Alice abita ancora qui Il corpo

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Alice abita ancora qui Il corpo
CULTURE
DOMENICA
11 MARZO 2012
7
Alice abita ancora qui
Il corpo-tomba
secondo la Ammirati
DI
ANITA TANIA GIUGA
argomento è la morte e
nella fattispecie la forma che essa assume
per il tramite di un incidente d’auto. Si tratta di morte nelle sue
prove corali e familiari, a diversi gradi d’incidenza; in quanto taluni muoiono mentre la
protagonista finirà in coma.
Nondimeno il tema e la tesi che il fulmineo romanzo di Maria Pia Ammirati porge è
affatto tragico, in quanto non ci sono sacre
soglie da varcare (la tragedia, infatti, al contrario, consta di un confronto mal riuscito
con il sacro), ma rapporti da situare e spiegare. Già in Se tu fossi qui, edito anch’esso
da Cairo (2010) e
vincitore nel 2011
ROMANZO
del Premio Selezione Campiello,
Ammirati aveva
condotto quello
che alla luce di
quest’ultimo Le
voci intorno suona
quasi come una
sorta di prequel.
Alice è la diciassettenne che apre
la storia nel suo
punto medio; un
attimo prima delIl libro è una sorta di l’accelerazione e
dell’incidente auprequel del preceden- tomobilistico. Scritto in soggettiva
non onniscente,
te “Se tu fossi qui”.
comincia nel sudore e nel distacco, al centro delle liturgie del
sabato sera. Alcol, pasticche ed eros diffuso.
Dentro Alice c’è una strana compostezza,
lo si intuisce dal suo modo di esplorare l’intorno, che Ammirati ricalca con sicurezza,
seppure nella tentazione di abbracciare la pluralità linguistica dello slang adolescenziale.
Il futuro di Alice sta appeso al corpo e si
avvita in un rapido presagio. Quel corpo, insieme a quelli di Beppe e Marta, si prepara a
essere escluso dal mondo d’un balzo. Ammirati ha una potente misura di corpi. E avvince nella distanza dal melenso e dal lirico di genere. Accarezza i suoi personaggi e non li imbriglia più del dovuto nel contesto; sicché ce
L’
li porge parziali, nitidi e, in fondo, inaccessibili: «Mi accorgo di essere sveglia dai rumori,
e da questo bagliore che filtra dagli occhi, però
non riesco proprio a calcolare il tempo: quanto dormo, quanto sto sveglia, se è notte o giorno; e così per capirlo devo aspettare mio padre
[…] per riuscire a dormire avevo sperimentato vari metodi, oltre il ticchettio; in genere ripassavo i fatti della giornata, e il sonno mi coglieva durante questo ripasso […] Ma anche
un altro metodo era efficace: pensare ai miei
vestiti, a quelli più belli, a quali mi sarebbe
piaciuto avere, a quali scarpe, come quelle di
Marta, che l’altra sera erano bellissime. Chissà che fine avranno fatto, e chissà dove vanno a finire le scarpe dei morti?».
Questi corpi immessi in spazi esigui e
slabbrati, parcellizzati nella narrazione perché
dispieghino le loro metamorfosi: la pelle che
si assottiglia, il mestruo da tamponare, l’adipe
che deborda. Tutto ciò con una sorta di distanza mista a decoro: che si tratti di schianto e lamiere o di stato vegetativo permanente. I legami che intercorrono fra i personaggi
si stagliano concisi, nelle pieghe della manutenzione degli affetti, che il dolore per il coma
costringe a ridefinire.
Da una storia così si sarebbe potuti arrivare senza deviazioni al monstrum dell’eutanasia, mentre lo si costeggia e lo si doppia con
delicatezza. Dopo l’anossia dovuta all’urto
che le ha compresso i polmoni, Alice scivolerà
in una incoscienza lunga due anni; il suo ragazzo (Beppe) è morto, la nuova amica (Marta), colpevole di una smargiassata conclusa in
urto fatale, anche. Mentre il padre e Aurora,
sorella minore di Alice, dovranno ricomporre ciò che resta, attorno al suo simulacro che
piange dentro e perde di continuo il tempo. A
loro tocca il rammendo paziente di una vita
comune, smantellata dalla recente morte della madre. Attenzione e resistenza, fiati e conversazioni “le voci intorno” del titolo rivolti
alla gravosa precisazione della speranza sul
motivo del «fulmineo risveglio» e sull’esigenza di disincarnare il dolore; diluendolo, appunto, nella certezza della guarigione.
E tutto questo contribuisce a produrre un
prezioso dramma civile, ché Dio sembra un
astratto furore; algido e lontanissimo.
Lo stile di Ammirati tratta le azioni, quelle che appartengono alla sfera dell’intreccio,
esplicitandole a partire dall’assenza di architetture narrative.
La realtà si spacca e cede a una erosione
Meliora Silentio (John Stark 2009) olio cm47x39
interna. La scrittura è tersa e veloce, intanto
che ripensa la tramatura di una famiglia tarata sulla volontà di aggirare incomprensioni e asprezze; ingenerate, queste ultime, in
primo luogo dalla malattia della madre. Così, piccoli vincoli affettivi rinchiusi nell’istituzione ospedaliera evolvono; si chiariscono, recuperando una via parallela alla comunicazione e una forma di sopravvivenza nuova, avvinta proprio al racconto. E precisamente a un diario che diviene elemento meta narrativo; a volere dimostrare che se si
scorgono le parole giuste vi è rimedio anche
sul piano della realtà.
Larvatus proteo, diceva Descartes (R.
Descartes, Cogitationes privatae [1619] ),
per procedere dentro i segreti della natura è
necessario velarsi. Alice frattanto ha la sua
fabula muta; obbligata a farsi testimone di
sé, sepolta nell’anima cadavere semi pietrificata.
Ottusa nel corpo tomba che la vincola e
dal quale vorrebbe, a un certo punto, prendere
congedo; contro il corpo figura «tutto fuori» e
«tutto per gli altri», che quegli altri tengono
fermo, in vita, in relazione d’appartenenza.
Ammirati tenta una sorta di eudaimonia: un
distacco felice dalla realtà evenemenziale, dalla morale, dal sistema-paese e dai suoi farisei.
Di fatto da ogni parvenza di giudizio radicale.
Alice tornerà fra i viventi; toccata dal
fuoco e quasi inservibile, quanto necessaria a normalizzare il corpo-cibo di Aurora
e a diminuire la tristezza consustanziale del
padre. Verosimilmente per effetto dell’amore e con molta probabilità come conseguenza di una direzione ostinata e sorda alla causalità scientifica. Un finale periglioso per quei dilemmi veri e crudi che appartengono agli oppositori dell’accanimento
terapeutico. Uno zelo freddo, etico e medico, quello che spesso si consuma sulla pelle di chi resta e deve interpretare un volere,
quello del malato, fattosi irrilevante, prendendosene carico per intero. Ma la morale
non s’attaglia all’arte, lo sappiamo, e Ammirati in tal modo tiene strette le briglie
della sua storia, che ci porta con sé verso
un finale di sollievo.
ANITA TANIA GIUGA. È
critico d’arte contemporanea
e curatrice indipendente. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Bologna. È contributor per testate di settore come “Flash Art”, “Juliet”, “Espoarte” e altre. Assieme a Egidio Cacciola è autrice del
romanzo “Il padre manca” (A& B Editrice).
ALBUM
Pink Floyd: ritorna il muro ma non siamo a Berlino
DI
ARIEL BERTOLDO
ttime notizie per gli amanti del
rock. A concludere Why Pink
Floyd…?, monumentale campagna discografica di ristampe del
quartetto inglese nei più diversi
supporti digitali (Cd, Dvd, BluRay, App per I-Phone e vinile), è appena arrivato
The Wall, capolavoro e al tempo stesso summa del
tormentato talento di Roger Waters, bassista, cantante ed autore della band.
Il leggendario doppio album, originariamente uscito il 30 novembre del 1979, è nuovamente disponibile rimasterizzato ed arricchito
di perdute perle d’archivio, versioni alternative di alcuni brani, estratti da esecuzioni dal vivo e preziosi contenuti extra.
Gli appassionati potranno dunque riscoprirlo
in due nuove, eleganti versioni espanse.
Spicca senza dubbio l’edizione box ribattezzata Immersion, che comprende, oltre all’album
O
restaurato in digitale, anche Is There Anybody Out
There? – The Wall Live (documento audio della
data londinese della tournée del 1980/81), poi un
doppio disco di registrazioni inedite ed estratti di
lavorazione, quindi un dvd video dal vivo realizzato durante quel leggendario giro di concerti, il
documentario Behind The Wall ed infine il celebre
videoclip del brano Another Brick In The Wall,
corredato da un’intervista esclusiva a Gerald Scarfe, fumettista e cartoonist che collaborò più volte
con i Floyd per questo ed altri progetti.
Per quanti desiderassero invece un’ edizione
intermedia, a prezzi più ragionevoli, ecco la versione Experience: tre cd in formato digipack contenenti
il doppio album originale ed un terzo cd con una selezione dei migliori inediti e works in progress.
Undicesimo album dei Pink Floyd, The Wall è
un’ opera tra le più complesse, evocative e pregevoli del rock inglese degli anni Settanta, campione
d’incassi all’epoca (30 milioni di copie in tutto il
mondo, best seller americano per il 1980), ma soprattutto spietato ritratto psicologico di un caratte-
re borderline. Le sue 26 canzoni riflettono il muro,
metaforico e reale, eretto tra l’artista in crisi ed il
resto del mondo. Alter-ego autobiografico di Roger Waters, autore principale di testi e musiche, è
Pink, rockstar protagonista di The Wall, sociopatico vittima di una serie di traumi vissuti durante
l’infanzia (la perdita del padre durante la seconda
guerra mondiale, un’istruzione eccessivamente autoritaria ed una madre troppo protettiva) e l’età
adulta (i ripetuti tradimenti della moglie, lo stress
della fama internazionale) che lo portano ad isolarsi dalla comunità erigendo un muro mentale invalicabile dietro il quale nascondersi.
Incomunicabilità e paranoie che riuscirà a vincere soltanto alla fine, venendo a patti col proprio
passato ripercorrendolo, dando vita ad una sorta di
processo con tanto di pubblica accusa, giudice e testimoni. La salvifica sentenza si tradurrà nell’abbattimento del muro, nell’apertura verso i propri
simili, superando così fragilità e debolezze. Musicalmente si tratta di uno dei dischi più duri, epici ed ambiziosi dei Pink Floyd: realizzato nell’ar-
co di quasi un anno tra gennaio ed il successivo
autunno 1979 con la sapiente regia del produttore artistico Bob Ezrin, The Wall segnò lo zenith e
insieme la rovina del quartetto londinese, minato
alle fondamenta da una serie di screzi e liti divampate con il definitivo abbandono di Roger
Waters a metà anni Ottanta.
Il doppio album sarà portato in tournée in
Europa ed America tra il 1980 ed il 1981, impreziosito da una spettacolare trovata scenografica:
l’apocalittica costruzione, in scena ed in diretta, di
un vero muro di mattoni bianchi a dividere il pubblico e la band, simbolo dell’alienazione del personaggio protagonista. Una barriera fisica e mentale catarticamente distrutta sul finale, con abbondanza di effetti speciali e quasi dieci anni d’anticipo sul muro di Berlino, altra grande metafora di
rottura. Non a caso proprio a Berlino, nel 1990,
Roger Waters tornerà ad allestire la messa in scena di The Wall senza i Pink Floyd. La prima di una
lunga serie di riprese dell’opera che proseguono
ancora oggi, con immutato pathos e teatralità.