Graziella Sacchetti - Fondazione Elvira Badaracco

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Graziella Sacchetti - Fondazione Elvira Badaracco
Graziella Sacchetti
CHE COSA CI DICONO LE DONNE STRANIERE
Più della metà della popolazione straniera regolarmente presente in Italia, ormai da diversi anni, è
costituita da donne, con notevoli differenze per nazione di provenienza. Ad esempio la componente
femminile è molto maggiore nella popolazione proveniente dall’Europa Orientale rispetto a quella
di origine africana o asiatica. Le donne sudamericane sono invece spesso il primo anello della
catena migratoria e vengono raggiunte dai loro connazionali di sesso maschile.
Alla fine del 2010 la componente femminile tra i residenti in Italia di nazionalità estera sfiora i 2
milioni e 370 mila unità, pari al 51,8% del totale. Vent’anni fa le donne straniere soggiornanti nel
nostro paese erano 361mila.
In cifra assoluta la presenza femminile più consistente è quella delle romene (oltre mezzo milione),
seguite da albanesi, marocchine, ucraine, cinesi. L’Ucraina è la collettività straniera a più alta
incidenza femminile (80%), seguita da Polonia (71%), Brasile (70%), Moldavia (67%), Bulgaria
(61%), Perù (60%), Ecuador (58%), Filippine (57%), Romania e Nigeria (54%). L’incidenza
femminile nelle migrazioni dai paesi africani e asiatici è compresa tra il 20 e il 30%. La graduatoria
dell’ incidenza “racconta” due tipi diversi di migrazioni femminili. E’ più alta per le comunità dove
le donne migrano da sole, è più bassa per quelle in cui si “ricongiungono” al marito. L’incidenza
femminile più alta, inoltre, corrisponde al il tipo di lavoro più diffuso tra le migranti (servizi
domestici e alla persona).
Nel nostro Paese ci sono tantissime etnie di provenienza e questo può essere un fattore positivo o
negativo a seconda di quale ottica privilegiamo: se prevale un ottica di “fascinazione “ delle culture
saremo attratti dalle numerose diversità, per conoscerne sempre di più. Se prevale un sentimento di
“paura del diverso”, saremo spaventati dalla quantità di etnie, diverse, che sono sul suolo italiano.
Altri Paesi europei hanno avuto una immigrazione molto più omogenea perché proveniente dai
luoghi da loro colonizzati: ad esempio, la Francia dal Maghreb, l'Inghilterra dall’Est Asia (India,
Pakistan, etc.). Noi, data la nostra posizione ‘allungata’ in mezzo al Mediterraneo, abbiamo avuto
un’ immigrazione davvero variegata, che ci ha costretto a rapportarci con molte culture diverse.
Se, però, il fattore differenza è visto più come valore che come difficoltà, noi siamo più fortunati di
altri cittadini europei perché abbiamo la possibilità di incontrare culture diverse e quindi di
arricchire la nostra capacità di accoglienza.
Le donne immigrate che accedono ai nostri servizi materno infantili sono in genere giovani, sane e
in età riproduttiva. Proprio per queste loro caratteristiche demografiche e di fecondità, oltre che al
più volte riportato effetto “migrante sano”, cioè le persone che migrano sono prevalentemente in
buona salute, più della metà dei ricoveri delle straniere residenti in Italia riguardano gli aspetti della
salute riproduttiva, come la gravidanza, il parto, il puerperio, le interruzioni volontarie di
gravidanza e l’aborto spontaneo. Tendenzialmente le donne immigrate, riproducendo scelte culturali
nei Paesi di provenienza (con differenze da etnia ad etnia), mettono al mondo più bambini rispetto
alle donne italiane: l'indice di fecondità delle donne immigrate è quasi doppio di quelle italiane; nel
2010, secondo i dati Istat, le donne straniere hanno mediamente 2.13 figli ciascuna, contribuendo
alla fecondità nazionale ( 1.40 figli per donna ) nella misura del 12%.
Inoltre, mentre nel nostro percorso di salute il concetto di prevenzione è acquisito quasi dalla
totalità della popolazione autoctona, le donne straniere provengono da luoghi dove la prevenzione
non esiste: si va dal medico o in ospedale quando si sta male, sia perché mancano i servizi, sia
perché non c’è il concetto della salvaguardia del nostro benessere psico-fisico ancor prima di star
male. Anche esami più semplici, come il pap-test che serve per prevenire i tumori al collo dell'utero
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– tumori che hanno un’alta incidenza nei Paesi da cui provengono le donne immigrate–non vengono
fatti nei Paesi di provenienza e non vedono un’ adesione spontanea da parte delle donne immigrate
nella società di accoglienza, a meno che si faccia un’ offerta attiva, con una corretta informazione
sul senso di tali esami.
Quando ci si relaziona con una donna straniera, rispetto alle tematiche della maternità o comunque
rispetto alle tematiche del corpo ‘generante’, dobbiamo ricordare che le differenze che ci sono tra
l’operatore/operatrice e le donna sono differenze non solo di lingua ma anche di significati più
profondi che sottostanno alle scelte riproduttive in generale.
Le differenze sia di lingua che di cultura riguardano ovviamente non solo modalità diverse di
parlare, ma diverse concezioni della salute, della malattia, del tipo di cura e del ruolo che ha il
medico nella cultura di provenienza (vedi medici tradizionali, stregoni, guaritori, etc. )
Un sistema culturale è costituito da una lingua, da un sistema di parentela, da un insieme di abilità e
di condotte (come si mangia, come ci si tiene pulite, che forme di cura si mettono in atto, quali
pratiche di accudimento, etc.).
Rispetto quindi a una codifica culturale è necessario distinguere tra:
una cultura esterna che è data dal gruppo di appartenenza, attraverso complessi processi di
trasmissione, attivi fin dalla nascita
una cultura interna, che è l’elaborazione individuale della cultura esterna
Ognuno di noi dovrebbe sapere di appartenere ad una cultura, che non è un’entità immutabile ma un
processo dinamico: la società e gli individui cambiano in continuazione. Come non esistono ‘le
donne italiane’, così non esistono le ‘donne egiziane’: questa espressione rischia di essere
un’astrazione, perché ogni donna elabora un suo modo di essere italiana/egiziana. Ogni donna
migrante ‘ meticcia’ in modo diverso la cultura di origine con l’esperienza che fa nel Paese di
accoglienza.
Basti pensare cosa vuol dire essere donna italiana oggi, nel Nord o nel Sud d’ Italia, a Milano, a
Bergamo o in un paesino della Sicilia. Siamo tutte donne italiane, ma a seconda del luogo dove
viviamo e cresciamo, cambia il concetto di donna, dell'autonomia personale, della famiglia,
dell’essere o del considerarsi ‘donna completa’ anche se non si è madre e così via.
Quindi quando incontriamo altre culture, dobbiamo pensare che ogni donna è portatrice di una
diversa cultura esterna, ma quella donna avrà anche seguito un percorso diverso di elaborazione
personale, non solo in base alla provenienza, ma soprattutto in base al proprio vissuto.
Che cosa succede quando si migra?
La migrazione rompe il collegamento, la relazione di sostegno e lo scambio reciproco fra cultura
interna ed esterna: migrare significa andare in un Paese nel quale, per gli altri, la maggior parte di
quello che la persona pensa non ha senso, è come se non ci si riconoscesse più e per esempio le
difficoltà che la mamma immigrata vive così profondamente vengono trasmesse ai bambini, che
sono particolarmente vulnerabili (M.R. Moro).
In tutte le culture vengono eseguiti riti di protezione del bambino e della mamma; in tutte le culture
la nascita è un momento importante di iniziazione, perché segna il passaggio da uno statuto sociale
a un altro, in tutte le culture è un periodo di particolare vulnerabilità, che richiede il sostegno del
gruppo.
Spesso le donne che provengono da Paesi dove la gravidanza fisiologica non è considerata una
malattia, non sono abituate a tanti controlli medici in strutture sanitarie - Consultorio o Ospedale. A
volte non sanno neanche il perché vengono consigliati od eseguiti esami ematochimici o altri
accertamenti e hanno difficoltà a comprendere i suggerimenti o i consigli del personale sanitario,
che propone modalità di cure diverse da quelle che loro utilizzavano nei loro Paesi; spesso provano
smarrimento, paura, ansia per il neonato; hanno a volte il problema della mancanza o della
precarietà nel lavoro: tranne le donne maghrebine, che di solito fanno figli dopo un
ricongiungimento familiare e sono generalmente casalinghe, le altre sono spesso anche donne sole o
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comunque donne sposate ma che lavorano quasi tutto il giorno ( donne cinesi ). Al momento della
dimissione dall’ospedale dopo un parto molte donne si sentono perse, sono insicure perché non
comprendono sia dal punto di vista linguistico che culturale i consigli della pediatra o delle
ostetriche sul modo di lavare il bambino, su come medicare il moncone del cordone ombelicale e
così via. Le donne immigrate che diventano mamme per la prima volta in un conteso migratorio,
sentono fortemente la mancanza della famiglia allargata, che nel loro Paese le fa sentire sicure e
‘potenti’.
Una madre ben accolta e rispettata sarà più aperta e disponibile all'incontro di una che si è sentita
emarginata, stigmatizzata, compatita o infantilizzata nei giorni in cui è stata degente in ospedale.
In questo senso è importante pensare a modelli diversi di organizzazione dei nostri servizi materno
infantili e dei nostri reparti di ostetricia, nel senso di creare momenti di accoglienza, di ascolto e di
presa in carico delle pazienti e dei loro bambini da un’ équipe di operatori che comunicano tra loro
e pensano ad una strategia comune di cura e sostegno
Per esempio nell’ organizzare dei corsi di accompagnamento alla nascita per donne immigrate, si
deve creare uno spazio un po’ diverso a quello pensato in questi anni per donne italiane; si deve
pensare ad un luogo fisico e psichico dove l'involucro culturale della donna si consolidi, involucro
che è diventato più fragile nella migrazione e dove le donne straniere trovino un'occasione per
uscire dall'isolamento, incontrare altre donne, parlare la propria lingua e l'italiano, conoscere
l'ospedale, e familiarizzarsi con le operatrici. Nei vari incontri ci si deve soffermare su alcune
parole chiave, si cerca di discutere sul significato di queste parole, creando così uno spazio al
racconto degli usi e tradizioni intorno alla nascita dei paesi di origine.
Per le donne straniere, alla difficoltà di comprendere e esprimersi in italiano si aggiunge la difficoltà
di capire l'organizzazione dei servizi per poterli utilizzare. Inoltre spesso gli impiegati del front
office delle istituzioni ospedaliere non sono sufficientemente formati a una buona accoglienza nei
confronti di popolazioni che arrivano da paesi stranieri. Queste condizioni non favoriscono l'accesso
alle cure e non rappresentano esperienze positive che incoraggiano l'accesso. Al di là di attitudini
personali di accoglienza e ascolto, sono frequenti gli episodi di svalorizzazione della cultura “altra”
e della persona che a quella cultura appartiene. La consapevolezza della necessità di imparare un
atteggiamento di decentramento culturale è ancora ridotta e spesso, pur con buone intenzioni, gli
operatori sanitari non riescono ad aumentare il senso di sicurezza della popolazione migrante
Una nuova figura che in questi anni ha accompagnato e aiutato sia gli operatori che le donne
immigrate nel loro accesso ai servizi, sia di salute che educativi, è quella della mediatrice
linguistico culturale (MLC). Questa figura, pur non avendo un riconoscimento ufficiale della sua
qualifica, ha acquisito in questi dieci anni di lavoro nei nostri consultori, nei nostri Ospedali, nelle
nostre scuole, una professionalità eccellente di accoglienza e di mediazione tra culture e
provenienze diverse.
La MLC è l’operatrice che in base alla propria appartenenza a una nazionalità straniera, alla propria
condizione di immigrata/o, e in base a una specifica preparazione professionale di carattere
teorico-pratico svolge:
attività di traduzione linguistica, un’ attività di mediazione culturale ove per mediazione culturale si
intende un processo attraverso il quale la MLC chiarifica, contestualizzandoli nella cultura
d’origine, il significato di comportamenti e comunicazioni dell’utenza straniera alle
operatrici/operatori italiane; viceversa chiarisce all’utenza straniera la logica culturale e
organizzativa propria dei servizi e delle istituzioni italiane; promuove, in collaborazione con i
servizi, le istituzioni italiane e le associazioni presenti sul territorio, la conoscenza all’interno della
propria comunità dei servizi e delle opportunità offerte dalle istituzioni italiane; promuove, in
collaborazione con membri e associazioni italiane e straniere presenti sul territorio, attività di
sensibilizzazione delle istituzioni e della società italiana circa i bisogni dei cittadini e cittadine
immigrate nel territorio regionale; e divulga la conoscenza della propria cultura di appartenenza.
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Le operatrici donne che si occupano della salute riproduttiva delle donne in generale ( ginecologhe,
pediatre,ostetriche, psicologhe, assistenti sociali ) hanno trovato in questi anni nel confronto con le
MLC uno stimolo per ripensare alle proprie rappresentazioni culturali e ai modelli del corpo e di
salute che abbiamo dato forse troppo per scontati e immodificabili anche per le donne italiane.
Di fatto le donne straniere hanno messo ancora più in evidenza, processo che forse già un’ élite di
donne italiane stava già facendo, come, nell’esperienza della maternità, c’è bisogno di ricomporre il
corpo con la psiche e un accompagnamento sostanziale necessita di una messa in rete, di una
relazione reale tra coloro che si occupano del loro corpo gravido e chi si occupa del loro futuro
bambino. C’è bisogno che si costruisca quello che F. Molenat chiama un legame umano. Dice la
Molenat: “ Fare vivere a genitori in costruzione, qualsiasi difficoltà presenti il loro percorso
genitoriale, un’adeguata qualità di legami, nel rispetto dei limiti e delle competenze, pare semplice a
dirsi: sembra l’evidenza addirittura. Eppure quanti sforzi vanno controcorrente rispetto alle
abitudini acquisite, in una minuziosa tessitura di interrelazioni che esige vigilanza, tempo, confronto
con lo sguardo altrui, resistendo alla voglia di .. chiudere il caso….” Questo vuol dire curare i
legami fra il personale curante, il legame fra i genitori, i legami con i Paesi e le culture di origine,
fra qui e l’altrove: è questo lo sforzo che le donne straniere ci ‘obbligano’ a fare per cercare di
assisterle meglio e questo sicuramente è anche quello che auspicano le donne italiane; in questi anni
il passaggio da un parto più tecnologico a un parto ‘naturale’ ha fatto perdere a volta di vista la
necessità profonda che intorno all’esperienza della nascita ci sta proprio la sfida di un’esperienza
che sia in grado di creare uno dei legami più importanti che una donna possa sperimentare: il
legame con suo figlio/a.
L’ assistenza alle donne straniere nel percorso di una maternità desiderata o negata ( interruzione
volontaria di gravidanza), è una sfida che ci impegna, attraverso la costruzione di reti fra territorio
ed ospedale, sul percorso nascita , a recuperare dei modelli che ci possono sicuramente essere utili
anche nell’assistenza alle donne italiane. Il vedere, il dare attenzione alla differenza di cultura, il
non omologare, vuol dire dare attenzione a ciascuna donna, valorizzando la sua specificità rispetto
alla sessualità e alla maternità, alle tappe della sua vita riproduttiva, differenziando anche all'interno
della popolazione italiana.
La presenza di donne provenienti da culture diverse rappresenta una cartina al tornasole della
nostra capacità di accoglienza. Per gli operatori significa confrontarsi con esigenze e aspettative
diverse, lontane e talvolta significa anche sapere rimettere in discussione le proprie certezze,
riscoprendo un modo nuovo di “curare” e/o di “guarire”.
Dobbiamo quindi ringraziare le donne straniere e le loro famiglie perché ci stanno offrendo
l'occasione di rendere interculturale anche in questo senso il nostro lavoro, permettendoci di
ampliare la nostra visione, a vantaggio anche delle utenti italiane.
BIBLIOGRAFIA
CATTANEO M.L./DAL VERME S., Donne e madri nella migrazione. Prospettive transculturali e di genere, Unicopli,
Milano, 2005
CATTANEO M.L./DAL VERME S., Terapia transculturale per le famiglie migranti – Franco Angeli ed., 2009
MORO M.R., Bambini di qui venuti da altrove, FrancoAngeli, Milano, 2005
MORO M.R., Maternità e amore, Frassinelli, Milano, 2008
MORO M.R., NEUMAN D., REAL I., Maternità in esilio – Bambini e migrazioni - Raffaello Cortina Editori, 2010
FRANCOISE MOLENAT , Prévention précoce – Petit traité pour construire des liens humains, Ed. éirès, 2009
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