Testo La Signora delle Lucciole 25 agosto 2003

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Testo La Signora delle Lucciole 25 agosto 2003
CAPITOLO DECIMO
“Una sera a Portofino”
La Ferrari Testarossa ebbe un leggero sussulto causato da un’imperfezione
dell’asfalto. A duecentoventi all’ora Alberti sboccò su uno dei pochi rettilinei
che salivano al Passo dei Giovi. Per Aladina, Gerardo guidava un po’ troppo
come un pilota di Formula Uno. Naturalmente lui non poteva sapere che lei
detestava l’eccesso di velocità in macchina. Subì quindi lo stress in silenzio,
limitandosi a stringere convulsamente la maniglia della portiera. Paura e
eccitazione agitavano la giovane donna che continuava a restare silenziosa
osservando di sottecchi il suo compagno.
Concentrato al massimo nella guida del bolide rosso, Gerardo aveva assunto
un’espressione molto diversa dal solito. La cortesia formale, l’atteggiamento
cavalleresco, la disponibilità premurosa erano scomparse. Adesso i suoi occhi
avevano uno sguardo duro e un po’ esaltato come se l’alta velocità gratificasse e
sfogasse un’aggressività repressa. La linea della mascella appariva contratta e
un’ombra di barba cominciava a trasparire sulle guance facendole sembrare, in
quel momento, scavate.
Aladina comprese che l’uomo era dotato di una volontà di ferro: abbastanza
coerente con la posizione che era riuscito a raggiungere alla sua ancor verde età.
Ammise con se stessa di essere molto attratta, se non già un po’ innamorata di
lui.
Era Gerardo l’uomo del suo destino? Quello che Alessandra le aveva
preannunciato con tanta sicurezza? Chissà!
Aladina cercò di pensare ad altro. In fin dei conti non sentiva alcun desiderio di
ricadere in un impegno sentimentale. Bisognava vivere ora per ora senza crearsi
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problemi inutili. Adesso lei aveva un gran desiderio di essere spensierata, di
ridere, di ritrovare quella libertà che negli ultimi tempi le era tanto mancata.
I pensieri di Gerardo erano alquanto diversi. Era un uomo serio e la bella donna
che stava scarrozzando a duecento all’ora rappresentava già moltissimo per lui,
al di là dei piaceri effimeri che gli poteva dare. Una loro stretta alleanza avrebbe
paralizzato i Massei che prima o poi intendevano liquidare senza rimorsi la
parte industriale del Gruppo Crivelli da lui presieduta. Quindi Aladina era la
donna importantissima che doveva prendere in considerazione per il suo futuro.
Da lei dipendevano le sorti di numerose aziende che davano lavoro a migliaia di
persone: il propellente del suo prossimo lancio negli empirei della vera, grande
potenza industriale e finanziaria.
----------------------------------------------------------------------Per fortuna la piazzetta di Portofino era completamente deserta: una sorta di
palcoscenico vuoto. Dietro il faro sul promontorio, il sole stava tramontando e
Aladina ebbe un brivido di freddo.
“ Entriamo subito da Puny: mangeremo il pesce migliore del mondo”, le
sussurrò Gerardo.
Prima di entrare nel celebre ristorante, lei diede ancora un’occhiata dietro le
spalle. Il mare del porticciolo era calmissimo e lambiva la mini spiaggia al
limitare della piazzetta. Sull’acqua i gozzi dei pescatori restavano immobili.
Ripensò a quello che aveva detto Pamela. Si era confidata con lei su quella
scappatella romantica a Portofino.
“ Perché no: divertiti, ne hai un gran bisogno”, l’aveva incoraggiata – ormai si
davano del tu – “ ma non prenderlo sul serio questo intraprendente ingegnere.
Mi sembra che di mariti tu ne abbia avuti fin troppi. Ricordati che possiedi un
patrimonio di duemila miliardi e che sei bella come il sole. Puoi avere ai tuoi
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piedi tutti gli uomini del mondo. Non impantanarti subito nella routine di una
relazione.”
Non aveva torto, naturalmente.
Aladina sorrise in modo affascinante a Gerardo seduto di fronte a lei al tavolo
del ristorante. L’orata al cartoccio era squisita e quel vinello bianco ghiacciato e
profumato andava giù come l’acqua. Si sentiva giovane, bellissima e felice.
Gli occhi dell’uomo indugiavano sulla scollatura a V del suo pullover di
cashmere, accarezzavano il suo corpo e le facevano pensare a quello che
sarebbe accaduto più tardi.
La salita verso l’hotel Splendido le sembrò faticosa. I palmizi giganteschi del
giardino a terrazze lasciavano intravedere il cielo stellato.
Nella suite c’era un lettone morbido. Lei andò sul balcone che dominava la baia
e pensò che avrebbe voluto prolungare quella notte sul mare all’infinito. Non
aveva voglia di affrontare le dure giornate all’insegna della ricchezza.
Gerardo la seguì e la circondò con le braccia premendo il suo corpo contro di
lei.
“ Ti amo”, le disse e lei pensò che in quel momento diceva la verità.
---------------------------------------------------------------------------La mattina seguente tornarono a Milano molto presto.
Gerardo Alberti era un uomo gravato da enormi responsabilità e non poteva
certo permettersi di passare più di una notte lontano dall’azienda. Da
Milanofiori, dove lui era filato dritto in ufficio, Aladina aveva raggiunto via
Bigli a bordo di un auto del Gruppo.
Si trovava da pochi minuti nello studio di Enrico quando squillò il telefono
sulla linea riservata. La voce era maschile, dal timbro basso senza inflessioni:
parlava con proprietà di linguaggio in modo duro e conciso.
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“ Finalmente! Ho telefonato cento volte prima che qualcuno rispondesse a
questo numero. Dunque, cara signora Crivelli, ho qui un “pagherò” di
duecentottanta milioni che il suo defunto marito doveva onorare entro dieci
giorni. Suppongo che adesso ne debba rispondere lei.”
Raggelata, Aladina rispose naturalmente di sì.
“ Abbiamo pazientato a causa del difficile momento causato dalla morte del
caro Enrico, ma ora basta. Adesso deve pagare e subito.”
“ D’accordo, però io non sono al corrente di questi problemi. Mettetevi in
contatto con Piero Massei che saprà esattamente come comportarsi.”
“ No, signora, lei non ha capito niente. Un debito di gioco è un debito d’onore
e quindi va saldato dai familiari, non dall’azienda. Se lei non paga in fretta, a
suo figlio potrebbe capitare qualcosa di spiacevole. Uno di questi giorni
potrebbe tornare da scuola con un braccio di meno.”
Con la fronte madida di sudore, Aladina cadde a sedere perché le gambe non la
reggevano.
“ Lei chi è?”, disse con un filo di voce.
“ Sono un incaricato del creditore, Aldo Pelopida.” Si trattava del famoso re
delle bische.
“ Va bene. Salderò i debiti di gioco di mio marito quando voi restituirete al mio
avvocato questa promessa di pagamento.
“ Bene, signora. Ci metteremo noi in contatto con l’avvocato Guidi. Da domani
deve essere in grado di consegnarci l’assegno.
La comunicazione venne bruscamente interrotta. Aladina tirò il fiato e si
domandò quali altre brutte cose era destinata a scoprire come vedova Crivelli.
Senza concedersi pausa chiamo L’avvocato Guidi per dargli disposizioni in
merito.
“ Non si preoccupi, signora”, la rassicurò il penalista.
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“ Suo marito era un giocatore accanito: come suo legale ero abbastanza abituato
a transazioni del genere. Ricordo che una volta dovetti difenderlo da
un’imputazione di gioco d’azzardo in seguito a un’irruzione della polizia in una
bisca di Curatello. In questa situazione chi può pagare non corre rischi.”
Un po’ meno angosciata, Aladina comunicò la cifra da versare e disse a Guidi di
tenersi pronto a ricevere la telefonata dei biscazzieri.
“ D’accordo”, rispose l’avvocato. “ Intanto posso darle una buona notizia. Sono
riuscito a ottenere il suo passaporto che le farò recapitare subito.”
“ Grazie, avvocato! Ora posso organizzare immediatamente il viaggio a
Houston per l’intervento di mio figlio.”
-------------------------------------------------------------------Intanto a San Vittore, in una cella d’isolamento, Alessandra, fiera predatrice,
abituata a percorrere con il fucile in spalla molti chilometri al giorno, si
aggirava come una belva in gabbia nello spazio ristretto che la procedura penale
e l’amministrazione carceraria le riservavano.
Da tempo non vedeva nessuno tranne l’avvocato Guidi, al quale aveva ripetuto
di essere del tutto estranea all’omicidio.
L’interrogatorio con il giudice era stato semplicemente scandaloso. Si trattava
di uno stolido burocrate che teneva a accertare solo particolari secondari e
ininfluenti.
“ Lei conosce bene i fucili da caccia grossa?, le aveva chiesto per prima cosa
con piglio severo. Era una delle domande oziose, anzi tendenziose, alla quale
Alessandra aveva dovuto rispondere imponendosi la calma per non peggiorare
la situazione.
“ Come tutti sanno, signor giudice, io sono un’appassionata di caccia, più volte
campionessa italiana di tiro al piattello. Ho partecipato a numerosi safari in
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Africa, da dove sono tornata carica di trofei che oggi si trovano a Bereguardo
nella mia armeria, piena di fucili e di carabine: tutti regolarmente denunciati.”
Purtroppo Alessandra non era stata in grado di difendersi in altro modo. Non
aveva alibi. Quella sera di maggio, durante la quale, Enrico era stato ucciso, lei
si trovava sola nel suo letto a Bereguardo perché la mattina seguente avrebbe
dovuto alzarsi prestissimo per sovrintendere al ripopolamento della sua riserva.
L’interrogatorio era continuato a più riprese sempre su temi paradossali. Alla
nessuna prova che il magistrato riusciva a portare della sua colpevolezza
corrispondeva con diabolica simmetria la nessuna prova d’innocenza che
Alessandra poteva dargli. Per fortuna, l’avvocato Guidi le aveva garantito che
in queste condizioni al processo lei non avrebbe mai potuto essere condannata,
e che prestissimo avrebbe potuto ottenere la libertà provvisoria su cauzione.
Intanto però, da giorni e giorni, Alessandra doveva starsene rinchiusa in quel
lurido bugigattolo, e nonostante il suo spirito indomabile incominciava a
sentirsi veramente depressa. Mentre camminava in tondo nello spazio ristretto
per tenere i muscoli in allenamento, le immagini del passato tornavano a
turbarla.
I ricordi degli anni trascorsi con l’ex marito, che lei aveva tentato di cancellare,
tornavano a sprazzi.
La vita era una beffa.
Aladina, moglie per un’ora, aveva ereditato una fortuna: lei, che aveva passato
quindici anni infernali con Enrico, riuscendo appena a farglieli scontare con
quella piccola fucilata al piede, si trovava in prigione.
Alessandra ripensò con auto ironia agli anni ruggenti con Enrico, quando
sovraccarica di gioielli monopolizzava l’attenzione del tout Milan nelle grandi
occasioni mondane. Anche allora, nonostante la giovane età, le importava assai
poco di certi trionfi fugaci: era Enrico, soprattutto, che teneva a queste cose.
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Anche il gioco d’azzardo faceva parte della politica d’immagine che Crivelli
aveva adottato. Vincere o perdere con pari indifferenza somme da capogiro
trasmetteva agli altri quella che lui riteneva un’impressione conveniente, se non
giusta, della sua personalità. In sostanza voleva mostrarsi ricco, potente, con
nervi d’acciaio, amante oltre che delle belle donne anche del rischio: molto
relativo, in verità, considerato il suo ingente patrimonio.
Chissà se aveva continuato nello stesso modo anche dopo il divorzio. Era molto
probabile. Quell’insana passione non era comunque fine a se stessa. Enrico non
dimenticava mai gli affari.
Alessandra ricordava bene che uno dei suoi sogni era quello di diventare un
giorno padrone dei più importanti casinò italiani. Diceva che nessun altra
attività rendeva tanto.
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