Dormivo in compagnia dei topi,Reciprocità alla prova dei fatti,Il mare

Transcript

Dormivo in compagnia dei topi,Reciprocità alla prova dei fatti,Il mare
Tra i ciliegi: fiori e . . .
frutti
Dall’ “invasione” alla condivisione. Succede in Puglia.
Al turista che desidera visitare la Puglia in aprile, alcune
agenzie turistiche propongono un particolare percorso nella
famosa terra dei trulli, delle grotte di Castellana, nelle
campagne di Conversano e Turi, per assistere ad un
meraviglioso spettacolo: una distesa di candidi ciliegi in
fiore, inframmezzati da verdi macchie di ulivi, che lascia
rapito l’ignaro osservatore. A metà maggio, poi, lo scenario
viene affrescato di nuovi colori, il bianco cede il posto al
verde delle foglie che, al soffio del vento, lasciano
occhieggiare rosse e gustose ciliegie, le più premiate
d’Italia.
E’ questa generosa campagna la
terra
della
ciliegia
‘’ferrovia’’, il cosiddetto ‘oro
rosso’ che ha dato una svolta
determinante all’economia di
gran parte del territorio, di
cui Turi è parte rilevante.
Nel periodo della raccolta di questo prezioso frutto, a metà
maggio, questa cittadina è ‘’invasa’’ da un gran numero di
lavoratori stranieri, immigrati. Per gli agricoltori è
un’invasione benedetta, indispensabile per l’insufficiente
mano d’opera locale e per un raccolto che occupa un numero
limitato di giorni ad un ritmo incalzante.
Il tam tam di questa richiesta raggiunge l’interland barese e
perfino i campi di accoglienza della Calabria. Gli immigrati
ormai sanno di poter contare su alcuni giorni di lavoro sicuro
e spesso retribuito a norma sindacale, riducendo sensibilmente
le situazioni di sfruttamento e lavoro in nero.
Per mancanza di strutture d’accoglienza, i lavoratori sono
costretti a ricoveri di fortuna, dalle auto alle panchine dei
giardini pubblici, sotto gli archi o nei pressi delle stazioni
di servizio, con le comprensibili conseguenze di degrado a
livello igienico e dell’immagine stessa di un paese civile.
Quest’anno, finalmente nuovi e giovani amministratori hanno
accolto le voci di protesta levatesi in particolare dal mondo
del volontariato e si sono adoperati in tempo per cancellare
questo obbrobrio, offesa alla dignità della persona umana e al
decoro di un popolo che nel passato ha vissuto, come emigrato,
situazioni di emarginazione e rifiuto.
Collocata a breve distanza dall’abitato, con l’intervento
della Prefettura di Bari, con la collaborazione della
Protezione civile ed alcune associazioni, una tendopoli, con
servizi igienici, ha accolto circa cento lavoratori
marocchini, in numero inferiore agli anni scorsi, per la
ridotta produzione dovuta all’inclemenza del clima.
Un’attenzione particolare è stata rivolta al rispetto delle
norme stabilite: ordine del campo, orari, documenti di
soggiorno ed un controllo continuo dell’assessore ai servizi
sociali, dei carabinieri e vigili urbani.
Alcuni momenti di questo ‘’soggiorno’’,
particolarmente significativi.
sono
stati
Alle 20,30 circa, dopo la preghiera dei musulmani, spesso la
vita del campo si è animata ed arricchita di nuovi volti e
idiomi. Odori e sorrisi hanno dato uno slancio, un guizzo di
‘’felicità’’ a volti stanchi che hanno visto e subito chissà
quante angherie e soprusi. Scouts, giovani di organizzazioni e
di partiti, adulti di associazioni di solidarietà come Umanità
Solidale Glocal e un gruppo del Movimento dei Focolari,
ciascuno con il proprio stile, in men che non si dica, hanno
allestito una cena al campo. Se non è mancata talvolta la
pasta al forno, più spesso sono arrivate minestre di verdure e
legumi, nell’osservanza della fede dei musulmani, sollievo
alle membra stanche di lavoro, ma soprattutto espressione d’
interesse umano per la condizione di persone che fame e guerra
hanno costretto ad abbandonare la propria terra. Momenti di
condivisione e fratellanza in cui vengono espressi anche altri
bisogni: le scarpe numero 43 e 44, indumenti per i bimbi o le
mogli, medicinali o la cura di una ferita, un frigo,
una
lavatrice….A tutte le richieste si è cercato di dare risposta;
anche un amico medico di Acquaviva è venuto più volte e il
loro ‘’grazie Italia’’, comunicato con gli occhi oltre che con
le parole, esprimeva un vissuto di dolore ma anche di
speranza.
Era iniziato da due giorni il Ramadan, quando il prof, Daneo
di ‘’Religions for Peace Italia’’, invia la lettera di saluto
ed augurio del vescovo mons. Spreafico, Presidente della
Commissione per il dialogo interreligioso della CEI a tutti i
musulmani per la sacra ricorrenza.
Un’attenzione importante per costruire rapporti di conoscenza
più profonda, anche sotto l’aspetto religioso, aspetto a cui a
Turi Ausg
è particolarmente attenta con incontri di
conoscenza delle altre fedi, per vincere l’ignoranza, causa
spesso di paure e rifiuti.
Con gli assessori comunali Orlando e Caldararo, delegati alla
Cultura e al Welfare, si preparano fotocopie per ciascuno,
aggiungendo anche gli auguri personali e della cittadinanza.
Si va al campo dove si legge il contenuto. Un giovane si offre
per la traduzione in arabo ed è prezioso il suo intervento per
la presenza di giovani che non conoscono affatto l’italiano.
Perchè non scriviamo anche noi al Vescovo per ringraziarlo? È
la proposta di alcuni giovani, accolta da tutti e, accanto ad
una foto che ricorda il momento di particolare condivisione,
una lettera ci viene recapitata qualche giorno dopo che
inviamo con premura.
E’ la testimonianza visibile che, coniugando economia,
solidarietà, accoglienza, con l’impegno delle Istituzioni e la
collaborazione di cittadini attivi, anche in un momento
storico di particolari tensioni, è possibile promuovere una
nuova vitalità della città e costruire nuovi percorsi di
civiltà. La vittoria sulla paura e la diffidenza, per
passare dal timore alla fiducia reciproca.
Ripensare la giustizia: via
per il bene comune
Venerdì 14 ottobre 2016 ore
15.00-19.00 si terrà a Parma,
presso la Sede dell’Unione Parmense
degli Industriali, il prossimo
convegno promosso da Comunione e
Diritto del Movimento dei Focolari, dal titolo: Ripensare la
giustizia: via per il bene comune.
Nell’ambito di tale evento (aperto a tutti e rivolto in
particolare a docenti, studenti, dirigenti della pubblica
amministrazione, imprenditori, politici, avvocati, magistrati,
notai ed altri operatori del mondo giuridico) verranno
presentati gli atti del convegno Diritto in cerca di
giustizia. Il “metodo” di Lionello Bonfanti, tenutosi a Parma
il 28 novembre del 2014.
Lionello Bonfanti nasce
a Parma il 10 ottobre
del 1925. A 22 anni si
laurea
in
giurisprudenza e a 25
entra in magistratura,
diventando
il
più
giovane
Pretore
d’Italia. Dopo alcuni anni aderisce alla comunità del
Movimento dei Focolari lasciando l’incarico di Sostituto
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Parma, ma
senza mai abbandonare il suo anelito di giustizia.
I
relatori
del
convegno
in
programma
(Dott.ssa
Silvia
Cipriani, Magistrato a Firenze, Prof.ssa Adriana Cosseddu,
Docente di Diritto penale all’Università di Sassari, Prof.
Stefano Zamagni, Professore ordinario di Economia Politica
all’Università di Bologna, Dott. Alberto Chiesi, Presidente
Chiesi Farmaceutici S.p.A., Dott. Paolo Scarpa, Presidente
Circolo culturale Il Borgo,) intendono proseguire il cammino
di ricerca e di studio avviato ornai da alcuni anni e
arricchito sempre da attuazioni concrete.
Ciascuno, per il proprio profilo professionale, tenterà di
declinare giustizia e bene comune e, nel contempo, rifletterà
su come il binomio diritto-giustizia – e il divario che a
volte vi si riscontra – non pare sia attinente esclusivamente
al mondo giuridico ma possa, in qualche modo, essere traslato
nel campo dell’imprenditoria, della finanza, della pubblica
amministrazione. Anche in questi ambiti – le cronache di tutti
i giorni ce lo confermano – si constata che, se non si
persegue il “valore” della giustizia, il diritto non può
essere efficacemente assicurato.
invito-ripensare-la-giustizia
Chiara e la famiglia
Dal 10 al 12 marzo 2017 a Loppiano converranno 700
partecipanti, si svolgeranno eventi in contemporanea in tutto
il mondo, in occasione dell’anniversario di Chiara Lubich.
Mohamed: “Ci sono cose che
non puoi vedere con gli occhi
. . . “
La famiglia di Mohamed: amore e coraggio (Italia)
Riportiamo quanto è stato detto al funerale
giovane di 19 anni della Costa D’Avorio, morto
di leucemia. Mohamed era arrivato in Italia
gommone ed era stato accolto da una famiglia di
di Mohamed, un
pochi giorni fa
nel 2015 su un
Pescara.
Sono parole scritte da persone che gli sono state vicino: una
storia forte e commovente che ha molto unito la comunità
musulmana e cristiana.
Famiglia
Di
Biase
incentro.gelocal.it
–
Foto:
“Questo momento insieme ci sembra un vero miracolo, uno dei
tanti a cui abbiamo assistito accanto a Mohamed.
Fratelli Musulmani e Cristiani che pregano insieme, uniti
dalla vita di un ragazzo, uno di quei ragazzi che non hanno
voce, venuti coi barconi col solo vestito che indossano.
E’ grazie a questo ragazzo venuto dal nulla se oggi tra
persone così diverse per religione, cultura e lingua, si può
respirare aria di Paradiso.
Ieri ripensavo alla semplicità dalla quale tutto è cominciato,
ad uno sguardo il giorno di Natale dell’anno scorso. Ero
andato in ospedale a conoscerlo perché malato, e l’ho visto
sfinito sul letto d’ospedale col pranzo lì a fianco non
consumato che di lì a poco avrebbero portato via. Aveva fame
ma non aveva la forza di alzarsi a mangiare.
Troppo spesso il mio lo sguardo si ferma alla testa che pensa:
c’è chi provvede, non ho tempo, non so fare queste cose.
Forse perché lo sguardo è rimasto più a lungo, il tempo
necessario affinchè arrivasse al cuore, che mi ha fatto vedere
Mohamed con uno sguardo diverso, con occhi nuovi, gli occhi di
quella sua mamma che in qualche parte del mondo era in pena
per lui. Gli ho semplicemente dato da mangiare come avrebbe
fatto lei, e così per i giorni successivi.
Come avrebbe fatto lei venivo al suo ritorno da esami dolorosi
perché sentisse che qualcuno lo aspettava, o semplicemente
compagnia.
Il cuore di una mamma non vede la nazionalità, la religione,
l’educazione o cultura. Ama!
Questo sguardo di mamma, molto simile allo sguardo che Dio ha
per noi, non ha permesso che questo ragazzo restasse solo o
lontano dall’ospedale che poteva curarlo, e lo ha portato a
far parte della nostra famiglia. Questo sguardo ha la forza
del contagio e dalla nostra famiglia a don Massimo che ci ha
sempre sostenuto, è subito arrivato a tutta la nostra
comunità.
E tutti noi con meraviglia abbiamo scoperto che chinandoci
verso un povero, abbiamo alzato lo sguardo verso il cielo,
facendo gesti dal sapore di eternità che hanno portato un
pezzetto di Paradiso in noi, nel cuore di Mohamed e di tutta
la comunità. E’ questa la ricchezza di un povero.
E così chinandoci verso un malato, immigrato,
orfano,
analfabeta abbiamo alzato lo sguardo facendo gesti dal sapore
di eternità che hanno portato un pezzetto di Paradiso. E’
questa la ricchezza di un malato,orfano,immigrato,analfabeta.
Forse questo pezzetto di Paradiso che Mohamed sentiva intorno
a sè ha impedito che lo scoraggiamento, la solitudine, la
disperazione della sofferenza prendessero piede nel suo cuore,
e lui mantenesse vivi ed amplificasse quel tesoro di valori,
fede, umanità, bontà che già aveva. Si perché Mohamed era un
ragazzo dalla fede forte, 5 volte al giorno pregava, anche su
un lettino del pronto soccorso di Bologna mentre si torceva
dal dolore, si è girato in ginocchio verso la Mecca.
Era unito a Dio e sentiva dentro la voce del suo papà nei
momenti difficili. Per questo era onestissimo, profondo,
buono.
Mohamed sapeva ridonare a piene mani tutto ciò che riceveva,
affetto verso i ragazzi diversamente abili, accoglienza coi
bambini, aveva richiesto di portare un sorriso ai bambini
figli dei detenuti a Rebibbia, se la malattia non glielo
avesse impedito. Se gli veniva donato un paio di pantaloni lui
ne prendeva un altro dei suoi e lo donava ad un povero.
Aveva parole di sostegno per i suoi amici immigrati e forte
della sua fede ha riportato alla preghiera diversi ragazzi
cristiani che con lui si confidavano, li invitava a
frequentare più assiduamente la messa perché diceva che non si
può andare avanti senza parlare con Dio.
Un giorno alla mamma che le confidava la preoccupazione che
lui fosse diventato cristiano ha risposto: “No mamma, io vivo
in una famiglia cristiana che mi rispetta, mi fa vivere la mia
fede musulmana, mi fa mangiare e pregare da musulmano e mi
porta in moschea… ho scoperto che i cristiani vivono l’amore
al fratello che è scritto anche sul Corano. Attraverso di loro
sto riscoprendo la mia vera spiritualità di musulmano.
Scherzoso,umile,
semplice,
ha
affrontato
il
dolore
con
grandissima dignità, senza lamentarsi mai.
Mohamed non aveva nulla e per questo prendeva tutto dalle mani
di Dio che pregava, amava,sentiva vicno… quel Dio che gli ha
dato una famiglia grande come la nostra comunità, quel Dio che
lo ha vestito, nutrito,sollevato attraverso
comunità, quel Dio che oggi lo voluto a sé.
questa
sua
Un giorno ha detto a Luca: Io sono sereno perché prendo tutto
dalle mani di Dio…se lui vuole che io resti qui, lotterò con
tutte le mie forze per vivere, ma se mi vuole con sé, io sono
pronto. Che ricchezza un musulmano.
Ieri per la prima volta abbiamo visto e parlato con la sua
mamma, e tra le tante cose ci ha detto: Mohamed mi ha detto
tutto, mi ha detto che non ha mai dovuto chiedere niente
perché ancor prima di chiedere voi capivate di cosa aveva
bisogno…voi siete la sua vera famiglia… io gli ho dato la vita
naturale, ma voi gli avete dato la vita vera…
Questo è il suo ringraziamento a tutta la nostra comunità”.
https://vimeo.com/channels/1087292/200986631
I principi del dialogo
Articolo apparso sulla rivista Città Nuova n. 4/aprile 2016
I princìpi del dialogo
Jesús Morán è copresidente del Movimento dei Focolari.
Laureato in Filosofia,
è specializzato in antropologia teologica e teologia morale.
Se vogliamo che il dialogo non resti una tragica ingenuità,
sogno e traguardo irraggiungibile, ci vuole – vedi il mio
articolo di marzo – un’adeguata antropologia e un’efficace
pedagogia che lo sostenga. Proporrò quindi alcuni princìpi
basilari.
Primo. Il dialogo è sempre incontro personale. Non si tratta
di parole o pensieri, ma di donare il nostro essere. Non è
semplice conversazione ma qualcosa
che tocca gli interlocutori nel profondo. Diceva Rosenzweig:
«Nell’autentico dialogo qualcosa accade sul serio». In altre
parole: non si esce indenni da un vero dialogo, qualcosa
cambia in noi.
Secondo. Il dialogo richiede silenzio e ascolto. Il silenzio è
fondamentale per
un retto pensare e parlare. Un silenzio profondo, coltivato
con pazienza in solitudine e messo in pratica di fronte
all’altro, al suo pensare, al suo parlare. Ecco un bel
proverbio indù: «Quando parli fa in modo che le tue parole
siano migliori del tuo silenzio». Oggi è più che mai
necessario – affermava Benedetto XVI – «un ecosistema che
sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni».
Nell’esercizio del dialogo abbiamo bisogno del silenzio per
non logorare le parole stesse.
Terzo. Nel dialogo rischiamo noi stessi, la nostra visione
delle cose, la nostra identità, anche culturale. Dobbiamo
conquistare una «identità aperta», matura, e allo stesso tempo
allenata su un assioma antropologico fondamentale: «Quando ci
capiamo con qualcuno, so meglio anche chi sono io».
Parafrasando una idea di K. Hemmerle: se mi insegni il tuo
pensare, io potrò imparare di nuovo il mio annunciare.
Quarto. Il dialogo autentico ha a che fare con la verità. Ma
attenzione: la verità è una realtà relazionale (non relativa,
che è diverso). Significa che la verità è la stessa per tutti,
ma ognuno mette in comune con gli altri la sua personale
partecipazione e comprensione della verità. Quindi la
differenza è un dono, non un pericolo. «Il dono della
differenza» è un altro pilastro della cultura del dialogo.
Quinto. Il dialogo richiede volontà. L’amore alla verità mi
porta a cercarla, a volerla, e per questo mi metto in dialogo.
Spesso si pensa che dialogare sia cosa da deboli.
In realtà è il contrario: solo chi ha una grande forza di
volontà rischia se stesso nel dialogo. Ogni atteggiamento
dogmatico o fondamentalista nasconde paura e fragilità.
Bisogna diffidare di chi normalmente ricorre alle grida, usa
parole altisonanti o frasi squalificanti per imporre le sue
convinzioni. La forza bruta, anche dialettica, potrà vincere
ma mai convincere.
Sesto. Il dialogo è possibile solo tra persone vere. L’amore,
l’altruismo e la solidarietà preparano le persone al dialogo
facendole vere. Gandhi e Tagore avevano un’idea molto diversa
del sistema educativo da impiantare nell’India indipendente,
ma questo non ha ostacolato la loro amicizia. Papa Wojtyla e
il presidente Pertini ebbero, durante un lungo periodo,
un’intesa profonda sul destino dell’umanità, eppure
viaggiavano su categorie quasi opposte.
Settimo. La cultura del dialogo conosce solo una legge, quella
della reciprocità. Solo in essa il dialogo trova senso e
legittimità.
Se le nazioni ricorressero al dialogo prima che al tacere
omicida della vendetta o della ricchezza o dell’affermazione
personale, nuoteremmo nella felicità di cui oggi ci priviamo.
Se le religioni dialogassero per onorare Dio; se le nazioni si
rispettassero e capissero che la propria ricchezza è fare
ricca l’altra; se ognuno percorresse un “piccolo sentiero
personale” di novità, ci potremmo lasciare alle spalle la
notte di terrore nella quale annaspiamo. Quali gli ostacoli
sul piccolo sentiero? Il giudizio, la condanna, la superbia
intellettuale.
Il lavoro da fare è artigianale per l’impegno che richiede,
senza distrazioni o compromessi, ma è pregno di cultura, più
di una professione. È un’attività faticosa e impietosa. Ma ci
salva la Misericordia.
Una
canzone
cantare Dio
https://youtu.be/VsvIJ-HzmaA
per
dare
e
Sito di Mimmo Iervolino
Pagare
sorriso
le
accedi da qui
tasse
con
un
Agenzia dell’entrate. Una signora riceve l’avviso di pagamento
il giorno del suo compleanno. La “regola d’oro” applicata in
un ufficio pubblico
di Marco Brunello
Da 5 anni lavoro in un ufficio dell’Agenzia delle entrate e
quotidianamente ho a che fare con persone che vengono a
chiedere informazioni per gli avvisi di pagamento che
emetto. Ogni giorno cerco di mettere in pratica la “regola
d’oro”: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te»,
immedesimandomi in quanti si avvicinano alla mia scrivania.
Purtroppo non sempre ci riesco, soprattutto quando nella
stessa giornata si sommano pratiche da chiudere con urgenza e
una lunga fila di persone, alcune con un atteggiamento
prepotente. Ricordo un episodio accaduto a novembre. Fuori
piove, arrivo tardi a causa del traffico e alcune persone mi
attendono spazientite nel corridoio. Entro il giorno
successivo devo completare la lavorazione di una pratica. Un
mix perfetto. Le prime due persone ricevute mi tolgono ogni
energia e spengono in me ogni mia buona volontà di mettermi
nei panni dell’altro.
Prima di far entrare la terza persona, mi ricordo di
un segreto imparato fin da piccolo: ricominciare, ricominciare
sempre. Così con un sorriso faccio accomodare la signora
Carla. Il suo volto è scuro perché ha ricevuto l’avviso di
pagamento proprio il giorno del suo compleanno. Era già venuta
in ufficio in precedenza senza aver trovato una soluzione.
Inizio così a chiederle scusa per averle inviato l’avviso
proprio in quella data e inizio a spiegarle con parole
semplici i motivi per cui deve pagare. Il suo volto si fa meno
buio e inizia a chiedermi cosa deve fare perché non ha la
possibilità di pagare tutto in un’unica soluzione. Le spiego
che, da qualche giorno, era stata introdotta la possibilità di
pagare a rate facendo un primo versamento alla posta per poi
tornare in ufficio con la ricevuta e chiedere un’istanza per
ritirare il piano di rateazione. Mi guarda spaesata perché
tutte queste cose le sembrano difficili. Così mi offro di
compilarle il modulo di versamento e le propongo di andare
subito in posta e di tornare il mattino stesso in ufficio dove
le avrei fatto trovare l’istanza già compilata. Così ho fatto
e nel giro di poco tempo abbiamo risolto la pratica. La
signora Carla, con gli occhi lucidi dalla commozione, mi
ringrazia dicendo di essere stata fortunata ad aver trovato
una persona come me. Lo scorso Natale ritorna in ufficio con
un piccolo dono da condividere con le mie colleghe di stanza.
Mi confida a bassa voce di non aver mai immaginato di poter
pagare una multa con il sorriso sulle labbra.
(tratto dalla rivista Città Nuova n.6 /Giugno 2016)
Corso di aggiornamento: “La
gestione dei conflitti a
scuola”
Partendo dalla complessità delle relazioni interpersonali, il
corso si propone di fornire strumenti per affrontare le
situazioni conflittuali. Gli spunti proposti saranno utili per
imparare a gestire in maniera costruttiva il conflitto, per
esercitare una più efficace azione educativa nei confronti
degli alunni, ma anche per favorire un clima più sereno tra
tutte le componenti dell’articolato mondo della scuola. Oltre
ad avvalerci di formatori esperti, sarà interessante il
confronto tra i partecipanti, ognuno portatore di una
personale esperienza.
Il corso è rivolto a docenti di scuole di ogni ordine e grado,
prevede il rilascio dell’attestato di partecipazione da Ente
accreditato MIUR valevole ai fini del Bonus di 500 euro (Lg.
107/2015 “Buona Scuola”).
Relatori
Inaki Guerrero Psicologo
Emanuela Arcaleni Docente, formatrice ISAC-Pro
Daniela Alessandri Docente, formatrice ISAC-Pro
Inizio: Sabato ore 09.00 Conclusione: Domenica ore 19.00
Durata: 20 ore complessive
Per partecipare: inviare il modulo di iscrizione allegato
entro e non oltre la data del 30 settembre 2016 a:
[email protected] unitamente a copia della ricevuta del
bonifico di Euro 85,00 a persona da effettuarsi sul conto
Banca Credito Cooperativo di Cascia di Reggello S.C.A.R.L.
Filiale di Figline – IBAN: IT41G0845705463000000015832
intestato a Istituto di Scienze dell’Apprendimento e del
Comportamento Prosociale – I.S.A.C. PRO, Corso Italia, 304 –
74121 Taranto
NB: Rientrano nella quota le spese organizzative e per i
relatori, oltre alle spese di soggiorno.
La sede del Corso è una struttura semplice e accogliente a
circa 700 m di altezza a 20 minuti da Arezzo:
il Villaggio Sacro Cuore – 52040 Alpe di Poti (AR)
Come Raggiungerci: USCITA autostrada Sansepolcro. DIR Arezzo –
Passo Scopettone – Alpe di Poti Info: Emanuela 3293904209
Morena 3397079831
Invito e scheda di prenotazione: corso-aggiornamento-lagestione-del-conflitto-a-scuola
Carlo e Alberto: un’amicizia
per la santità
A Genova, 8 anni fa, veniva aperta il 25 settembre 2008 la
causa di beatificazione di Carlo Grisolia e Alberto
Michelotti, due giovani dei Focolari che si sono impegnati a
vivere il Vangelo insieme con radicalità.
Entrambi veri campioni della spiritualità di comunione, ancora
oggi continuano a toccare l’anima delle persone che li hanno
conosciuti. La Chiesa ha perciò introdotto la loro causa di
beatificazione.
Quale il segreto della loro vita? La scoperta e la messa in
pratica della spiritualità dell’unità di Chiara Lubich, via
collettiva che porta ad una santità costruita insieme.
Leggi l’articolo completo
Movimento dei Focolari
sul
sito
internazionale
Carlo e Alberto: Un’amicizia per la santità
del
24 ORE DI LUCE, i giovani
raccontano la santità
E’ possibile essere santi nel XXI secolo? La vita di Chiara
Luce Badano ne è la più luminosa conferma e le migliaia di
persone, soprattutto giovani, che traggono ispirazione da lei
ad ogni latitudine stanno a testimoniarlo.
I giovani raccontano la santità del secondo millennio. Saranno
una quarantina di oltre 20 Paesi del mondo i giovani che a
Loppiano raccoglieranno il testimone della vita di Chiara Luce
Badano. Il 29 (giorno della sua festa liturgica) e il 30
ottobre prossimi due celebrazioni liturgiche e un appuntamento
con musica e performance racconteranno le giornate, le
conquiste e il dolore di una ragazza meno che ventenne che nel
1990 se n’è andata a causa di un tumore osseo. Le ci è voluta
una manciata di anni per lasciare un segno che dura tutt’ora e
non accenna a sparire; a dire che per cambiare il mondo non è
questione di quantità, ma di qualità di vita.
Il suo “stile di vita” ha ispirato migliaia di persone in
tutto il mondo suscitando vocazioni, cambi di vita, decisioni
importanti le cui conseguenze sono impossibili da
quantificare.
“Chiara Luce continua a cambiare il corso della storia
attraverso di noi, cioè i ragazzi e le ragazze che l’hanno
presa ad esempio e nella sua vita hanno trovato il coraggio di
cambiare la propria”, ha spiegato uno dei giovani attori della
performance che avrà luogo a Loppiano nel prossimo fine
settimana.
24 ORE DI LUCE, il programma
29 ottobre
Santuario Maria Theotokos, ore 12.00 – S. Messa per la beata
Chiara Luce Badano
30 ottobre
Auditorium, ore 10.15 – Giovani di tutto il mondo raccontano
Chiara Luce: musica, testimonianze, performance
Santuario Maria Theotokos, ore 12.00 – S. Messa
www.loppiano.it
EDC/AIPEC a Tv2000
Tv2000 – Beati voi, salvare il pianeta
Intervista gli imprenditori Giovanni Arletti e Livio Bertola,
dell’Associazione Italiana Imprenditori per un’economia di
comunione, il progetto lanciato da Chiara Lubich nel 1991.
Trasmissione di Tv2000 – “Laudato Sì – Beati voi, salvare il
pianeta” del 8 giugno 2016
Per amore della vita intendo
questo
Da anni, Bruno e Mina aprono le porte della loro casa di
Genova all’umanità variegata delle periferie umane di oggi:
giovani disadattati, malati di mente, immigrati, gente in
difficoltà. Una testimonianza di Vangelo vissuto nel silenzio
e nella radicalità.
Dal libro “Senza diritto di cittadinanza” di Silvano Gianti
(edizione Città Nuova)
“Oggi, suono anch’io al campanello del condominio, non c’è il
cognome, ma solo i loro due nomi: Bruna e Mino. Sono entrambi
in pensione, anche se hanno superato da poco i sessanta.
L’ascensore mi porta all’ultimo piano, dove una bella terrazza
affaccia sulle colline genovesi. Sono vissuti lungamente a
contatto con le periferie umane, accogliendo ragazzi e adulti
in difficoltà.
Lo hanno sempre fatto in modo semplice, senza cercare troppe
spiegazioni. Era il loro stile di vita. A interrogarsi
ripetutamente, invece, è stato il figlio, che dopo anni di
ripensamenti ha deciso di affidare le sue considerazioni a
facebook, convinto che i suoi genitori lì non le avrebbero mai
lette. E invece loro le hanno scoperte, per caso. E forse per
la prima volta hanno sentito l’eco delle loro azioni e della
loro generosità.
«Le sole persone da cui potrei accettare discorsi su fede e
sacralità di ogni vita sono i miei genitori. Mia mamma e mio
papà. Bruna e Mino. Loro, insomma. Mica per altro. Perché da
loro non dovrei ascoltare nessuna opinione: dovrei soltanto
assaggiare vita. Lo hanno scelto appena sposati, anzi prima.
Avevano trovato la casetta dei loro sogni (per i padani sarà
normale, ma in una città come Genova è pura fantasia),
indipendente, con giardino, eppure in centro. Da principesse
delle favole. Però Ercolano, il loro amico distrofico, non ci
sarebbe potuto andare. Niente casa dei sogni, appartamento di
40 mq in affitto in un palazzone. Per amore della vita intendo
questo.
Ho vissuto una vita intera circondato da affetti dolorosi,
persone che passavano da casa nostra nel loro momento peggiore, e ci stavano settimane, mesi, per condividere brandelli
di vita, dolori, morti. Qualcuno per un figlio, qualcuno per
un marito, qualcuno per se stesso. E con ognuno ho costruito
relazioni, ho imparato il dolore, ho appreso la normalità
della sofferenza, la possibilità della fiducia. Aurora, per
dire, è stata con noi mesi, tra ospedale e casa. Lei e i suoi
fratelli, i suoi genitori. Bastava stringersi, e condividere.
La chemio. La prima comunione fatta di fretta, perché ci
teneva. E la settimana dopo sarebbe stato troppo tardi. Aveva
nove anni. Per amore della vita intendo questo.
Non è questione di fare da lazzaretto. È questione di aprire
la porta. Ho scoperto tardi, già grandicello, che tutto questo
non era precisamente “normale”. Avevamo cambiato casa, questa
era più grande, con il terrazzo. C’è spazio. Mio padre si è
licenziato quando gli hanno chiesto di fare la cresta sui
bilanci. Si è messo in proprio, un lavoro in cui poteva
guadagnare milioni al mese, in nero, in assoluta sicurezza. E
invece ha scelto di restare nella legalità a costo di non fare
i regali di compleanno ai propri figli. Per amore della vita
intendo questo.
Quando Pippo aveva bisogno di piastrine, nessuno di noi
quattro in famiglia poteva donarle. Abbiamo chiamato a
raccolta fidanzate, amici, compagni degli amici, sconosciuti
coinvolti pressoché per caso… Mobilitare per la vita è questo,
mica manifestare davanti a una clinica. Per inciso, Pippo è
morto comunque. Ma all’ospedale ricordano ancora la
processione inaudita di gente sconclusionata venuta a donare
piastrine, non l’avevano mai vista, c’erano avvocati e giovani
punk con tanto di cresta, studentesse universitarie vestite a
puntino e commercialisti tremolanti che se la facevano sotto,
ma alla fine si erano decisi. Per amore della vita intendo
questo.
E Stefano? È stato con noi quattro anni. Chiaro che un
adolescente antipatico e malato non lo vuole nessuno. Eppure.
Questo mi è pesato, e manco poco. Alla fine, non ne potevo
più, lo riconosco. Quando è andato via, è stato liberatorio,
perché mica bisogna fingere che sia sempre tutto bello e
facile e edificante. Non ne vado fiero, l’ho evitato per un
pezzo. Prima di ogni coma (il ragazzo aveva un che di teatrale) ha però sempre cercato i miei, anche dopo anni. E c’erano
solo i miei con lui quando è morto. Nonostante i pesci in
faccia, le batoste. Erano lì, a tenergli le mani. Per amore
della vita intendo questo.
Perché? Se volessi chiederglielo, farebbero spallucce. Forse,
se insistessi, ti racconterebbero che per loro il vangelo è
una cosa che conta, e che hanno deciso di crederci. Ma non con
la testa, o con il cuore. No, no: con il corpo, con la vita.
Per questo sono gli unici da cui potrei accettare discorsi su
fede e sacralità di ogni vita. E forse, diciamocelo, anche perché non ne hanno fatti. Anzi, semmai…».
L’autore:
Silvano Gianti è nato a Cuneo nel 1957. Da sempre attento a
chi vive in situazioni di povertà e di disagio, ha vissuto in
diverse città d’Italia. Abita attualmente a Genova, dove
lavora per “Città fraterna”, una onlus che sostiene i
disoccupati del capoluogo ligure. Ha pubblicato in passato sul
«Sole 24 ore» online, dal 1978 scrive sul settimanale
diocesano «La Guida» e collabora con la rivista «Città Nuova».
Collegamento CH
17 settembre 2016 – 2016 dalle 12:00 alle 13:00
Le comunità del Movimento dei Focolari nel mondo si danno
appuntamento per il Collegamento Ch. È possibile seguire la
diretta
alle
ore
12.00
dalla
pagina
http://collegamentoch.focolare.org/
Su tale sito del Collegamento CH, i giorni precedenti
l’appuntamento sarà disponibile il sommario delle notizie.
Sullo stesso sito è possibile accedere anche alle edizioni
integrali e alle singole notizie dei precedenti Collegamenti
CH.
SUL COLLEGAMENTO CH
Cos’è il Collegamento CH?
Quando. Nasce nel 1980. È l’11 agosto, festa di S. Chiara
d’Assisi. Quel giorno, nel suo onomastico, Chiara Lubich si
trova in Svizzera insieme ad alcune persone che le fanno gli
auguri: è una festa di famiglia. Si crea una comunione
profonda.
Chi. Nei giorni seguenti, dalla stessa casa di Chiara, si
attiva una catena di telefonate per alimentare la realtà
percepita di essere “un unico focolare”. Si aggiorna delle
nuove scoperte nel vivere con intensità la spiritualità
dell’unità e delle notizie che giungono dal mondo.
Come. In quei giorni si scopre l’esistenza in Svizzera del
servizio “conferenza telefonica collettiva” e se ne fa subito
uso. Tale collegamento, nelle settimane successive, si estende
ad altre nazioni, fino a raggiungere tutti i Paesi dove sono
presenti comunità dei Focolari.
Perché. Nel tempo e con il veloce evolversi delle
telecomunicazioni, si passa dalla conferenza telefonica allo
streaming e al satellite, perché, affermava Chiara, “un’Opera,
che ha per ideale l’unità”, una famiglia “disseminata ormai su
tutto il pianeta” deve condividere “tra tutti, con i mezzi più
rapidi e adeguati”, “gioie, dolori, speranze, progetti”,
sperimentare “l’amore che va e che torna”, fare insieme il
viaggio, “il santo viaggio” della vita.
Per un mondo unito. Si fa l’esperienza forte e gioiosa
dell’“unità e dell’universalità” che lega centinaia di
migliaia di persone, sparse nei cinque continenti, orientate
alla fratellanza universale.
In
Piemonte
in
dialogo
su
Martin Lutero
A 500 anni dall’inizio della riforma protestante ci si
incontra per testimoniare il cammino fatto insieme e prendere
spunto dalla ricca figura di Lutero per proseguire questo
cammino con rinnovata passione. Per celebrare questo
importante anniversario, il Movimento dei Focolari presente in
Piemonte e Valle d’Aosta il 1 febbraio scorso ha organizzato
due serate, una Torino e una a Bra in provincia di Cuneo.
Relatori di alto livello hanno reso entrambe le serate momenti
ricchi di cultura e di profonda spiritualità.
A Torino 150 persone
hanno
seguito
con
grande interesse i
contributi
di
don
Hubertus
Blaumeiser,
esperto cattolico di
Martin Lutero e Membro
del
Centro
interdisciplinare
di
studi «Scuola Abbà» e
del Pastore Heiner
Bludau, Pastore della Comunità Luterana torinese e Decano
della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. Sulla provocazione
del titolo “Cosa ha da dirci Lutero oggi” si sono susseguiti
gli interessanti interventi e le risposte alle molte domande
di un pubblico attento e interessato.
La delicatezza con cui Hubertus Blaumeiser ha proposto la
poliedricità della figura di Lutero e ha introdotto alla linfa
che scorre nella sua teologia, la semplicità con cui il
Pastore Heiner Bludau ha presentato la vita della Comunità
luterana in Italia e in particolare a Torino sono stati in sé
un luminoso esempio di dialogo fraterno. Interessante rilevare
che in Torino la chiesa luterana è ospitata per il culto dai
Frati Minori nella chiesa di S. Antonio da Padova: occasione
di ecumenismo pratico, vissuto, con condivisione
partecipazione reciproca a varie iniziative.
e
A Bra 150 persone provenienti da tutta la provincia di Cuneo
hanno gremito la Chiesa barocca dei Battuti Bianchi:
rappresentavano la società civile, c’erano giornalisti, tutti
i parroci della città, il rettore del Santuario della Madonna
dei fiori, gli ordini religiosi locali, cittadini cattolici e
riformati. Relatore di eccezione il Pastore Valdese Paolo
Ricca che a caldo ha commentato l’evento: “… qui a Bra stiamo
vivendo un momento unico, un momento assolutamente nuovo che
non era mai successo prima per la città di Bra: in 500 anni
non era mai successa una cosa come questa, mai! Questa è una
primavera spirituale, ecclesiale, culturale che capita in
questa chiesa che sarà pure barocca, ma va bene lo stesso,
perché la cosa che accade in questa chiesa è una primavera”.
In entrambe le serate è
stata
comune
l’impressione di vivere
un importante momento
di
quel
ecumenico,
dialogo
dialogo
della vita e dialogo di
popolo, iniziato già
nel 1960 da Chiara
Lubich.
Come ha auspicato il
Pastore Bludau ora “tocca ora a noi riunire ciò che gli eventi
storici hanno separato per vivere insieme la fede cristiana in
una chiesa apostolica e universale, come professato nel Credo
comune”
Tutto può diventare occasione
di “dono”
Sono un anziano religioso.
Da quando anni fa rimasi colpito da paralisi agli arti
inferiori, devo combattere con la tentazione di sentirmi
collocato su un “binario morto”. Ora che in tutto dipendo
dagli altri, anche nelle cose più delicate, e il mondo, per
me, è diventato una stanza in cui trascorro la mia giornata
nella monotonia delle ore, ora che tante persone conosciute
percorrono le strade del mondo senza che io abbia più da
interferire o consigliare… devo ancor più a darmi alla fede
per dare un senso alla mia vita e scoprirne il valore.
È vero che, data la mia condizione, non posso influire sugli
avvenimenti vicini e lontani. Mi è data però la meravigliosa
avventura di vivere. Tutto può diventare occasione di lode, di
ringraziamento, di preghiera, di offerta.
Anche Gesù, sulla croce, non ha fatto più miracoli o
annunciato il Regno, ma ha continuato ad amare, anzi ha
manifestato l’amore più grande e più puro, dando la vita per
noi. Stare fermo non è immobilismo. Con e per Gesù crocifisso
e abbandonato, voglio essere “dono”.
P. Vittorio – Italia
Fonte: Il Vangelo del giorno, febbraio 2017 (Città Nuova) p.
75
Un atto d’amore in più
Mi adopero in ogni modo per facilitare i rapporti fra le
persone che abitano il mio stesso popoloso quartiere. Qualche
telefonata, una sosta presso una persona sola e malata, far
circolare le notizie più positive che riesco a trovare. In
questo impegno ho potuto coinvolgere qualche altra amica e
cresce, a parer mio, un clima di stima e fiducia.
Tutto tranquillo, fino a quando una mia amica apostrofata
aspramente da un condomino che afferma di sentirsi infastidito
dalle persone non residenti che vede circolare nel palazzo
dove abita.
Quando apprendo la cosa mi sento ferita nel mio impegno, mi
sembra che non valga la pena occuparsi degli altri. Poi,
riprendo serenità convinta che anche qui c’è l’amore di Dio
all’opera. Mi ricordo del Vangelo che afferma che anche l’oro
(cioè il bene) “deve essere purificato nel crogiolo sette
volte” per liberarlo dalle scorie.
Accetto questa situazione come un’occasione opportuna per
purificare il mio cuore. Adesso mi sento pronta ad incontrare
la persona che è rimasta infastidita e tutto si risolve nel
migliore del modi.
Il Signore voleva un atto d’amore in più.
“Abbiamo sete di pace”: a
Catania le religioni insieme
Trent’anni dopo Assisi: il messaggio di pace di Giovanni Paolo
II e dei leader delle varie religioni arriva anche a Catania.
Il 27 ottobre del 1986 Papa Giovanni Paolo II riunì ad Assisi
i principali esponenti religiosi per pregare insieme per la
pace. Fu un evento storico: i media mondiali veicolarono in
tutto il mondo le immagini dei leader delle grandi religioni,
nella piazza davanti alla Basilica inferiore. L’adesione è
massiccia: vi parteciparono cinquanta rappresentanti delle
chiese cristiane e sessanta delle grandi religioni mondiali.
In occasione della ricorrenza del 30° anno di Assisi, il 27
novembre 2016, a Catania, nel salone della parrocchia San
Luigi, l‘Ordine Francescano Secolare di Catania, in
collaborazione con la Consulta delle Aggregazioni Laicali
della Diocesi, hanno programmato e realizzato un evento
unitario di testimonianza e preghiera interreligiosa.
Hanno aderito: l’ Istituto Buddhista Soka Gakkai, la Comunità
Indù di Catania, la Comunità Islamica di Sicilia, ECON
(comunità dialogo), la Comunità Baha’i di Catania, la Comunità
di Sant’Egidio e il Movimento dei Focolari. Circa trecento i
partecipanti all’evento. Il titolo, non certo a caso, era:
“Abbiamo sete di Pace”. “È stato un momento di Dialogo –
afferma Maria Grazia Spatola – dove ciascuno secondo il
proprio credo e la propria cultura ha manifestato il proprio
impegno ad essere strumento di Pace per la realizzazione della
pace universale. Quest’occasione ha permesso di condividere
spazi di fraternità concreta, di ascolto e conoscenza
reciproci per essere, in questo particolare momento storico,
segno tangibile della cultura dell’incontro , dell’accoglienza
e dell’inclusione nel nostro territorio”. Pippo Amore
aggiunge: “E’ stata la testimonianza visibile del cammino di
dialogo tra fratelli e sorelle delle grandi Religioni e delle
comunità cattoliche presenti nella nostra città. Questo
evidenzia che il pluralismo religioso non è fonte di divisioni
e di guerre, bensì arricchimento e strumento prezioso per
ricomporre l’unità della famiglia umana”.
Un’esperienza che ha una parola chiave: ”Insieme”. Lo
sottolinea Alfio Pagliaresi, ministro della Fraternità dell’
Ordine Francescano Secolare. “Questo momento -spiega – lo
abbiamo voluto e costruito insieme: un momento di preghiera e
di condivisione a cui ciascuno ha contribuito secondo il
proprio credo e le proprie tradizioni. Il titolo “Abbiamo sete
di pace” non è stato scelto a caso: è l’espressione di
un’esigenza comune, che tutti noi sentiamo e che abbiamo
voluto tradurre in questo momento vissuto insieme”. Ed è
questo “insieme” che fa la differenza e diventa esempio
concreto per manifestare che l’apparente diversità è una
ricchezza e può essere un punto d’incontro più che di scontro.
Il tessuto di queste relazioni umane che quest’esperienza ha
fatto nascere è stato principalmente creato dal dialogo. Maty
Venuti, buddhista della Soka Gakkai, sostiene che “il dialogo
è uno strumento importante per esprimere rapporti tra le
diversità e per far vedere che si possono trovare dei punti in
comune. Il dialogo è la base per raggiungere la Pace”. Sulla
stessa lunghezza d’onda anche l’Imam di Catania, Abdelhafid
Keit, che è anche presidente della Comunità Islamica di
Sicilia. “Tutte le confessioni religiose – spiega Keit – hanno
qualcosa che li unisce e qualcosa che li divide, ma è più
quello che li unisce ed è da qui che nasce la Pace”.
Dialogo e pace: sono questi i punti di forza della vita delle
grandi religioni.
La sfida da accogliere oggi, se pur andando contro tendenza, è
il mostrare l’apparente diversità come una fonte di ricchezza
e non di conflitto.
Il dialogo porta alla conoscenza, la conoscenza genera
consapevolezza, la consapevolezza porta a superare i confini
della paura e ad aprire le menti e i cuori all’ accoglienza.
Questo momento è stato inserito nel cammino che le confessioni
religiose stanno facendo insieme verso la Pace, un cammino di
scoperta, condivisione e fraternità.
Immigrati:
risorsa
da
problema
a
La montagna è capace di accogliere più delle aree urbane,
creando progetti dal basso tra i Comuni, con le associazioni
locali, la rete del volontariato, la Caritas, le parrocchie.
Alcuni dei tanti esempi virtuosi
Sorgente Città Nuova online: Immigrati: da problema a risorsa
E’ iniziata così la seconda
fase
della
mia
vita
lavorativa . . .
Dopo circa due anni di lavoro in banca ho iniziato ad avere
più di qualche scrupolo di coscienza, che mi faceva chiedere
sempre più spesso, se ciò che facevo, fosse giusto oppure no.
E’ pur vero che, nella routine lavorativa, nell’andamento che
ha sempre caratterizzato un certo modo di fare, tutto sembra
normale, ma, nel momento in cui la banca aveva orientato il
suo interesse, dal cliente al prodotto, in un’ottica di
massimizzazione del profitto, i problemi sono aumentati. E con
essi sono aumentati anche i miei scrupoli di coscienza nel
seguire un andazzo che poco si adattava al mio modo di vedere,
soprattutto nei rapporti con i clienti, con i quali cercavo di
tessere rapporti umani veri.
E’ stato un periodo molto difficile nel quale non sapevo cosa
fare e ho iniziato a pensare che quello del bancario non fosse
il lavoro adatto a me.
Dopo poco tempo, confidando ad una persona questi scrupoli e
chiedendo un parere, con sorpresa mi vedo proporre tre
soluzioni: 1) adeguarmi senza pormi domande 2) andarmene
cambiando lavoro 3) restare cercando, nel mio piccolo, di
cambiare le cose.
Aggiungo anche che le prime due soluzioni non avrebbero
risolto il mio problema: adeguarmi avrebbe messo a tacere la
mia coscienza fino al punto in cui sarebbe esplosa,
nell’andarmene avrei ritrovato lo stesso problema anche
altrove.
Ho deciso così di rimanere dov’ero, iniziando a guardare il
mio lavoro di sempre, sotto una nuova luce e viverlo secondo
una nuova prospettiva. Soprattutto, con l’ obiettivo che non
fosse solo l’arrivo del 27 del mese!
Mi sono subito reso conto che, lavorare secondo principi di
correttezza, di giustizia e di onestà costava, talvolta anche
economicamente, per mancate promozioni e minori premi, e
costava ancor più in emarginazione.
E questo è l’aspetto che fa veramente male, più ancora di
quello economico! Non far parte del giro, significa perdere
opportunità, non venire a conoscenza di notizie utili, non
essere considerati… e allora che fare? Mi sono ricordato che
una volta Chiara Lubich parlando con un giovane aveva detto
che sul posto di lavoro dobbiamo cercare di far fruttare al
massimo le nostre capacità. Non tanto per far vedere agli
altri quanto sei bravo, ma per mettere a frutto i talenti che
Dio dona nell’ aiutare chi gli sta intorno, partendo dai
colleghi e via via sempre più in là.
Sono tornato a casa con le idee chiare!
E’ iniziata così la seconda fase della mia vita lavorativa,
quella cioè, in cui ho cercato di conoscere a fondo ciò che la
banca voleva da me, sia che si trattasse di prodotti di
investimento che di analisi di bilancio per valutare
affidamenti. Mi sono reso conto che essere professionalmente
preparato mi apriva delle possibilità inaspettate e un po’
alla volta, soprattutto per i colleghi più emarginati,
iniziavo ad essere il riferimento ed il portavoce.
La battuta ironica, il cercare di sdrammatizzare i momenti
difficili, l’ atteggiamento di non allineato alla corrente di
turno, mi aiutava ad essere me stesso davanti a tutti, senza
distinzione di ruoli o gradi. E’ iniziato così un ulteriore
periodo di crescita professionale che mi ha portato a lavorare
per momenti più o meno lunghi a Padova, a Roma e a Milano.
Oggi, dopo trent’anni, sono contento del mio lavoro e
continuerò a svolgerlo con coscienza e professionalità.
Giorgio
Al primo posto tutto l’amore
possibile
Sento il desiderio di offrire la mia testimonianza alle
persone che hanno un malato di alzheimer e non sanno cosa
fare.
Dopo la morte del papà tutti dicevano che mia mamma aveva
l’alzheimer: non riconosceva più neanche me, sua figlia.
Dapprima c’è stata la disperazione. Essendo iscritta
all’associazione familiari alzheimer vedevo molti casi simili
al mio, persone agitate come la mia mamma.
Poi mi sono affidata al Signore e con l’aiuto della badante
che vive con noi abbiamo cominciato a portarla tutti i giorni
alla Messa; le facevo sempre fare la Comunione.
Pian piano ha cominciato a riprendersi, poi a ricordare le
preghiere della Messa, a riconoscermi. La sua coscienza si è
completamente svegliata, ed ora è lei che aiuta me. Credo sia
stato il Signore ad ispirarmi nell’affidarmi a Lui.
Certo ora i medici affermano che non era alzheimer, perché
questa malattia non torna indietro, ma forse una semplice
demenza temporanea. Tuttavia, anche il medico ha ammesso che
in questa guarigione v’è qualcosa di imponderabile.
Personalmente metto al primo posto il tanto amore dato ed
anche l’affidarsi all’Eucaristia.
Percorso di educazione alla
pace: “Living peace”
Vedi 2017 Living Peace Guida IT
Le fragilità
famiglia
nella
nostra
Da un po’ di tempo mio marito ed io ci prendiamo cura, quasi a
tempo pieno, dei nostri due nipoti di 10 e 8 anni, che abitano
al piano di sopra. Questo perché la mamma li ha lasciati al
babbo, nostro figlio, per andare a stare da sola. “Troppa
responsabilità” ha detto e la separazione è stata consensuale.
Già da qualche tempo avevo notato l’insofferenza di mia nuora
per gli impegni che una famiglia richiede. Mio figlio ha
vissuto mesi molto dolorosi nel sentirsi rifiutato e nel dover
accudire ai figli ancora abbastanza piccoli. Noi gli siamo
stati sempre vicino, abbiamo condiviso tutto.
Ogni volta per noi nonni era vivere nell’attimo presente e
certe volte ci chiedevamo “Perché?”. La risposta ci è venuta
meditando sugli scritti di Chiara Lubich, soprattutto quando
parla del dolore ed elenca i volti di Gesù Abbandonato. Lì vi
abbiamo riconosciuto l’”Assurdo”. Era Lui da amare!
Come fare però ad andare oltre quel dolore? La preghiera
quotidiana, il cercare di vivere la Parola di Vita che ogni
mese ci nutriva, sono state un aiuto essenziale per dire di sì
e ricominciare sempre ad amare. Per me è stato fondamentale
sostenere mia nuora, farla parlare e non giudicarla. In fondo
era stata accolta come una figlia, poiché aveva rotto i
rapporti con la sua famiglia d’origine. Mi sentivo di poter
volerle bene!
Talvolta ho sentito un senso di fallimento: forse non era
stata amata abbastanza, visto che tutto vince l’amore? L’idea
di chiudere ogni rapporto con lei ci ha sfiorato più volte, ma
è stato più forte il pensiero che Chiara ci aveva, negli anni,
formato ad amare sempre.
Per il momento non c’è stato un miracolo nella mia nuora ma
c’è stato in me.
Tutte le volte che viene a prendere i bambini l’accolgo con un
sorriso, le chiedo se desidera un caffè e la saluto con
affetto. Dentro di me sento che questo modo d’essere aiuta i
bambini a sentirsi meno soli, ad essere abbastanza sereni.
Questa accoglienza, che anche mio figlio condivide, penso che
permetterà loro di passare un’infanzia abbastanza gioiosa. Con
loro spesso si gioca a nascondino, si dipinge, si fanno i
compiti….
In fondo al cuore c’è sempre il desiderio che si ricomponga la
famiglia. In caso avvenisse questo miracolo vorrei che mia
nuora trovasse qui quel clima che le permettesse di fare la
sua parte. So che è un pio desiderio, ma non voglio porre
limiti al Gesù che è in lei.
G. e F.
Imparare
insegna
serve,
servire
A Selargius, nel cagliaritano, un docente propone
un’iniziativa di solidarietà che coinvolge professori e
studenti. Pian piano se ne scopre l’alto valore formativo.
Avvertivo da qualche mese, dopo la partenza per il Cielo di
mia madre, non più impegnato nelle necessarie incombenze di
assistenza che avevano occupato il mio tempo libero negli
ultimi anni, l’esigenza di dedicarmi a qualche forma di
volontariato. Al tempo stesso era mio desiderio non svolgere
questa esperienza da solo, ma condividerla con altri.
Questo moto personale dell’animo si è incontrato con
l’approccio educativo, sempre improntato alla formazione
integrale della persona, che caratterizza la mia attività di
docente in un liceo scientifico del cagliaritano. Da tempo
ritenevo importante poter fornire ai miei studenti la
possibilità di conoscere i valori della gratuità e della
solidarietà non solo attraverso parole, ma con esperienze
concrete di volontariato. Pensavo inoltre che condividere con
gli allievi un’attività di servizio esterna alla scuola
avrebbe
avuto
ricadute
positive
nella
relazioni
interpersonali.
Ho dunque presentato alla Caritas diocesana di Cagliari un
progetto di inserimento settimanale dei miei studenti, da me
accompagnati in piccoli gruppi, nella cucina e nella mensa, al
fine di svolgere i servizi necessari sotto il coordinamento
dei rispettivi responsabili dei servizi.
A questo punto ho pensato di non restringere la proposta alle
sole mie classi ma di estenderla, d’accordo con la collega di
religione e col consenso del Dirigente, a tutte le quarte e le
quinte dell’istituto. Con mia grande sorpresa ho raccolto
oltre cinquanta adesioni. A questo punto, però, non sarebbe
bastata la mia disponibilità di una sera settimanale per
accontentare tutti.
Ho allora proposto al collegio docenti l’approvazione del
progetto denominato “Imparare serve, servire insegna”,
subordinandolo alla disponibilità di colleghi tutor anche solo
per quattro o cinque sere nell’arco dell’anno, a titolo
gratuito per non inficiare la motivazione fondamentale
dell’attività. Con mia grande sorpresa si sono dichiarati
disponibili una decina di colleghi (alcuni per un quattro
sere, qualcuno per sei o anche otto) e successivamente altri
due hanno offerto la loro disponibilità per eventuali
sostituzioni. A questo punto è iniziato il complicato lavoro
di redigere il calendario incrociando i giorni in cui la
Caritas era disponibile ad accoglierci con le esigenze dei
colleghi e dei giovani. Più volte ho dovuto rivedere i turni
già predisposti per venire incontro a nuove richieste.
Il servizio, avviato nel mese di novembre 2015, è andato
avanti per l’intero anno scolastico con cadenza bisettimanale:
con la presenza di un docente tutor per ciascun gruppo che
lavorava alla pari con i ragazzi, quattro minorenni si
rendevano disponibili per l’aiuto in cucina mentre altrettanti
maggiorenni servivano in mensa. L’esperienza è stata percepita
subito dai docenti impegnati nei turni per il suo grande
valore formativo. Una di loro, dopo la prima sera, ha così
commentato: «La sensazione per me e i ragazzi è stata quella
di stare in famiglia. I ragazzi si sono superati nel pelare
patate, affettare pane e altro, in uno stato di “benessere
affettivo” e col sorriso sulle labbra, con una naturalezza
assoluta». Tutti i colleghi coinvolti ringraziavano
sentitamente per l’opportunità loro data di vivere questa
esperienza. L’aver condiviso inoltre questa attività offriva
nuovi argomenti di discussione nella sala professori e nei
corridoi, contribuendo così a elevare la qualità delle
relazioni tra noi.
Anche i ragazzi erano molto contenti per aver provato la gioia
del dono di sé, che la quasi totalità di essi non aveva mai
sperimentato prima. Quelli poi che hanno servito i pasti alla
mensa hanno preso coscienza del dramma della povertà, diffusa
non solo tra extracomunitari ma anche nel nostro territorio.
Una giovane, inizialmente turbata per aver riconosciuto tra
gli utenti un vicino di casa del quale non sospettava la
situazione di indigenza, ha subito capito che avrebbe dovuto
avere su di lui, nel rincontrarlo per strada, uno sguardo
discreto e amorevole. Ha scritto una ragazza sulla sua pagina
Facebook: «Non avevo mai partecipato a qualche attività che
riguardasse la nostra società né mai mi sono interessata
all’attualità. L’esperienza di volontariato svolta alla mensa
Caritas mi ha aperto gli occhi. Ho servito cibo a persone con
cui viaggiavo in pullman ogni giorno, persone a pochi
centimetri dal mio naso e ragazzi come me che vanno
all’università e non possono permettersi un pasto, genitori e
anziani che non arrivano a fine mese, malati, extracomunitari
gentilissimi. In realtà non avrei mai immaginato che a
Cagliari ci fossero cosi tante persone bisognose di aiuto,
persone normali che vediamo in strada tutti i giorni. Ho
imparato che bisogna avere rispetto, che bisogna essere
pazienti con chi ti da le colpe dei suoi problemi perché non
ha nessuno con cui sfogarsi, ho imparato che se uno ha una
mozzarella, tutti devono averne una, perché siamo tutti
uguali, al diavolo questo essere prevenuti nei confronti delle
persone di altri Paesi: facile parlare da dietro uno schermo,
ma basta guardare queste persone negli occhi per capire come
tutto ciò non abbia senso. Mi è capitato di servire italiani e
non ricevere neanche un grazie di risposta e servire invece
uomini “di colore” e ricevere in cambio un sorriso pieno di
gratitudine, di speranza, ma anche di tristezza. Il
volontariato che ho svolto alla mensa della Caritas ha
sollevato quel velo dai miei occhi che copriva la realtà che
avevo di fronte».
Una classe quarta, coinvolta per due terzi nel servizio in
cucina, ha pensato di organizzare un’iniziativa di
sensibilizzazione all’interno del liceo intitolata “Testimoni
di solidarietà”: è stato realizzato un breve video su questa
attività di volontariato e, dopo aver pubblicizzato l’idea con
una locandina sulla pagina Facebook della scuola, i giovani
sono passati in tutte le classi promuovendo una raccolta
alimentare a favore della Caritas di Cagliari. La risposta dei
compagni è stata generosa.
Un ultimo frutto di questa esperienza è stato il rapporto di
collaborazione vissuto con l’insegnante di religione che ha
appoggiato il progetto: da tempo sentivo l’esigenza di
confrontarmi con qualche collega sulle diverse questioni della
vita scolastica, senza però riuscire a vivere in profondità e
continuità con nessuno la passione per incidere positivamente
nell’ambiente scolastico. È stata proprio l’esperienza
condivisa nel condurre l’attività di volontariato a far
germogliare un prezioso seme di unità.
Daniele Siddi
Yes, we camp
A Tricarico (MT) dal 21 al 24 Luglio p.v., in una struttura
(ostello) immersa nel verde. 4 giorni di escursioni,
laboratori, workshop, musica e tante occasioni per conoscersi
e divertirsi insieme nella semplicità , dando voce alla nostra
creatività.
E’ una proposta dei Giovani per un Mondo Unito di Puglia e
Basilicata per TUTTI i giovani, dai 16 ai 25 anni.
Pagina Facebook: Yes, we camp
Sito per informazioni: www.focolaripugliamatera.it
Volantino: