Dormivo in compagnia dei topi,Reciprocità alla prova dei fatti,Il mare
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Dormivo in compagnia dei topi,Reciprocità alla prova dei fatti,Il mare
Tra i ciliegi: fiori e . . . frutti Dall’ “invasione” alla condivisione. Succede in Puglia. Al turista che desidera visitare la Puglia in aprile, alcune agenzie turistiche propongono un particolare percorso nella famosa terra dei trulli, delle grotte di Castellana, nelle campagne di Conversano e Turi, per assistere ad un meraviglioso spettacolo: una distesa di candidi ciliegi in fiore, inframmezzati da verdi macchie di ulivi, che lascia rapito l’ignaro osservatore. A metà maggio, poi, lo scenario viene affrescato di nuovi colori, il bianco cede il posto al verde delle foglie che, al soffio del vento, lasciano occhieggiare rosse e gustose ciliegie, le più premiate d’Italia. E’ questa generosa campagna la terra della ciliegia ‘’ferrovia’’, il cosiddetto ‘oro rosso’ che ha dato una svolta determinante all’economia di gran parte del territorio, di cui Turi è parte rilevante. Nel periodo della raccolta di questo prezioso frutto, a metà maggio, questa cittadina è ‘’invasa’’ da un gran numero di lavoratori stranieri, immigrati. Per gli agricoltori è un’invasione benedetta, indispensabile per l’insufficiente mano d’opera locale e per un raccolto che occupa un numero limitato di giorni ad un ritmo incalzante. Il tam tam di questa richiesta raggiunge l’interland barese e perfino i campi di accoglienza della Calabria. Gli immigrati ormai sanno di poter contare su alcuni giorni di lavoro sicuro e spesso retribuito a norma sindacale, riducendo sensibilmente le situazioni di sfruttamento e lavoro in nero. Per mancanza di strutture d’accoglienza, i lavoratori sono costretti a ricoveri di fortuna, dalle auto alle panchine dei giardini pubblici, sotto gli archi o nei pressi delle stazioni di servizio, con le comprensibili conseguenze di degrado a livello igienico e dell’immagine stessa di un paese civile. Quest’anno, finalmente nuovi e giovani amministratori hanno accolto le voci di protesta levatesi in particolare dal mondo del volontariato e si sono adoperati in tempo per cancellare questo obbrobrio, offesa alla dignità della persona umana e al decoro di un popolo che nel passato ha vissuto, come emigrato, situazioni di emarginazione e rifiuto. Collocata a breve distanza dall’abitato, con l’intervento della Prefettura di Bari, con la collaborazione della Protezione civile ed alcune associazioni, una tendopoli, con servizi igienici, ha accolto circa cento lavoratori marocchini, in numero inferiore agli anni scorsi, per la ridotta produzione dovuta all’inclemenza del clima. Un’attenzione particolare è stata rivolta al rispetto delle norme stabilite: ordine del campo, orari, documenti di soggiorno ed un controllo continuo dell’assessore ai servizi sociali, dei carabinieri e vigili urbani. Alcuni momenti di questo ‘’soggiorno’’, particolarmente significativi. sono stati Alle 20,30 circa, dopo la preghiera dei musulmani, spesso la vita del campo si è animata ed arricchita di nuovi volti e idiomi. Odori e sorrisi hanno dato uno slancio, un guizzo di ‘’felicità’’ a volti stanchi che hanno visto e subito chissà quante angherie e soprusi. Scouts, giovani di organizzazioni e di partiti, adulti di associazioni di solidarietà come Umanità Solidale Glocal e un gruppo del Movimento dei Focolari, ciascuno con il proprio stile, in men che non si dica, hanno allestito una cena al campo. Se non è mancata talvolta la pasta al forno, più spesso sono arrivate minestre di verdure e legumi, nell’osservanza della fede dei musulmani, sollievo alle membra stanche di lavoro, ma soprattutto espressione d’ interesse umano per la condizione di persone che fame e guerra hanno costretto ad abbandonare la propria terra. Momenti di condivisione e fratellanza in cui vengono espressi anche altri bisogni: le scarpe numero 43 e 44, indumenti per i bimbi o le mogli, medicinali o la cura di una ferita, un frigo, una lavatrice….A tutte le richieste si è cercato di dare risposta; anche un amico medico di Acquaviva è venuto più volte e il loro ‘’grazie Italia’’, comunicato con gli occhi oltre che con le parole, esprimeva un vissuto di dolore ma anche di speranza. Era iniziato da due giorni il Ramadan, quando il prof, Daneo di ‘’Religions for Peace Italia’’, invia la lettera di saluto ed augurio del vescovo mons. Spreafico, Presidente della Commissione per il dialogo interreligioso della CEI a tutti i musulmani per la sacra ricorrenza. Un’attenzione importante per costruire rapporti di conoscenza più profonda, anche sotto l’aspetto religioso, aspetto a cui a Turi Ausg è particolarmente attenta con incontri di conoscenza delle altre fedi, per vincere l’ignoranza, causa spesso di paure e rifiuti. Con gli assessori comunali Orlando e Caldararo, delegati alla Cultura e al Welfare, si preparano fotocopie per ciascuno, aggiungendo anche gli auguri personali e della cittadinanza. Si va al campo dove si legge il contenuto. Un giovane si offre per la traduzione in arabo ed è prezioso il suo intervento per la presenza di giovani che non conoscono affatto l’italiano. Perchè non scriviamo anche noi al Vescovo per ringraziarlo? È la proposta di alcuni giovani, accolta da tutti e, accanto ad una foto che ricorda il momento di particolare condivisione, una lettera ci viene recapitata qualche giorno dopo che inviamo con premura. E’ la testimonianza visibile che, coniugando economia, solidarietà, accoglienza, con l’impegno delle Istituzioni e la collaborazione di cittadini attivi, anche in un momento storico di particolari tensioni, è possibile promuovere una nuova vitalità della città e costruire nuovi percorsi di civiltà. La vittoria sulla paura e la diffidenza, per passare dal timore alla fiducia reciproca. Ripensare la giustizia: via per il bene comune Venerdì 14 ottobre 2016 ore 15.00-19.00 si terrà a Parma, presso la Sede dell’Unione Parmense degli Industriali, il prossimo convegno promosso da Comunione e Diritto del Movimento dei Focolari, dal titolo: Ripensare la giustizia: via per il bene comune. Nell’ambito di tale evento (aperto a tutti e rivolto in particolare a docenti, studenti, dirigenti della pubblica amministrazione, imprenditori, politici, avvocati, magistrati, notai ed altri operatori del mondo giuridico) verranno presentati gli atti del convegno Diritto in cerca di giustizia. Il “metodo” di Lionello Bonfanti, tenutosi a Parma il 28 novembre del 2014. Lionello Bonfanti nasce a Parma il 10 ottobre del 1925. A 22 anni si laurea in giurisprudenza e a 25 entra in magistratura, diventando il più giovane Pretore d’Italia. Dopo alcuni anni aderisce alla comunità del Movimento dei Focolari lasciando l’incarico di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Parma, ma senza mai abbandonare il suo anelito di giustizia. I relatori del convegno in programma (Dott.ssa Silvia Cipriani, Magistrato a Firenze, Prof.ssa Adriana Cosseddu, Docente di Diritto penale all’Università di Sassari, Prof. Stefano Zamagni, Professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna, Dott. Alberto Chiesi, Presidente Chiesi Farmaceutici S.p.A., Dott. Paolo Scarpa, Presidente Circolo culturale Il Borgo,) intendono proseguire il cammino di ricerca e di studio avviato ornai da alcuni anni e arricchito sempre da attuazioni concrete. Ciascuno, per il proprio profilo professionale, tenterà di declinare giustizia e bene comune e, nel contempo, rifletterà su come il binomio diritto-giustizia – e il divario che a volte vi si riscontra – non pare sia attinente esclusivamente al mondo giuridico ma possa, in qualche modo, essere traslato nel campo dell’imprenditoria, della finanza, della pubblica amministrazione. Anche in questi ambiti – le cronache di tutti i giorni ce lo confermano – si constata che, se non si persegue il “valore” della giustizia, il diritto non può essere efficacemente assicurato. invito-ripensare-la-giustizia Chiara e la famiglia Dal 10 al 12 marzo 2017 a Loppiano converranno 700 partecipanti, si svolgeranno eventi in contemporanea in tutto il mondo, in occasione dell’anniversario di Chiara Lubich. Mohamed: “Ci sono cose che non puoi vedere con gli occhi . . . “ La famiglia di Mohamed: amore e coraggio (Italia) Riportiamo quanto è stato detto al funerale giovane di 19 anni della Costa D’Avorio, morto di leucemia. Mohamed era arrivato in Italia gommone ed era stato accolto da una famiglia di di Mohamed, un pochi giorni fa nel 2015 su un Pescara. Sono parole scritte da persone che gli sono state vicino: una storia forte e commovente che ha molto unito la comunità musulmana e cristiana. Famiglia Di Biase incentro.gelocal.it – Foto: “Questo momento insieme ci sembra un vero miracolo, uno dei tanti a cui abbiamo assistito accanto a Mohamed. Fratelli Musulmani e Cristiani che pregano insieme, uniti dalla vita di un ragazzo, uno di quei ragazzi che non hanno voce, venuti coi barconi col solo vestito che indossano. E’ grazie a questo ragazzo venuto dal nulla se oggi tra persone così diverse per religione, cultura e lingua, si può respirare aria di Paradiso. Ieri ripensavo alla semplicità dalla quale tutto è cominciato, ad uno sguardo il giorno di Natale dell’anno scorso. Ero andato in ospedale a conoscerlo perché malato, e l’ho visto sfinito sul letto d’ospedale col pranzo lì a fianco non consumato che di lì a poco avrebbero portato via. Aveva fame ma non aveva la forza di alzarsi a mangiare. Troppo spesso il mio lo sguardo si ferma alla testa che pensa: c’è chi provvede, non ho tempo, non so fare queste cose. Forse perché lo sguardo è rimasto più a lungo, il tempo necessario affinchè arrivasse al cuore, che mi ha fatto vedere Mohamed con uno sguardo diverso, con occhi nuovi, gli occhi di quella sua mamma che in qualche parte del mondo era in pena per lui. Gli ho semplicemente dato da mangiare come avrebbe fatto lei, e così per i giorni successivi. Come avrebbe fatto lei venivo al suo ritorno da esami dolorosi perché sentisse che qualcuno lo aspettava, o semplicemente compagnia. Il cuore di una mamma non vede la nazionalità, la religione, l’educazione o cultura. Ama! Questo sguardo di mamma, molto simile allo sguardo che Dio ha per noi, non ha permesso che questo ragazzo restasse solo o lontano dall’ospedale che poteva curarlo, e lo ha portato a far parte della nostra famiglia. Questo sguardo ha la forza del contagio e dalla nostra famiglia a don Massimo che ci ha sempre sostenuto, è subito arrivato a tutta la nostra comunità. E tutti noi con meraviglia abbiamo scoperto che chinandoci verso un povero, abbiamo alzato lo sguardo verso il cielo, facendo gesti dal sapore di eternità che hanno portato un pezzetto di Paradiso in noi, nel cuore di Mohamed e di tutta la comunità. E’ questa la ricchezza di un povero. E così chinandoci verso un malato, immigrato, orfano, analfabeta abbiamo alzato lo sguardo facendo gesti dal sapore di eternità che hanno portato un pezzetto di Paradiso. E’ questa la ricchezza di un malato,orfano,immigrato,analfabeta. Forse questo pezzetto di Paradiso che Mohamed sentiva intorno a sè ha impedito che lo scoraggiamento, la solitudine, la disperazione della sofferenza prendessero piede nel suo cuore, e lui mantenesse vivi ed amplificasse quel tesoro di valori, fede, umanità, bontà che già aveva. Si perché Mohamed era un ragazzo dalla fede forte, 5 volte al giorno pregava, anche su un lettino del pronto soccorso di Bologna mentre si torceva dal dolore, si è girato in ginocchio verso la Mecca. Era unito a Dio e sentiva dentro la voce del suo papà nei momenti difficili. Per questo era onestissimo, profondo, buono. Mohamed sapeva ridonare a piene mani tutto ciò che riceveva, affetto verso i ragazzi diversamente abili, accoglienza coi bambini, aveva richiesto di portare un sorriso ai bambini figli dei detenuti a Rebibbia, se la malattia non glielo avesse impedito. Se gli veniva donato un paio di pantaloni lui ne prendeva un altro dei suoi e lo donava ad un povero. Aveva parole di sostegno per i suoi amici immigrati e forte della sua fede ha riportato alla preghiera diversi ragazzi cristiani che con lui si confidavano, li invitava a frequentare più assiduamente la messa perché diceva che non si può andare avanti senza parlare con Dio. Un giorno alla mamma che le confidava la preoccupazione che lui fosse diventato cristiano ha risposto: “No mamma, io vivo in una famiglia cristiana che mi rispetta, mi fa vivere la mia fede musulmana, mi fa mangiare e pregare da musulmano e mi porta in moschea… ho scoperto che i cristiani vivono l’amore al fratello che è scritto anche sul Corano. Attraverso di loro sto riscoprendo la mia vera spiritualità di musulmano. Scherzoso,umile, semplice, ha affrontato il dolore con grandissima dignità, senza lamentarsi mai. Mohamed non aveva nulla e per questo prendeva tutto dalle mani di Dio che pregava, amava,sentiva vicno… quel Dio che gli ha dato una famiglia grande come la nostra comunità, quel Dio che lo ha vestito, nutrito,sollevato attraverso comunità, quel Dio che oggi lo voluto a sé. questa sua Un giorno ha detto a Luca: Io sono sereno perché prendo tutto dalle mani di Dio…se lui vuole che io resti qui, lotterò con tutte le mie forze per vivere, ma se mi vuole con sé, io sono pronto. Che ricchezza un musulmano. Ieri per la prima volta abbiamo visto e parlato con la sua mamma, e tra le tante cose ci ha detto: Mohamed mi ha detto tutto, mi ha detto che non ha mai dovuto chiedere niente perché ancor prima di chiedere voi capivate di cosa aveva bisogno…voi siete la sua vera famiglia… io gli ho dato la vita naturale, ma voi gli avete dato la vita vera… Questo è il suo ringraziamento a tutta la nostra comunità”. https://vimeo.com/channels/1087292/200986631 I principi del dialogo Articolo apparso sulla rivista Città Nuova n. 4/aprile 2016 I princìpi del dialogo Jesús Morán è copresidente del Movimento dei Focolari. Laureato in Filosofia, è specializzato in antropologia teologica e teologia morale. Se vogliamo che il dialogo non resti una tragica ingenuità, sogno e traguardo irraggiungibile, ci vuole – vedi il mio articolo di marzo – un’adeguata antropologia e un’efficace pedagogia che lo sostenga. Proporrò quindi alcuni princìpi basilari. Primo. Il dialogo è sempre incontro personale. Non si tratta di parole o pensieri, ma di donare il nostro essere. Non è semplice conversazione ma qualcosa che tocca gli interlocutori nel profondo. Diceva Rosenzweig: «Nell’autentico dialogo qualcosa accade sul serio». In altre parole: non si esce indenni da un vero dialogo, qualcosa cambia in noi. Secondo. Il dialogo richiede silenzio e ascolto. Il silenzio è fondamentale per un retto pensare e parlare. Un silenzio profondo, coltivato con pazienza in solitudine e messo in pratica di fronte all’altro, al suo pensare, al suo parlare. Ecco un bel proverbio indù: «Quando parli fa in modo che le tue parole siano migliori del tuo silenzio». Oggi è più che mai necessario – affermava Benedetto XVI – «un ecosistema che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni». Nell’esercizio del dialogo abbiamo bisogno del silenzio per non logorare le parole stesse. Terzo. Nel dialogo rischiamo noi stessi, la nostra visione delle cose, la nostra identità, anche culturale. Dobbiamo conquistare una «identità aperta», matura, e allo stesso tempo allenata su un assioma antropologico fondamentale: «Quando ci capiamo con qualcuno, so meglio anche chi sono io». Parafrasando una idea di K. Hemmerle: se mi insegni il tuo pensare, io potrò imparare di nuovo il mio annunciare. Quarto. Il dialogo autentico ha a che fare con la verità. Ma attenzione: la verità è una realtà relazionale (non relativa, che è diverso). Significa che la verità è la stessa per tutti, ma ognuno mette in comune con gli altri la sua personale partecipazione e comprensione della verità. Quindi la differenza è un dono, non un pericolo. «Il dono della differenza» è un altro pilastro della cultura del dialogo. Quinto. Il dialogo richiede volontà. L’amore alla verità mi porta a cercarla, a volerla, e per questo mi metto in dialogo. Spesso si pensa che dialogare sia cosa da deboli. In realtà è il contrario: solo chi ha una grande forza di volontà rischia se stesso nel dialogo. Ogni atteggiamento dogmatico o fondamentalista nasconde paura e fragilità. Bisogna diffidare di chi normalmente ricorre alle grida, usa parole altisonanti o frasi squalificanti per imporre le sue convinzioni. La forza bruta, anche dialettica, potrà vincere ma mai convincere. Sesto. Il dialogo è possibile solo tra persone vere. L’amore, l’altruismo e la solidarietà preparano le persone al dialogo facendole vere. Gandhi e Tagore avevano un’idea molto diversa del sistema educativo da impiantare nell’India indipendente, ma questo non ha ostacolato la loro amicizia. Papa Wojtyla e il presidente Pertini ebbero, durante un lungo periodo, un’intesa profonda sul destino dell’umanità, eppure viaggiavano su categorie quasi opposte. Settimo. La cultura del dialogo conosce solo una legge, quella della reciprocità. Solo in essa il dialogo trova senso e legittimità. Se le nazioni ricorressero al dialogo prima che al tacere omicida della vendetta o della ricchezza o dell’affermazione personale, nuoteremmo nella felicità di cui oggi ci priviamo. Se le religioni dialogassero per onorare Dio; se le nazioni si rispettassero e capissero che la propria ricchezza è fare ricca l’altra; se ognuno percorresse un “piccolo sentiero personale” di novità, ci potremmo lasciare alle spalle la notte di terrore nella quale annaspiamo. Quali gli ostacoli sul piccolo sentiero? Il giudizio, la condanna, la superbia intellettuale. Il lavoro da fare è artigianale per l’impegno che richiede, senza distrazioni o compromessi, ma è pregno di cultura, più di una professione. È un’attività faticosa e impietosa. Ma ci salva la Misericordia. Una canzone cantare Dio https://youtu.be/VsvIJ-HzmaA per dare e Sito di Mimmo Iervolino Pagare sorriso le accedi da qui tasse con un Agenzia dell’entrate. Una signora riceve l’avviso di pagamento il giorno del suo compleanno. La “regola d’oro” applicata in un ufficio pubblico di Marco Brunello Da 5 anni lavoro in un ufficio dell’Agenzia delle entrate e quotidianamente ho a che fare con persone che vengono a chiedere informazioni per gli avvisi di pagamento che emetto. Ogni giorno cerco di mettere in pratica la “regola d’oro”: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te», immedesimandomi in quanti si avvicinano alla mia scrivania. Purtroppo non sempre ci riesco, soprattutto quando nella stessa giornata si sommano pratiche da chiudere con urgenza e una lunga fila di persone, alcune con un atteggiamento prepotente. Ricordo un episodio accaduto a novembre. Fuori piove, arrivo tardi a causa del traffico e alcune persone mi attendono spazientite nel corridoio. Entro il giorno successivo devo completare la lavorazione di una pratica. Un mix perfetto. Le prime due persone ricevute mi tolgono ogni energia e spengono in me ogni mia buona volontà di mettermi nei panni dell’altro. Prima di far entrare la terza persona, mi ricordo di un segreto imparato fin da piccolo: ricominciare, ricominciare sempre. Così con un sorriso faccio accomodare la signora Carla. Il suo volto è scuro perché ha ricevuto l’avviso di pagamento proprio il giorno del suo compleanno. Era già venuta in ufficio in precedenza senza aver trovato una soluzione. Inizio così a chiederle scusa per averle inviato l’avviso proprio in quella data e inizio a spiegarle con parole semplici i motivi per cui deve pagare. Il suo volto si fa meno buio e inizia a chiedermi cosa deve fare perché non ha la possibilità di pagare tutto in un’unica soluzione. Le spiego che, da qualche giorno, era stata introdotta la possibilità di pagare a rate facendo un primo versamento alla posta per poi tornare in ufficio con la ricevuta e chiedere un’istanza per ritirare il piano di rateazione. Mi guarda spaesata perché tutte queste cose le sembrano difficili. Così mi offro di compilarle il modulo di versamento e le propongo di andare subito in posta e di tornare il mattino stesso in ufficio dove le avrei fatto trovare l’istanza già compilata. Così ho fatto e nel giro di poco tempo abbiamo risolto la pratica. La signora Carla, con gli occhi lucidi dalla commozione, mi ringrazia dicendo di essere stata fortunata ad aver trovato una persona come me. Lo scorso Natale ritorna in ufficio con un piccolo dono da condividere con le mie colleghe di stanza. Mi confida a bassa voce di non aver mai immaginato di poter pagare una multa con il sorriso sulle labbra. (tratto dalla rivista Città Nuova n.6 /Giugno 2016) Corso di aggiornamento: “La gestione dei conflitti a scuola” Partendo dalla complessità delle relazioni interpersonali, il corso si propone di fornire strumenti per affrontare le situazioni conflittuali. Gli spunti proposti saranno utili per imparare a gestire in maniera costruttiva il conflitto, per esercitare una più efficace azione educativa nei confronti degli alunni, ma anche per favorire un clima più sereno tra tutte le componenti dell’articolato mondo della scuola. Oltre ad avvalerci di formatori esperti, sarà interessante il confronto tra i partecipanti, ognuno portatore di una personale esperienza. Il corso è rivolto a docenti di scuole di ogni ordine e grado, prevede il rilascio dell’attestato di partecipazione da Ente accreditato MIUR valevole ai fini del Bonus di 500 euro (Lg. 107/2015 “Buona Scuola”). Relatori Inaki Guerrero Psicologo Emanuela Arcaleni Docente, formatrice ISAC-Pro Daniela Alessandri Docente, formatrice ISAC-Pro Inizio: Sabato ore 09.00 Conclusione: Domenica ore 19.00 Durata: 20 ore complessive Per partecipare: inviare il modulo di iscrizione allegato entro e non oltre la data del 30 settembre 2016 a: [email protected] unitamente a copia della ricevuta del bonifico di Euro 85,00 a persona da effettuarsi sul conto Banca Credito Cooperativo di Cascia di Reggello S.C.A.R.L. Filiale di Figline – IBAN: IT41G0845705463000000015832 intestato a Istituto di Scienze dell’Apprendimento e del Comportamento Prosociale – I.S.A.C. PRO, Corso Italia, 304 – 74121 Taranto NB: Rientrano nella quota le spese organizzative e per i relatori, oltre alle spese di soggiorno. La sede del Corso è una struttura semplice e accogliente a circa 700 m di altezza a 20 minuti da Arezzo: il Villaggio Sacro Cuore – 52040 Alpe di Poti (AR) Come Raggiungerci: USCITA autostrada Sansepolcro. DIR Arezzo – Passo Scopettone – Alpe di Poti Info: Emanuela 3293904209 Morena 3397079831 Invito e scheda di prenotazione: corso-aggiornamento-lagestione-del-conflitto-a-scuola Carlo e Alberto: un’amicizia per la santità A Genova, 8 anni fa, veniva aperta il 25 settembre 2008 la causa di beatificazione di Carlo Grisolia e Alberto Michelotti, due giovani dei Focolari che si sono impegnati a vivere il Vangelo insieme con radicalità. Entrambi veri campioni della spiritualità di comunione, ancora oggi continuano a toccare l’anima delle persone che li hanno conosciuti. La Chiesa ha perciò introdotto la loro causa di beatificazione. Quale il segreto della loro vita? La scoperta e la messa in pratica della spiritualità dell’unità di Chiara Lubich, via collettiva che porta ad una santità costruita insieme. Leggi l’articolo completo Movimento dei Focolari sul sito internazionale Carlo e Alberto: Un’amicizia per la santità del 24 ORE DI LUCE, i giovani raccontano la santità E’ possibile essere santi nel XXI secolo? La vita di Chiara Luce Badano ne è la più luminosa conferma e le migliaia di persone, soprattutto giovani, che traggono ispirazione da lei ad ogni latitudine stanno a testimoniarlo. I giovani raccontano la santità del secondo millennio. Saranno una quarantina di oltre 20 Paesi del mondo i giovani che a Loppiano raccoglieranno il testimone della vita di Chiara Luce Badano. Il 29 (giorno della sua festa liturgica) e il 30 ottobre prossimi due celebrazioni liturgiche e un appuntamento con musica e performance racconteranno le giornate, le conquiste e il dolore di una ragazza meno che ventenne che nel 1990 se n’è andata a causa di un tumore osseo. Le ci è voluta una manciata di anni per lasciare un segno che dura tutt’ora e non accenna a sparire; a dire che per cambiare il mondo non è questione di quantità, ma di qualità di vita. Il suo “stile di vita” ha ispirato migliaia di persone in tutto il mondo suscitando vocazioni, cambi di vita, decisioni importanti le cui conseguenze sono impossibili da quantificare. “Chiara Luce continua a cambiare il corso della storia attraverso di noi, cioè i ragazzi e le ragazze che l’hanno presa ad esempio e nella sua vita hanno trovato il coraggio di cambiare la propria”, ha spiegato uno dei giovani attori della performance che avrà luogo a Loppiano nel prossimo fine settimana. 24 ORE DI LUCE, il programma 29 ottobre Santuario Maria Theotokos, ore 12.00 – S. Messa per la beata Chiara Luce Badano 30 ottobre Auditorium, ore 10.15 – Giovani di tutto il mondo raccontano Chiara Luce: musica, testimonianze, performance Santuario Maria Theotokos, ore 12.00 – S. Messa www.loppiano.it EDC/AIPEC a Tv2000 Tv2000 – Beati voi, salvare il pianeta Intervista gli imprenditori Giovanni Arletti e Livio Bertola, dell’Associazione Italiana Imprenditori per un’economia di comunione, il progetto lanciato da Chiara Lubich nel 1991. Trasmissione di Tv2000 – “Laudato Sì – Beati voi, salvare il pianeta” del 8 giugno 2016 Per amore della vita intendo questo Da anni, Bruno e Mina aprono le porte della loro casa di Genova all’umanità variegata delle periferie umane di oggi: giovani disadattati, malati di mente, immigrati, gente in difficoltà. Una testimonianza di Vangelo vissuto nel silenzio e nella radicalità. Dal libro “Senza diritto di cittadinanza” di Silvano Gianti (edizione Città Nuova) “Oggi, suono anch’io al campanello del condominio, non c’è il cognome, ma solo i loro due nomi: Bruna e Mino. Sono entrambi in pensione, anche se hanno superato da poco i sessanta. L’ascensore mi porta all’ultimo piano, dove una bella terrazza affaccia sulle colline genovesi. Sono vissuti lungamente a contatto con le periferie umane, accogliendo ragazzi e adulti in difficoltà. Lo hanno sempre fatto in modo semplice, senza cercare troppe spiegazioni. Era il loro stile di vita. A interrogarsi ripetutamente, invece, è stato il figlio, che dopo anni di ripensamenti ha deciso di affidare le sue considerazioni a facebook, convinto che i suoi genitori lì non le avrebbero mai lette. E invece loro le hanno scoperte, per caso. E forse per la prima volta hanno sentito l’eco delle loro azioni e della loro generosità. «Le sole persone da cui potrei accettare discorsi su fede e sacralità di ogni vita sono i miei genitori. Mia mamma e mio papà. Bruna e Mino. Loro, insomma. Mica per altro. Perché da loro non dovrei ascoltare nessuna opinione: dovrei soltanto assaggiare vita. Lo hanno scelto appena sposati, anzi prima. Avevano trovato la casetta dei loro sogni (per i padani sarà normale, ma in una città come Genova è pura fantasia), indipendente, con giardino, eppure in centro. Da principesse delle favole. Però Ercolano, il loro amico distrofico, non ci sarebbe potuto andare. Niente casa dei sogni, appartamento di 40 mq in affitto in un palazzone. Per amore della vita intendo questo. Ho vissuto una vita intera circondato da affetti dolorosi, persone che passavano da casa nostra nel loro momento peggiore, e ci stavano settimane, mesi, per condividere brandelli di vita, dolori, morti. Qualcuno per un figlio, qualcuno per un marito, qualcuno per se stesso. E con ognuno ho costruito relazioni, ho imparato il dolore, ho appreso la normalità della sofferenza, la possibilità della fiducia. Aurora, per dire, è stata con noi mesi, tra ospedale e casa. Lei e i suoi fratelli, i suoi genitori. Bastava stringersi, e condividere. La chemio. La prima comunione fatta di fretta, perché ci teneva. E la settimana dopo sarebbe stato troppo tardi. Aveva nove anni. Per amore della vita intendo questo. Non è questione di fare da lazzaretto. È questione di aprire la porta. Ho scoperto tardi, già grandicello, che tutto questo non era precisamente “normale”. Avevamo cambiato casa, questa era più grande, con il terrazzo. C’è spazio. Mio padre si è licenziato quando gli hanno chiesto di fare la cresta sui bilanci. Si è messo in proprio, un lavoro in cui poteva guadagnare milioni al mese, in nero, in assoluta sicurezza. E invece ha scelto di restare nella legalità a costo di non fare i regali di compleanno ai propri figli. Per amore della vita intendo questo. Quando Pippo aveva bisogno di piastrine, nessuno di noi quattro in famiglia poteva donarle. Abbiamo chiamato a raccolta fidanzate, amici, compagni degli amici, sconosciuti coinvolti pressoché per caso… Mobilitare per la vita è questo, mica manifestare davanti a una clinica. Per inciso, Pippo è morto comunque. Ma all’ospedale ricordano ancora la processione inaudita di gente sconclusionata venuta a donare piastrine, non l’avevano mai vista, c’erano avvocati e giovani punk con tanto di cresta, studentesse universitarie vestite a puntino e commercialisti tremolanti che se la facevano sotto, ma alla fine si erano decisi. Per amore della vita intendo questo. E Stefano? È stato con noi quattro anni. Chiaro che un adolescente antipatico e malato non lo vuole nessuno. Eppure. Questo mi è pesato, e manco poco. Alla fine, non ne potevo più, lo riconosco. Quando è andato via, è stato liberatorio, perché mica bisogna fingere che sia sempre tutto bello e facile e edificante. Non ne vado fiero, l’ho evitato per un pezzo. Prima di ogni coma (il ragazzo aveva un che di teatrale) ha però sempre cercato i miei, anche dopo anni. E c’erano solo i miei con lui quando è morto. Nonostante i pesci in faccia, le batoste. Erano lì, a tenergli le mani. Per amore della vita intendo questo. Perché? Se volessi chiederglielo, farebbero spallucce. Forse, se insistessi, ti racconterebbero che per loro il vangelo è una cosa che conta, e che hanno deciso di crederci. Ma non con la testa, o con il cuore. No, no: con il corpo, con la vita. Per questo sono gli unici da cui potrei accettare discorsi su fede e sacralità di ogni vita. E forse, diciamocelo, anche perché non ne hanno fatti. Anzi, semmai…». L’autore: Silvano Gianti è nato a Cuneo nel 1957. Da sempre attento a chi vive in situazioni di povertà e di disagio, ha vissuto in diverse città d’Italia. Abita attualmente a Genova, dove lavora per “Città fraterna”, una onlus che sostiene i disoccupati del capoluogo ligure. Ha pubblicato in passato sul «Sole 24 ore» online, dal 1978 scrive sul settimanale diocesano «La Guida» e collabora con la rivista «Città Nuova». Collegamento CH 17 settembre 2016 – 2016 dalle 12:00 alle 13:00 Le comunità del Movimento dei Focolari nel mondo si danno appuntamento per il Collegamento Ch. È possibile seguire la diretta alle ore 12.00 dalla pagina http://collegamentoch.focolare.org/ Su tale sito del Collegamento CH, i giorni precedenti l’appuntamento sarà disponibile il sommario delle notizie. Sullo stesso sito è possibile accedere anche alle edizioni integrali e alle singole notizie dei precedenti Collegamenti CH. SUL COLLEGAMENTO CH Cos’è il Collegamento CH? Quando. Nasce nel 1980. È l’11 agosto, festa di S. Chiara d’Assisi. Quel giorno, nel suo onomastico, Chiara Lubich si trova in Svizzera insieme ad alcune persone che le fanno gli auguri: è una festa di famiglia. Si crea una comunione profonda. Chi. Nei giorni seguenti, dalla stessa casa di Chiara, si attiva una catena di telefonate per alimentare la realtà percepita di essere “un unico focolare”. Si aggiorna delle nuove scoperte nel vivere con intensità la spiritualità dell’unità e delle notizie che giungono dal mondo. Come. In quei giorni si scopre l’esistenza in Svizzera del servizio “conferenza telefonica collettiva” e se ne fa subito uso. Tale collegamento, nelle settimane successive, si estende ad altre nazioni, fino a raggiungere tutti i Paesi dove sono presenti comunità dei Focolari. Perché. Nel tempo e con il veloce evolversi delle telecomunicazioni, si passa dalla conferenza telefonica allo streaming e al satellite, perché, affermava Chiara, “un’Opera, che ha per ideale l’unità”, una famiglia “disseminata ormai su tutto il pianeta” deve condividere “tra tutti, con i mezzi più rapidi e adeguati”, “gioie, dolori, speranze, progetti”, sperimentare “l’amore che va e che torna”, fare insieme il viaggio, “il santo viaggio” della vita. Per un mondo unito. Si fa l’esperienza forte e gioiosa dell’“unità e dell’universalità” che lega centinaia di migliaia di persone, sparse nei cinque continenti, orientate alla fratellanza universale. In Piemonte in dialogo su Martin Lutero A 500 anni dall’inizio della riforma protestante ci si incontra per testimoniare il cammino fatto insieme e prendere spunto dalla ricca figura di Lutero per proseguire questo cammino con rinnovata passione. Per celebrare questo importante anniversario, il Movimento dei Focolari presente in Piemonte e Valle d’Aosta il 1 febbraio scorso ha organizzato due serate, una Torino e una a Bra in provincia di Cuneo. Relatori di alto livello hanno reso entrambe le serate momenti ricchi di cultura e di profonda spiritualità. A Torino 150 persone hanno seguito con grande interesse i contributi di don Hubertus Blaumeiser, esperto cattolico di Martin Lutero e Membro del Centro interdisciplinare di studi «Scuola Abbà» e del Pastore Heiner Bludau, Pastore della Comunità Luterana torinese e Decano della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. Sulla provocazione del titolo “Cosa ha da dirci Lutero oggi” si sono susseguiti gli interessanti interventi e le risposte alle molte domande di un pubblico attento e interessato. La delicatezza con cui Hubertus Blaumeiser ha proposto la poliedricità della figura di Lutero e ha introdotto alla linfa che scorre nella sua teologia, la semplicità con cui il Pastore Heiner Bludau ha presentato la vita della Comunità luterana in Italia e in particolare a Torino sono stati in sé un luminoso esempio di dialogo fraterno. Interessante rilevare che in Torino la chiesa luterana è ospitata per il culto dai Frati Minori nella chiesa di S. Antonio da Padova: occasione di ecumenismo pratico, vissuto, con condivisione partecipazione reciproca a varie iniziative. e A Bra 150 persone provenienti da tutta la provincia di Cuneo hanno gremito la Chiesa barocca dei Battuti Bianchi: rappresentavano la società civile, c’erano giornalisti, tutti i parroci della città, il rettore del Santuario della Madonna dei fiori, gli ordini religiosi locali, cittadini cattolici e riformati. Relatore di eccezione il Pastore Valdese Paolo Ricca che a caldo ha commentato l’evento: “… qui a Bra stiamo vivendo un momento unico, un momento assolutamente nuovo che non era mai successo prima per la città di Bra: in 500 anni non era mai successa una cosa come questa, mai! Questa è una primavera spirituale, ecclesiale, culturale che capita in questa chiesa che sarà pure barocca, ma va bene lo stesso, perché la cosa che accade in questa chiesa è una primavera”. In entrambe le serate è stata comune l’impressione di vivere un importante momento di quel ecumenico, dialogo dialogo della vita e dialogo di popolo, iniziato già nel 1960 da Chiara Lubich. Come ha auspicato il Pastore Bludau ora “tocca ora a noi riunire ciò che gli eventi storici hanno separato per vivere insieme la fede cristiana in una chiesa apostolica e universale, come professato nel Credo comune” Tutto può diventare occasione di “dono” Sono un anziano religioso. Da quando anni fa rimasi colpito da paralisi agli arti inferiori, devo combattere con la tentazione di sentirmi collocato su un “binario morto”. Ora che in tutto dipendo dagli altri, anche nelle cose più delicate, e il mondo, per me, è diventato una stanza in cui trascorro la mia giornata nella monotonia delle ore, ora che tante persone conosciute percorrono le strade del mondo senza che io abbia più da interferire o consigliare… devo ancor più a darmi alla fede per dare un senso alla mia vita e scoprirne il valore. È vero che, data la mia condizione, non posso influire sugli avvenimenti vicini e lontani. Mi è data però la meravigliosa avventura di vivere. Tutto può diventare occasione di lode, di ringraziamento, di preghiera, di offerta. Anche Gesù, sulla croce, non ha fatto più miracoli o annunciato il Regno, ma ha continuato ad amare, anzi ha manifestato l’amore più grande e più puro, dando la vita per noi. Stare fermo non è immobilismo. Con e per Gesù crocifisso e abbandonato, voglio essere “dono”. P. Vittorio – Italia Fonte: Il Vangelo del giorno, febbraio 2017 (Città Nuova) p. 75 Un atto d’amore in più Mi adopero in ogni modo per facilitare i rapporti fra le persone che abitano il mio stesso popoloso quartiere. Qualche telefonata, una sosta presso una persona sola e malata, far circolare le notizie più positive che riesco a trovare. In questo impegno ho potuto coinvolgere qualche altra amica e cresce, a parer mio, un clima di stima e fiducia. Tutto tranquillo, fino a quando una mia amica apostrofata aspramente da un condomino che afferma di sentirsi infastidito dalle persone non residenti che vede circolare nel palazzo dove abita. Quando apprendo la cosa mi sento ferita nel mio impegno, mi sembra che non valga la pena occuparsi degli altri. Poi, riprendo serenità convinta che anche qui c’è l’amore di Dio all’opera. Mi ricordo del Vangelo che afferma che anche l’oro (cioè il bene) “deve essere purificato nel crogiolo sette volte” per liberarlo dalle scorie. Accetto questa situazione come un’occasione opportuna per purificare il mio cuore. Adesso mi sento pronta ad incontrare la persona che è rimasta infastidita e tutto si risolve nel migliore del modi. Il Signore voleva un atto d’amore in più. “Abbiamo sete di pace”: a Catania le religioni insieme Trent’anni dopo Assisi: il messaggio di pace di Giovanni Paolo II e dei leader delle varie religioni arriva anche a Catania. Il 27 ottobre del 1986 Papa Giovanni Paolo II riunì ad Assisi i principali esponenti religiosi per pregare insieme per la pace. Fu un evento storico: i media mondiali veicolarono in tutto il mondo le immagini dei leader delle grandi religioni, nella piazza davanti alla Basilica inferiore. L’adesione è massiccia: vi parteciparono cinquanta rappresentanti delle chiese cristiane e sessanta delle grandi religioni mondiali. In occasione della ricorrenza del 30° anno di Assisi, il 27 novembre 2016, a Catania, nel salone della parrocchia San Luigi, l‘Ordine Francescano Secolare di Catania, in collaborazione con la Consulta delle Aggregazioni Laicali della Diocesi, hanno programmato e realizzato un evento unitario di testimonianza e preghiera interreligiosa. Hanno aderito: l’ Istituto Buddhista Soka Gakkai, la Comunità Indù di Catania, la Comunità Islamica di Sicilia, ECON (comunità dialogo), la Comunità Baha’i di Catania, la Comunità di Sant’Egidio e il Movimento dei Focolari. Circa trecento i partecipanti all’evento. Il titolo, non certo a caso, era: “Abbiamo sete di Pace”. “È stato un momento di Dialogo – afferma Maria Grazia Spatola – dove ciascuno secondo il proprio credo e la propria cultura ha manifestato il proprio impegno ad essere strumento di Pace per la realizzazione della pace universale. Quest’occasione ha permesso di condividere spazi di fraternità concreta, di ascolto e conoscenza reciproci per essere, in questo particolare momento storico, segno tangibile della cultura dell’incontro , dell’accoglienza e dell’inclusione nel nostro territorio”. Pippo Amore aggiunge: “E’ stata la testimonianza visibile del cammino di dialogo tra fratelli e sorelle delle grandi Religioni e delle comunità cattoliche presenti nella nostra città. Questo evidenzia che il pluralismo religioso non è fonte di divisioni e di guerre, bensì arricchimento e strumento prezioso per ricomporre l’unità della famiglia umana”. Un’esperienza che ha una parola chiave: ”Insieme”. Lo sottolinea Alfio Pagliaresi, ministro della Fraternità dell’ Ordine Francescano Secolare. “Questo momento -spiega – lo abbiamo voluto e costruito insieme: un momento di preghiera e di condivisione a cui ciascuno ha contribuito secondo il proprio credo e le proprie tradizioni. Il titolo “Abbiamo sete di pace” non è stato scelto a caso: è l’espressione di un’esigenza comune, che tutti noi sentiamo e che abbiamo voluto tradurre in questo momento vissuto insieme”. Ed è questo “insieme” che fa la differenza e diventa esempio concreto per manifestare che l’apparente diversità è una ricchezza e può essere un punto d’incontro più che di scontro. Il tessuto di queste relazioni umane che quest’esperienza ha fatto nascere è stato principalmente creato dal dialogo. Maty Venuti, buddhista della Soka Gakkai, sostiene che “il dialogo è uno strumento importante per esprimere rapporti tra le diversità e per far vedere che si possono trovare dei punti in comune. Il dialogo è la base per raggiungere la Pace”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Imam di Catania, Abdelhafid Keit, che è anche presidente della Comunità Islamica di Sicilia. “Tutte le confessioni religiose – spiega Keit – hanno qualcosa che li unisce e qualcosa che li divide, ma è più quello che li unisce ed è da qui che nasce la Pace”. Dialogo e pace: sono questi i punti di forza della vita delle grandi religioni. La sfida da accogliere oggi, se pur andando contro tendenza, è il mostrare l’apparente diversità come una fonte di ricchezza e non di conflitto. Il dialogo porta alla conoscenza, la conoscenza genera consapevolezza, la consapevolezza porta a superare i confini della paura e ad aprire le menti e i cuori all’ accoglienza. Questo momento è stato inserito nel cammino che le confessioni religiose stanno facendo insieme verso la Pace, un cammino di scoperta, condivisione e fraternità. Immigrati: risorsa da problema a La montagna è capace di accogliere più delle aree urbane, creando progetti dal basso tra i Comuni, con le associazioni locali, la rete del volontariato, la Caritas, le parrocchie. Alcuni dei tanti esempi virtuosi Sorgente Città Nuova online: Immigrati: da problema a risorsa E’ iniziata così la seconda fase della mia vita lavorativa . . . Dopo circa due anni di lavoro in banca ho iniziato ad avere più di qualche scrupolo di coscienza, che mi faceva chiedere sempre più spesso, se ciò che facevo, fosse giusto oppure no. E’ pur vero che, nella routine lavorativa, nell’andamento che ha sempre caratterizzato un certo modo di fare, tutto sembra normale, ma, nel momento in cui la banca aveva orientato il suo interesse, dal cliente al prodotto, in un’ottica di massimizzazione del profitto, i problemi sono aumentati. E con essi sono aumentati anche i miei scrupoli di coscienza nel seguire un andazzo che poco si adattava al mio modo di vedere, soprattutto nei rapporti con i clienti, con i quali cercavo di tessere rapporti umani veri. E’ stato un periodo molto difficile nel quale non sapevo cosa fare e ho iniziato a pensare che quello del bancario non fosse il lavoro adatto a me. Dopo poco tempo, confidando ad una persona questi scrupoli e chiedendo un parere, con sorpresa mi vedo proporre tre soluzioni: 1) adeguarmi senza pormi domande 2) andarmene cambiando lavoro 3) restare cercando, nel mio piccolo, di cambiare le cose. Aggiungo anche che le prime due soluzioni non avrebbero risolto il mio problema: adeguarmi avrebbe messo a tacere la mia coscienza fino al punto in cui sarebbe esplosa, nell’andarmene avrei ritrovato lo stesso problema anche altrove. Ho deciso così di rimanere dov’ero, iniziando a guardare il mio lavoro di sempre, sotto una nuova luce e viverlo secondo una nuova prospettiva. Soprattutto, con l’ obiettivo che non fosse solo l’arrivo del 27 del mese! Mi sono subito reso conto che, lavorare secondo principi di correttezza, di giustizia e di onestà costava, talvolta anche economicamente, per mancate promozioni e minori premi, e costava ancor più in emarginazione. E questo è l’aspetto che fa veramente male, più ancora di quello economico! Non far parte del giro, significa perdere opportunità, non venire a conoscenza di notizie utili, non essere considerati… e allora che fare? Mi sono ricordato che una volta Chiara Lubich parlando con un giovane aveva detto che sul posto di lavoro dobbiamo cercare di far fruttare al massimo le nostre capacità. Non tanto per far vedere agli altri quanto sei bravo, ma per mettere a frutto i talenti che Dio dona nell’ aiutare chi gli sta intorno, partendo dai colleghi e via via sempre più in là. Sono tornato a casa con le idee chiare! E’ iniziata così la seconda fase della mia vita lavorativa, quella cioè, in cui ho cercato di conoscere a fondo ciò che la banca voleva da me, sia che si trattasse di prodotti di investimento che di analisi di bilancio per valutare affidamenti. Mi sono reso conto che essere professionalmente preparato mi apriva delle possibilità inaspettate e un po’ alla volta, soprattutto per i colleghi più emarginati, iniziavo ad essere il riferimento ed il portavoce. La battuta ironica, il cercare di sdrammatizzare i momenti difficili, l’ atteggiamento di non allineato alla corrente di turno, mi aiutava ad essere me stesso davanti a tutti, senza distinzione di ruoli o gradi. E’ iniziato così un ulteriore periodo di crescita professionale che mi ha portato a lavorare per momenti più o meno lunghi a Padova, a Roma e a Milano. Oggi, dopo trent’anni, sono contento del mio lavoro e continuerò a svolgerlo con coscienza e professionalità. Giorgio Al primo posto tutto l’amore possibile Sento il desiderio di offrire la mia testimonianza alle persone che hanno un malato di alzheimer e non sanno cosa fare. Dopo la morte del papà tutti dicevano che mia mamma aveva l’alzheimer: non riconosceva più neanche me, sua figlia. Dapprima c’è stata la disperazione. Essendo iscritta all’associazione familiari alzheimer vedevo molti casi simili al mio, persone agitate come la mia mamma. Poi mi sono affidata al Signore e con l’aiuto della badante che vive con noi abbiamo cominciato a portarla tutti i giorni alla Messa; le facevo sempre fare la Comunione. Pian piano ha cominciato a riprendersi, poi a ricordare le preghiere della Messa, a riconoscermi. La sua coscienza si è completamente svegliata, ed ora è lei che aiuta me. Credo sia stato il Signore ad ispirarmi nell’affidarmi a Lui. Certo ora i medici affermano che non era alzheimer, perché questa malattia non torna indietro, ma forse una semplice demenza temporanea. Tuttavia, anche il medico ha ammesso che in questa guarigione v’è qualcosa di imponderabile. Personalmente metto al primo posto il tanto amore dato ed anche l’affidarsi all’Eucaristia. Percorso di educazione alla pace: “Living peace” Vedi 2017 Living Peace Guida IT Le fragilità famiglia nella nostra Da un po’ di tempo mio marito ed io ci prendiamo cura, quasi a tempo pieno, dei nostri due nipoti di 10 e 8 anni, che abitano al piano di sopra. Questo perché la mamma li ha lasciati al babbo, nostro figlio, per andare a stare da sola. “Troppa responsabilità” ha detto e la separazione è stata consensuale. Già da qualche tempo avevo notato l’insofferenza di mia nuora per gli impegni che una famiglia richiede. Mio figlio ha vissuto mesi molto dolorosi nel sentirsi rifiutato e nel dover accudire ai figli ancora abbastanza piccoli. Noi gli siamo stati sempre vicino, abbiamo condiviso tutto. Ogni volta per noi nonni era vivere nell’attimo presente e certe volte ci chiedevamo “Perché?”. La risposta ci è venuta meditando sugli scritti di Chiara Lubich, soprattutto quando parla del dolore ed elenca i volti di Gesù Abbandonato. Lì vi abbiamo riconosciuto l’”Assurdo”. Era Lui da amare! Come fare però ad andare oltre quel dolore? La preghiera quotidiana, il cercare di vivere la Parola di Vita che ogni mese ci nutriva, sono state un aiuto essenziale per dire di sì e ricominciare sempre ad amare. Per me è stato fondamentale sostenere mia nuora, farla parlare e non giudicarla. In fondo era stata accolta come una figlia, poiché aveva rotto i rapporti con la sua famiglia d’origine. Mi sentivo di poter volerle bene! Talvolta ho sentito un senso di fallimento: forse non era stata amata abbastanza, visto che tutto vince l’amore? L’idea di chiudere ogni rapporto con lei ci ha sfiorato più volte, ma è stato più forte il pensiero che Chiara ci aveva, negli anni, formato ad amare sempre. Per il momento non c’è stato un miracolo nella mia nuora ma c’è stato in me. Tutte le volte che viene a prendere i bambini l’accolgo con un sorriso, le chiedo se desidera un caffè e la saluto con affetto. Dentro di me sento che questo modo d’essere aiuta i bambini a sentirsi meno soli, ad essere abbastanza sereni. Questa accoglienza, che anche mio figlio condivide, penso che permetterà loro di passare un’infanzia abbastanza gioiosa. Con loro spesso si gioca a nascondino, si dipinge, si fanno i compiti…. In fondo al cuore c’è sempre il desiderio che si ricomponga la famiglia. In caso avvenisse questo miracolo vorrei che mia nuora trovasse qui quel clima che le permettesse di fare la sua parte. So che è un pio desiderio, ma non voglio porre limiti al Gesù che è in lei. G. e F. Imparare insegna serve, servire A Selargius, nel cagliaritano, un docente propone un’iniziativa di solidarietà che coinvolge professori e studenti. Pian piano se ne scopre l’alto valore formativo. Avvertivo da qualche mese, dopo la partenza per il Cielo di mia madre, non più impegnato nelle necessarie incombenze di assistenza che avevano occupato il mio tempo libero negli ultimi anni, l’esigenza di dedicarmi a qualche forma di volontariato. Al tempo stesso era mio desiderio non svolgere questa esperienza da solo, ma condividerla con altri. Questo moto personale dell’animo si è incontrato con l’approccio educativo, sempre improntato alla formazione integrale della persona, che caratterizza la mia attività di docente in un liceo scientifico del cagliaritano. Da tempo ritenevo importante poter fornire ai miei studenti la possibilità di conoscere i valori della gratuità e della solidarietà non solo attraverso parole, ma con esperienze concrete di volontariato. Pensavo inoltre che condividere con gli allievi un’attività di servizio esterna alla scuola avrebbe avuto ricadute positive nella relazioni interpersonali. Ho dunque presentato alla Caritas diocesana di Cagliari un progetto di inserimento settimanale dei miei studenti, da me accompagnati in piccoli gruppi, nella cucina e nella mensa, al fine di svolgere i servizi necessari sotto il coordinamento dei rispettivi responsabili dei servizi. A questo punto ho pensato di non restringere la proposta alle sole mie classi ma di estenderla, d’accordo con la collega di religione e col consenso del Dirigente, a tutte le quarte e le quinte dell’istituto. Con mia grande sorpresa ho raccolto oltre cinquanta adesioni. A questo punto, però, non sarebbe bastata la mia disponibilità di una sera settimanale per accontentare tutti. Ho allora proposto al collegio docenti l’approvazione del progetto denominato “Imparare serve, servire insegna”, subordinandolo alla disponibilità di colleghi tutor anche solo per quattro o cinque sere nell’arco dell’anno, a titolo gratuito per non inficiare la motivazione fondamentale dell’attività. Con mia grande sorpresa si sono dichiarati disponibili una decina di colleghi (alcuni per un quattro sere, qualcuno per sei o anche otto) e successivamente altri due hanno offerto la loro disponibilità per eventuali sostituzioni. A questo punto è iniziato il complicato lavoro di redigere il calendario incrociando i giorni in cui la Caritas era disponibile ad accoglierci con le esigenze dei colleghi e dei giovani. Più volte ho dovuto rivedere i turni già predisposti per venire incontro a nuove richieste. Il servizio, avviato nel mese di novembre 2015, è andato avanti per l’intero anno scolastico con cadenza bisettimanale: con la presenza di un docente tutor per ciascun gruppo che lavorava alla pari con i ragazzi, quattro minorenni si rendevano disponibili per l’aiuto in cucina mentre altrettanti maggiorenni servivano in mensa. L’esperienza è stata percepita subito dai docenti impegnati nei turni per il suo grande valore formativo. Una di loro, dopo la prima sera, ha così commentato: «La sensazione per me e i ragazzi è stata quella di stare in famiglia. I ragazzi si sono superati nel pelare patate, affettare pane e altro, in uno stato di “benessere affettivo” e col sorriso sulle labbra, con una naturalezza assoluta». Tutti i colleghi coinvolti ringraziavano sentitamente per l’opportunità loro data di vivere questa esperienza. L’aver condiviso inoltre questa attività offriva nuovi argomenti di discussione nella sala professori e nei corridoi, contribuendo così a elevare la qualità delle relazioni tra noi. Anche i ragazzi erano molto contenti per aver provato la gioia del dono di sé, che la quasi totalità di essi non aveva mai sperimentato prima. Quelli poi che hanno servito i pasti alla mensa hanno preso coscienza del dramma della povertà, diffusa non solo tra extracomunitari ma anche nel nostro territorio. Una giovane, inizialmente turbata per aver riconosciuto tra gli utenti un vicino di casa del quale non sospettava la situazione di indigenza, ha subito capito che avrebbe dovuto avere su di lui, nel rincontrarlo per strada, uno sguardo discreto e amorevole. Ha scritto una ragazza sulla sua pagina Facebook: «Non avevo mai partecipato a qualche attività che riguardasse la nostra società né mai mi sono interessata all’attualità. L’esperienza di volontariato svolta alla mensa Caritas mi ha aperto gli occhi. Ho servito cibo a persone con cui viaggiavo in pullman ogni giorno, persone a pochi centimetri dal mio naso e ragazzi come me che vanno all’università e non possono permettersi un pasto, genitori e anziani che non arrivano a fine mese, malati, extracomunitari gentilissimi. In realtà non avrei mai immaginato che a Cagliari ci fossero cosi tante persone bisognose di aiuto, persone normali che vediamo in strada tutti i giorni. Ho imparato che bisogna avere rispetto, che bisogna essere pazienti con chi ti da le colpe dei suoi problemi perché non ha nessuno con cui sfogarsi, ho imparato che se uno ha una mozzarella, tutti devono averne una, perché siamo tutti uguali, al diavolo questo essere prevenuti nei confronti delle persone di altri Paesi: facile parlare da dietro uno schermo, ma basta guardare queste persone negli occhi per capire come tutto ciò non abbia senso. Mi è capitato di servire italiani e non ricevere neanche un grazie di risposta e servire invece uomini “di colore” e ricevere in cambio un sorriso pieno di gratitudine, di speranza, ma anche di tristezza. Il volontariato che ho svolto alla mensa della Caritas ha sollevato quel velo dai miei occhi che copriva la realtà che avevo di fronte». Una classe quarta, coinvolta per due terzi nel servizio in cucina, ha pensato di organizzare un’iniziativa di sensibilizzazione all’interno del liceo intitolata “Testimoni di solidarietà”: è stato realizzato un breve video su questa attività di volontariato e, dopo aver pubblicizzato l’idea con una locandina sulla pagina Facebook della scuola, i giovani sono passati in tutte le classi promuovendo una raccolta alimentare a favore della Caritas di Cagliari. La risposta dei compagni è stata generosa. Un ultimo frutto di questa esperienza è stato il rapporto di collaborazione vissuto con l’insegnante di religione che ha appoggiato il progetto: da tempo sentivo l’esigenza di confrontarmi con qualche collega sulle diverse questioni della vita scolastica, senza però riuscire a vivere in profondità e continuità con nessuno la passione per incidere positivamente nell’ambiente scolastico. È stata proprio l’esperienza condivisa nel condurre l’attività di volontariato a far germogliare un prezioso seme di unità. Daniele Siddi Yes, we camp A Tricarico (MT) dal 21 al 24 Luglio p.v., in una struttura (ostello) immersa nel verde. 4 giorni di escursioni, laboratori, workshop, musica e tante occasioni per conoscersi e divertirsi insieme nella semplicità , dando voce alla nostra creatività. E’ una proposta dei Giovani per un Mondo Unito di Puglia e Basilicata per TUTTI i giovani, dai 16 ai 25 anni. Pagina Facebook: Yes, we camp Sito per informazioni: www.focolaripugliamatera.it Volantino: