Archeologia e Progetto

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Archeologia e Progetto
facoltà di Architettura
Archeologia e Progetto
paesaggi antichi lungo la via Clodia
tesi di laurea nella facoltà di architettura
www.gangemieditore.it
t
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DISTRIBUZIONE ITALIA - ESTERO
VERSIONE DIGITALE EBOOK / APP:
www.gangemieditore.it
Archaeology and Architecture
ancient landscapes along Via Clodia
degree theses in the School of Architecture
Direttore del Dipartimento di Architettura (DARC) Elisabetta Pallottino
[email protected]
Aule, uffici di presidenza e laboratori didattici
Largo Giovan Battista Marzi, 10
tel. 06 57339710
Corso di laurea triennale
Scienze dell’architettura
Corsi di laurea magistrale
Architettura - Progettazione Architettonica
Architettura - Progettazione Urbana
Architettura - Restauro
Dipartimento di Architettura
ex-Mattatoio
Largo Giovanni Marzi, 10
Argiletum
Via della Madonna dei Monti, 40
Archeologia e Progetto
paesaggi antichi lungo la via Clodia
tesi di laurea nella facoltà di Architettura
Luigi Franciosini
Corsi post lauream
Master internazionale di II livello
Arte, Architettura, Città
http://www.articiviche.net/LAC/MAAC.html
Master internazionale di II livello
Architettura | Storia | Progetto
www.masterasp.eu
Master internazionale di II livello
Housing_Nuovi modi di abitare tra innovazione e trasformazione
www.masterhousing.it
Master internazionale di II livello
Restauro architettonico e cultura del patrimonio
www.restauroarchitettonico.it
con i contributi di
Elisabetta Pallottino
Francesco Cellini
Alessandra Carlini
Paola Porretta
Cristina Casadei
Master internazionale di II livello
Master europeo in Storia dell’architettura
Master Internazionale di II livello
Innovazione nella progettazione, riabilitazione e controllo delle strutture:
valutazione e adeguamento in zona sismica
www.mastermica.org
Master Internazionale di I livello
Progettazione Sostenibile
www.progettosostenibile.org
CORSI DI PERFEZIONAMENTO
OPEN_Progettazione dei parchi e dello spazio pubblico
Storia e Progetto
Cultura del Progetto in Ambito Archeologico
DOTTORATI
Architettura: innovazione e patrimonio
Paesaggi della città contemporanea. Politiche, tecniche e studi visuali
Dottorato internazionale di architettura Villard d’Honnecourt
Scuola dottorale Culture e trasformazioni della città e del territorio
Cura redazionale: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Giulia Cervini
Traduzioni: Cristina Casadei, Laura Della Sala
In copertina:
Norchia [ foto di Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei ]
Le foto pubblicate in questo volume sono di proprietà degli autori degli articoli.
Volume stampato con il finanziamento del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Roma Tre
e il contributo dell’ex facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma Tre
progetto grafico di
Elena Caroti
Laura Della Sala
indice
6
Prefazione
Elisabetta Pallottino
7
Architettura per l’archeologia
Francesco Cellini
9
Paesaggi antichi lungo la via Clodia.
Introduzione al laboratorio di tesi di laurea in progettazione architettonica nel contesto territoriale dell’Etruria Meridionale
Luigi Franciosini
16
Indagine storico-cartografica lungo il tracciato della via Clodia
Alessandra Carlini e Paola Porretta
18
Leggere il paesaggio: sistemi di percorrenza e modi di abitare il territorio nell’Etruria Meridionale
Alessandra Carlini
23
Progetto di assetto generale dell’area delle necropoli della Tuscia
Cristina Casadei
2
1
28
Esperienze progettuali
30
Cerveteri.
Comprensione dei paesaggi sepolcrali e nuova fruizione
Elena Caroti
38
San Giovenale.
Valorizzazione e fruizione del sito archeologico. Protezione e musealizzazione dell’insediamento etrusco del Borgo
Giulia Cervini, Ilaria De Vito
46
3
4
Luni sul Mignone.
Analisi ed interventi per la valorizzazione ed una migliore fruizione dell’area archeologica
Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
58
L’area archeologica di Norchia
60
Norchia.
L’antico fossato etrusco e l’accesso meridionale
Manuel Giugliano
66
2
Norchia.
Accesso ovest e collegamento tra la cava buia ed il pianoro settentrionale
Carolina Reale
1
3
4
72
Norchia.
Valorizzazione del castello e del castelletto adiacente al complesso del castrum medievale nel settore occidentale del pianoro
Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei
80
5
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
96
plastici territoriali realizzati presso la facoltà di
Roma Tre con l’ausilio della macchina a controllo
numerico e del tecnico Massimiliano Pontani
5
1_ Tarquinia
2_ Norchia
3_ Luni sul Mignone
4_ San Giovenale
5_ Cerveteri
Norchia.
Pianoro settentrionale e pieve di San Pietro
Norchia.
Recupero della chiesa di San Pietro
Marco Frosi
102
Tarquinia.
Recupero delle antiche connessioni tra la città dei vivi e la città dei morti.
Laura Della Sala
6
A “cultural landscape” is the result of many
natural and anthropic stratifications.
During the 19th Century several researchers
studied,
represented,
reinterpreted
and
poetically described such type of landscape.
This book collects architectural degree theses
dealing with the ancient landscapes along Via
Clodia.
Such works represent a beautiful example of
how the research into the cultural landscape is
taking place at the University of Roma Tre.
They may became a model to follow in order to
integrate research and teaching.
La necropoli della Banditaccia agli inizi del Novecento
durante i lavori di Raniero Mengarelli,
dalla tesi di laurea in Architettura di Federica Gagliardini,
Osservatorio dei restauri della Necropoli della Banditaccia
(1908-2007), relatore E.Pallottino, 2013.
7
Prefazione
Architettura per l’archeologia
Elisabetta Pallottino
Francesco Cellini
E’ un paesaggio culturale, opera congiunta della natura e dell’uomo, quello che a metà Ottocento
George Dennis raccontò nelle Cities and cemeteries of Etruria, in una visione romantica di rovine,
memorie e misteri, illustrata dai suoi schizzi e da quelli dell’amico pittore Samuel James Ainsley.
Se ne percepiscono ragioni e tratti peculiari soltanto camminandovi dentro senza sosta come fece
Dennis, viaggiatore ed esploratore britannico già abituato ad analoghe fatiche in Portogallo e in terra
di Andalusia. Ricognizioni, citazioni antiquarie, racconti e disegni realizzati con la camera lucida gli
permisero di individuare e studiare le identità dei luoghi e di raccontarle a studiosi, turisti e studenti
di allora. E con tutti loro, alla fine della prefazione, si scusava per l’incompletezza e i possibili errori
spiegando con le parole di Plinio il Vecchio quanto fosse difficile “trovare il senso di ogni cosa e
prendere ogni cosa nel suo vero senso”.
Alla ricerca e alla rivelazione del senso dei paesaggi antichi, alcuni un tempo lungo un percorso che
poi prese il nome di via Clodia - Cerveteri e Tarquinia, San Giovenale, Luni sul Mignone e Norchia -,
contribuisce il lavoro che segue, frutto dell’amore di Luigi Franciosini per questi luoghi e dell’attenta
e appassionata attività di ricerca e formazione da lui promossa nel Dipartimento di Architettura di
Roma Tre. I progetti e gli studi delle tesi di laurea, i disegni e i plastici soprattutto, raccontano natura,
orografia e architettura sepolcrale, strade, forre, fossi e pianori, rocce tufacee della terra e dell’uomo.
E’ uno degli sguardi possibili, un modo di riscrivere oggi il paesaggio degli Etruschi e di raccontarlo a
chi lo percorre, dopo secoli di oblio o di trasformazione, in coda alle ricostruzioni poetiche e materiali
che lo hanno reinventato dal Settecento in poi, dall’antiquaria alla scienza storica e archeologica, alla
letteratura di pilgrimage e alla poesia di Dennis, Carducci, Lawrence, Cardarelli e Huxley, ai restauri
novecenteschi di Raniero Mengarelli, instancabile nuovo artefice della Necropoli della Banditaccia.
Anche la cultura contemporanea degli architetti può declinare con diversi accenti il suo amore per
questi luoghi e dedicare al paesaggio dell’Etruria meridionale sguardi e azioni di valorizzazione
capaci di affiancare archeologia, scienze del patrimonio e del territorio, restauro e progetto del
paesaggio e dell’architettura.
Ne sono un esempio di grande interesse le tesi che qui si pubblicano, un’esperienza didattica che
prende le mosse da un finanziamento regionale del 2010-2012 per una ricerca dal titolo Regione
Lazio: luoghi d’identità diffusa per il turismo culturale che Alessandra Carlini e Paola Porretta hanno
svolto per due anni sul territorio della Tuscia, come è brevemente riassunto nel loro testo.
Su questo tema nuove pubblicazioni di studi e di tesi sono in programma e diverse iniziative sono
in corso nelle attività didattiche e di ricerca delle lauree magistrali e del terzo livello del Dipartimento
di Architettura, anche in risposta ai numerosi progetti di valorizzazione che strutture ministeriali,
Regione Lazio e associazioni promuovono in questi mesi.
La ricerca sul paesaggio culturale è ancora all’inizio e si presenta come un orizzonte molto
promettente di attività universitaria multidisciplinare e interdipartimentale, capace di istruire una
programmazione integrata di valorizzazione del territorio storico e del suo patrimonio: gli studi e i
progetti architettonici pubblicati in questo volume ne sono un bellissimo esempio e costituiscono un
modello di integrazione tra ricerca e didattica.
This volume follows other two publications
issued by our University. During these years
the School of Architecture of the Roma Tre
University has been strongly involved in the
architectonic design sperimentation for the
enhancement of the cultural heritage.
The Italian wide-spreading cultural heritage
deserves more than what it has nowadays. More
than the mere safeguard and maintenance,
more than a management that furthers only the
touristic aspect of it.
Such cultural heritage nowadays lives as a
silent presence within the cities, the suburbs,
the landscape, waiting for an intervention that
would make it more understandable. The ideal
intervention would be an architectural one
and represents the goal that we as teachers,
students, researchers aimed to reach within
these years. It has been a constant growth that
can be easily understood just by looking at the
differences between these three publications.
The first two publications show a passionate,
although not systematic approach. This book
instead offers a methodical study of the
landscape, more specifically, the landscape of
Southern Etruria.
The main theme of this study is the recovery
of the relations between the morphology of
the territory, the urban settlements, the burial
settlements and the paths through the natural
and anthropic environment.
Such relations generated a widespread
system that belong to each one of the ancient
civilizations and that has still much to say and
teach to whom is able to understand it.
Questo volume fa seguito ad altre due pubblicazioni sul tema prodotte negli anni dalla nostra Facoltà,
oggi Dipartimento, confermando il nostro originario, permanente e profondo interesse (come docenti,
studenti, laureandi, ricercatori ecc.) alla sperimentazione progettuale architettonica nel campo della
valorizzazione del patrimonio. Siamo infatti convinti che il vasto, e molto eterogeneo, insieme dei
così detti Beni Culturali non possa essere efficacemente curato, né veramente custodito, soltanto
dai preposti organi di salvaguardia, conservazione e manutenzione; che esso non debba essere un
campo di studi esclusivo, riservato esclusivamente ai tradizionali e consolidati specialismi, e che,
infine, non possa essere gestito semplicisticamente affidandolo ad una mera logica turistica, nei fatti
sempre più triviale e tuttavia sempre meno economicamente redditiva.
Intanto la cultura dell’architettura e gli strumenti conoscitivi che gli sono propri avrebbero sul tema
un grande spazio, come è stato nel passato; è necessario però liberarli dalle scorie che vi hanno
depositato decenni di insensato, vuoto e fuorviante protagonismo mediatico. Ma è in realtà il progetto
di architettura che deve oggi avere ancora più spazio; perché, alla fine, i beni culturali stanno nelle
città, nelle periferie e nei territori, come presenze spesso mute, spesso invadenti, problematiche
e talora persino fastidiose per la vita di tutti i giorni, aspettando (invano) cura, armonizzazione,
pubblica comprensione, conoscenza, uso, restauro del senso e della storia. E questo può farlo solo
un intervento attento, equilibrato, consapevole e, soprattutto, di architettura.
Questo, a grandi linee, è l’obiettivo che da anni ci siamo posti: l’abbiamo avuto nella didattica dei corsi
di laurea e dei master, nelle tesi (sempre più numerose), nelle ricerche individuali e collettive, nei
rapporti scientifici nazionali ed internazionali e pure nei progetti professionali che ci è stato possibile
intraprendere. Come è naturale tutto questo bagaglio di esperienze ha permesso una progressiva
precisazione ed affinamento dei metodi e, pure, delle nostre ambizioni: per esempio, col contributo
di altri colleghi interessati alla cosa, abbiamo appena intrapreso un dottorato consortile appunto su
‘Innovazione e Patrimonio’.
Ma quest’evoluzione apparirà chiara anche a chi vorrà confrontare i contenuti di questo volume
con quelli dei due precedenti. I primi infatti testimoniano un approccio appassionato, ma non
completamente ordinato riguardo i casi indagati; abbiamo infatti cominciato sollecitati dalle occasioni
e dalle emergenze della nostra città (i Fori imperiali, il Circo Massimo, gli acquedotti ecc.) o da
specifiche proposte e interessi dei singoli (noi stessi, i ricercatori, i laureandi ecc.); poi tutto ora è
diventato più strutturato e sistematico.
Qui, in questa raccolta, infatti si parla di paesaggio e di Etruria meridionale, proponendo (in
consonanza con una ricerca dipartimentale) una sequenza di progetti geograficamente e
metodologicamente coerente, che nell’insieme si costituisce come l’esordio di una futura e compiuta
analisi scientifica e insieme come una narrazione (quasi una guida) di un territorio storico. Il
quale poi è straordinario e ricchissimo, poco abitato e quasi del tutto sconosciuto e documentato,
almeno nella sua struttura generale: inselvatichito, abbandonato dall’agricoltura, oggetto di una mal
distribuita protezione paesaggistica, orientata a garantire un’astorica naturalezza, meta di gitanti
occasionali e di tombaroli, esso tuttavia contiene un’infinità di testimonianze antropiche plurisecolari
(plurimillenarie) e pluriculturali. Qualcuna di esse (Cerveteri, Tarquinia, Tuscania ecc.) è parte del
patrimonio ufficialmente e turisticamente noto. Qualche altra è stata approfonditamente analizzata
dagli archeologhi e spesso è rimasta lì, a scavi aperti, abbandonata e quasi irraggiungibile,
proponendosi come un naturale oggetto di nuovi studi e interventi. Ma il tema più interessante e
sorprendente, che accomuna tutti i progetti presentati, è quello della riscoperta e descrizione delle
relazioni fra orografia, insediamenti, luoghi sacri, sepolture, percorsi, ponti, tagliate e sentieri: reti
vitali e caratteristiche di ogni civiltà e della sua visione del mondo, dissimili e sovrapposte l’una sopra
l’altra dalla violenza della storia e dei vincitori, ma ancora in parte riconoscibili e, se riconosciute (che
appunto qui è dimostrato possibile), parlanti, coinvolgenti, commoventi ed educative.
8
9
a sinistra: Carta Geologica dello Stato pontificio,
G. Ponzi, 1831 -1846
sotto: individuazione delle aree di interesse
Paesaggi antichi lungo la via Clodia.
Introduzione al laboratorio di tesi di laurea in progettazione architettonica
nel contesto territoriale dell’Etruria Meridionale
Luigi Franciosini
L’area di studio del Laboratorio
Lungo il tracciato della via Clodia, risalente al III
sec. a.C., che descrive il potenziamento romano
della preesistente direttrice etrusca in direzione
Nord-Sud dell’Etruria), è stato individuato
un settore territoriale più integro e meglio
conservato dal punto di vista ambientale, rispetto
a quelli più prossimi ai centri urbani (coinvolti da
trasformazioni e dagli sviluppi edilizi recenti),
caratterizzato dalla presenza di nuclei edilizi di
origine etrusco-romana e medioevale di grande
valore storico artistico e da importanti complessi
monumentali: dagli abitati protostorici risalenti
alla civiltà villonoviana dell’età del bronzo alle
necropoli rupestri, alle chiese romaniche. Un
articolato sistema storico-archeologico inserito
nel qualificato contesto ambientale e paesistico
dell’Etruria Meridionale.
Più specificatamente l’area di studio ha
compreso, lungo il tracciato della via Clodia, i
centri di Barbarano Romano, con il complesso
archeologico di San Giuliano, identificato con
il toponimo di Marturanum, l’abitato di Blera, la
medioevale Bieda, importante città etrusca poi
municipio romano, la località di Grotta Porcina,
la città di Norchia, Orcla, per concludersi
con l’abitato di Tuscania, importante centro
identificato come la città degli Etruschi dal
riferimento all’etnico Tusci. Inoltre, seguendo i
diverticoli aventi origine dalla via Clodia, sono
stati compresi il complesso archeologico di San
Giovenale e quello di Luni sul Mignone, dalle
importanti tracce di fasi protostoriche risalenti
dell’età del bronzo.
Infine l’area di studio si è estesa tanto da
comprendere le due grandi città costiere
dell’Etruria, Cerveteri e Tarquinia, centri di
controllo politico ed economico dell’entroterra.
This book is a collection of the works produced
within the Educational Workshop for degree
thesis in Architectonic Design that I coordinated
during the years 2011-2013.
This teaching initiative has been part of the
research co-funded by Regione Lazio and
by the Department of Architecture of Roma
Tre University: “Luoghi d’identità diffusa per
il turismo culturale”. The research project
has been directed by Elisabetta Pallottino
and shared by me, Alessandra Carlini, Paola
Porretta and Cristina Casadei within.
The object of the research is the inland territory
of northern Lazio, known as Southern Etruria. It
is delimited on the one hand by the Cassia route
and the Aurelia route, and on the other hand by
the Tyrrhenian coast and the volcanic system of
Cimini, Sabatini and Tolfa mountains.
The research in particular focuses on the
ancient Via Clodia path, in particular in the
hinterland stretch that goes from “Ad Sextum”,
near Rome, to Tuscania. This stretch of the Via
Clodia connects the ancient etruscan-roman
cities of the northern Lazio.
The analysis method examines geographical,
historical, archaeological and urban documents.
Our aim is to restore the physical and cultural
identity of such important area of ancient Italy.
Dealing with the landscape and with the historical
and archaeological context is an important part
of the formation of an architect, an exercise in
understanding the structure and the complexity
of the places that represent in the space the
synthesis of the story of time.
Premessa
Questa pubblicazione raccoglie ed ordina i risultati del lavoro prodotto nel Laboratorio di Tesi di
laurea in Progettazione Architettonica da me coordinato negli anni accademici 2011-2013, iniziativa
didattica integrata alla ricerca co-finanziata dalla Regione Lazio e dal Dipartimento di Progettazione
e Scienze dell’Architettura dell’Università degli studi di RomaTre dal titolo: Luoghi d’identità diffusa
per il turismo culturale. Programma di ricerca diretto da Elisabetta Pallottino e condiviso, oltre che
dallo scrivente, da Alessandra Carlini, Paola Porretta con il contributo di Cristina Casadei.
Il campo di applicazione della ricerca si identifica con il territorio dell’entroterra laziale compreso
tra il tracciato della via Cassia e quello della via Aurelia, tra la costa tirrenica e il sistema vulcanico
dei monti Cimini, Sabatini e i monti della Tolfa, territorio comunemente identificato con l’Etruria
Meridionale.
Lo studio si concentra sull’antico tracciato della via Clodia1 nello sviluppo extra urbano dalla stazione
di Tomba di Nerone (Ad Sextum), nei pressi di Roma, a quella di Tuscania2 (Tuscana), importante
caposaldo territoriale della via consolare romana nel cuore dell’Etruria, estendendosi ai centri antichi
di origine Etrusco-Romana che caratterizzano l’articolato sistema antropico dell’alto Lazio Viterbese
(San Giuliano, San Giovenale, Luni sul Mignone, Blera, Norchia).
Studi geografici, ambientali, storico-archeologici ed urbani caratterizzano il metodo di indagine,
nell’obiettivo di restituire l’identità fisica e culturale di un importante territorio dell’Italia antica.
Una ricognizione scientifica centrata sull’identificazione e riconoscimento dei valori e peculiarità del
patrimonio culturale ed ambientale del luogo per l’attuazione di una piattaforma-museo virtuale in
grado di restituire l’insieme delle qualità del territorio e per la sua potenziale valorizzazione.
Inoltre il lavoro si è posto come obiettivo quello di implementare il sistema informativo fornendo alle
istituzioni locali (comuni, provincie, associazioni, etc.) uno strumento guida di tipo collegiale per
meglio coordinare le trasformazioni del territorio.
In questo quadro strategico si individua l’attività del Laboratorio di Progettazione Architettonica, vero
e proprio campo di sperimentazione teorico-applicativa sul rapporto tra territorio, storia, paesaggio
e progetto.
Il contesto storico-archeologico e paesaggistico è considerato come un momento educativo della
formazione dell’architetto: un impegno all’ascolto e all’interpretazione della struttura complessa del
paesaggio, sintesi e palinsesto materico del racconto del tempo nello spazio.
La ricerca si situa in un campo di interazioni disciplinari molto ampio: dall’archeologia alle tecniche
della conservazione, valorizzazione e musealizzazione; dalla storia del restauro e del pensiero
estetico e filosofico alle tecniche compositive, tecnico-costruttive e strumentali. Un campo, questo,
fisiologicamente aperto e in continuo sviluppo.
10
11
Nella pagina precedente: il paesaggio dell’Etruria
Meridionale: la forra del Vesca presso San Giovenale.
In questa pagina ed in quella accanto: la necropoli del
Laghetto a Cerveteri. Tombe a fossa e a pozzetto scavate
sul banco affiorante di tufo, IX-VIII secolo.
Il contesto: cenni storici e geografici.
La morfologia del territorio dell’Etruria
Meridionale è il prodotto delle ceneri proiettate
dall’attività eruttiva dei vulcani laziali (Sabatini,
Volsini e Cimini): una spessa coltre di materiale
tufaceo e di vene basaltiche depositate su uno
strato di terreno sabbioso-argilloso di origine
pliocenica. Vasti ripiani tufacei con modestissima
altitudine (tra i 350 e i 50 m s.l.m.) discendono
dalle creste dei crateri verso le valli circostanti.
Sulla superficie scorrono infiniti torrenti e
fiumastri che, lungo il corso del tempo, hanno
prodotto profonde incisioni, alla base delle quali,
tra il folto della vegetazione ripariale, scorrono
silenziosamente tuttora. Così quest’antica
superficie terrestre, per l’effetto dell’erosione
prodotta dai corsi d’acqua, si descrive come
fosse una mano dalle dita orientate, da un
lato, facendo centro sulle antiche caldere, oggi
bacini lacustri, dall’altro, diramate a ventaglio
verso ponente sulla costa tirrenica e, ad oriente,
sulla piana alluvionale del Tevere. Vasti ripiani
difesi naturalmente da alti speroni tufacei rossogiallastri, precipiti sulle valli sottostanti, un tempo
esclusivo dominio delle macchie e delle selve,
furono lungo il corso del tempo luoghi mitici
di fondazione di villaggi e città oltre a divenire
scena di quel lento processo di trasformazione
che plasmò il territorio in paesaggio del lavoro
umano. Per effetto di questa morfologia la
fisionomia del territorio si presenta quindi
compresa tra tre caratteri principali: quella dei
pianori con andamento orizzontale, espansa
profondamente sugli orizzonti fino ad incontrare
a Est, i rilievi pre-appenninici ed ad Ovest la costa
del mar Tirreno: paesaggio della pastorizia brada
e transumante, della coltivazione estensiva del
grano e delle colture arboree dell’olivo e della
vite; e quella delle forre, caratterizzata da
una spazialità maestosamente verticale, dai
profondi burroni di roccia vulcanica, bordati da
macchia sempreverde del leccio e del bagolaro,
e da un fondo valle piatto, umido, alluvionale, un
tempo occupato da oasi di colture irrigue. Infine
il paesaggio delle selve tutte aggrappate sulle
pendici degli apparati vulcanici e discendenti
lungo i crateri fino ad incontrare i bacini lacustri:
selve impenetrabili di faggi e castagni impongono
un carattere selvaggio ed primordiale al luogo.
Tra il XII e l’VIII secolo a.C. tra le colline metallifere
della Tolfa, delle valli dei fiumi Mignone, Marta
e Fiora si affermerà la civiltà centro italica che
prenderà il nome di Villanoviana, comunemente
considerata la prima manifestazione della
cultura Etrusca. Ma già all’inizio dell’VIII
secolo l’Etruria vide rapidamente il passaggio
da una fase arcaica, ad una fase che “segna
l’inizio di una civiltà orientalizzante, dominata
dalle importazioni, dalla sollecitazioni e dalle
ideologie provenienti dal vicino Oriente e
dalla Grecia (per altro già pienamente protesa
verso la colonizzazione dell’Italia meridionale)
con alte concentrazioni di poteri e ricchezze,
aggregazioni urbane, espressioni monumentali,
diffusione della scrittura: cioè segna l’inizio
dell’età di piena, ed anzi massima fioritura del
popolo etrusco”3.
Delle città etrusche fondate sui pianori dei banchi
tufacei, difese dai dirupi naturali a strapiombo
sulle valli irrigue, costruite con assi di legno e
blocchi ciclopici di tufo ormai è sparito quasi
tutto. Poco è visibile: le rovine superstiti gemono
sotto le murature degli abitati medioevali o,
quando ancora seppellite tra i campi, soffrono il
vomere dell’aratura. Per inverso rimane visibile
molto delle città dei morti: necropoli, sepolcreti
e grandi monumenti funerari, emergono solenni
nel scenario selvaggio di questa Etruria: scavate
e modellate fuori dai perimetri dei centri abitati,
costituiscono il contrappunto simbolico, l’altra
città, segno distintivo nel paesaggio per indicare
la continuità con l’altra vita, ed essere anche
monito per aver celebrato tra i vivi le memorie e
ed aver indicato i destini della classe egemone:
“una tomba era davvero un oggetto da pensare
da vivi ancor più che abitare da morti.” 4
Indipendentemente dalla forma, dal tipo, dalla
ricchezza e monumentalità esse costituiscono
un enorme patrimonio di conoscenza per
comprendere quel variegato percorso evolutivo
che la civiltà dei Tirreni, gli Etruschi, principale
artefice della prima Italia, compie attraverso i
contatti e scambi nel contesto delle più evolute
civiltà del mediterraneo orientale, cicladico,
euboico ed anatolico.
Tuttavia, in questo immane sforzo d’emulazione,
di conoscenza e riadattamento, rimane visibile
una identità culturale, distinta e riconoscibile, se
confrontata con il contesto di civiltà e di culture
millenarie provenienti dal Mediterraneo antico.
Le eccezionali emergenze archeologiche
diffuse in questo territorio -come ad esempio i
monumentali complessi di necropoli rupestri e
di monumenti funerari come quelli di S. Giuliano,
Blera, Grotta Porcina, Norchia, Tuscania,
Sovana, Castel d’Asso, o i resti di abitati
villanoviani ed etruschi di Luni sul Mignone e
di San Giovenale o le straordinarie necropoli
della Banditaccia di Caere e di Tarquiniatestimoniano l’unicità e la grandiosità artistica
ed architettonica nel coevo contesto italico.
Alle soglie del III sec. a.C., quando l’egemonia
delle grandi città Etrusche è decaduta (Veio,
Cerveteri, Tarquinia e Vulci sono ormai
definitivamente sottomesse a Roma), dell’antico
sistema di vie e di tagliate (quella fitta rete
di mobilità che aveva per secoli assicurato
rapporti economici e commerciali tra la costa
tirrenica e l’entroterra, da Est ad Ovest,
attraverso le direttrici che da Veio conducevano
a Cervetere e a Tarquinia, e da queste verso i
territori dell’entroterra fino al Tevere) rimane
ben poco; un nuovo assetto politico e territoriale
subentra favorendo la creazione di nuove
strade di comunicazione: moderne direttrici
stradali, (sebbene conformate su antichi
tracciati etruschi) penetrano da Sud a Nord,
da Roma verso i territori a settentrione. E tra
queste strade compare la via Clodia, un asse
di attraversamento posto tra il tracciato costiero
dell’Aurelia e quello della via Cassia che corre
sulle pendici di ponente della Selva Cimina.
Con la decadenza delle città costiere di
Cerveteri e Traquinia, e la conseguente
romanizzazione dell’Etruria Meridionale,
si
assiste ad uno sviluppo di piccoli centri agricoli
spostati nell’entroterra. Polarità urbane tutte
allineate lungo la romana direttrice della via
Clodia (Veiano, San Giuliano, Blera, Norchia,
Tuscania, Sovana, etc.). Un retroterra che
sarà caratterizzato dalla realizzazione delle
monumentali necropoli rupestri, espressione
artistica tra le più rilevanti dell’Etruria interna,
monumenti in grado di trasferire il clima
culturale della regione dall’età arcaica a quella
della penetrazione e colonizzazione romana
testimoniata dalla costruzione della nuova
direttrice stradale.5
Il processo di decadenza di questi centri urbani
e della campagna si accentua con l’età avanzata
imperiale dove, unici testimoni di quel grande ed
eroico passato rimangono isolate nel paesaggio,
le ville rustiche di estesi latifondi che man mano
si erano sostituiti alla minuta struttura agricola,
costituita da piccole proprietà terriere.
Con la caduta dell’impero Romano d’Occidente
(476 d.C.), quel fenomeno di graduale
spopolamento dei centri urbani e del territorio
agricolo è scena di invasioni e devastazioni (Goti,
Bizantini, Longobardi) tanto da determinare
profondi cambiamenti dell’originario assetto
naturale ed antropico.
Il VI sec. d.C. è polarizzato dalle continue lotte tra
Bizantini e Longobardi conclusesi con il trattato di
pace del 605 che segnò la spartizione definitiva
della Tuscia in Romanorum e Longobardorum
sotto il dominio bizantino. Una divisione che
andava a confermare l’antica demarcazione
etnico-culturale tra i territori di levante (Falisco,
Volsinese) e quello Tarquinense, di ponente.
Una divisione che troverà nel tracciato viario
della Cassia, strada Beati Petro Apostoli, la sua
frontiera.
Il lungo conflitto tra Papato ed Impero si protrarrà
fino alle soglie dell’VIII sec. quando si formerà
l’entità del Patrimonio Beati Petri 6, con la
conseguente definizione amministrativa e fisica
in Cattedre Vescovili: le diocesi. Ne emergerà,
dopo un lungo intervallo di inerzia edilizia, una
rinascita dei nuclei urbani ricostruiti sopra le
rovine dei centri etrusco-romani allineati lungo
la via Clodia e sui diverticoli minori di antica
origine Etrusca.
Nuove cattedrali e chiese basilicali dalle
imponenti torri campanarie, si innalzeranno come
solenni moniti sul paesaggio dei pianori e delle
forre dell’Etruria: con un lessico architettonico
misurato tra l’eredità tardo-antica e bizantina
e gli impulsi internazionali franco-lombardi e
musulmani, daranno un impulso decisivo per lo
sviluppo storico-artistico dell’architettura italiana
del medioevo.
Ed è proprio lungo l’antica Clodia (che vide Carlo
Magno percorrerla per essere incoronato re dei
Franchi da papa Adriano) nel cuore dell’Etruria
meridionale, tra Blera, Orcla (Norchia) a Sud
e Sovana a Nord, che verrà istituita la diocesi
di Tuscania, la più antica e potente tra tutte,
che vantava il suo primo vescovo già nell’anno
595, Viburno Eposcopus Civitatis Tuscanensis,
assecondando il flusso della prima penetrazione
cristiana a Nord di Roma.
Con le sue antiche chiese (San Pietro,
Santa Maria Maggiore, XI-XIII sec.) costruite
sulla vecchia acropoli - l’arx - tra le rovine
dell’antichità etrusco romane7, Tuscania con
i suoi monumenti diverrà il fulcro tipologicofigurativo dell’architettura religiosa del Patrimonio
Beati Petri. Un linguaggio che impostato sulle
solide basi ab antiquo e sul repertorio costruttivo
dedotto da metodi e forme della tradizione
locale, incontrerà quello Lombardo, quello di
Cluny, quello islamico (proveniente dalla Sicilia
araba), modulato dalle navate tripartite della
basilica romana, dalla plastica delle absidi a
catino, delle semicolonne e degli archetti pensili,
12
13
Nella pagina accanto: la tomba del Cervo, lungo la valle
del fosso di San Giuliano, IV secolo a.C.
In questa pagina: lungo il fondovalle del Pile tombe
compaiono alcune tombe a dado, delle quali traspaiono
le incisioni delle finte porte.
oltre a risentire delle suggestioni della limitrofa
maremma toscana e di Pisa.
In questo quadro appaiono allora spiegarsi le
assonanze architettoniche e decorative tra San
Pietro di Orcla (antica denominazione dell’attuale
sito di Norchia), ormai ridotta in rovina, i grandi
esempi di San Salvatore e San Pancrazio di
Corneto (Tarquinia), Santa Maria Maggiore di
Cerveteri, con i grandiosi esempi Tuscanensi.
La volontà di Enrico VI di Svevia, re ed Imperatore
dei Romani e di Sicilia (attuata dalla bolla
papale di Celestino III del 1193), per attuare lo
spostamento da Tuscania a Viterbo dell’Autorità
Ecclesiastica, città quest’ultima fondata nel cuore
del comprensorio dell’Etruria “vicina alla Cassia,
in diretto rapporto con Roma e il Nord, ma anche
polo di accentramento di nuclei agricoli, con
vasta possibilità di espansione nell’ambiente che
l’aveva generata come necessario elemento di
coordinamento”8 segnò l’inizio della decadenza
dell’antica via Clodia, di Tuscania e di tutti i centri
che su quell’arteria gravitarono.
L’antica strada romana, la Clodia, ormai quasi
del tutto declassata era stata sostituita dalla via
Cassia divenuta nel Medio Evo la principale se
non l’unica linea di congiunzione tra Viterbo e
Roma.
Con l’accentramento del potere religioso e politico
su Viterbo, polarità strategica posta tra Roma e il
Nord, si assisterà al declino dell’antica Tuscania
che Bonifacio VIII (1235-1303) ribattezzò con
il nome di Tuscanella, quasi a rimarcarne il
suo nuovo destino di modesta cittadina della
campagna dell’Etruria interna.
Da questa fase ha inizio un lento ed inesorabile
decadimento dell’Etruria Meridionale, la cui
prosperità fu determinata dalla vitalità della
via Clodia, dal suo completo inserimento nella
continuità della struttura storica, sociale ed
economica di quell’antico territorio etrusco, dei
suoi insediamenti urbani e dei presidi agricoli.
Il resto è storia dello Stato Pontificio e dei suoi
latifondi e di una civiltà contadina isolata nel cuore
della maremma laziale. La comparsa del Regno
d’Italia non determinò sostanziali cambiamenti
del territorio; semmai fu solo la più recente riforma
agraria, quella degli anni ‘50 del secolo scorso,
a imprimere una svolta imposta più dall’ansia
di sopravvivenza che da altro. Tra bosco e
macchia, che man mano inesorabilmente si sono
andati riappropriando dei pianori e delle balze,
dei terrazzamenti, degli orti e degli antichi giardini
recinti, sporadiche ora appaiono le coltivazioni da
frutto dell’olivo e della vite: prevale il paesaggio
della steppa e del pascolo brado e transumante,
e verso il mare, nelle prossimità di Corneto, la
visione delle ultime ondeggianti distese di grano.
Ovunque resti di antiche dimore, ovunque
frammenti etruschi e romani dispersi tra la
campagna e le selve o affioranti tra le murature
dei borghi medioevali difesi da rocche e
castelli: “tra le pietre rimaste nasce il grano e
serpeggia l’aspide pigro9”. Di quell’impronta che
l’uomo incise sull’ambiente naturale attraverso
la sapiente geometria
delle forme della
trasformazione (campi, filari, terrazzamenti,
canali, pozzi, strade, tratturi, ponti, porte, altari e
santuari, dimore e città), rimane ormai, seminato
tra gli altopiani e le valli, solo una vaga presenza,
frammenti dispersi nella solennità del paesaggio
dell’Etruria.
Camminare un territorio
Studiare un territorio, attraversarne il suo
spessore storico, comprenderne i suoi caratteri
fisici presuppone una formazione culturale e un
controllo metodologico-strumentale adeguato
rispetto all’ordinaria formazione dell’architetto;
presuppone un’ apertura verso discipline -oggi
riservate alla formazione specialistica- una unità
di saperi, in grado di formare una sensibilità aperta
a comprendere ed interpretare, strato dopo strato,
fase dopo fase, il tempo e le ragioni dell’apparire
della materia in forma: la consapevolezza del
progettare in un paese antico. In fondo questo
studio non aveva altro interesse che incontrare la
storia dell’uomo, farla divenire centro delle nostre
riflessioni. Intrappolata nello spessore della
materia, gemente sotto la superficie del suolo, dei
monumenti e delle città, dei campi, dei boschi, dei
corsi d’acqua, dissolta tra gli orizzonti luminescenti
del mare e delle rotte commerciali, stretta tra gli
invasi precipiti delle forre, stratificata lungo le
pareti di roccia e tra le cavità delle architetture
rupestri, disseminata sugli antichi tracciati viari o
sussurrata dall’ormai flebile memoria collettiva.
Il fine era chiaro. Riconoscere un primato
culturale d’arte e di civiltà dell’Italia antica,
frammentato e sparso nelle trame del paesaggio
e farlo diventare luogo di conoscenza e campo di
sperimentazione.
L’Etruria Meridionale, quella dei campi d’urne,
dei villaggi capannicoli dell’età del bronzo e
del ferro, delle necropoli rupestri e delle città
etrusche, romane e medievali cresciute una
sopra l’altra, e delle grandi cattedrali cristiane,
solenni architetture sorte a rappresentare i
poteri delle prime diocesi. Un incommensurabile
giacimento stratificato di sensibilità figurativa e
tecnica fissato nella materia del tempo e dello
spazio disseminato in un contesto fisico integro,
inalterato. Un territorio che esige capacità
d’osservazione e d’analisi, muovendosi tra dati
materiali e l’inconsistente fluidità del pensiero
e del mito. Un terreno fertile, generativo per
la
formazione dell’architetto consapevole,
sensibile e culturalmente adeguato per operare
in un contesto antico. Per questo scopo avevamo
bisogno di un territorio liberato dalle forme
della contemporaneità, cristallizzato in una
dimensione senza tempo, intenso e narrante,
quasi primitivo. Un luogo in cui le determinanti
naturali e quelle antropiche si intrecciano e si
susseguono a creare paesaggi sempre diversi,
inconfondibili, dove le tracce dalla storia, quelle
generate dagli incontri di saperi e di linguaggi
(villanoviano, etrusco, romano, alto e basso
medioevale, etc.), fossero ancora distinguibili,
segni di lunga durata: relitti approdati, di soglia
in soglia, assecondando il moto inerte del
tempo nel nostro mondo contemporaneo in
forme di reliquie. In questo contesto qualcosa
poteva essere ancora distinto, riconosciuto,
ripercorrendo a ritroso attraverso la scala del
tempo, le ragioni che hanno da sempre stretto
con un patto di necessità l’attività dell’uomo
ad un territorio, generando corrispondenze tra
morfologie e città, tra risorse ed economie, tra
civiltà e cultura. Solo di storia avevamo bisogno,
ma non solo di quella descritta per eccellenze,
per maestrie (per quanto tante ne incontrammo)
ma di quella diffusa, latente, balbettante in
ogni cosa, radicata nei luoghi e nelle tradizioni,
permeata nei dialetti e nella lingua colta, sepolta
nei cumuli dei resti, sebbene così ricca da
comprendere molti dei suoni e delle lingue che
descrivono le civiltà del Mediterraneo antico
(in questo senso basti pensare a quanto della
cultura medio-orientale ed anatolica prima
e araba, lombarda e francese influenzerà i
caratteri tipologici e figurativi dell’architettura
etrusco-romana e di quella medioevale). Che
questa esperienza di conoscenza, di formazione
didattica, non si esaurisse nell’analisi e nella
sistematizzazione di carte, mappe e documenti
d’archivio illustranti quel tutt’uno, il paesaggio,
diviso scientificamente in segmenti e saperi
(geografici, geologici, archeologici, topografici,
storici, architettonici, etc.) ma che pretendesse
per essere vera, autentica, per riaffermare
l’unità della forma e del suo contenuto, un
coinvolgimento dei sensi, una esperienza con
i piedi a terra, a ripercorrere luoghi di antiche
frequentazioni, a distinguere tratturi da antiche
vie, porte da mura, santuari da altari, villaggi
da città, con le mani protese a saggiare durezze
e fragilità delle materie, e gli occhi a cercare di
distinguere nel groviglio della natura l’apparire
delle forme dell’uomo -perché in un primo
momento, nei primi sopralluoghi si seguitava
a non vedere nulla a non distinguere quelle
reliquie a percepirne le risonanze- tutto questo fu
un compito necessario. Quanto più necessario
tanto più sembra venir meno nella formazione
dell’architetto contemporaneo, la richiesta di
confronto diretto, con la natura storica che innerva
il reale, nelle sue forme artistiche, tecniche,
sociali, religiose, economiche, contenuto
che determina, infine, le qualità e l’identità di
un luogo, il suo spessore espressivo, la sua
risonanza estetica. Ecco cosa ci proponevamo:
ridiscendere la scala del tempo, partendo
da quello che osservavamo nello spazio del
reale, simulando l’esistenza di un momento
primo in cui le cose avevano appena rivelato
la loro identità. I tratti geo-fisici innanzitutto,
dentro i quali man mano si era conformata la
millenaria evoluzione storica dell’uomo -le
morfologie delle lave e dei tufi e il vulcanismo,
i bacini lacustri raccolti tra gli orli delle caldere,
le forre generate dall’attività erosiva dei torrenti,
i ripiani tufacei per poi ripercorrere la nascita
e il permanere degli insediamenti umani, gli
esordi dell’agricoltura, il tracciamento di tratturi
e di antiche vie commerciali dall’entroterra al
mare. Riconoscere, momento dopo momento,
strato dopo strato, come il tutto aveva avuto
origine, ripercorrendo le ragioni che spinsero le
trasformazioni, le tecniche che modellarono il
pensiero e le forme simboliche che ne fissarono
il senso e l’appartenenza.
Sul rapporto tra memoria e paesaggio.
Nella cultura contemporanea lo studio del
paesaggio e del territorio sta diventando una
pratica sempre più importante per comprendere
l’identità fisica e culturale dei luoghi, e allo
stesso tempo, identificarne strategie di tutela e
di valorizzazione: naturalisti, geografi, geologi,
archeologi, architetti, paesaggisti, storici, ecologi
etc. integrano sempre più le loro competenze e
metodologie di studio scientifico nell’obiettivo
di ripercorrere e decifrare, strato dopo strato,
il contenuto funzionale, espressivo ed estetico
dell’ambiente che ci circonda.
L’incontro di competenze e saperi diversi trova
14
15
Nella pagina accanto: la Chiesa di Santa Maria Maggiore
a Tuscania.
In questa pagina: particolare della facciata in travertino
e marmo della grande Chiesa di San Pietro in Tuscania,
eretta sull’antica Arx etrusca.
La Chiesa vide tre momenti di costruzione: il più antico,
del VIII-IX secolo, quello intemedio, dell’XI secolo, ed
infine quello del XII secolo.
nella descrizione del paesaggio la sua sintesi,
non essendo quest’ultimo altro che l’insieme
della realtà visibile o meglio della realtà sensibile.
Mappe geografiche, geo-morfologiche, analisi
stratigrafiche e topografiche, rilievi archeologici
e documenti storici, carte dell’uso del suolo e
della vegetazione si integrano nell’attività di
analisi, spiegando la struttura del territorio e la
sua fisionomia.
E’ questa una metodologia di studio, tanto
oggettiva e concreta da rimuovere quanto di
mistico ed oscuro, di metafisico, resiste ancora
nel racconto del paesaggio. L’obiettivo è nel
metter in atto delle buone pratiche di conoscenza
(scientificamente fondate) capaci di sviluppare
un sapere ed una metodologia operativa certa,
indirizzata alla comprensione dello spazio per
attuarne la sua tutela e valorizzazione.
Il fine ultimo che muove le ragioni di questa
esperienza, però, non si esaurisce nello
sperimentare una metodologia operativa
orientata alla comprensione delle risorse
paesistiche,
archeologiche
e
storico
monumentali diffuse nel
territorio, con
tecniche e sensibilità culturali consolidate nelle
procedure di tutela e riuso, ma costituisce
sopratutto l’opportunità di guidare la formazione
dell’architetto nell’incontrare il tempo, nel riconoscere il paesaggio come l’ultima facies di
un lungo processo di trasformazioni, un contesto
dinamico e vitale individuale e collettivo, naturale
ed antropico, che ci accoglie.
Nell’identificazione di questi valori svolge, a
nostro avviso, un determinante ruolo anche
l’esperienza diretta del tempo vissuto (ed
interiorizzato) senza il quale il ri-conoscimento
non si compie del tutto. In questo senso il
rapporto con la memoria, diventa essenziale.
Ma la memoria non esiste in assenza di una
esperienza concreta: essa va man mano a
formarsi accumulando dati su dati, sensazioni
su sensazioni, associando fatti e cose, tanto da
farci risuonare dentro il tempo.
Normalmente, tale rapporto “descrive un modo
di vedere, di ri-scoprire ciò che già possediamo
ma che il nostro sguardo non è più in grado
di capire. Ciò nonostante, invece di essere
solo strumentale al ricordo di ciò che abbiamo
perduto, esso è determinante sopratutto su ciò
che possiamo ancora trovare”10. La memoria
è attiva e produce consapevolezza, capacità
interpretativa, capacità di integrazione e di reinvenzione.
Sembrerebbe quindi, da questa affermazione,
che il paesaggio non si percepisca per intero,
fino a quando non siamo capaci di abitare
il nostro sguardo, di attivare quella forma di
completamento, di piena identificazione, di
riconoscimento della realtà come parte di noi,
della nostra storia e del nostro destino.
In questo senso non esiste un paesaggio
materiale; può viceversa esistere un territorio,
un ambiente, un luogo materialmente connotato,
una geografia, un paese.
Il paesaggio è piuttosto definibile come una
visione mentale legata all’esperienza sensibile
dell’individuo11, che scaturisce dall’integrazione
e dalla complicità tra la dimensione reale delle
cose che ci circondano (la natura, la città,
la casa) e quella immateriale e psichica del
ricordo, delle consonanze, delle affinità, delle
durate, quella dimensione mobile, vitale ed
aerea imprigionata nel corpo che la tradizione
filosofica occidentale ed orientale chiama anima.
In questo senso il paesaggio in assenza
dell’uomo che lo interroga, è sempre
indeterminato, inconsapevole, né bello né brutto,
luogo senza confini, luogo dello spaesamento
della mente: attende da noi, dagli occhi che
vedono, il compiersi della sua metamorfosi,
il suo completamento e il suo divenire forma,
segno, simbolo, mito.
L’anima, la psiche, il soffio, il vento che abita il
corpo e fa fiorire il mondo, rappresenta il meta, lo
strumento attraverso il quale il paese perviene al
paesaggio, luogo parlante, identitario e poetico.
Ma quando l’immagine del mondo e dei suoi
paesaggi non è più il riflesso del tempo e delle
idee, dei miti e degli investimenti ideali, né rinvia
alla molteplicità di significati che si agitano sotto
la sua superficie, allora tutto si fa buio, fermo,
fisso.
Il passato scritto nello spessore della materia è
indecifrabile, oscuro, non indica.
Nel nostro tempo, sostiene Galimberti, il sapere
aumenta, ma non rischiara il paesaggio: la
metafisica del mondo si è dissolta. Lo sguardo
si posa e si compiace sull’orlo del presente.
L’educazione a comprendere le cose che
ci circondano, ascoltando l’eco del passato
che innerva e permea il sensibile (quel moto
discendente verso le profondità dei linguaggi),
segna la via per accedere alla radice da cui
si dipartono le ragioni espressive delle cose:
scendere alla radice significa giungere al
fondamento, al silenzio da cui nessuna parola
si è mai separata.12 Ma questo avvicinamento
al sapere, al sentire per il ben vedere (con
l’occhio della mente), è rappresentato da un
lento esercizio di acquisizione, di nutrimento
per l’appunto, che dagli elementi della realtà
discende negli strati narrativi del tempo,
ripercorrendo a ritroso l’accaduto, ricomponendo
parti e frammenti.
Bisogna andargli incontro al tempo, mettersi in
cammino, cercarlo con pazienza, riconoscerlo,
frammento dopo frammento, attraverso segni
visibili ed invisibili, così da dare contorno
resistente a ciò che per sua natura è destinato
a dissolversi nell’oblio. Il nostro sguardo, così,
ri-abitando emotivamente e culturalmente
le ragioni dell’apparire delle cose, investe e
completa la realtà di vissuto: la metamorfosi si
compie e tutto si rinnova in una sorprendente
epifania. Non si può mai ridurre il paesaggio
alla sua mera realtà fisica descritta dai geografi,
ecologisti, naturalisti, archeologi e storici.
La trasformazione di un paese in paesaggio
presuppone sempre una metamorfosi, una
interpretazione,
una
reinvenzione,
una
metafisica del reale.
“Un paesaggio è cultura prima che natura: esso
è costruito dall’immaginazione che proietta su
foreste, acqua, pietre etc. le proprie mitologie,
aspirazioni, desideri e forme del ricordo.”13
Conclusioni
L’investigazione didattica, orientata sul difficile
terreno rappresentato dal binomio resistenza
simbolica della rovina (del suo essere realtà
incompleta e mancanza) e destino dei segni del
tempo e dello spazio passato, fonti inarrestabili
d’immaginazione e di rêverie, sembra quanto
mai integrata ed adeguata nel contesto della
cultura architettonica contemporanea investita
dall’impegno verso la tutela e la valorizzazione
del Patrimonio Culturale.
L’obiettivo è quello di sviluppare un sapere
critico legato alla formazione di una
metodologia operativa rivolta verso lo studio
e la comprensione dell’antico, della sua
conservazione, rivitalizzazione, attualizzazione,
innovazione, del suo re-inserimento e risignificazione nel contesto degli usi, delle
necessità culturali e pratiche attuali e future.
Al fine della ricostruzione del tracciato della via Clodia
si è rivelata di grande importanza la consultazione della
Tabula Peutingeriana, (XII-XIII secolo) copia medioevale
di un itinerario dell’impero romano.
2
Tuscania, città tra le maggiori dell’Etruria interna tra
Tarquinia e il lago di Bolsena. Nota in età romana come
Tuscana, con riferimento non chiaro all’etnico Tusci (ossia
degli Etruschi), conservò questo nome per quasi tutto il
Medioevo. Municipio Romano, sede vescovile dal VII sec .
3
Pallottino M.
4
Brandi C., Norchia Etrusca
5
La penetrazione romana è lenta e inesorabile, e coincide
con la fine dell’egemonia della aristocrazia Etrusca e della
autonomia delle polis a favore del sempre più incisivo
controllo politico e militare latino. Nel IV sec. cade Veio,
nel III sec fu la volta di Cerveteri e da qui Roselle per poi
veder man mano gran parte delle principali realtà Etrusche
venire inglobate di fatto nell’orbita di Roma. I vincitori
fondano così colonie lungo la costa (nel 273 a.C Cosa,
nel territorio Vulcente, e tra il 264 e il 245 le quattro colonie
marittime di Pyrgi, Castrum Novum, Alsium e Fregenae
in quello di Cerveteri). I contraccolpi di questa situazione
sulle realtà interne non tarderanno a farsi sentire e
l’integrazione nel mondo romano della civiltà etrusca sarà
continua e progressiva, fino a rendere sempre più labile
ed evanescente la sua l’identità culturale
6
Nel 728 con la cessione da parte del re longobardo
Liutprando a papa Gregorio II, di alcuni castelli del Ducato
tra i quali quello di Sutri, si afferma la costituzione del
Patrimonio Beati Petri.
7
“quella Civita la qual è quella parte di detta città che
oggi resta fuori exrta-moenia cioè quel colle maggiore...
nel quale non vi è restato altro che un bellissimo e
antico tempio, San Pietro detto con molte torri intorno...”
Giannotti, Storia di Tuscania scritta nel 1500. pag 35.
8
Raspi Serra J., La Tuscia Romana, un territorio come
esperienza d’arte, Electa 1972.
9
Dennis G., Città e necropoli d’Etruria, Nuova Immagine
Editrice, Siena.
10
Galimberti U., Paesaggi dell’Anima, Mondadori 1996.
11
Alain Roger, Breve trattato sul paesaggio, Sellerio 2009.
12
Galimberti U., Paesaggi dell’Anima, Mondadori 1996.
13
Shama S., Paesaggio e memoria, Mondadori 1997.
1
16
17
Indagine storico-cartografica lungo il tracciato della via Clodia
Alessandra Carlini
Paola Porretta
The research “Luoghi d’identità diffusa per il
turismo culturale” gave the opportunity for a
systematic study of Southern Etruria and, in
particular, of the Via Clodia.
The rehabilitation of the Via Clodia represents
an important step to enhance the value of the
whole territory of Southern Etruria.
The tortuous nature of the path and the difficulties
in the identification of the ancient stations and
of the distances among such several stations
along the Via Clodia, brought up the necessity
to study this ancient path.
This study collected several data which
represent a necessary body of knowledge in
order to rehabilitate Via Clodia.
The analysis of the historical itineraries and
maps has allowed the topographic identification
of the ancient path which has been then redrawn on modern maps.
Such historical and cartographic analysis,
supported by site visits, represents a necessary
step in order to find out the strategies to enhance
the cultural heritage.
Si ringrazia il Laboratorio di Urbanistica del Dipartimento
di Architettura (Università degli Studi Roma Tre) per aver
messo a disposizione la documentazione digitale inerente
la cartografia del Lazio.
Gli etruschi si appropriarono dell’Alto Lazio sfruttando, di volta in volta, le condizioni territoriali più
favorevoli rispetto alle esigenze che emergevano in seguito alle mutate condizioni dell’economia e
sempre secondo le capacità tecniche di sfruttamento delle risorse: le condizioni geo-morfologiche
del territorio condizionarono la strutturazione di un articolato sistema di percorrenze alcune delle
quali destinate a sopravvivere nel tempo. Quando Roma intraprese la conquista dell’Italia centro
settentrionale, si servì dei tracciati etruschi della fase più matura per facilitare l’avanzamento delle
legioni. È questo il motivo per cui le strade romane costruite a partire dal IV secolo, sono di fatto
adattamenti di precedenti percorsi etruschi, legati tra di loro, polarizzati verso Roma e ripavimentati
con tecniche innovative. Anche la Via Clodia fu costruita in questo contesto tra il III e il II secolo
a.C., con lo specifico obbiettivo di collegare Roma con i centri dell’entroterra, tarquinese e ceretano,
nel cuore di un’Etruria Meridionale ormai colonizzata. Il risultato fu un percorso articolato che si
avventura nell’entroterra piegando di continuo per intercettare le direzioni dei centri interni: San
Giuliano, San Giovenale, Blera, Norchia, Tuscania, Saturnia. Il carattere tortuoso della strada, le
scarse evidenze archeologiche, la difficile identificazione delle stazioni di posta, propongono oggi lo
studio del tracciato della Via Clodia quale necessaria premessa per riabilitare una strada che possa
diventare occasione di valorizzazione per l’intero territorio.
Il programma di ricerca “Regione Lazio: luoghi d’identità diffusa per il patrimonio culturale” ha quindi
inteso predisporre uno studio topografico che rintraccia l’itinerario e le stazioni di posta lungo la
Via Clodia attraverso una ricognizione sistematica della letteratura contemporanea sull’argomento
(Quilici Gigli, Cataldi, Giacobelli, De Grassi), l’analisi della cartografia storica (Frutaz, Carte del
Lazio), delle fonti (Nibby, Tomassetti, Ashby, Forma Italiae) e degli Itinerari Antichi scritti (Antonino e
Ravennate) e figurati (Tavola Peutingeriana). Le fonti esistenti, valutate alla luce delle interpretazioni
degli autori contemporanei e verificate in relazione alle evidenze archeologiche, sono state comparate
e restituite in modo sistematico attraverso la trasposizione topologica di stazioni e collegamenti e
successivamente mediante la costruzione di nuove mappe che restituiscono su base cartografica
attuale una descrizione topografica dei tracciati storici. In particolare, l’istruttoria conoscitiva sugli
Itinerari Antichi da una parte, sulle fonti e la cartografia storica dall’altra, ha permesso di spiegare i
diversi assetti del tracciato nel tempo in relazione ai diversi usi del territorio.
L’analisi comparata dei tre Itinerari ha fatto emergere che le incertezze, le contraddizioni e gli
sdoppiamenti di tracciato, al centro del dibattito tra topografi e archeologi contemporanei, possono
essere spiegati anche in ragione del carattere identitario della Via Clodia che, al contrario delle
Vie Maestre, riadatta percorsi esistenti come emerge dall’individuazione delle fasi intermedie di
strutturazione della viabilità etrusca e romana, riportate su base cartografiaca attuale. L’individuazione
della strada, su una selezione critica di carte storiche del Frutaz, ha invece evidenziato che le continuità
e le discontinuità di tracciato in epoca moderna sono ragione degli equilibri politici e del diverso
ruolo assunto dai centri urbani. Questo spiega, ad esempio, come il lungo tratto della Via Clodia, in
particolare tra Barbarano e Tuscania, abbia mantenuto un carattere ancora sostanzialmente integro,
conservando i tracciati antichi nelle strade vicinali, fuori dalla viabilità moderna che preferisce altre
connessioni.
Il racconto di Tomassetti e la documentazione fotografica di Ashby hanno fornito una descrizione
dello stato dei luoghi che, da una parte, ha permesso di verificare la conservazione fisica di tracciati
ed evidenze archeologiche e, dall’altra, ha fatto emergere con chiarezza come le trasformazioni
più recenti del territorio abbiano alterato un paesaggio che fino all’epoca moderna doveva apparire
continuo dalle porte di Roma ai confini settentrionali della regione. Il primo tratto dell’antica Via
Clodia oggi risulta invece parzialmente obliterato dall’attuale via Braccianese, strada di scorrimento
che insiste su un territorio ormai compromesso dall’espansione della periferia romana, caratterizzata
da un’edificazione continua e minuta. Bisogna quindi superare Vejano per incontrare i più importanti
tratti dell’antica via che si svolgono ancora oggi tra poderi privati, aree a pascolo, riserve naturali,
necropoli e abitati medioevali.
Il lavoro storico-cartografico sinteticamente descritto, è stato sostenuto da ricognizioni dirette e
concepito come una necessaria premessa conoscitiva e operativa capace di orientare le strategie
di trasformazione del territorio mettendo a sistema, al di là degli specialismi, la struttura geografica,
l’assetto idrogeologico, le trasformazioni nel tempo delle capacità tecniche, delle attività economiche
e delle espressioni culturali dei popoli che hanno abitato questi luoghi.
In alto: Carta topografica, F.G. Ameti, “Patrimonio di San
Pietro e Tuscia Suburbicaria”, 1696. Da Frutaz, “Le carte
del Lazio”, XXXIII (tav. 174-177). In evidenza il tracciato
della Via Clodia e i suoi principali diverticoli.
In basso: Tavola Peutingeriana, riproduzione del XIII sec.
dell’originale del IV sec. d.C. ca., Pergamena (680x33
cm), Hofbibliothek, Vienna (particolare, segmenti V e VI
per l’Etruria Meridionale). La tavola riporta le stazioni
lungo i percorsi e le distanze in miglia.
Il tracciato della Clodia risulta ben documentato da Roma
a Tuscania, mentre nel tratto successivo è ancora incerta
l’identificazione topografica di alcune stazioni.
18
19
Leggere il paesaggio:
sistemi di percorrenza e modi di abitare il territorio nell’Etruria Meridionale
Le basi cartografiche adottate per la redazione delle
mappe presenti in queste pagine sono state prodotte
nell’ambito della ricerca “Regione Lazio: luoghi di identità
diffusa per il patrimonio culturale”
Alessandra Carlini
The cartographic bases used to draw up the maps
published in these pages have been produced for the
research” “Regione Lazio: luoghi d’identità diffusa per
il patrimonio culturale” Research grants: A.Carlini,
P.Porretta
Graffito di nave etrusca su vaso
della prima metà del VII sec. a.C.
This article gives a sample of the several ways
to occupy the territory.
Within the research “Luoghi di identità diffusa
per il turismo culturale”, this study wants to
develop a topographic analysis that parts from
the main features of these landscapes, which
also portray the history of the landscape itself.
Such study recreates links, most of the times
barely deducible, among landscapes with similar
history and structure.
The ancient path of the Via Clodia, situated in the
geographic and historic context of the Southern
Etruria, has represented and still represents the
main axis along which the landscape has been
transformed over the centuries.
■ Protostoric landscape: ridge routes and
widespread occupancy of the territory.
■ Etruscan landscape: cross “anti-peninsulari”
routes and development of the urban culture.
■ Roman landscape: longitudinal “peninsulari”
routes and rural villages.
■ Medieval landscape: the entire route system
at the service of “Pietro property”
Leggere, oggi, un paesaggio, vuol dire interrogarne il palinsesto, confrontarsi con il patrimonio
ereditato, con ciò che delle lunghe trasformazioni, permane nel tempo. Il contesto geografico e
storico è quello dell’Etruria meridionale. Qui, tra la costa tirrenica e l’entroterra dei bacini lacustri, il
tracciato della Via Clodia si scopre struttura costante, asse che organizza le trasformazioni millenarie
del paesaggio. L’impegno di queste pagine, nell’ambito della ricerca, è offrire uno spaccato dei
diversi modi di abitare il territorio, cercando di ricucire relazioni, a volte solo intuibili, all’interno di
paesaggi congruenti per storia e per struttura. Una descrizione condotta attraverso tratti peculiari,
costruita dentro la cultura materiale dei luoghi.
Il paesaggio protostorico (Età del Bronzo e del Ferro):
sistemi di crinale, occupazione capillare del territorio e “rivoluzione agricola”.
Nell’Italia protostorica il territorio rimane coperto da foreste fino ai primi insediamenti dell’Età del
Ferro. Un paesaggio segnato dalle migrazioni nomadi e dai percorsi di transumanza che, battuti dalle
mandrie, imprimono un segno duraturo a scala territoriale seguendo i crinali per limitare il guado dei
fiumi. Quando gli abitati si fanno stanziali, i primi agglomerati si concentrano intorno alle risorse
naturali con villaggi lacustri a palafitte, per poi occupare, in modo capillare l’intero territorio, con fitti
villaggi di capanne. L’habitat è quello degli insediamenti collinari, in posizioni facilmente difendibili
sfruttando l’asprezza del territorio vulcanico. Un tratto comune per tutta la lunga fase protostorica è il
modello insediativo diffuso. Le aggregazioni non sono ancora gerarchizzate, segno di una società di
tipo tribale. Alle “case lunghe” dell’insediamento appenninico di Luni, seguono gli aggregati di “case
ovali” sul modello restituito dalle urne cinerarie a capanna. I parterre archeologici, emersi dagli scavi,
rivelano la presenza numerosa di buchi di palo per sorreggere le coperture displuviate, fosse per i
focolari, fondi di capanne, pavimenti battuti, sigillati da strati di rifiuti domestici. ■
Il paesaggio etrusco (VIII-III sec.a.C.):
sistemi “antipeninsulari” e nascita della cultura urbana.
II sistema viario etrusco è caratterizzato dalla prevalente direzionalità
antipeninsulare, saldando i centri tirrenici di testata con i capisaldi interni.
Dapprima i tracciati sono poco più che mulattiere a servizio delle campagne
circostanti, poi diventano arterie territoriali sempre più strutturate a cercare
connessioni con centri alleati.
L’adozione generalizzata del carro e lo scambio di merci verso i mercati
greci, comportano importanti trasformazioni del sistema viario.
I molti sentieri che per secoli avevano soddisfatto le esigenze delle piccole
comunità protostoriche, vengono sostituiti da strade più adatte al nuovo
tipo di traffico.
Il sistema dei corridoi naturali è incrementato con numerosi tracciati
campestri che impongono importanti opere ingegneristiche per superare
l’asprezza del suolo vulcanico.
La costruzione di nuove strade, strappate ai banchi tufacei attraverso lo
scavo di profonde tagliate, favorisce gli scambi commerciali collegando
velocemente l’entroterra alla costa.
La pianificazione di sistemi di drenaggio migliora la qualità del terreno,
rendendolo più disponibile allo sfruttamento agricolo.
Su questi presupposti si fonda la fortuna dell’aristocrazia etrusca e dei
suoi famosi “principi orientalizzanti”. Gli scambi commerciali che all’inizio
Importanti connessioni si sviluppano lungo il corridoio
naturale che dalla costa tirrenica attraversa il sistema
dei bacini vulcanici, tra il lago di Bolsena e il lago di Vico,
fino alla Valle del Tevere, collegando Tarquinia e Orvieto
attraverso Norchia.
Molti villaggi villanoviani vengono abbandonati in favore
di una concentrazione della popolazione in centri
emergenti, ancora arroccati sulle tante acropoli naturali,
alla confluenza di due torrenti.
Nelle necropoli, i campi d’urne villanoviani, ad incinerazione, vedono comparire nuove sepolture a camera,
scavate nel tufo per accogliere l’inumazione dei corpi.
Nell’Etruria tirrenica, forti dei loro ricchi traffici marittimi,
si consolidano i ruoli di Cerveteri e Tarquinia e delle
loro vaste aree d’influenza che si estendono, verso
l’entroterra, ad includere i capisaldi interni e la ricca realtà
mineraria della Tolfa.
Lungo il litorale, la talassocrazia tirrenica controlla i traffici
marittimi attraverso una successione di scali portuali
che, popolati da mercanti stranieri, vedono la circolazione
di merci, uomini e idee.
Il paesaggio della costa è scandito da saline, officine
ed empori. Flussi commerciali greci incrociano le vie
dell’ambra. Le rotte proseguono verso l’entroterra
attraversando le vie d’acqua delle valli fluviali.
sostengono la ricchezza dell’oligarchia, producono insieme, spostamento
di merci e di persone e col tempo una distribuzione del benessere su
fasce più ampie di popolazione, innescando un processo d’inurbamento.
La città risponde, ampliando le aree urbanizzate e attrezzandosi
con edifici specialistici: aree di culto monumentali, edifici pubblici e
quartieri residenziali sostituiscono gradualmente il modello del palazzo
orientalizzante, ad un tempo residenza, centro amministrativo, santuario
e sede della vita collettiva. Le “abitazioni tripartite” di Acquarossa e le “case
a terrazzamento” di San Giovenale testimoniano le prime sperimentazioni
di modelli insediativi proto-urbani.
Al tempo stesso, la nuova nobiltà cittadina promuove lo sviluppo degli
oppida di campagna: nei centri dell’entroterra, le necropoli rupestri, che
nella fase arcaica cominciano a popolare i costoni tufacei dei pianori di
erosione fluviale, si estendono occupando settori sempre più vasti con
articolati sistemi di terrazze.
Il paesaggio etrusco si presenta ormai attraverso la forte contrapposizione
tra città e campagna, e tra acropoli e necropoli circostanti.
Tutt’intorno ai campi coltivati la selva ancora prevale.
Questa nuova cultura della città e i suoi mitici riti di fondazione lasceranno
la propria impronta nella Roma dei Re etruschi. ■
20
Il paesaggio romano (III sec. a.C-V sec. d.C.):
sistemi “peninsulari” e insediamenti a carattere rurale.
La Roma repubblicana eredita un territorio strutturato sulle direttrici di
penetrazione est-ovest, disegnato anche da ragioni geografiche, e lo
trasforma in un sistema amministrativo assoggettato alla centralità di Roma,
privilegiando traiettorie peninsulari nord-sud attraverso le strade consolari:
l’Aurelia, lungo la costa tirrenica; la Cassia, verso l’entroterra appenninico;
la Clodia nell’Etruria interna; la Flaminia verso la costa adriatica. L’impero
marca il territorio conquistato attraverso le nuove infrastrutture e le Leggi
delle XII Tavole celebrano la dimensione epica dell’opera.
Man mano che l’esercito avanza, postazioni a carattere militare coprono
le forcelle (Ad Sextum, tra Cassia e Clodia); i Fori organizzano a scala
locale le attività di scambio (Forum Clodii sulla Clodia); colonie e prefetture
presidiano la regione; lungo le Vie Consolari nascono stazioni di sosta
per alloggiare i viaggiatori. La continuità delle comunicazioni in un Impero
sempre più vasto è assicurata dalle stazioni di posta e da corrieri a cavallo
che battono le vie maestre. Vengono commissionati Itinerari per guidare i
viaggiatori sulla complessa rete stradale. L’ordine e la stabilità della pax
romana consentono un’occupazione diffusa del territorio: la campagna è
caratterizzata, ora, dalla densità dell’insediamento rurale organizzato in
21
pagus agricoli e ville rustiche. Alle Vie Consolari, si affianca una rete
capillare di strade secondarie spesso costruite dagli stessi proprietari
terrieri per migliorare le infrastrutture etrusche e garantire il movimento di
merci. Nell’andirivieni del traffico sulle vie maestre, il viaggiatore attraversa
incroci, diramazioni, strade private, in una campagna ormai interamente
coltivata lungo i versanti e sui pianori, dove il bosco si ritira perchè il
legname è risorsa fondamentale dell’economia.
Le invasioni gotiche e la caduta dell’Impero d’Occidente stravolgono
sicurezza e continuità politica: le ville rurali, spogliate della ricchezza
architettonica, finiscono con l’assomigliare a povere fattorie e piccoli
cimiteri si insediano nei dintorni. Le coltivazioni si riducono e crescono
i pascoli. I boschi riprendono corpo. I centri lungo le vie maestre, più
vulnerabili, si spopolano a favore dei villaggi interni, destinati ad accogliere
le fortezze feudali secondo il fenomeno dell’incastellamento. Il poderoso
sistema viario romano s’impoverisce e viene gradualmente declassato.
Nel corso del medioevo il modello insediativo cambierà definitivamente
dalla villa rustica diffusa nella campagna, al villaggio fortificato arroccato
sulle alture, con la conseguente riduzione nell’occupazione del territorio. ■
L’avanzata romana nell’Etruria tirrenica è favorita dal
sistema etrusco della mobilità.
Con la romanizzazione gli antichi capisaldi sul Tirreno
perdono vigore, mentre i centri interni vengono favoriti
perché le loro risorse agricole diventano presto fonte di
sfruttamento da parte dell’aristocrazia romana.
In seguito alla concessione della cittadinanza ai popoli
italici molte importanti città etrusche (San Giovenale, San
Giuliano, Blera, Norchia, Tuscania) diventano municipi
serviti dal passaggio della Via Clodia.
Il territorio è ormai caratterizzato dallo sfruttamento
agricolo e minerario a scapito delle vaste aree boschive,
disseminato di cave di tufo, complessi termali e
santuari rurali; punteggiato dapprima da piccole fattorie
sparse, poi caratterizzato dalla netta tendenza alla
concentrazione in sistemi di grandi tenute, incentrate
sulla villa rustica.
Ville marittime e peschiere popolano la linea di costa.
Il tracciato della Via Clodia, così come risulta dalla Tavola
Peutingeriana, copia medioevale di un Itinerario figurato
romano, parte da Ponte Milvio e per il tratto urbano fino
alla stazione di Ad Sextum (Tomba di Nerone, La Storta),
si confonde con quello della Via Cassia.
Cassia e Clodia prendono quindi due diverse direzioni
a segnalare diversi intenti politici e amministrativi. La
Cassia prosegue, lasciando ad ovest i laghi di Bracciano
e Martignano, puntando, diritta, verso Sutri e l’Etruria
settentrionale. La Clodia piega invece verso nord-ovest
in direzione di Bracciano, muovendo il suo tracciato tra le
stazioni dell’Etruria interna.
Il paesaggio medioevale (V-XV sec. d.C.):
la rete stradale a servizio del Patrimonio di Pietro.
L’Alto Medioevo è segnato dall’invasione Longobarda: per la prima volta
l’integrità geopolitica della Tuscia viene a mancare. La regione è divisa
in Tuscia Longobarda, sotto il controllo dei popoli germanici e Tuscia
Romana, ultima erede della tradizione bizantina nell’Italia centrale.
Confine culturale, dunque, ancora prima che amministrativo.
La nuova situazione politica stravolge l’assetto viario. La Via Clodia si
consolida come asse portante della dominazione germanica, diretto
su Tuscania, caposaldo della nuova Tuscia Longobarda. Nella Tuscia
Romana il territorio è segnato dal controllo militare a difesa del Corridoio
Bizantino, stretta lingua di terra che segue l’invaso geografico verso la
costa Adriatica, tra la Tuscia Longobarda a ovest e il Ducato di Spoleto a
est. Qui, la Via Amerina si afferma sulla via Flaminia, perché consente di
percorrere in sicurezza il Corridoio Bizantino. Otto castra realizzano un
sistema fortificato eretto a difesa delle vie settentrionali di penetrazione
verso Roma. Ma anche queste strade, come la Via Francigena che
guiderà i pellegrini dall’Europa, non sono più le poderose vie consolari
romane. Le strade medievali, battute dai pellegrini, sono poco più che
tracce collaudate dagli usi, fasci di strade, piste molto simili alle nostre
Le famiglie feudali avviano un poderoso lavoro di
fortificazione delle poche strade rimaste attive in una
campagna ormai spopolata. Il territorio è diviso in
vasti possedimenti, con i villaggi fortificati posti sulle
alture, protetti da una cinta muraria, da fossati e torri.
“Sicurezza” e “protezione” diventano i caratteri distintivi
dei modelli insediativi medievali.
Le pareti tufacee dei pianori che accolgono i villaggi,
sono crivellate da una moltitudine di grotte rupestri
che accolgono complessi a carattere religioso, semplici
dimore, stalle, magazzini, colombari, spesso riutilizzando
antichi ambienti, secondo una consuetudine che
perdurerà nella campagna fino ai nostri giorni.
A causa delle incursioni saracene la costa tirrenica è
in gran parte disabitata. L’impaludamento della zona
litoranea, dovuto alla mancata manutenzione dei canali,
rende impraticabile la via Aurelia. I centri portuali
decadono. Solo poche torri di guardia popolano il
pasaggio costiero, primi presidi di quello che sarà, nel
Cinquecento, il sistema difensivo voluto da Pio V.
La chiesa presidia il territorio attraverso le diocesi.
Il paesaggio si popola di una schiera di pievi e campanili
che attraversano il romanico e il gotico. Cripte ipostile
accolgono le reliquie dei martiri di sotto alle aree
presbiterali. I pavimenti delle chiese si organizzano in
ricchi motivi cosmateschi di marmi policromi. Le facciate
si aprono con rosoni traforati e profondi portali strombati.
La diffusione degli ordini minori marca il territorio con
conventi e monasteri. Nascono le “domuscultae”
papali, strutture produttive che alimentano l’attività
assistenziale del Laterano.
carrarecce e come tali soggette a cambiamenti di tracciato stagionali.
Tra alto e basso medioevo, gli equilibri territoriali cambiano. La
Donazione di Sutri sancisce l’autonomia del Papa dall’Impero Bizantino.
L’alleanza con la dinastia carolingia determina la caduta dei Longobardi
e la conseguente riunificazione della Tuscia meridionale sotto il controllo
papale. È l’inizio della storia del Lazio come “regione sociopolitica” oltre
che geografica, legata ancora per molti secoli al potere temporale dei Papi.
L’Etruria meridionale rimarrà Patrimonio di Pietro fino all’Unità d’Italia,
conservando l’immagine di un territorio in cui il bosco ha riconquistato
gradualmente i campi: quel paesaggio descritto dai topografi rinascimentali
e ottocenteschi, dove il pascolo ha ripreso vigore e la campagna si è
popolata di casali fortificati, importanti presidi che insieme alle proprietà
ospedaliere del Cinquecento, caratterizzeranno l’alto Lazio fino all’epoca
recente. Sarà solo la Riforma Agraria del 1950 a produrre un massiccio
cambiamento, invertendo nuovamente l’equilibrio tra aree coltivate e
boschive. Dopo questa data nuove tracce di confini fondiari, attività agricole
e infrastrutture marcheranno il territorio, minacciando, per la prima volta a
scala territoriale, la conservazione di vaste testimonianze archeologiche. ■
22
23
Orvieto
Tuscania
M o n t i
C i m i n i
Vulci
Norchia
Blera
Barbarano
Tarquinia
Luni
Falerii Veteres
Veio
M o n t i
M o n t i
d e l l a
Sutri
S.Giovenale
S a b a t i n i
T o l f a
Veio
01
5
10 Km
Cerveteri
Geologia e antropizzazione.
La morfologia del territorio dell’Etruria
Meridionale è il prodotto delle ceneri proiettate
dall’attività eruttiva dei vulcani laziali: una spessa
coltre di materiale tufaceo e di vene basaltiche
depositate su uno strato di terreno sabbiosoargilloso di origine pliocenica. Vasti ripiani
tufacei con modestissima altitudine discendono
dalle creste dei crateri verso le valli circostanti.
Sulla superficie scorrono infiniti torrenti e
fiumastri che, lungo il corso del tempo, hanno
prodotto profonde incisioni, alla base delle quali,
tra il folto della vegetazione ripariale, scorrono
silenziosamente tutt’ora. Così quest’antica
superficie terrestre, per l’effetto dell’erosione
prodotta dai corsi d’acqua, si descrive come
fosse una mano dalle dita orientate, da un
lato, facendo centro sulle antiche caldere, oggi
bacini lacustri, dall’altro, diramate a ventaglio
verso ponente sulla costa tirrenica e, ad oriente,
sulla piana alluvionale del Tevere. Vasti ripiani
difesi naturalmente da alti speroni tufacei rossogiallastri, precipiti sulle valli sottostanti, un tempo
esclusivo dominio delle macchie e delle selve,
furono lungo il corso del tempo luoghi mitici
di fondazione di villaggi e città oltre a divenire
scena di quel lento processo di trasformazione
che plasmò il territorio in paesaggio del lavoro
umano.
Per effetto di questa morfologia la fisionomia
del territorio si presenta quindi compresa tra
tre caratteri principali: quella dei pianori con
andamento orizzontale, espansa profondamente
sugli orizzonti fino ad incontrare a Est, i rilievi
pre-appenninici ed ad Ovest la costa del mar
Tirreno: paesaggio della pastorizia brada e
transumante, della coltivazione estensiva del
grano e delle colture arboree dell’olivo e della
vite; e quella delle forre, caratterizzata da
una spazialità maestosamente verticale, dai
profondi burroni di roccia vulcanica, bordati
da macchia sempreverde, e da un fondo valle
piatto, umido, alluvionale, un tempo occupato
da oasi di colture irrigue. Infine il paesaggio
delle selve tutte aggrappate sulle pendici degli
apparati vulcanici e discendenti lungo i crateri
fino ad incontrare i bacini lacustri.
Progetto di assetto generale dell’area delle necropoli della Tuscia
Cristina Casadei
Bringing back the meaning of the ancient
landscape along the Via Clodia is a difficult task.
It is a matter of a landscape made by several
layers and full of memories, it is not easy to
understand all these layers, which were gathered
during the centuries in a nonlinear way.
Nowadays, in order to fulfill this task and
develope a project for a new enjoyment of the
territory, it is necessary to begin by identifing and
re-connecting the numerous stretches of the Via
Clodia. This path has been very important during
the centuries and has connected the whole area
of the Southern Etruria from North to South.
The Via Clodia represents the main component
of this territory. This path brings together the
complex network that organizes the landscape.
In order to develop a project for a new enjoyment
of this area, the first step is to systematize the
different data that had never been collected
before, in a synthetic and organic way.
Such systematization analyzes simultaneously
the area at a large-scale, which is related to
the territory, the Via Clodia and the whole road
network, and at a small scale, which focuses on
the sites in themselves.
One of the main problems noticed at the large scale
is the lack of enjoyment of the area. Therefore,
it is necessary to find a way to go through this
area in order to get aware of it, recognizing and
following, whenever it is possible, the ancient
paths, complying with the nature of the place.
Del motivato interesse verso la via Clodia.
Non è semplice trascrivere la storia millenaria
di una civiltà su di un territorio. O meglio: farla
trapelare, in modo quanto più possibilmente
chiaro, poiché nel territorio la storia è già
sedimentata in ogni segno, ma anche cancellata
e dimenticata con l’apparizione di taluni e
nella mancanza di altri. Ricondurre i fili della
memoria attraverso un paesaggio vasto, che è
buona fetta del Paese e che per assonanze e
similitudini è pure in grado di far da testimone di
culture e luoghi geograficamente distanti, è un
compito difficile ma dovuto.
Per assolvere a questo dovere, per ri-significare
agli occhi dei tanti potenziali fruitori il paesaggio
antico attorno alla via Clodia, rendendolo
riconoscibile come tale, bisogna attuare delle
scelte, adottare una strategia non del tutto ovvia
ed immediata. Ri-tracciare la Clodia non equivale
a ri-segnare un percorso; ovvero: ciò non basta.
Secondo una strategia che la lettura storica
farebbe apparire come quanto di più filologico
si possa pensare ed attuare, per dare nuova
vita a questa antica strada, occorre dapprima
riscattare quei centri e quel territorio, pure, in
senso più vasto, che gravitano attorno a questa
e che prima dello stesso tracciato hanno avuto
origine: un dato, questo, assai determinante
visto che subordina, posponendolo, il percorso
della Clodia all’assetto territoriale di questi
presidi più remoti.
La realtà è tuttavia ancora più complessa:
infatti la civiltà e la cultura che hanno prodotto
questi abitati ed occupato questi territori hanno
conosciuto il loro periodo buio e di decadenza
proprio quando venne istituita la Via.
E ciò non avvenne per accidente: la strada
fu infatti un’invenzione dei Romani che nel
III secolo a.C. consolidarono quelle vie che
servivano a collegare tra loro i villaggi etruschi
dell’entroterra e che furono utili all’esercito
dell’Urbe per penetrare quei luoghi e conquistare
quella gente.
Pertanto, la via che celebra e rappresenta
gli etruschi, tenendo attualmente insieme, se
non proprio fisicamente almeno sulle carte
e nell’immaginario comune, i diversi abitati e
le necropoli, gli uni eretti e le altre scavate da
questo popolo, è l’evento che ne sancisce la
decadenza: la Clodia è stata quando la cultura
etrusca fu in procinto di non esserci più.
Balenano
allora
le
difficoltà
che
si
riscontrerebbero nel raggiungimento degli
obiettivi preposti. Far chiarezza risulta ancora
più difficile quando le storie che si vogliono
narrare attraverso un unico supporto, che è il
territorio, non corrono simultaneamente ma si
sovrappongono nel tempo, l’una negando l’altra.
Questa complessità è tuttavia peculiare ad ogni
qualsivoglia sito archeologico dove il palinsesto
storico si struttura secondo uno schema non
lineare.
Volendo puntualizzare, dunque, non si dovrebbe
parlare della fiorente cultura etrusca riferendosi
alla Clodia e viceversa. Nonostante ciò, oggi,
coerentemente ad un progetto di fruizione di
questo territorio e dei suoi luoghi singolari,
24
25
Nella pagina precedente: Il ponte sul Biedano.
Il piano di assetto generale
In questa pagina: il paesaggio antico attorno alla via
clodia - orografia, tracciati e centri.
Il disegno evidenzia la direttrice nord-sud della via Clodia
e quelle che si orientano in modo opposto, andando da
ovest ad est, che collegano Tarquinia a Norchia e quindi
Orvieto e Cerveteri alla Tolfa e a Veio.
tracciato
centro abitato interessato dal tracciato
tracciato storico (riconosciuto dal Piano Territoriale Paesistico
regionale come “Beni del Patrimonio Culturale - viabilità antica”)
sito archeologico intreressato dal tracciato
tracciato storico coincidente con una Srrada provinciale
area di interesse archeologico (Piano Territoriale Paesistico regionale)
tratturo
Beni della Lista del Patrimonio mondiale dell’UNESCO
tracciato della linea ferroviaria dismessa Capranica - Civitavecchia
con indicazione delle stazioni
non è possibile pensare di prescindere dalla
Clodia e di non partire dall’individuazione
e riconnessione dei tratti dell’antica strada
romana. Anche perché questo tracciato ha la
sua identità storica, confermata, chiara e precisa
(sebbene il tracciato originario sia lacunoso e
non sempre identificato) e, a differenza della
rete di infrastrutture che caratterizzava il periodo
fiorente della cultura etrusca, che si orientava
in modo opposto, dalla costa penetrando
nell’entroterra, consente di collegare, da nord a
sud, tutta l’area oggetto del nostro studio.
La Clodia rappresenta quindi l’elemento
costante e caratterizzante di questo territorio,
che detiene la capacità di tenere assieme il tutto,
quel sistema complesso di dati e aspetti, ovvero,
che struttura il paesaggio e che costituisce ora
il nostro interesse. Infatti, seppure la ricerca
ed il laboratorio trovino inizialmente ragion
d’essere nella volontà di indagare le differenti
culture, dalla villanoviana a quella etrusca, dalla
romana a quella alto e basso-medioevale, che
hanno dato identità a questo settore di territorio,
andando avanti con lo studio, è emersa in
maniera sempre più chiara la necessità di
considerare questo paesaggio nella sua totalità,
nella complessità delle memorie che vi si sono
depositate e stratificate, valutando pure le
reciproche influenze, quelle che la strada ha
avuto sul territorio circostante e viceversa.
Problematicità, strategie ed interventi.
L’obiettivo della ricerca è dunque, in prima
istanza, quello di promuovere una sensibilità
verso i luoghi, pervenendo alla conoscenza
e alla comprensione di un territorio. A tal
fine l’indagine parte dalla sistematizzazione
della documentazione -dai rilievi topografici e
archeologici all’iconografia, dalle carte storiche
e geologiche alla letteratura- e mette insieme
i diversi dati che strutturano e restituiscono
l’ambiente e che fino ad ora hanno difficilmente
trovato una lettura sintetica ed organica. Il testo
in esame, il paesaggio nel quale tutti questi
saperi si sono sedimentati, viene indagato,
suddiviso, analizzato, per poi essere ricomposto
in tutte le sue parti: i caratteri geomorfologici
vengono così messi in relazione con quelli
antropici, l’assetto della viabilità e dei villaggi con
le risorse dei luoghi e dunque i traffici mercantili:
i diversi elementi costituenti il paesaggio nella
sua complessità trovano così relazioni ed
intrecci, illuminandosi mutuamente.
L’analisi e lo studio si muovono simultaneamente
su due scale, sull’una, ovvero, senza mai perdere
di vista l’altra: sulla grande scala, che si estende
sul territorio e quindi sulla Clodia ed il sistema
di infrastrutture in generale, e sulla piccola, che
individua episodi puntuali, concentrandosi sui
singoli centri (questione, quest’ultima, che è
stata affrontata, come si vedrà, all’interno dei
lavori prodotti nell’ambito del laboratorio di tesi).
La grande scala.
Il problema della fruizione.
Per prendere conoscenza di un luogo è
necessario percorrerlo. Si avverte pertanto la
necessità di riorganizzare prima di tutto una
percorrenza di questo paesaggio, compatibile
con la natura dei luoghi, che riconosca e segua,
senza dubbio e per quanto possibile, le antiche
direttrici.
Ciò che infatti ci si propone è di ri-pensare
ad un modo corretto di fruire questo luogo,
non intendendo con ciò solo la possibilità di
percorrerlo, ma anche l’essere in grado di
comprenderlo: volontà, questa, più che motivata
dal fatto che l’obiettivo preposto è quello di far
trovare direttamente e proprio nel territorio la
narrazione del tempo, senza rimandarla ad un
momento che anticipi o succeda l’esperienza
sensibile.
Questo territorio appare oggi frammentario,
intermittente. Seppure attualmente sia possibile
approcciare ai diversi siti oggetto del nostro
interesse, ciò avviene attraverso un sistema di
percorrenze che non consente più di leggere
le relazioni che intercorrevano tra un luogo
e l’altro: perse le tracce delle antiche piste è
venuto meno anche il senso di questi luoghi
e, considerandolo nella sua totalità, questo
paesaggio appare oggi come una lacunosa
rovina di ermetica interpretazione.
Il lavoro parte dunque dallo stato dei fatti e,
attraverso il ri-conoscimento degli antichi
tracciati e l’avanzamento di una ipotesi di
riconfigurazione di ciò che già è presente,
propone un disegno organico del sistema delle
antiche percorrenze distinguendo assi principali,
diverticoli, accessi e mura di città e villaggi.
L’area di intervento.
Anche la scelta dell’ambito di territorio si
rivela strategica in tale senso: l’area indagata
è quella che, secondo le condizioni attuali, si
manifesta come la più integra e preservata
dalle trasformazioni dovute all’azione antropica
The study area encloses the territory from
Barbarano Romano to Tuscania. This area
lasted through the transformations of the
landscape and for this reason is a good start to
tell the story of the ancient history of this territory.
The path that during the Roman period will
become the Via Clodia developed in this area.
Along such path it is possible to identify the
several scenarios that coexist within this
territory. In the next image, it is clear how the
path describes a sprawling diagram: it mainly
complies with the Via Clodia, but also deviates
towards the main coastal cities, Cerveteri
and Tarquinia. This route leads to several
archaeological sites which could be isolated,
like Norchia, or close to other villages, like Blera.
Some of these sites were lying on the Via Clodia
while others were lying on the paths which
linked the coast with the inland. Some of these
sites still remain as they used to be.
The degree theses collected in this book
deal with these realities. Such works analyze
these sites carefully, collecting natural and
anthropic data, and develop proposals for an
enhancement and a new enjoyment of such
archaeological sites.
Each degree thesis aims to bring back a
meaning to each one of these sites, according
to a method that is based on the teaching of a
correct interpretation of the phenomena.
Orvieto
Vulci
Tuscania
Castel d’Asso
M o n t i
C i m i n i
Norchia
Cerracchio
Grotta Porcina
Monte Romano
Blera
Barbarano
Romano
Tarquinia
San Giuliano
CAPRANICA
Sutri
Veio
Luni
Gravisca
San Giovenale
Civitella Cesi
M o n t i
S a b a t i n i
Allumiere
M o n t i
d e l l a
T o l f a
CIVITAVECCHIA
0
1
5
10 Km
Pyrgi
Veio
Cerveteri
26
27
Nella pagina accanto: un tratto della via Clodia nella
campagna presso il sito archeologico di Grotta Porcina,
tra Blera e Norchia.
In questa pagina: la via Clodia sul pianoro di Norchia,
vicino al complesso del Castello e del Castelletto.
Il tracciato della via Clodia sopravvive oggi solo per tratti
intrappolati all’interno dei borghi o di un paesaggio
selvaggio, addomesticato in parte dall’agricoltura e dalla
pastorizia.
succedutesi nel tempo e rappresenta,
dunque, quel brano di territorio maggiormente
predisposto al racconto della storia antica di
questa terra e dei popoli che vicendevolmente
l’hanno costruita ed abitata. Il settore di
paesaggio individuato, quello dell’Etruria
meridionale che si sviluppa attorno ad un
tratto della via Clodia, nell’area compresa tra
Barbarano Romano e Tuscania, proprio perché
poco alterato nel tempo, mantiene leggibile
la coerenza tra caratteri fisici del territorio e
modalità di insediamento, di urbanizzazione e
di antropizzazione, rappresentando, così, una
circostanza peculiare. Una condizione, questa,
che ha permesso alla storia di sopravvivere
e durare nei segni di quel territorio che si
manifestano oggi come rovine disperse in un
vasto paesaggio, come “sculture in campo
espanso” 1.
Fruire i diversi paesaggi.
Una moltitudine di tracce e reperti diffusi
caratterizza infatti questo territorio: e ciò fa sì che
sia difficile parlarne circoscrivendone delle parti,
distinguendo un sito dal suo intorno. Sarà più
giusto e naturale parlare di paesaggi, dei diversi
dei quali si compone l’immagine stratificata che
agli spettatori si presenta. All’interno dell’area
scelta se ne possono infatti individuare differenti:
esito della geografia, come il paesaggio della
costa, quello dell’entroterra e quello dei bacini
lacustri; della storia, dell’antropizzazione e delle
diverse culture, quindi, come i paesaggi della
civiltà etrusca e di quella romana, del sacro
e della cristianità, ma anche il più giovane
paesaggio del lavoro umano e dell’agricoltura,
che tutti assieme, uno sull’altro, restituiscono
quella unità paesistica che è il territorio così
come oggi ci è dato (il piano paesistico stesso
parla di beni culturali, storici ed archeologici,
ed ambientali areali, allargando così a tutto il
territorio l’attenzione e l’osservazione).
Lungo il tracciato individuato all’interno dell’area
indagata è possibile restituire una visione
completa di quelli che sono i diversi scenari che
convivono all’interno di questo territorio.
Il percorso arriva a descrivere infatti un
diagramma tentacolare, che ricalca per un
tratto l’antica via Clodia e dove si evidenziano
tre direttrici pressappoco ortogonali alla strada
romana: l’una, di memoria più remota, che
collega Cerveteri alla Tolfa e a Veio, e le altre
che legano i territori di Tarquinia con Norchia e
quindi Castel d’Asso ed Orvieto e Taquinia con
l’entroterra di Luni, San Giovenale e Blera. Il
tracciato, riconoscendo e ricalcando gli antichi
diverticoli, devia dunque dalla Clodia per arrivare
ad includere i capisaldi che si attestano lungo
la costa, di poco arretrati rispetto a questa, che
si rivelano indispensabili per comprendere il
ruolo svolto dall’entroterra, in modo particolare
nelle vicende che hanno avuto luogo a partire
dall’VIII-VII secolo.
La piccola scala.
I casi studio.
Il tracciato intercetta, nel suo sviluppo, i
differenti siti archeologici, isolati (es. Norchia,
San Giovenale, Luni) o a ridosso dei centri
abitati (es. Blera), che in origine disegnarono
la traiettoria della Clodia o che si innestarono
su quelle direttrici più antiche, che dalla costa
si spingevano nell’entroterra. Alcuni di questi
luoghi, più di altri, per via della loro condizione
isolata o di una tutela preposta, sono stati
preservati dalle trasformazioni urbane, nei
centri stessi e nel loro intorno, e detengono
ancora oggi la capacità di narrare del passato,
dell’originaria condizione.
Tra questi è ricaduta la scelta dei casi indagati e
presi in esame, da Norchia, a San Giovenale a
Luni sul Mignone; da Cerveteri a Tarquinia; tutti
quanti siti emblematici e rappresentativi della
cultura etrusca nel suo evolversi nei diversi
periodi.
Questi siti hanno ognuno un proprio carattere
ma possono essere distinti per l’appartenenza a
due diverse categorie.
Se infatti ci riferiamo a Norchia, a San Giovenale,
a Luni sul Mignone , ai siti ovvero che ricadono
nell’entroterra etrusco, parliamo di luoghi che
nel corso del tempo, dal loro spegnimento,
avvenuto pressappoco nel XV, hanno vissuto
in uno stato di quasi totale abbandono– e
sofferto, proprio per ciò, anche per il degrado
delle antiche rovine-. Proprio questa condizione
di isolamento, fuori dalle strategie dei piani
di trasformazione e di tutela (sebbene la
Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Etruria Meridionale ha operato nel tempo
assicurando, con scarse risorse economiche,
minimi interventi di conservazione e protezione
dei siti), li ha elusi tanto dalle politiche di sviluppo
quanto dalla conoscenza. I loro nomi ri-suonano
solo all’orecchio di pochi: e così Norchia non è
Norcia, deve premettere Brandi al fine di evitare
il facile equivoco che può avvenire proprio per
via della scarsa cognizione che c’è dell’antico
sito etrusco, romano e medioevale. Poche,
isolate e frammentarie sono state in passato le
occasioni di indagine delle aree archeologiche
dell’entroterra: gli scavi svedesi, svolti intorno
agli anni ‘50 e ‘60 (Luni e San Giovenale) o gli
studi portati avanti da famiglie di archeologi (i
Colonna su Norchia) rappresentano gli episodi
più importanti di approfondimento. E seppure
alcuni monumenti, come San Pietro a Norchia,
hanno da sempre conquistato l’attenzione di più
ed importanti studiosi, il racconto e la memoria
di questi luoghi sono sconosciuti a molti,
accantonati nell’oblio. Il compito che si pone la
ricerca è dunque quello di portare l’attenzione
verso queste realtà, sottraendole così a questa
condizione di marginalità. Dall’altra parte, al
contrario, i nomi di Tarquinia e di Cerveteri,
le antiche Tarkna e Caere, che costituiscono
gli altri due casi di studio, ri-suonano a molti
rimandando subito a quella cultura etrusca
di cui sono città rappresentative. Tanto che
per queste due aree archeologiche quasi non
occorrerebbero presentazioni: sono in molti ad
averle celebrate e ad averne ripercorso la storia;
le stesse istituzioni le hanno riconosciute come
beni di altissimo valore: entrambe sono infatti
patrimonio Unesco. Tuttavia la conoscenza e
l’immagine che ci viene consegnata di questi
luoghi è miope ed ingannevole, distorta e
contraffatta rispetto alla reale. Gli scavi e gli
interventi a tutela di questi siti, avvenuti per la
maggior parte negli anni ‘20, non sono stati in
grado di evolversi e svilupparsi assecondando
le nuove conoscenze, restituendole ed
attualizzandole in un’immagine vera e coerente
con quello che era l’originario territorio
Tarquiniese o Ceretano.
In-scritte e de-scritte da recinti posti a loro
custodia, le aree che oggi fruiamo di Cerveteri
e di Tarquinia sono percepite in modo limitato
rispetto a quella che è la loro vera estensione
ed alterate rispetto al modo nel quale dovevano
originariamente rivelarsi. Il senso sincero dei
luoghi ci è dunque sottratto nella fruizione che
possiamo avere di questi siti. In tale circostanza,
l’obiettivo è dunque quello di smantellare
l’apparato delle conoscenze suggerite da
un’immagine corrotta, al fine di rimuovere
ogni dannosa abitudine nel leggere le cose, e
quindi di ampliare la percezione incoraggiando
la comprensione dei luoghi nel loro rapporto
col territorio: cogliere le ragioni che li legano
ad un’intera regione e quindi agli altri siti,
sottraendoli così da quella condizione che li
faceva apparire come fatti isolati, episodici.
Interventi.
I lavori di tesi hanno preso in esame questi casi
e, partendo da una analisi che mettesse insieme
i dati naturali con quelli antropici, l’assetto geomorfologico e vegetazionale con i fatti della
storia, basandosi tanto sulle fonti letterarie
che sui sopralluoghi e quindi sulla conoscenza
diretta, hanno portato avanti distinte ipotesi per
la valorizzazione e la fruizione di questi siti.
Valorizzare, in questa circostanza, non significa
dar valore ai luoghi, che già ne possiedono,
ma riscoprirlo, tutelarlo dal degrado, facendo
in modo che il portato e la memoria di questi
continuino a durare nel tempo.
Non meno importante è il problema della
fruizione, che bisogna intendere come capacità
tanto di ripercorrere un luogo, di riutilizzarlo,
attualizzarlo, quanto di comprenderlo. Questo
tema coinvolge inoltre tutto il paesaggio
nell’esperienza progettuale: il percorso di
visita all’interno di questi siti viene pensato
come strumento che guida, orienta ed aiuta a
vedere i paesaggi, gli elementi e le qualità che
connotano i luoghi.
Pertanto ogni intervento pone questi temi al
centro delle osservazioni, ai quali fanno da
corollario le istanze della conservazione, del
restauro, della musealizzazione in situ e della
protezione, attuate attraverso precise strategie
d’intervento.
L’obiettivo è dunque quello di rievocare,
di suggerire i caratteri spaziali e le qualità
architettoniche ed ambientali, ormai in rovina e
dunque di difficile comprensione.
Conclusioni.
Sebbene dunque ogni sito abbia una propria
storia e delle attuali necessità, alle quali le
proposte progettuali cercano di dar risposta,
ogni lavoro tenta di ridare senso a questi
luoghi, secondo un metodo che pone le radici
nell’educazione ad una corretta interpretazione
dei fenomeni.
1
“Sculpture in the expanded field”, formula coniata nel
1979 dalla critica d’arte Rosalind Krauss in riferimento alle
opere di Alice Aycock.
28
esperienze progettuali
esperienze progettuali
Cerveteri, pp. 30 - 37
Comprensione dei paesaggi sepolcrali e nuova fruizione
Norchia, pp. 60 - 65
L’accesso e il fossato
Norchia, pp. 72 - 79
Castello e castelletto
Elena Caroti
Manuel Giugliano
Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei
San Giovenale, pp. 38 - 45
Protezione e musealizzazione dell’insediamento etrusco del Borgo
Norchia, pp. 66 - 71
Il ponte
Giulia Cervini, Ilaria De Vito
Carolina Reale
Luni sul Mignone, pp. 46 - 57
Analisi ed interventi per la valorizzazione ed una migliore fruizione dell’area archeologica
Norchia, pp. 96 - 101
La chiesa di San Pietro
Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
Marco Frosi
Tarquinia, pp. 102 - 109
Recupero delle antiche connessioni tra la città dei vivi e la città dei morti.
Norchia, pp. 80 - 95
Il sistema ipogeo e la chiesa di San Pietro
Laura Della Sala
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
29
30
tesi di laurea in progettazione architettonica
Elena Caroti
La necropoli di Cerveteri.
Comprensione dei paesaggi sepolcrali e nuova fruizione
direzione
Castel Giuliano - Monterano Manziana
di Elena Caroti
31
direzione
Bracciano
direzione
Stigliano - Rota - San Giovenale
a.a. 2010-2011
correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta
direzione
Tolfa - Tarquinia Luni sul MIgnone
necropoli della
Bufolareccia
necropoli della
Banditaccia
necropoli della
Cava della Pozzolana
via degli Inferi
Cerveteri
VII Biennale del Paesaggio di Barcellona - tesi esposta
II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi e plastico esposti
conferenza a Viterbo, Palazzo della Prefettura, indetta da ArcheoTuscia
necropoli
del Sorbo
necropoli
di Greppe S. Angelo
necropoli di
Monte Abatone
Caere - Pyrgi
La Necropoli di Cerveteri, l’antica Caere, è una
delle più importanti testimonianze della civiltà
etrusca ad oggi conosciute: un sito archeologico
di rilevanza tale da essere stato insignito del titolo
di Patrimonio dell’Umanità UNESCO, nel 2004.
Alcuni passi dell’Eneide di Virgilio raccontano
caratteri peculiari di questi luoghi: da un lato
ci restituiscono poeticamente l’orografia del
territorio e dall’altro evocano l’origine orientale
della potenza politica, frutto di un legame fra
civilità del bacino del Mediterraneo, talmente
forte da far tramandare una leggendaria
provenienza dalla Lidia.
Sono invece gli scambi commerciali ad
alimentare influssi culturali, come testimoniato
dalle architetture sepolcrali, fonti dirette di
ispirazione visiva. La rupe antica della città è
racchiusa da “concavi colli” che sono le ultime
propaggini del massiccio dei monti della Tolfa,
i cosiddetti monti Ceriti, i Monti Sabatini, e il
monte Abatone.
Circondato da forre, il pianoro urbano era
separato fisicamente dalle sue necropoli, con
le quali conservava invece un forte legame
visivo. La più famosa, studiata e soggetta a
scavi sistematici è quella del pianoro della
Banditaccia. Sul pianoro della città antica invece
oggi rimane solo il centro storico di Cerveteri
(Caere Vetere) mentre la città moderna si è
estesa in direzione della Via Aurelia e del mare.
Mare che fu appunto l’elemento fondante
della potenza di Cere, grazie ai numerosissimi
scambi commerciali. La metropoli cerite, con i
suoi tre porti Alsium, Pyrgi e Punicum e la sua
flotta marittima, svolge il ruolo di intermediario
nei continui rapporti dell’Etruria Meridionale,
soprattutto interna, con l’entroterra. Esportando
le notevoli risorse, agricole e minerarie, e
ricevendone in cambio pregiate lavorazioni
greche e orientali sia utensili sia in campo
artistico, la condizione costiera pone Caere
(e l’antagonista Tarquinia) in posizione di
dominanza e di influenza rispetto ai centri interni.
Anche l’architettura funeraria delle necropoli
dell’entroterra
diventa
fondamentalmente
un riflesso di tale rapporto, con le dovute
rielaborazioni.
Dall’apposita
ricostruzione
cartografica,
osservando la posizione dei tumuli di età
orientalizzante e delle direttrici viarie che
si diramavano in forma stellare intorno alla
città, si nota la stretta connessione fra le rotte
commerciali di terra e la posizione di queste
grandi emergenze sepolcrali di VII sec. a.C.
Questi infatti erano dei veri e propri avamposti
di ostentazione del potere, ad opera delle ricche
famiglie dell’oligarchia dominante, destinate ad
una visione, ad una certa distanza, di quanti
percorressero le suddette rotte commerciali.
Le principali necropoli di Caere sono tre,
includendo quelle del Sorbo e di Monte Abatone.
La reale estensione delle necropoli non è del
tutto nota, ma ciò che è organizzato come
“recinto di visita” è certamente solo una piccola
parte dell’area sepolcrale che occupa il pianoro
della Banditaccia.
Le sue necropoli sono uniche al mondo per
la varietà di tipologie sepolcrali presenti, in
particolare lungo la Via degli Inferi, la via
sepolcrale principale, che fungeva da trafficata
circonvallazione delle rotte commerciali dal
mare all’entroterra e viceversa, evitando il
passaggio nell’area urbana: il punto più adatto
per rimarcare il proprio potere, e proprio per
questo la zona maggiormente stratificata.
Questa radicata compresenza rende più difficile
la comprensione del luogo da parte del fruitore.
Soprattutto all’interno del recinto di visita, il
visitatore si imbatte in elementi contigui ma
distanziati centinaia e centinaia di anni.
Necropolis of Cerveteri.
Understanding the landscapes
and new enjoyment.
The necropolis of Cerveteri, the ancient Caere,
was listed in the “UNESCO World Heritage” in
2004.
The ancient Caere was located on a large plain,
bounded by ravines, surrounded by its necropolises and facing the sea.
The link with the Mediterranean Sea was the
main reason why this city was developed.
Its three harbours Alsium, Pyrgi and Punicum
were the location for the commercial trading
with the eastern population, who brought their
culture to Italy.
The historic and cartographic analysis proves
how the position of the big burial mounds is
strictly related with the main commercial routes.
Such mounds were built by the richest families
in order to show their power, and were supposed
to be seen from long distances.
Caere had three necropolises, but only a small
part of one of them, the Banditaccia necropolis,
is nowadays available for visits.
Such necropolis is made by several layers of
different burial architectural typologies, mainly
along the “Via degli Inferi”. This was the main
path of the necropolis and the connection to the
coast and the inland.
The aim of this work is to isolate the several
layers that gathered one after another during
the centuries.
It is possible to define five burial landscapes: the
Villanovan, the Orientalizing, the Hellenistic, the
Etruscan and the Decline landscape. A small
welcome center has been designed on the other
side of the necropolis’ plain as a starting point
for the proposed new routes.
Háut procúl hinc sáxo incólitur fundáta vetústo
Úrbis Agýllinae sédes, úbi Lýdia quóndam
Géns, belló praeclára, iugít insédit etrúscis.
Non lontano da qui, posta su rupe antica è la sede
Della città d’Agylla, dove i Lidi una volta
Famosi in guerra presero sui colli etruschi dimora.
Caere - Alsium
Est ingens gelidum lucus prope Ceritis amnem
Religione Patrum late sacer: undique colles
Inclusere cavi et nigra nemus abiete cingunt.
Grande c’è un bosco sacro sul gelido fiume di Caere
Con religione dai padri vastamente adorato: concavi colli
Lo chiudono in cerchio e cingon la selva di nere abetine.
(Virgilio, Eneide, Libro VIII)
32
tesi di laurea in progettazione architettonica
Elena Caroti
▪ Analisi dei paesaggi
Percorrendo il pianoro, si incontrano dei punti
che più di altri mantengono una visione per
fasi, isolando una fruizione dell’archeologia
che permette di recuperare le qualità del
paesaggio antico e di apprezzarne i rapporti di
scala. Esistono quindi aree che, nella visione
di insieme, permettono di identificare i caratteri
spaziali tipici di una fase storica.
L’impostazione seguita nella definizione dei
nuovi percorsi di visita è quella di ribaltare
l’approccio
tradizionale
al
monumento
antico, ripensandolo all’interno dei rapporti
che originariamente stabiliva con il territorio
piuttosto che concentrarsi sui singoli reperti. Le
principali fasi di sviluppo della necropoli sono
state sinteticamente suddivise in cinque periodi
33
Quadro etrusco.
I tumuli minori, la crescita della classe intermedia, la protezione delle famiglie dominanti
storici: il periodo Villanoviano, dal IX all’VIII
secolo a.C., Orientalizzante dal VII al VI secolo,
Etrusco dal VI al V secolo, Ellenistico dal V al
IV secolo, Decadenza dal III al I secolo a.C.
L’obiettivo è quello di monumentalizzare questi
cinque differenti tipi di paesaggi sepolcrali che
sono giunti fino a noi ripensando la fruizione
all’interno di nuove strategie di comunicazione.
“C’è un fascino speciale nelle proporzioni naturali che sono in tutte le cose etrusche dei
secoli vergini, non ancora romanizzati. Nelle forme e nei ritmi, nei pieni e nei vuoti di questo
mondo sotterraneo, c’è semplicità unita ad una particolarissima naturalezza.”
D.H. Lawrence, Paesi Etruschi, 1932
Paesaggio Villanoviano
Quadro villanoviano.
Il buco, il pozzo, la fossa, l’orizzonte piano, il rapporto visivo con l’area urbana
“C’è un fascino speciale nelle proporzioni naturali che
sono in tutte le cose etrusche dei secoli vergini, non
ancora romanizzati. Nelle forme e nei ritmi, nei pieni e nei
vuoti di questo mondo sotterraneo, c’è semplicità unita a
una particolarissima naturalezza.”
da Paesi Etruschi, D.H. Lawrence, 1932
Quadro ellenistico.
Il dado, la necropoli come città, la regolarizzazione, le vie interne alla necropoli
Quadro orientalizzante.
Il tumulo, l’emergenza, l’orizzonte modificato, l’oligarchia, il rapporto col mare, le direttrici viarie
Quadro di decadenza.
Le camere, il riuso, la scarsità di suolo, i segnali della fine della civiltà
Paesaggio Decadenza
“… E intanto, deposta ogni residua velleità di filologico
scrupolo, io venivo tentando di figurarmi concretamente
“ Pochi gradini conducono fino alle camere nella roccia. Non c’è rimasto niente è come una casa ripulita e svuotata.
ciò che potesse significare per i tardi etruschi di Cerveteri,
Ma, chiunque sia stato ad andarsene, ha lasciato dietro di sè una sensazione gradevole.”
gli etruschi dei tempi posteriori alla conquista romana, la
frequentazione assidua del loro cimitero suburbano.”
dal prologo de Il Giardino dei Finzi-Contini, G. Bassani, 1962
34
tesi di laurea in progettazione architettonica
Elena Caroti
▪ Strategie di intervento: Itinerari
35
▪ Strategie di intervento: Percorsi
a
_Percorsi di progetto
I cinque paesaggi sepolcrali individuati possono
dare luogo a itinerari cronologici alternativi al
“recinto di visita” attuale, e di fruizione totalmente
pubblica.
Gli itinerari proposti seguono criteri tematici
o cronologici che coinvolgono l’intera area
della Banditaccia, presentata come zona
unitaria, in base a quanto già previsto nel
piano. L’attenzione è rivolta alla stratificazione
nel tempo del territorio, al suo senso
paesaggistico e al suo essere parte di un tutto.
Infatti la Banditaccia, oltre ad essere un sito
archeologico complesso in sé, fa parte di un più
vasto sistema di necropoli che si sviluppavano
tutt’intorno alla città di Caere, posta sull’alto
pianoro centrale. La connessione con la città dei
vivi attraverso l’intera percorrenza della Via degli
Inferi è un modo di percepire questa continuità.
Fondamentale infatti è il ruolo della via degli
Inferi tanto come direttrice della necropoli,
quanto come collegamento alla città tramite la
tagliata che intercetta una diramazione in senso
opposto verso il nord, verso il cosiddetto “Ponte
vivo”. La riconnessione, oltre che con la vera
e propria percorrenza, può anche avvenire in
forma “visiva” dalla zona del Laghetto, di uso
originariamente villanoviano, grazie al rapporto
diretto con l’antistante pianoro della città.
Nella tesi l’importanza di questa giunzione è
sottolineata tramite l’aggiunta di un “nuovo
accesso” alla necropoli, ossia quello inizialmente
prefigurato da Raniero Mengarelli, autore
degli scavi della prima metà del Novecento.
Tale ingresso era filologicamente più corretto
ma fu abbandonato a causa della costruzione
della cosiddetta Autostrada di accesso alla
necropoli, affiancata artificialmente da pini
marittimi, voluta da
Benito Mussolini, e
conicidente con l’accesso proposto dall’Unesco.
invaso della via sepolcrale principale
interna al recinto di visita
b
a’
1
flusso turistico attuale
2
deviazione del flusso turistico
3
parcheggio di scambio Piazza Santa Maria
per proseguimento pedonale o su bus navetta
4
percorso pedonale per museo
5
“Sentiero di Lawrence”
che collega il Museo alla Necropoli
6
percorso pedonale Area Archeologica Mola
7
percorso pedonale/navetta
8
Scavi Archeologici sul Pianoro dei Vignali
9
percorso pedonale Accesso Mengarelli
con edificio di progetto per proseguimento pedonale
11
11
14
11
f
14
via degli Inferi
e
8
7
13 itinerario attuale Recinto della Banditaccia
per proseguimento pedonale o su bus navetta
itinerario etrusco
accessi attuali
itinerario villanoviano
itinerario ellenistico
visuali privilegiate
itinerario orientalizzante
itinerario decadenza
9
14
12 sentiero naturalistico Ponte Vivo
attuale recinto di visita
g
10
13
10 percorso di connessione
città dei vivi - città dei morti
b’
h
12
15
14 nuovi percorsi di visita con disboscamenti
e allargamento all’intera area archeologica
5
4
15 percorso di ritorno/v.v.
_Altre aree archeologiche sul pianoro
Questo sito, ove oggi rimane il rudere di una
prima biglietteria, è collegato alla necropoli
da un percorso altrettanto ricco di elementi,
soprattutto della vita civile e di antiche opere
di ingegneria idraulica etrusca. Il punto
di congiunzione è pensato in funzione di
percorsi turistici che includano le altre aree
archeologiche del pianoro urbano, con soluzioni
alternative alla viabilità attuale e alle sue
problematiche. Il pianoro dell’antica area urbana
presenta inoltre ritrovamenti riferiti alla città dei
vivi (che sono meno comuni di quelli funerari
attuale recinzione
Autostrada
poichè, come noto, gli etruschi erano soliti
utilizzare materiali deperibili nelle costruzioni
civili): le porte di accesso, in alcuni casi
perfettamente riconoscibili, in altri percepibili
in alcune particolari tracce; i resti di un teatro e
le tracce di un anfiteatro; di almeno tre templi;
di un santuario e di un complesso termale. Vi
sono anche altre due piccole necropoli sull’orlo
frastagliato a Sud del pianoro, tuttora non
soggette a valorizzazione, quella rupestre di
Greppe S. Angelo e quella lungo la discesa
verso la valle della Mola.
Area sacra s.Antonio (VIII - V sec. a.C.)
b
Porta di S. Antonio (VI sec. a.C.)
c
Necropoli di Greppe o Ripe S. Angelo (VI sec.)
d
Santuario e necropoli sulla valle della Mola (V sec.)
e
Complesso archeologico Vigna Parrocchiale (V sec.)
f
Tempio del Manganello (IV sec. a.C.)
g
via degli Inferi
h
Porta coperta
area delle
Tombe del Comune
zona dei Grandi Tumuli
esterna al recinto
sezione a-a’
3
a
via sepolcrale principale
esterna al recinto di visita
6
a
b
c
1
Autostrada
d
2
zona dei Grandi Tumuli
esterna al recinto
sezione b-b’
36
tesi di laurea in progettazione architettonica
Elena Caroti
37
▪ Obiettivi
tumulo minore
VI sec. a.C.
grande tumulo
VII sec. a.C.
tomba a camera
IV sec. a.C.
tomba a fossa
IX sec. a.C.
La proposta finale è un intervento progettuale
che rafforzi e renda funzionale il nuovo accesso
proposto, con una particolare attenzione a
reversibilità e temporaneità in ragione di quella
particolarissima naturalezza celebrata da
Lawrence.
Il progetto vuole preservare la percezione del
paesaggio predisponendo, in un punto preciso
di osservazione, un’ampia terrazza che si apre
sul campo aperto. Per alzare il livello ricettivo
dell’aerea archeologica, al di sotto della terrazza
viene predisposto un edificio di servizi al turismo
che organizza un punto di ristoro e una serie di
aule didattiche.
38
tesi di laurea in progettazione architettonica
Giulia Cervini, Ilaria De Vito
Valorizzazione e fruizione del sito archeologico
di San Giovenale in Tuscia.
Protezione e musealizzazione
dell’insediamento etrusco del Borgo
39
Norchia
di Giulia Cervini, Ilaria De Vito
a.a. 2011-2012
correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta
Tarquinia
Blera
San Giuliano
San Giovenale
Luni
Graviscae
Barbarano
Sutri
San Giovenale
Monti della Tolfa
San Giovenale come stazione tra la costa tirrenica e l’entroterra laziale
Tarquinia
San Giovenale di Blera è un centro dell’Etruria
Meridionale che si colloca su un diverticolo della
via Clodia, lungo il collegamento tra l’entroterra
laziale e la costa tirrenica.
Riportato alla luce dagli scavi condotti
dall’Istituto di Studi Classici a Roma tra il 1956
e il 1965, presenta tutte le caratteristiche tipiche
di un centro dell’Etruria Meridionale: un pianoro
centrale su cui si attestano gli insediamenti, “la
città dei vivi”, circondato dalle necropoli , “la città
dei morti” .
L’area d’intervento (dagli scavatori denominata
il “Borgo”) si colloca ad est dell’Acropoli,
l’altopiano più esteso dell’area di San Giovenale
e delimitato da ripidi pendii su tutti i lati, salvo
quello che, lambito da un tracciato antico, lo
divide appunto dalla sua estensione orientale.
Il complesso di case etrusche di cui ci
occupiamo s’insedia sul pendio settentrionale
del Borgo, dove un’opera di terrazzamento e di
riempimento permise di ricavare i piani sufficienti
per costruire nuove abitazioni nel periodo più
fiorente per il centro di San Giovenale (VII-VI
sec. a.C.), quando la superficie dell’altopiano
risultava ormai satura.
La particolare caratteristica morfologica del
sito, avendone impedito nei secoli l’utilizzo per
lavori agricoli, è anche la ragione per cui le
murature sono rimaste spesso intatte; a volte,
soprattutto nelle parti alte del pendio, fino
ad un’altezza di due metri. Questo fa di San
Giovenale (insieme forse solo ad Acquarossa)
uno dei siti arcaici finora più ricchi di architettura
domestica in Etruria. Ma il carattere peculiare
del sito in questione non consiste solo nella
testimonianza che offre delle tipologie e delle
tecniche costruttive delle unità architettoniche
che compongono l’insediamento abitativo:
il Borgo rappresenta infatti un importante
esempio della strutturazione “urbanistica” tipica
della fase di passaggio (definibile protourbana)
da villaggio arcaico a città etrusca. L’irregolarità
delle giaciture dei singoli edifici, tutti orientati
diversamente l’uno dall’altro e quasi tutti
perimetrati da murature sghembe, si confronta
con caratteri di organizzazione generale del
complesso urbano che contengono i germi di
una vera e propria pianificazione territoriale.
Il duplice valore archeologico dell’insediamento
(quello delle singole unità abitative e quello
dell’agglomerato urbano nel suo complesso)
contribuisce alla scelta progettuale di un doppio
sistema di copertura: una macrocopertura a
tettoia, volta a ricoprire e proteggere l’intera
area di scavo (compreso tutti gli elementi
originariamente scoperti: le strade, i cortili,
le strutture idriche), ed un insieme di singole
coperture che mettono invece in evidenza i
volumi delle case.
Blera - Sutri
The archaeological site of San Giovenale.
Enhancement and new enjoyment.
Protection of the Borgo housing complex.
San Giovenale lied on a deviation of the Via
Clodia, along the connection between the inland
and the coast. Such village has features similar
to the other etruscan villages: it is located on a
plain, which hosts the urban settlement, bounded by ravines and surronded by its necropolises.
The study area, the so called “Borgo” is located
at the eastern part of the Acropolis’ plain.
An etruscan housing complex lies on the northern steep side of the “Borgo” area. In order to
gain new housing spaces, such steep side was
filled during the VII century B.C., when the plain
area was fully urbanized. Such housing complex
represents one of the most important samples of
the urban development during the switch from
the archaic villages to the etruscan city.
The project itself wants to underline this duality:
it includes a main roofing system and a set of
single coverages which recalls the ancient
houses’ volumes.
The main roof covers and protects the entire archaeological area. It consists of a flat surface
hold by steel columns. The main structure is
regular and modular making possible to extend
the roof system according to the archaeological
site expansion. The result is an abstract structure that recalls the sky which was the original
coverage of this area.
The houses shells recall the lost image of the
ancient village. The new architecture allows the
ancient one to become architecture again.
Tolfa - Caere
Dai percorsi territoriali ai percorsi interni: gli accessi, gli attraversamenti, le aree archeologiche.
40
tesi di laurea in progettazione architettonica
▪ Fasi di antropizzazione del pianoro
41
Giulia Cervini, Ilaria De Vito
▪ Stato di fatto
▪ Stato di fatto
Restituzione dei rilievi archeologici di San Giovenale
Restituzione dei resti archeologici del Borgo
▪ Analisi della strutturazione urbana
casa E
Acropoli
Necropoli
di Porzarago
Borgo
Vignale
casa D
Necropoli di
Casal Vignale
casa B e C
casa A
E’ rilevante constatare che l’insediamento sul
Borgo rappresenta una importante testimonianza
della fase di transizione tra villaggio arcaico e
città etrusca. La sua conformazione infatti ha
carattere irregolare e crescita spontanea, ma
contiene già i germi di una prima pianificazione
e coordinamento sociale: il grande progetto di
terrazzamento e riempimento, la preparazione
della roccia, i muri di sostegno, il sistema di
drenaggio e il grande canale di scarico.
Accesso all’area
Villaggio di Capanne Villanoviane
Acropoli, San Giovenale, VIII sec. a.C.
1. Fase Appenninica e fase Villanoviana
A
A
B
C
E
D
B
E
C
D
2. Fase etrusca
Insediamento Protourbano etrusco
Borgo di San Giovenale, VII - VI sec. a.C.
Accesso al Borgo
3. Dall’eta classica al Medioevo
1. Fase Appenninica e Villanoviana
Nell’Età del Bronzo tribù appartenenti alla
“facies” settentrionale della civiltà tardoappenninica si insediarono sull’estremità
orientale del pianoro tufaceo, dove costruirono
un villaggio di capanne. Per alcuni secoli il
pianoro fu abbandonato, per tornare ad essere
occupato verso il 750 a.C. da un insediamento
protovillanoviano che si stabilì sul margine
ocidentale dell’altura fino ad estendersi, nel
corso degli anni, nella zona est dell’acropoli. Si
costruivano ancora capanne ma imponenti e di
forma ovale, segnale di un’agiatezza economica
proveniente dalla costa, dove si andava
formando la potente città di Tarquinia.
2. Fase Etrusca
Sul finire del VII sec a.C. gli Etruschi fanno la
loro comparsa dominatrice a San Giovenale,
che da primitivo villaggio di capanne, si
trasforma bruscamente in piccola “città”
arcaica. E’ il periodo di maggiore fioritura
dell’oppidum. La superficie piana dell’acropoli è
ormai sicuramente quasi del tutto occupata. In
questa fase cambia radicalmete anche la forma
dell’abitato, che si trasforma in architettura in
blocchi di tufo rettangolari, sistemati ad angoli
retti e con tetti di tegole. Contemporaneamente,
nelle colline prospicienti nascono le necropoli,
dapprima sottoforma di tombe rupestri (Casale
Vignale), poi, con lo sviluppo dei rapporti con la
città di Caere, di tumuli (soprattutto in località
Porzarago). Con l’inizio delle lotte tra Tarquinia
e Roma, San Giovenale viene fortificata
particolarmente nell’acropoli per opporsi
all’avanzata nemica proveniente da sud.
3. Dall’Età Classica al Medioevo
Dopo la conquista romana San Giovenale
perde gradualmente importanza ma riesce a
sopravvivere fino al 200 a.C. circa, quando il
pianoro resta completamente disabitato. Le
popolazione vivono ora nelle campagne attorno
alle ville rustiche, dove, con il latifondo romano,
si esprimono nuove concezioni di vita rurale.
Verso il 900 d.C., nell’epoca carolingia, i
proprietrai
terrieri abandonano le ville e
ritornano sulle alture. Sorge sull’Acropoli un
primo villaggio medievale con il castello e la
chiesa dedicata a San Giovenale. Un secondo
insediamento si sviluppa nel XIII secolo attorno
al castello dei “Di Vico”. Nel XV secolo un nuovo
e definitivo abbandono.
▪ Analisi tipologica delle case del Borgo
Accesso all’Acropoli
Casa A
Casa B e C
Casa D
Casa E
42
tesi di laurea in progettazione architettonica
Giulia Cervini, Ilaria De Vito
▪ Obiettivi
▪ Strategie di intervento
Abitato del Borgo
La prima copertura, una superficie piana sorretta
da un sistema puntuale di appoggi, permette
di ottenere un risultato visivo il più possibile
astratto e dunque in grado di evocare quello che
anticamente ricopriva l’intera area: il cielo.
La sua regolarità geometrica e la sua struttura
modulare ne garantiscono invece l’adattabilità
e l’estendibilità, caratteri necessari di una
copertura archeologica in luogo di scavi dai
confini incerti ed in ogni momento, ampliabili.
Si affianca alla più tecnica necessità
di protezione del sito, che ne consenta
efficacemente conservazione e durabilità,
un’istanza di musealizzazione finalizzata ad
una più chiara leggibilità ed interpretazione dei
resti archeologici. Gli involucri delle case, volti
a completare e non a sostituirsi all’immagine
antica, suggeriscono una spazialità perduta,
ricalcando i perimetri degli edifici, accennando
alla forma e alla loro originale dimensione,
ricostruendo una gerarchia degli spazi, che
distingue ambienti coperti da ambienti aperti, luci
ed ombre, o sottolineando le soglie e gli accessi,
di cui restano, ad oggi, solo debolissime tracce
a terra.
Acropoli
il sistema delle coperture
I problemi della conservazione: la tettoia
la macrocopertura
restituzione dell’immagine antica:
gli involucri delle case
le singole coperture
Abitato del Borgo
la preesistenza
archeologica
Tumuli di
Casal Vignale
sezione trasversale
pianta +175 m slm
e sezione longitudinale
Necropoli di Porzarago
43
44
tesi di laurea in progettazione architettonica
La necessità di sovrapporre una tettoia, costruita
su un impianto regolare e modulare, a singole
coperture aventi giaciture tutte diverse, ha
richiesto la sovrapposizione di due differenti
geometrie e di un terzo elemento che le tenesse
insieme. Il problema è stato risolto su un piano
puramente geometrico, con un sistema di rigate
che collega le giaciture sghembe del tessuto
archeologico a quelle ortogonali della copertura.
L’obiettivo è dunque quello di restituire leggibilità
alla preesistenza archeologica, che oggi si
presenta come un insieme di macerie disordinato
e difficilmente interpretabile: in un quadro di
voluta distinguibilità tra antico e moderno, la
nuova architettura consente all’antica di tornare
ad essere essa stessa tale.
Giulia Cervini, Ilaria De Vito
prospetto sud ovest
prospetto nord
prospetto sud
▪ Strategie di intervento
geometrie di progetto
sezione trasversale
▪ Il sistema costruttivo
45
La macrocopertura è una struttura reticolare in
legno che poggia su pilastri posizionati in modo
da non interferire con le tracce archeologiche
e non dettare direzionalità nette all’interno di
un impianto urbano composto da geometrie
irregolari. All’interno della piastra reticolare, in
corrispondenza delle sottostanti case del Borgo,
coppie di travi continue consentono, attraverso
i tiranti che compongono la rigata, di appendere
le coperture delle singole case, anch’esse in
legno.
Agli scheletri delle due differenti strutture si
accosta un rivestimento in goretex bianco,
materiale in grado di garantire un’opportuna
impermeabilizzazione e
al contempo una
diffusione ottimale della luce. Il rivestimento
in tessuto completa anche le coperture
delle singole unità abitative, consentendo la
distinzione tra spazi aperti, più luminosi, e spazi
coperti, maggiormente ombreggiati.
46
tesi di laurea in progettazione architettonica
Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
Luni sul Mignone:
analisi ed interventi per la valorizzazione
ed una migliore fruizione dell’area archeologica.
di Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
a.a. 2011-2012
correlatrice: Cristina Casadei
Tarquinia
Monte Romano
Blera
Luni
Barbarano
Luni
San Giovenale
Allumiere
Ci troviamo nel cuore dell’Etruria Meridionale
lì dove il territorio è caratterizzato da altopiani
tufacei, profonde valli fluviali e una ricca
vegetazione boschiva.
L’antico insediamento di Luni si trova sulla
sommità di un pianoro lambito dal fosso del
Canino, il torrente Vesca ed il fiume Mignone,
che ne fanno un luogo naturalmente fortificato e
di notevole suggestione affacciandosi sull’intera
vallata e sul vicino sistema dei Monti della
Tolfa. Queste caratteristiche fanno di Luni uno
dei principali avamposti, conteso tra la città di
Tarquinia e Cerveteri per il controllo del territorio
e soprattutto dei commerci lungo il Mignone,
utilizzato come collegamento tra l’entroterra e la
costa tirrenica. Stessa direzione presentavano
numerosi tracciati antichi tutti convergenti nella
vicina via Clodia, tra i quali vi è quello che passa
per Luni e di cui sono rimasti evidenti segni
del passaggio dei carri. Attualmente questo
tracciato si interrompe nel punto di connessione
tra Luni e Monte Fortino a causa del passaggio
del tracciato ferroviario Orte-Civitavecchia
realizzato nel 1921.
Le quattro campagne di scavo nel 1960, condotte
dall’Istituto Svedese degli Studi Classici in
Roma, con il diretto sostegno del re Gustavo VI,
hanno messo in luce una serie di ritrovamenti
databili ad epoche differenti strettamente
correlati allo sviluppo dell’insediamento. I primi
abitati si concentravano su una porzione ristretta
del pianoro con la realizzazione di capanne
semi-interrate nel banco tufaceo coperte da
una struttura leggera in legno e paglia. In epoca
etrusca la città si fortifica con un sistema di
mura di cinta e vengono scavati dei fossati che
tagliano trasversalmente il pianoro e che sono
tutt’ora visibili. L’antropizzazione trasforma il
sistema vegetazionale: il bosco arretra per
far posto agli insediamenti, mentre nella fase
di abbandono la vegetazione inizia una lenta
riconquista dell’altopiano.
Per promuovere la valorizzazione del sito di
Luni si propone un intervento teso a migliorare
l’accessibilità e la fruizione del sito cercando
di identificarlo come un’area archeologica
riconoscibile. I punti fissi per la redazione del
progetto sono: raccontare; evocare; orientare;
proteggere. Il piano d’assetto prevede interventi
sul sistema vegetale rafforzando il processo di
rimboschimento già in atto, al fine di organizzare
percorsi e soste alla scoperta dei resti di
maggior interesse. Questi ultimi sono evidenziati
dall’essere isolati in radure, riproponendo le
antiche atmosfere che dovevano presentare;
ciò ci ha permesso di distinguere i resti come
appartenenti a due fasi differenti e di raccontare
due condizioni: una arcaica per quel che riguarda
l’abitato appenninico e l’edificio monumentale,
l’altra legata al periodo etrusco, ricalcandone
l’orientamento e l’ortogonalità degli isolati.
Luni sul Mignone.
Enhancement and new enjoyment
of the archaeological site.
The ancient village of Luni is located on a plain
bounded by the ravines producted by the erosion of the Canino stream, the Vesca stream
and the Mignone river.
The main cities of Tarquinia and Cerveteri contended for Luni, as one of the principal outposts
for the control of the inland and overall for the
commerce route along Mignone river.
Moreover, Luni was located along one of the
ancient paths which were connected to the Via
Clodia. Nowadays such path stops near Monte
Fortino due to the railway Orte-Civitavecchia.
The plain was inhabited during the Bronze Age.
Initially the villages occupied only a small area
of the plain. The thatched huts were partially
built underground and were covered with straw
and wood. During the Etruscan Age the villages
became a fortified city. High walls were built and
an artificial moat, still visible, was dug. This urban settlement was in use until the Middle Ages.
Then the plain was abandoned.
Nowadays it is necessary to improve the accessibility of Luni’s area, by the restoration of the
physical and cultural identity of the place.
To achieve this goal, it is necessary to develop a
correct narration of the territory, a safeguard of
the ruins and a design of new paths.
The masterplan includes a landscape design
that aims for define the paths and the stop areas
through the ruins.
47
48
tesi di laurea in progettazione architettonica
Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
▪ Fasi di antropizzazione
del pianoro
ACQUAROSSA
Edificio monumentale
Fossato etrusco
Abitato appenninico
Tagliata etrusca
Mura di cinta
Fase del Bronzo
Fase del Ferro
Fase Etrusca
4 6
3
1
4
5
6
Nel territorio di Luni non è individuabile
un’area prettamente destinata alle necropoli;
le tombe etrusche, per lo più a camera,
sono diffuse sul territorio circostante e
vengono attribuite all’abitato di Luni in
base al suo rilevante ruolo di avamposto
militare e di controllo sulla valle del Mignone.
Le zone interessate dalla presenza di
necropoli sono: Pianarola (2), Ponton
Spaderna (1), Vignolo (4), Monte Fortino (3).
L’oggetto di maggior interesse situato sulla
necropoli di Monte Fortino è la Tomba delle
Cariatidi: sulla facciata esterna è scolpito il
motivo della falsa porta e l’interno è ornato da un
ricco apparato scultoreo, costituito da pilastrini
addossati alla parete, che sostengono una
cornice continua agettante, sulla quale poggiano
due teste umane poste a sostegno del soffitto.
MUSARNA
▪ Stato di fatto
Ritrovamenti archeologici
abitato appenninico:
pianta e sezione
3
1
2
1. Mura difensive di epoca etrusca
2. Fondamenta di un’abitazione etrusca
3. Mura difensive di epoca etrusca
4. Macine di pietra dell’età del Bronzo
5. Resti di un focolare dell’età del Bronzo
6. Ingressi intagliati nel banco tufaceo
NORCHIA
Fase Medievale
tombe a nicchia
tombe a camera
insediamento
cava
ROFALCO
SAN GIOVENALE
49
50
tesi di laurea in progettazione architettonica
4
1
5 6 7
8
▪ Obiettivi
▪ Strategie di intervento
_Città dei morti
Il succedersi degli insediamenti abitativi nel
corso dei secoli ha progressivamente occupato
aree in precedenza ricoperte da vegetazione
che si è spinta, via via, verso i bordi del pianoro.
Dagli inizi del XX secolo il verde ha cominciato
ad estendersi nuovamente verso le zone tornate
ad essere libere. Il progetto pone l’accento su
questo processo, prevedendo zone di radura,
che lasciano emergere i ruderi, collegate da
percorsi che ricalcano gli antichi tratturi.
tomba a camera
tomba a fossa
Necropoli di Monte Fortino
Necropoli di Monte Santo
Necropoli del Vignolo
_Città dei vivi
4
5
6
7
8
Città dei vivi e città dei morti
stato attuale
a
b
Mura di cinta
Fossato etrusco
2
1
2
3
f
51
Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
d
e
insediamenti
tracciati
Edificio monumentale
Abitato appenninico
Porta secondaria
Tagliata etrusca
Mura di cinta
Emergenze monumentali
_Masterplan
c
a
b
c
d
e
f
Copertura edificio monumentale
Copertura abitato appenninico
Centro servizi
Percorso archeologico
Percorso ciclo-pedonale
Collegamento
Radure
Città dei vivi e città dei morti
Masterplan
Edificio monumentale
Percorsi
Sistema della vegetazione “arbustiva”
Luogo
della ierofania
Abitato appenninico
Radura
Bosco
Tagliata etrusca
Sistema
degli arbusti
Bosco
sacro
52
tesi di laurea in progettazione architettonica
Copertura dell’edificio monumentale
a cura di Silvia Austeri
L’invaso dell’edificio monumentale, delle
dimensioni di 18x9 metri, scavato interamente nel
banco tufaceo, si trova sulla punta occidentale
del pianoro. I resti delle murature all’interno
evidenziano le varie fasi di trasformazione:
l’edificio, da capanna in legno e paglia su due
livelli, si contrae per divenire prima un santuario
e più tardi una chiesa rupestre, mai completata
a causa del crollo di una parte della cappella,
ricavata dall’ampliamento dell’antro ipogeo
prima utilizzato come focolare.
Il progetto di copertura ha lo scopo di evocare
e facilitare la lettura delle preesistenze
archeologiche, mediante il ripristino delle
forme e delle volumetrie antiche, e di rendere
▪ Il sistema costruttivo
la capanna
la struttura di sostegno
i reperti archeologici
Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
interamente fruibile lo spazio con l’installazione
di pedane. Per lasciare inalterate le pareti dello
scavo, lungo le quali si distribuiscono tracce
di palo e tombe a fossa, si è scelto di fondare
la struttura portante all’interno dell’area di
scavo. La copertura si articola in più elementi
lignei a cui è applicato un sistema di fissaggio
del rivestimento. L’organismo varia al variare
del materiale di rivestimento che può essere
telo, pannelli di lamiera microforata o listelli di
legno, a seconda delle necessità funzionali
e delle qualità spaziali desiderate. Con l’uso
del microforato o dei listelli in legno si ottiene
all’interno un effetto di luce filtrata che richiama
quello originario della copertura in paglia.
▪ Il sistema costruttivo: la Capanna
53
54
tesi di laurea in progettazione architettonica
Copertura dell’edificio appenninico
a cura di Guglielmo Bartocci
Le tre grandi case a pianta rettangolare furono
scavate nel banco tufaceo, completate con
palificate lignee e muri a secco, e coperte da un
tetto spiovente a due falde, rivestito in paglia. Le
case erano disposte lungo una linea curva che
taglia trasversalmente l’altopiano e dovevano
svolgere la funzione di linea di confine verso
Est. Tutti gli ingressi segnati da gradini tagliati
nella roccia e preceduti da un portico (come si
è potuto dedurre dalle trecce di palo rinvenute
a terra) si aprono infatti verso Ovest, ossia
verso l’interno del villaggio. Le tre case lunghe
vennero abitate ininterrottamente dal Bronzo
Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
▪ Il sistema costruttivo
Medio al Bronzo Finale. Date le dimensioni
(casa nord 30m, casa centrale 7m, casa sud
40m) sembra evidente che le abitazioni fossero
plurifamiliari. I frammenti di vasi micenei, databili
tra il 1440 e il 1100 a.c., rinvenuti nello strato
pavimentale, fanno a pensare ad un commercio
con le polpolazioni del mar Egeo, alla continua
ricerca di siti ricchi di risorse minerarie.
L’abitato venne rinvenuto a seguito della
seconda e della terza campagna di scavi tra
il 1961 e il 1962 che, con una trincea scavata
nella direzione longitudianle (est-ovest) del
pianoro, intercettò i solchi dei pali a terra.
6
5
4
▪ Il sistema costruttivo
3
il rivestimento .1
le canaline ed il telo .2
le capriate lignee .3
le travature secondarie .4
il sistema dei pilastri e delle travi .5
le passerelle .6
le case appenniniche .7
2
pianta
1
1
2
3
prospetto
4
5
6
7
sezione
1. pilastro doppio C
2. trave primaria doppio C
3. piastra di ancoraggio
4. trave secondaria doppio C
5. nodo acciaio-legno
6. capriate lignee
55
56
tesi di laurea in progettazione architettonica
Silvia Austeri, Guglielmo Bartocci, Roberto Boniventi
Il centro sevizi è situato sull’antica via di
collegamento tra San Giovenale e Luni sul
Mignone, nel punto in cui il percorso approda ad
una vasta radura, circondata dal bosco che offre
un ampio panorama sul territorio, caratterizzato
dall’alternarsi di rilievi collinari e valli fluviali.
L’edificio si inserisce sul bordo di questo spazio,
con una forma compatta e allungata sollevandosi
leggermente dal terreno, per garantire continuità
percettiva sul paesaggio circostante.
Il progetto si compone di due blocchi asimmetrici
nei volumi e nelle strutture, destinati ad usi
diversi: l’uno pubblico, di accoglienza ai visitatori
di Luni, l’altro privato riservato alla foresteria e a
spazi di lavoro per ricercatori. Le due porzioni
sono separate da una rampa di accesso che
termina in una terrazza panoramica affacciata
sulla valle del torrente Vesca.
1
2
Centro servizi
a cura di Roberto Boniventi
3
4
5
6
▪ Il sistema costruttivo
7
8
9
10
11
la copertura
il rivestimento
1. Foresteria
2. Uffici
3. Laboratori
4. Ristoro
5. Zona espositiva-museale
6. Sala conferenza
la sottostruttura
1
2
6
la struttura
i resti archeologici
3
5
4
1. Orditura secondaria
2. Trave binata in legno lamellare
3. Cavo in acciaio
4. Monaco in legno
5. Travi di collegamento in lamellare
6. Pilastri in legno lamellare
7. Paiolato
8. Travi principali del solaio
9. Pavimentazione in legno
10. Piastra in acciaio
11. Orditura secondaria del solaio
57
58
59
tesi di laurea in progettazione architettonica
L’area archeologica di Norchia.
Fase Etrusca IX - III sec. a.C.
Norchia
Fase Romana II - V sec. d.C.
Lungo il tracciato della via Clodia, tra Blera
e Tuscania, al crocevia con la strada che
collegava Tarquinia ad Orvieto, sorgeva l’antica
città etrusca denominata Orcla. L’insediamento
occupava un pianoro tufaceo allungato in
direzione nord-sud, limitato, lungo il suo
impervio perimetro, dai corsi d’acqua del Pile e
del Biedano. Così difeso già per conformazione
orografica, il pianoro si prestava ad essere un
ottimo luogo per la fondazione di una città.
Abitata già dall’età del bronzo, la piana di Norchia
venne ancor più fortificata dall’intervento degli
etruschi che realizzarono, sul lato corto a sud, un
profondo fossato, una delle più importanti opere
difensive prodotte da questa cultura, difendendo
così l’unico accesso consentito dalle condizioni
naturali. Questa civiltà abitava il pianoro mentre
aveva scelto i banchi tufacei, erti dirimpetto e
ben visibili dalla città, come luogo della memoria
dei morti. La necropoli scolpita sulla rupe, dal
IV al II secolo a.C., con le tombe a facciata e a
dado delle nobili famiglie, conferì a Norchia la
sua immagine più conosciuta e caratterizzante,
rendendola uno dei siti più importanti quando si
fa riferimento alla cultura delle necropoli rupestri.
I corsi storici sono avanzati e, da quando è
stata, Norchia ha cambiato nome ed immagine,
potere e cultura: Norchia, fu così preistorica,
villanoviana ed etrusca: poi si contrasse,
divenne romana e quindi medioevale, per infine,
d’improvviso, spegnersi ed attraversare i secoli
in una condizione estraniata dal tempo.
Il medioevo le donò nuove opere di fortificazione,
il castello ed il castelletto, e soprattutto la
pieve di San Pietro, elemento di collegamento
con l’omonima e più importante cattedrale
Tuscanense. Dopo il XII secolo, con la decadenza
della diocesi di Tuscania e il declassamento
della via Clodia, sulla quale la città si era da
sempre strutturata (la via percorreva da nord a
sud l’intero pianoro, confluendo a settentrione
nella tagliata cosiddetta Cava Buia), decadde
pure Norchia.
Il 1453 è l’anno dell’epidemia che portò
all’abbandono definitivo della città. Dal quel
momento questo luogo non fu più abitato da
nessuno.
Oggi il paesaggio del pianoro di Norchia è
dominato dai ruderi delle costruzioni medioevali,
mentre le pendici custodiscono ancora il ricordo
dell’antica necropoli scavata nel tufo, con finte
porte e ricchi fregi ad ornamento delle tombe.
The archaeological area of Norchia.
Norchia was an ancient etruscan village which
lied along the Via Clodia, among Blera and
Tuscania, at the crossroads with the route which
connected Tarquinia and Orvieto.
The urban settlement was located on a tuff plain
bounded by the Pile stream and the Biedano
stream. Such plain was inhabited from the
Bronze Age. Naturally provided by the ravines,
the plain’s fortification was improved by the
construction of a deep moat in the southern part.
The necropolises were located looking towards
the city. The “city of the dead” was carved on the
tuff cliffs from the IV to the II century B.C.
The necropolises of Norchia represent one of the
most important samples of rock-cut necropolis.
After the Etruscan Age, Norchia became Roman.
After the Roman Empire, during the Middle
Ages, the inhabited area became smaller.
Then in 1453, it begins to decline.
Fase Medioevale VI - XV sec. d.C.
Fase Odierna
60
tesi di laurea in progettazione architettonica
61
Manuel Giugliano
Norchia.
L’antico fossato etrusco e l’accesso meridionale.
▪ Analisi delle percorrenze
Fase etrusca - IX- II sec. a.C.
di Manuel Giugliano
CASTEL D’ASSO
TUSCANIA
San Pietro
TARQUINIA
a.a. 2011-2012
correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta
Cava buia
CERRACCHIO
Il castello
TARQUINIA
BLERA
II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta
Fase romana - II sec. a.C.- V sec. d.C.
CASTEL D’ASSO
TUSCANIA
S.Giovanni
Collocata lungo l’antica via Clodia, Norchia
è stato il centro attraverso il quale le merci
provenienti dalle coste si diramavano verso
Tarquinia e Cerveteri. L’insediamento, occupato
sin dal XII secolo a.C., ha conosciuto un lento
abbandono nel corso del Basso Medioevo. La
stratificazione prodotta durante le varie epoche
ed il suo successivo abbandono ci permette di
comprendere, qui più che altrove, le fasi storiche
di occupazione e la morfologia del territorio.
Delimitata da corsi d’acqua ad Est e ad Ovest,
Norchia è protetta verso Sud dall’imponente
fossato etrusco, realizzato scavando il terreno da
Est verso Ovest, producendo una discontinuità
del pianoro meridionale. Per accedere all’antico
borgo era necessario percorrere una tagliata
ortogonale al fossato che da Sud verso Nord
scendeva alla quota del fossato e risaliva
attraverso una tagliata scavata lungo la spalla
Nord della parete del fossato. Analizzando
l’area del fossato è stato possibile individuare
sia l’antico accesso all’area sia l’antica direttrice
principale che percorreva l’altopiano da Sud a
Nord. Attraverso lo studio della viabilità antica e
dell’accessibilità all’area si è potuto localizzare
un primo intervento nella zona del fossato.
Nell’ambito degli studi sul territorio abitato dagli
etruschi, gli storici hanno individuato una serie
di centri che esercitavano una forte influenza su
una serie di centri minori.
L’antico borgo di Norchia conobbe un grande
sviluppo nel corso del IV sec. a.C. in quanto
collocato al centro del territorio tarquiniese
e pertanto tutti i traffici commerciali diretti a
Cerveteri e Tuscania passavano attraverso
questo piccolo borgo. In seguito alla crescente
minaccia di un’invasione romana tuttavia anche
i centri minori decidono di dotarsi di dispositivi
di difesa sebbene questi si riveleranno poi del
tutto inadeguati. Dall’analisi degli insediamenti
si possono notare alcune rilevanti differenze
tra i centri che decidono di intervenire sul loro
sistema di difesa del XII sec. a.C. e quelli del IV
sec. a.C. La progressiva contaminazione con il
mondo ellenico infatti introduce alcuni dispositivi
nell’ingegneria militare come torrette, posterle e
salienti. La classica cinta muraria viene integrata
con strutture di avvistamento e difesa. I centri
dell’entroterra
dunque,
progressivamente
subiscono una forte militarizzazione tipica dei
maggiori centri costieri.
Si è deciso di realizzare uno spazio d’accoglienza
che valorizzasse gli antichi punti di vista e
rievocasse le antiche tecniche costruttive
etrusche. Su tutto il pianoro meridionale infatti
sono presenti blocchi di tufo con i quali era
stato probabilmente edificato tutto l’antico
insediamento. Riutilizzando questi blocchi si
è riealizzato un muro dietro quello antico, che
oltre a delimitare uno spazio semi-ipogeo,
contiene le spinte del terreno retrostante. La
copertura è realizzata con una serie di elementi
in legno che poggiano su una struttura verticale
anch’essa in legno. L’alternarsi di elementi
orizzontali e verticali delimita lo spazio interno e
sostiene la copertura determinando un percorso
caratterizzato da suggestive variazioni di luce.
Percorrendo la rampa incisa nel tufo si scende
verso il limite Ovest della rupe raggiungendo la
zona del belvedere. Da questo punto è possibile
risalire costeggiando il limite del fossato oppure
entrare all’interno della struttura. All’interno, con
un lungo corridoio che incide la rupe, si raggiunge
una zona in cui è stata collocata una vasca per
la raccolta dell’acqua piovana. Da qui si entra in
un lungo percorso caratterizzato dalla presenza
dei pilastri in legno che ci guidano fino alla sala
principale. Questo spazio è caratterizzato dalla
luce proveniente da Sud che guida il visitatore
verso l’uscita.
The archaeological area of Norchia.
The moat and the southern access.
Norchia was located at the crossroads of the
commercial routes from the coast to the inland.
Its area has been inhabited since the XII century B.C. and was abandoned during the Middle
Ages. Such long occupancy gathered several
layers in the territory that make possible to clearly understand its historical phases.
The plain of Norchia is bounded by ravines created due to the erosive action of the streams
Biedano and Pile. The natural protection of the
urban area was improved by an artificial moat
which is located in the southern part of the plain.
Such moat is dated at the Etruscan Age: the
etruscans dug the tuff from East to West in order
to interrupt the continuity of the southern plain.
The access to the village is located perpendicular to the moat and is through a “tagliata”, which
is a stone-cutted road.
Through the study of the ancient route network it
is possible to identify the best location for a new
touristic reception center.
All along the southern part of the plain it is possible to find tuff blocks which have been probably used to build the ancient village. Such blocks
are now used to build up a new retaining wall
behind the ancient one. The new wall recalls the
the ancient construction techniques.
The cover is made by a wooden frame system
which creates several lights and shade effects.
Finally, walkways and viewpoints lead people to
the areas located in strategic positions in order
to obtain a specific point of view that enhances
the ancient landscape.
La torre
TARQUINIA
Il fossato
CERRACCHIO
Fase medievale - V sec.- XV sec. d.C.
CASTEL D’ASSO
TUSCANIA
La via principale
TARQUINIA
CERRACCHIO
BLERA
Fase odierna
62
tesi di laurea in progettazione architettonica
il Biedano
IL BORGO
63
Manuel Giugliano
il fossato
L’ACCESSO
LA VIABILITA’
la via principale
il pianoro meridionale
IL SISTEMA DIFENSIVO
Nascita del tessuto urbano
Primi insediamenti
IX secolo a.C.
VI secolo a.C.
Il Pile
i punti di avvistamento
Strutturazione della linea difensiva
II secolo a.C.
Conquista romana e declassamento
II secolo d.C.
VI secolo d.C.
Tuscania
▪ Stato di fatto
Via principale
Il borgo
Asse principale
area ad uso agricolo
Il borgo abitato
Confini
dell’insediamento
Tarquinia
Blera
Cerracchio
Torrente Biedano
Diverticoli
Dogana
La porta d’accesso
La torre
San Giovanni
Il borgo
Il fossato
La cinta
muraria
Il borgo etrusco si estendeva su entrambi i
pianori. Mentre su tre versanti il sito è sempre
stato naturalmente difeso, a sud l’insediamento
era esposto a possibili invasioni esterne.
Per questa ragione, tra il III e il II sec.a.C., venne
realizzato il fossato, un’enorme incisione nel
terreno che, tagliando da est a ovest il pianoro,
costituiva un vero e proprio sbarramento.
Lo scavo (considerato il fossato più grande
d’Italia) fu realizzato asportando 15000 metri
cubi di tufo, ottendo così pareti molto alte a cui
fu addossata una struttura di contenimento ad
emplecton. L’accessibilità all’antico borgo era
garantita dalla presenza di tagliate trasversali
che, percorrendo la Via Principale, scendevano
alla quota del fossato per raggiungere la porta
della città.
Il sistema difensivo fu poi completato con
dispositivi di derivazione ellenica come torrette,
salienti e postierle.
Dopo la conquista romana il borgo si ridusse
notevolmente contraendosi verso il pianoro
settentrionale. In quest’area infatti la presenza
di numerose cisterne etrusche assicurava un
abbondante approvvigionamento di risorse
idriche. Le tracce delle cisterne hanno consentito
di stabilire che, durante la fase etrusca,
quest’area fu destinata ad uso agricolo. Il
fossato etrusco segna una netta separazione tra
la parte settentrionale e il pianoro meridionale,
consentendo di identificare con esattezza i
confini del borgo etrusco.
La lunga tagliata denominata “Via Principale”,
attraversa in direzione nord-sud l’intero
pianoro e prosegue riallacciandosi all’asse di
collegamento tra le città di Blera e Tuscania.
Questo importante tracciato percorreva tutto il
territorio tarquiniese e viene riconosciuto come
precedente della via Clodia.
Fosso di Pile
64
tesi di laurea in progettazione architettonica
Manuel Giugliano
▪ Strategie di intervento
▪ Il sistema costruttivo
Nell’area attorno al fossato è possibile
individuare l’antico accesso all’area e la
direttrice principale che percorreva l’altopiano
da sud a nord, lungo la quale è stato localizzato
un primo intervento. L’edificio, destinato a
spazi per l’accoglienza, intende ripristinare le
visuali antiche. Per la costruzione del muro che
contiene il terreno e delimita uno spazio ipogeo,
si utilizza materiale di spolio.
La copertura, realizzata con una sovrapposizione
di elementi in legno, poggia su una struttura
verticale anch’essa in legno.
La serie di elementi orizzontali e verticali che
sostiene la copertura, delimita lo spazio interno
strutturando un percorso caratterizzato da
suggestive variazioni di luce.
Percorrendo la rampa tagliata nel tufo si
scende verso il limite ovest della rupe fino a
raggiungere la zona del belvedere. Da questo
punto è possibile risalire costeggiando il limite
del fossato, oppure entrare all’interno della
struttura. All’interno una sequenza di spazi
differenziati conduce progressivamente verso la
sala principale, nella quale una luce proveniente
da sud guida il visitatore verso l’uscita.
sezione assonometrica
pianta
tetto verde
muro in blocchi
di reimpiego
pavimentazione
flottante
struttura portante
in legno lamellare
1 2 3 4 5 6 7
pianta dell’accesso
1.pilastro in legno lamellare dim. 12x36 cm
2. finitura in scaglie di tufo a granulometria fine
3. malta di calce idraulica
4. elemento di contenimento in acciaio corten sp.2 mm
5. travetto in legno
6. trave in legno lamellare 12 x 36 cm
7. intercapedine d’aria
sezione longitudinale
65
66
tesi di laurea in progettazione architettonica
Carolina Reale
Norchia.
L’accesso ovest e il collegamento tra la cava buia
e il pianoro settentrionale
67
Tuscania
di Carolina Reale
Pian de’
Castelli
a.a. 2010-2011
correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta
Pile
Tarquinia
Biedano
II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta
Fiume
Mignone
cava buia
L’area archeologica di Norchia ha rappresentato
per lungo tempo il cro­cevia dei traffici commerciali
che dai lidi tarquinesi si propagavano
nell’entroterra. Snodo fondamentale della via
Clodia, Norchia viene attraversata da un asse
principale Nord-Sud. Questa via, dopo essere
uscita dall’abitato ed avere co­steggiato il piede
della rupe settentrionale della collina, si dirigeva
al ponte sul Biedano, di cui oggi restano in
vista un pilone nell’alveo del fiume e la spalla
impostata sulla riva sinistra.
Tale spalla si trova ad una quota più alta rispetto
a quella dell’alveo del fiume, a monte di una via
che lo costeggiava, tagliata a mezza costa nel
masso.
Il ponte superava, oltre al fiume, anche questa
via secondaria, portandosi alla quota di una
bassa dorsale sulla quale corre la via che
permette l’accesso al pianoro.
Altra caratteristica interessante del sito è
la presenza di cinque pestarole molto ben
conservate, ricavate nel masso, all’interno di un
vasto riparo naturale creato dallo strapiombo
della rupe. Queste sono certamente posteriori
alla via.
La strada principale si innestava, mediante il
ponte, nella via cava che risaliva dal fondovalle
del Bieda­no al pianoro soprastante.
Questa strada, nota con il nome di “Cava Buia”,
supera con un tracciato artificiale un dislivello di
40 m, sviluppandosi per 370 m di lunghezza. La
tagliata è profonda fino 10 m con una sezione
larga circa 2,50 m.
Rappresenta indubbiamente la più grande opera
di ingegneria stradale presente nel territorio
orclano. La Cava Buia risulta essere anteriore
al ponte, come dimostra il raccordo tra le due
opere, realizzato con un brusco gomito che
immette in un tratto della via.
Anche dal punto di vista stratigrafico si osserva
che l’innesto avviene ad una quota notevolmente
bassa della via, corrispondente ad una fase
avanzata della vita di questa. Quando il ponte
non esisteva, il supera­mento del fiume avveniva
attraverso una passerella lignea oppure con
un guado, dove la via raggiunge il piano di
fondovalle, circa 30 m prima del ponte, forse
nei pressi delle due pestarole. Nel medioevo il
ponte era ormai in rovina ed il guado tornò a
funzionare, come testimo­nia il nome di Vado del
Pisciarello, attri­buito alla località nel XlI secolo.
L’obiettivo della tesi è quello di ripristinare un
colle­gamento tra il pianoro settentrionale e la
cava buia ad ovest, e quindi il raccordo con la
via Clodia.
Il ripristino di questi percorsi avviene sfruttando
una serie di passerelle lignee che, oltre a
collegare le due quote di cui sopra, permettono
di raggiungere due quote più basse, riportando
in vita gli antichi percorsi di fondovalle. Vengono
così a configurarsi una serie di cammini, in
quota ed in pendenza, nei quali trova alloggio un
piccolo info point con relativi servizi. La struttura,
interamente in legno è costituita da una serie di
pali molto fitti, a ricordare le antiche palificate
di attraversamento dei guadi e per integrare il
più possibile il progetto all’interno di una folta
vegetazione.
The archaeological area of Norchia.
The west access and the link between the
“Cava Buia” and the northern plain.
Norchia was located at the crossroads of the
commercial routes from the coast to the inland.
The main path of Norchia ran as a North-South
axis, it passed through the village, ran along the
northern cliff and finally arrived on the bridge located on the Biedano stream. Only a pillar in the
river bed and an abutment remain from the old
bridge. The abutment is located at a higher level than the riverbed, on the left river bank over
a rock-cutted path which followed the river. The
bridge was used to cross such path too, which
dates from an earlier time than the bridge.
The main North-South axis crossed the bridge
to join the rock-cutted path which rises from the
Biedano bank to the plain. Such path, known as
“Cava Buia”, overcomes an altitude gap of 40 m
and runs for 370 m lenght. This path represents
one of the most important engineering works in
Norchia’s area.
The aim of this work is to recover the connection
between the northern plain and the “Cava Buia”.
In this way it is possible to re-connect the plain
with the Via Clodia.
The recovery of these paths starts with the recovery of the bridge.
Several wood walkways connect the different
heights. Among them there is a new info point.
The main structure is a wood frame with several
pillars, which aims to recall the ancient structure
and to hide the building within the woodland.
ponte romano
Blera
68
tesi di laurea in progettazione architettonica
Carolina Reale
69
▪ Stato di fatto
▪ Fasi di stratificazione
del paesaggio
L’importanza della cava buia nel sistema viario
gravitante su Norchia è resa evidente, in via
indiretta, da alcune epigrafi latine antiche e
medioevali, scolpite insieme ad altri segni sulle
sue sponde.
La via era stata preceduta da un’altra, assai
più modesta, via cava che essa ha sostituito
incrociandola due volte.
Questa via guadagnava il pianoro correndo
verso Nord Ovest in un avvallamento naturale
per un percorso complessivo di circa 180 m, con
una maggiore pendenza.
La valle del Biedano non presenta altre vie di
uscita nel tratto sottostante la città, se non
qualche sentiero nascosto dalla boscaglia.
fase romana
fase paleolitica
fase etrusca tarda
fase etrusca arcaica
fase altomedievale
fase del bronzo
fase bassomedievale
1. la cava buia
2. le pestarole
la cava buia: sezioni progressive
1
2
3
la cava buia: sezione orizzontale
3. il resti del ponte
70
tesi di laurea in progettazione architettonica
Carolina Reale
▪ Il sistema costruttivo
▪ Obiettivi
Ripristino degli antichi accessi
L’importanza della cava buia nel sistema viario
gravitante su Norchia è resa evidente, in via
indiretta, da alcune epigrafi latine antiche e
medioevali, scolpite insieme ad altri segni sulle
sue sponde.
Inserimento di servizi
La via era stata preceduta da un’altra, assai
più modesta, via cava che essa ha sostituito
incrociandola due volte.
Questa via guadagnava il pianoro correndo
verso Nord Ovest in un avvallamento naturale
per un percorso complessivo di circa 180 m, con
la copertura
una maggiore pendenza.
La valle del Biedano non presenta altre vie di
uscita nel tratto sottostante la città, se non
qualche sentiero nascosto dalla boscaglia.
l’involucro strutturale
la copertura
servizio
servizio
servizio
il sistema di rampe
l’involucro
la fondazione a pali
71
72
tesi di laurea in progettazione architettonica
Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei
Norchia.
Valorizzazione del castello e del castelletto
adiacente al complesso del castrum medievale
nel settore occidentale del pianoro
di Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei
a.a. 2010-2011
correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta
cava buia
San Pietro
ponte
II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta
accesso ovest
castello
castelletto
Il recupero dell’area del castello e della chiesa
medievale fanno parte di una serie di interventi
simili finalizzati al recupero di strutture che si
concentrano sul pianoro nord e che evidenziano
la contrazione dell’abitato in età medioevale.
Se infatti la Cava Buia, a nord, e l’accesso
etrusco, a sud, denunciano i confini ai limiti del
pianoro, la chiesa ed il castello, si inseriscono
in un sistema più ridotto, circoscritto dalla cinta
muraria eretta in epoca alto medievale.
La difesa del borgo infatti si sposta dal limite
del fossato etrusco all’area dell’istmo, dove
il pianoro meridionale subisce un brusco
restringimento orografico, maggiormente difeso
da uno sbarramento trasversale artificiale da cui
scaturisce la costruzione dell’area castellana.
Alcuni studiosi sono concordi nell’affermare
che la scelta del pianoro settentrionale è stata
determinata in primo luogo dal momento che
tale parte è chiaramente più difendibile in virtù
delle caratteristiche morfologiche. Tuttavia al
contempo non è da sottovalutare l’aspetto che
la scelta dell’occupazione di questo pianoro sia
stata condizionata dalla presenza di cisterne
etrusche che garantivano un sufficiente
approvvigionamento di acqua.
Norchia viene identificata con il nome di
castrum, castello circondato da un fossato
difeso da un ponte levatoio che in caso di
pericolo veniva sollevato dai guardiani. Il castum
aveva una spessa cinta muraria intervallata da
torri di guardia. Appena all’interno delle mura
si trovava la corte bassa. Un’ulteriore cinta
muraria serviva per difendere la corte alta, al cui
centro era situato il mastio, usato come “casa
fortificata”. Le mura erano vigilate giorno e notte
da sentinelle fornite di lance da utilizzare in caso
di pericolo. Di solito il castello era costruito su
alture per veder, già da lontano, gli avversari. Il
Signore e la sua famiglia abitavano nel mastio,
la parte più alta del castrum. All’interno delle
mura esistevano numerose costruzioni tra cui
la caserma delle truppe, i magazzini per le
provviste, le stalle con il bestiame dei militari e
le abitazioni degli artigiani e dei mercanti. Sul
pianoro meridionale vi erano abitazioni, su quello
settentrionale coltivazioni. In età altomedievale
questo fenomeno è reso ancora più evidente
in virtù dell’occupazione delle grotte che ci ha
permesso di ricostruire le fasi di incastellamento
che si sono succedute a Norchia in tutte le fasi
medievali. Il sistema di grotte etrusco viene
ad essere rioccupato in epoca medievale,
successivamente all’occupazione del pianoro si
contrae ulteriormente ad una quota superiore.
La realizzazione della cinta muraria sembra
suffragare tale ipotesi. Contemporaneamente
alla costruzione delle mura viene eretto il
primo castello. Un’ulteriore analisi permette di
comprendere come il castello che vediamo oggi
risalga ad una fase successiva in cui il borgo
è già disabitato. Dunque, i ruderi oggi visibili
rappresentano ciò che rimane del castello
costruito nel 1354 distrutto nel 1435, realizzato
sfruttando
una
precedente
edificazione
realizzata tra il X e l’XI sec.
Il piano di interventi che viene delineato tiene
conto di queste emergenze architettoniche e
tenta di riconsegnare una visione complessiva
dell’area. La strategia pone come obbiettivo
il ripristino dell’antica percorrenza nord-sud.
In questo modo oltre ad avere una corretta
percezione dell’area, si ristabilisce, perlomeno
in parte, quell’arteria fondamentale che un
tempo fu la via Clodia.
The archaeological area of Norchia.
Enhancement of the castle and of the
“castelletto” in the western plain area.
The natural borders of the plain of Norchia are
defined by ravines and streams. The anthropic
borders are the Cava Buia up North and the
etruscan doorway down South.
These borders define a main system developed
during the Etruscan Age. The medieval castle
instead, belongs to a smaller system delimited
by the medieval walls.
In the Middle Ages in fact the urban area
stretched until the isthmus of the plain and the
southern border moved up from the moat to the
isthmus.
The choice to keep inhabiting the northern plain
was taken first of all because of the morphology
of the territory. The northern ravine’s sides were
steeper and the isthmus area was a narrow strip
of land easy to defend.
In the medieval documents Norchia is called
“castrum”. The medieval castle was made by
two main structures at two different levels: the
castle and the so called “castelletto”.
The castle was located at the higher level of
the plain, defended by a deep moat with a lift
bridge. Heavy walls were built in order to defend
the castle.
The “castelletto” was located at the lower level,
surrounded by lower walls and by a deep moat.
Inside the castle was located the “mastio”, the
fortified tower where the master used to live.
The aim of this work is to offer a better understanding of the archaeological site.
Wooden walkways connect the two levels of the
ruins of the castle and the “castelletto” and new
walls made by a wood strips frame recall the
medieval buildings.
accoglienza
accesso sud
73
74
tesi di laurea in progettazione architettonica
Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei
▪ Stato di fatto
accesso nord
limite della fortificazione
medioevale
borgo medioevale (castrum)
L’antica Orcla è una lingua di terra isolata dal
resto del pianoro circostante, per mezzo di stretti
solchi, erosi nel terreno tufaceo dalle acque di
due torrenti: il Biedano ed il Pile affluenti del
Marta. La conformazione geomorfologica di
questo sito presenta delle difese naturali ben
definite, alle quali si sovrappongono dispositivi
artificiali.
Quest’analisi ci ha consentito di descrivere con
precisione il sistema degli accessi, e di ricostruire
i limiti dell’insediamento nel corso delle sue fasi
di occupazione. Lo studio degli accessi mostra
quell’asse sud-nord che ad una scala territoriale
rappresentava il tracciato della Via Clodia.
Ad oggi quest’asse non è più percorribile e
visibile, infatti l’accesso all’area archeologica
avviene attraverso un improprio sentiero
dissestato che supera la forra passando per le
necropoli, negando quindi l’originaria direttrice
che ci consentirebbe di leggere in maniera
chiara i sistemi che la racchiudono.
▪ Fasi di antropizzazione
del pianoro
Fase 1 (fino al X sec.)
Occupazione
di
entrambi i pianori con
grotte.
Fase 2 (tra X-XI sec.)
Incastellamento: i villaggi sparsi
si contraggono in un’area
circondata da mura (castrum).
Fase 4 (1154 - 1159)
Adriano IV la riforma
come castrum.
Fase 5 (1354)
Il castello viene ceduto
all’Albonoz che ne inizia la
ricostruzione. Orcla viene
classificata come rocca e non
più come castrum.
Fase 3 (tra 950 - 1150)
Orcla è desertum data la
prensenza di altri domini
feudali:
Respampani,
Salce, Petrignano, Vetralla,
Luni e Cassolibrandi.
castello
castelletto
accesso sud
Fase 6 (1416)
Orcla viene classificata
tra le terre distructae et inhabitate.
75
76
tesi di laurea in progettazione architettonica
Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei
▪ Analisi interpretativa:
77
mastio
ipotesi voumetrica
camminamento di ronda
ingresso al castello
corridoio
corte
abitazioni
fortificazioni
saliente
torre del castello
corpo di guardia
murature conservate
pianoro settentrionale
- 13.20
- 15.30
- 7.50
- 8.20
- 6.90
quota di arrivo
dal pianoro
prImo fossato
di accesso alla
camera ipogea
basamento di
costruzione del
castelletto
secondo fossato
banco tufaceo
- 9.35
terzo fossato
- 6.45
+ 0.00
- 3.50
quota di risalita
al castello
quota di calpestio
del castello
quarto fossato
quarto fossato
piattaforma
del castello
▪ Analisi interpretativa:
terzo fossato
il sistema topografico
+149.05 s.l.m..
podio di difesa
secondo fossato
+146.18 s.l.m.
quota del castelletto
+142.30 s.l.m.
+140.20 s.l.m.
+148.00 s.l.m.
+147.30 s.l.m.
+149.20 s.l.m.
fossato di accesso
alla camera di controllo
+155.50 s.l.m.
antica percorrenza
medievale
+152.00 s.l.m.
Ipotesi ricostruttiva di E. P. Colonna
le piattaforme
i fossati
Il castello medievale di Norchia comprende due
strutture collegate ma ben distinte: il castello
vero e proprio e un recinto fortificato con annessa
torre, che è chiamato convenzionalmente
castelletto. Entrambi sono difesi da fossati,
interni ed esterni. Il borgo fortificato (castrum)
si sviluppava dopo il primo fossato, ben più
profondo degli altri e controllato da una camera
ipogea attraverso cui si accedeva al recinto.
Il castelletto si può definire come un recinto
murato posto a guardia dell’ingresso. Si possono
individuare al suo interno un’area d’ingresso
e una platea più alta su cui si fondava la torre
servita da una rampa che correva a ridosso
del muro. Al di sotto di tale area vi era una
camera ipogea preesistente riutilizzata in età
medievale, come punto di controllo del versante
del Pile. Attraverso i due fossati interni, oggi
facilmente percorribili, si arrivava all’ingresso
del castello, protetto da un corridoio laterale in
salita. L’accesso da nord invece era preceduto
da un ponte levatoio e da saracinesche che
miglioravano la difesa in caso di un eventuale
assedio. L’area del castello era caratterizzata
da una grande corte che permetteva l’accesso
ad un corpo di fabbrica a più piani destinato
ad abitazioni, stalle e depositi. Dalla corte
si accedeva inoltre al mastio, una torre che
dominava tutto il pianoro e che rappresentava
l’ultimo baluardo del padrone del castello in
caso di assedio. I ruderi visibili ci dimostrano
che il lato nord era, per ragioni orografiche,
maggiormente difeso e che il mastio costituiva
un punto di comunicazione con la torre del
castelletto ed un punto di osservazione per
gli accessi al recinto interno del castello.
78
tesi di laurea in progettazione architettonica
Stefano Colagrande, Gianmarco Mattei
79
▪ Strategie di intervento
Nell’avvicinarsi a questo luogo si percepisce fin da
subito di essere immersi in una vegetazione che
domina e sovrasta quasi completamente i resti
ancora oggi visibili.
Nel corso dello studio progettuale sul contesto nei
punti in cui il sito è morfologicamente più ostile
si è deciso di mantenere, per quanto possibile, il
carattere originario del luogo; mentre laddove il sito
si prestava meglio alla realizzazione di opere nuove
si è deciso di suggerire dei percorsi per evitare
di rendere dispersiva la visita dell’istmo. L’idea
che sta alla base della struttura lignea è quella
di voler utilizzare un materiale che si adattasse
bene al contesto naturalistico che caratterizza il
sito archeologico; il legno con la sua essenzialità e
purezza rende migliore la comprensione del luogo
agli occhi del visitatore. Gli interventi sono dettati
dal desiderio di restituire, a colui che decide di
incamminarsi su questo pianoro colmo di storia, le
volumetrie, l’immagine, la sensazione e la presenza
architettonica di ciò che “viveva” durante il periodo
medievale. Entrambi ideati mediante lo stesso
sistema costruttivo, i progetti hanno una duplice
funzione: quella di porta d’accesso e di punto di
osservazione privilegiato per quanto riguarda il
mastio del castello e la torre del castelletto.
Tale struttura è costituita da listelli verticali e
orizzontali incrociati che, solidali tra loro per mezzo
di barre di acciaio, costituisco un vero e proprio
telaio strutturale. La struttura per intero vive grazie
alla “complicità” di tutti i suoi elementi compresi i
gradini realizzati in un unico pezzo, sagomato per
incastrarsi perfettamente con i correnti verticali.
▪ Il sistema costruttivo
Esploso
assonometrico
il sistema delle rampe
dettaglio costruttivo della porta di accesso al castello
particolare della porta di accesso al castello
vista di insieme
listelli in legno di pino
dormiente in acciaio
trave in legno lamellare
il sistema di risalita e l’attacco a terra
80
tesi di laurea in progettazione architettonica
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
Norchia.
Pianoro settentrionale:
sistema ipogeo e pieve di San Pietro
81
▪ Obiettivi
di Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
a.a. 2010-2011
correlatori: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Luca Catalano, Paola Porretta
porta medievale
pieve di San Pietro
ponte romano
VII Biennale del Paesaggio di Barcellona - tesi esposta
II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta
Riforestazione e valorizzazione
del pianoro settentrionale
Tuscania
castello
L’immagine che attualmente si ha di Norchia
è quella di una lunga lingua di terra isolata
dal resto del pianoro circostante
dove,
puntualmente, emergono i resti dell’abitato
che un tempo vi sorgeva.
Arrivando da est, lo sguardo indugia
sull’imponenza dei ruderi che dominano
il basso orizzonte dei campi coltivati. Ma
procedendo si scopre la profonda valle che
gli esili corsi d’acqua hanno inciso nel tufo
e che la mano dell’uomo ha magistralmente
scolpito. L’unico modo per colmare la
distanza, è discendere tra le tombe a dado
della monumentale necropoli rupestre, per
più di 50 metri per poi riconquistare la quota
attraverso la tagliata scavata nel tufo.
Raggiunto il crinale, facendosi largo tra la
fitta vegetazione si riconosce l’intervento
dell’uomo in quelle rovine ormai conquistate
dalla natura: il grande fossato etrusco, i
resti ormai quasi illegibili della chiesa di
San Giovanni, le camere scavate nel tufo, il
castello che torreggia dall’istmo del pianoro,
l’abside della chiesa di San pietro che domina
dal punto più alto la gola del Biedano e la
tagliata etrusca che si conclude con la porta
medievale per poi dirigersi alla cava buia.
Solo percorrendo il dislivello tra il pianoro
ed il letto del fiume ci si rende conto della
ricchezza della vegetazione che evidenzia
il contrasto tra valli incassate, rupi e morbide
morfologie collinari: sono queste le forre
che caratterizzano il paesaggio dell’Etruria
Meridionale, e che rappresentano un sistema
botanico di notevole pregio. Nelle profonde
valli scavate dai fiumi la presenza di acqua
e le forti raffiche di vento concorrono ad
abbassare notevolmente la temperatura
tanto da essere clima ideale per la crescita
di quelle specie proprie di altitudini maggiori;
risalendo, l’esposizione al sole e la base
tufacea creano un clima sempre più secco, le
pareti scoscese della forra sono conquistate
da leccete, per poi lasciare spazio sul
pianoro agli elementi tipici della macchia
mediterranea con i grandi boschi di cerri e
roverelle.
In questo luogo, ricco di suggestione e
romanticismo, viene proposto un intervento
di recupero e rifunzionalizzazione del
Pianoro Settentrionale con l’obiettivo di
rendere facilmente accessibile e percorribile
il sito, rievocando gli spazi che durante la
fase medievale ne regolavano la fruizione.
Infatti, nonostante gli elementi del pianoro
siano i più imponenti, sono anche quelli
meno comprensibili in quanto, in mancanza
del tessuto edilizio, è difficile immaginarli
come appartenenti ad un sistema urbano.
Lo strumento tramite il quale abbiamo deciso
di rievocare questi spazi è la vegetazione,
di cui vengono progettate le fasi di crescita
nel tempo, mentre i resti archeologici sono
accolti all’interno di radure.
The archaeological area of Norchia.
Northern plain: the hypogeic settlement
and the church of San Pietro
Norchia is located on a long plain bounded
by steep cliffs and by the three streams Pile,
Acqualta and Biedano.
Only bits and pieces of the history of Norchia are
told by what is still standing: the etruscan moat,
the Church of San Giovanni, the chambers that
have been dug in the tuff, the castle, the ruins
of the Church of San Pietro and the Etruscan
“tagliata” that winds until it reaches the medieval
doorway and then bends to the Cava Buia.
Norchia is a romantic and wild place, but at the
same time it represents a very powerful mean
to understand the rules of the etruscan urban
settlement.
The aim of this work is to make Norchia an easily reachable and easily understandable archaeological site.
The natural environment of this place is its strongest feature, and therefore is the most effective
mean to reach this goal. The trees, the bushes
and the clearings define were designed to define a new urban settlement.
Dealing with the nature means dealing with
time. The growing phases of the new wood were
carefully designed.
When finally the whole new woodland will grow
up, finally will be possible to walk through the
paths in the wood, enjoying the ruins within
clearings, gardens, shaped bushes.
Moreover in the clearing area was designed a
descent that leads the visitor to the area of the
hypogeic settlement.
castelletto
Restauro, valorizzazione e fruizione
del sistema ipogeo
radura nord-est, radura nord-ovest
chiesa di San Giovanni
via principale
Restauro, valorizzazione e fruizione
della pieve di San Pietro
fossato etrusco
Blera
82
tesi di laurea in progettazione architettonica
tombe monumentali
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
▪ Analisi tipologica.
I sistemi rupestri
Il sistema ipogeo.
Analisi dell’insediamento rupestre
colombari
Norchia, crinale nord della chiesa di San Pietro,
pianta e sezione, rilievo E. Colonna, G.Colonna
Altri nsediamenti rupestri nella Tuscia
funzione autonoma: Sant’ Angelo
radura nord-est
funzione autonoma: corpo di guardia
grotte a camere ampie
con ingresso autonomo
collegate da aperture
Tuscania, località della Grotta Bandita,
Insediamento rupestre pianta, rilievo M.Nelli
Ischia di Castro, chiusa del Vescovo.
pianta, rilievo S.Picchetto
4a - uso incerto
4b - collegate da aperture
monumentalizzate
Civita Castellana colle del Vignale, insediamento rupestre di San Cesareo.
pianta, rilievo J. Rapiserra
le tombe rupestri
radura nord-ovest
83
84
tesi di laurea in progettazione architettonica
▪ Analisi storica.
La pieve di S.Pietro,
la cripta e le chiese
del corridoio bizantino
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
La chiesa di San Pietro
rappresenta una delle principali
testimonianze della fase di
cristianizzazione della Tuscia
meridionale.
L’impianto è quello di una chiesa
basilicale
longitudinale,
con
ampio presbiterio e orientamento
est-ovest. La facciata (crollata)
1
chiesa di San Pietro, prospetto sud
2
3
campanaria quadrangolare è
conservato poco piu a sud del
muro meridionale del corpo della
chiesa. Sulla zona occidentale
del
presbiterio
rimangono
perfettamente integre le tre
conche absidali che dal punto più
alto del pianoro, dominano la gola
del Biedano.
di cui oggi non c’è traccia visibile
neanche negli allineamenti murari
di fondazioni, è rivolta ad est
verso la Via Principale. Anche la
copertura e il piano della chiesa
superiore sono completamente
crollati, obliterando la cripta,
oggi solo parzialmente agibile.
Il basamento di una torre
4
5
6
7
Chiesa di San Pietro
pianta, rilievo J.Raspiserra
1. fosse antropomorfe
2. pozzo etrusco
3. cripta
4. chiesa di San Pietro
5. impianto originario della
chiesa
6. fondazioni del campanile
7. area con destinazione
incerta
▪ Analisi morfologica.
Gli insediamenti medioevali
nella Tuscia
L’analisi dei caratteri urbani,
che connotano l’identità della
maggior parte dei centri dell’Etruria
meridionale analoghi al modello
di Norchia, è indispensabile nella
definizione degli obiettivi e delle
strategie di intervento.
L’analogia con altri centri etruschi
ha permesso di dedurre un principio
insediativo che l’intervento intende
recuperare, inserendo le emergenze
puntuali all’interno di un sitema che
le renda nuovamente identificabili
come parti integranti di un tessuto
urbano.
Barbarano
Romano
Vetralla
Tuscania
Rovine della chiesa
Tracce dell’impianto originario
di progetto della chiesa
Tracce di un’area antistante la chiesa,
con destinazione incerta
insediamenti lungo il percorso matrice
insediamenti lungo i percorsi secondari
insediamenti lungo i percorsi di collegamento
chiesa di San Pietro, interno
Le cripte del corridoio bizantino
Blera
chiesa di San Pietro, abside
Civita Castellana, cripta
Blera, Santa Maria dell’Assunta
Tuscania, San Pietro:
Sutri
Vitorchiano
Sutri, cattedrale
Vetralla, San Francesco
Nepi, cattedrale
85
86
tesi di laurea in progettazione architettonica
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
▪ Strategie di intervento.
▪ Strategie di intervento.
Percorrenze e radure
Riforestazione
Castelletto
Rocca
Castrum
Porta
FASE I
L’obiettivo è quello di ripristinare i
caratteri spaziali dell’antico tessuto,
andato
quasi
completamente
perduto. A tale scopo, vengono
ricollocati i ruderi all’interno di
radure e, con un’operazione di
riforestazione, si restituisce la
morfologia urbana: i tagli incisi
nelle aree di riforestazione, le
radure, i giardini ritagliati secondo
l’arte topiaria, evocano strade a
cielo aperto, vicoli chiusi e piazze,
svelando visuali e punti nevralgici
del tessuto antico.
San Pietro
▪ Strategie di intervento.
Le Percorrenze
FASE II
strade
vicoli
slarghi chiusi
Recinti artificiali:
mura di cinta
Recinti naturali:
morfologia e fossati
Necropoli
monumentale
Fosso Pile
Emergenze:
presidi militari, presidi religiosi
Castello
San Pietro
Abitato rupestre
Torrente Biedano
slarghi aperti
Poligono militare
FASE III
87
88
tesi di laurea in progettazione architettonica
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
▪ Strategie di intervento
I percorsi di visita
visita alla chiesa
Pianoro settentrionale,
restauro e fruizione del sistema ipogeo
pianta 153 m s.l.m.
Pianoro settentrionale,
restauro e fruizione dell’area sacra
Pianta 170 m s.l.m.
visita alla cripta
Attraverso la strutturazione dei percorsi di
visita, si intende restituire unitarietà, da un lato
al sistema delle strutture ipogee (che cinge il
pianoro settentrionale dal versante orientale a
quello occidentale), dall’altro all’area sacra, che
comprende, non solo l’edificio basilicale, ma
anche la necropoli rupestre alle sue spalle.
Gli insediamenti rupestri, a carattere religioso
visita alle tombe
o abitativo, sono una costante del modo di
vita nell’alto medioevo. Il sistema delle grotte
risulta attualmente non visitabile: le condizioni
di abbandono in cui versano le strutture ormai
da secoli, hanno prodotto crolli consistenti
e le macerie hanno obliterato gran parte
degli ambienti. L’intervento ha dunque, come
principale obiettivo, il recupero della completa
89
fruizione degli spazi: vengono predisposti
dispositivi di protezione, per quegli ambienti che
hanno subito il crollo delle volte di copertura, e
dispositivi per l’accessibilità, che collegano la
quota del pianoro e quella, più bassa, delle grotte
rupestri. Il ripristino degli elementi mancanti (le
coperture o i fronti) avviene nell’ottica della
reversibilità delle strutture.
90
tesi di laurea in progettazione architettonica
Il gruppo di grotte localizzate sul versante nord
est, nei pressi della porta medievale, mostra la
stratificazione delle varie fasi di antropizzazione
del pianoro: il cunicolo e la cisterna etruschi,
intercettati dalle grotte altomedievali, obliterate
dal muro di cinta bassomedievale.
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
L’insediamento rupestre, rivolto verso la valle
del Pile, offre un punto di vista privilegiato sui
versanti occupati dalla necropoli: i percorsi
di visita previsti dall’intervento recuperano la
possibilità di fruizione dei vani e al contempo
restituiscono al sistema il suo rapporto con il
paesaggio.
+ 157
Radura nord-est
Restauro, valorizzazione e fruizione
del sistema ipogeo
+ 155
Radura Nord est
restauro, valorizzazione e fruizione del sistema ipogeo
pianta e sezione
91
92
tesi di laurea in progettazione architettonica
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
Sul bordo nord ovest del pianoro si articola
un’area della città destinata ad uso religioso, di
cui la chiesa di San Pietro rappresenta l’elemento
preminente. Alle sue spalle si colloca la necropoli
altomedievale con tombe a loggette, attribuibili alla
fase longobarda.
Più in basso si trova la necropoli romana: un
colombario, con segni evidenti di continuità d’uso
(dal rito di sepolture ad incinerazione fino al rito
per inumazione) ed un nucleo di grotte identificate
come cellule abitative di una comunità monastica.
L’intento progettuale è quello di descrivere il
carattere sacrale dell’area e di riconnettere,
attraverso percorsi di fruizione, il complesso della
chiesa con quello sepolcrale sottostante.
93
+ 151
+ 151
Radura nord-ovest
Restauro, valorizzazione e fruizione
del sistema ipogeo
+ 151
▪ Il sistema costruttivo
la copertura verde
la discesa
alle grotte
il fronte
Radura Nord Ovest
restauro, valorizzazione e fruizione del sistema ipogeo
pianta e sezione
94
tesi di laurea in progettazione architettonica
Restauro, valorizzazione e fruizione
della pieve di San Pietro
Sara Antonini, Marta Buccellato, Rusco Castiglia
La pieve di San Pietro rappresenta il fulcro
dell’area sacra che domina il versante nord
occidentale del pianoro.
Fatta eccezione per le tre conche absidali
della parete ad ovest, che risultano quasi
perfettamente integre, della chiesa rimangono
pochissime tracce.
L’obiettivo è quello di rendere fruibile sia la cripta
ipogea che la basilica epigea, rimuovendo, in
prima istanza, le macerie prodotte dai crolli che
nei secoli hanno obliterato buona parte delle
strutture.
Le
operazioni
di
ripristino
consistono
principalmente nel riposizionamento del solaio
che separava il piano sotterraneo della cripta
da quello fuori terrra della basilica, e nella
ricostruzione della porzione di copertura a
ridosso della parete absidale. Questi interventi di
ripristino hanno richiesto la messa in sicurezza
delle strutture murarie superstiti, mediante
minime operazioni di completamento che hanno
permesso di ottenere piani di appoggio resistenti
per le nuove strutture.
In assenza di tracce archeologiche consistenti,
si è scelto, invece, di intervenire con linguaggi
più astratti ed evocativi: il giardino, ritagliato
secondo i parametri dell’arte topiaria, ridisegna
il perimetro di uno spazio originariamente
confinato, ponendosi in continuità con i caratteri
naturali del paesaggio circostante.
▪ Il sistema costruttivo
la copertura
il solaio
la discesa
alla cripta
il giardino
LA PIEVE DI SAN PIETRO
restauro, valorizzazione e fruizione
pianta e sezioni
95
96
tesi di laurea in progettazione architettonica
Marco Frosi
Norchia.
Recupero della Chiesa di San Pietro
97
▪ Analisi fasi storiche.
Tuscania
Viterbo
Popolamento del pianoro
di Marco Frosi
Tarquinia
852 d.C.
940
fine IX
sec. d.C.
1164
1235
1435
San Pietro
a.a. 2010-2011
correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta
Sant’Angelo
II Biennale degli spazi pubblici di Roma - tesi esposta
La chiesa di San Pietro è posta all’estremità
settentrionale del pianoro di Norchia. Quella
che un tempo era la chiesa dell’antica città
medievale, ora è un rudere. Solo una parte del
presbiterio con le relative absidi e la facciata
nord sono ancora in piedi, essendo ormai
600 anni che la chiesa è in completo stato di
abbandono.
L’intervento proposto ha quindi l’obiettivo
di risolvere i temi legati alla fruizione e alla
protezione del rudere all’interno di una strategia
in grado di recuperare e al tempo stesso
migliorare la comprensione del sito. Questo
processo di conoscenza del
luogo viene
effettuato attraverso tre operazioni fondamentali:
il consolidamento di tutti gli elementi murari
esistenti con lo scopo di preservarli da
ulteriore deperimento; il ripristino di una parte
della copertura a protezione delle absidi
“sopravvissute” e del solaio del presbiterio, cosi
da ricreare l’ambiente della cripta; la creazione
di una pavimentazione in grado di portare il
fruitore a ripercorrere ed a visitare il rudere
attraverso le antiche quote di percorrenza e gli
antichi accessi.
Per il consolidamento del manufatto, che
attualmente versa in totale stato di abbandono,
l’approccio è stato quello delle tradizionali
tecniche del restauro, innanzitutto procedendo
con iniezioni, all’interno delle murature
superstiti, di malta di calce mista a pozzolana e
contestualmente attraverso la tecnica del “cuci
scuci”, sostituendo i blocchi di tufo deteriorati con
alcuni nuovi con adeguate proprietà meccaniche.
Una volta consolidate le murature esistenti il
passo successivo è quello di completare alcune
parti del manufatto. Questi completamenti
hanno il doppio scopo di garantire la stabilità
delle murature e di ripristinare pochi elementi
del rudere, strategici per la sua comprensione
architettonica. Il ripristino di una parte della
copertura prevede l’inserimento di tre capriate
polonceau in acciaio, posizionate tra loro con un
passo molto ravvicinato. La scelta di ricostruire
solo parzialmente la copertura della chiesa sta
nel fatto di non voler alterare completamente la
percezione del rudere alla scala del paesaggio,
cercando di limitare l’intervento alle superfici
necessarie a garantire la protezione delle
strutture. Anche per questo sistema costruttivo
l’attenzione è stata posta sul posizionamento
degli appoggi, che saranno disposti in
corrispondenza di quelli antichi che andavano
a comporre un sistema di volte a crociera, al
fine di restituire condizioni spaziali coerenti con
quelle delle cripte.
Sarà un sistema di percorsi in pietra a
permetterci di fruire ed accedere agli ambienti
della chiesa. Uno di questi è connesso
al tracciato che, attraverso l’antica porta
medioevale, conduceva alla tagliata etrusca
di accesso al pianoro. Questo è un percorso
rettilineo (est–ovest) che conduce direttamente
ad un’antica porta d’ingresso alla cripta che, in
una delle fasi evolutive della chiesa, fu murata
e che noi avremo cura di ripristinare. L’altro
percorso (Nord-sud) proviene dal castello e
attraversando tutto il pianoro conduce ad un
accesso posto a quota intermedia tra le navate
e la cripta. Questo accesso è segnalato da una
grande trave in corten che oltre a sostenere e
contenere nel suo spessore il peso del solaio
del presbiterio, forma assieme alle murature
antiche un portale d’ingresso visibile a distanza
dal pianoro.
The archaeological area of Norchia.
Recovery of the Church of San Pietro.
The Church of San Pietro is located at the far
end of the northern plain of Norchia.
Nowadays only a small part of the presbytery
and the northern facade are still on site.
The project deals with the enjoyment and
with the protection of the church, with the
aim to enhance the comprehension of the archaeological site.
To achieve this goal three main steps have
to be taken: the reinforcement of the entire
wall to avoid additional deterioration; the reconstruction of a part of the roof and of the
presbytery’s floor slab, in order to recreate
the space of the crypt; the design of a new
pavement which leads the visitor through the
ruins following the ancient floor level.
The reinforcement follows the typical restoration techniques.
The reconstruction of the roof and the floor
slab has a double purpose: on the one hand
it helps the structural soundness of the walls,
on the other hand it helps the comprehension
of the ruins. Three steel “polonceau” trusses
recreate only a portion of the ancient roof, to
avoid a radical change in the landscape view.
The supports of the new floor slab are designed in the same position of the ancient
ones, to recreate the crypt space with the
same groin vault system.
Stone walkways lead the visitor through the
church spaces. The East-West walkway is
connected to the path that leads to the ancient access. The North-Sud walkway starts
from the castle, runs through the entire length
of the plain and leads to the new entrance of
the church, indicated by a corten beam.
San Giovanni
Vetralla
98
tesi di laurea in progettazione architettonica
In epoca alto medievale il tracciato della Via
Clodia assume un ruolo di primaria importanza:
il suo tracciato, infatti, seguendo il tortuoso
andamento orografico, offriva la possibilità di una
difesa naturale dagli attacchi esterni. Al tempo
stesso era un’importante via di collegamento in
direzione nord-sud, parallelo alla via Cassia e
alla via Aurelia.
Per questo motivo, durante il periodo medievale,
Norchia torna ad assumere un ruolo centrale in
Etruria e vive una seconda fase di prosperità.
Marco Frosi
Essa costituiva, infatti, un importante nodo
stradale: da qui passava la strada che,
collegando Tarquinia a Viterbo, attraversava
le grandi arterie Clodia, Aurelia e Cassia, e le
strade che, da Blera e Vetralla, volgevano in
direzione di Tuscania.
Tuscania
Norchia
Vetralla
99
RICOSTRUZIONE ANALOGICA
M. Salvatori
Civita Castellana
Blera
Sutri
Castel S. Elia
Nepi
▪ Analisi territoriale
▪ Analisi tipologica.
Il corridoio medioevale
Cripte e chiese nella Tuscia meridionale
Orvieto
Bagnoregio
Tuscania, San Pietro
Pianta della cripta (fine XI, inizio XII sec.)
Ferento
Tuscania, San Pietro
Pianta della chiesa superiore
Orte
tuscania
Viterbo
Imposta della copertura
norchia
vetralla
blera
civita castellana
Tarquinia
sutri
castel sant’elia
nepi
Navate
Civitavecchia
Civita Castellana, Cattedrale
Pianta della cripta (1183 circa)
Bracciano
Civita Castellana, Cattedrale
Pianta della chiesa superiore
Presbiterio
Cripta
Veio
Cerveteri
Abside ad occidente
Abside ad oriente
Principali itinerai antichi
rimasti invariati fino ad oggi
Principali itinerari antichi
utilizzati anche nel Medioevo
“Itinerario della cripte Romaniche”
Roma
SISTEMA IPOGEO
Pianta 153 m s.l.m.
Vetralla, San Francesco
Pianta della cripta (1207 circa)
Vetralla, San Francesco
Pianta della chiesa superiore (1207 circa)
“ ...e’ interessante osservare che le cripte di
questo tipo si trovano tutte lungo un percorso
viario che, partendo da Tuscania passa per
Norchia, Blera con piccola deviazione per
Vetralla, Sutri, Nepi, Castel Sant’ Elia ed arriva
a Civita Castellana...”
M.Salvatori, La chiesa di S. Pietro, 1976
Dai rilievi di M. Salvatori emerge che la cripta di
S.Pietro ha caratteristiche simili a molte cripte
delle chiese situate in Etruria meridionale.
E’ interessante sottolineare che tutte si
posizionano lungo un asse viario che, partendo
da Tuscania passa per Norchia e Blera (con una
piccola deviazione per Vetralla, Sutri, Nepi e S.
Elia) per arrivare a Civita Castellana.
Le due cripte di maggiori dimensioni si trovano
proprio alle estremità di questo itinerario.
Norchia, San Pietro
Pianta della cripta
PIEVE DI SAN PIETRO
Pianta 162 m s.l.m.
Norchia, San Pietro
Pianta della chiesa superiore
STATO DI FATTO
Sezione traversale
Le ipotesi ricostruttive della Chiesa di S. Pietro,
messe a disposizione dalla storiografia, hanno
permesso di definire i caratteri architettonici
dell’impianto basilicale. L’intervento consiste
principalmente nel ripristino delle quote
d’imposta e dell’andamento delle falde di
copertura.
Castel Sant’Elia,
pianta della cripta
Sutri, cattedrale
pianta della cripta
Blera,cattedrale
pianta della cripta
Nepi, cattedrale
pianta della cripta
STATO DI FATTO
Prospetto sud
100 tesi di laurea in progettazione architettonica
Marco Frosi
101
▪ Il sistema costruttivo
Il sistema costruttivo.
Struttura in acciaio
presbiterio
navate
2
cripta
1
5
sistema di copertura
tre capriate Polonceau
7
6
telaio in acciaio
travi IPE 140
Prospetto Ovest
3
9
4
8
10
trave in acciaio corten
11
telaio in acciaio
travi IPE 160
pilastri tubolari f100
Prospetto Nord
Sezione trasversale chiesa
12
13
CONSOLIDAMENTO
-iniezioni di malta di calce
-recupero delle creste
murarie
-completamento “cuci scuci”
-realizzazione struttura
muraria d supporto
14
15
16
Prospetto Sud
Sezione trasversale giardino
Planimetria di progetto
sezione longitudinale
1. Profilo in acciaio a doppia L 120X80 mm
2. Tiranti piatti in acciaio 30X12 mm
3. Doppio piatto in acciaio con piastre di
rinforzo 120X35 mm
4. Perno in acciaio f 30 mm
5. Corrente in abete 40X40 mm
6. Doppio piatto in acciaio 80X35 mm
7.Canalina di gronda in lamiera di alluminio
8. Pilastrino in acciaio 140X140 mm
9. Rifinitura in lamiera
10. Cordolo in nenfro
11. Corrimano in acciaio: f 15 mm
12. Trave in acciaio corten 420X160 mm
13. Trave IPE 140
14. Pilastro in acciaio f 100 mm
15. Pavimentazione in assi di castagno
80 mm
16. Fondazione con doppia piastra in
acciaio con barre filettate regolabili
102 tesi di laurea in progettazione architettonica
Laura Della Sala
Tarquinia:
recupero delle antiche connessioni
tra la città dei vivi e la città dei morti
103
▪ Analisi territoriale.
Volsinii
Antropizzazione
di Laura Della Sala
a.a. 2010-2011
correlatrici: Alessandra Carlini, Cristina Casadei, Paola Porretta
FASE VILLANOVIANA
due pianori a confronto
Tarquinia
Castro
Bisenzio
Ferentum
VII Biennale del Paesaggio di Barcellona - tesi esposta
Museo della Città e del Territorio di Vetralla - tesi esposta e conferenza
II Biennale degli Spazi Pubblici di Roma - tesi e plastico esposti
Viterbo al Palazzo della Prefettura - conferenza con ArcheoTuscia
Biblioteca Comunale di Tarquinia “Vincenzo Cardarelli” - tesi e plastico esposti
Vulci
Surrina
Tuscania
FASE ETRUSCA ARCAICA
contrazione verso la Civita
Orcle
In “Topografia Estetica” Dimitris Pikionis
scrive: “Non esiste nulla di isolato, ma
è tutto parte di un’Universale Armonia.
Tutte le cose si compenetrano, l’una
nell’altra, e l’un nell’altra patiscono, e l’una
nell’altra si trasformano. E non è possibile
comprenderne una, se non attraverso le altre.”.
Per questo motivo, la scelta di lavorare su un
centro come Tarquinia, di cui i piccoli abitati
dislocati sulla via Clodia rappresentavano
avamposti militari e punti di controllo, permette
di comprendere a fondo la strutturazione
territoriale e viaria del periodo etrusco.
E’ perduta al giorno d’oggi quell’Universale
Armonia che permetterebbe di comprendere
appieno il paesaggio dei grandi centri costieri
etruschi, l’importanza degli imponenti tumuli
isolati indicatori del potere della città, la vastità
degli ampi pianori da cui era possibile dominare
il mare e l’entroterra in rapporto al territorio.
L’antica Tarkna nella percezione di chi la visita
si riduce ai soli ipogei dipinti, attualmente unica
piccola porzione attrezzata della più estesa area
archeologica.
Manca una sistematizzazione che consenta di
comprendere e fruire al meglio il sito, inteso non
solamente come archeologia, ma anche come
paesaggio intriso di storia.
Scopo di questo lavoro è stato di superare i
limiti vincolistici ed estendere l’intervento alla
scala del paesaggio, attraverso l’individuazione
di percorsi in grado di testimoniare l’identità
del territorio e del paesaggio dell’antico abitato
etrusco. I limiti dell’attuale area archeologica
di Tarquinia sono molto diversi e molto ridotti
rispetto a quelli che in realtà ne determinano
il sistema territoriale. Principalmente si sono
individuati due sistemi: limiti naturali e limiti
antropici. Essi erano sin dai primi insediamenti
etruschi naturalmente connessi tra di loro,
attraverso tracciati che seguivano la morfologia
del territorio.
Recuperare tali connessioni permetterebbe
di ritrovare quell’”Universale Armonia” oggi
dimenticata.
Attraversare la valle lungo questi tracciati e
percorrere la viabilità principale dei due pianori,
consente di percepire correttamente il territorio
e di prendere contatto con quella che era ed è
la sua identità.
Tre sentieri dall’età villanoviana attraversano la
valle del San Savino: ognuno offre una differente
percezione dello stesso paesaggio.
Particolare attenzione è stata posta al sentiero
dei Primi Archi, il più antico e unico attualmente
ancora realmente in uso.
Tre sono i punti fondamentali del suo tracciato:
l’innesto, la valle e la salita all’acropoli che,
per tutta la lunghezza del percorso si pone
come principale punto focale e meta di arrivo,
permettendo di individuare una delle antiche
strade etrusche, ancora esistente, che esce
dalla città. Attraversando la valle, si conserva
una percezione del paesaggio che qui
mostra con evidenza il parallelismo tra i due
pianori. L’innesto del sentiero nella necropoli,
naturalmente
individuato nella spaccatura
dei Primi Archi, si pone anche come innesto
con la viabilità attuale e con quella antica
sopravvissuta, e rappresenta una fondamentale
cerniera per quelle che si propongono come
nuove percorrenze di una visita che vede
l’archeologia come parte di un tutto e non più
come entità a se stante.
L’intervento progettuale trova la sua ragione
nelle volumetrie del vecchio lanificio di Tarquinia,
che sorge proprio in questa cerniera, creando
una nuova centralità che possa essere il punto
di partenza di una fruizione del territorio e non
solo dell’archeologia.
Tarquinia:
recovery of the ancient connections
between the city of the living and the city
of the dead
In “A sentimental topography”, Dimitris Pikionis
wrote: “ [...] nature wishes to teach us: nothing exists on its own; everything is part of a
total harmony.[...].”
In Tarquinia this total harmony is now lost and
this work aims to make it arise again.
The painted tombs of Monterozzi’s necropolis of
Tarquinia are one of the greatest artistic expressions of the Etruscan civilization. Unfortunately,
nowadays the global perception of the territory
is limited only to such tombs.
The modern borders are different from the ones
which really define Tarquinia’s territorial system.
It is possible to identify two different systems:
the natural borders, which are defined by the
morphology of the territory, and the anthropic
borders of the acropolis and the necropolis.
These two hills have been connected since the
Bronze Age through three paths which follow the
territory’s morphology.
The most ancient path is still in use nowadays
and features three points of interest: the joint between the path and the necropolis, the valley of
San Savino stream and the rise to the acropolis.
The project focuses on the first point of interest,
which represents a joint between the ancient
and the modern road network.
Moreover, an ancient woolen mill is located
in this joint. It is the perfect location for a new
tourist’s reception center which would be the
starting point for a new touristic route through
the understanding of the whole territory and not
only of the archaeo.v
Castel d’Asso
Regae
Grotta Porcina
Blera
Tarkna
Falerii Veteres
San Giuliano
Sutri
Luni
Graviscae
FASE ORIENTALIZZANTE
monumentalizzazione
San Giovenale
Paesaggio naturale
e paesaggio antropico
LIMITI NATURALI
Aquae Apollinares
Pyrgi
Caere
Veio
LIMITI ANTROPICI
Alsium
Roma
COLLEGAMENTI PRINCIPALI DEL TERRITORIO TARQUINIESE
collegamenti trasversali
collegamenti di attraversamento: Aurelia Vetus / tracciati Via Clodia
altra viabilità
CONNESSIONI
104 tesi di laurea in progettazione architettonica
▪ Analisi delle antiche percorrenze
Aree attrezzate
Necropoli del Calvario .1
Tre sentieri dall’età villanoviana attraversano la
valle del San Savino, seguendo la morfologia
del territorio e collegando i due pianori.
Ognuno di questi tracciati offre una differente
percezione dello stesso territorio.
105
Laura Della Sala
Il cosiddetto sentiero dei Primi Archi è il più
antico e più diretto, identificato da Luigi Canina
come percorso verso il mare.
Il sentiero delle Arcatelle attraversa la verde
valle che da sempre accoglie campi coltivati.
Il sentiero dei Secondi Archi si snoda tra i poggi
orientali.
“Uno dei paesaggi più straordinari
che io abbia mai visto,
la vergine essenza di verdi colline.
Tutto è grano, ovunque verde e morbido,
che corre su e giù a perdita d’occhio,
splendente nel verde primaverile,
senza neanche una casa.
Sotto di noi il declivio si flette, gira nell’incavo
della valle e poi su di nuovo,
su una collina antistante
con il suo manto verde da tempo intonso.”
G. Dennis
Emergenze singole:
città dei morti
▪ Stato di fatto
L’antica Tarkna nella percezione di chi la visita
si riduce ai soli ipogei dipinti, attualmente unica
piccola porzione musealizzata e accessibile del
più esteso sistema archeologico.
I limiti dell’attuale area attrezzata - riportati nella
7
8 9
Necropoli Ellenistica ScataglinI .2
Grandi Tumuli della Doganaccia .3
Tomba degli Scudi .4
Tomba del Cardinale .4
Antica viabilità della necropoli
e piccoli tumuli .5
Tombe fuori dall’attuale
circuito di visita .6
planimetria - sono solo una piccola parte del
un sistema archeologico che coinvolge l’intero
territorio. di Tarquinia - evidenziati - sono molto
diversi e molto ridotti rispetto a quelli che in
realtà ne determinano il sistema territoriale.
10 11
9
Emergenze singole:
città dei vivi
Area sacra .7
Porta Romanelli e quartiere .8
VI sec. a.C.
Porta Ovest .9
Ara della Regina .10
Decumano .11
6
1
3.
3
2.
2
L’innesto
La valle
La spaccatura
dei Primi Archi
La valle
del San Savino
2
3 4
Fosso San Savino
5
La salita
1.
1
Ara della Regina
Porta Ovest
106 tesi di laurea in progettazione architettonica
Laura Della Sala
▪ Strategie di intervento.
Proposta per una nuova fruizione del territorio
107
▪ Strategie di intervento.
Nuove percorrenze
Tarquinia
Grosseto
Ipogei dipinti
7
Grandi tumuli
della Doganaccia
Sentiero etrusco
per l’acropoli
Via sepolcrale
Ipogei dipinti
Tumuli
Sentieri per l’acropoli
Roma
▪ Obiettivi
0. Necropoli del Calvario.
Nuovi percorsi seguono la cronologia delle tombe
0
1
2
3
4
5
6
1. Nuova fruizione di tombe ipogee nell’area del Calvario
2. Rifunzionalizzazione del vecchio lanificio
3. Ripristino delle antiche percorrenze
4. Pedonalizzazione dell’antico decumano
5. Nuova fruizione di tombe ipogee nell’area dei Secondi Archi
6. Nuovi percorsi di visita dell’acropoli
7. Aurelia Bis - viabilità carrabile
“Anche ora […]
le due colline sembrano inseparabili come la
vita e la morte,
e la terra sembra fresca e misteriosa,
come se fossimo ancora nel mattino del
tempo.”
D.H. Lawence “Paesi Etruschi”
108 tesi di laurea in progettazione architettonica
Corte esterna
verso il mare
Sala espositiva ipogea
Ingresso e biglietteria
Laura Della Sala
Strada provinciale
Dromos ipogeo
Sentiero dei Primi Archi
▪ Strategie di intervento.
Le fasi costruttive
Sentiero verso il Calvario
e Tomba degli Scudi
La volumetria esistente
Sezione longitudinale
La connessione trasversale
Lo scavo
1. profilo gronda in rame
2. isolante
3. scatolare in acciaio
4. profilato a T
5. profilato a L
6. vetro profilato traslucido a doppio strato
7. rivestimento a secco in grigliato di laterizio
8. pilastro a vista HEA 300
9. scatolare in acciaio
10. mensola ad L
11. profilato ad L
109
1
2
3
4
5
6
7
12. panca in calcestruzzo gettato bocciardato
13. pannelli in fibra di legno
14. parete in calcestruzzo gettato a vista
15. pavimentazione in calcestruzzo gettato bocciardato
16. soletta in lamiera grecata
17. trave principale IPE 300
18. pannelli in fibra di legno
19. finitura in intonaco veneziano
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
La struttura leggera
Pianta piano ipogeo
Una nuova struttura ipogea permette di
superare la discontinuità imposta dalla strada
provinciale che scorre tra il lanificio e l’innesto
tra percorso antico e moderno. I padiglioni
longitudinali del lanificio ospitano l’area ristoro
e un piccolo museo organizzato su due livelli.
Dalla prima sala si scende al livello ipogeo
Il rivestimento
attraverso un percorso espositivo organizzato
lungo una rampa. La sala ipogea che si
raggiunge, mantiene il contatto visivo tra il mare
e l’acropoli; da una piccola feritoia nella parte
alta si intravede il mare, mentre dal lato opposto
un profondo canale conduce verso l’esterno a si
riconnette all’imbocco del sentiero.
Demolendo la parte centrale dei padiglioni,
si crea una comunicazione trasversale tra di
essi, che permette un dialogo tra le diverse
funzioni inserite. L’invaso tra i due padiglioni,
stabilisce un rapporto percettivo col paesaggio
circostante, orientando lo sguardo del visitatore
nella direzione del mare da un alto e dell’acropoli
dall’altro.
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