, per ipocrisie di cui sono protagonisti gli inquilini la frustrazione finirà a fare il terrorista; Hatim del condominio costruito nel 1934 dal miliarda- è un giornalista omosessuale dichiarato e riverio armeno Nichan Yacoubian nel centro della ste quindi una posizione difficile in una società capitale egiziana. Tra i tanti personaggi, Hajj tanto tradizionale come quella egiziana. Azzam si arricchisce con la droga, ma poi cerca Molti di questi protagonisti esistono veramendi guadagnarsi il paradiso regalando alle donne te, sono inquilini del condominio Yacoubian e 165 EGITTO: DIETRO L’ALIBI DEL FONDAMENTALISMO hanno fatto causa all’ormai celebre scrittore che non si sarebbe nemmeno preso la briga di dare un nome diverso ai personaggi del romanzo. Pubblicato in Egitto nel 2002 e giunto nelle librerie italiane l’anno scorso per Feltrinelli, Palazzo Yacoubian è ormai il romanzo più venduto nel mondo arabo. E un celebre regista ne ha tratto un film che ha sbancato i botteghini. Ma di questo successo cinematografico Ala alAswani non sembra essere partecipe. “Il regime egiziano mi ha impedito di essere presente alla première della pellicola tratta dal mio romanzo Palazzo Yacoubian perché temevano potessi dire qualcosa di scomodo. Non mi hanno lasciato entrare nella sala, ma i funzionari dello Stato hanno comunque dovuto sorbirsi per due ore le mie idee sullo schermo!” La pellicola è stata un successo nel mondo arabo, è andata al festival di Berlino ma ha qualche difficoltà a essere distribuita in Europa perché “il produttore chiede troppo denaro”. Ala alAswani, prende così le distanze dal film e pure dal serial che sta per essere andare in onda sulla Tv di Stato. E guarda avanti: “Il mio nuovo romanzo si intitola Chicago e arriverà in Italia l'anno prossimo, sempre per Feltrinelli. Prende il nome dalla città dove ho studiato odontoiatria e in cui si muovono i tanti protagonisti – americani e immigrati arabi – le cui vite si intrecciano. Tra questi ha un ruolo di rilievo un’egiziana proveniente dalle campagne che indossa il velo: è brillante e infatti riesce ad andare negli USA, dove mette in dubbio l’educazione conservatrice”. Per Ala al-Aswani scrivere romanzi è una passione finanziata dal mestiere di dentista. L’appuntamento è nel suo studio, al quarto piano di un vecchio palazzo poco distante dall’ambasciata italiana. “Un tempo questo quartiere era abitato dalla borghesia, ora i ricchi si sono trasferiti in palazzi appena costruiti e questa zona è diventata popolare. Esito ad andarmene perché lavoro nello stesso edificio in cui vivo con mia moglie e le nostre due figlie di undici e dodici anni”, spiega affabile il noto scrittore che ha appena compiuto cinquant’anni. In strada iniziano ad accendersi le luci, un gruppo di uomini entra in una sala da preghiera e, pochi metri più in là, una ragazzina chiacchiera vicino all’edicola: veste con una gonna lunga e il viso è incorniciato da un foulard bianco, ma la maglietta è attillata e di un rosso acceso. “Ormai il 90% delle egiziane porta il 166 velo, ognuna a modo suo”, commenta Ala alAswani che indossa ancora il camice. “Negli ultimi vent’anni un quarto della popolazione è emigrata in Arabia Saudita per motivi di lavoro. Tornando, ha portato con sé l’ideologia wahabita”. “I dittatori arabi sostengono il wahabismo perché permette loro di regnare con la spada in una mano e il Corano nell’altra”, spiega sorseggiando una Coca-Cola. “Il presidente egiziano Mubarak sostiene il wahabismo perché questa ideologia non consente di mettere in discussione chi sta al potere, anche se corrotto, a patto che sia musulmano. Gli sciiti hanno invece elaborato, nel corso dei secoli in cui sono stati una minoranza perseguitata, un diverso pensiero che considera legittimo rovesciare il sovrano che si comporta male. Per questo gli sciiti fanno tanto paura ai regimi arabi”. In Egitto le moschee sono affollate di fedeli, segno di una religiosità diffusa e in parte motivata dal fatto che molti servizi sanitari, assistenziali ed educativi che dovrebbero essere erogati dallo Stato sono invece forniti dai Fratelli musulmani. Nelle ultime legislative i membri di questo movimento, fondato nel 1928 da Hasan al-Banna, si sono candidati come indipendenti e si sono accaparrati ottantotto seggi. “Hanno vinto perché il regime lo ha permesso”, commenta severo lo scrittore Ala al-Aswani. “È stato un messaggio all’Occidente e in particolare agli USA: se fate pressioni affinché ci sia più democrazia i fanatici andranno al potere! Ma è vero il contrario: il fanatismo sboccia nelle società chiuse e non democratiche. L'influenza dei Fratelli musulmani è sovrastimata, spesso collaborano con il governo e in ogni caso non sono loro il problema, ma l'alleanza tra il regime egiziano e gli USA, di cui a pagare il prezzo è la magistratura che cerca di essere indipendente: su diecimila giudici, oltre l’80% lotta per il rispetto dei diritti umani, ma in Occidente sembrate non rendervene conto”, accusa. Per esempio, continua Ala al-Aswani, “il fronte Kefaya! (Basta!) di cui sono membro è composto di intellettuali, docenti e giovani di cui non sentite mai parlare. In Egitto la tortura è all'ordine del giorno, documentata da Amnesty International e Humam Rights Watch. Ma i media non si soffermano su tutto questo perché il regime egiziano è alleato dell'America e di Israele”. Gli egiziani esigono maggiore rappresentatività politica, ma il 60% della popola- zione è povero e ha altro a cui pensare. Mubarak ha designato come successore il figlio e le reazioni da parte della popolazione sono negative, in ogni ceto sociale: “Gamal potrebbe anche essere competente, ma l’Egitto ha una storia millenaria e non è una fattoria dove il padre può lasciare i polli in eredità al figlio! Meritiamo di meglio”. Quando si parla di politica Ala al-Aswani si infervora, come la maggior parte degli egiziani. Lo scrittore può essere impegnato, osserva, “ma la politica non deve interferire nella letteratura. Per questo motivo non sono d’accordo con il Nobel conferito, lo scorso ottobre, al romanziere turco Orhan Pamuk. È bravo, ma non merita un premio tanto prestigioso, avrei preferito che a vincerlo fosse Vargas Llosa”, commenta passando dalla Coca-Cola a un bicchiere di whisky. Visto che siamo tornati a discutere di letteratura, gli chiedo a che cosa stia lavorando: “Ho iniziato a scrivere un nuovo romanzo dal titolo Automobile Club, con riferimento all’associazione creata all’inizio del Novecento per gli europei che detenevano il monopolio delle vetture. Gli stranieri avevano bisogno di personale e lo sceglievano con accuratezza: gli uomini abbronzati finivano in cucina e quelli di pelle più scura, provenienti dall’Alto Egitto, dovevano servire i padroni, un po’ come i neri d’America. La storia dell’Automobil Club va quindi di pari passo con l'influenza europea”. Contrasto_Arabian eye Grazia Neri_AFP _A destra, Ala al-Aswani, autore di Palazzo Yacoubian, il romanzo più venduto nel mondo arabo, dal cui è stato tratto anche un film che ha sbancato i botteghini. È membro del fronte Kefaya, in opposizione al governo In queste giornate estive, di caldo opprimente, è difficile concentrarsi sulla letteratura e dimenticare la fase storica che l’Egitto sta attraversando. Nonostante la collusione con il potere, un colpo di Stato da parte del movimento fondato da Hassan al-Banna nel 1928 è percepito come una minaccia dalle autorità. Si spiega così il giro di vite nei loro confronti, con arresti e processi in corso. I Fratelli musulmani potrebbero veramente scatenare disordini? Per trovare risposta chiedo un appuntamento ad Abdul Moneim Aboul Fottouh, il portavoce dei Fratelli musulmani che di professione fa il pediatra. Mi riceve nel sindacato dei medici egiziani e dichiara subito: “Abbiamo abbandonato la violenza, siamo stati tra i primi a condannare gli attentati dell'11 settembre e prendiamo le distanze dai mezzi che Hamas e Hezbollah usano per rendere i loro Paesi indipendenti”. E se i Fratelli musulmani dovessero ottenere maggiore peso politico? Si rischierebbe la creazione di un’altra repubblica religiosa, sul modello iraniano? “L’Egitto è già una Repubblica islamica! L’Islam è il credo della maggioranza e la sharia trova applicazione in alcuni ambiti”, afferma convinto Fottouh. “Se dovessimo vincere le elezioni non imporremmo più Islam, ma cercheremo di iniettare maggiore democrazia nel sistema”. E, riferendosi alla successione di Gamal Mubarak alla presidenza, sostiene che “l’Egitto non possa essere ereditato, passando di padre in figlio: non siamo animali e rivendichiamo il diritto di esprimere il nostro parere attraverso libere elezioni”. Abbarbicato sulla poltrona, a debita distanza dall’interlocutrice senza velo, il portavoce dei Fratelli musulmani spiega: “Vogliamo 167 rafforzare la società egiziana con attività sociali, culturali, educative e sanitarie. I soldi per gli investimenti sono nostri, facciamo le raccolte fondi per ogni specifico progetto e non abbiamo legami con i governi di altri Paesi, tanto meno con l’Arabia Saudita”. Quello di Fottouh è un gioco di parole e non ci vuole molto per far venire a galla la verità. A essere consapevoli della dissimulazione praticata dai Fratelli musulmani sono ormai in molti. Ma conoscerne le sottigliezze non è facile. Per questo ho chiesto un incontro con il politologo Amr Shoubaki, direttore di ricerca al Centro di studi strategici Al-Ahram. Autore di un volume su questo movimento, che sta per essere pubblicato da un editore francese, Shoubaki spiega che “pur non avendo legami finanziari formali con Riyadh, i Fratelli musulmani ricevono fondi dagli egiziani che hanno fatto fortuna in Arabia Saudita, dove erano emigrati al tempo di Nasser che li perseguitava”. Alla domanda se i Fratelli musulmani rappresentano un pericolo Shoubaki risponde di no, ma “a patto che vengano integrati nel sistema politico. Il problema è che il regime non permette a nessuno di inserirsi, nemmeno a liberali come Saad Eddin Ibrahim”. Dopotutto, “i Fratelli musulmani non sono più islamizzati del resto della società e forse lo sono addirittura meno. Ormai gli egiziani sono ossessionati dalla religione e dalle sue interpretazioni, tant’è che oggi il 90% delle donne mette il velo. Il regime strumentalizza la fede, le emittenti televisive concedono troppo spazio ai leader islamici e per censurare la società civile le autorità usano l’ateneo al-Azhar i cui imam sono tra i più oscurantisti. Il conflitto non è quindi tra lo Stato laico e il movimento islamico dei Fratelli musulmani”. “Anziché pensare ai Fratelli musulmani dovremmo preoccuparci del processo democratico e del rafforzamento delle istituzioni, facendo in modo che il movimento arrivi a essere rappresentato senza disordini, altrimenti sarà una catastrofe. Dove c’è democrazia non c’è pericolo”, insiste Shoubaki. “Il modello di riferimento potrebbe essere la Turchia, dove l’esercito è garante delle regole”. Il problema è che in Egitto sono necessarie riforme politiche, ma pure economiche. E infatti “ci sono sei milioni di funzionari pubblici, vale a dire il doppio rispetto alla Turchia”. Il legame tra democrazia e sviluppo economico non va sottovalutato. Professore di Economia 168 Olycom EGITTO: DIETRO L’ALIBI DEL FONDAMENTALISMO all'AUC, l’American University, Talaat Abdel Malek osserva che “il successo dei Fratelli musulmani è il risultato del fallimento delle politiche economiche di Mubarak: forniscono i servizi assistenziali, educativi e sanitari a coloro che non se li possono permettere. Dopotutto il 45% della popolazione è analfabeta, lo stipendio mensile di un operaio è di 65 euro e al Cairo 7 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno, ma questo non vuol dire che non sappiano cosa vogliono”. E infatti la successione di Gamal Mubarak al padre è argomento di discussione tra gli egiziani di ogni ceto sociale. “Che al presidente succeda il padre non è di per sé importante, quello che ci sta più a cuore è la trasparenza del processo decisionale”, commenta l’economista. “Gli egiziani non sono fondamentalisti, ma gli islamici se ne sono accattivati le simpatie erogando i servizi di welfare necessari. L’unica soluzione è dare spazio alla società civile e fare le riforme necessarie. Il governo si sta accorgendo degli errori, speriamo non sia troppo tardi”. L’ultimo appuntamento di questo soggiorno al Cairo è con Abdel Halim Kandil, uno dei fondatori del fronte Kefaya! di cui parlava lo scrittore Ala al-Aswani. Nel 2003 Kandil era direttore di Al-Arabi, il giornale legato al partito nazionalista e nasserista che il governo aveva provato a chiudere, e su cui aveva una rubrica quotidiana ripresa da molti giornali arabi. Quel lavoro era la sua principale fonte di reddito e, consapevole di questo, il ministro dell’Informazione fece pressione per impedirgli di scrivere. Nel 2004 Kandil fu rapito in un noto negozio, Olycom _In Egitto le moschee sono affollate di fedeli, segno di una religiosità diffusa e in parte motivata dal fatto che molti servizi sanitari e assistenziali che dovrebbe fornire lo Stato sono forniti dai Fratelli musulmani. di fronte a casa, nei pressi delle piramidi. Fu portato nel deserto di Muqattam, torturato per ore, umiliato e minacciato. Fu aperta un’inchiesta che non condusse a nulla, se non alla premiazione del magistrato a presidente della Corte costituzionale. Invitato a numerose trasmissioni sull’emittente del Qatar al-Jazira, Kandil è diventato un personaggio noto e non può muoversi liberamente. Il nostro incontro è fissato nella caffetteria del sindacato degli scrittori. In giacca e cravatta, Kandil dichiara senza mezzi termini che “l’Egitto è governato da una famiglia e il potere è gestito da una gang di ladri, una mafia senza alcuna base sociale. Gli egiziani non possono ottenere le riforme attraverso una modifica delle leggi esistenti, l’unica soluzione è mettere fine al regno dei Mubarak. Per questo lo slogan del movimento Kefaia! è nessuna estensione del mandato presidenziale di Mubarak e nessuna successione del figlio”. Sull’appoggio statunitense al presidente egiziano, Kandil osserva che “gli USA occupano l’Egitto anche se lo fanno senza marine: le decisioni politiche sono nelle mani degli americani e Mubarak regna per conto di Washington”. Quando gli chiedo se non teme, in caso di libere elezioni, una vittoria dei Fratelli musulmani risponde: “Se vi fossero libere elezioni probabilmente vincerebbero, ma non otterrebbero la maggioranza assoluta e quindi sarebbero quindi obbligati a formare una coalizione di governo. Negli ultimi trent’anni si sono rafforzati, ma non andranno oltre rispetto a quanto hanno già ottenuto. Il futuro dell’Egitto è nella sinistra perché la destra islamica non può offrire una soluzione, le sue politiche sono troppo simili a quelle dell’attuale regime e non sono perciò in grado di risolvere il dilemma che si pone oggi al Paese”. Se i Fratelli musulmani vincessero le elezioni, continua Kandil, “chiederemmo la fine del regno di Mubarak e un periodo di transizione di due anni durante i quali il capo dello Stato dovrà essere un giudice indipendente. In questo periodo di transizione, in cui sarà elaborata una nuova costituzione, dovrà essere garantita la possibilità di formare partiti, fare dimostrazioni e organizzare scioperi; dovranno essere rilasciati tutti i prigionieri politici; dovranno essere organizzate libere elezioni sotto la supervisione della magistratura e quindi senza interferenze dell’esecutivo”. A proposito del ruolo dell’Europa nel sostenere la società civile egiziana, Kandil afferma critico: “L’Egitto è stato occupato per molto tempo e per questo la popolazione è sensibile alle ingerenze straniere, di ogni tipo. Di conseguenza, la collaborazione europea con la società civile egiziana è vista in modo piuttosto negativo e il motivo principale è che l’Unione Europea finanzia alcune organizzazioni non governative e associazioni umanitarie che prendono il denaro europeo e giurano obbedienza al regime di Mubarak. E infatti nessun membro delle ong e associazioni finanziate dall’UE ha mai partecipato alle nostre dimostrazioni”. 169