L`impero di Cindia

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L`impero di Cindia
L'impero di Cindia. CINA, INDIA E DINTORNI:
LA SUPERPOTENZA ASIATICA DA TRE MILIARDI DI PERSONE
Federico Rampini Mondadori -2006
Recensione: Il secolo cinese non sarà dominato solo dalla Cina. L'impetuoso sviluppo economico
conosciuto negli ultimi anni da quello che fu l'"Impero celeste" ha infatti coinvolto molti paesi asiatici,
primo fra tutti l'India. L'ex colonia britannica sta rapidamente diventando una nuova grande potenza
economica: la diffusa conoscenza della lingua inglese e un buon tasso di istruzione tecnico-scientifica ha
fatto sì che molte aziende americane e inglesi abbiano deciso di delocalizzare nel territorio indiano alcuni
servizi fondamentali (dalla compilazione delle dichiarazioni fiscali alla lettura delle lastre mediche, per
fare solo alcuni esempi), e che siano nate non poche delle più importanti aziende informatiche del
pianeta, tanto che persino Microsoft ha recentemente deciso di spostarvi la propria produzione. Ma non è
solo l'India ad aver visto negli ultimi anni una crescita straordinaria: la Corea del Sud è diventata uno dei
grandi centri mondiali della produzione automobilistica e tecnologica, mentre il Giappone sta vivendo una
nuova fase di forte sviluppo, che lo ha rilanciato sulla scena politica internazionale. Tutti insieme questi
paesi comprendono circa tre miliardi di abitanti: tre miliardi di nuovi capitalisti che si affacciano sul
mercato e nella storia, sconvolgendo le nostre economie e le nostre vite. Negli Stati Uniti è ormai
diventato uso comune definire quest'area del mondo con un nuovo nome, un termine coniato apposta per
l'impero politico ed economico che dominerà il pianeta nel prossimo futuro: Cindia.
Da Il nostro tempo (settimanale)
Domenica 28 maggio 2006
Giappone angosciato per l'incubo "Cindia"
La Cina è vicina?
Per i giapponesi certamente sì: tanto vicina da essere diventata, da qualche tempo a questa
parte, una vera e propria ossessione per gli abitanti dell'arcipelago nipponico. La Cina fa paura e affascina
al tempo stesso per lo straordinario sviluppo (la crescita del Pil viaggia sul 9-10 per cento annuale) che
nel giro di un decennio l'ha issata fra i colossi dell'economia planetaria. A tal punto che ora minaccia
direttamente la supremazia giapponese in Asia e nel mondo, e le prospettive sono buie per l'Impero del
Sol Levante che rischia di essere scalzato rapidamente dalla sua posizione di seconda potenza economica
mondiale. Per colmo di sventura, oltre a sentire sul collo il fiatone della Cina, i giapponesi debbono
prepararsi a fare i conti anche con l'India (crescita annuale del Pil attorno all'8 per cento) che sta
conquistando un predominio in settori ad alto contenuto tecnologico e intellettuale, come il software
informatico, la biogenetica, la medicina e addirittura la delocalizzazione ospedaliera dai Paesi ricchi.
L'inquietudine è cresciuta, e si è quasi trasformata in angoscia, in seguito alla recente visita in
India del premier cinese Wen Jiabao, che nei suoi colloqui con il collega indiano Singh ha gettato le basi
di una più stretta collaborazione, mettendo soprattutto l'accento sulla complementarietà dei due colossi
asiatici. Senza perdere tempo, la stampa ha coniato un neologismo, «Cindia», per designare il nuovo
macrosistema. Alle angosce economiche si sovrappongono quelle ecologiche: la concomitanza fra
dinamismo economico e peso demografico (1 miliardo e 300 milioni di abitanti la Cina, più di un miliardo
l'India), fa sì che i consumi della «Cindia» aumentino in maniera esponenziale. Di qui la pressione
drammatica, e ben presto insostenibile, esercitata sulle risorse mondiali: non solo quelle energetiche (in
primo luogo il petrolio) ma l'aria che respiriamo e l'acqua che beviamo.
Il futuro potrebbe avere in serbo altre, ancora più sgradevoli sorprese. Un rapporto della Cia
prevede che entro 20 anni la Cina sarà la seconda potenza mondiale (subito dopo gli Usa) e l'India la
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terza. Ma c'è di più: gli economisti, le banche d'affari, gli investitori cominciano già a pensare a uno
scenario nel quale la crescita mondiale, stagnante (o addirittura negativa) negli Usa, in Europa e in
Giappone, sarà l'appannaggio esclusivo di un nuovo club di Paesi battezzato «Bric»: Cina e India più
Brasile e Russia.
La chiave di lettura economica aiuta a capire come mai sia bruscamente cresciuta, nelle ultime
settimane, la tensione tra la Cina e il Giappone. Le manifestazioni antigiapponesi si sono moltiplicate a
Pechino, Shanghai, Canton, Shenzen e persino Hong Kong, con danni all'ambasciata e ai consolati
nipponici, attacchi alle sedi di aziende giapponesi, ai ristoranti, ai negozi dove si vendono prodotti made
in Japan. All'origine della fiammata di violenza c'è l'indignazione contro i manuali di Storia in uso nelle
scuole del Sol Levante, i quali stendono un velo sull'imperialismo nipponico degli anni Trenta, e passano
sotto silenzio il massacro delle popolazioni civili del 1937 a Nanchino (da 150 mila a 300 mila morti
secondo le stime). Nei nuovi manuali (riscritti sotto l'influenza della "nuova destra" giapponese), si
afferma addirittura che l'invasione delle truppe nipponiche in Manciuria (1931) fu provocata dalle
manifestazioni antigiapponesi in Cina che minacciavano la sicurezza del Giappone. Per i cinesi il Giappone
è il Paese che non si è pentito e non ha mai recitato un mea culpa per i crimini del passato. Altra fonte di
indignazione è il fatto che il primo ministro (di destra) giapponese Junichiro Koizumi non perde
un'occasione per andare a pregare nel santuario Yasukuni di Tokyo, dove vengono onorate le anime dei
caduti per la patria, fra cui quelle dei generali criminali di guerra. Insomma, il nazionalismo esasperato
dei manifestanti cinesi si scontra con il cocciuto nazionalismo dei dirigenti giapponesi.
L'antagonismo fra i due Paesi asiatici ha assunto una dimensione emotiva e la situazione rischia di
sfuggire di mano. Non si capisce bene, per esempio, se i dirigenti di Pechino siano ancora capaci di
controllare le manifestazioni che si moltiplicano. Non si capisce se le autorità e la polizia cinesi facciano il
doppio gioco, deplorando pubblicamente le violenze antigiapponesi per poi incoraggiarle sottobanco.
Comunque sia, le conseguenze rischiano di essere gravi. Da un lato, le manifestazioni antinipponiche in
Cina rafforzano, in Giappone, l'animosità contro Pechino e alimentano le campagne della destra contro la
«minaccia cinese». Dall'altro, i cinesi rischiano di darsi la zappa sui piedi e gli appelli al boicottaggio dei
prodotti nipponici potrebbero provocare un effetto boomerang. Proprio quest'anno, per la prima volta
dalla fine della Seconda guerra mondiale, la Cina è diventata il primo partner commerciale del Giappone,
davanti agli Usa. Se le grandi aziende giapponesi (Toyota, Honda, Canon, Sony, Toshiba) si trovassero
costrette a ridimensionare la loro attività, i primi a patirne sarebbero i cinesi, visto che tutte queste
multinazionali hanno da tempo delocalizzato il grosso delle loro attività produttive in Cina, creando così
(direttamente o con l'indotto) milioni di posti di lavoro.
Dal punto di vista politico, poi, la tensione tra i due Paesi ha due conseguenze immediate. La
prima è l'irrigidimento della Cina nella sua opposizione all'entrata del Giappone, come membro
permanente a pieno titolo (e dunque con diritto di veto) nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. La seconda è
che Tokyo si oppone con tutte le forze all'abolizione (raccomandata dall'Unione europea) sull'embargo
delle vendite di armi alla Cina. Inoltre, il Giappone riafferma la propria partecipazione attiva al dispositivo
strategico e militare americano in Asia, destinato a contenere la potenza cinese: a conferma di questo
impegno, Tokyo ha recentemente accettato il riconoscimento di Taiwan come «obiettivo strategico
comune» degli Usa e del Giappone, suscitando così l'ira di Pechino.
Per tornare all'economia, la tensione sino-giapponese rischia di compromettere la fragile ripresa del Sol
Levante, che dopo un decennio e passa di ristagno ha ritrovato la crescita certo ancora insufficiente (le
previsioni per il 2005 oscillano fra lo 0,5 e il 2,4 per cento). Tokyo ha anche voluto lanciare un segnale di
ottimismo organizzando a Aichi (vicino a Nagoya) la prima Expo Universale del XXI secolo (sono attesi 15
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milioni di visitatori fino al 25 settembre). Il guaio che è questa timida ripresa è il frutto, principalmente,
del boom degli scambi con il colosso cinese: il Giappone ha delocalizzato una grossa fetta delle sue
attività produttive in Cina, fornendo anche tecnologia, macchinari, beni strumentali. In cambio, i prodotti
inondano il mercato nipponico.
Ma come si vede, a questo formidabile sviluppo degli scambi economici e commerciali non
corrisponde una normalizzazione dei rapporti politici e diplomatici. La Cina diffida di un Giappone che
considera troppo legato agli Stati Uniti, lo sviluppo della Cina come potenza economica, e militare,
alimenta i timori dei giapponesi. I due colossi asiatici, insomma, restano prigionieri di una situazione
ereditata dalla Guerra fredda, e la posizione più scomoda è senza dubbio quella di Tokyo che in caso di
nuove tensioni tra Pechino e Washington (per esempio a proposito di Taiwan) rischia di trovarsi stretta
come in una morsa, tra l'incudine e il martello.
Paolo Romani
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