Lo Sviluppo Sociale di Schaffer

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Lo Sviluppo Sociale di Schaffer
3) LA COSTRUZIONE DELLE PRIME RELAZIONI.
I bambini stabiliscono diversi tipi di relazione con differenti partner: la prima relazione è quella con
la madre. Le relazioni sono costituite a partire dalle interazioni; una relazione ha caratteristiche
particolari come la fedeltà, il coinvolgimento o la devozione. Distinzione tra:
- interazioni = fenomeni temporanei
- relazioni = implicano continuità nel tempo e sono qualcosa di più della somma di una serie di
interazioni.
Fasi dell’interazione genitore-bambino nei primi 2 anni di vita:
1- Regolazione biologica (0 mesi) Æ regolarizzare i processi biologici di base (l’alimentazione e gli
stadi veglia-sonno); alla fine del 1° mese di vita questo andamento è divenuto stabile.
2- Scambi “faccia a faccia” (2 mesi) Æ regolare l’attenzione reciproca e la capacità di risposta nelle
situazioni faccia a faccia; i bambini divengono consci dell’ambiente esterno e della presenza di altre
persone;i sorrisi sono innescati in principio esclusivamente dagli occhi di un’altra persona; i rispettivi
ruoli della madre e del bambino in queste prime interazioni faccia a faccia sono esemplificati da
un’altra caratteristica, il turn-taking, ovvero l’alternanza dei ruoli (questo fenomeno viene osservato
molto chiaramente negli scambi vocali).
3- Condivisione di argomenti (5 mesi) Æ inserire gli oggetti nelle interazioni sociali; il bambino si
rivolge in modo sempre più pronunciato verso il mondo delle cose, gli oggetti che può afferrare,
maneggiare e con i quali può stimolarsi e divertirsi; i bambini fino ai 10 mesi raramente seguono lo
sguardo della madre, solo alla fine del 1° anno la direzione dello sguardo di un’altra persona diviene
un segnale significativo per il bambino.
4- Reciprocità (8 mesi) Æ iniziare azioni intenzionali dirette verso altri; il bambino diviene capace di
impegnarsi contemporaneamente in molte attività che in precedenza potevano essere svolte solo
separatamente; i giochi sono utili perché i bambini possono acquisire delle abilità, essi richiedono il
coinvolgimento di entrambi i partecipanti e sono basati su regole chiare; i giochi possiedono un ruolo
essenziale nel facilitare l’acquisizione del linguaggio; fino a circa 8 mesi la partecipazione del
bambino è limitata al “prendere” e si parla di gioco unidirezionale, ma dai 10-12 mesi il gioco cessa
di essere unidirezionale: il bambino può innescare la sequenza mostrando o offrendo il giocattolo
alla madre, oppure può darglielo su richiesta; caratteristiche essenziali dello scambio sociale maturo
sono la reciprocità (l’interazione deve essere sostenuta dall’azione di entrambi i partner) e
l’intenzionalità (compare verso la fine del 1° anno, è la capacità di pianificare il comportamento e di
anticipare le sue conseguenze).
5- Rappresentazione simbolica (18 mesi) Æ sviluppare strumenti verbali e simbolici di relazione con
gli altri; i bambini scoprono che la definizione può essere differenziata dal suo oggetto di riferimento
ed essere usata con intenti di comunicazione; è notevole la velocità e la facilità con le quali i bambini
acquisiscono il linguaggio dal 2° anno; il grado di coinvolgimento dei bambini nelle interazioni con il
genitore ha un’influenza diretta sullo sviluppo della loro competenza nel linguaggio.
1) Lo stile interattivo.
Ogni coppia adulto-bambino sviluppa un modo caratteristico di interazione; ci sono 3 tipi di
influenze:
1- il contesto culturale nel quale il bambino cresce Æ per es. nella relazione tra le madri africane e i
loro bambini si osserva uno scarso livello di interazioni faccia a faccia;
2- la personalità dell’adulto Æ l’attenzione è stata rivolta soprattutto alle differenze fra madri e padri
nel relazionarsi con i bambini: la cura dei bambini è principalmente devoluta alla madre mentre il
padre si concentra sostanzialmente sul gioco;
3- le caratteristiche del bambino Æ il bambino molto attivo induce nell’adulto un tipo di
comportamento assai diverso rispetto a quello sollecitato da un bambino inattivo e felice di stare
tranquillo.
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I bambini inviano dei segnali con i quali indicano il loro stato e i loro bisogni a chi li accudisce; per il
benessere dei piccoli è necessario che l’adulto raccolga questi messaggi e vi risponda in modo
appropriato.
2) L’uso dei gesti.
Uno dei primi esempi è l’indicare (dai 3-5 mesi). Nel 2° anno di vita si sviluppa l’uso della gestualità
non verbale per rappresentare simbolicamente oggetti/eventi allo scopo di comunicare con altre
persone.
3) La comparsa del linguaggio.
Uno stile molto direttivo, come quello che gli adulti adottano per insegnare al bambino a parlare,
interferisce con lo sviluppo del linguaggio; il bambino non è scoraggiato da continui tentativi di
correzione.
Secondo Bruner la continuità tra comunicazione preverbale e verbale è basata sulla partecipazione
del bambino a formats = sono routine standardizzate; i giochi bambino-adulto rappresentano
l’esempio migliore; sono ordinati secondo regole; forniscono ai bambini l’opportunità di imparare a
seguire l’intera sequenza di atti che si riferiscono ad uno stesso soggetto; la partecipazione agli
iniziali formats preverbale sia ad una condizione necessaria per l’acquisizione del linguaggio.
4) NATURA E SVILUPPO DELL’ATTACCAMENTO.
L’attaccamento è il primo legame affettivo del bambino; è un legame di lunga durata, emotivamente
significativo, con una persona specifica. L’attaccamento nei bambini piccoli:
- è selettivo, in quanto è concentrato su persone specifiche
- implica la ricerca della vicinanza fisica con l’oggetto di attaccamento
- fornisce benessere e sicurezza
- quando il legame è interrotto si produce uno stato di angoscia da separazione.
5) La teoria di Bowlby.
Il bambino piccolo possiede una “predisposizione biologica” che lo porta a sviluppare un
attaccamento per chi si prende cura di lui. L’attaccamento ha la funzione biologica di proteggere la
prole e la funzione psicologica di fornire sicurezza. L’attaccamento subisce alcuni cambiamenti
pronunciati legati allo sviluppo. Secondo Bowlby possono essere individuati 4 stadi principali relativi
a questi cambiamenti:
1- Preattaccamento (0-2 mesi) Æ risposta sociale indiscriminata
2- Sviluppo dell’attaccamento (2-7 mesi) Æ riconoscimento di persone familiari
3- Attaccamento ben sviluppato (7-24) Æ protesta da separazione; diffidenza verso le persone non
familiari
4- Relazione gestita in funzione dell’obiettivo (da 24 mesi in poi) Æ relazioni più bilanciate; il
bambino comprende le esigenze dei genitori; il bambino funziona come un sistema di controllo, cioè
come un’apparecchiatura che serve a raggiungere un certo obiettivo.
Mano a mano che i bambini diventano capaci, verso il 2° anno di età, di avere una rappresentazione
interna del mondo in forma simbolica, sviluppano anche un modello di se stessi, delle persone
importanti che li circondano e delle relazioni che hanno con queste persone.
Se viene utilizzato il criterio dell’angoscia da separazione, si può affermare che il bambino è per la
prima volta in grado di soffrire per l’assenza di una persona verso i 7-8 mesi di età. Il bambino non
solo risponde alla madre quando è presente, ma la cerca attivamente quando non c’è; nello stesso
periodo compare anche un sentimento di paura nei confronti di persone estranee.
Nel bambino devono svilupparsi la memoria di riconoscimento, che gli consente di distinguere dalle
altre persone la figura verso la quale ha sviluppato l’attaccamento, e la nozione di costanza
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dell’oggetto (= capacità di essere consapevoli dell’oggetto anche in sua assenza), che lo mette in
grado di stabilire relazioni durevoli nel tempo.
6) Sviluppi successivi.
Nel periodo che segue la prima infanzia si verifica un graduale declino nel bisogno del bambino di
avere la vicinanza delle figure di attaccamento. I bambini cominciano ad allontanarsene in modo da
poter giocare ed esplorare. La ragione principale di questo allontanamento è che dal punto di vista
cognitivo il bambino acquisisce la capacità di formarsi una rappresentazione mentale della madre
che porta con sé e con la quale può entrare in relazione in assenza della madre stessa. Lo sviluppo
dei legami di attaccamento nel periodo della 2° infanzia è in relazione con la formazione dei modelli
operativi interni (Æ rappresentazioni mentali che comprendono le componenti emozionali e quelle
cognitive; una volta formati esistono al di fuori della coscienza; il loro sviluppo è modellato dalle
esperienze di ricerca vissute dal bambino; tendono ad essere stabili dopo il 1° anno di vita; hanno la
funzione di fornire delle regole che guidino il comportamento).
7) Attaccamento: le differenze individuali
MARY AINSWORTH (1978) ha messo a punto una procedura chiamata “Strange Situation” per
valutare la sicurezza del legame di attaccamento. La Strange Situation comprende 7 episodi:
1- Madre, bambino Æ il bambino esplora; la madre osserva
2- Madre, bambino, estraneo Æ l’estraneo entra; parla con la madre; gioca con il bambino
3- Estraneo, bambino Æ la madre esce; l’estraneo interagisce con il bambino
4- Madre, bambino Æ la madre torna e calma il bambino; esce l’estraneo
5- Bambino Æ la madre esce; il bambino rimane da solo
6- Estraneo, bambino Æ entra l’estraneo e interagisce con il bambino
7- Madre, bambino Æ la madre torna e calma il bambino; esce l’estraneo.
Uno dei limiti della Strange Situation è la sua applicabilità in un intervallo di tempo molto ridotto,
cioè intorno alla prima metà del 2° anno di vita; pertanto la stabilità a lungo termine è più difficile
da valutare.
Secondo la Ainsworth ci sono 3 tipi di attaccamento:
1- Sicuro Æ l’uscita della madre turba il bambino, che accoglie con entusiasmo il suo rientro.
2- Insicuro/evitante Æ il bambino evita il contatto con la madre, in particolare quando rientra dopo
un episodio di separazione. Non appare molto turbato quando viene lasciato solo con una persona
estranea.
3- Insicuro/resistente Æ il bambino è molto turbato dalla separazione dalla madre; quando ritorna,
risulta difficile consolarlo.
Secondo la Ainsworth il grado di sicurezza/insicurezza dell’attaccamento è determinato dalla
sensibilità mostrata dalla madre nel mettersi in relazione con il bambino durante i primi mesi di vita:
1- Sicuro Æ le madri di questi neonati sono in grado di recepire con facilità i segnali di
comunicazione e rispondono prontamente e in modo adeguato. Sono subito disponibili, affettuose e
ricettive negli scambi.
2- Insicuro/evitante Æ le madri di questi neonati tendono ad essere poco disponibili da un punto di
vista psicologico, non sono in sintonia con i segnali del bambino, sono chiuse e trascurano il
bambino.
3- Insicuro/resistente Æ le madri di questi neonati tendono ad essere poco disponibili, ma in modo
incostante: alcune volte rispondono positivamente e altre volte respingono il bambino quando chiede
attenzione.
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La formazione e la gestione dei legami di attaccamento non riguarda solo lo sviluppo durante
l’infanzia, ma costituisce un problema che interessa l’intero arco della vita.
MARY MAIN propone un modo per classificare la posizione dei genitori rispetto all’attaccamento:
- Autonomi: le persone in questa categoria parlano delle loro esperienze da bambini in modo aperto
e coerente, riconoscendo sia gli eventi e le emozioni positivi sia quelli negativi Æ ATTACCAMENTO
SICURO.
- Rifiutanti: queste persone sembrano volersi dissociare dalle caratteristiche emotive dell’infanzia,
non ammettendo le esperienze negative e il loro significato Æ ATTACCAMENTO
INSICURO/EVITANTE.
- Preoccupati: queste persone sono troppo coinvolte dai loro ricordi, e ne sono così sopraffate da
diventare incoerenti e confuse durante l’intervista Æ ATTACCAMENTO INSICURO/RESISTENTE.
4) SENSO DEL SÉ, SENSO DELL’ALTRO.
Per comprendere le esperienze avute durante le relazioni interpersonali, i bambini si aiutano creando
dei concetti sociali Æ strumenti che permettono di dare senso alle loro esperienze di incontro con gli
altri; queste rappresentazioni mentali sono evidenti già all’inizio del 2° anno di età. La formazione
del sé e del concetto dell’altro, invece, è un lungo processo evolutivo che continua per gran parte
dell’infanzia.
1) Il sé.
Permette all’individuo di adottare un particolare punto di vista da cui osservare il mondo, un
riferimento che media le esperienze sociali e che organizza il comportamento verso gli altri;
determina le modalità con le quali ognuno di noi costruisce la realtà.
JAMES Æ distinzione tra l’ ”Io” e il “me”:
- l’Io è il sé che apprende, quello che organizza e interpreta l’esperienza in maniera
soggettiva; è un qualcosa che ci distingue dagli altri e che ci dà una particolare identità
individuale;
- il me è il sé come conosciuto, cioè l’oggetto della nostra percezione quando contempliamo
noi stessi; è ciò che risulta dai nostri sforzi di autoconsapevolezza, incluse tutte le categorie
che usiamo per definire noi stessi.
LEWIS Æ ha evidenziato 2 aspetti del sé:
1- il sé esistenziale Æ è il primo ad apparire; permette di sentirsi una persona distinta da
tutte le altre e dotata di una propria continuità nel tempo; è già evidente a 3 mesi;
2- il sé categorico Æ appare durante il 2° anno di vita; è l’abilità dei bambini di definirsi
intermini di categorie, quali età, sesso e dimensioni.
Per riconoscere se stessi i bambini possono usare 2 tipi di indizi: gli indizi contingenti, derivati dal
fatto che l’immagine si muove con i movimenti propri del bambino e quindi dipende da essi, e gli
indizi morfologici, ossia le caratteristiche fisiche stabili come i lineamenti facciali e l’aspetto corporeo
che il bambino associa con se stesso. Una fonte di informazioni su queste manifestazioni del sé è il
modo in cui i bambini si comportano a seconda che il sé sia coinvolto oppure no.
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Il sé in forma implicita emerge già nei primi mesi di vita: il bambino impara che attraverso le sue
azioni può influire sugli oggetti e sul comportamento delle altre persone. La percezione di questo
fatto è derivata dall’interazione del bambino con le persone e gli oggetti.
Il sé specchio è il modo in cui gli altri ci vedono.
Il concetto di sé esprime la conoscenza soggettiva psicologica e fisica che gli individui hanno di se
stessi; è la risposta alla domanda “chi sono?”; il concetto di sé non è statico, è modificato dal
continuo processo di autosservazione; è influenzato dall’esperienza, dai successi e dai fallimenti.
2) La pubertà e il suo impatto sul sé.
All’inizio della pubertà, dal punto di vista cognitivo il bambino passa dallo stato delle operazioni
concrete a quello delle operazioni formali; l’aspetto fisico del bambino subisce notevoli e profonde
trasformazioni; le ragazze maturano prima dei ragazzi. Gli effetti psicologici di una maturazione
precoce o tardiva hanno costituito parte di una ricerca sulla crescita condotta presso l’Università di
California. I ragazzi con maturazione precoce hanno dei vantaggi rispetto a quelli con maturazione
tardiva: ci sono più probabilità che vengano trattati sia dagli adulti sia dai coetanei come persone
responsabili.
3) L’autostima.
L’autostima è il sentimento che ogni individuo ha del proprio valore e della propria capacità;
rappresenta l’aspetto valutativo del sistema del sé e si riferisce all’immagine di un sé ideale che tutti
possediamo. Un cambiamento nell’autostima solitamente coinvolge la crisi di identità che viene
vissuta da molti adolescenti nel momento in cui si sentono incerti sul presente e sul futuro e, di
conseguenza, cercano di rivalutare la loro identità personale e i loro traguardi.
ERIKSON Æ la diminuzione dell’autostima durante le prime fasi dell’adolescenza è un fenomeno
descritto comunemente e rappresenta una reazione a un cambiamento del proprio corpo.
I ragazzi con molta stima di sé hanno genitori che li accettano totalmente. Il comportamento dei
genitori non è l’unica causa delle differenze individuali nell’autostima, deve anche essere considerato
il rapporto tra l’autostima dei ragazzi e le fonti di sostegno sociale; anche i fattori genetici svolgono
un ruolo significativo: le caratteristiche innate dei bambini si intrecciano con alcune esperienze di
vita e producono una particolare percezione di sé. I bambini maltrattati manifestano vari disturbi
psicologici più o meno profondi, tra questi troviamo una diminuzione dell’autostima.
4) Il sé emotivo.
Gli studi sulle mozioni riferite direttamente a se stessi, come la vergogna e l’orgoglio, possono
aiutarci a spiegare il modo in cui si sviluppa la consapevolezza di sé negli adolescenti e il loro
relativo ruolo nella regolazione del comportamento. La comparsa delle emozioni riferite al sé avviene
verso la fine del 2° anno.
LEWIS Æ ci sono 2 capacità cognitive che sono prerequisiti per la comparsa dell’orgoglio e della
vergogna:
1- la capacità di una consapevolezza oggettiva di sé;
2- la capacità di riconoscere e di mantenere dei modelli di comportamento.
Dopo i 2 anni i bambini mostrano sempre più il bisogno dell’approvazione dell’adulto; verso la fine
del periodo prescolare diventano gradualmente più autonomi: il giudizio su di sé non dipende più
interamente dalle reazioni di un adulto. In conclusione, inizialmente la soddisfazione di sé è
strettamente dipendente dal modo in cui le altre persone si rapportano al bambino, ma con l’età
diventa evidente una tendenza sempre maggiore verso l’autostima. Inizialmente il sé è soprattutto
un’entità socialmente costruita; a tempo debito raggiunge un certo grado di autonomia. Il senso del
sé e il senso dell’altro emergono nello stesso periodo e derivano da interazioni sociali; compaiono
come sviluppi paralleli.
5) La descrizione delle persone.
Fino a circa 7 anni i bambini descrivono gli altri in termini di caratteristiche esteriori; dai 7-8 anni in
poi, nel descrivere gli altri, i bambini hanno un uso spiccato di termini legati a particolari tratti
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(timido, intelligente, ansioso…), si rendono conto che esistono anche qualità psicologiche; nella
prima adolescenza le descrizioni degli altri diventano molto più sofisticate, compaiono termini
qualificanti come “qualche volta” o “del tutto”, le persone sono valutate in termini comparativi, sia in
relazione ad altre persone, sia ad un modello generale.
I confronti comportamentali, la categoria più frequente all’età di 6 anni, diventano ancor più
frequenti fino agli 8 anni, ma successivamente diminuiscono. Le interpretazioni psicologiche,
all’inizio virtualmente assenti, cominciano ad aumentare vistosamente dai 7 anni in poi, divenendo,
dopo i 9 anni, il modo più comune di descrivere gli altri. I raffronti psicologici rimangono scarsi fino
ai 10 anni e cominciano ad apparire più frequentemente in seguito.
Empatia = reattività emozionale mostrata da una persona verso i sentimenti provati da un’altra.
HOFFMAN (1988) parla di 4 tipi di empatia:
1- Empatia globale Æ nel 1° anno di vita i bambini sono in grado di identificarsi con
l’emozione a cui assistono; l’emozione è involontaria e indifferenziata;
2- Empatia egocentrica Æ dal 2° anno in poi i bambini offrono attivamente aiuto; il tipo di
aiuto offerto consiste in ciò che essi stessi desidererebbero come conforto;
3- Empatia per i sentimenti altrui Æ nel 3° anno di età i bambini acquistano la
consapevolezza che i sentimenti degli altri possono essere diversi dai propri;
4- Empatia per la condizione esistenziale degli altri Æ nella prima adolescenza i bambini si
rendono conto che i sentimenti degli altri hanno origine dalle loro condizioni di vita
permanenti.
FESHBACH (1987) Æ 3 componenti concorrono a formare l’empatia: (1) la facoltà del bambino di
provare emozioni, (2) la facoltà cognitiva di distinguere le emozioni degli altri, (3) le capacità
cognitive più mature insite nella possibilità di accettare il punto di vista e il ruolo delle altre persone.
6) La teoria della mente nei bambini.
A 4 anni i bambini cominciano a capire che lo stesso mondo può essere avvertito in modi diversi da
persone differenti. La capacità di immaginare degli stati mentali negli altri è stata considerata come
la prova che i bambini possiedono una “teoria della mente” Æ consente al bambino di spiegare
eventi visibili (le azioni delle persone) postulando l’esistenza di entità invisibili (convinzioni,
desideri…). L’acquisizione di una teoria della mente è subordinata ai seguenti sviluppi:
1- l’autoconsapevolezza;
2- la capacità di fingere;
3- la capacità di distinguere la realtà dalla finzione.
7) Sviluppo del ruolo sessuale.
Alla fine della prima infanzia i bambini sono già in grado di distinguere i volti a seconda del sesso;
dai 2 anni in poi identificano verbalmente se stessi e gli altri come maschi o femmine; verso i 3 anni
preferiscono giocare con i coetanei dello stesso sesso; intorno ai 4 anni i bambini iniziano a
sviluppare alcuni rigidi stereotipi riguardo a quale professione o mestiere sia giusta per i maschi e
per le femmine; dai 5 anni associano alcune caratteristiche della personalità ai maschi e altre alle
femmine.
Le ricerche sullo sviluppo dei ruoli sessuali si sono concentrate prevalentemente in 3 aree:
preferenze per particolari giocattoli e attività di gioco, sviluppo di caratteristiche della personalità e
scelta dei compagni di gioco. Alcuni studi hanno riscontrato la tendenza delle femmine a ritardare,
rispetto ai maschi, la scelta orientata sessualmente dei giocattoli.
I concetti di genere, legati cioè al rendersi conto che le persone si dividono in maschi o femmine,
fanno la loro prima comparsa nel 2° anno, ma non completano il loro sviluppo per parecchi anni;
implicano 3 aspetti:
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1- l’identità di genere = (dai 18 mesi) capacità di classificare se stessi e gli altri come maschi o
femmine;
2- la stabilità di genere = compare quando il bambino realizza che il sesso rimane invariato per tutta
la vita;
3- la costanza di genere = la realizzazione che la mascolinità e la femminilità non cambiano
nonostante le modificazioni nelle apparenze (coiè, una femmina resta tale anche quando si taglia i
capelli corti).
La conoscenza del ruolo sessuale è dimostrata dallo sviluppo di concetti e stereotipi sul modo in cui
si suppone debbano essere i maschi e le femmine e su quali attività dovrebbero intraprendere.
1) Teoria dell’apprendimentoÆspiega la tipizzazione sessuale in termini di principi di rinforzo: il
comportamento adatto al proprio sesso viene punito, mentre quello inadatto viene punito. Il 1°
viene appreso e memorizzato, mentre il 2° viene dimenticato.
2) Teoria dell’apprendimento socialeÆconsidera l’imitazione come il meccanismo più importante; si
ritiene che i bambini imparino quali siano i rispettivi ruoli dei 2 sessi osservando l’esempio degli
adulti e dei coetanei.
3) Teoria cognitivo-ontogeneticaÆè la presa di coscienza che il sesso è costante.
5) FAMIGLIE, GENITORI E SOCIALIZZAZIONE.
La famiglia è il primo e il più importante contesto per la crescita fisica e psicologica del bambino, è
l’ambito ideale per l’educazione e per l’istruzione alla socializzazione.
Principi della teoria dei sistemi:
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- un sistema è un insieme organizzato che ha dimensioni maggiori della somma delle sue
componenti; le sue proprietà non possono perciò essere comprese semplicemente studiando il
funzionamento delle singole componenti; l’attenzione deve essere posta anche sulla totalità.
- i sistemi complessi sono costituiti da sottoinsiemi tra loro correlati.
- all’interno di un sistema il pattern dell’influenza è circolare Æ tutte le componenti sono
reciprocamente dipendenti, si influenzano reciprocamente.
- i sistemi che interessano gli psicologi sono aperti, ovvero sono influenzati da ogni sorta di stimolo
esterno.
Una famiglia può essere considerata come un insieme integrato composto da 2 tipi di componenti: i
singoli membri e le relazioni che si stabiliscono tra loro.
Il comportamento del bambino influenza il comportamento dei genitori, che a loro volta possono
influenzarlo.
I figli di genitori caratterizzati da scarso accordo coniugale hanno più di frequente, rispetto ai
bambini provenienti da coppie con un buon livello di accordo coniugale, un legame di attaccamento
insicuro verso gli stessi genitori. La qualità del rapporto coniugale è legata agli aspetti relativi al
ruolo paterno piuttosto che materno: quando il matrimonio mostra segni di deterioramento, il
comportamento del padre nei confronti del bambino diviene più negativo e invadente, e il bambino
disubbidisce al padre sempre più frequentemente. La relazione madre-bambino mostra invece poche
difficoltà.
Le famiglie sono sistemi aperti influenzati da eventi esterni; la famiglia è un’entità dinamica
perfettamente in grado di adattarsi a circostanze mutevoli. La transizione alla paternità è un periodo
che può alterare in modo pronunciato il comportamento dei membri della famiglia e le loro relazioni.
Gli adattamenti che devono essere messi in atto sono: le richieste fisiche esercitate dal piccolo, le
limitazioni nelle altre opportunità, le tensioni nella relazione coniugale. Un nuovo matrimonio
comporta solitamente dei considerevoli effetti benefici dai quali traggono profitto anche i bambini Æ
diminuiscono i livelli di solitudine, di ansia, le preoccupazioni economiche e la disorganizzazione
domestica, mentre aumentano i momenti di felicità.
I 3 obiettivi di base che tutte le famiglie perseguono nell’educare i figli sono:
1. sopravvivenza = assicurare che il figlio rimanga in buona salute abbastanza a lungo per potersi
riprodurre;
2. benessere economico = aiutare il bambino ad acquisire le capacità e le conoscenze necessarie per
essere economicamente autosufficiente da adulto;
3. autorealizzazione = promuovere e sostenere le facoltà necessarie a interiorizzare valori culturali
come quelli concernenti la moralità, il prestigio e la realizzazione personale.
Ogni specie è dotata di particolari meccanismi per mezzo dei quali i genitori forniscono alla propria
prole le cure opportune. Gli stili educativi-genitoriali si classificano in base a 2 dimensioni:
1. Permissività/severità: si riferisce alla libertà che i genitori lasciano ai loro bambini;
2. Sollecitudine/ostilità: descrive la quantità di affetto che i genitori mostrano ai loro figli.
Lo schema di classificazione degli stili genitoriali:
- funzione genitoriale autoritaria Æ questi genitori raramente sollecitano l’opinione del bambino,
raramente apprezzano o mostrano piacere per i risultati che ottiene;
- funzione genitoriale permissiva Æ caratterizzata da amore e affetto ma anche dall’esercizio di un
controllo piuttosto limitato; questi genitori richiedono meno risultati ai loro figli e tendono ad essere
poco coerenti in merito alla disciplina;
- funzione genitoriale autorevole Æ questi genitori, pur esercitando un risoluto controllo sul
bambino, usano maniere non punitive, incoraggiando gli scambi verbali e rispettando i desideri del
bambino;
- funzione genitoriale trascurante e di rifiuto Æ questi genitori non sono né ricettivi né esigenti nei
confronti dei loro bambini.
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I padri adottano una modalità di interazione con i loro bambini considerevolmente più fisica e attiva
di quella adottata dalle madri; le madri, invece, sono più delicate, meno brusche, tendono a fare un
uso maggiore di giocattoli durante il gioco e usano preferibilmente forme di interazione verbale
piuttosto che fisica.
1) Deficit nella funzione genitoriale.
Ogni tentativo di comprensione delle cause del comportamento patologico nella funzione genitoriale
può essere avviato con la seguente classificazione, relativa alle influenze che in generale modellano
il comportamento dei genitori:
1. Le caratteristiche dei genitori rappresentano il contributo che essi portano nell’interazione con il
bambino; per lungo tempo si è ritenuto che un bambino accudito n modo inadeguato dai genitori
diventasse anch’egli un genitore inadeguato; le prove a sostegno di questo punto di vista sono assai
scarse.
2. Le caratteristiche del bambino giocano un ruolo non secondario nell’influenzare la correttezza
della funzione genitoriale, in quanto alcuni bambini sono più difficili da educare rispetto ad altri.
3. Il contesto sociale della relazione: i genitori che ricevono un maggiore supporto interagiscono con
i loro bambini con più calore e coerenza.
2) I processi di socializzazione.
La socializzazione si riferisce ai processi per mezzo dei quali i modelli di ciascuna società sono
trasmessi da una generazione alla successiva. I modelli di socializzazione dei bambini:
- il modello del “laissez-faire” Æ il compito dei genitori è di limitare se stessi al fornire un ambiente
estremamente permissivo nel quale i bambini possano mostrare il loro potenziale;
- il modello dello stampo d’argilla Æ considera il bambino come un essere che nasce completamente
da formare, come un pezzo di plastilina che gli adulti possono lavorare a loro piacimento; i bambini
vengono considerati esseri passivi;
- il modello della conflittualità Æ i bambini non sono soggetti passivi, fin dall’inizio hanno propri
desideri e speranze che li spingono a comportarsi in determinati modi;
- il modello della reciprocità Æ i bambini hanno una parte attiva nella propria crescita, una visione
del bambino come partecipante è più appropriata.
VYGOTSKIJ ha proposto la zona di sviluppo prossimale per definire l’ambito nel quale la guida
dell’adulto ha maggiori probabilità di essere efficace.
Il gioco nell’infanzia è generalmente di natura sensomotoria, successivamente diviene funzionale,
alla fine diventa simbolico.
6) DAL CONTROLLO DELL’ALTRO
AL CONTROLLO DI SÈ.
Nello sviluppo i bambino devono imparare ad assumersi la responsabilità del proprio
comportamento; all’inizio devono confidare sulla presenza di altri che mettano in atto al loro posto
delle funzioni di regolazione. Nella prima fase che abbraccia i primi 2 o 3 mesi di vita, il problema
della regolazione implica salvaguardare il bambino da stimolazioni troppo forti che potrebbero avere
un effetto di attivazione eccessiva. Tra i 3 e 9 mesi il bambino ha necessità di imparare il modo in
cui adattare il proprio comportamento alle circostanze esterne.
L’obbedienza diviene possibile alla fine del primo anno di vita, quando i bambini cominciano a
compiere le prime scelte intenzionali. La disobbedienza precoce può essere l’inizio di una catena di
eventi che includono interazioni familiari coercitive, scarse relazioni tra coetanei, delinquenza e vari
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problemi di condotta negli anni successivi; durante i primi 3 anni di vita la disobbedienza può essere
manifestata come negazione.
Strategie di disobbedienza dei bambini:
- Disobbedienza passiva: il bambino ignora le direttive della madre.
- Rifiuto semplice: chiaro rifiuto a obbedire; espresso verbalmente oppure non verbalmente.
- Sfida diretta: opposizione verbale e non verbale, accompagnata da rabbia.
- Scuse: spiega il perché disobbedisce.
- Contratta: tentativo di cambiare o limitare i termini delle direttive.
- Negozia: contratta e cerca scuse.
1) L’apprendimento delle regole sociali.
I bambini non agiscono solo in accordo con i desideri degli adulti; essi cercano anche di dare un
senso alle richieste che vengono loro fatte. Durante il 2° anno di vita i bambini diventano coscienti
che loro, gli altri e anche gli oggetti fisici devono corrispondere a particolari modelli normativi.
L’acquisizione dell’idea di standard implica la capacità del bambino a operare un confronto mentale
tra “come” e “come dovrebbe essere”. La richiesta del “perché”, quando gli viene domandato di fare
qualcosa, significa che per i bambini non è più sufficiente accettare le indicazioni in modo
superficiale ma hanno bisogno di ricercare gli elementi di base che legano ciascuna indicazione a un
significato sociale. dall’età di 4 anni il bambino ha appreso che il comportamento è regolato da
norme sociali.
2) Il contributo dei fratelli.
Se i fratelli tendono ad avere età molto vicine, è un vantaggio per la costruzione delle regole. Ciò
che distingue in generale le relazioni tra fratelli è una miscela di complementarietà e reciprocità.
Il caso dei fratelli con handicap: il bambino normale deve sempre assumere il ruolo del primogenito,
iniziando le interazioni, mettendo in atto un esempio e in generale agevolando e dirigendo l’altro
fratello.
I principi morali vengono acquisiti perché i bambini percepiscono che certe azioni hanno sugli altri
conseguenze dannose. Le regole morali sono considerate molto più vincolanti e la loro trasgressione
molto più seria rispetto a quanto accade nel caso delle regole sociali. La distinzione diventa evidente
a circa 3 anni.
Il 2° anno di vita è il momento in cui possono venir riscontrati i primi segni riconoscibili di empatia e
anche il momento in cui i bambini iniziano ad agire con in mente dei chiari propostiti altruistici. La
preoccupazione per gli altri è riscontrabili all’inizio del 2° anno.
Alcuni tipi di comportamento genitoriale risultano associati allo sviluppo delle tendenze prosociali dei
bambini:
1. la comunicazione di principi e regole chiari;
2. l’enfasi emotiva dei genitori;
3. l’attribuzione di qualità prosociali al bambino;
4. gli esempi dei genitori;
5. la cura empatica del bambino.
3) Aggressività.
L’aggressività è un comportamento progettato al fine di arrecare un danno ad altri; l’intenzione di
recare danno deve esserne una caratteristica essenziale; comprende espressioni corrucciate e fisse,
colpi, spinte e strattoni. 2 tipi di aggressività (la distinzione dipende dall’intenzione dell’individuo):
1. aggressività ostile = atti per i quali l’obiettivo principale è di infliggere danno o ferite alla vittima;
2. aggressività strumentale = azioni aggressive nella forma che possono danneggiare un’altra
persona, ma sono motivate da ragioni non aggressive.
Possiamo riassumere le modificazioni ontogenetiche nell’aggressività sotto 4 categorie:
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a. Quantità: diminuzione dell’aggressività negli scambi tra bambini con l’aumentare dell’età;
b. Tipo: con il crescere i bambini tendono ad esprimere l’aggressività più in forma verbale piuttosto
che fisica;
c. Cause di comparsa: i conflitti che caratterizzano i bambini molto piccoli si svolgono principalmente
con gli altri bambini e riguardano fondamentalmente il possesso dei giocattoli;
d. Cognizione: il crescente coinvolgimento cognitivo porta con sé un maggior controllo del
comportamento.
Nel tentativo di comprendere come i bambini elaborano le informazioni e come selezionano le
risposte nelle situazioni che possono provocare comportamenti aggressivi, Dodge ipotizzò che non è
la situazione in sé a dover essere considerata ma l’interpretazione che di essa dà l’individuo
(soggetti diversi possono percepire lo stesso stimolo come ostile o innocuo) Æ il modello di
elaborazione delle informazioni di Dodge (fasi):
1. codifica dell’informazione ricevuta
2. interpretazione (dare un senso)
3. ricerca di risposta
4. decisione sulla risposta
5. emissione della risposta.
QUALI SONO LE ORIGINI DELL’AGGRESSIVITA’?
(1) La teoria dell’istinto di Freud Æ l’aggressività deriva da una tendenza innata a distruggere; Freud
la definiva istinto di morte; un modo di controllare l’aggressività è attuato attraverso il processo di
catarsi, ovvero fornendo agli individui l’opportunità di scaricare l’eccesso di energia attraverso
modalità non dannose.
(2) La teoria etologica di Lorenz Æ l’aggressività possiede un valore evolutivo nell’assicurare che il
più forte e il più adatto sopravvivono.
(3) L’ipotesi dell’aggressività-frustrazione Æ considera l’aggressività come una conseguenza della
frustrazione.
(4) La teoria dell’apprendimento sociale di Bandura Æ l’aggressività è un tipo di comportamento
sociale che viene acquisita attraverso l’apprendimento diretto (con i rinforzi) o l’osservazione.
Caratteristiche dei genitori associate ad alti livelli di aggressività nei bambini:
- Rifiuto da parte dei genitori
- Permissività dei genitori
- L’esempio dei genitori
- La punitività dei genitori
- Il rinforzo dell’aggressività da parte dei genitori.
Ogni atto aggressivo può essere visto come un tentativo di bloccare il comportamento nocivo
dell’altra persona, ma per mezzo del quale ottiene generalmente l’effetto opposto. In particolare la
violenza raffigurata in televisione è stata considerata come una delle possibili cause, specialmente
nel caso in cui i bambini tendono a trascorrere una larga parte del loro tempo guardando i
programmi televisivi.
PIAGET propone una teoria sul modo in cui il pensiero si trasforma nel corso dello sviluppo; era
particolarmente interessato al ruolo che l’intenzione gioca nel pensiero dei bambini sulla
trasgressione morale. Nei primi 4 anni di vita i bambini sono ancora in un periodo premorale ed
hanno scarsa coscienza di cosa sia una regola e a cosa serva. Dopo i 4-5 anni le idee dei bambini
diventano più sistematiche; essi entrano nella fase del realismo morale (= i giudizi tendono a essere
basati sul danno reale o oggettivo che è stato compiuto). All’età di 9-10 anni diventano capaci di
soggettivismo morale; cominciano a comprendere che le regole sono degli accordi arbitrari che
possono essere sfidati e cambiati di comune accordo.
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La progressione dei bambini lungo questa sequenza di stadi è determinata da 2 fattori: le loro
capacità cognitive (si riferiscono all’egocentrismo) e la loro esperienza sociale.
KOHLBERG estende lo sviluppo morale fino all’età adulta. La moralità è quanto gli altri dicono al
bambino di fare. La moralità preconvenzionale domina in tutta la prima e media infanzia; la moralità
convenzionale prende corpo nella media adolescenza e rimane la norma per la maggioranza degli
adulti; la moralità postconvenzionale dà la precedenza ai principi etici personali rispetto alle
convenzioni sociali, è rara perfino tra gli adulti intelligenti.
4) Lo sviluppo morale dei delinquenti minorili.
I delinquenti mostrano una maggiore tendenza ad usare ragionamenti preconvenzionale; i loro
concetti di giusto e sbagliato, diversamente dal caso dei giovani non delinquenti, tendono a essere
associati con un’autorità esterna piuttosto che rappresentare il frutto di una convinzione interiore.
Una mancanza nella sola comprensione morale non è in grado di spiegare il comportamento
delinquenziale.
5) Aspetti del comportamento indice di interiorizzazione.
- il bambino è in grado di resistere alla tentazione anche quando l’adulto è assente;
- il bambino mostra segni di vergogna e imbarazzo dopo aver trasgredito;
- il bambino si offre di riparare alle sue malefatte;
- il bambino confessa e accetta le sue responsabilità per il misfatto;
- il bambino adotta spontaneamente un atteggiamento morale “corretto”, pagandone perfino i costi.
7) INFLUENZE EXTRAFAMILIARI.
Dopo i primi anni di vita, oltre a quello della famiglia, vi possono essere delle circostanze nelle quali
altri tipi di contesti saranno chiamati a giocare un ruolo che può essere altrettanto importante a
quello della famiglia.
1) Le relazioni con i coetanei.
Vi sono due tipi di relazioni:
- Relazioni verticali: sono quelle che vengono a formarsi con una persona che ha una conoscenza e
un potere superiori a quelli del bambino, e permettono ad esso di acquisire conoscenze e capacità;
esempio la relazione insegnante- bambino.
- Relazioni orizzontali: sono quelle che il bambino ha con persone che possiedono lo stesso livello di
potere sociale; permettono al bambino di apprendere le abilità che possono essere acquisite solo tra
pari come, per esempio, la cooperazione e la competizione.
Durante il corso dello sviluppo il contatto dei bambini con i coetanei aumenta in modo graduale,
mentre quello con gli adulti diminuisce. I gruppi di coetanei sono diventati importanti soprattutto con
l’ introduzione della scuola dell’ obbligo. Le relazioni con i coetanei seguono una precisa sequenza
legata allo sviluppo e mostrano caratteristiche specifiche a seconda della fascia di età considerata:
1. La prima infanzia: già a partire dai 3 mesi il neonato mostra un interesse per gli altri bebè e tende
ad osservarli per periodi di tempo maggiori di quanto riservi all’adulto; verso la seconda metà del 1°
anno emerge il comportamento interattivo.
2. Il periodo dei primi passi: dal 2° anno di età le interazioni con i coetanei sono più frequenti e più
complesse.
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3. Il periodo prescolare: il bambino è in grado di comunicare dei significati e di condividere le
conoscenze rispetto alle attività intraprese.
4. L’infanzia: aumentano le possibilità d’interazione con i coetanei e diventano più marcate.
5. L’adolescenza: dato che costituisce una fase di transizione verso la società adulta, il tipo di
relazioni che vengono stabilite in questo periodo possono fungere da prototipo per le relazioni
future.
I bambini poco graditi appartengono a 2 categorie distinte, quella dei bambini rifiutati e dei bambini
ignorati: i bambini ignorati, se trasferiti in un gruppo diverso possono essere accettati dai nuovi
compagni, mentre, al contrario, i bambini rifiutati tendono a rimanere tali e ad avere una percezione
di sé negativa.
Le amicizie sono contesti all’interno dei quali i bambini acquisiscono o elaborano competenze sociali
basilari; forniscono al bambino la conoscenza di sé come la conoscenza degli altri e del mondo;
danno un supporto emotivo in caso di stress; sono i precursori di relazioni successive. Dai 12 anni le
amicizie vengono considerate come possibilità di scambiarsi segreti, di avere sentimenti in comune e
di poter ricevere un aiuto in caso di un problema psicologico. APPRENDIMENTO COLLABORATIVO = è
la possibilità che i bambini si forniscano reciprocamente un contributo significativo allo sviluppo
intellettuale; 3 tipi:
1. Educazione di un coetaneo Æ un bambino aiuta l’altro fornendogli istruzioni e linee giuda; il
bambino-istruttore è spesso più grande del bambino che apprende.
2. Apprendimento collaborativo Æ i bambini vengono organizzati da un educatore in gruppi, a
ognuno dei quali viene assegnato un problema/compito da risolvere collettivamente.
3. Collaborazione tra coetanei Æ i 2 coetanei hanno lo stesso livello d’ignoranza sul compito da
eseguire; non c’è un istruttore che possa trasmettere delle conoscenze ad un allievo; è richiesta una
ristrutturazione mentale, in quanto il bambino deve coordinare le sue idee con quelle del partner.
2) L’interfaccia tra le relazioni con i coetanei e le relazioni con i genitori.
Esiste una distinzione da operare quando si cerca di comprendere quali legami esistono tra i 2
contesti, genitoriale e gruppo di amici; vanno differenziate le influenze dirette (sono legate ai
genitori in quanto educatori e gestori delle attività del bambino con i compagni; il genitore cerca in
modo esplicito di guidare il figlio verso alcuni tipi d’interazione facilitando i tentativi messi in atto dal
bambino per entrare a far parte della cultura dei coetanei) da quelle indirette (esercitate dal gruppo
di amici; possono esprimersi in diversi modi, ma in genere sono basate sull’assunto che la qualità
delle cure genitoriali ricevute all’interno della famiglia influenzerà la qualità delle relazioni del
bambino con i coetanei). Le esperienze in un contesto sono in grado di influenzare quanto accade in
altri contesti. Le principali caratteristiche che sembrano essere in grado di promuovere le
competenze del bambino sono:
- il calore dei genitori
- il controllo dei genitori
- il coinvolgimento genitoriale
- un atteggiamento democratico.
BRONFENBRENNER Æ teoria dei sistemi ecologici: sottolinea che lo sviluppo dei bambini può essere
compreso solo se viene messo in relazione con le condizioni ambientali da loro sperimentate sia
direttamente che indirettamente; nel modello ecologico di Bronfenbrenner possono essere
individuati 4 strati diversi:
1. i microsistemi: corrispondono al contesto immediato all’interno del quale si svolge la vita del
bambino;
2. i mesosistemi: si riferiscono ai legami esistenti tra i diversi microsistemi; es. tra famiglia e gruppo
di coetanei;
3. gli esosistemi: rappresentano i contesti ai quali i bambini non partecipano direttamente ma che
sono in grado di influire sulle condizioni vigenti all’interno dei microsistemi;
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4. i macrosistemi: costituiscono il livello finale; sono i più distanti dall’esperienza diretta del
bambino.
3) Le minoranze etniche.
Gli studi sulla funzione genitoriale nelle famiglie povere hanno attirato l’attenzione su 3 aspetti:
a- un’aspra disciplina
b- una sorveglianza inadeguata (poco costante)
c- legami di attaccamento deboli.
Nel processo in cui i bambini sviluppano un senso di identità etnica sono coinvolte numerose
componenti:
1)identificazione
2) valutazione
3) senso di appartenenza
4) coinvolgimento etnico.
Fasi nella formazione del senso d’identità etnica durante l’adolescenza:
1) l’identità etnica non viene considerata (preadolescenza) Æ i concetti legati all’etnia non vengono
esplorati
2) ricerca dell’identità etnica (prima adolescenza) Æ si cerca di comprendere cosa significa “etnia”
3) raggiungimento dell’identità etnica (tarda adolescenza) Æ sensazione chiara e sicura di
appartenenza ad un gruppo etnico.
8) L’ESPERIENZA SOCIALE E LE SUE CONSEGUENZE.
Esiste un’evidente continuità tra le prime esperienze e gli eventi successivi; i traumi verificatisi
durante l’infanzia determinano effetti irreversibili che si manifestano nell’età adulta.
FREUD Æ ipotesi del periodo critico: i periodi critici rappresentano delle fasi dello sviluppo in cui si
riscontra la massima suscettibilità a certi tipi di influenza; è preferibile il termine periodo sensibili.
BOWLBY Æ ha suggerito che l’opportunità di instaurare l’attaccamento deve verificarsi in un periodo
strettamente delimitato; esiste un periodo critico nei primi 2 anni e mezzo Æ qualunque cosa accada
o non accada allora, influenzerà l’individuo per sempre.
L’esperienza traumatica deve essere considerata nel contesto della qualità della vita dei bambini nel
corso degli anni. le esperienze negative di lunga durata non producono necessariamente effetti
irreversibili. La perdita della madre durante l’infanzia predispone l’individuo a cadere in depressione
negli anni successivi solo se tale perdita è seguita da una carenza di adeguate cure genitoriali;
sarebbe a dire che l’evento specifico assume importanza solo se porta il bambino ad una situazione
insoddisfacente di natura cronica.
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