Brevettare la vita: una tormentata storia tra

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Brevettare la vita: una tormentata storia tra
le vie della scienza, le vie dell’educazione
Brevettare le vita:
una tormentata storia
tra laboratori
e tribunali
Mariachiara Tallacchini
Università di Piacenza
Modena, 6 settembre 2007
Brevettare la vita:
una tormentata storia tra laboratori e tribunali
Mariachiara Tallacchini
Facoltà di Giurisprudenza, Università Cattolica – Sede di Piacenza
Facoltà di Biotecnologie, Università degli Studi di Milano
Ripensare lo Stato di diritto nell’età della tecnoscienza
La regolamentazione della scienza è ormai considerata un nuovo ambito disciplinare, dopo
che, da mera configurazione e applicazione di norme ‘tecniche’, essa ha rivelato il suo
potenziale di riflessione critica sulla politica della scienza e del diritto.
L’atteggiamento che, infatti, ha finora caratterizzato l‘intervento normativo sulla scienza è
stato un apparente tecnicismo, giustificato da un’epistemologia dell’oggettività e della
reciproca neutralità tra scienza e diritto. Il presupposto che ha ispirato la concezione
tradizionale delle norme giuridiche a contenuto tecnico-scientifico, proponendole come
norme ‘tecniche’, è infatti connessa alla presunta avalutatività sia della scienza che informa il
contenuto delle norme sia delle norme che recepiscono i contenuti scientifici.
L’analisi dei rapporti tra attività e pratiche scientifiche, e regole giuridico-politiche attraverso
il concetto di co-produzione 1 ha modificato radicalmente questa impostazione. Si tratta
dell’idea secondo cui i due sistemi della scienza e del diritto esercitano l’uno sull’altro un
reciproco gioco di elicitazione, sistematizzazione, sedimentazione e stratificazione di
significati scientifico-giuridici. Così intesa, la scienza è un’istituzione sociale dinamica,
impegnata insieme ad altre istituzioni nella definizione di un ordine che è al tempo stesso
epistemico e sociale. Parimenti, è emerso che il diritto stabilisce che cosa sia la scienza
legalmente rilevante, quali esperti siano credibili, e come debbano essere interpretati i dati
scientifici. Da un lato la conoscenza del diritto è necessaria alla comprensione della scienza,
dall’altro la scienza è la fonte di molti cambiamenti giuridici. Non è un caso, infatti, se i più
importanti processi di trasformazione sociale, individuali e collettivi, si stanno verificando
all’ombra dei conflitti innescati dall’intersecarsi di scienza e diritto.
Tale visione, pur riconoscendo il carattere privilegiato del linguaggio della scienza, è
consapevole della politicità delle decisioni sociali sulla scienza: il modello secondo cui la
scienza “speaks truth to power” 2 attribuisce alla scienza un ruolo che spetta invece alla
società. Esiste una pluralità di linguaggi disciplinari che, pur non essendo tra loro
equivalenti in termini di validità metodologica, devono confrontarsi in modo pluralistico per
quanto riguarda la loro credibilità. Questo vuol dire che si devono stabilire le condizioni di
accreditamento pubblico per i diversi saperi diretti a plasmare le scelte sociali; che si devono
individuare le forme di controllabilità pubblica di tali conoscenze; che nessuna forma di
1
Sul concetto di co-produzione si veda: S. JASANOFF, The Fifth Branch. Science Advisers as Policymakers,
Harvard University Press, Cambridge Mass. 1990; La scienza davanti ai giudici, Giuffrè, Milano 2001
(Cambridge Mass. 1995); Cfr. inoltre: M. TALLACCHINI, La costruzione giuridica della scienza come coproduzione tra scienza e diritto, “Politeia” 2002, , XVIII, 65, pp.126-137.
2
A. WILDAVSKY, Speaking Truth to Power, Little, Brown and Co., Boston MA. 1979.
2
sapere può essere fatto valere unicamente in base a una predefinita validità-verità. Tale
discorso vale anche per la scienza, il cui esclusivo criterio di accreditamento presso il pubblico
ha tradizionalmente coinciso con la validità del metodo scientifico, in quanto internamente
riconosciuto dalla comunità scientifica 3.
I cambiamenti intervenuti nel rapporto tra scienza e società stanno incidendo profondamente
sugli assetti istituzionali e sull’insieme dei diritti che si ricollegano alla nozione di contratto
sociale, e in particolare all’idea di Stato di diritto 4. Il corredo di garanzie che entra nella
definizione di Stato di diritto non ha finora toccato le specifiche garanzie nei confronti del
sapere-potere della scienza, che pure è diventata tanta parte delle scelte giuridiche e di
governo. Si tratta quindi di integrare nella (ancora desiderabile) nozione di Stato di diritto le
nuove modalità di governo della scienza. La scienza connessa a, e implicata in, scelte
pubbliche (policy-related science), diversamente sia dalla scienza pura che da quella applicata 5,
dovendo contribuire alla definizione di questioni sociali, è legata a valutazioni ampie ed esige
in ultima istanza una scelta politica 6.
La democraticizzazione del rapporto tra la scienza e la società passa attraverso una duplice
esigenza. In primo luogo vi è la necessità di estendere la consultazione con gli scienziati 7;
inoltre, si deve provvedere a un maggiore coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni a base
scientifica che tocchino direttamente la società civile.
L’esigenza di disporre di expertises scientifici estesi e pluralistici è ricollegabile a svariate
ragioni. In primo luogo, si tratta di rendere il processo decisionale in tema di scienza più
rispondente ai bisogni della società e pertanto più sensibile e collegato alle richieste della
società. Inoltre bisogna ristabilire la connessione tra discipline diverse e così frammentate da
non essere più in grado di dialogare tra loro. Infine, per quanto riguarda la distanza sia tra le
scienze sia tra scienza e società, bisogna fare in modo di rendere esplicite tutte le assunzioni e
le incertezze tacite che si nascondono nei giudizi tanto degli esperti come dei cittadini.
L’esigenza di coinvolgere maggiormente i cittadini nelle decisioni di fondo sulla politica della
scienza sta evolvendo, dalle garanzie fondamentali di accesso alle informazioni e di
3
Secondo l’immagine idealizzata della ‘repubblica della scienza’: cfr. M. POLANYI, The Republic of Science,
“Minerva” 1962, I, pp.54-73. Cfr. anche Y. EZRAHI, The Descent of Icarus, Harvard University Press, Cambridge
Mass. 1990.
4
J. SCHMANDT, J.E. KATZ, The Scientific State: A Theory with Hypotheses, “Science, Technology, & Human
Values” 1986, 11, pp.40-52; A. IRWIN, B. WYNNE (eds.), Misunderstanding science? The public reconstruction
of science and technology, Cambridge University Press, Cambridge 1996; H. NOWOTNY, P. SCOTT, G.
MICHAEL, Rethinking Science: Knowledge and the Public in an Age of Uncertainty, Polity Press, London 2001.
5
S. FUNTOWICZ, I. SHEPHERD, D. WILKINSON, J. RAVETZ, Science and Governance in the European Union:
a contribution to the debate, http://governance.jrc.it/jrc-docs/spp.pdf (pubblicato anche in “Science and Public
Policy” 2000, vol.27, 5, pp.327-336). Le citazioni successive sono tratte da I. SHEPHERD (ed.), Science and
Governance in the European Union. A Contribution to the Debate, March 9, 2000, 2000 EUR 19554 EN,
http://governance.jrc.it/scandg-eur.pdf
6
In questa direzione si stanno muovendo le istituzioni europee: cfr. COMMISSION OF THE EUROPEAN
COMMUNITIES, European Governance. A White Paper, Brussels, 25.7.2001, COM(2001) 428 final,
http://europa.eu.int/eur-lex/en/com/cnc/2001/com2001_0428en01.pdf.
7
WORKING GROUP 1b, Report “Democratising Expertise and Establishing Scientific Reference Systems”,
Pilot:
R. Gerold, Rapporteur: A. Liberatore, May 2001, http://europa.eu.int/comm/governance/areas/group2/
report_en.pdf.
3
trasparenza, ai nuovi programmi di partecipazione diretta alle scelte e alla creazione della
figura del lay expert, che molti governi stanno attuando in settori particolarmente delicati
delle biotecnologie.
Infatti, finora, per i cittadini l’attendibilità della ‘voce della scienza’ ha coinciso
essenzialmente con l’autorità indiscussa della scienza stessa. Le numerose ricerche dedicate
alla comprensione della scienza da parte del pubblico hanno rivelato che le crescenti
resistenze dei cittadini a fidarsi del parere degli esperti e ad affidarsi alle loro scelte non
possano essere semplicemente etichettate come irrazionali 8, ma che esse sono connesse a
considerazioni molteplici, ragionevoli e concrete 9 (limitata possibilità di accedere a fonti di
informazione pluralistiche, opacità dei criteri di selezione degli esperti e opacità dei criteri di
decisione degli esperti, possibili conflitti di interessi).
Ma, al di là dei problemi creati dalla progressiva sfiducia del pubblico nelle istituzioni
politico-scientifiche, vi è l’esigenza giuridica e politica di migliorare la qualità della vita
democratica laddove i mezzi tecnologici e informativi ormai lo consentano. L’obiettivo della
democratizzazione delle scelte politiche science-based consiste quindi nel favorire una
comprensione più approfondita dei complessi legami tra scienza e società, individuando
modalità e procedure più adeguate nella determinazione delle scelte scientifico-tecnologiche
alla base delle trasformazioni sociali e civili.
I brevetti tra scienza, politica e diritto
Le ragioni che vedono i brevetti biotecnologici al centro di tensioni internazionali e
controversie giuridiche sono intimamente legate alla tradizionale visione “tecnica” delle
relazioni tra scienza e diritto 10. Le critiche nei confronti dei brevetti biotecnologici –sia quelle
avanzate dai movimenti sociali in aperta, ideologica opposizione all’industria che trae
beneficio dai brevetti 11, sia quelle più moderate e legate a una prospettiva riformista dello
strumento brevettuale- si fondano comunque sulla necessità di rendere maggiormente
trasparenti e democratici i procedimenti di allocazione delle risorse biologiche e, in
particolare, genetiche.
L’estensione della protezione brevettuale -nata per gli artefatti meccanici e successivamente
applicata alle invenzioni chimiche- agli organismi –prima semplici e poi complessi-, è
avvenuta attraverso operazioni ermeneutiche che al tempo stesso hanno “forzato” i concetti
giuridici coinvolti e hanno blindato e schermato i presupposti scientifici, sociali e politici
che ne rappresentavano il retroterra esplicativo, sostenendo contemporaneamente il
presunto carattere “moralmente neutrale” 12 dei brevetti. Le “scatole nere” (black boxes)
8
Cfr. The TRUSTNET Framework, A New Perspective on Risk Governance, September 1999
http://www.trustnetgovernance.com/library/pdf/Eframework.PDF.
9
A. IRWIN, B. WYNNE (eds.), Misunderstanding science? The public reconstruction of science and technology,
cit.
10
Come le critiche avanzate da J. BOYLE, Shamans, Software and Spleens: Law and the Construction of the
Information Society, Harvard University Press, Cambridge Ma. 1996, e L. M. GUENIN, Patents, Ethics, Human
Life Forms, in T.J. MURRAY, M.J. MEHLMAN (eds.), Encyclopedia of Ethical, Legal, and Policy Issues in
Biotechnology, John Wiley & Sons, Boston Ma. 2000, pp.866-880.
11
V. SHIVA, Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002 (2001).
12
Come espressamente si affermava in A4-0222/97, Report on the proposal for a European Parliament and
Council Directive on the legal protection of biotechnological inventions (COM(95)0661-C40063/9695/0350(COD)), 25.6.1997, Explanatory Statement, p.30: “Patents are a morally neutral means of promoting
4
giuridico-scientifiche che la disciplina contiene, e che rendono opache e sottratte al dibattito
pubblico alcune assunzioni del diritto brevettuale, esigono chiarificazioni e correzioni in
società che si vogliano fondate sul diritto e la democrazia.
L’impianto originario del diritto di brevetto è ormai piuttosto lontano dalle condizioni in cui
esso viene attualmente esercitato. La tutela dell’opera dell’ingegno come diritto della
personalità è radicata, come James Boyle ha efficacemente mostrato, nella figura dell’ “autoreinventore romantico” 13, figura ormai totalmente stravolta dagli apparati di investimento
tecnologico e di ricerca che le invenzioni biotecnologiche presuppongono: né il carattere
individuale, né l’interesse morale scisso da quello commerciale sopravvivono ormai
nell’organizzazione industriale dei brevetti.
Il diritto è stato di fatto utilizzato –dietro l’evocazione retorica della “certezza giuridica”- per
legittimare la tecnoscienza 14. Questa scelta di “tecnofilia giuridica” -il diritto come propulsore
delle biotecnologie- rischia di prevalere sull’effettivo accertamento dei requisiti di novità,
inventività e applicabilità industriale. E’, per esempio, il caso dei criteri di “isolamento” e
“purificazione” dei materiali biologici –mutuati dalla brevettabilità dei composti chimici- che
sono stati utilizzati quali referenti della soglia di artificializzazione della materia organica tale
da giustificare la realizzazione di un artefatto –e la concessione del brevetto-, anche quando si
tratti di processi ormai di routine 15.
Limitandosi ad avallare l’evoluzione delle tecnologie, gli ordinamenti giuridici finiscono per
subire i tempi, le direzioni e le modalità di controllo insite nell’organizzazione industriale
della tecnoscienza, invece di porsi come momento di riflessione critica e di creazione di
garanzie nei confronti di essa. L’autointerpretazione del rapporto tra diritto e tecnologia come
law-lag -vale a dire il ritardo cronico dei sistemi normativi nei confronti dell’innovazione
tecnologica- che numerose direttive dell’Unione Europea propongono per giustificare
l’appiattimento della riflessione giuridica sulle esigenze del “progresso”, al tempo stesso
rivela le implicite valenze normative della tecnoscienza e ne legittima la priorità rispetto ad
ogni altro interesse giuridicamente protetto.
Il diritto dei brevetti ha “normalizzato” le biotecnologie –ne ha cioè disinnescato il potenziale
di radicale diversità-, avallando la tesi secondo cui esse non costituirebbero davvero una
novità, se non in accordo con il significato di “novità” che appartiene alla semantica
brevettuale. Rivendicando il carattere “innovativo” delle singole biotecnologie come
elemento di qualificazione giuridica dell’invenzione 16, ma contemporaneamente negando che
technology”.
13
BOYLE, Shamans, Software and Spleens: Law and the Construction of the Information Society, cit.
14
Come ha osservato L.M. GUENIN, Norms for Patents Concerning Human and Other Forms of Life,
“Theoretical Medicine” 1996, 17, pp.279-314: “It would be virtually unprecedented to grant a patent and later
preclude use of the invention. The result could be disruption in the biotechnology industry and waste of the
resources spent in expectation of a patent” (p.282).
15
L. M. GUENIN, Patents, Ethics, Human Life Forms, cit., p.871: “Is purification then the inventor’s trump over
nature? The process of making cDNA is not thought to occur naturally in humans (though many viruses that
infect humans make DNA from RNA). But once a gene is known, the laboratory process of making cDNA can be
routine”.
16
Questa è l’argomentazione addotta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti in Chakrabarty, at 116: “The language
of patent law is broad and general and is to be given wide scope because inventions are, necessarily,
unanticipated and unforeseeable”.
5
le biotecnologie siano “socialmente” nuove, la normativa brevettuale ha neutralizzato il
cambiamento biotecnologico prospettandolo come mera questione tecnico-giuridica.
Una delle critiche più forti alla brevettabilità in campo biotecnologico riguarda le pretese di
esclusività proprietaria rispetto alla materia vivente e l’ampiezza della protezione brevettuale
biotecnologica (connessa all’autoriproducibilità degli organismi viventi). Questi poteri
proprietari sulle risorse biologiche stanno incidendo sui rapporti internazionali tra paesi
emergenti e paesi industrializzati, riproponendo situazioni di colonialismo commerciale.
Inoltre, essi rischiano di deprimere invece che promuovere la ricerca e l’innovazione –come
pure mettono in pericolo l’equo accesso a talune terapie mediche e farmacologiche 17-, poiché
è sempre meno evidente che la privatizzazione dell’innovazione tecnologica e la spinta
all’innovazione tecnologica rappresentino ancora istanze sinergiche, se non addirittura
compatibili 18.
Dalla brevettabilità meccanica alla brevettabilità biologica
Le vicende e i modi con cui si è giunti ad estendere la tutela brevettuale agli organismi viventi
consentono di capire le perplessità di fondo e i problemi ancora aperti. La costruzione
scientifico-giuridica del brevetto biotecnologico ha privilegiato una particolare strada
interpretativa dei fenomeni naturali e del loro significato giuridico, ma ha proposto –talora in
modo surrettizio- tale scelta come epistemologicamente cogente. In realtà, dubbi e incertezze
sono continuamente emersi nella storia dei brevetti biotecnologici, rivelando non solo che la
via intrapresa costituisce una delle giustificazioni possibili, ma anche che i criteri per
affermare o negare la brevettabilità degli organismi sono molteplici.
A dispetto della sua pretesa natura tecnica e neutrale, il processo di definizione dei criteri di
brevettabilità biotecnologica è costellato di riferimenti extragiuridici. Poiché la disciplina dei
brevetti si è forgiata sulle invenzioni meccaniche, l’espediente metaforico utilizzato per
giustificare la brevettabilità della materia organica è stato il modello meccanicistico della
realtà risalente alla scienza newtoniana19. La metafora meccanicistica del mondo ha
rappresentato la lettura scientifica che consentiva l’applicazione della qualificazione giuridica
desiderata. La sostanziale equivalenza tra materia inorganica e organica –riconducibili, nella
prospettiva del programma riduzionistico, alle medesime sostanze di base-, suggerendo che
gli organismi sono macchine, bio-artefatti, ha potuto giustificare l’uguale brevettabilità di
artefatti ed entità biologiche. Inoltre, la riduzione della materia al suo contenuto
informazionale ha consentito di includere tra gli artefatti anche la ‘lettura tecnologica’ del
codice genetico.
Analogamente al “progetto” che sta dietro la macchina e le dà forma, è la progettualità
consistente
nella
estrazione,
o
nella
modificazione,
dell’informazione
biologicamente/geneticamente rilevante ciò che costituisce l’opera d’ingegno rispetto ai
17
R. GOLD, T.A. CAULFIELD and P.N. RAY, Gene patents and the standard of care, Canadian Medical
Association Journal 2002, 3, 167.
18
J. J. DOLL, The Patenting of DNA, “Science” 1998, vol.280, n. 5364, p.689; M.A. HELLER, R.S. EISENBERG,
Can Patents Deter Innovation? The Anticommons in Biomedical Research, “Science” 1998, vol.280, n. 5364, p.698;
P. ROY MOONEY, The Impetus for and Potential of Alternative Mechanisms for the Protection of
Biotechnological Innovations, Canadian Biotechnology Advisory Committee, March 2001.
19
H. BLUMENBERG, La leggibilità del mondo, Il Mulino, Bologna 1984 (Frankfurt 1981).
6
materiali biologici/genetici. Ogni differenza tra l’inorganico e l’organico è diversamente
cancellata, anche quando si tratti della capacità degli organismi complessi –come
l’Oncomouse, il topo geneticamente modificato- di riprodursi.
Questi passaggi sono storicamente e linguisticamente osservabili nella costruzione scientificogiuridica dei criteri di brevettabilità biotecnologica ad opera di alcune Corti statunitensi a
partire dalla fine degli anni settanta. Il problematico percorso che unisce le sentenze qui di
seguito analizzate –due statunitensi e una canadese- individua alcuni nodi non-sciolti nella
disciplina dei brevetti.
Chakrabarty: la brevettabilità dei microrganismi
Nel 1977, nel caso In re Bergy, la U.S. Court of Customs and Patent Appeals (CCPA) 20
dichiarava irrilevante, ai fini giuridici, la natura organica o inorganica della materia oggetto
del brevetto, sulla base del generale assunto riduzionista secondo cui le sostanze organiche
sono riducibili alle sostanze inorganiche. Curiosamente, nelle parole dei giudici i metodi della
scienza sembrano fondersi naturalmente con i metodi del diritto. Per il metodo scientifico –
così osservava la Corte- non c’è vera differenza tra materia inorganica e organica, e la
distinzione non è rilevante nemmeno dal punto di vista giuridico. Ma c’è di più. Scienza e
diritto condividono anche, in quanto sistemi sociali, i medesimi valori: infatti, concludeva la
Corte, “corrisponde all’interesse pubblico che i microrganismi vengano ricompresi nel
termine ‘artefatto’ e ‘composizione di materia’” 21.
L’anno successivo, in Parker v. Flook (1978) 22, la Corte Suprema degli Stati Uniti precisava
l’estensione del dominio dei brevetti, escludendo dalla brevettabilità le (sole) formule
matematiche, che sono in qualche modo già presenti nella realtà e non aggiungono nulla alla
medesima.
I due criteri del riduzionismo metodologico (come equivalenza anche giuridica tra materia
vivente e non-vivente) e della non-brevettabilità delle formule matematiche consentono da un
lato di validare l’analogia tra artefatti meccanici ed biologici, dall’altro di ridurre
drasticamente gli spazi di non-brevettabilità.
Scienza e diritto preparavano così il terreno alla sentenza Diamond v. Chakrabarty, del
1980, in cui, spazzate via le barriere naturalistiche, il vero tratto distintivo della
brevettabilità è il confine tra “lavoro della natura” e “opera umana” 23: ciò che giustifica
20
La U.S. Court of Customs and Patent Appeals (CCPA), nel caso In re Bergy 563 F.2d 1031 (1977), ha stabilito
che, al fine della brevettabilità, “the fact that microorganisms are alive is a distinction without legal
significance”.
21
Ibidem: “We see no sound reason to refuse patent protection to the microorganisms themselves (…). We think
it is in the public interest to include microorganisms within the terms ‘manufacture’ and ‘composition of matter’
in § 101. In short, we think the fact that microorganisms, as distinguished from chemical compounds, are alive is
a distinction without legal significance (…)”.
22
Parker v. Flook, 437 U.S. 584 (1978): “Respondent's patent application describes a method of updating alarm
limits. the mathematical formula constitutes the only difference between respondent's claims and the prior art
and therefore a patent on this method “would in practical effect be a patent on the formula or mathematics
itself“.
23
In Diamond v. Chakrabarty, 447 U.S. 303 (1980), la Corte Suprema degli Stati Uniti ha precisato: “Einstein could
not patent his celebrated law that E=mc2 ; nor could Newton have patented the law of gravity. Such discoveries
are manifestation of nature, free to all men and reserved exclusively to none. (…) respondent’s micro-organism
plainly qualifies as patentable subject matter. His claim is not to a hitherto unknown natural phenomenon, but
7
l’affermazione secondo cui “anything under the sun that is made by man is eligible for
patenting” 24. Poiché i microrganismi modificati non esistono spontaneamente in natura –
almeno come entità isolate e purificate (concetti introdotti dalla decisione In re Bergy 25) - il
microrganismo creato dal Dr. Chakrabarty poteva essere considerato legittimamente un
artefatto biologico.
La posizione di Chakrabarty prestava il fianco a una critica, poiché i giudici non potevano
davvero escludere che una modificazione genetica possa accadere spontaneamente in natura.
Ma un ulteriore argomento a rinforzo della posizione della Corte Suprema veniva fornito a
distanza di qualche anno dall’Office for Technology Assessment (OTA), in un rapporto sulla
brevettabilità della vita. La precisazione che l’insigne commissione americana sentì il dovere
di avanzare –e divenuta poi prassi consolidata delle corti- consisteva nel suggerire
un’inversione dell’onere della prova a favore dell’inventore. Non chi richiede il brevetto –
osservava l’OTA- deve fornire la prova dell’improbabile presenza in natura di un particolare
organismo geneticamente modificato; piuttosto, la Corte che intenda respingere la domanda
di brevetto avrà l’onere di dimostrare che è altamente probabile (e non solo possibile) che tale
organismo esista in condizioni naturali 26.
L’abilità con cui il puzzle scientifico-giuridico è stato elaborato dai giudici per eliminare ogni
ostacolo allo sviluppo tecnologico va di pari passo con elusività e ellitticità delle
argomentazioni prodotte. Nella catena di sentenze che ha condotto alla brevettabilità delle
biotecnologie, elementi scientifici e giuridici –slittamenti semantici tra termini scientifici e
giuridici, sovrapposizione di argomenti scientifici e giuridici- si mescolano allo scopo di
produrre un’unica evidenza: la totale legittimità della nuova industria biotecnologica,
avallata all’unisono dalla verità della scienza e dalla conformità al diritto.
OncomouseTM : dalla trappola al topo
Il brevetto concesso nel 1988 alla Harvard Medical School per la realizzazione dell’Oncomouse
-un topo modificato per risultare maggiormente esposto alla probabilità di sviluppare un
carcinoma mammario- rappresenta il primo brevetto su un organismo complesso.
Diversamente dal microrganismo del Dr. Chakrabarty, l’Oncomouse non ha avuto, almeno
negli Stati Uniti, una storia giudiziaria. Apparentemente, gli Stati Uniti, dopo aver esitato
rispetto alla colonizzazione brevettuale della materia vivente, non hanno ritenuto necessario
distinguere tra organismi unicellulari e organismi complessi, come se i medesimi criteri
fossero applicabili a entrambe le situazioni e la società fosse ormai disposta ad accettare le
to a nonnaturally occurring manufacture or composition of matter -a product of human ingenuity [...]. His
discovery is not nature’s handicraft, but his own”.
24
Ibidem.
25
In re Bergy, cit.: “Appellants responded with a request to reconsider this rejection supported by affidavits of
three Upjohn microbiologists, Dr. Joseph E. Grady, Dr. Thomas L. Miller, and "the well-known microbial
taxonomist Alma Dietz," pointing out that the microorganism did not exist as a biologically pure culture in
nature and asserting that such a culture is a "manufacture" (…)”.
26
Cfr. OTA (Office of Technology Assessment), New Developments in Biotechnology: Ownership of Human
Tissues and Cells – Special Report, OTA-BA-337, U.S. Government Printing Office, Washington D.C., March
1987, p.50: “If a patent examiner decides to reject patentability for an invention on grounds that it is a product of
nature, he must show that the claimed product, such as a biologically pure culture, is likely to exist in nature as a
result of natural processes and not merely that it possibly exists in nature”.
8
nuove entità transgeniche 27.
Il “naturale” accostamento che l’Office of Technology Assessment proponeva, l’anno
successivo al brevetto dell’Oncomouse, per mostrare la somiglianza anche “visiva” tra la
rappresentazione grafica che accompagnava la richiesta di brevetto della trappola per topi
(1900) e quella allegata al brevetto del topo modificato geneticamente (1988) (Fig.1), è un
elemento interessante nella ricostruzione delle valenze metaforiche, retorico-persuasive e
culturali del discorso sui brevetti. 28
Entrambi i disegni presentano i tratti deterministici propri delle entità meccaniche, benché le
inserzioni di materiale genetico non posseggano il carattere netto e puntuale che l’immagine
suggerisce, e benché esse producano effetti non isolabili a un segmento del genoma, ma
potenzialmente estesi ad altri caratteri del fenotipo.
Fig. 1 – Le richieste di brevetto per la trappola per topi (1900) e per l’Oncomouse (1988) (OTA, New Developments
in Biotechnology: Patenting Life – Special Report, OTA-BA-370, U.S. Government Printing Office, Washington D.C.,
April 1989).
In realtà, come è stato osservato, il fatto che i parametri per brevettare gli organismi
complessi non siano mai stati esplicitamente definiti e che il PTO si sia limitato a ritenere
soddisfatti i criteri di novelty, utility e nonobviousness, ha lasciato sussistere molte incertezze 29.
27
In tal senso S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici, Giuffrè, Milano 2001 (Cambridge Ma 1995).
OTA, New Developments in Biotechnology: Patenting Life – Special Report, OTA-BA-370, U.S. Government
Printing Office, Washington D.C., April 1989, p.24.
29
C.F. WALTER, Beyond the Harvard Mouse: Current Patent Practice and the Necessity of Clear Guidelines in
Biotechnology Patent Law, http://www.law.indiana.edu/ilj/v73/no3/walter.html
28
9
Queste, se non si sono manifestate negli Stati Uniti, sono però all’origine delle controversie
che hanno accompagnato in Europa e in Canada la brevettabilità dell’Oncomouse.
Per quanto riguarda l’Europa, il topo di Harvard ha avuto vita controversa e l’EPO ha
riaperto più volte il fascicolo ad esso relativo. Dopo aver inizialmente respinto la richiesta di
brevetto in relazione all’art.53(b), che nega la brevettabilità delle “varietà animali”, l’EPO
concesse il brevetto nel 1992, sostenendo che l’art.53(b) menziona ed esclude la brevettabilità
delle varietà animali, ma non quella degli animali in generale. Il brevetto fu immediatamente
impugnato da un’associazione inglese per l’abolizione della vivisezione, ma la disputa
continuò anche sull’interpretazione della nozione di “varietà” applicata alle piante: infatti,
dopo aver concesso il brevetto sull’Oncomouse, l’EPO aveva successivamente rifiutato
protezione brevettuale ad una pianta modificata geneticamente (Plant Genetic Systems, PGS),
sempre in applicazione dell’art.53(b) 30.
Nel concedere il brevetto -il primo su un organismo complesso- l’EPO osservò la particolarità
del caso, riconoscendone la liceità (ex art.53(a)) -nonostante le sofferenze indotte nell’animaleper l’importanza che il topo transgenico avrebbe rivestito nella ricerca oncologica. Ragioni di
opportunità si saldano a questioni tecniche, ma con oscillazioni che hanno esposto a severe
critiche l’EPO, rivelandone l’incerta posizione.
Particolarmente interessanti sono invece le vicende canadesi dell’Oncomouse. Dopo il rifiuto
dell’ufficio brevetti a concedere il brevetto per un organismo complesso, il caso è arrivato
davanti ai giudici. Chiamate a esprimersi sulla brevettabilità degli organismi complessi, la
Trial Division nel 1998 31 e la Federal Court of Appeal nel 2000 32 hanno rispettivamente
negato e affermato la brevettabilità dell’Oncomouse. Il Commissioner of Patents ha impugnato
la sentenza della Federal Court of Appeal di fronte alla Corte Suprema del Canada, che il 6
dicembre 2002 33 si è infine pronunciata contro la brevettabilità degli organismi complessi 34,
accogliendo la tesi del ricorrente, secondo il quale solo un apposito intervento legislativo
potrà introdurre in Canada questa ipotesi di brevetto, non ricompresa nell’attuale legge sui
brevetti.
Dopo essersi confrontata sia con gli argomenti di Chakrabarty sia con le previsioni della
Direttiva 44/98, la Corte Suprema ha elaborato una propria linea di ragionamento che,
mostrando l’impossibilità di derivare dai criteri di brevettabilità meccanica e chimica –così
come sono fissati dalla legge canadese- la brevettabilità degli organismi complessi, ha
indicato nella competenza legislativa, preceduta e ispirata dalla consultazione dei cittadini, il
30
B. BAGGOT, Patenting transgenics in the European Union, cit.
President and Fellows of Harvard College v. Canada (Commissioner of Patents) (T.D.), [1998] 3 F.C. 510, Ottawa,
November 17, 1997 and April 21, 1998, http://www.canlii.org/ca/cas/fc/1998/1998fc22348.html
32
President and Fellows of Harvard College v. Canada (Commissioner of Patents) (C.A.), [2000] 4 F.C. 528, Ottawa,
December 9, 1999 and August 3, 2000, http://www.canlii.org/ca/cas/fc/2000/2000fc27094.html.
33
Commissioner of Patents v. President and Fellows of Harvard College, [2002] SCCC76. File n. 28155,
http://www.lexum.umontreal.ca/csc-scc/en/rec/html/harvard.en.html
34
Cfr. ONTARIO REPORT TO THE PROVINCES AND TERRITORIES, Genetics, Testing & Gene Patenting:
Charting New Territory in Healthcare, January 2002, http://www.gov.on.ca/health/english/pub/ministry/
geneticsrep02/report_e.pdf ; CANADIAN BIOTECHNOLOGY ADVISORY COMMITTEE, Patenting of Higher
Life Forms and Related Issues. Report to the Government of Canada, Ottawa, June 2002, http://www.cbaccccb.ca/documents/en/E980_IC_IntelProp.pdf.
31
10
luogo appropriato per una decisione sostanzialmente politica 35.
Gli argomenti avanzati dai giudici della massima Corte sono differenti da quelli sostenuti sia
dalla US Supreme Court in Chakrabarty sia dall’EPO e ne rivelano la non-univocità. In
particolare, la Corte Suprema non ha ritenuto decisivi la riducibilità o meno della materia
organica a quella inorganica, e il carattere artificiale degli organismi transgenici.
I problemi sollevati dai giudici canadesi riguardano: (1) Il grado di controllo dell’inventore
sulla creazione dell’invenzione - La possibilità di controllare un organismo complesso è molto
ridotta, dal momento che questo possiede l’autonoma capacità di riprodursi; (2) La
distinzione tra intervento umano e leggi di natura nella creazione dell’Oncomouse – Poiché
l’intervento umano si innesta nell’autorganizzazione dei fenomeni biologici, non è facile
distinguere intervento umano e leggi di natura; (3) La rilevanza del test di riproducibilità –
Gli animali appartenenti a un medesimo modello transgenico non sono uguali (per questo la
stabilizzazione dei modelli transgenici avviene attraverso la clonazione). Nel campo dei
brevetti, invece, l’inventore dovrebbe essere in grado di riprodurre esattamente la propria
invenzione; (4) L’adeguatezza della distinzione tra forme di vita superiori e inferiori –Gli
organismi complessi non possono essere fatti rientrare nella categoria dei “composti di
materia” utilizzati a proposito dei microrganismi.
La Corte si è particolarmente soffermata su due punti, considerati decisivi nel demandare la
questione al Parlamento. Il primo punto riguarda l’impossibilità di intendere gli organismi
complessi come “composizioni di materia”.
Gli organismi complessi non sono
adeguatamente descritti come un insieme composito di sostanze analoghe a un composto
chimico o a un organismo semplice. La complessità strutturale rappresenta una realtà che
esige un livello esplicativo diverso e non esauribile da un’analogia rozzamente riduzionistica.
La necessità di tracciare un confine tra organismi semplici e complessi è rivelata dalle
conseguenze inaccettabili che l’opzione opposta comporta.
E ciò conduce al secondo punto considerato decisivo dalla Corte. Se non si accetta la
distinzione tra organismi semplici e complessi, analogamente non si potrà tracciare alcuna
linea di separazione tra organismi complessi umani e non-umani (per tacere dei problemi
posti dalla commistione tra tessuti e sequenze genetiche umane e non-umane, come accade
per gli xenotrapianti) 36. Esiste un consenso pressoché umanime nel non ritenere brevettabili
gli esseri umani, ma questa esclusione non sarebbe argomentabile da parte di chi ritiene
irrilevanti le differenze tra organismi semplici e complessi. “Non esiste un fondamento
difendibile, all’interno della definizione stessa di invenzione, per affermare che uno
scimpanzé è una ‘composizione di materia’ mentre un essere umano non lo è”37.
Anche a un primo sguardo è chiaro che, mentre il quadro concettuale e i singoli argomenti
costruiti dai giudici americani erano funzionali a una precostituita risposta affermativa alla
domanda sulla brevettabilità –ed erano anzi forgiati proprio sui criteri esistenti-, l’approccio
35
Commissioner of Patents v. President and Fellows of Harvard College, cit.: “This Court does not possess the
institutional competence to deal with issues of this complexity, which presumably will require Prliament to
engage in public debate, a balancing of competing social interests, and intricate legislative drafting”.
36
Ibidem, at 180.
37
Ibidem, at 178: “Should this Court determine that higher life forms are within the scope of s.2, this must
necessarily include human beings. There is no defensible basis within the definition of invention itself to
conclude that a chimpanzee is a ‘composition of matter’ while a human being is not”.
11
dei giudici canadesi non muove da una precomprensione già favorevole al brevetto, ma al
contrario valuta la sensatezza e pertinenza dei criteri esistenti in relazione alle nuove entità
geneticamente modificate. Ciò che la Corte Suprema rileva con chiarezza è il nocumento
prodotto da operazioni interpretative che perdano la consapevolezza dei propri confini di
senso. L’estremizzazione dei criteri di brevettabilità finisce per dare legittimità giuridica a
una visione scientifica –quella deterministico-meccanicistica- che né epistemologicamente né
politicamente giova alla riflessione e all’inquadramento complessivi che processi e prodotti
della tecnoscienza richiedono. Questa nuova visione di insieme non può che passare
attraverso una complessa e pluralistica elaborazione della società allargata.
Moore: il corpo come opera dell’ingegno
La pietra miliare nel processo di brevettabilità dei materiali biologici umani è costituita dalla
famosa decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso Moore v. Regents of the
University of California 38, relativa agli aspetti personali e patrimoniali degli atti dispositivi del
corpo. John Moore citò in giudizio per conversion (interferenza nell’esercizio del diritto di
proprietà) i medici e la società farmaceutica che avevano brevettato una linea cellulare
elaborata a partire da sostanze (linfochine) prelevate dalla sua milza. Mentre, in un primo
tempo, la Corte d’Appello della California accordò al ricorrente un diritto di partecipare agli
utili connessi al brevetto, la Corte Suprema della California riconobbe a Moore solo il diritto
al consenso informato (esteso anche al consenso a che altri sfruttassero economicamente i suoi
materiali biologici), ma non la diretta partecipazione agli utili derivanti dalla linea cellulare.
Vengono così contrapposte, nel ragionamento della suprema Corte, i due concetti di privacy e
di proprietà. Non è necessario forzare il “cerchio” della privacy e della dignità personale nelle
forme squadrate della proprietà, argomentavano i giudici di Moore. Ma il tentativo compiuto
dalla Corte di validare la tesi della sostanziale eterogeneità ed estraneità delle due diverse
istanze giuridiche poteva però essere argomentato solo con gli effetti negativi che si sarebbero
prodotti impedendo all’industria di accedere alle “indispensabili materie prime” (necessary
raw materials) utili alla ricerca farmacologica39.
La motivazione della Corte lascia uno strano vuoto a proposito della proprietà dei tessuti: da
un lato si dice che Moore non ha la proprietà dei materiali perché essi sono oggetto solo di atti
non patrimoniali di autonomia 40, dall’altro si precisa che nemmeno i titolari del brevetto
hanno la proprietà dei tessuti, ma solo i diritti relativi alla loro opera di ingegno.
I materiali nella loro oggettività risultano impalpabili, de-materializzati, ridotti unicamente
alla loro funzione: biologico-fisiologica nel corpo, informazionale dopo l’isolamento da esso.
38
Moore v. Regents of University of California, Cal. App. 2 Dist. (1988), e 51 Cal. 3d (1990).
Moore v. Regents of University of California, 51 Cal. 3d (1990) at 140, 144-145: “Yet one earnestly wish to protect
privacy and dignity without accepting (...) that the interference with those interests amounts to a conversion of
personal property. Nor is it necessary to force the round pegs of ‘privacy’ and ‘dignity’ into the square hole of
‘property’ in order to protect the patients, since the fiduciary-duty and informed-consent theory protect these
interests directly by requiring full disclosure. (...) The extension of conversion law into this area will hinder
research by restrincting access to the necessary raw materials”.
40
Cfr. anche Directive 98/44/EC, cit., Preamble (26): «Whereas if an invention is based on biological material of
human origin or if it uses such material, where a patent application is filed, the person from whose body the
material is taken must have had an opportunity of expressing free and informed consent thereto, in accordance
with national law».
39
12
Poiché i materiali biologici sarebbero inutilizzabili per il soggetto da cui sono prelevati, essi
vengono considerati come res derelictae, liberamente acquisibili come res nullius 41 da parte di
coloro che possiedano un dimostrabile interesse ad essi.
L’esistenza di tale interesse, consistente nella capacità di utilizzare e trasformare
l’informazione contenuta nei materiali biologici e di immetterla sul mercato, viene
considerato in re per gli operatori scientifico-economici, come coloro che di fatto detengono
tale potere.
Un recente documento del National Bioethics Advisory Committee sui materiali biologici
umani prosegue in questa linea interpretativa, precisando che i materiali biologici umani
“are available not to anyone, but in general are restricted to those who have legitimate research
interests in their use and presumably possess the capability to perform sophisticated scientific studies
that can reveal biological information about the samples or even health-related information about the
persons from whom they came” 42.
Di fatto, il criterio dell’isolamento e della purificazione dei materiali biologici è indicativo di
quella “capacità tecnologica” di trarre funzioni e informazioni utili dagli HBMs, che viene
associata all’esistenza di un interesse sui materiali, e che giustifica il controllo dei medesimi.
Anche se non esiste un vero diritto di proprietà sui raw materials -perché come si è precisato in
Moore, l’informazione contenuta nei materiali è fattualmente e legalmente distinta dalla
mera materia cellulare 43- un potere di controllo sui materiali viene di fatto allocato: un diritto
di disposizione viene infatti riconosciuto a chi possieda gli strumenti produttivi per sfruttare
economicamente i materiali e le informazioni.
L’eredità giuridica “quasi-globalizzata” del dopo Moore consiste nell’aver accettato come
legittima la separazione delle due questioni della privacy e della proprietà (o più
correttamente del controllo) nella regolazione dei materiali biologici umani; e nel considerare
tale separazione come l’unica mediazione possibile tra individui e collettività civile da un
lato, e scienza e industria dall’altro. Agli individui va il diritto alla privacy, alla società la
legittima attesa di progresso nella ricerca, all’industria della scienza l’incentivo economico per
41
OTA, New Developments in Biotechnology: Ownership of Human Tissues and Cells, cit., p.82: “Res Nullius Another defense that a researcher might assert is res nullius, which means things that are not owned. The res
nullius category included islands newly risen from the sea and wild animals. Under common law, for instance, a
distinction was drawn between domestic and wild animals. Domestic animals could be acquired and held as
property just like inanimate articles, but wild animals could only be the subject of a qualified property right. It
could be argued the patient and his tissues stand in a relationship similar to that between a landowner and wild
animals on his land. (…) Not having exercised dominion or control over the tissues, the patient’s rights therein
would be like those of a landowner who had made no attempt to capture wild animals passing over his land.
The argument seems strongest in the case of tumors because these are not normal, healthy parts of the body. A
defendant/researcher could contend that it was he, not the patient, who isolated and cultured the abnormal
bodily constituents and thereby reduced them to ‘possession’ “.
42
NATIONAL BIOETHICS ADVISORY COMMITTEE (nbac), Research Involving Human Biological Materials:
Ethical Issues and Policy Guidance, Report and Recommendations, Rockville, Maryland, August 1999,
http://www.georgetown.edu/research/ nrcbl/nbac/hbm.pdf Rockville, Maryland, August 1999,
http://www.georgetown.edu/research/ nrcbl/nbac/hbm.pdf, p.59.
43
Moore v. Regents of University of California, 51 Cal. 3d (1990), at 492-493: “This is because the patented cell line is
both factually and legally distinct from the cells taken from Moore’s body”.
13
la realizzazione di tale progresso.
Oltre la retorica: passi verso una maggiore democraticità
Non è un caso se questa riflessione sui brevetti biotecnologici si muove tra laboratori e
tribunali, ruotando prevalentemente intorno al lavoro svolto dai giudici. In un saggio 44
dedicato al ruolo svolto dalle Corti americane nel governare il dispiegamento sociale della
scienza, Sheila Jasanoff formula un giudizio sufficientemente positivo circa l’operato del
potere giudiziario. Anche se in taluni settori i giudici hanno mostrato scarsa capacità
riflessiva e critica nei confronti della ‘scienza ufficiale’ (mainstream science), così come
presentata dall'industria o dalle agenzie governative, il diritto americano si è rivelato sistema
flessibile ed efficiente nella regolazione di biotecnologie rispetto alle quali un accordo a livello
legislativo sarebbe stato assai arduo da conseguire. Potendo esercitare il proprio potere
decisionale in relazione a casi singoli, le Corti si sono di fatto prestate a un lavoro di
sperimentazione sociale, che si è rivelato un importante strumento di mediazione in un clima
di rapidi cambiamenti scientifico-tecnologici tra forti spinte e interessi sociali contrapposti.
Jasanoff riconosce ai giudici anche un altro merito: quello di rendere presente (e di
rappresentare) la società civile nelle aule giudiziarie. Proprio rivendicando l’autonomia del
diritto di fronte alla scienza, le Corti hanno assolto a tale funzione. Il significato di questa
autonomia, infatti, consiste nel sottolineare che alla società civile deve spettare la parola
decisiva circa l’evoluzione e la direzione del progresso scientifico.
Ciò che, invece, le corti spesso non hanno saputo fare è rivolgere il medesimo sguardo critico
a se stesse, ai propri presupposti nascosti, vale a dire alle assunzioni teoriche e pratiche in cui,
analogamente ai concetti della scienza, anche le categorie del diritto sono radicate.
Tuttavia, sia nel contesto europeo che nord-americano, i giudici hanno svolto un ruolo
determinante nella definizione dei criteri di brevettabilità della materia vivente, sia per
promuovere le sorti delle biotecnologie sia per correggerne gli eccessi. Nell’uno e nell’altro
caso le controversie giudiziali hanno offerto una possibilità di discussione rispetto a una
disciplina normalmente confinata nella burocrazia degli uffici brevetti.
Il diritto dei brevetti è uno degli ambiti in cui le categorie giuridiche sono maggiormente
imbevute di premesse scientifiche, sociali ed economiche che non rispecchiano più le esigenze
della situazione internazionale odierna, ma perpetuano un modello almeno in parte desueto
dei rapporti economici, della giustizia internazionale, della democrazia. La possibilità di
stabilire una connessione nuova e dinamica tra scienza e società passa attraverso una
revisione delle procedure democratiche: intendendosi qui per democrazia non tanto il
prevalere di una maggioranza, bensì la posizione politica che tende a non assumere come
autoritativo nessun linguaggio (nemmeno quello della scienza), senza sottoporlo al vaglio di
una riflessione critica istituzionale.
44
S. JASANOFF, Ordering Life: Law and the Normalization of Biotechnology, “in M. TALLACCHINI, R.
DOUBLEDAY (a cura di), Politica della scienza e diritto: il rapporto tra istituzioni, esperti e pubblico nelle
biotecnologie, “Politeia” 2001, XVII, 62, pp.34-50.