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ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 1-2
INDICE
Editoriale
Editorial
M.L Fioravanti..…………………………………………………………….
ITTIOPATOLOGIA
Pubblicazione quadrimestrale
Rivista ufficiale della
Società Italiana di Patologia Ittica
Direttore responsabile:
Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti
Responsabile scientifico:
Dott. Marino Prearo
c/o Laboratorio Specialistico di
Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e
Valle d’Aosta
Via Bologna, 148
10154 Torino
Tel.: 011-2686251
Fax: 011-2474458
E-mail: [email protected]
Comitato scientifico:
Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti
Prof. Francesco Quaglio
Prof. Pietro Giorgio Tiscar
Segreteria S.I.P.I.:
Dott. Marino Prearo
Istituto Zooprofilattico Sperimentale
del Piemonte, Liguria e Valle
d’Aosta
Via Bologna, 148 – 10154 Torino
Tel.: 011-2686251
Fax: 011-2474458
E-mail: [email protected]
pag. 3
MONOGRAFIE
Patologie dei gamberi d’acqua dolce. Malattie infettive e
di origine micotica
Pathology of freshwater crayfish. Infectious and mycotic
diseases
F. Quaglio, A. Gustinelli, A. Manfrin ..…………………………....………
pag.
5
Esposizione sperimentale a nonilfenolo di giovanili di
tinca (Tinca tinca, Linnaeus 1758): rilievi istologici e
determinazione del livelli tiroidei
Experimental exposure of juvenile tench (Tinca tinca,
Linnaeus 1758) to nonylphenol: histological evaluation and
thyroid hormone levels determination
R. Sirri, L. Mandrioli, O. Mordenti, A. Parmeggiani, D. Scaravelli,
A. Zaccaroni …………………………………………………...……...…
pag. 53
Rilievi istopatologici in corso di infezione spontanea da
Enteromyxum leei in sarago pizzuto (Diplodus puntazzo,
Cetti 1777)
Histopathological
surveys
during
spontaneous
Enteromyxum leei infection in sharpsnout seabream
(Diplodus puntazzo, Cetti 1777)
P. Beraldo, D. Volpatti, C. Bulfon, M.L. Fioravanti, M. Galeotti …….……
pag. 63
Effetto virucida di un disinfettante commerciale contro
Betanodavirus
Evaluation of in vitro virucidal activity of a commercial
disinfectant against Betanodavirus
S. Ciulli, E. Volpe, M. Grodzki …………..………………………………...
pag. 79
Norme per gli autori
Instructions to authors
pag. 88
Autorizzazione:
Tribunale di Udine n° 10 del 27
marzo 1990
Codice ISSN:
ISSN 1824-0100
Tipografia:
Sistem Copy S.a.s.
Via Emilia, 47 – 40064 Ozzano
Emilia (BO)
Foto di copertina:
Ulcere brunastre nell’esoscheletro di
Austropotamobius pallipes o “Burn
spot Disease”.
Foto da Quaglio et al., 2011.
1
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 1-2
Referees:
Abete Maria Cesarina
Agnetti Francesco
Beraldo Paola
Bossù Teresa
Bovo Giuseppe
Bozzetta Elena
Caffara Monica
Ceschia Giuseppe
Ciulli Sara
Colorni Angelo
D’Amelio Stefano
Di Guardo Giovanni
Dörr Ambrosius Josef Martin
Elia Antonia Concetta
Figueras Antonio
Fioravanti Maria Letizia
Florio Daniela
Galeotti Marco
Galuppi Roberta
Ghittino Claudio
Guandalini Emilio
Gustinelli Andrea
Malvisi Josè
Manfrin Amedeo
Marcer Federica
Marino Giovanna
Mattiucci Simonetta
Merella Paolo
Mutinelli Franco
Quaglio Francesco
Regoli Francesco
Romalde Jesus Lopez
Rubini Silva
Salati Fulvio
Scapigliati Giuseppe
Tampieri Maria Paola
Tiscar Pietro Giorgio
Volpatti Donatella
Zaghini Anna
Zanoni Renato Giulio
2
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 3-4
Editoriale
Editorial
Maria Letizia Fioravanti
Direttore responsabile della Rivista ITTIOPATOLOGIA
______________________________
Cari Soci,
l’uscita di questo volume di ITTIOPATOLOGIA rappresenta un evento carico di cambiamenti
non solo per il percorso storico della rivista, ma anche per quello della SIPI stessa.
Innanzitutto è dal presente volume che la sottoscritta ne rappresenterà il Direttore
Responsabile in sostituzione del Dr. Giuseppe Ceschia che, dopo esser stato dapprima
instancabile Direttore Responsabile e Responsabile Scientifico del Bollettino della Società
Italiana di Patologia Ittica, dal 2004 è divenuto Direttore Responsabile di ITTIOPATOLOGIA a
fianco del Dr. Marino Prearo, attivissimo Responsabile Scientifico. Come sappiamo tutti,
dopo anni di militanza nel campo dell’ittiopatologia e della SIPI, dal 2010 il Dr. Ceschia è
ormai in pensione ed è apparso quindi opportuno alleggerirlo anche di questa funzione.
Cercherò quindi di sostituirlo degnamente, e proprio per tale motivo mi sento in dovere di
fare subito alcune considerazioni “alla Ceschia”: la sopravvivenza di Ittiopatologia - non
solo come rivista ufficiale della SIPI, ma anche come unica rivista specialistica nazionale
operante nel campo della sanità degli organismi acquatici - è strettamente legata alla
generosità ed alla prolificità letteraria di tutti voi Soci che rappresentate, oltre che i fruitori,
anche i fornitori primari di prodotti scientifici nel settore.
A tal proposito, come potete notare, questo volume 2011 esce come fascicolo unico.
Questa decisione, presa di comune accordo dalla sottoscritta e dal Dr. Prearo, rappresenta
una soluzione all’esiguità di lavori scientifici che pervengono all’editore per la pubblicazione
su ITTIOPATOLOGIA e che causa spesso un forte rallentamento, o perlomeno un’estrema
discontinuità, nella pubblicazione dei fascicoli della rivista.
La decisione di far uscire un fascicolo unico del volume 2011 nasce però anche da un altro
motivo: come approvato dall’Assemblea dei Soci, a partire dal 2012 la pubblicazione di
ITTIOPATOLOGIA avverrà solo in formato elettronico. Andava quindi superato il ritardo
“cronico” che caratterizzava ormai la rivista in formato cartaceo, in modo da poterne
intraprendere la pubblicazione on-line con idonei presupposti di periodicità e puntualità.
Anche in questo caso, il vostro contributo sarà determinante, in quanto solo il continuo
conferimento di lavori scientifici, monografie, note tecniche, ecc., potrà assicurare una
puntuale uscita on-line dei numeri della rivista e garantire la qualità tecnico-scientifica dei
contenuti.
Per cercare di regolarizzare anche l’iter di revisione dei lavori, che talvolta contribuisce a
rallentare ulteriormente la pubblicazione della rivista, si sta provvedendo a programmare una
procedura completamente informatizzata in modo da rendere automatici i diversi
meccanismi relativi al referaggio e alla revisione dei lavori fino al momento della loro
accettazione/pubblicazione.
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ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 3-4
Al fine di accelerare l’uscita di questo numero unico 2011 di ITTIOPATOLOGIA si è anche
deciso di non inserire gli estratti delle tesi che si sono classificate ai primi posti nella
graduatoria del Premio Tesi SIPI 2011, estratti che verranno invece inclusi nel primo numero
on-line di ITTIOPATOLOGIA del 2012.
Spero quindi che il nuovo corso di ITTIOPATOLOGIA possa dare un nuovo impulso alla
vitalità della rivista, che va però alimentata costantemente dall’attenzione e dagli sforzi di
tutti, in modo che divenga sempre di più non solo un prodotto, ma anche un mezzo di
scambio dell’attività tecnico-scientifica dei soci SIPI, contribuendo ad arricchire la vita
sociale e scientifica della nostra Società.
Il Direttore Responsabile
di ITTIOPATOLOGIA
MariaLetizia Fioravanti
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ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 5-52
MONOGRAFIE
Patologie dei gamberi d’acqua dolce.
Malattie infettive e di origine micotica
Pathology of freshwater crayfish.
Infectious and mycotic diseases
Francesco Quaglio1*, Andrea Gustinelli2, Amedeo Manfrin3
1
Dipartimento di Sanità Pubblica, Patologia Comparata e Igiene Veterinaria. Università degli Studi di Padova,
Viale dell’Università, 16, Agripolis - 35020 Legnaro (PD); 2 Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie,
Via Tolara di Sopra, 50 - 4064 Ozzano dell’Emilia (BO); 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie,
Centro di Riferimento Nazionale per le Malattie dei Crostacei, via Leonardo da Vinci, 39 - 45011 Adria (RO).
______________________________
RIASSUNTO - I gamberi d’acqua dolce sono considerati di estrema importanza sia dal punto di vista
commerciale, in quanto alcune specie sono estremamente apprezzate a livello di gastronomia locale e stanno
dimostrando buone potenzialità per il loro sfruttamento zootecnico, sia dal punto di vista naturalisticoambientale, poiché a causa della loro sensibilità al cambio dei parametri ambientali rappresentano degli ottimi
indicatori della sanità di un determinato ambiente. Questa sensibilità ha portato ad una drastica riduzione delle
popolazioni europee autoctone a causa del progressivo peggioramento qualitativo degli habitat fluviali in cui
vivono, dell’ingesso sul territorio europeo di popolazioni alloctone di gamberi d’acqua dolce (i.e. Procambarus
clarkii) estremamente aggressive e maggiormente resistenti, nonché portatrici di patologie, alcune delle quali
con un impatto devastante. Fra tutte, la peste del gambero d’acqua dolce causata da Aphanomyces astaci
attualmente rappresenta il problema sanitario di maggior rilievo in Italia ed in Europa.
SUMMARY - The freshwater crayfish are considered extremely important both from a commercial aspect,
being some species extremely appreciated in terms of local cuisine and showing good potential for their
livestock exploitation, both in terms of environmental aspect, since are excellent indicators of the environment
health status for their sensitivity to alterations of their habitats. This sensitivity has led to a drastic reduction of
the native European populations for the quality worsening of surface waters and for the introduction of nonnative populations of crayfish in Europe (i.e. Procambarus clarkii), extremely aggressive and resistant species
and often carriers of diseases some of which could have a devastating impact. Among these the freshwater
crayfish plague caused by Aphanomyces astaci currently represents one of the most significant sanitary
problem in Italy and Europe.
Key words: Freshwater crayfish; Crustaceans; Disease; Virus; Bacteria; Fungi; Aphanomyces astaci.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Dipartimento di Sanità Pubblica, Patologia Comparata e Igiene Veterinaria,
Università degli Studi di Padova, Viale dell’Università, 16, Agripolis - 35020 Legnaro (PD).
Tel.: 049-8272653; Fax: 049-641174; E-mail: [email protected].
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INTRODUZIONE
I gamberi d’acqua dolce sono crostacei ampiamente diffusi in tutti i continenti, ad
eccezione dell’antartico, sia come specie indigene, sia come specie introdotte in seguito a
movimenti antropogenici. Diverse specie vengono utilizzate in acquacoltura e in tempi più
recenti si è osservato un aumento nella vendita di crostacei d’acqua dolce a scopo
ornamentale. Lo spostamento di diverse specie sono state la causa della diffusione di
malattie devastanti, come la peste del gambero (da Aphanomyces astaci) (Schikora, 1903;
Unestam, 1973a; 1973b) che ha portato alla parziale o completa estinzione di intere
popolazioni di gamberi indigeni in Europa (Portogallo, Spagna, ecc.). Il gambero di fiume
Austropotamobius pallipes ed il gambero nobile Astacus astacus, specie indigene europee,
sono oggetto di tutela in quanto considerate a rischio di estinzione (Gherardi et al., 1999)
(Direttiva 92/43 CEE). La crescente diffusione di gamberi Nord Americani nel territorio
europeo rappresenta una minaccia per i decapodi indigeni esposti all’introduzione di nuovi
agenti patogeni, verso i quali non presentano né resistenza, né immunità. Fattori che limitano
la sopravvivenza e la diffusione dei gamberi autoctoni negli areali dulciacquicoli sono di tipo
fisico-chimico (inquinamento, caratteristiche dell’acqua, alterazione degli habitat, variazioni
climatiche) e biologico (patologie e presenza di specie esotiche ed animali predatori)
(Romanò & Riva, 2002). Le malattie più gravi per le specie indigene europee sono di origine
micotica e virale (Edgerton et al., 2004). Serie mortalità in popolazioni selvatiche sono state
attribuite a fenomeni di inquinamento, sebbene in molti casi la causa rimanga sconosciuta,
per la difficoltà nell’emettere una diagnosi da cause chimiche, soprattutto in ambiente
acquatico. Il lento decremento delle popolazioni, fino alla scomparsa, dovuto a perdite
croniche o a ripetuti casi di mortalità, è poco studiato e di difficile interpretazione. Ad oggi
permangono lacune nelle conoscenze delle patologie dei gamberi d’acqua dolce (Vogt,
1999), particolarmente in relazione alla distribuzione geografica dei patogeni. In Italia
l’incidenza delle malattie dei crostacei è scarsamente nota.
BIBLIOGRAFIA
Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. G.U. 206 del 22/07/1992: 7-50.
Edgerton B.F., Henttonen P., Jussila J., Mannonen H., Paasonen P., Taugbol T., Edsman L. & SoutyGrosset C. (2004). Understanding the causes of disease in European freshwater crayfish. Conserv.
Biol.,18, 6: 1466-1474.
Gherardi F., Baldaccini G.N., Ercolini P., Barbaresi S., De Luise G., Mazzoni D. & Mori M. (1999).
Case studies of alien crayfish in Europe. The situation in Italy. In: “Crayfish in Europe as alien
species. How to make the best of a bad situation?” (Gherardi F. & Holdich D.M. eds). AA. Balkema,
Rotterdam: 107-128.
Romanò C. & Riva C. (2002). Il gambero d’acqua dolce in provincia di Como. Ed. Amm. Prov. Como.
Schikora F. (1903). Über die Krebspest und ihren Erreger. Fisch. Zeit., 6: 353-355.
Unestam T. (1973a). Fungal diseases of Crustacea. Rev. Med. Mycol., 8: 1-20.
Unestam T. (1973b). Significans of diseases on freshwater crayfish. Freshwater Crayfish, 1: 136-150.
Vogt G. (1999). Diseases of European freshwater crayfish, with particular emphasis on interspecific
transmission of pathogens. In: “Crayfish in Europe as alien species. How to make the best of a bad
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situation?” (Gherardi F. & Holdich D.M. eds). Crustacean Issues 11, AA. Balkema, Rotterdam: 87103.
1. PATOLOGIE VIRALI
La prima segnalazione di malattia virale nei crostacei d’acqua dolce fu effettuata da Vago
nel 1966. Anderson & Prior, nel 1992, fecero la prima descrizione di virosi in ambiente
naturale e dalla fine del ventesimo secolo sono oltre 50 i virus isolati. Sebbene i virus siano
la causa maggiore di perdite negli allevamenti degli animali acquatici, inclusi i gamberi
marini, poco si conosce delle infezioni virali dei gamberi dulciacquicoli. La maggior parte di
studi effettuati riguardano virus isolati in specie australiane di allevamento. Alderman &
Polglase (1988) in una rilevante rassegna sulle malattie dei gamberi d’acqua dolce
enfatizzavano la mancanza di conoscenze sulle patologie di origine virale e ritenevano che le
condizioni di allevamento intensivo avrebbero permesso maggiori approfondimenti. La
tassonomia dei virus dei gamberi è attualmente in uno stato di continua evoluzione e in molti
casi rimane irrisolta.
I principali agenti eziologici delle malattie virali dei gamberi d’acqua dolce sono:
Virus a DNA
Virus intranucleari bacilliformi (baculovirus like)
Virus bacilliforme di Austropotamobius pallipes (ApBV)
Virus bacilliforme di Astacus astacus (AaBV)
Virus bacilliforme di Pacifastacus leniusculus (PlBV)
Virus bacilliforme di Cherax quadricarinatus (CqBV)
Virus bacilliforme di Cherax destructor (CdBV)
Nimaviridae
Virus della malattia delle macchie bianche o “white spot syndrome virus”
(WSSV)
Parvoviridae
Parvovirus-like sistemico di Cherax destructor (CdSPV)
Parvovirus-like delle branchie di Cherax quadricarinatus (CqPlV)
Parvovirus di Cherax quadricarinatus
“Spawner-isolated mortality virus” (SMV)
Virus a RNA
Picornaviridae
Picornavirus-like di Cherax albidus (CaPV)
Birnaviridae
Virus della necrosi pancreatica infettiva (IPNV)
Reoviridae
Reovirus-like di Cherax quadricarinatus epatopancreatico (CqHRV)
Totiviridae
Giardiavirus-like di Cherax (CGV)
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Virus ad incerta attribuzione
Virus a DNA
Virus intranucleari bacilliformi
I virus intranucleari bacilliformi (IBVS), precedentemente assegnati alla famiglia
Baculoviridae (Stentiford et al., 2004), hanno posizione tassonomica ancora sconosciuta per
mancanza di informazioni biomolecolari ed immunologiche. I virus intranucleari bacilliformi
sono a doppia catena di DNA, privi di corpo d’inclusione (matrice proteica di rivestimento
con struttura cristallina a funzione protettrice) e sono limitati all’epatopancreas e
all'intestino.
Virus bacilliforme di Austropotamobius pallipes (ApBV)
Edgerton et al. (2002a; 2002b) hanno messo in relazione la quasi scomparsa della
popolazione di Austropotamobius pallipes del fiume Nant, in Francia, con la presenza di un
virus intranucleare bacilliforme (ApBV). In studi successivi Edgerton (2003) ha ritenuto che
il virus, isolato anche in altre popolazioni astacicole nel sud-est della Francia, non sia da
considerare l’unico responsabile della mortalità, ma una concausa. In Inghilterra e Galles
ApBV è stato recentemente osservato in Austropotamobius pallipes, con lievi effetti
sull’ospite (Longshaw, 2011). Gli epatociti e gli enterociti appaiono ipertrofici con cromatina
marginata. Il virus è costituito da un nucleocapside, ove all’interno il DNA è condensato in
una struttura nucleoproteica, conosciuta come core e all’esterno il capside appare meno
elettrondenso. Un envelope trilaminare con un’espansione unilaterale circonda il
nucleocapside. Il virione misura circa 60×260 nm e il nucleocapside 50×220 nm.
Virus bacilliforme di Astacus astacus (AaBV)
Edgerton et al. (1996) hanno isolato il virus bacilliforme di Astacus astacus (AaBV) in
esemplari di gambero europeo, provenienti dalla Finlandia, con prevalenza fino al 100%, con
intensità variabile ed in assenza di sintomatologia clinica o mortalità. L’infezione si
manifesta a carico degli epatopancreatociti che appaiono leggermente ipertrofici con
marginazione o addensamento settoriale della cromatina. Si evidenzia anche sfaldamento
cellulare, necrosi e incapsulazione dei tubuli. Il virione misura circa 70×340 nm; ha
nucleocapside di forma bastoncellare di circa 50×260 nm, con envelope trilaminare e con
una espansione subapicale unilaterale.
Virus bacilliforme di Pacifastacus leniusculus (PlBV)
In USA il virus PlBV è stato descritto in un gambero della California Pacifastacus
leniusculus, in assenza di segni clinici di malattia (Hedrick et al., 1995). Le cellule infette dei
tubuli dell’epatopancreas appaiono ipertrofiche e talvolta sfaldate nel lume ed i nuclei
presentano marginazione della cromatina. I virioni bastoncellari misurano circa 70×240 nm
ed il nucleocapside 190×40 nm.
Virus bacilliforme di Cherax quadricarinatus (CqBV)
Il virus bacilliforme di Cherax quadricarinatus è stato il primo agente virale di malattia
isolato in gamberi di acqua dolce (Anderson & Prior, 1992). Il virus provoca mortalità in
“redclaw”, Cherax quadricarinatus, sia in situazioni sperimentali sia in acquacoltura ed è
stato segnalato nel Queensland e nel Nord dell’Australia (Edgerton et al., 1995; Edgerton &
Owens, 1997), negli Stati Uniti d’America, in Jamaica, Ecuador, Columbia, Cile, India ed
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Arabia Saudita (Groff et al., 1993; Edgerton, 1996a; Edgerton & Owens, 1999; Hauck et al.,
2001; Romero & Jiménez, 2002).
CqBV è considerato avere bassa virulenza e provocare riduzione della crescita senza
lesioni esterne patognomoniche e con ridotta mortalità (Groff et al., 1993; Edgerton, 1996b;
Edgerton et al., 2002a).
CqBV è stato osservato in tutti gli stadi biologici di C. quadricarinatus, successivi al terzo
stadio giovanile. L’infezione si può trasmettere per cannibalismo, ingestione di materiale
infetto e attraverso l’acqua (Edgerton & Owens, 1997). La morfologia virale e le lesioni
microscopiche sono simili a quelle dei virus bacilliformi in precedenza descritti (Groff et al.,
1993; Edgerton, 1996b). Le misure morfometriche non trovano d’accordo i diversi autori.
Anderson & Prior (1992) osservavano virioni di 70×200 nm, similmente ad Hauck et al.
(2001) che riportavano 70×220 nm ed in contrasto con Edgerton (1996b) e Groff et al.
(1993), rispettivamente 100×260 nm e 100×290 nm. Anche i rilievi del nucleocapside sono
discordanti: 30×150 nm (Anderson & Prior, 1992), 40×180 nm (Hauck et al., 2001) e
50×215 nm (Groff et al., 1993). Le differenze nella valutazione possono essere la
conseguenza di differenti metodi di fissazione o di processazione (Hauck et al., 2001;
Edgerton et al., 2002b).
Virus bacilliforme di Cherax destructor (CdBV)
CdBV è stato riscontrato in alcuni campioni di “yabby” (Cherax destructor) provenienti da
due allevamenti del sud dell’Australia (Edgerton 1996a; 1996b). I nuclei delle cellule infette
presentano, oltre alla marginazione e all’addensamento in setti della cromatina, inclusioni
eosinofile amorfe.
I virioni descritti misurano 70×300 nm (atipicamente anche 450 nm in lunghezza); il
nucleocapside è di 50×260 nm.
Nimaviridae
Virus della malattia delle macchie bianche o “White Spot Syndrome Virus” (WSSV)
Il virus della sindrome delle macchie bianche (WSSV) è a doppia catena di DNA ed
appartiene alla famiglia Nimaviridae che comprende il solo genere Whispovirus (Mayo,
2002). I virioni sono di forma variabile, da ellissoidale a bastoncellare, dotati di envelope
trilaminare, con simmetria del nucleocapside elicoidale, hanno per caratteristica peculiare la
presenza di un prolungamento polare simile ad un flagello (van Hulten et al., 2001; Yang
et al., 2001; Wu & Yang, 2006) e sono di grosse dimensioni (80-120×250-380 nm ). WSSV
è patogeno per almeno 78 specie di crostacei, principalmente decapodi (Lightner, 1996;
Flegel, 2006), tra cui i gamberi d’acqua dolce (Stentiford et al., 2009).
Per la sua importanza, la malattia delle macchie bianche (WSD) è contemplata nella
normativa UE (Direttiva 2006/88/CE), relativa alle condizioni di polizia sanitaria applicabili
alle specie animali d’acquacoltura e ai relativi prodotti, nonché alla prevenzione di talune
malattie degli animali acquatici e alle misure di lotta contro tali malattie.
Il virus, che causa gravi perdite nei peneidi, è stato isolato in ambiente d’acqua dolce da
Procambarus clarkii, Procambarus zonangulus (Baumgartner et al., 2009), Orconectes
punctimanus, Pacifastacus leniusculus (Jiravanichpaisal et al., 2001), Macrobrachium
rosenbergii e palaemonidi (Lo et al., 1996) e granchi (Sahul Hameed et al., 2001). Infezioni
sperimentali sono state ottenute in Cherax quadricarinatus mediante emolinfa infetta di
Penaeus chinensis (Shi et al., 2000), in Pacifastacus leniusculus da omogenato di branchie
di Penaeus monodon (Jiravanichpaisal et al., 2001), in Cherax destructor albidus da Penaeus
monodon (Edgerton 2004a), in Procambarus clarkii da rotiferi (Yan et al., 2007), in
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Astropotamobius pallipes (Edgerton, 2004b) e in Astacus astacus (Jiravanichpaisal et al.,
2004).
Nella primavera del 2007, la malattia delle macchie bianche si è manifestata in tre
allevamenti di Procambarus clarkii e Procambarus zonangulus della Louisiana (USA),
provocando significative perdite, superiori al 90%. La mortalità era evidenziata nelle nasse,
utilizzate per la raccolta degli individui adulti e lungo le sponde degli stagni (Baumgartner et
al., 2009). I soggetti ancora vivi nelle trappole si presentavano letargici ed in seguito
morivano. Alcuni soggetti presentavano macchie bianche focali, talvolta confluenti sulla
porzione dorsale della regione addominale o più raramente su tutto l’esoscheletro. Le lesioni
istologiche in Procambarus clarkii e Procambarus zonangulus corrispondevano alle tipiche
lesioni descritte nei peneidi. Le cellule dei tessuti ectodermici e mesodermici presentavano
nuclei ipertrofici con ampie inclusioni omogenee e cromatina marginata (Lo et al., 1997;
Wang et al., 1997). Le inclusioni erano riscontrate nell’epitelio della cuticola e dell’intestino,
nel cuore, nella muscolatura scheletrica, nel tessuto nervoso, nelle ghiandole antennali, nei
testicoli, nel tessuto ematopoietico e nel connettivo. In alcuni campioni si osservava necrosi
dell’ipoderma.
Parvoviridae
Parvovirus-like sistemico di Cherax destructor (CdSPV)
CdSPV è stato isolato in un solo esemplare di “yabby” (Cherax destructor) nel sud
dell’Australia (Edgerton, 1996b; Edgerton et al., 1997). Il virus icosaedrico misurava 21 nm.
L’animale infetto appariva in stato agonico con opacamento addominale. Si osservavano
inclusioni intranucleari di tipo A di Cowdry, con marginazione della cromatina in
epatopancreas, intestino, epicardio, muscolatura addominale e tessuto connettivo. Negli
organi colpiti viene descritta necrosi associata ad infiltrazione emocitaria.
Parvovirus-like delle branchie di Cherax quadricarinatus (CqPlV)
CqPlV, descritto da Edgerton et al. (2000), è un virus icosaedrico di 20 nm associato ad un
episodio di lieve mortalità in “redclaw” (Cherax quadricarinatus) allevati in Australia. I
nuclei delle branchie mostravano cromatina marginata e nucleoli in posizione periferica.
Parvovirus di Cherax quadricarinatus
Il parvovirus di Cherax quadricarinatus è stato descritto causare grave mortalità in redclaw
crayfish allevati nel nord del Queensland (Australia) (Bowater et al., 2002). I soggetti affetti
erano moribondi e con cuticola molle. Corpi inclusi intranucleari e marginazione della
cromatina erano osservati in branchie, epitelio sottocuticolare, intestino e tessuto connettivo.
La ghiandola antennale, il tessuto ematopoietico, le cellule epiteliali dei tubuli seminiferi ed
il tessuto interstiziale dell'ovario erano interessati in minor misura.
Le particelle virali erano esagonali con un diametro medio di 19,5 nm. Nonostante le
dimensioni del virus fossero molto simili al CqPlV ed il luogo geografico fosse il medesimo
dell’infezione riportata da Edgerton et al. (2000), Bowater et al. (2002) hanno ritenuto
trattarsi di differenti patogeni non avendo riscontrato lesioni branchiali. Ulteriori studi
ultrastrutturali pertanto sono necessari per risolvere il dubbio.
“Spawner-isolated Mortality Virus”(SMV)
SMV, provvisoriamente collocato nella famiglia Parvoviridae, è meglio conosciuto come
patogeno dei gamberi d’acqua salata per le gravi perdite provocate in allevamenti di
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Penaeus monodon in Australia (Fraser & Owens, 1996). In acqua dolce è stato isolato in
“redclaw” Cherax quadricarinatus (Edgerton et al., 2000).
Virus a RNA
Picornaviridae
I Picornaviridae sono virus a singola catena di RNA.
Picornavirus like di Cherax albidus (CaPV)
A seguito di un campionamento in yabbies (Cherax albidus) che manifestavano mortalità,
Edgerton (1999) ha osservato e descritto un nuovo virus picorna-like (virus picorna-like di
Cherax albidus, CaPV). In seguito in Australia occidentale, Jones & Lawrence (2001)
riportavano, con analoga sintomatologia clinica, lo stesso virus in Cherax albidus di
allevamento. In tutta la zona di produzione, il virus era diffuso con bassa prevalenza, intorno
al 5%. Le infezioni erano caratterizzate da ampie inclusioni basofile, che occupavano l'intero
nucleo o piccole inclusioni intranucleari eosinofile nei tessuti interstiziali della ghiandola
digestiva, nell’epitelio del labirinto della ghiandola antennale e nell’intestino. Alla
microscopia elettronica i virioni privi di envelope e disposti in raggruppamenti paracristallini
misuravano 13-19 nm. Jones & Lawrence (2001) erano dubbiosi circa l'esatta posizione
tassonomica del virus che mettevano in relazione sia a Circoviridae, sia a Picornaviridae.
Birnaviridae
I Birnaviridae sono virus a doppia elica di RNA.
Virus della Necrosi Pancreatica Infettiva (IPNV)
Il virus della Necrosi Pancreatica Infettiva (IPNV), che provoca una malattia acuta nei
salmonidi (Quaglio, 1989), è stato isolato in esemplari di Astacus astacus, senza
sintomatologia clinica. La trasmissione può avvenire, in natura, attraverso l’acqua in cui
sono presenti trote iridee (Oncorhynchus mykiss) infette o per ingestione di alimento
contaminato. Il gambero risulta portatore asintomatico d’infezione e vettore per i salmonidi.
Non è stata dimostrata la replicazione virale nei crostacei (Halder & Ahne, 1988).
IPNV può essere riscontrato in emociti della ghiandola antennale, branchie ed
epatopancreas di gamberi senza alterazioni patologiche. La persistenza virale nei crostacei,
fino ad un anno dopo l'esposizione, suggerisce una possibile replicazione nell’ospite. Il
gambero può fungere da vettore del virus ai pesci.
Reoviridae
I Reovirus sono virus a doppia elica di RNA.
Reovirus-like di Cherax quadricarinatus epatopancreatico (CqRV)
CqRV è stato isolato da un esemplare moribondo di Cherax quadricarinatus nel nord del
Queensland, con presenza di corpi inclusi eosinofili intracitoplasmatici nell’epatopancreas. I
tubuli interessati erano circondati da un infiltrato emocitario (Edgerton et al., 2000).
I nuclei delle cellule infette contenevano virioni esagonali e pentagonali privi di envelope
con dimensioni di 35-40 nm. Bowater et al. (2002) e La Fauce & Owens (2007) hanno
considerato l’infezione come relativamente benigna.
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Totiviridae
I Totivirus sono a doppia elica di RNA.
Giardiavirus-like di Cherax (CGV)
CGV è stato osservato in origine da Edgerton et al. (1994; 1995), durante un’indagine
istologica su epatopancreas di Cherax quadricarinatus allevati in Queensland. Le cellule
infette apparivano leggermente ipertrofiche. La malattia è stata maggiormente riscontrata in
soggetti in stadio giovanile e con basso tasso di mortalità (Edgerton & Owens, 1997). La
patologia continua a manifestarsi in Queensland, provocando perdite limitate (Owens &
McElnea, 2000). I virus, privi di envelope e di forma icosaedrica, misurano circa 25 nm.
Poiché il virus non è stato isolato e caratterizzato, Poulos et al. (2006) ritengono che non
debba essere inequivocabilmente considerato come Giardiavirus-like, ma che dovrebbe
essere considerato come un probabile totivirus.
Virus ad incerta attribuzione
Molti agenti virali, segnalati in gamberi d’acqua dolce, sono stati mal definiti o restano non
classificati. Risulta, quindi, necessario procedere ad una corretta identificazione dei virus,
mediante la microscopia elettronica e l’impiego di tecniche biomolecolari, correlata ad una
precisa descrizione dei segni clinici di malattia, degli aspetti anatomopatologici e delle
lesioni istologiche.
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2. PATOLOGIE BATTERICHE
Numerosi batteri sono frequentemente isolati dall’esoscheletro, dall’apparato digerente e
dall’emolinfa dei gamberi d’acqua dolce. La natura di questi isolamenti è spesso non chiara
per l’ubiquità di tali microrganismi nell’ambiente e per la mancanza di segni clinici di
patologia (Edgerton et al., 2002; Quaglio et al., 2006b). Talvolta il riscontro avviene in
conseguenza a gravi malattie dei crostacei, sia in allevamento, sia in ambiente naturale,
particolarmente quando le condizioni ambientali sono scadenti. Molti batteri sono considerati
agenti patogeni secondari di malattia od opportunisti dei crostacei.
I generi batterici più frequentemente isolati nei gamberi d’acqua dolce sono:
Acinetobacter, Aeromonas, Bacillus, Citrobacter, Corynebacterium, Flavobacterium,
Micrococcus, Pseudomonas, Staphylococcus e Vibrio (Smith & Söderhäll, 1986; Vey, 1986;
Alderman & Polglase, 1988; Mickeniene, 1999; Edgerton et al., 2002; Quaglio et al.,
2006b).
BATTERIEMIA ASINTOMATICA E SETTICEMIA
Distribuzione geografica
Infezioni e malattie a diffusione cosmopolita. I batteri isolati nelle batteriemie
asintomatiche e nelle setticemie dei gamberi d’acqua dolce sono diffusi nell’ambiente, sia
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nell’acqua, sia nel sedimento e colonizzano l’esoscheletro e l’intestino.
Eziologia
Nella batteriemia asintomatica e nella setticemia sono coinvolti sia microrganismi Gram
negativi (Acinetobacter, Aeromonas, Citrobacter, Flavobacterium, Pseudomonas, Proteus e
Vibrio), sia batteri Gram positivi (Corynebacterium, Bacillus, Micrococcus e
Staphylococcus).
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Tali batteriemie sono descritte in Astacus astacus, Cherax destructor albidus, Cherax
quadricarinatus, Procambarus clarkii, apparentemente sani (Edgerton et al., 2002). Non c’è
accordo sul significato dell’isolamento batterico dall’emolinfa dei crostacei. Bang (1970) e
Johnson (1976), affermavano che l’emolinfa, in condizioni fisiologiche, è sterile e che le
infezioni possono essere indotte da condizioni stressanti (elevata temperatura, scarsità di
ossigeno disciolto, eccessiva densità animale, ecc.) e sono sempre associate a malattia.
Altri autori negano queste ipotesi riportando la presenza di batteri in gamberi
apparentemente sani (Colwel et al., 1975; Welsh & Sizemore, 1985; Webster, 1995; Wong et
al., 1995; Madetoja & Jussila, 1996).
Scott & Thune (1986) e Thune (1994), hanno osservato una maggiore prevalenza di
batteriemia in Procambarus clarkii asintomatici, allevati in stagno durante periodi di elevata
temperatura con scarsità di ossigeno disciolto.
Le batteriemie pertanto, si ritiene siano favorite da fattori stressanti e da ferite nel
carapace; spesso sono asintomatiche, ma in alcuni casi evolvono in setticemie con
sintomatologia clinica (letargia, perdita del tono muscolare, scarsa reattività agli stimoli) e
lesioni agli organi. Segni di malattia o cattivo stato di salute dei gamberi sono nella maggior
parte dei casi non patognomonici, rappresentati da vari gradi di letargia. Lievi alterazioni
fisiologiche possono essere clinicamente difficili da rilevare ed essere imputate ad altri
fattori patologici (nutrizionali, ambientali, ecc.).
Da studi effettuati su granchio nuotatore o “blue crab” (Callinectes sapidus) si evince che,
in ambiente acquatico, i batteri raggiungono l’emocele, il sistema digerente ed altri apparati
attraverso piccole ferite esterne (Tubiashi et al., 1975; Davis & Sizemore, 1982).
Vey et al. (1975), hanno sperimentalmente indotto la malattia, provocando ferite sul
carapace, in gamberi di fiume (Austropotamobius pallipes) stabulati in acqua arricchita con
ceppi di Pseudomonas florescens e P. putida.
Citrobacter sp. è stato descritto causare mortalità nel gambero nordamericano (Orconectes
limosus) (Toumanoff, 1965; Unestam, 1973).
Non è stata ancora stabilita con certezza la patogenicità di Aeromonas sobria. Oidtmann &
Hoffmann (1999) hanno riportato la presenza del microrganismo in A. astacus senza
indicarne l’azione patogena.
Quaglio et al. (2002), hanno isolato Aeromonas sobria e Citrobacter freundii in
Procambarus clarkii che presentavano elevata mortalità.
In Europa, Pseudomonas spp. e Proteus vulgaris sono stati associati ad episodi di malattia
e mortalità in gamberi selvatici sia in natura, sia dopo infezione sperimentale (Toumanoff,
1965; 1966; 1967; 1968; Vey et al., 1975; Boemare & Vey, 1977).
Lesioni istologiche
I gamberi d’acqua dolce con batteriemia asintomatica non mostrano lesioni né a livello
macroscopico né microscopico. Nelle setticemie si possono osservare congestione emocitaria
in branchie, ghiandole antennali e organo Y, presenza batterica nell’emolinfa e negli organi
interni, reazioni immunitarie tissutali (fagocitosi), necrosi focali nella muscolatura
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addominale con colonie batteriche, granulomi e necrosi nei tubuli dell’epatopancreas con
infiltrazione emocitaria negli spazi peritubulari (Vey et al., 1975; Johnson, 1976; Vogt &
Rug, 1996; Edgerton & Owens, 1999; Quaglio et al., 2001; Romero & Jiménez, 2002;
Quaglio et al., 2006b). I granulomi presentano centro necrotico delimitato da una capsula
amorfa di melanina e più esternamente da fibroblasti.
Diagnosi
La diagnosi si effettua mediante l’esame batteriologico da semine di emolinfa su terreni di
coltura ed esame istologico.
L’emolinfa deve essere prelevata, in sterilità, con siringhe mediante inserzione dell’ago
sulla faccia ventrale della membrana tra il primo segmento addominale ed il torace. Sono
descritti anche prelievi dall’aorta posteriore, dal cuore o per recisione di un’antenna. È
consigliata l’incubazione a temperatura ambiente o a 37°C per una notte.
Misure di controllo
Le uniche azioni attuabili nel controllo delle patologie batteriche sono di tipo preventivo.
Alcuni allevatori, in concomitanza a fenomeni stressanti, somministrano mangime medicato
con ossitetraciclina al fine di evitare setticemia (comunicazione personale).
VIBRIOSI
Distribuzione geografica
Malattia descritta in Australia e Stati Uniti.
Eziologia
La vibrosi nel gambero d’acqua dolce è sostenuta, in Procambarus clarkii, da Vibrio
mimicus, che provoca elevata mortalità e V. cholerae, associato a lievi episodi di mortalità
(Thune et al., 1991). V. anguillarum e V. parahaemolyticus sono stati isolati da gamberi rossi
della Louisiana, pescati nel lago di Massaciuccoli (LU), privi di lesioni macro e
microscopiche (Rossi et al., 2001).
Vibrio mimicus è descritto provocare mortalità giornaliere superiori al 20%, in
Procambarus clarkii e Cherax quadricarinatus, rispettivamente in USA ed Australia (Thune
et al., 1991; Eaves & Ketterer, 1994).
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Wong et al. (1995), hanno sperimentalmente indotto la malattia per immersione con ceppi
di Vibrio mimicus in Cherax albidus e Cherax quadricarinatus, che presentavano ulcere sul
carapace.
La vibriosi viene associata a condizioni di stress (elevata temperatura ed eccessiva
densità). Le infezioni sono sistemiche e spesso setticemiche e si manifestano con letargia, in
assenza di alti segni clinici e lesioni esterne patognomoniche (Thune et al., 1991; Eaves &
Ketterer, 1994).
Lesioni istologiche
Non sono state descritte.
Diagnosi
La diagnosi si effettua mediante l’esame batteriologico da semine di emolinfa su terreni di
coltura specifici e mediante tecniche biomolecolari (PCR).
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Misure di controllo
Misure di profilassi diretta sono volte a ridurre le cause di stress.
AEROMONIASI
Distribuzione geografica
Infezione e malattia a diffusione cosmopolita.
Eziologia
Aeromonas hydrophila è un batterio Gram negativo, ossidasi positivo, anaerobio
facoltativo, ubiquitario in ambienti con pH variabile fra 5,2 e 9,8 e a temperature comprese
tra i 10°C e i 45°C, opportunista, isolato nell'organismo di animali sia di acqua dolce e
salmastra sia terrestri, quali pesci, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi, incluso l’uomo, ed
invertebrati. Nelle specie ittiche, A. hydrophila causa una malattia nota come MAS “Motile
Aeromonas Septicemia” o setticemia emorragica (Quaglio et al., 2000).
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Aeromonas hydrophila è stato isolato, in assenza di manifestazioni patologiche, da
emolinfa di gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), in allevamento, (Scott &
Thune, 1986) e di gambero di fiume (Austropotamobius pallipes), in ambiente naturale
(Quaglio et al., 2006a) ed in forma setticemica con mortalità, in gambero europeo (Astacus
astacus) (Oidtmann & Hoffmann, 1999), in gambero della California (Pacifastacus
leniusculus) (Quaglio et al., 2002) e in “hairy marron” (Cherax tenuimanus) (AvenantOldewage, 1993).
Lesioni istologiche
Jiravanichpaisal et al. (2009), hanno riprodotto sperimentalmente la malattia nel gambero
della California mediante inoculazione. All’esame istologico gli autori hanno osservato
estese lesioni necrotiche con nuclei picnotici in branchie, cuore, tessuto interstiziale
dell’epatopancreas e sistema circolatorio ed aggregazione emocitaria nei seni emali, in
assenza di reazioni nodulari. Quaglio et al., (2002), in gamberi della stessa specie con
setticemia da Aeromonas hydrophila, hanno rilevato necrosi muscolare con colonie
batteriche ed epatopancreatite granulomatosa. I granulomi avevano un centro necrotico con
batteri, circondato da deposito di melanina e più esternamente da fibroblasti.
Diagnosi
La diagnosi si effettua mediante l’esame batteriologico da semine di emolinfa su terreni di
coltura specifici e mediante tecniche biomolecolari (PCR).
Misure di controllo
Misure di profilassi diretta in allevamento sono rivolte a ridurre le cause di stress.
ENTERITI BATTERICHE
Distribuzione geografica
Infezioni e malattie a diffusione cosmopolita.
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Eziologia
I batteri sono normali colonizzatori dell’intestino dei gamberi (Mickènienè, 1983);
Citrobacter freundii, Citrobacter sp., Acinetobacter sp., Enterobacter sp., Pseudomonas sp.
e Alcaligenes sp. possono essere la causa di enteriti batteriche del gambero d’acqua dolce.
C. freundii, abituale componente della microflora acquatica e della flora intestinale dei
gamberi d’acqua dolce (Vogt, 1999), può determinare elevata mortalità in particolari
condizioni di stress (Oidtmann & Hoffmann, 1999; Quaglio et al., 2002; 2006b). C. freundii
è stato segnalato in Procambarus clarkii (Amborski et al., 1975a; Quaglio et al., 2002),
Astacus astacus ed Orconectes limosus (Oidtmann & Hoffmann, 1999). C. freundii,
Pseudomonas fluorescens e P. putida sono considerati gli agenti eziologici della malattia
epatointestinale nel gambero di fiume (Austropotamobius pallipes) (Vey et al., 1975;
Boemare & Vey, 1977).
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Mortalità da enteriti batteriche sono segnalate in diverse specie di gamberi europei e nord
americani. Boemare & Vey (1977), infettarono sperimentalmente gamberi di fiume con
ceppi di C. freundii, riscontrando le lesioni nell’apparato digerente.
Lesioni istologiche
C. freundii provoca lesioni necrotiche nella parete intestinale e nell’epatopancreas e
stimola reazione emocitaria granulomatosa. Microscopicamente è possibile osservare colonie
batteriche nel lume dell’intestino anteriore e nel mesentere. Nell’intestino anteriore i batteri
colonizzano la cuticola e l’epitelio sottostante determinando necrosi focale. Nel mesentere la
presenza di un gran numero di batteri può indurre alterazioni delle cellule epiteliali, che
assumono aspetto da cubico a squamoso ed il lume intestinale perde il caratteristico aspetto
stellato.
Diagnosi
La diagnosi di enterite si effettua mediante esame istologico ed isolamento batterico.
Misure di controllo
Adeguate operazioni di disinfezione e buone pratiche di allevamento sono considerati
metodi efficaci per ridurre l’incidenza della malattia.
MALATTIA DELLA CUTICOLA DA BATTERI CHITINOLITICI O CHITINOCLASTICI
Eziologia
Tale patologia è causata da batteri appartenenti ai generi Aeromonas, Pseudomonas e
Citrobacter.
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Malattia ubiquitaria descritta nel gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii)
(Amborski et al., 1975b). I batteri chitinolitici provocano lisi dell’esoscheletro e necrosi
branchiale. La patologia è condizionata da fattori ambientali stressanti e ferite superficiali
(Vey, 1986). Miceti possono anche partecipare nel determinismo della malattia. All’esame
istologico si osservano ulcere nell’esoscheletro con presenza di melanina e colonie
batteriche, distacco dell’epidermide dalla cuticola, flogosi con presenza di emociti granulari,
necrosi dell’epitelio e, nei casi più gravi, del muscolo sottostante.
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Figura 1 - Gambero della California (Pacifastacus leniusculus). Necrosi muscolare con colonie batteriche di
Aeromonas hydrophila (Giemsa). Figura 2 - Pacifastacus leniusculus. Epatopancreatite granulomatosa in
setticemia da Aeromonas hydrophila. Granuloma caratterizzato da centro necrotico con batteri, deposito di
melanina ed esternamente da fibroblasti (Ematossilina-Eosina). Figura 3 - Infiltrazione emocitaria negli spazi
peritubulari dell’epatopancreas di Procambarus clarkii con infezione da Citrobacter freundii ed Aeromonas
sobria (Ematossilina-Eosina). Figura 4 - Intestino di Procambarus clarkii con enterite batterica da Citrobacter
freundii. Epitelio in necrosi con colonie batteriche sulla superficie. La lamina basale risulta ispessita con presenza
di melanina. (Giemsa). Figura 5 - Intestino di Procambarus clarkii con enterite batterica da Citrobacter freundii.
Lesioni granulomatose multifocali nella parete (Ematossilina-Eosina).
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Figure 1 – Signal crayfish (Pacifastacus leniusculus). Muscular necrosis with presence of Aeromonas hydrophila
colonies (Giemsa). Figure 2 - Pacifastacus leniusculus. Aeromonas hydrophila septicaemia with granulomatous
hepatopancreatitis. Granuloma characterised by necrotic centre with bacteria, melanine infiltration and external
layer of fibroblasts (HE). Figure 3 – Procambarus clarkii. Peritubular hemocyte infiltration in hepatopancreas
associated with Citrobacter freundii and Aeromonas sobria (HE). Figure 4 – Procambarus clarkii. Bacterial
enteritis caused by Citrobacter freundii with epithelial necrosis and thickening of the basal lamina with of
melanine accumulation (Giemsa). Figure 5 - Procambarus clarkii. Bacterial enteritis by Citrobacter freundii with
multifocal granulomatous lesions in the gut wall (HE).
Diagnosi
La diagnosi si effettua in seguito al riscontro di ulcere brunastre sull’esoscheletro e
sull’esame istologico. L’isolamento su terreno di coltura appare difficoltoso per presenza di
flora microbica contaminante.
Misure di controllo
Al fine di evitare l’insorgenza della malattia è necessario il controllo dei parametri fisicochimici dell’acqua ed evitare l’eccesiva densità nel bacino di allevamento.
BATTERI FILAMENTOSI
Eziologia
Sono batteri Gram negativi, filamentosi, appartenenti al genere Leucothrix-like.
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Batteri filamentosi epibionti sono stati descritti nei gamberi d’acqua dolce del Nord
America (Johnson, 1977) e nel gambero australiano “hairy marron” (Cherax tenuimanus)
(Evans et al., 1992).
Figura 6 - Batteri filamentosi su preparato a fresco di branchie di gambero americano Orconectes limosus.
Figure 6 – Filamentous bacteria in fresh mount from gills of American crayfish Orconectes limosus.
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I batteri epibionti si riscontrano sull’esoscheletro e sulle branchie e colonizzano la
superficie delle uova, interferendo con la schiusa. Le larve possono manifestare alterazioni
nel comportamento natatorio e nella muta. Gravi colonizzazioni branchiali possono indurre
problemi respiratori e sono indice di cattiva qualità ambientale.
Diagnosi
E’ possibile osservare batteri filamentosi su preparati a fresco di branchie e pleopodi. La
morfologia dei batteri filamentosi d’acqua dolce è sovrapponibile a quella di Leucothrix
mucor, batterio filamentoso presente in acqua salata, di circa 2 µm di diametro e di
lunghezza variabile (Johnson, 1983).
Misure di controllo
Le infezioni da batteri filamentosi possono essere trattate con antibiotici (Johnson, 1983;
Alderman & Polglase, 1988). E’ importante mantenere una buona qualità dell’acqua (ridotta
presenza di materiale organico ed elevati livelli di ossigeno) al fine prevenire l’insorgenza
della patologia.
NOCARDIOSI
Eziologia
Il genere Nocardia, a cui appartengono più di 80 specie, comprende microrganismi
filamentosi, talvolta ramificati, Gram-positivi e debolmente acido resistenti. Le nocardie,
largamente diffuse in natura, vivono nel suolo come saprofiti su materiali organici in
decomposizione. Nel genere Nocardia sono comprese diverse specie di interesse medicoveterinario che provocano patologie in mammiferi, compreso uomo, uccelli, pesci ed
invertebrati acquatici.
Attualmente risulta un’unica segnalazione di infezione da Nocardia sp. in un campione
adulto di Austropotamobius pallipes, prelevato nel fiume Avon, in Inghilterra durante
un’indagine su un episodio di peste (Alderman et al., 1986).
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Il gambero, rinvenuto durante il giorno, si presentava apatico ed incordinato nei
movimenti. Una frattura depressa, non cicatrizzata, era riscontrata nell’esoscheletro e nei
tessuti sottostanti della regione addominale e numerosi noduli sferici nerastri erano osservati
dispersi nella muscolatura.
Lesioni istologiche
All’esame istologico sono stati evidenziati microrganismi filamentosi ramificati, di
lunghezza variabile fra 10-15 µm e larghezza compresa tra 0,5-1,0 µm, identificati come
Nocardia sp. I microrganismi erano localizzati all’interno dei noduli, circondati da strati
concentrici di emociti e melanina. Le colonie batteriche filamentose erano scarsamente
evidenziate con Ematossilina-Eosina, e ben contrastate con la colorazione di Grocott.
Diagnosi
La diagnosi, effettuata da Alderman et al. (1986), si basava sull’isolamento dei
microrganismi filamentosi ramificati, acido resistenti, Gram positivi con morfologia e
caratteristiche colturali riferibili a Nocardia sp. e sulle caratteristiche lesioni istologiche.
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INFEZIONE DA RICKETTSIA-LIKE (Coxiella cheraxi)
Eziologia
Un microrganismo procariote intracellulare, Gram negativo, Rickettsia-like, isolato in “red
claw” (Cherax quadricarinatus) è stato caratterizzato mediante tecniche molecolari (PCR) e
denominato Coxiella cheraxi da Tan & Owens (2000).
La posizione tassonomica del batterio è stata in seguito confermata da Cooper et al. (2007)
come membro del genere Coxiella.
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Malattie da organismi Rickettsia-like sono state segnalate con mortalità in stagnicoltura nel
Queensland (Australia) (Edgerton, 1996) ed Ecuador (Jiménez & Romero, 1997). Le
infezioni sistemiche batteriche intracellulari descritte in Ecuador in Cherax quadricarinatus
da Jiménez & Romero (1997) e Romero et al. (2000) sono riferibili a C. cheraxi.
Una seconda infezione da Rickettsia-like, osservata a carico dell’epatopancreas di Cherax
quadricarinatus da Edgerton & Prior (1999), è stata considerata distinta da C. cheraxi per il
diverso tropismo tissutale e per mancanza di dati molecolari. Un organismo non identificato
Rickettsia-like associato a granulomi nell’epatopancreas, ovario e il cuore è stato riportato da
Vogt et al. (2004) in Procambarus sp. “Marmorkrebs”.
I crostacei infetti da Rickettsia-like sono apatici, mostrano debolezza nei movimenti,
iporiflessia del telson e incapacità di rialzarsi in seguito a ribaltamento (Edgerton et al.,
1995).
Jimenez & Romero (1997) in Ecuador hanno talvolta osservato colorazione bluastra dei
gamberi infetti. La malattia, considerata sistemica da Tan & Owens (2000), sembra
contagiare soprattutto il tessuto branchiale, infettando in un secondo tempo l’epatopancreas
con l’aumentare della gravità (La Fauce & Owens, 2007).
Lesioni istologiche
L’esame istologico evidenzia aggregati intracitoplasmatici, riferibili a Rickettsia-like,
basofili e Gram negativi, negli endoteli vasali e nei tessuti connettivi. Le cellule infette si
presentano ipertrofiche e prominenti. Necrosi ed atrofia dell’epatopancreas sono
frequentemente osservate.
Diagnosi
Coxiella cheraxi si sviluppa in coltura su uova embrionate di pollo al sesto giorno di
incubazione a 36°C. La tipizzazione si ottiene mediante tecniche molecolari (PCR) (Tan &
Owens, 2000).
INFEZIONE DA MICOPLASMI (Spiroplasma sp.)
Eziologia
I micoplasmi rappresentano le cellule procariote più piccole in grado di replicarsi
autonomamente. Questi microrganismi vengono considerati Gram-negativi anche se si
colorano molto debolmente. Spiroplasma, uno dei 6 generi del gruppo Mollicutes, è di forma
allungata e spiroidale, è fitopatogeno ed è agente di malattia degli artropodi. Fra le 40 specie
descritte fino ad oggi una è stata isolata in Procambarus clarkii, allevati in Cina (Wang
et al., 2005). Jiménez et al., (1998) hanno inoltre osservato un microrganismo intracellulare
micoplasma-like non identificato nell’epitelio della cuticola di Cherax quadricarinatus
allevati in Ecuador.
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Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
L’isolamento di Spiroplasma sp. è stato condotto in Cina da Procambarus clarkii affetti da
malattia debilitante con esito letale. I gamberi della Louisiana erano allevati in stagno con
granchi Eriocheir sinesis che presentavano una forma patologica, caratterizzata da tremori e
con la stessa eziologia (Wang et al., 2005). Wang et al. (2005) tuttavia, non sono stati in
grado di trasmettere sperimentalmente l’infezione dai granchi ai gamberi. Successivamente
Bi et al. (2008), hanno dimostrato attraverso il sequenziamento molecolare, che le forme
presenti in Eriocheir sinesis, in Procambarus clarkii e in Penaeus vannamei, appartengono
alla stessa specie, strettamente legata a S. mirum.
Lesioni istologiche
Spiroplasma sp. è stato osservato, dopo infezione sperimentale, nelle cellule dell’emolinfa,
tessuto connettivo delle gonadi, pereiopodi, epatopancreas, intestino, nervi, cuore e branchie
(Wang et al., 2005).
Diagnosi
Sono stati sviluppati per il rilevamento del patogeno strumenti diagnostici che
comprendono PCR e test immunoenzimatico (ELISA) (Bi et al., 2008; Ding et al., 2007;
Wang et al., 2009).
Misure di controllo
Prove sperimentali di terapia con ossitetraciclina in granchi (Eriocheir sinesis) hanno
dimostrato l’efficacia del trattamento nei confronti di Spiroplasma.
I risultati positivi inducono a considerare un potenziale impiego del farmaco in
Procambarus clarkii (Liang et al., 2009).
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3. PATOLOGIE MICOTICHE
Negli invertebrati, i miceti spesso hanno un ruolo patogeno più rilevante rispetto ai batteri
e ai parassiti (Unestam, 1973a). Le più gravi micosi descritte nei decapodi dulciacquicoli, ad
esclusione delle fusariosi, sono state attribuite al gruppo degli Oomiceti. Nei gamberi
d’acqua dolce sono state segnalate micosi, ma spesso non sufficientemente corredate da
esaurienti descrizioni. La maggior parte dei funghi isolati è in stretta relazione alla scarsa
qualità dell’acqua. Il frequente riscontro di miceti nei gamberi spesso testimonia il degrado
delle condizioni ambientali. I funghi più frequentemente colonizzano ed invadono le parti
molli della cuticola, le ferite dell’esoscheletro, le branchie e le uova.
Gli Oomiceti
Gli Oomiceti sono organismi “fungus-like”, ora considerati protisti e collocati, insieme a
diatomee ed alghe brune, nel gruppo tassonomico Stramenopiles. Tale gruppo comprende
l’ordine Saprolegniales, le cosiddette “muffe acquatiche”, che sono comuni nell’ambiente
idrico, sia come agenti saprofiti, sia come parassiti di pesci, crostacei ed anfibi (Cerenius &
Söderhäll, 1996). I meccanismi che inducono il passaggio dalla vita saprofitica a quella
parassitaria non sono ancora completamente chiariti. La classe Oomycetes comprende due
importanti generi associati a mortalità nei gamberi dulciacquicoli: Aphanomyces e
Saprolegnia. Il micelio degli Oomiceti è cenocitico (cioè non settato), costituito da una
massa citoplasmatica multinucleata racchiusa da una singola parete cellulare. La
riproduzione asessuata in molti gruppi di Oomiceti avviene per produzione di zoospore,
dotate generalmente di due flagelli e prodotte dagli zoosporangi. Le zoospore sembrano
essere attratte per chemiotassi verso le sorgenti di nutrimento a cui aderiscono, incistandosi
(Deacon & Donaldson, 1993). In seguito la germinazione porta alla crescita di ife o di
strutture penetranti che, per azione meccanica (Nyhlén & Unestam, 1975) o mediante azione
di enzimi litici (Unestam, 1966a) o per combinazione di entrambi i meccanismi, invadono i
tessuti dell’ospite. Fra gli enzimi litici, le proteasi sono spesso considerate i fattori più
importanti per la patogenesi in insetti e crostacei. La chitinasi è stata associata alla virulenza
di Aphanomyces astaci (Unestam, 1966b; Söderhäll et al. 1978), poiché la chitina è la
principale componente della cuticola dell’esoscheletro del gambero.
Vilcinscas & Götz (1999), hanno ipotizzato che i funghi possano indurre una risposta
dell’ospite in reazione all’attività enzimatica. Nei confronti di questa esisterebbe una difesa
passiva basata su composti fungistatici e inibitori presenti nell’emolinfa e nella cuticola del
gambero. Inibitori della proteasi possono agire impedendo la penetrazione delle ife
nell’esoscheletro (Hall & Söderhäll, 1983; Dieguez-Uribeondo & Cerenius, 1998).
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ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 5-52
Le difese immunitarie di insetti e crostacei, nei confronti degli Oomiceti, sono innate ed
aspecifiche e reagiscono verso alcuni costituenti della parete, fra i quali i β-1-3 glucani. Gli
Oomiceti in contrasto con i funghi veri e propri contengono una minore quota di chitina
(Söderhäll & Unestam, 1979). Un particolare meccanismo di difesa è rappresentato dal
sistema della profenolossidasi, complesso enzimatico che, quando attivato, libera peptidi e
proteine che fungono da mediatori di molte funzioni difensive. Questo sistema viene attivato
da proteasi della cuticola e dell’emolinfa e dall’azione di microrganismi diversi.
L’attivazione libera la fenolossidasi, enzima adesivo che si lega alla superficie delle
particelle estranee e altre proteine con capacità adesive: per questa caratteristica, tale sistema
appare molto simile ad un primitivo sistema complemento. Come risultato si ha la
liberazione di un pigmento bruno, la melanina, intorno alle reazioni immunitarie. Tale
sistema favorisce la fagocitosi, la coagulazione plasmatica e la distruzione dei patogeni. La
penetrazione del patogeno attiva meccanismi difensivi quali l’accumulo di emociti, la
formazione di capsule, di noduli, granulomi intorno all’organismo estraneo con presenza di
pigmento melanotico (Roitt et al., 1998).
AFANOMICOSI O “PESTE DEL GAMBERO”
Eziologia
La più conosciuta e devastante malattia in grado di contagiare i gamberi d’acqua dolce, è
senza dubbio la peste del gambero, patologia di origine americana, causata dall’oomicete
Aphanomyces astaci. Il patogeno, estremamente virulento, può provocare mortalità del 100%
nelle specie autoctone europee ed è la causa della loro scomparsa in molte aree geografiche
(Aldermann, 1996).
Circa 35 specie di Aphanomyces sono state descritte in tre principali categorie: organismi
parassiti delle piante, parassiti di animali e saprofiti o parassiti opportunisti (DiéguezUribeondo et al., 2009).
Aphanomyces astaci (Schikora, 1903), parassita obbligato dei gamberi d’acqua dolce
(Unestam, 1969b), appartiene al Regno Chromista, Phylum Heterokonta, classe Oomycetes,
ordine Saprolegniales, famiglia Saprolegniaceae. Aphanomyces astaci presenta ife
ramificate, non settate, di 7-10 micron di spessore. La riproduzione nel genere Aphanomyces
avviene sia sessualmente, per fusione dei gametangi prevalentemente differenziati in
anteridio ed oogonio (gametangiogamia oogama), con formazione di uno zigote che si
trasforma in una spora duratura detta oospora, sia in modo asessuato tramite zoospore mobili
biflagellate e adatte alla dispersione in acqua. Oidtmann et al. (2002a) hanno riportato che
Aphanomyces astaci rappresenta un'eccezione nel genere Aphanomyces, poichè non si
riproduce sessualmente.
Alcuni autori, mediante il metodo di RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA),
hanno identificato 4 gruppi genetici. Il gruppo A (genotipo As) comprende ceppi isolati dai
gamberi europei: Astacus astacus e Astacus leptodactylus; il gruppo B (genotipo PsI) include
ceppi isolati da Pacifastacus leniusculus di origine californiana; Il gruppo C (genotipo PsII)
acclude ceppi provenienti da Pacifastacus leniusculus di origine canadese; il Gruppo D (tipo
Pc) racchiude ceppi isolati da Procambarus clarkii (Huang et al., 1994; Diéguez-Uribeondo
et al., 1995). Kozubíková et al. (2011), descrivono un nuovo genotipo (gruppo E) isolato da
Orconectes limosus in Repubblica Ceca.
I ceppi A, B e C si sviluppano in gamberi d’acqua fredda (4-21°C). I ceppi del gruppo D
originano in regioni subtropicali del sud est degli Stati Uniti d'America e si sono adattati a
crescere a temperature di 20-26°C. La virulenza a 10°C, la morfologia ed una serie di
caratteristiche fisiologiche sono aspetti comuni dei quattro gruppi. A temperature superiori a
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20°C, i ceppi del gruppo D risultano più virulenti rispetto ai ceppi di acqua fredda, sono in
grado di crescere più rapidamente e rilasciano zoospore. I ceppi del gruppo E hanno una
crescita ottimale a 22°C e produzione di spore tra 5-26°C, ma non a 27°C.
I gamberi d’acqua dolce, oltre che da Aphanomyces astaci, possono essere infettati da
Aphanomyces repetans (saprofita) ed Aphanomyces frigidophilus (parassita) (Royo et al.,
2004; Ballesteros et al., 2006; Diéguez-Uribeondo et al., 2009).
Distribuzione geografica
La malattia è endemica in nord America, ma raramente causa malattia conclamata nei
Cambaridae e negli Astacidae americani, se non sottoposti a condizioni di stress (Smith &
Söderhäll, 1986).
L’Italia vanta il triste primato di essere stata il primo paese in Europa colpito da epizoozia
di peste del gambero (Unestam, 1973b; Schaperclaus, 1992). La popolazione astacicola era
consistente ed ampiamente diffusa in tutto il territorio nazionale prima della comparsa della
malattia. Il primo episodio di peste fu descritto in Lombardia, nel 1859 (Cornalia, 1860) a
nord del fiume Po ed altri ne sono seguiti in tutta la pianura padana, da Torino a Trieste
(Martinati, 1861; Ninni, 1865). Ben presto la peste, ritenuta al tempo essere provocata da
parassiti o batteri, si propagò in tutta l’Europa centrale fino ai paesi baltici, scandinavi ed in
Russia, come riportato da Alderman (1996) in una rassegna sulla diffusione geografica delle
malattie micotiche e batteriche dei crostacei. In Germania l’epidemia si verificò nel 1864
(Seligo, 1895), in Francia tra il 1876 e il 1885. In Germania, Hofer (1889) attribuì la malattia
ad un batterio che definì Bacillus pestis astaci e solo in seguito Schikora (1903; 1906) isolò
un organismo fungino che denominò Aphanomyces astaci. La diffusione dell’infezione seguì
due direzioni: la prima lungo il Danubio, nei Balcani verso il Mar Nero e la seconda
attraverso la pianura settentrionale tedesca verso la Russia diffondendo fino alla Finlandia e
alla Svezia.
Dopo aver decimato le popolazioni di gamberi indigeni, tra la seconda metà del 1800 e i
primi decenni del 1900, in Italia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Paesi Bassi, Polonia,
Danimarca, Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Svezia, Ungheria, Romania, Bulgaria,
Russia e Paesi Slavi, la peste ha diminuito la sua incidenza restando circoscritta ad alcuni
focolai nell’Europa orientale e settentrionale.
Negli ultimi decenni l’epidemia è tornata a minacciare i gamberi europei interessando
anche le acque interne della Norvegia (Hàstein & Unestam, 1971), Spagna (Cuellar & Coll,
1984), Gran Bretagna (Alderman et al., 1984; Alderman, 1993), Irlanda (Reynold, 1988;
Matthews & Reynolds, 1992), Turchia (Baran & Soylu, 1989; Rahe & Soylu, 1989; Timur,
1990), Svizzera e Repubblica Ceca (Kozubíkova et al., 2008). La principale fonte di
diffusione in Europa tra il 1960 e il 2000 è stata l’importazione incontrollata di gamberi
americani (Alderman, 1996; Dehus et al., 1999).
Le perdite nelle specie indigene europee di gamberi di acqua dolce sono state catastrofiche
nei corsi d'acqua infetti e notevoli risorse economiche sono state assegnate in molti paesi (in
particolare Finlandia e Regno Unito) nel tentativo di eradicare o controllare la malattia.
In Italia, dopo le prime segnalazioni risalenti alla metà del 1800, non sono stati più descritti
episodi di afanomicosi e pertanto si pensava che questa patologia fosse scomparsa dal
territorio nazionale. Nel 1999, durante un monitoraggio sanitario nel territorio della Bonifica
Renana nella valle di Marmorta (Marmorta di Molinella - BO), veniva isolato in un gambero
rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) Aphanomyces sp. (Galuppi et al., 2002), in
seguito identificato come Aphanomyces repetans (Royo et al., 2004). L’isolamento è
avvenuto in assenza di manifestazioni patologiche.
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Figura 7 - Diffusione in Europa della peste del gambero d’acqua dolce (da Huner, 2002).
Figure 7 - Spread in Europe of freshwater crayfish plague (from Huner, 2002).
Da Procambarus clarkii catturati nel 2008 in Lombardia e Toscana, che presentavano
lesioni melanotiche sull’esoscheletro, è stato isolato Aphanomyces astaci (Aquiloni et al.,
2011).
Nell’estate 2009 su campioni di Austropotamobius pallipes, prelevati in conseguenza di
gravi morie da torrenti della provincia di Isernia (Molise) e pervenuti al laboratorio di Sanità
Pubblica Veterinaria e Patologia Animale dell’Università di Bologna, si evidenziavano,
all’esame istologico, gravi lesioni riferibili a peste del gambero (osservazioni personali). La
diagnosi è stata confermata dalle analisi eseguite presso i laboratori dell’Istituto
Zooprofilattico dell’Abruzzo e Molise (Cammà et al., 2010). A partire dall’inverno 20092010 gravi episodi di mortalità si sono verificati in un allevamento di “yabby” (Cherax
destructor) in Veneto a Mogliano Veneto (TV) (Quaglio et al., 2011). Nuovi focolai in
gambero di fiume sono stati segnalati nel 2010 presso Valdobbiadene (TV) e nel 2011 in
Trentino, in località Ponte Santa Lucia presso il fiume Chiese, in Lombardia in località
Montevecchia (LC), in Abruzzo presso Crognaleto (TE) e in Friuli (osservazioni personali).
Attualmente vi sono riscontri di positività in gamberi australiani (Cherax quadricarinatus)
allevati in Sicilia (Marino, comunicazioni personali).
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La peste non è mai stata segnalata in Australia. Ad oggi, nessun focolaio di peste dei
gamberi è stato riportato in “redclaw” Cherax quadricarinatus in Europa, in Ecuador o negli
Stati Uniti (Westman & Westman, 1992; Romero, 1997). Non ci sono segnalazioni di peste
in Giappone dove è stato introdotto Pacifastacus leniusculus e in Kenya, Sud America, Cina,
Giappone, Taiwan e Filippine, ove è stato introdotto Procambarus clarkii (Huner, 2002;
Lewis, 2002).
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Tutte le specie di gamberi di acqua dolce sembrano essere suscettibili all’infezione. È nota
la sensibilità alla malattia dei decapodi d’acqua dolce autoctoni europei ed australiani
(l’Australia è continente indenne) e la maggiore resistenza delle specie alloctone
nordamericane (Unestam, 1973a). La traslocazione di gamberi del Nord America con
infezioni benigne è stata la principale fonte di epidemia in Europa.
Numerose specie sono sensibili in condizioni naturali o sperimentali: il gambero della
California (Pacifastacus leniusculus), il gambero rosso della Louisiana (Procambarus
clarkii), il gambero americano (Orconectes limosus), il gambero europeo (Astacus astacus),
il gambero di fiume (Austropotamobius pallipes), il gambero di torrente (Austropotamobius
torrentium), il gambero turco (Astacus leptodactylus), i gamberi australiani “yabby” (Cherax
destructor), “gilgie” (Cherax quinquicarinatus) e “red claw” (Cherax quadricarinatus), il
gambero gigante d’acqua dolce (Astacopsis gouldi), altre specie australi (Cherax papuanus,
Astacopsis fluviatilis, Euastacus kershawi, Euastacus clydensis) ed il gambero giapponese
(Cambaroides japonicus). Le specie nordamericane (Procambarus clarkii, Pacifastacus
leniusculus, Orconectes limosus) mostrano elevata, ma non completa resistenza alla
patologia, agendo da vettori dell’infezione (Evans & Edgerton, 2002). Pacifastacus
leniusculus ed Orconectes limosus sono ritenuti responsabili della introduzione della peste in
centro e nord Europa (Vey et al., 1983; Alderman & Polglase, 1988); Procambarus clarkii
potrebbe essere la causa della nuova introduzione in Italia e con il gambero della California
potrebbe aver diffuso la malattia in Spagna nel 1978-1982 (Diéguez-Uribeondo & Söderhäll,
1993; Diéguez-Uribeondo et al., 1997; Diéguez-Uribeondo & Söderhäll, 1999). Il granchio
guantato cinese (Eriocheir sinesis) è stato infettato in condizioni sperimentali (Benisch,
1940).
La peste si trasmette per via orizzontale. La trasmissione verticale è stata segnalata in
Finlandia in uova di gamberi della California incubate artificialmente (Makkonen et al,.
2010). La morte dell’ospite è la conseguenza dell’azione di una neurotossina.
Aphanomyces astaci è un patogeno primario che attacca le aree meno calcificate della
cuticola e le membrane delle articolazioni dei crostacei. Le zoospore sono lo stadio infettante
della malattia che determinano la diffusione dell’infezione attraverso l’acqua.
Le zoospore vengono attratte chemiotatticamente sulla parete dell’esoscheletro, spesso su
lacerazioni o ferite, dove si incistano. Se il punto di adesione non risulta idoneo possono
tentare nuovamente la ricerca di un’altra area della cuticola. La zona di giunzione tra due
segmenti addominali o le articolazioni sono il sito più opportuno per l’incistamento. La
germinazione procede grazie alla secrezione di enzimi lipolitici che diffondono attraverso lo
strato lipidico della cuticola.
Si genera un tubo germinativo di penetrazione e le ife con attività proteasica e chitinasica
cominciano a svilupparsi, progredendo parallelamente alle fibrille chitinose all’interno della
cuticola, invadendo l’ipoderma e talvolta la muscolatura sottostante. Raramente si ha
diffusione in modo massivo in tessuti ed organi più profondi. I miceli, leggermente ramificati
che contengono un protoplasma granulare, producono sporangi extramatricali che
fuoriescono dalla cuticola e che possono rivestire di un sottile strato biancastro occhi ed
articolazioni prima della morte dell’ospite. La riproduzione asessuata avviene per
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formazione di zoo sporangi, che a maturità liberano zoospore. All’interno degli zoosporangi
si sviluppano zoospore ameboidi primarie che si spostano e si incistano nella porzione
apicale rilasciando, in poche ore, zoospore secondarie biflagellate. Le zoospore, libere in
acqua, generalmente sono attive per un periodo variabile da pochi minuti a tre giorni, ma
secondo la temperatura ambientale i tempi possono essere molto più lunghi.
Quando la zoospora per chemiotassi raggiunge l’esoscheletro di un gambero, vi aderisce
con i flagelli e si incista nella cuticola, dando luogo a nuova germinazione. Il tentativo
d’incistamento può avvenire più volte, fino a tre, se il substrato non risulta idoneo alla
germinazione (Cerenius & Söderhäll, 1985). Aphanomyces astaci può quindi sopravvivere
nell’ambiente, in assenza dell’ospite, per diverse settimane; pertanto si raccomanda di non
ripolare i corpi idrici prima di tre mesi dalla scomparsa per peste dei gamberi di fiume.
Figura 8 - Ciclo biologico di Aphanomyces astaci: crescita di ife su decapode affetto da peste. (1) particolare di
tallo con zoosporangio in cui si verifica la formazione di ife vegetative, sporangi e zoospore secondarie biflagellate che vengono liberate nell’ambiente (2). Le zoospore secondarie possono effettuare fino a tre tentativi di
incistamento (3), oppure possono aderire su ospite non definitivo (4), solitamente portatore asintomatico, dove si
verifica solo l’adesione superficiale e rilascio di zoospore infettanti per il decapode (5).
Figure 8 - Life cycle of Aphanomyces astaci: growth of hyphae on the surface of decapod suffering from plague
(1), detail of thallus with zoosporangio in which occurs the formation of vegetative hyphae, sporangia and
secondary bi-flagellate zoospores which are released in the environment (2). The secondary zoospores can make
up to three attempts to encystment (3), or they can infect a non-definitive host (4), usually asymptomatic, in which
zoospores stay are retained in fish mucus and then released in aquatic environment (5).
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ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 5-52
Le fonti di contagio possono essere l'introduzione di gamberi vivi infetti o la presenza di
soggetti morti per la malattia, l'immissione di acqua da corpi idrici contaminati ed il
trasferimento di zoospore con vettori animati ed inanimati. I cadaveri dei crostacei mantenuti
all’aria, a temperatura ambiente (circa 21°C), risultano ancora infettanti dopo 48 ore, in
acqua dopo 3-5 giorni. Mammiferi, come la lontra, il visone o i topi muschiati e uccelli
acquatici sono stati accusati di diffondere la peste ai gamberi in Europa. Poichè studi
scientifici hanno dimostrato che le zoospore non sopravvivono alle temperature del tratto
gastrointestinale di mammiferi o uccelli (Oidtmann et al., 2002b), la trasmissione può
avvenire tramite la sola veicolazione, sulla superficie corporea, di acqua contaminata. E’
stato riscontrato che il movimento di pesci da aree infette a corsi d’acqua indenni può essere
causa di epidemia (Alderman et al., 1987; Oidtmann et al., 2002b). Le spore rimangono
vitali nel muco della pelle e del tratto intestinale del pesce. L’introduzione di materiale ittico
da ripopolamento può facilitare la diffusione di A. astaci anche per la presenza di spore
nell’acqua di trasporto. La pulizia e l'eviscerazione dei pesci provenienti da altri corpi idrici è
una potenziale fonte di infezione (Hall & Unestam, 1980). Aphanomyces astaci può essere
veicolato da equipaggiamento contaminato (barche, attrezzatura da pesca, stivali, vestiario,
ecc.). In condizioni ideali, anche piccole quantità di acqua sono in grado di trasferire
sufficienti zoospore per infettare un nuovo corpo idrico. Circa 1,3 zoospore per millilitro di
acqua sono sufficienti ad infettare gamberi sensibili (Alderman et al., 1987).
Quando si manifesta la malattia in una nuova area, la popolazione astacicola presenta
rapida ed elevatissima mortalità. La morte di tutti i gamberi si verifica entro 6-10 giorni
(Unestam & Weiss, 1970; Alderman et al., 1987). Dopo molti decenni di infezione, non ci
sono osservazioni di sviluppo di resistenza ed immunità alla malattia in specie europee di
gambero (Unestam, 1973b; Westman, 1991; Svärdson, 1992). Durante l’epidemia il fondale
di laghi e fiumi può essere ricoperto di gamberi morti. In Italia, senza che sia stata
documentata la presenza di peste, tale circostanza si è verificata nel lago di Garda con la
comparsa del gambero americano Orconectes limosus (Zanini, 1999) e nel lago di Levico
(Maiolini, comunicazione personale).
La malattia nei corsi d’acqua, si diffonde rapidamente lungo la direzione del flusso mentre
è più lenta la propagazione controcorrente. Raramente individui sensibili possono essere
rinvenuti vivi dopo un episodio di peste: se ciò si verifica lo si deve ad una mancata
esposizione al patogeno (animali presenti in corsi d’acqua tributari). La trasmissione della
malattia da gambero malato a gambero sano avviene in breve tempo (Cerenius & Söderhäll,
1984). Viljamaa-Dirks et al. (2011) descrivono, nel gambero europeo del lago Taulajärvi in
Finlandia, ricorrenti epidemie di peste che si sono manifestate a partire dal 2001. Il
ripresentarsi della malattia nella stessa popolazione è indice di una certa sopravvivenza e
resistenza al morbo. Ulteriori studi potranno chiarire se si tratta di un adattamento a ceppi del
patogeno poco virulenti o di selezione di individui immunoresistenti.
L’andamento e la gravità dell’epidemia dipende da diversi fattori, come la predisposizione
innata della specie, la presenza di fattori di stress e danni all'esoscheletro; sono fattori
importanti nel determinare la gravità della malattia nei singoli animali e nelle popolazioni
(Cerenius et al., 1988). La sensibilità all’agente eziologico sembra aumentare in
corrispondenza della muta (Smith & Söderhäll, 1986), anche se nessuna prova scientifica è
stata riportata a dimostrazione. I meccanismi fisiologici durante la muta e/o la maggiore
facilità di penetrazione nel nuovo esoscheletro potrebbero rendere i gamberi più vulnerabili
alla malattia.
Il ceppo del patogeno e la temperatura dell'acqua condizionano il numero di zoospore
prodotte e la capacità di diffusione ed infezione dei gamberi sensibili. Altri fattori, come la
densità animale, sono importanti nell’andamento dell’epidemia in una popolazione.
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Lo sviluppo e la capacità di sporulazione è in relazione al ceppo ed alla temperatura
ambientale. Osservazioni di campo mostrano che la peste, in alcune aree geografiche, si
manifesta in un ampio intervallo di temperature, compreso tra 4-20°C. A 13°C, la
produzione di zoospore è superiore che a 20°C e le zoospore possono rimanere infettanti più
a lungo (Cerenius et al., 1988). Unestam (1966b) ha riscontrato spore vitali dopo due mesi,
in una sospensione mantenuta a 2°C.
A temperature inferiori a 10°C, i gamberi infetti richiedono tempi più lunghi per morire e i
segni clinici sono più apparenti, come la perdita di un arto e la presenza di ulcere
melanotiche (Alderman et al., 1987).
I ceppi isolati in Spagna da Procambarus clarkii hanno curve di crescita a temperature
superiori rispetto a quelli nord europei, presentano migliore sporulazione e maggiore motilità
delle zoospore tra i 18°C e 25°C (Dieguez-Uribeondo & Söderhäll, 1993).
La velocità di diffusione della malattia dipende da fattori ambientali, come la temperatura
dell’acqua (Oidtmann et al., 2005); pertanto la mortalità può variare notevolmente e
verificarsi in un intervallo compreso tra poche settimane e mesi. In estate la velocità di
diffusione è più rapida. Non ci sono informazioni che confermino la dose minima infettante,
ma è presumibile che una singola zoospora sia sufficiente a determinare la malattia
(Oidtmann, dati non pubblicati). Il periodo di induzione e la durata della malattia fino alla
scomparsa di tutti i soggetti sensibili è in relazione alla dose infettante, alla temperatura
dell’acqua e alla densità di popolazione (Unestam, 1969a; Unestam & Weiss, 1970;
Dieguez-Uribeondo & Söderhäll, 1993).
La mortalità si verifica entro pochi giorni ed intere popolazioni possono rapidamente
estinguersi, in presenza di un elevato numero di zoospore, di temperatura dell'acqua ottimale
alla sporulazione e di abbondanza di gamberi sensibili.
Sebbene non sia noto il livello critico di tolleranza alla salinità, l’acqua salata o salmastra
inibisce il rilascio delle zoospore dagli sporangi e la loro motilità (Unestam, 1969a).
Anche i segni clinici della peste sono molto variabili e dipendono dalla dose infettante e
dalle condizioni ambientali. Il comportamento degli animali colpiti (andatura o attività
insolita), fornisce un indizio per una diagnosi di peste, ma i segni clinici non sono sufficienti.
I primi segni di malattia sono di tipo comportamentale, in presenza di un elevato numero di
soggetti morti (Alderman & Polglase, 1986). Si osserva inizialmente un aumento dell’attività
motoria, seguito da apatia.
L’animale affetto da peste si mostra, in pieno giorno, con gli arti in estensione, esce
dall’acqua e tenta di arrampicarsi sull’argine, si muove in modo incordinato, è instabile con
perdita dell’equilibrio, non tenta di fuggire alla cattura e si manifesta inerte se trattenuto.
L’addome è ripiegato su se stesso e le chele si serrano debolmente. Occasionalmente
l’animale tenta di pizzicarsi. Al culmine dell’infezione i soggetti si rovesciano sul dorso,
muovono convulsamente le appendici e non riescono a raddrizzarsi. Talvolta la morte si
manifesta per paralisi in questa posizione. Frequentemente si può manifestare il distacco
degli arti o porzioni di essi.
Aree biancastre sono presenti sulla superficie dell’addome e alla base degli arti. Aree
ulcerate brunastre sono più frequenti in gamberi alloctoni resistenti e portatori o in gamberi
indigeni con infezione subacuta. Il carapace diventa molle e delicato e di colore assai più
pallido, talvolta con aree brunastre. L’intensità dell’infezione aumenta con la taglia; le
femmine sono più colpite.
Lesioni istologiche
All’osservazione istologica l’esoscheletro, l’ipoderma, più raramente il muscolo
scheletrico sottostante e le branchie si presentano invasi da caratteristiche ife asettate e
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ramificate. Alla colorazione di Grocott-Gomori, le ife appaiono di colore nero su sfondo
verde.
La cuticola è il primo tessuto ad essere interessato. In particolare risultano maggiormente
aggredite le parti molli non calcificate, quali la porzione ventrale della regione addominale e
le giunture degli arti e dello sternite. La crescita delle ife tende ad essere limitata alla zona di
penetrazione della cuticola. Nelle specie autoctone, il patogeno spesso riesce a perforare la
lamina basale dell’epidermide e l’ipoderma, penetra nell’organismo ed invade il tessuto
connettivo ed i seni dell’emocele, estendendosi lungo il cordone nervoso ventrale ed il
ganglio cerebrale. Aree di necrosi si possono osservare nella muscolatura scheletrica in
prossimità del patogeno (Timur, 1990).
Occasionalmente le ife crescono sull’occhio e più raramente in altri organi. L’invasione
della muscolatura avviene tardivamente.
Le difese dell’organismo all’invasione delle ife nella cuticola consistono nella presenza di
melanina e di infiltrato di cellule emocitarie nell’epidermide e nello strato adiacente (Vey,
1979). Reazioni granulomatose possono essere osservate raramente.
Nelle specie di gamberi nordamericani l’infezione è localizzata alla cuticola, che presenta
reazioni melanotiche.
Diagnosi
In caso di peste, l’elevata mortalità dei gamberi non si verifica in altri animali presenti
nell’ambiente. La mortalità di altri crostacei ed invertebrati, oltre ai decapodi e la presenza di
pesci vivi può essere indice d’inquinamento ambientale (es. insetticidi, in particolare
piretroidi).
La peste deve essere sospettata ogni volta si verifica una grave mortalità di gamberi senza
interessare gli altri animali acquatici. Il solo riscontro di un ingente numero di gamberi
deceduti, senza prendere in esame altri aspetti generali sulla fauna acquatica e l’ambiente è
una condizione insufficiente ad emettere diagnosi. La diagnosi di peste rimane spesso
presuntiva, per problemi legati al campionamento e all’isolamento dell’agente patogeno.
I metodi per diagnosticare l’afanomicosi si basano sull’osservazione dei segni clinici, dei
preparati a fresco da cuticola e tessuto sottocuticolare, dei preparati istologici, per rilevare la
presenza delle caratteristiche ife, sull’isolamento dell’agente eziologico in specifici terreni di
coltura e su tecniche biomolecolari.
I gamberi prelevati devono essere riposti in contenitore refrigerato, all’interno di sacchetti
in plastica e non congelati; il congelamento sopprime gli oomiceti. I campioni devono
giungere in laboratorio entro 12 ore dalla morte. Il coperchio del contenitore deve essere
fissato con del nastro adesivo ed esternamente trattato con sostanze denaturanti (ipoclorito di
sodio) per impedire la diffusione del patogeno. Il microrganismo è sensibile
all’essiccamento, per cui la trasmissione delle spore vitali è un fattore a basso rischio. Alcuni
campioni devono essere fissati in etanolo per l’esame biomolecolare, altri in formalina al
10% per l’istologia.
In laboratorio le lesioni dei gamberi possono essere osservate, tramite l’ausilio dello
stereomicroscopio. I foci di infezione possono apparire come aree biancastre nella
muscolatura, visibili in trasparenza attraverso la cuticola, specialmente nell’addome ventrale
e nelle articolazioni dei pereiopodi o come ulcere focali brunastre e melanotiche.
Le preparazioni a fresco da piccole porzioni di cuticola molle, prelevate dalle regioni
addominali, possono confermare la presenza di ife.
L’esame istologico si esegue mediante colorazione con Ematossilina-Eosina, PAS o
Grocott-Gomori.
La tecnica di isolamento in coltura si effettua con prelievo di piccole porzioni di cuticola
addominale, di tergite (2-3 mm), arti ed appendici di gamberi moribondi o morti da non più
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di 24 ore, seminate direttamente o previa immersione in alcool 70° con successivo lavaggio
in soluzione fisiologica, su River water Glucose Yeast Extract Agar (RGY) addizionato con
penicillina (4 unità/ml) o acido ossolinico (10 mg/l) (OIE, 2003a; 2003b).
Il terreno di coltura autoclavato a 40°C, in piastre sterili, è ottenuto con acqua naturale
(non demineralizzata), con aggiunta di semi di canapa sterili per favorire la sporulazione
degli oomiceti.
Le colture sono incubate a 16-24°C per 7-15 giorni, con verifiche giornaliere. La crescita
avviene nello spessore dell’agar ed in superficie solo a temperature <7°C. Le colonie sono
incolori e le ife asettate, molto ramificate di 7-9 µm di diametro (con un minimo di 5 ed un
massimo di 10 µm). Quando i talli sono trasferiti dal terreno di coltura all’acqua distillata,
sviluppano gli sporangi in 12-15 ore (a 20°C) o in 20-30 ore (a 16°C). Le spore di forma
ameboide all’interno del tallo raggiungono gli sporangi e si incistano formando una sorta di
grappolo.
Le spore primarie incistate misurano 9-11 µm di diametro (con un minimo di 8 ed un
massimo di 15 µm). Il rilascio nell’acqua delle zoospore secondarie flagellate (8 x 12 µm)
avviene dalle papille che sviluppano sulla superficie delle spore primarie incistate.
Recenti progressi nelle tecniche di biologia molecolare hanno permesso di sviluppare
nuovi metodi rapidi (PCR) per la diagnosi di peste (Oidtmann et al., 2002a; 2004; 2006).
L’analisi PCR, riportata nel Manual of Diagnostic Tests for Aquatic Animals (OIE, 2009),
amplifica una sequenza di 569 pb nella regione ITS (Internal Transcribed Spacer) del
genoma di Aphanomyces astaci e garantisce una sensibilità pari al 100% in campioni vivi o
morti entro le 24 ore; può essere effettuata anche su campioni congelati o fissati in etanolo.
Tuttavia, Ballesteros et al. (2009), hanno dimostrato che i primer utilizzati mancano di
specificità, in presenza di altre specie di Aphanomyces isolate dal gambero, dando false
positività. Una tecnica proposta per una rapida identificazione di Aphanomyces astaci si
avvale dell'amplificazione dei geni chitinasi che potrebbero essere specie-specifici
(Hochwimmer et al., 2009).
Per una completa analisi di un potenziale focolaio di peste dovrebbe quindi includere la
coltura del patogeno e strumenti molecolari per confermare la presenza di Aphanomyces
astaci (Vrålstad et al., 2009).
Misure di controllo
La prevenzione risulta l’unica azione attuabile nei confronti della peste del gambero ed è
mirata in particolar modo al divieto di introduzione di decapodi resistenti alla peste
(Vorburger & Ribi, 1999). Una volta introdotta la malattia non è possibile controllarne la
diffusione. Ove siano presenti gamberi americani infetti non è possibile eradicare la peste se
non con la completa rimozione di tutti i portatori; questa pratica risulta inattuabile (Holdich
et al., 1999). Al fine di evitare l’introduzione è quindi necessaria l’adozione di strette misure
di sorveglianza.
Prevenire la movimentazione di gamberi infetti e la diffusione del patogeno rappresenta
uno dei punti cruciali in caso di focolaio di peste accertato o sospetto tale. Il corso d’acqua
coinvolto deve essere identificato e devono essere applicate misure di controllo delle
movimentazioni. Possono essere considerate tre zone: una zona infetta che comprende il
bacino idrico dall’area soggetta a mortalità lungo il suo decorso verso valle, una zona di
protezione e una zona di sorveglianza. L’estensione di queste zone deve essere valutata caso
per caso, in base alle caratteristiche idrogeografiche del sito interessato.
A seguito di un focolaio, per determinare l’estensione della zona di protezione, risulta
importante comprendere l’origine primaria dell’infezione e la sua localizzazione, conoscere
la movimentazione di gamberi esotici potenzialmente infetti o gamberi autoctoni con
evidenti segni clinici verso zone indenni limitrofe, ricostruire gli spostamenti dall’area
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infetta di persone, veicoli, attrezzature che possono agire quali vettori meccanici e rilevare
l’esistenza di altre aree potenzialmente infette nelle vicinanze. La sorveglianza è necessaria
per individuare nuovi focolai, definire l’estensione della zona infetta e monitorare i siti di
ripopolamento. La sorveglianza si basa su tre metodi: una semplice osservazione del
comportamento e dei fenomeni di mortalità dei gamberi nel territorio; un monitoraggio
periodico dello stato sanitario delle popolazioni di gamberi in differenti siti, tramite analisi di
laboratorio; l’impiego di gamberi sani collocati in nasse (animali sentinelle) in bacini
precedentemente infetti o sospetti.
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Figura 9 - Gamberi turchi (Astacus leptodactylus) moribondi. Tipica posizione supina con arti rigidi e divaricati.
Figura 10 - Arto amputato con caratteristica colorazione brunastra, in gambero di fiume (Austropotamobius
pallipes) affetto da peste. Figura 11 - Preparato a fresco di Aphanomyces astaci cresciuto su River water Glucose
Yeast Extract Agar; zoosporangi con spore primarie incistate. Figura 12 - Gambero di fiume (Austropotamobius
pallipes); abbondante presenza di ife di Aphanomyces astaci infiltranti lo spessore dell’esoscheletro di gonopode
e penetranti nell’ipoderma con necrosi muscolare (Ematossilina-Eosina). Figura 13 - Gambero di fiume
(Austropotamobius pallipes) raccolto in Molise durante un episodio di mortalità verificatosi nell’agosto 2009.
Sviluppo di ife di Aphanomyces astaci al di sotto dell’esoscheletro con infiltrato emocitario (EmatossilinaEosina).
Figure 9 - Muribund narrow clawed crayfish Astacus leptodactylus with typical supine behaviour, limbs stiff and
wide apart. Figure 10 - Austropotamobius pallipes infected with crayfish plague. Limb with amputated extremity
and typical brownish pigmentation. Figure 11 - Fresh mount of Aphanomyces astaci previously inoculated in
River Water Glucose Yeast Extract Agar; zoosporangi with encysted primary spores. Figure 12 Austropotamobius pallipes: presence of Aphanomyces astaci hyphae infiltrating the gonopod cuticle with
hypodermis penetration and muscular necrosis (HE). Figure 13 - Sampled Austropotamobius pallipes in Molise
region during a mortality outbreak in August 2009. Densely developing hyphae of Aphanomyces astaci under the
exoskeleton with haemocyites infiltration (HE).
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Sono auspicabili severe restrizioni alla pesca ed al commercio di decapodi d’acqua dolce,
quali bandire la cattura in acque infette, la bollitura nel luogo di raccolta o presso il primo
acquirente e il divieto d’importazione di gamberi esotici vivi o non cotti. Le aree ove sono
presenti focolai devono essere precluse alla pesca sportiva. Se si è pescato in un corso
d’acqua contaminato, è importante disinfettare con cura gli attrezzi utilizzati, con iodofori o
ipoclorito di sodio. Poche spore sono sufficienti per trasmettere la malattia.
Deve vigere il divieto alla commercializzazione e trasferimento da aree infette di pesci vivi
non destinati al consumo, ma al ripopolamento.
E’ importante nella gestione di un potenziale focolaio di peste, ottenere una diagnosi
rapida. Per evitare che il patogeno continui a svilupparsi e a riprodursi, è necessaria la
raccolta delle carcasse dei gamberi morti per peste, la loro termodistruzione e lo smaltimento
secondo le disposizioni del Regolamento CE 1069/2009 e s.m.i.
Miceli e zoospore possono essere inattivati da trattamenti fisico-chimici:
- l’essiccamento del micelio a 21°C per oltre 72 ore e la cottura a 100°C per un minuto;
- il congelamento a -20°C per più di 2 ore, riportato essere efficace da Smith &
Söderhäll (1986), è stato smentito da Oidtmann et al. (2002b) che hanno ottenuto
crescita in coltura dopo 48 ore e totale inattivazione dopo 72 ore;
- l’esposizione per 30 secondi all’ipoclorito di sodio (sostanza tossica per gli organismi
acquatici) alla concentrazione di 100 ppm (Alderman & Polglase, 1986). Questa
sostanza funge da trattamento disinfettante per le attrezzature, ma è opportuno
precisare che l’eventuale presenza di sostanza organica ne diminuisce l’efficacia;
- lo iodio e i composti iodofori alla concentrazione di 100 ppm per trenta o più minuti
in relazione al prodotto impiegato;
- l’acido peracetico al 5%, associato al perossido di idrogeno, alla concentrazione di
100 ppm per 5 minuti (Lilley & Inglis, 1997);
- la formalina, secondo Häll & Unestam (1980), inibisce la crescita delle ife, la
formazione di spore e la germinazione di Aphanomyces astaci e potrebbe essere un
utile disinfettante, ma non ci sono ulteriori pubblicazioni che ne confermino
l’efficacia;
- il verde malachite alla concentrazione di 1 ppm; 2 ppm per un’ora sono necessari per
distruggere le spore attaccate al muco cutaneo del pesce (Häll & Unestam, 1980); tale
trattamento fungicida risulta altamente nocivo per la salute umana, in quanto il
prodotto è potenzialmente cancerogeno e pertanto il suo impiego in acquacoltura è
vietato per legge;
- il cloruro di magnesio sembra efficace (Rantamäki et al., 1992).
Non esiste terapia. L’unico prodotto legale, a disposizione degli allevatori nel nord Europa,
è il cloruro di magnesio che riduce la sporulazione.
INFEZIONE DA SAPROLEGNIA
Distribuzione geografica
Gli omiceti del genere Saprolegnia hanno diffusione cosmopolita nelle acque dolci.
Eziologia
Saprolegnia spp. sono muffe acquatiche saprofite od opportuniste, classificate nel regno
protoctista, phylum Heterokonta, classe Oomycotea, appartenenti alla famiglia
Saprolegniaceae (Bruno & Wood, 1999). Il micelio vegetativo è rappresentato da ife non
settate e ramificate. Il genere Saprolegnia presenta un ciclo riproduttivo sia per fasi sessuate,
sia asessuate. Il genere Saprolegnia include specie responsabili di significative infezioni in
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pesci ed altri organismi acquatici. Gli agenti infettanti possono penetrare nelle uova di
gambero provocando la morte dell’embrione, mentre negli adulti provocano lesioni cuticolari
(Vey, 1979; 1981; Herbert, 1987; Royo et al., 2002).
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Söderhäll et al. (1991), hanno affermato che Saprolegnia parasitica non è in grado di
provocare nel gambero la grave malattia che induce nel pesce, sebbene in allevamento
intensivo Saprolegnia spp. sia descritta causare mortalità, specialmente in femmine con
uova. Dièguez-Uribeondo et al. (1994), in prove di infezione sperimentale con zoospore,
hanno infettato gamberi sani (Astacus astacus, Pacifastacus leniusculus e Procambarus
clarkii) provocando una mortalità del 20%. Quando la cuticola dei gamberi era abrasa prima
dell’infezione sperimentale, la mortalità aumentava significativamente risultando tre volte
superiore. Gli autori hanno ritenuto che fattori predisponenti sono probabilmente necessari
per la patogenicità del microrganismo. Makkonen et al. (2010), hanno isolato Saprolegnia
parasitica, Saprolegnia australis, Mucor hiemalis e Mucor racemosus in Astacus astacus
selvatici, pescati nell’isola di Saaremaa (Estonia), che presentavano ulcere brunastre
nell’esoscheletro.
Quaglio et al. (2008a), hanno descritto un grave episodio di mortalità da Saprolegniaceae
in gambero di fiume (Austropotamobius pallipes), verificatosi in un allevamento
sperimentale del Nord Italia. La mortalità dei gamberi è stata attribuita ad una eziologia
polifattoriale, ove importante era il ruolo svolto dalle Saprolegniaceae. Le caratteristiche dei
ceppi isolati differiscono da quelli descritti da altri autori come patogeni per i gamberi e da
quelli ritrovati nelle trote dello stesso allevamento. La sensibilità dei crostacei all’infezione
poteva risultare maggiore in ragione delle carenti misure igieniche adottate in allevamento,
associate ad un aumento di temperatura nei mesi estivi. In tale situazione è ipotizzabile che
l’elevato sviluppo delle Saprolegniaceae, con aumento della carica infettante, associato ad
una ridotta risposta difensiva dell’ospite in seguito a stress ambientale, abbia determinato
l’infezione con malattia e repentina morte dei soggetti stabulati. Dieguez-Uribeondo et al.
(1994), hanno affermato che Saprolegnia parasitica può essere causa di elevata mortalità in
gambero di fiume (Austropotamobius pallipes) in condizioni di allevamento, quando fattori
ambientali, bassa concentrazione di ossigeno disciolto ed elevato tasso di solidi sospesi,
inducono stress e predispongono gli animali ad infezioni fungine. Una specie di Saprolegnia
non precedentemente descritta è stata messa in relazione al declino di una popolazione
invasiva di gambero americano (Orconectes limosus) nel lago di Costanza nel sud ovest della
Germania (Hirsch et al., 2008).
Nel lago Muskellunge in Wisconsin (USA) Saprolegnia australis è responsabile di una
malattia ulcerativa in Orconectes propinquus (Krugner-Higby et al., 2010). Gli autori hanno
osservato una maggiore presenza e gravità delle lesioni in relazione all’aumento della
temperatura stagionale e alla densità di popolazione, ipotizzando lo stress come fattore
predisponente.
Lesioni istologiche
Le lesioni istologiche da Saprolegniaceae osservate da Quaglio et al. (2008a) in un
episodio di mortalità nel gambero di fiume sono simili a quelle descritte in altre specie di
gamberi d’acqua dolce da Chinain & Vey (1988) in infezioni da Fusarium solani e da
Nyhlén & Unestam (1980) in presenza di Aphanomyces astaci.
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Figura 14 - Esoscheletro di gambero di fiume (Austropotamobius pallipes); presenza di numerose ife ramificate
nello spessore della cuticola (PAS). Figura 15 – Sezione trasversa di ife fungine asettate a carico della cuticola
(PAS). Figura 16 - Fusarium sp. isolato da lesioni dell’esoscheletro di Procambarus clarkii. Figura 17 - Fusariosi
in gambero turco, Astacus leptodactylus; caratteristiche macchie brunastre a carico del telson e dell’ultimo
segmento addominale. Figura 18 - “Burn spot Disease”: ulcere brunastre nell’esoscheletro di toracopode di
Austropotamobius pallipes. Figura 19 - Ife settate di miceti saprofiti in cuticola dell’esoscheletro di
Austropotamobius pallipes (Ematossilina-Eosina).
Figure 14 - Micotic lesions in the exoskeleton of white-clawed crayfish (Austropotamobius pallipes); numerous
branched fungal hyphae penetrating the thickness of the cuticle (PAS). Figure 15 - Cross-section of ramifying
non-septate fungal hyphae through the cuticle (PAS). Figure 16 - Fusarium sp. isolated from lesions of
Procambarus clarkii exoskeleton. Figure 17 - Fusariosis in narrow clawed crayfish Astacus leptodactylus;
characteristic brown spot in telson and last abdominal segment. Figure 18 - “Burn spot Disease”: brownish
ulcers in cheliped of Austropotamobius pallipes. Figure 19 - Septate hyphae of saprofitic fungus on the
exoskeleton cuticle of Austropotamobius pallipes (HE).
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Diagnosi
I metodi per diagnosticare le saprolegniosi si basano sul riscontro di caratteristiche muffe
biancastre sulle uova, sull’osservazione di preparati a fresco della cuticola e delle branchie,
su preparati istologici, sull’isolamento in specifici terreni di coltura e su tecniche
biomolecolari.
Figura 20 - Tecnica di isolamento e coltura di Saprolegnia parasitica.
Figure 20 - Isolation and cultivation steps for Saprolegnia parasitica.
L’identificazione della specie con metodi microscopici e colturali, è basata
sull’ottenimento di strutture sessuali in vitro (oogoni, anteridi e oospore). Per effettuare
un’accurata identificazione della specie è necessario stimolare la produzione di strutture
sessuali (Pickering & Willoughby, 1982).
La caratteristica delle cisti secondarie osservate mediante l’uso di microscopio elettronico
o microscopio ottico a contrasto di fase, è anche usata per l’identificazione delle colture di
Saprolegnia isolate da pesci e gamberi (Pickering et al., 1979; Hallet & Dick, 1986;
Söderhäll et al., 1991). Anche studi biomolecolari possono servire allo scopo diagnostico
(Molina et al., 1995; Dieguez-Uribeondo et al., 1996).
Misure di controllo
Al fine si evitare la saprolegniosi è necessario mantenere una buona qualità ambientale.
Non ci sono indicazione di terapie per le saprolegniosi dei gamberi d’acqua dolce sebbene
alcuni allevatori facciano uso di formalina (comunicazione personale).
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INFEZIONE DA DICTYUCHUS SP.
Dictyuchus sp. è un microorganismo appartenente alla famiglia delle Saprolegniaceae, il
cui significato patologico è ancora in discussione, descritto in lesioni della cuticola nel
gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) in Pianura Padana e nelle uova del
gambero della California (Pacifastacus leniusculus) in condizioni di allevamento in Francia
(Vey, 1977; Galuppi et al., 2002).
INFEZIONE DA FUSARIUM SPP.
Eziologia
La tassonomia del genere Fusarium (per la maggior parte riconducibile a forme imperfette
di Ascomiceti), oltre ad essere complessa e discordante a seconda della classificazione
seguita (Americana-Australiana o Europea), è in continua evoluzione.
Fusarium è un vasto genere di funghi che si riproducono per conidiospore. Le specie di
Fusarium sono ampiamente diffuse nell’ambiente, nel suolo e sulle piante e sono riportate
anche in organismi acquatici.
Fusarium spp. provocano malattia in gamberi marini e di acqua dolce (Johnson, 1983). Le
specie che infettano gamberi dulciacquicoli sono: Fusarium solani, Fusarium oxysporum,
Fusarium tabacinum, Fusarium roseum var. culmorum.
In Europa, Chinain & Vey (1987a; 1987b; 1988) hanno descritto malattia da Fusarium
solani in Austropotamobius leptodactylus e Pacifastacus leniusculus, Maestracci & Vey
(1988) da Fusarium oxysporum in Austropotamobius leptodactylus ed Austropotamobius
pallipes, Alderman (1985) da Fusarium tabacinum in branchie di Austropotamobius pallipes
e Vey (1986) da Fusarium roseum var. culmorum in gamberi turchi Austropotampobius
leptodactylus con lesioni melanotiche branchiali durante episodi di mortalità.
Lahser (1975) ha segnalato Fusarium in gamberi nord americani, Procambarus simulans
simulans, senza osservare lesioni. Galuppi et al. (2002), hanno isolato Fusarium sp. in
Procambarus clarkii e Pacifastacus leniusculus con e senza lesioni dell’esoscheletro.
Quaglio et al. (2008b), hanno descritto Fusarium spp. in gamberi di fiume Austropotamobius
pallipes in nord Italia, durante episodi di mortalità.
Epidemiologia, patogenesi e segni clinici
Da ricerche effettuate da Chinain & Vey (1988), Fusarium viene definito come agente
patogeno opportunista del gambero d’acqua dolce. La patogenicità del fungo può essere
correlata a ferite dell’esoscheletro, ad inquinamento ambientale o fattori fisico-chimici
sfavorevoli, stressanti, che diminuiscono le difese dell’animale. Le condizioni che
favoriscono l’infezione sono frequenti in acquacoltura (Maestracci & Vey, 1988).
Alcuni autori suggeriscono che alcune specie o ceppi siano altamente patogeni.
L’isolamento e la caratterizzazione dei differenti ceppi può essere importante per valutare la
virulenza nei diversi ospiti (Edgerton et al., 2002).
L’infezione da Fusarium può manifestarsi con lesioni sull’esoscheletro, branchie ed
emocele. La presenza del fungo è accompagnata da depositi di melanina nella cuticola e
nelle branchie; la malattia perciò viene definita malattia dell’addome bruno o "brown
abdomen disease".
La morte, in condizioni sperimentali, si può verificare anche dopo diversi mesi
dall’infezione e la malattia può avere un decorso anche molto lungo (Chinain & Vey, 1987a;
1987b; Alderman & Polglase, 1988; Chinain & Vey, 1988).
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La mortalità viene attribuita ad alterazioni nella fase di muta, esotossine prodotte dal fungo
e disturbi osmotici per aumentata concentrazione di sodio e cloro nell’emolinfa (Alderman
1985; Chinain & Vey, 1988; Maestracci & Vey, 1988).
Infezioni batteriche secondarie possono aggravare la mortalità (Vey, 1986). Fusarium in
associazione con altri funghi (Ramularia sp., Didymaria cambari), batteri chitinolitici Gram
negativi e Pseudomonas sp. può provocare la malattia del carapace o “Burn Spot Disease”
(Edgerton et al., 2002).
Lesioni istologiche
Le infezioni sostenute da Fusarium spp. possono dare origine a lesioni dell’esoscheletro,
branchie ed emocele. Nei gamberi d’acqua dolce, la regione più frequentemente colpita
inizialmente è la faccia ventrale degli uropodi, ma in seguito le lesioni diffondono a
cefalotorace, addome e branchie (Unestam, 1973b; Amborsky et al., 1975). In infezioni di
modesta entità la necrosi interessa il tessuto cuticolare, nei casi più severi i tessuti molli
sottostanti l’esoscheletro.
Una reazione melanotica si sviluppa attorno alle ife fungine, formando vaste aree brunastre
sulla cuticola ed un’intensa risposta infiammatoria nell’ipoderma e nei tessuti sottostanti. Gli
aggregati di emociti determinano reazioni nodulari granulomatose incapsulate o granulomi.
A livello branchiale i miceti sono circondati da aggregati di emociti granulari e
semigranulari, con depostito di melanina attorno alla parete delle ife. Nonostante l’intensa
reazione flogistica, il fungo fuoriesce dal granuloma e continua la sua crescita,
particolarmente verso la porzione distale dei filamenti branchiali. Maestracci & Vey (1988),
hanno osservato negli stadi più avanzati dell’infezione, batteri secondari che sviluppano sulla
superficie delle ferite e penetrano attraverso le ulcere dell’esoscheletro nei tessuti sottostanti
fino a raggiungere l’emocele.
Diagnosi
Chinain & Vey (1988), hanno isolato Fusarium solani incubando tessuti infetti, previa
disinfezione con ipoclorito di sodio e soluzioni antibiotiche, su Malt Agar a 25°C. Le colonie
sono apparse inzialmente bianche, successivamente hanno assunto colorito rosato. Alderman
(1985), ha isolato Fusarium tabacinum su RGY agar con aggiunta di streptomicina solfato e
penicillina G, incubato a 16°C. L’osservazione istologica di tessuti colorati con ematossilinaeosina e col metodo di PAS e Grocott consente di valutare l’intensità dell’infezione e la
gravità delle lesioni (Alderman, 1985).
Misure di controllo
Non ci sono indicazioni di terapie per le fusariosi dei gamberi d’acqua dolce, sebbene
alcuni allevatori facciano uso di formalina (comunicazione personale).
ALTRE INFEZIONI FUNGINE
Trichosporon beigelii
Söderhäll et al. (1993), hanno isolato Trichosporon beigelii, nel corso di una
sperimentazione, dalla cuticola di Astacus astacus, mantenuti in condizioni di stress sotto
trattamento con cloruro di magnesio al fine di prevenire infezione da Aphanomyces astaci.
Circa il 50% dei gamberi moriva per immunosoppressione presumibilmente in conseguenza
del trattamento. Le lesioni a carico dell’esoscheletro risultavano simili a quelle provocate
dalla peste, ma con una reazione melanotica più intensa.
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Tricomiceti sono comunemente riscontrati nell’intestino e sulla cuticola dei gamberi
d’acqua dolce e non sono considerati patogeni (Lichtwardt, 1962; Krucinska & Simon,
1968).
Ramularia sp.
Ramularia sp. svolge azione patogena in associazione con batteri chitinolitici Gramnegativi, Pseudomonas sp. ed altri funghi, quali Didymaria cambari e Fusarium spp.,
determinando l’insorgenza di “Burn Spot Disease”.
Le specie maggiormente colpite dalla malattia sono: Astacus astacus, Austropotamobius
leptodactylus, Orconectes limosus (Man & Pipelow, 1938), Autropotamobius pallipes
(O'Keefe & Reynolds, 1983), Procambarus clarkii (Amborski et al., 1975), Cherax
destructor albidus (Mills, 1983; Evans et al., 1992) e Cherax tenuimanus (Owens & Evans,
1989).
Studi al microscopio elettronico hanno dimostrato che l’infezione inizia per opera dei
batteri chitinolitici (Amborski et al., 1975). La malattia si presenta in natura, in popolazioni
con elevata densità animale (Unestam, 1973b) o in allevamento, con scarse condizioni
igieniche (Thune, 1994). La lesione tipica è rappresentata dalla presenza di ulcere brunonerastre sull’esoscheletro, di diametro inferiore ad un centimetro. I funghi chitinoclastici si
trovano al centro della lesione necrotica e contribuiscono alla formazione dell’ulcera.
Acremonium sp.
I miceti del genere Acremonium sono stati isolati da esemplari di Austropotamobius
leptodactylus provenienti dal lago di Egirdir in Turchia che presentavano rammollimento
bilaterale del cefalotorace e macchie brunastre nelle branchie. Ife settate e ramificate sono
state osservate in preparati a fresco di branchie. Non essendo stata riscontrata mortalità nei
gamberi, gli isolati possono essere considerati come organismi saprofiti che possono avere
un effetto negativo per la vendita sul mercato (Diler & Bolat, 2001).
I generi Penicillium, Gliocadium, Trichoderma, Geotrichum e Alternaria
I generi Penicillium, Gliocadium, Trichoderma, Geotrichum e Alternaria sono stati
riscontrati sia su gamberi sani che su gamberi morti e si ritengono microrganismi saprofiti.
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Esposizione sperimentale a nonilfenolo di giovanili
di tinca (Tinca tinca, Linnaeus 1758): rilievi istologici
e determinazione dei livelli tiroidei
Experimental exposure of juvenile tench
(Tinca tinca, Linnaeus 1758) to nonylphenol: histological
evaluation and thyroid hormone levels determination
Rubina Sirri*, Luciana Mandrioli, Oliviero Mordenti,
Albamaria Parmeggiani, Dino Scaravelli, Annalisa Zaccaroni
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Facoltà di Medicina Veterinaria, Alma Mater Studiorum Bologna,
Via Tolara di Sopra, 50 - 40064 Ozzano Emilia (BO).
______________________________
RIASSUNTO - Lo scopo del presente studio è stato valutare in giovanili di tinca (Tinca tinca) gli effetti del
4-nonilfenolo (NP), sostanza avente azione estrogeno-simile e classificata come interferente endocrino tiroideo. I
soggetti, di circa 120 giorni post-schiusa e 500 mg di peso medio, sono stati esposti per 45 giorni a 25 e 100 µg/l
NP in acqua. Sono state eseguite indagini istomorfologiche su tiroide, fegato e gonadi e sono stati determinati i
livelli di triiodotironina (T3) e tiroxina (T4). In tutti i gruppi nelle sezioni istologiche i follicoli tiroidei si
mostravano rivestiti da epitelio cubico basso e ripieni di colloide ed erano quindi riconducibili a follicoli normali;
nei gruppi trattati vi era una maggior prevalenza di follicoli di piccole e medie dimensioni. Nel fegato la
degenerazione idropica ha mostrato aumento della gravità in tutti i gruppi all’avanzare del periodo di esposizione,
ma è tendenzialmente regredita durante il periodo di sospensione del trattamento. Nel tessuto gonadico non sono
state riscontrate alterazioni istomorfologiche. Tutti i gruppi hanno evidenziato un calo dei livelli di T3
all’avanzare del periodo di esposizione; il gruppo 25 µg/l NP in particolare ha mostrato un drastico calo, mentre il
gruppo 100 µg/l NP ha presentato un andamento opposto rispetto agli altri gruppi, con un picco nel punto di
campionamento a 45 giorni di esposizione. Il T4 ha mostrato un andamento analogo al T3, ma il calo è apparso più
marcato e precoce nel gruppo 100 µg/l NP. I risultati, ancorché preliminari, evidenziano che il NP sembra
interferire con il metabolismo degli ormoni tiroidei, modificandone il bilancio.
SUMMARY - The purpose of this study was to assess the effects of 4-nonylphenol (NP), a substance with
estrogen-like action and classified as endocrine disruptor for thyroid, in juvenile tench (Tinca tinca). Subjects,
approximately 120 days post hatch and 500 mg mean weight, were exposed for 45 days to 25 and 100 µg/l NP in
water. Histological investigations were performed on liver, thyroid and gonads. The levels of triiodothyronine (T3)
and thyroxine (T4) were determined. In all groups the histological sections showed normal thyroid follicles lined
by a flattened epithelial layer and filled with colloid; in treated groups, there was a prevalence of small and
medium follicles. Hepatic hydropic degeneration showed an increase in severity in all groups directly
proportional to the exposure period, but it tends to decline during the suspension period. Gonadal tissue did not
show histological alterations. All groups revealed a decrease of T3 levels directly proportional to the exposure
period; the 25 µg/l NP group in particular showed a marked decline, while the 100 µg/l NP group showed an
opposite trend compared to other groups, with a peak at 45 days of exposure. The T4 level showed a similar trend
to T3, but the decline was more pronounced in the 100 µg/l NP group. The results, although preliminary, show
that NP seems to interfere with thyroid hormone metabolism, modifying its balance.
Key words: Nonylphenol; Environmental contaminant; Endocrine disruptor; Thyroid hormones; Histology;
Tench; Juvenile; Fish; Teleost.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Servizio di Anatomia Patologica Veterinaria, Dipartimento di Scienze Mediche
Veterinarie, Facoltà di Medicina Veterinaria - Alma Mater Studiorum, Bologna, Via Tolara di Sopra, 50 - 40064
Ozzano Emilia (BO). Tel.: 051-2097972; Fax: 051-2097968; E-mail: [email protected].
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INTRODUZIONE
Gli ormoni tiroidei svolgono un ruolo essenziale nella regolazione dello sviluppo
embrionale, del metabolismo e della riproduzione. Nei teleostei, al pari degli altri vertebrati,
il controllo della secrezione tiroidea è regolato dall'ormone tireostimolante (TSH), che
determina un rilascio in circolo prevalentemente di tiroxina (T4); i livelli di triiodotironina
(T3) sono invece generalmente bassi e la conversione del T4 avviene principalmente a livello
periferico (Eales et al., 1999). Ruolo fondamentale nell’omeostasi degli ormoni tiroidei è
quindi svolto dagli enzimi deiodinasi, che sono responsabili della conversione del T4 in T3.
L’alterazione del metabolismo tiroideo conseguente ad esposizione a contaminanti
ambientali può manifestarsi a livello di sintesi, regolazione, metabolismo e attività degli
ormoni tiroidei (Brown et al., 2004). In particolare, gli interferenti endocrini ambientali nelle
acque possono comportare gravi alterazioni dello sviluppo larvale. Uno dei più comuni di
questi composti è il nonilfenolo (NP), sostanza nota per la sua azione estrogeno-simile e
dotato di attività di interferente endocrino tiroideo (Zaccaroni et al., 2009). Il NP proviene
dalla decomposizione del nonilfenolo etossilato (NPE), tensioattivo non ionico ampiamente
usato in pesticidi, spermicidi, vernici, agenti chimici, tessuti, materiale plastico e prodotti
dell’industria cartaria. Poiché la trasformazione del NPE a NP avviene ad opera dei
microrganismi nei processi di degradazione, queste due molecole arrivano all’ambiente
acquatico tramite i reflui derivanti da impianti di depurazione delle acque o da scarichi
fognari, oppure a causa del run-off dei terreni trattati con pesticidi. Inoltre, il NP, essendo
lipofilo e persistente, tende ad accumularsi negli organismi acquatici come crostacei,
molluschi e pesci, ma anche nel sedimento e nel particolato (John et al., 2000).
Questa molecola è stata ampiamente studiata come responsabile degli effetti che esercita
sulle gonadi e sul fegato; dati riguardanti gli effetti del NP sul bilancio degli ormoni tiroidei
sono invece scarsi e contrastanti (Ishihara et al., 2003; Yamauchi et al., 2003; Schmutzler
et al., 2004; Ghisari & Bonefeld-Jorgensen, 2005; Keen et al., 2005; McCormick et al.,
2005; Razia et al., 2006). Sperimentazioni in vivo hanno dimostrato che il NP può inibire
l’attività della perossidasi tiroidea che catalizza la iodinazione di T3 e T4 in ratti
ovariectomizzati (Schmutzler et al., 2004). Keen et al. (2005), hanno evidenziato come
l’alimentazione di salmonidi con 4-NP durante la smoltificazione non abbia influenzato
significativamente i livelli plasmatici dei due ormoni tiroidei. Al contrario, McCormick et al.
(2005), hanno dimostrato che l’esposizione intraperitoneale a NP nel salmone atlantico è in
grado di indurre una diminuzione dei livelli di T4, senza produrre effetto sulle concentrazioni
di T3. Considerando i molteplici ruoli svolti dagli ormoni tiroidei nella fisiologia dei pesci
(riproduzione, crescita e regolazione della metamorfosi), lo scopo del presente studio è stato
finalizzato alla valutazione degli effetti del 4-NP su tiroide, gonadi e fegato e alla
determinazione dei livelli di ormoni tiroidei in giovanili di tinca (Tinca tinca), specie
frequentemente usata come modello animale in studi tossicologici e metabolici (Gad, 2007).
MATERIALI E METODI
Ottocento soggetti, di circa 120 giorni post-schiusa e 500 mg di peso medio, sono stati
esposti per 45 giorni a 25 e 100 µg/l NP in acqua. Le concentrazioni utilizzate sono state
scelte, sulla base delle informazioni esistenti in letteratura, in modo da ricadere oltre la soglia
di effetto, senza per altro risultare acutamente tossiche per i pesci (Brian et al., 2005; Meucci
& Arukwe, 2005). Sono stati aggiunti un gruppo di controllo negativo (solvente etanolo) e
uno di controllo positivo (propiltiouracile, PTU). Venticinque esemplari per gruppo sono
stati prelevati ogni 15 giorni.
54
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I rimanenti sono stati mantenuti in acqua pulita per ulteriori 15 giorni e sottoposti alle
medesime indagini. Ad ogni campionamento sono stati registrati peso e lunghezza di ogni
singolo esemplare, per il calcolo dell’indice di condizione k (peso (gr) x 100/lunghezza
(mm)3). Per l’istologia i soggetti sono stati fissati in toto in formalina tamponata al 10% e
processati secondo la metodica istologica di routine; le sezioni istologiche così ottenute,
tagliate al microtomo ad uno spessore di 3 µm, sono state colorate con Ematossilina-Eosina.
Durante l’osservazione dei preparati istologici sono stati contati i follicoli tiroidei e al
numero totale di follicoli tiroidei presenti nella sezione è stato attribuito un punteggio
crescente di 1, 2 o 3, in base al diametro. Gli epatociti sono stati valutati per la presenza di
lesioni degenerative a cui è stato attribuito un punteggio crescente (0, 1, 2), in base alla
gravità. Le gonadi sono state esaminate per eventuali lesioni degenerative e/o anomalie di
sviluppo. Le analisi dei livelli di ormoni tiroidei (T3 e T4) sono state eseguite su omogenato
dell’intero animale applicando la metodica di Crane et al. (2004) modificata (l’omogenato è
stato estratto con miscela di etanolo al 95% contenente 1 mM di PTU). Il dosaggio degli
ormoni tiroidei è stato effettuato con la tecnica del dosaggio radioimmunologico (RIA)
utilizzando kit del commercio (DRG International). L’analisi statistica dei dati è stata
condotta sia sui dati biometrici che sui risultati analitici (concentrazioni di T3 e T4) e
istologici. I confronti relativi all’indice k sono stati eseguiti per ogni punto sperimentale
utilizzando il test t di Student, mentre per gli altri parametri è stata applicata un’analisi della
varianza (ANOVA). Infine, relativamente al punteggio del diametro dei follicoli tiroidei, i
dati ottenuti sono stati valutati mediante analisi delle componenti principali (PCA).
RISULTATI
Il calcolo dell’indice di condizione k ha evidenziato nel gruppo di controllo un valore k
notevolmente inferiore rispetto a quello dei gruppi trattati solo a 15 giorni di trattamento
(Figura 1).
Figura 1 – Il calcolo dell’indice di condizione K ha evidenziato come il gruppo di controllo presenti
un valore K notevolmente inferiore (p<0,01) solo a quello dei gruppi trattati per 15 giorni. Ai successivi
punti di campionamento i valori dell’indice si equiparano tra i vari gruppi e non è più possibile evidenziare
differenze statisticamente significative.
Figure 1 – Condition factor K calculation showed a significantly lower value (p<0.01) in the control group
with respect to groups treated for 15 days. In the other sampling points the K values are similar among
the various groups and did not show statistically significant differences.
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Ai successivi punti di campionamento i valori dell’indice si equiparano tra i vari gruppi e
non è più possibile evidenziare differenze statisticamente significative. Nelle sezioni
istologiche di tiroide di soggetti sottoposti a 15, 30 e 45 giorni di trattamento in tutti i gruppi
i follicoli tiroidei erano normali, mostrandosi rivestiti da epitelio cubico basso e ripieni di
colloide (Figura 2).
56
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Figura 2 – Tiroide. Sezioni istologiche di soggetti sottoposti a 15 giorni (A, etanolo; B, 25 µg/l NP; C, PTU; D,
100 µg/l NP) e 45 giorni di trattamento (E, etanolo; F, 25 µg/l NP; G, PTU; H, 100 µg/l NP). In tutti i gruppi i
follicoli si mostravano rivestiti da epitelio cubico basso e ripieni di colloide (Ematossilina-Eosina, obbiettivo
40x).
Figure 2 – Thyroid. Histological sections of subjects treated for 15 days (A, ethanol; B, 25 µg/l NP; C, PTU; D,
100 µg/l NP) and 45 days (E, ethanol; F, 25 µg/l NP; G, PTU; H, 100 µg/l NP). In all groups the follicles were
lined by a flattened epithelium and filled with colloid (Hematoxylin-Eosin, 40x lens).
L’analisi statistica condotta tramite PCA sul punteggio conferito al diametro dei follicoli
tiroidei e al numero di follicoli presenti nella sezione ha evidenziato nel punteggio totale una
maggior presenza di follicoli di piccole e medie dimensioni (punteggio 1 e 2) nei gruppi 25
µg/l NP e 100 µg/l NP (Figura 3).
Standardized Biplot (t1 vs. t2)
5.00
-5.00
4.00
0.00
3.00
punteggio
grandezza 2
35.00
6.00
-5.00
30.00
5.00 25.00
0.00
t2
4.00
20.00 2.00
5.00
3.00
15.00
10.00
15.00
5.00
10.00
2.00
20.00
25.00
5.00
n.follicoli nel campo
1.00
5.00
1.00
0.00
0.00
-5.00
10.00
0.00
15.00
-1.00
grandezza 1
grandezza 3
t1
Figura 3 – L’analisi statistica condotta tramite PCA sul punteggio conferito al diametro dei follicoli tiroidei e al
numero di follicoli presenti nella sezione ha evidenziato nel punteggio totale una maggior presenza di follicoli di
piccole e medie dimensioni (punteggio 1 e 2) nei gruppi 25 µg/l NP e 100 µg/l NP.
Figure 3 – Statistical analysis conducted by PCA on the score given to the diameter of thyroid follicles and on the
number of follicles in the section showed in the total score more follicles of small and medium size (score 1 and 2)
in groups 25 µg/l NP and 100 µg/l NP.
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L’analisi del punteggio conferito alla degenerazione idropica epatica ha mostrato un
aumento della gravità in tutti i gruppi all’avanzare del periodo di esposizione; nei gruppi 100
µg/l NP e PTU il punteggio era più alto e quindi la degenerazione più grave. Tuttavia la
degenerazione idropica, ad eccezione del gruppo PTU, tendeva a regredire durante il periodo
di sospensione del trattamento, compatibilmente con il carattere di reversibilità di questo
processo patologico (Figura 4).
Figura 4 – L’analisi del punteggio conferito alla degenerazione idropica epatica ha mostrato un aumento
della gravità in tutti i gruppi all’avanzare del periodo di esposizione; nei gruppi 100 µg/l NP e PTU
il punteggio era più alto e quindi la degenerazione più grave. Tuttavia, ad eccezione del gruppo PTU,
il processo degenerativo tendeva a regredire durante il periodo di sospensione del trattamento.
Figure 4 – The analysis of the score given to the hepatic hydropic degeneration showed an increase in severity
in all groups directly proportional to the exposure period; in 100 µg/l NP and PTU groups the score was highest
and the degeneration more severe. However, with the exception of PTU group, the degenerative process tended
to decline during the suspension period.
Figura 5 – Tutti i gruppi hanno evidenziato un calo dei livelli di T3 all’avanzare del periodo di esposizione; il
gruppo 25 µg/l NP in particolare ha mostrato un drastico calo, mentre il gruppo 100 µg/l NP ha presentato un
andamento opposto rispetto agli altri gruppi, con un picco nel punto di campionamento a 45 giorni di esposizione.
Figure 5 – All groups revealed a decrease in levels of T3 directly proportional to the exposure period; in
particular the 25 µg/l NP group showed a marked decline, while the 100 µg/l NP group presented an opposite
trend compared to other groups, with a peak at 45 days of exposure.
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Nel tessuto gonadico non sono state riscontrate alterazioni istologiche. Tutti i gruppi hanno
evidenziato un calo dei livelli di T3 all’avanzare del periodo di esposizione; il gruppo 25 µg/l
NP in particolare ha mostrato un drastico calo, mentre il gruppo 100 µg/l NP ha presentato
un andamento opposto rispetto agli altri gruppi, con un picco nel punto di campionamento a
45 giorni di esposizione (Figura 5). Il T4 ha mostrato un andamento analogo al T3, ma il calo
è apparso più marcato e precoce nel gruppo 100 µg/l NP (Figura 6).
Figura 6 – Il T4 ha mostrato un andamento analogo al T3 ma il calo è apparso più marcato
e precoce nel gruppo 100 µg/l NP.
Figure 6 – The T4 showed a similar trend to T3 but the decline appeared more pronounced
in the 100 µg/l NP group.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati, ancorché preliminari, evidenziano che il NP sembra interferire con il
metabolismo degli ormoni tiroidei, modificandone il bilancio. Il gruppo esposto a più alto
dosaggio ha mostrato infatti un picco del livello di T3 a 45 giorni di trattamento che, messo
in relazione con il drastico calo mostrato dal T4 a 30 giorni potrebbe rappresentare l’effetto di
un blocco della sintesi del T4 da parte della tiroide e di un conseguente aumento nella
trasformazione di quest’ultimo a T3 da parte delle deiodinasi periferiche, al fine di sopperire
al fabbisogno tissutale. La forma biologicamente attiva è infatti quella del T3, che si forma
dalla deiodinazione della T4 a livello periferico da parte degli enzimi deiodinasi. Gli ormoni
tiroidei sono coinvolti nei processi di sviluppo larvale in molte specie di teleostei,
intervenendo in particolare nella metamorfosi post-schiusa. Per questo motivo gli stadi
larvali e giovanili sono considerati molto più sensibili alla presenza di sostanze tossiche
ambientali rispetto agli adulti. In base a queste considerazioni assume un particolare
significato valutare gli effetti di molecole con ruolo di interferenti endocrini tiroidei nelle
prime fasi di vita dei pesci (Crane et al., 2004; Norris, 2007).
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In questo studio, l’andamento del T3 nel gruppo a più alto dosaggio potrebbe essere anche
l’espressione di un’alterazione nell’accrescimento/metamorfosi dei giovanili di tinca
provocato da un’interferenza con la sintesi/metabolismo degli ormoni tiroidei.
La valutazione istologica del tessuto tiroideo è considerata uno strumento utile
all’identificazione di fenomeni patologici correlati con l’alterazione della funzionalità della
ghiandola tiroidea. Quando la tiroide è sottoposta a stimolazione è possibile riscontrare una
serie di modificazioni istomorfologiche dose-dipendenti come aumento dell’altezza delle
cellule epiteliali, incremento della vascolarizzazione, iperplasia dei follicoli, irregolarità del
contorno dei follicoli e diminuzione della densità della colloide, accompagnata da numerose
gocce endocitotiche di colloide ai bordi apicali delle cellule epiteliali dove i microvilli
diventano più abbondanti (Eales & Brown, 1993).
Con la presente sperimentazione è stato possibile contribuire all’approfondimento dello
studio degli aspetti istomorfologici della tiroide nei pesci ossei, un tessuto di non semplice
reperimento durante il campionamento in esemplari adulti e neppure in preparati istologici di
larve o giovanili. Dati bibliografici descrivono patologie tiroidee per lo più di tipo
proliferativo (Fournie et al., 2005). Nei pesci ossei la tiroide raramente è circoscritta da una
capsula connettivale, pertanto i follicoli si rinvengono distribuiti in modo sparso nel tessuto
connettivo della regione faringea, in vicinanza dell’aorta ventrale o della parete della cavità
branchiale posteriore e sono spesso numerosi in prossimità della prima e della seconda
arteria branchiale. Probabilmente proprio a causa della mancanza della capsula connettivale,
i follicoli tiroidei possono mostrare una distribuzione ectopica e localizzarsi pertanto nella
tonaca vascolare oculare, nel rene, nella milza, nell’intestino, nel fegato, nel cuore e in altri
tessuti. La presenza di tessuto tiroideo ectopico privo di connotazione patologica è stata
riportata in numerose specie ittiche, compreso il carassio, il pesce sciabola, la trota ed il
barbo. All’istologia i singoli follicoli tiroidei sono simili a quelli degli altri vertebrati, sono
solitamente rotondi od ovali e bordati da un singolo strato di epitelio che può essere
squamoso o cubico, a seconda del livello dell’attività metabolica della ghiandola (Fournie
et al., 2005). Il centro di ciascun follicolo contiene il secreto costituito dalla colloide,
rappresentato da proteine leganti gli ormoni tiroidei; la quantità di colloide varia a seconda
dell’attività metabolica dei follicoli e del grado di produzione degli ormoni. La fisiologica
deplezione di colloide, che prende avvio dalla periferia del follicolo, corrisponde
istologicamente alla comparsa di vacuoli chiari e rappresenta l’espressione dell’attività
metabolica della ghiandola (Leatherland, 1994). Le cellule parafollicolari (cellule C o cellule
chiare) non sono presenti nella tiroide dei pesci (Fournie et al., 2005).
In questo studio sperimentale condotto su giovanili di tinca i follicoli tiroidei sembravano
tendere complessivamente ad una riduzione del diametro, mentre non si sono evidenziati
fenomeni di ipertrofia-iperplasia dell’epitelio follicolare e/o una riduzione significativa della
colloide. La riduzione del diametro dei follicoli tiroidei, maggiormente evidente nel gruppo a
più alto dosaggio, potrebbe essere il risultato di una diminuita capacità biosintetica, che
confermerebbe il drastico calo della concentrazione di T4.
Poiché lo scopo della ricerca era valutare il possibile effetto del NP sul sistema endocrino
in giovanili in accrescimento riproducendo una esposizione ambientale, si è deciso di non
determinare i livelli residuali di NP nei tessuti.
E’ pertanto possibile concludere che, in questo studio sperimentale, l’esposizione a NP ha
determinato un rallentamento dell’attività biosintetica dei follicoli tiroidei (visibile attraverso
il drastico calo di T4), con una parallela maggior attivazione delle deiodinasi periferiche, che
per il periodo di esposizione e le concentrazioni utilizzate andrebbero considerate alla luce di
una “manovra“ omeostatica dell’organismo, volta a compensare le richieste di giovanili in
rapido accrescimento.
60
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 53-62
La presenza in questa specie, come in altre specie di teleostei, di follicoli tiroidei diffusi
rende difficoltosa una valutazione istopatologica complessiva rispetto ad una ghiandola in
toto. Ulteriori ricerche sono necessarie per stabilire se l’attività di interferente endocrino del
NP sia legata semplicemente al rallentamento dell’attività biosintetica o se un maggior
periodo di esposizione o una più alta concentrazione siano in grado di incidere
irreversibilmente sull’attività tiroidea.
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62
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 63-78
Rilievi istopatologici in corso di infezione spontanea da
Enteromyxum leei in sarago pizzuto
(Diplodus puntazzo, Cetti 1777)
Histopathological surveys during spontaneous
Enteromyxum leei infection in sharpsnout seabream
(Diplodus puntazzo, Cetti 1777)
Paola Beraldo1*, Donatella Volpatti1, Chiara Bulfon1,
Maria Letizia Fioravanti2, Marco Galeotti1
1
Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Sezione di Patologia Veterinaria, via Sondrio, 2 - 33100 Udine, Italy;
2
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, via Tolara di Sopra, 50 - 40064 Ozzano Emilia (BO), Italy
______________________________
RIASSUNTO - Enteromyxum leei è un parassita intestinale responsabile di severi episodi di malattia in sarago
pizzuto (Diplodus puntazzo). Questo mixosporidio ha determinato una notevole riduzione dell’allevamento di
questa specie mediterranea, che rappresentava una valida alternativa zootecnica per la diversificazione della
produzione in maricoltura. In quest’ottica, recentemente è stato ultimato un progetto per studiare i fattori limitanti
la produzione del sarago pizzuto, con particolare riferimento alle epizoozie causate da questo mixosporidio. Tra
le finalità del progetto era compresa la descrizione dei quadri anatomopatologici enterici, con la descrizione
dettagliata delle diverse enteriti, osservate durante infezioni spontanee da E. leei in sarago pizzuto, verificatesi in
due allevamenti italiani (A e B, rispettivamente sud e nord Italia). A ogni campionamento (7 in totale), 10
soggetti sono stati sacrificati tramite dose letale di anestetico e, durante la necroscopia, sono stati prelevati
porzioni di organi viscerali, rene, cuore e branchie. In particolare dal tratto gastroenterico, isolato dal resto degli
organi viscerali, sono stati prelevati la porzione pilorica dello stomaco e tratti di intestino corrispondenti al 5, 50 e
95% della lunghezza totale. I campioni sono stati fissati in formaldeide tamponata al 4% o in soluzione di Bouin e
processati secondo le comuni tecniche istologiche. Sezioni seriali in paraffina sono state colorate con
ematossilina-eosina e, alternativamente, caratterizzate istochimicamente. Allo scopo di standardizzare
l’interpretazione dei preparati e confrontare i campioni è stato messo a punto un sistema di valutazione a
parametri punteggiati. I quadri infiammatori prevalenti erano enterite proliferativa e enterite diffusa linfocitaria
cronica.
SUMMARY – Enteromyxum leei is an intestinal parasite responsible for serious outbreaks in Mediterranean
sharpsnout seabream (Diplodus puntazzo). This parasite has led to a significant decline of rearing of this species,
which represented a potential zootechnical alternative for mariculture diversification. In this view, a project was
recently completed to study the factors limiting the production of sharpsnout seabream, in particular the diseases
caused by this myxosporean. The aim of this study was the pathological classification with detailed descriptions
of the spontaneous enteritis caused by E. leei in sharpsnout seabream, coming from two farms (A and B,
respectively in southern and northern Italy). For each sampling (7 in total), 10 subjects were sacrificed by an
overdose of anaesthetic, and during the necropsy visceral organs, kidney, heart and gills were collected. From
the gastrointestinal tract were obtained: the pyloric portion of the stomach and longitudinal and transversal
sections (respectively about 1.5 and 0.5 cm in length) at different levels of the intestine. The samples were fixed in
4% buffered formaldehyde or in Bouin's solution and processed according to common histological techniques in
paraffin. Serial sections were stained with haematoxylin-eosin and, alternatively, histochemically characterized.
In order to standardize the interpretation of preparations and to allow proper comparison among samples from
different subjects, a protocol was drawn up for parameterized evaluation. The prevalent inflammatory pictures
were related to a proliferative enteritis and diffuse chronic lymphocytic enteritis.
Key words: Myxosporidiosis; Enteromyxum leei; Diplodus puntazzo; Sharpsnout seabream; Enteritis.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Sezione di Patologia Veterinaria, via
Sondrio, 2 - 33100 Udine, Italy; Tel.: 0432-558197; Fax: 0432-558199; E-mail: [email protected].
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INTRODUZIONE
Perseguita negli ultimi quindici anni, la diversificazione produttiva in acquacoltura ha
individuato il sarago pizzuto (Diplodus puntazzo) come una valida alternativa zootecnica,
alle specie classicamente allevate nel bacino del Mediterraneo, quali branzino
(Dicentrarchus labrax) e orata (Sparus aurata). Seguendo questa tendenza, anche la
comunità scientifica ha contribuito, ampliando le conoscenze sulle tecniche di allevamento e
alimentazione, sulla biologia, sulla riproduzione artificiale e sulle principali malattie di
questa specie (Favaloro et al., 1985; Athonassopoulou et al., 1999; Rigos et al., 1999;
Hernández et al., 2001; Favaloro et al., 2002; Rondan et al., 2004; Merella et al., 2005;
Tramati et al., 2005, Karakatsouli et al., 2006; Vivas et al., 2006; Fioravanti et al., 2007;
Hernández et al., 2007; Montero et al., 2007; Piccolo et al., 2007; Piedecausa et al., 2007;
Alvarez-Pellitero et al., 2008).
Negli ultimi anni, tuttavia, si è assistito a una drastica diminuzione della produzione di
questa specie, imputabile a diversi fattori, tra i quali l’assenza di mangimi dedicati e le
perdite causate da alcune malattie parassitarie. In particolare, il sarago pizzuto è molto
suscettibile a Enteromyxum leei, agente eziologico di una grave enterite parassitaria, che, in
genere, si manifesta in forma acuta durante il primo anno di allevamento, causando fino
all’80% di mortalità (Athanassopoulou et al., 1999; Rigos et al., 1999). Enteromyxum leei è
un mixosporidio appartenente alla famiglia Myxidiidae e l’organo bersaglio di questo
parassita istozoico è la mucosa intestinale, con localizzazione intraepiteliale lungo tutto il
tratto enterico. L’elevata patogenicità di questo mixosporidio e l’assenza di trattamenti
efficaci (ufficialmente registrati) per il controllo dell’infezione, hanno causato un graduale
abbandono produttivo del sarago pizzuto.
In quest’ottica, recentemente è stato ultimato un progetto per studiare i fattori limitanti la
produzione del sarago pizzuto, con particolare riferimento alle epizoozie causate da questo
mixosporidio. Tra gli obiettivi progettuali era compresa la descrizione dei quadri
anatomopatologici enterici in corso di infezioni spontanee sostenute da E. leei. L’intenzione
finale di questo studio è, infatti, l’inquadramento anatomopatologico con la descrizione
dettagliata delle diverse enteriti osservate durante infezioni spontanee da E. leei in sarago
pizzuto.
Sebbene alcune descrizioni istopatologiche siano reperibili in letteratura sia sul sarago
pizzuto (Alvarez-Pellitero et al., 2008), sia su orata (Sitjà-Bobadilla et al., 2007) e rombo
(Bermúdez et al., 2006) nel caso di E. scophthalmi, le enteriti causate da E. leei sono state
scarsamente dettagliate.
MATERIALI E METODI
Presupposti sperimentali
Il progetto ha previsto diverse fasi temporali di campionamento al fine di raccogliere
materiale biologico da saraghi infetti durante episodi spontanei di malattia, intercorsi in due
allevamenti italiani: A (sud Italia) e B (nord Italia).
Nell’allevamento A, un lotto di circa 103.000 saraghi di peso medio pari a 6,5 g è stato
seminato in gabbia galleggiante nel mese di giugno ed è stato sottoposto a periodici controlli
parassitologici fino alla fine di ottobre (peso medio finale 50 g). In questo lasso temporale
sono stati eseguiti 3 campionamenti (giugno, agosto, ottobre) destinati alla valutazione
anatomopatologica.
Nell’allevamento B, un lotto di saraghi, preingrassati in vasca (peso medio iniziale 6,5 g),
è stato trasferito in gabbia galleggiante a inizio ottobre (peso medio 40 g) e seguito fino
64
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all’autunno successivo (peso medio finale 180 g). Per le stesse finalità, in questo caso,
nell’arco temporale considerato, sono stati eseguiti 4 campionamenti (maggio, novembre,
luglio e ottobre).
Ad ogni campionamento, 10 soggetti sono stati sottoposti a eutanasia tramite dose letale di
anestetico (benzocaina, 350 mg/L) e all’esame necroscopico al fine di prelevare gli organi
viscerali, il rene, il cuore e le branchie. In particolare dal tratto gastroenterico, isolato dal
resto degli organi viscerali, sono stati prelevati: la porzione pilorica dello stomaco e porzioni
dei tratti dell’intestino corrispondenti al 5, 50 e 95% della lunghezza totale, prelevando una
sezione longitudinale e una trasversale rispettivamente di circa 1,5 e 0,5 cm di lunghezza.
Istologia
I campioni di tessuto prelevati dai singoli pesci sono stati fissati in formaldeide tamponata
al 4% o, quando possibile, in soluzione di Bouin (e seguenti lavaggi in etanolo 70%). I
campioni sono stato processati secondo le comuni tecniche istologiche e sezioni seriate in
paraffina sono state colorate con ematossilina-eosina e, alternativamente, caratterizzate
istochimicamente tramite le colorazioni di Twort (Gram), Giemsa, PAS (o PAS-Alcian blu),
tricromica di Masson, tricromica di Azan, tricromica di Cleveland-Wolfe e Blu di toluidina a
pH 2,5 (solo per campioni fissati in Bouin). I preparati istologici sono stati osservati tramite
un microscopio ottico Leica DM RB, documentati tramite camera digitale (Nikon-Coolpix
8400) e analizzati tramite il software LAS-V-2.0 (Leica).
Valutazione istologica
Al fine di standardizzare l'interpretazione dei preparati e consentire confronti adeguati tra i
campioni provenienti dai diversi soggetti, è stato stilato un protocollo di valutazione
parametrizzato, assegnando un punteggio da 1 a 5. I dati censiti, dettagliati di seguito, sono
stati inseriti in un'apposita scheda informatizzata.
Spessore della tonaca mucosa
La misurazione dello spessore della tonaca mucosa dei diversi tratti intestinali è stata
effettuata sulle sezioni trasversali a 25 ingrandimenti.
Stima cellule granulari eosinofiliche (CGE)/mastociti
Il riconoscimento delle CGE/mastociti è facilitato dall'aspetto distintamente granulare e
eosinofilico di tali cellule. La stima è stata eseguita valutando il numero medio di cellule per
campo a 400 ingrandimenti a livello della tonaca propria nelle tre diverse porzioni di
intestino, come riportato di seguito:
1/5
2/5
3/5
4/5
5/5
1-2 cellule/campo
3-8 cellule/campo
9-15 cellule/campo
16-30 cellule/campo
oltre 30 cellule/campo.
Infiltrati di cellule infiammatorie
I parametri di infiltrazione cellulare sono stati valutati nei diversi strati della parete
intestinale: mucosa, sottomucosa e tonaca muscolare. I parametri presi in considerazione
sono stati: il tipo cellulare (integrato da una stima delle proporzioni percentuali), la
distribuzione tissutale (focale, multifocale, diffuso) e il tipo strutturale (perivasale o non
perivasale).
65
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Emorragie
La presenza di emorragie è stata valutata utilizzando i seguenti parametri descrittivi relativi
alla distribuzione (perivasale; focale; multifocale; diffusa) e all'entità (assente; lieve; media;
elevata).
Stima della presenza del parassita
Nelle tre porzioni intestinali esaminate è stata eseguita la stima della presenza del
parassita, valutando il numero medio di spore mature e stadi presporogonici per campo a 400
ingrandimenti e la loro distribuzione (focale o diffusa), come di seguito riportato:
1/5
2/5
3/5
4/5
5/5
5-10 spore mature e stadi presporogonici/campo
10-20 spore mature e stadi presporogonici/campo
20-50 spore mature e stadi presporogonici/campo
50-100 spore mature e stadi presporogonici/campo
> 150 spore mature e stadi presporogonici/campo
La lettura standardizzata dei preparati è stata integrata mediante la descrizione istologica di
ulteriori lesioni quali edema, aree necrotiche, granulomi, altri parassiti o processi
progressivi.
RISULTATI
La qualità dei preparati dal punto di vista istologico, stabilita in base alla conservazione
strutturale e al dettaglio nucleare e citoplasmatico, era complessivamente adeguata ai fini
della valutazione e, quindi, compatibile per le finalità del lavoro. Tale condizione è dipesa
dal breve lasso di tempo intercorso dal sacrificio del soggetto alla fissazione dei tessuti
(massimo 2 ore, previa conservazione in ghiaccio). In tal modo è stato possibile ridurre al
minimo gli artefatti indotti dai fenomeni di autolisi che compaiono rapidamente alla morte
dei pesci, soprattutto a carico dell’intestino.
La classificazione dei quadri anatomopatologici osservati è stata effettuata in base alle
indicazioni suggerite da Marcato (2002) e Ferguson (2006). Ai fini classificativi, le diverse
porzioni enteriche sono state valutate nel loro insieme per la definizione della tipologia di
enterite.
Tutti i campioni hanno evidenziato lesioni patologiche anche se talvolta di lieve entità e
tutte le lesioni osservate sono state associate a processi difensivi di natura infiammatoria di
tipo acuto o cronico.
L’enteromixosi è avvenuta in momenti differenti nei due allevamenti, come conseguenza
del diverso periodo di semina in gabbia, determinando, così, anche un decorso diverso della
malattia. Nell’allevamento A, l’infezione è stata rilevata a partire da metà di agosto (soggetti
aventi peso medio 35-40 g) con una progressione rapida della mortalità, che è durata per
circa 50 giorni. In questo periodo la prevalenza del parassita era del 100%, come rilevato sia
dall’esame parassitologico, sia anatomopatologico. In questa popolazione, la malattia ha
manifestato un andamento acuto (fase di proliferazione massiva del parassita), legata alle
temperature del periodo (estate), con mortalità cumulativa attorno all’80%. Nei soggetti
sopravvissuti, dopo la stagione invernale, l’infezione era scomparsa.
Nell’allevamento B, i soggetti sono stati allevati in vasca fino a settembre e, poi seminati
in gabbia galleggiante (inizio ottobre). A novembre i soggetti erano infetti (prevalenza 80%),
sebbene non vi fosse mortalità e nessun segno clinico evidente (fase iniziale di infezione con
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quadro subacuto della malattia). Nella stagione estiva successiva, i soggetti erano ancora
infetti e/o reinfettati e a luglio la prevalenza dell’infezione era del 100%, con un picco di
mortalità tra luglio e fine agosto pari a circa il 36% (forma cronica della malattia). La
progressione della malattia parassitaria e l’insorgenza di una malattia batterica secondaria
(lieve fotobatteriosi), oltre alla presenza di altri parassiti (Sparicotyle chrysophrii a livello
branchiale), ha dettato l’urgenza di un trattamento con sulfamidico potenziato, somministrato
tramite mangime medicato per 10 giorni. In seguito al trattamento, la mortalità è
gradualmente diminuita, fino a scomparire ai primi di settembre; i soggetti riesaminati a
distanza di circa due mesi presentavano segni di remissione dell’infezione.
Fase iniziale dell’infezione
La modesta presenza di stadi vegetativi (1/5) nell'epitelio intestinale del tratto anteriore e
posteriore caratterizza la fase iniziale della malattia parassitaria; in generale, l’intestino
appare ben conservato con infiltrato cellulare moderato, rappresentato quasi esclusivamente
da mastociti (definiti in passato cellule granulari eosinofiliche). Nell’epitelio intestinale sono
osservabili trofozoiti con uno o più nuclei e stadi con una cellula secondaria contenuta nella
cellula primaria, i quali sono di difficile rinvenimento nella lamina propria (Figura 1a).
Sempre nell’epitelio e, sovente liberi nel lume, sono presenti stadi caratterizzati da una
cellula primaria con più cellule secondarie contenenti cellule terziarie (Figura 1b).
a
b
Figura 1 - Intestino anteriore. a) - buona conservazione dell’epitelio intestinale in cui si nota la presenza di
trofozoiti di Enteromyxum leei (frecce) (EE, 200x); b) - mastociti in prossimità di stadi vegetativi (frecce)
nell’epitelio intestinale e nella lamina propri (Giemsa, 400x).
Figure 1 - Anterior intestine. a) - good conservation of intestinal epithelium where it is possible to observe
trophozoites of Enteromyxum leei (arrows) (H.E., 200x); b) - mastocytes close to vegetative stages in the gut
epithelium and lamina propria (Giemsa, 400x).
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La presenza di plasmodi, con spore mature nel lume, è limitata all’intestino anteriore e
posteriore, mentre nel tratto medio non vi sono stadi parassitari riconoscibili e si presenta
ben conservato, anche se non privo di lievi alterazioni (lieve infiltrato cellulare della lamina
propria).
La tonaca mucosa del tratto intestinale anteriore appare lievemente aumentata nello
spessore a causa di lievi fenomeni iperplastici in corrispondenza della presenza del parassita;
si notano rari processi necrotici a carico dell’epitelio con disepitelizzazione di tratti limitati
(<10%) ed edema nella sottomucosa. La lamina propria presenta un infiltrato diffuso
linfocitario, dove si riconosce una popolazione omogenea con la presenza di una percentuale
inferiore di granulociti eosinofili e mastociti, ben riconoscibili alle colorazioni di ClevelandWolfe e blu di toluidina. I granulociti eosinofili nella sottomucosa assumono spesso
distribuzione perivasale e i mastociti sono diffusi nella lamina propria e a livello
subepiteliale e intraepiteliale, mentre raramente si osservano a livello della tonaca muscolare.
L’epitelio intestinale del tratto posteriore è maggiormente colpito dalla presenza di stadi
proliferativi del parassita, la maggior parte dei quali sono plasmodi con sporablasti in varie
fasi di differenziazione e nel lume si notano diverse spore mature. La tonaca mucosa è
caratterizzata da lievi fenomeni iperplastici a carico dell’epitelio che appare infiltrato di
mastociti; l’infiltrato linfocitario della lamina propria è di entità minore rispetto al tratto
anteriore. In un soggetto, nel tratto posteriore si riscontra un aggregato linfocitario
localizzato tra la lamina propria della mucosa e la sottomucosa.
Il quadro infiammatorio rilevato, corrispondente alla fase iniziale d’invasione e
proliferazione del parassita, è rappresentato da un’enterite diffusa e moderata di tipo
proliferativo e linfocitario, ad andamento cronico.
Negli altri organi non si riscontrano lesioni riferibili al parassita, né tanto meno si ravvisa
la sua presenza. Tuttavia si nota un cospicuo infarcimento lipidico degli epatociti, rari
infiltrati linfocitari focali nel miocardio e un infiltrato cospicuo e diffuso tra gli adipociti del
grasso periviscerale o tra gli acini pancreatici, composto prevalentemente da granulociti
eosinofili e, in percentuale minore, da mastociti.
Forma acuta dell’infezione
Questa fase della malattia corrisponde alla massiva diffusione del parassita nell’intestino
dei soggetti campionati in estate (agosto, allevamento A), sebbene l’infezione sia stata
riscontrata già nel mese di luglio. In sede necroscopica questi soggetti presentavano ectasia
del tratto enterico che appariva congesto e ripieno di essudato fibrinoso e, talvolta, caseoso.
A livello branchiale era presente una modesta infestazione da Sparicotyle chrysophrii.
I soggetti campionati durante questa fase erano tutti parassitati dai differenti stadi del
parassita (valutazione media 5/5), sebbene vi fosse una netta prevalenza degli stadi
sporogonici e una minore percentuale degli stadi proliferativi.
In tutti i comparti intestinali, sotto il profilo istologico, il quadro appare dominato da estesi
fenomeni iperplastici a carico dell’epitelio (Figura 2) che, in alcuni casi, assume aspetto
adenomatoso.
L’iperplasia suscitata dalla massiccia presenza del parassita determina un ispessimento
della mucosa, talvolta con formazione di poliposità e fusione dei villi intestinali (Figura 3).
La maturazione e liberazione delle spore causano necrosi (aree limitate) e desquamazione:
spore mature e detriti cellulari sono, infatti, di facile riscontro nel lume intestinale.
68
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 63-78
a
b
Figura 2 - Intestino posteriore. a) - invasione massiva del parassita nell’epitelio intestinale; notare l’ispessimento
e l’abbondanza delle pliche e l’infiltrato cellulare della lamina propria (E.E., 25x); b) - dettaglio a maggiore
ingrandimento della precedente (E.E., 100x).
Figure 2 - Posterior intestine. a) - parasite massive diffusion in the epithelium; note hyperplasia and abundance
of plicae, and strong cellular infiltrate of lamina propria (H.E., 25x);
b) - magnification of the previous (H.E., 100x).
Figura 3 - Intestino anteriore. Aspetto poliposo di un villo intestinale, interessato dalla
presenza di numerosi stadi sporogonici nell’epitelio (E.E., 400x).
Figure 3 - Anterior intestine. Proliferative aspect of intestinal villous, affected by
numerous sporogony stages in the epithelium (H.E., 400x).
69
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 63-78
L’effetto citolitico è correlato alla liberazione di spore mature o altri stadi parassitari dagli
enterociti, inducendo atrofia iperigenerativa dei villi intestinali. La lamina propria e la
sottomucosa appaiono fortemente infiltrate di linfociti (Figura 4). Tale infiltrato di cellule
infiammatorie si presenta diffuso e cospicuo e nella sottomucosa si nota sovente una
distribuzione pervasale dei granulociti eosinofili. L’infiltrato cellulare, prevalentemente
linfocitario, era costituito anche da un modesto numero di plasmacellule (come evidenziato
dalla PAS). Inoltre, rispetto alle fasi iniziali della malattia, si evidenzia una minore
percentuale di mastociti a livello epiteliale, mentre nella lamina propria e nella sottomucosa
sono molto numerosi con tendenza alla formazione di densi strati, dove vi sono anche
macrofagi e granulociti eosinofili. La tonaca muscolare appare moderatamente infiltrata di
mastociti tra lo strato circolare e quello longitudinale. La linfangectasia dei villi intestinali e
l’edema nella sottomucosa completano il quadro istopatologico.
Figura 4 - Sezione frontale dell’intestino medio. Iperplasia dei villi intestinali, marcato infiltrato linfocitario
nella lamina propria e desquamazione dovuta alla liberazione del parassita dall’epitelio (E.E., 25x).
Figure 4 - Frontal section of the mid intestine. Hyperplasia of intestinal villi, strong lymphocytic infiltration
in the lamina propria and desquamation due to the release of the parasite from epithelium (H.E., 25x).
Nella milza, in alcuni casi, si ravvisano rari trofozoiti composti da una cellula primaria
contenente una cellula secondaria, senza per altro presentare alterazioni degne di nota.
La forma acuta dell’infezione è rappresentata da un’enterite cronica proliferativa, ma anche
linfocitaria.
Fase cronica dell’infezione
Questa forma della malattia è stata riscontrata nei soggetti dell’allevamento B, che si erano
infettati in forma lieve in autunno e che, nell’estate successiva, presentavano una prevalenza
del parassita del 100%, con una notevole carica parassitaria (valutazione media 5/5).
70
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All’esame necroscopico i soggetti esaminati presentavano iperplasia dell’epitelio
branchiale con aree modeste di necrosi (infestazione da Sparicotyle chrysophrii), discreta
splenomegalia (fotobatteriosi) e ectasia del tratto enterico, soprattutto nella parte posteriore,
contenente essudato leggermente gelatinoso giallastro; all’esame parassitologico a fresco
sono state riscontrate numerose spore mature. I saraghi erano tutti parassitati da differenti
stadi di E. leei, sebbene vi fosse una netta prevalenza degli stadi sporogonici rispetto agli
stadi proliferativi.
I caratteri salienti del quadro istopatologico sono l’atrofia dei villi intestinali e l’imponente
infiltrato linfocitario della tonaca mucosa e sottomucosa, che determina un notevole
sovvertimento della morfologia intestinale (Figura 5). Gli enterociti appaiono appiattiti,
ipercromatici e con alterazione dei microvilli e si notano aree estese di necrosi e
desquamazione dell’epitelio (cospicui detriti cellulari nel lume). L’infiltrato infiammatorio
comprende anche mastociti, granulociti eosinofili e macrofagi. Fenomeni di
accompagnamento sono la fusione dei villi (Figura 5), la presenza di poliposità dell’epitelio
e edema della lamina propria e della sottomucosa (Figura 6). Gli strati profondi della parete
intestinale appaiono meno coinvolti dai fenomeni flogistici, sebbene si notino rari mastociti
nella tonaca muscolare.
Figura 5 - Intestino medio. Atrofia dei villi intestinali con estesi fenomeni di disepitelizzazione e necrosi
ed imponente infiltrato linfocitario che interessa la mucosa e sottomucosa (E.E., 25x).
Figure 5 - Mid intestine. Villous atrophy with strong de-epithelialisation and massive necrosis, and
lymphocytic infiltrate involving the mucosa and submucosa (E.E., 25x).
71
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Figura 6 - Intestino anteriore. Aspetti proliferativi e edema della lamina propria e della sottomucosa,
con abbondante infiltrato linfocitario (E.E., 100x).
Figure 6 - Anterior intestine. Proliferation and oedema of the lamina propria and submucosae,
with strong lymphocyte infiltrate (E.E., 100x).
La concomitanza con un’infezione batterica (fotobatteriosi) ha contribuito alla gravità del
quadro osservato a livello enterico e, inoltre, ha determinato la presenza di necrosi focali nel
parenchima epatico; mentre l’infestazione da Sparicotyle chrysophrii e la lieve epiteliocisti
nelle branchie hanno indotto una disepitelizzazione e necrosi diffusa dell’epitelio branchiale.
Il quadro istopatologico enterico osservato in questi soggetti è riconducibile a una grave e
diffusa enterite linfocitaria cronica.
Fase di remissione dell’infezione
Nell’allevamento B, nei soggetti prelevati a ottobre (peso medio 180 g) la prevalenza
dell’infezione era del 20%, sebbene la carica parassitaria fosse piuttosto bassa (valutata 1/5
in base al numero di stadi parassitari presenti nell’epitelio intestinali nei diversi tratti).
Nei soggetti ancora infetti sono osservabili stadi proliferativi e sporogonici del parassita
nell’epitelio intestinale, nel quale, soprattutto nei tratti anteriore e posteriore, si notano
strutture palloniformi, di aspetto non omogeneo leggermente acidolifile, che corrispondono a
stadi parassitari in degenerazione (Figura 7). Il profilo istologico, nonostante la scarsa
presenza del parassita, appare ancora dominato dalla presenza di un discreto e diffuso
infiltrato linfocitario della lamina propria e della sottomucosa. La lamina propria mostra un
moderato infiltrato di mastociti, i quali spesso sono distribuiti in prossimità dell’epitelio e in
certi casi tra gli enterociti, mentre nella tonaca muscolare possono essere disposti attorno ai
vasi. In qualche soggetto, nell’epitelio intestinale sono ancora presenti stadi parassitari
circondati da manicotti di mastociti. Nel lume intestinale si rivengono sovente detriti
72
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cellulari di enterociti e mastociti e anche stadi parassitari in degenerazione. La mucosa
intestinale appare leggermente iperplastica, associata a modesta linfangectasia della lamina
propria ed edema della sottomucosa (Figura 8), soprattutto nei tratti medio e posteriore
dell’intestino, dove si rinvengono anche piccole formazioni granulomatose nella lamina
propria. Nell’intestino anteriore di pochi soggetti si nota una steatosi dell’epitelio intestinale,
con discreti fenomeni desquamativi.
8
7
Figura 7 - Intestino medio. Rari stadi parassitari colonizzano ancora l’epitelio intestinale (frecce),
dove si nota la presenza di degenerazioni palloniformi (E.E., 400x).
Figura 8 - Intestino posteriore. Aspetti iperplastici e linfangectasia dei villi intestinali (E.E., 200x).
Figure 7 - Mid intestine. Rare parasitic stages in the intestinal epithelium (arrows), where it is possible
to detect ballooning degeneration (H.E., 400x).
Figure 8 - Posterior intestine. Hyperplasia and lymphangiectasia of intestinal villi (H.E., 200x).
In generale, nel pancreas si nota un discreto e diffuso infiltrato cellulare composto quasi
esclusivamente da granulociti eosinofili e da rari mastociti. Negli altri organi non si
ravvisano lesioni degne di nota, ad eccezione di piccole e rare formazioni granulomatose nel
parenchima renale (non ascritte a uno specifico agente eziologico) e un eccessivo
infarcimento degli epatociti (in alcuni soggetti si notano lieve anomalia cellulare e nucleare).
73
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DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Negli ultimi anni, la drastica diminuzione dell’allevamento del sarago pizzuto è imputabile
a criticità nella filiera produttiva e alla maggiore sensibilità di questa specie all’enterite
parassitaria causata da Enteromyxum leei. Questo mixosporidio è l’agente eziologico della
mixidiosi intestinale o enteromissosi degli sparidi: una grave enterite parassitaria, descritta
per la prima volta nel 1992 in orate allevate a Cipro (Diamant, 1992). Inizialmente, E. leei
sembrava tipico degli Sparidi, tuttavia, in seguito, è stato descritto in più di 45 specie ittiche
distribuite in almeno 10 famiglie (Diamant, 1995; Le Breton & Marques, 1995; Sakiti et al.,
1996; Diamant, 1998; Paperna, 1998; Padrόs et al., 2001; Marino et al., 2004; Yanagida
et al., 2004; Yasuda et al., 2005; Diamant et al., 2006; Sitja-Bobadilla et al., 2007). Questa
scarsa ospite-specificità e il grave quadro clinico causato dall’infezione rendono questa
parassitosi una delle malattie limitanti nell’ambito della maricoltura mediterranea.
Questa indagine ha confermato l’elevata patogenicità di questo mixosporidio per il
sarago pizzuto, consentendo di dettagliare i gravi quadri anatomopatologici indotti dal
parassita in corso di infezioni spontanee. Nel contempo è stato osservato che la malattia
assume connotati differenti a seconda del periodo di semina (e quindi di contrazione
dell’infezione) degli avannotti: semina in primavera (maggio) con infezione durante l’estate,
la malattia è evoluta in forma acuta; semina a fine estate (settembre) con infezione in
autunno e il protrarsi della stessa nelle stagioni successive, l’andamento della malattia è stato
cronico. I soggetti provenienti dall’allevamento B, seguiti anche durante il secondo anno di
allevamento, presentavano un’enterite di maggiore gravità (enterite linfocitaria cronica
profonda), sebbene il quadro fosse moderatamente aggravato da una infezione batterica
secondaria.
La progressione dell’infezione dal punto di vista anatomopatologico, nonostante
analizzata in contesti e soggetti differenti, appare simile a quelli rilevati anche in infezioni
sperimentali (Golomazou et al., 2006; Alvarez-Pellitero et al., 2008). Inizialmente si
osservano le fasi proliferative del parassita nella lamina propria e nell’epitelio intestinale, il
quale è poi diffusamente colonizzato dagli stadi sporogonici, causando severe alterazioni
dell’architettura intestinale. La massiccia presenza dei plasmodi a livello intraepiteliale
provoca necrosi cellulare, desquamazione dell’epitelio intestinale che porta alla liberazione
nel lume delle spore mature. I quadri istologici dell’apparato enterico descritti in questa
indagine, a differenza di quanto riportato da altri studi, sono dominati da imponente infiltrato
linfocitario della lamina propria e della sottomucosa, accompagnati da fenomeni iperplastici
a carico dell’epitelio intestinale. I quadri infiammatori prevalenti sono riconducibili a
enterite proliferativa e enterite diffusa linfocitaria cronica. Oltre all’infiltrato linfocitario
(scarsa presenza di plasmacellule), l’infiltrato infiammatorio è composto anche da mastociti
(anche definiti cellule granulari eosinofiliche), granulociti eosinofili e macrofagi.
Topograficamente, i mastociti sono diffusi e/o formano densi strati nella lamina propria nella
sottomucosa, talvolta assumono aspetto perivasale nella tonaca muscolare e si localizzano a
livello sub- e intraepiteliale quale prima difesa aspecifica nei confronti dei vari stadi
parassitari. I granulociti eosinofili infiltrano maggiormente la sottomucosa e spesso sono
pervasali; inoltre queste cellule infiltranti sono state frequentemente riscontrate diffuse tra gli
adipociti del grasso periviscerale e gli acini pancreatici. In un recente studio
sull’enteromixosi nel sarago pizzuto, Alvarez-Pellitero et al. (2008), hanno riconosciuto
queste due popolazioni cellulari (mastociti e granulociti eosinofili) come “eosinophilic
granular cells” (EGCs) tipo 1 e tipo 2, individuabili in fasi diverse della malattia. Le EGCs1
presentano numerosi granuli eosinofilici di grandi dimensioni e compaiono nella lamina
propria e nell’epitelio intestinale nelle prime fasi dell’infezione per diminuire
progressivamente nel corso dell’infezione. Queste cellule così tratteggiate corrispondono ai
74
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 63-78
mastociti descritti in questa indagine e si caratterizzano anche per essere migranti,
metacromatiche al Giemsa e blu di toluidina (pH 2,5) e rossi con la Cleveland-Wolfe. Questa
colorazione distingue anche un’altra popolazione di cellule eosinofiliche (granuli arancione),
i granulociti eosinofili, che gli autori spagnoli hanno definito EGCs2, con i granuli più
piccoli e meno acidofili dei mastociti.
Come per altre mixosporidiosi, per l’enteromixosi non sono disponibili trattamenti
efficaci o misure di profilassi indiretta per il controllo della malattia. Per tale ragione, una
maggiore conoscenza del sistema immunitario del sarago pizzuto è essenziale per la
formulazione di vaccini o altre strategie preventive basate sulla selezione di popolazioni
ittiche resistenti alla malattia. Infatti diversi aspetti della risposta umorale e cellulare verso
E. leei sono stati studiati sia nell’orata, sia nel sarago pizzuto (Cuesta et al., 2006a; 2006b;
Golomazou et al., 2006a; Muñoz et al., 2007; Sitjà-Bobadilla et al., 2007). Tuttavia non sono
ancora disponibili informazioni sugli aspetti molecolari dei meccanismi coinvolti nella difesa
immunitaria, sull’interazione ospite-parassita e sui meccanismi d’invasione di questo
mixosporidio.
In ultima analisi, l’enterite linfocitaria, riscontrata nelle sue diverse connotazioni,
potrebbe essere indotta non solo dal parassita, ma anche dall’ipersensibilità del sarago
pizzuto verso antigeni proteici presenti nei mangimi utilizzati, che sono formulati per
branzino e orata, specie strettamente carnivore rispetto al sarago pizzuto che è onnivoro
(Hernández et al., 2002). Inoltre, quadri infiammatori simili sono stati osservati anche in
alcuni soggetti non infetti, provenienti da entrambi gli allevamenti, esaminati in occasione di
altri monitoraggi.
Altri autori non hanno descritto quadri infiammatori ascrivibili a enterite linfocitaria
nelle infezioni sperimentali di sarago pizzuto o orata (Sitjà-Bobadilla et al., 2007; AlvarezPellitero et al., 2008). Non è quindi possibile escludere che l’infiltrato linfocitario possa
essere l’espressione di una reazione immunitaria cronica a mediazione cellulare verso
antigeni introdotti con l’alimento. Nel sarago, tale condizione dovrà essere verificata, anche
pensando alla formulazione di diete dedicate, che consentirebbero prestazioni produttive
migliori, favorendo una migliore condizione sanitaria.
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ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 79-85
Effetto virucida di un disinfettante commerciale
contro Betanodavirus
Evaluation of in vitro virucidal activity of a commercial
disinfectant against Betanodavirus
Sara Ciulli *, Enrico Volpe, Marco Grodzki
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Facoltà di Medicina Veterinaria, Alma Mater Studiorum,
Università di Bologna, Viale Vespucci, 2 – 47042 Cesenatico (FC).
______________________________
RIASSUNTO - L’acquacoltura è a livello mondiale un settore che sta registrando un costante e continuo aumento
delle produzioni con conseguente richiesta di implementazione degli standard igienici e di efficaci prodotti e
protocolli di disinfezione al fine di ridurre i rischi sanitari legati alla diffusione delle malattie infettive. Nella
realtà europea e italiana il branzino (Dicentrarchus labrax) è una delle specie marine con più elevato interesse per
l’acquacoltura. Fra le malattie infettive che maggiormente affliggono questa produzione si registra l’Encefalo
Retinopatia Virale (ERV) da Betanodavirus. Questa patologia è responsabile di sintomatologia nervosa e
mortalità con conseguenti elevate perdite economiche. Attualmente non sono disponibili terapie e vaccini che
permettano un adeguato controllo dell’ERV, per cui la prevenzione della malattia è affidata al mantenimento di
corrette procedure igienico-sanitarie e alla corretta gestione dell’allevamento che si basa su un’approfondita
conoscenza delle caratteristiche del patogeno e sulla disponibilità di prodotti e protocolli di disinfezione per il
controllo dello stesso. Al fine di ampliare le conoscenze sull’efficacia di prodotti disinfettanti verso
Betanodavirus, sono state intraprese, in questo studio, delle prove in vitro per valutare l’attività virucida specifica
di un prodotto commerciale denominato Virkon®S già ampiamente utilizzato in ambito zootecnico. L’attività
virucida è stata valutata tenendo conto di diversi tempi di contatto, diverse temperature di incubazione ed in
presenza di sostanza interferente utilizzando il protocollo BS EN 14675:2006 riconosciuto come protocollo
standard della Comunità Europea. Le analisi effettuate hanno evidenziato una potente attività virucida del
prodotto analizzato verso Betanodavirus evidenziando l’assenza di attività virale residua dopo trattamento con
Virkon®S e suggerendo una sua possibile applicazione efficace per il controllo dell’ERV nel settore
dell’acquacoltura marina.
SUMMARY – Aquaculture is a growing industry with intensive production that requires high hygiene standards,
disinfectant compounds and protocols to control the spread of infectious diseases. In Europe and Italy sea bass
production is the most relevant with high production of juveniles. Among infectious diseases that affect this
species, Viral Encephalopathy and Retinopathy is the most important. This disease is caused by Betanodavirus
and is responsible of nervous signs and mortality, with consequent high economic losses. Presently, there is no
therapy and no vaccines that permit an adequate control of this disease. Therefore, the disease control is at the
moment based on maintaining correct hygienic-sanitary procedures and correct livestock management, these
practices rely on a deeper knowledge of characteristics of the pathogen and the availability of effective products
and disinfection protocols. In order to enlarge the knowledge on efficacy of disinfectants towards Betanodavirus,
in vitro trials were performed in this survey, to evaluate the specific virucidal activity of a commercial product
named Virkon®S that is already on sale in veterinary field. The activity of Virkon®S was inquired analysing
several contact times, temperatures of incubation and the presence of interfering substance using the
international BS EN 14675:2006 protocol acknowledged as European standard protocol. Virkon®S showed a
powerful virucidal activity against Betanodavirus under tested conditions making it a good candidate for the
direct control of ERV in marine aquaculture.
Key-words: Betanodavirus; Viral Encephalopathy and Retinopathy; Virucidal activity; Disinfectant; Peroxigen
disinfectant.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Facoltà di Medicina Veterinaria,
Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Viale Vespucci, 2 – 47042 Cesenatico, FC, Italy; Tel.
+390547338948; Fax: +390547338941; E-mail: [email protected].
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INTRODUZIONE
L’acquacoltura è a livello mondiale un settore che sta registrando un costante e continuo
aumento delle produzioni (FAO, 2010) con conseguente intensificazione dell’allevamento
ittico. Questa intensificazione richiede un’implementazione degli standard igienici al fine di
ridurre i rischi sanitari legati alla diffusione delle malattie infettive. Le pratiche di
disinfezione costituiscono l’attività fulcro dell’igiene veterinaria interessando tutti i settori
operativi dell’ittiocoltura (OIE, 2010).
Nella realtà europea e italiana il branzino (Dicentrarchus labrax) è una delle specie marine
con più elevato interesse per l’acquacoltura (FAO, 2011). L’Italia in particolare si distingue
per la produzione di novellame, immettendo gli avannotti prodotti anche sul mercato estero.
Il branzino ed in particolare gli stadi giovanili di questa specie sono molto sensibili a vari
agenti di malattie infettive che possono interferire con il processo produttivo causando
perdite economiche nell’intero ciclo di produzione. In particolare, attualmente, riveste una
notevole importanza l’Encefalo Retinopatia Virale (ERV) causata da virus del genere
Betanodavirus, responsabile di sintomatologia nervosa e mortalità (Sano et al., 2011). La
malattia è endemica in tutte le tipologie di allevamento, ma le perdite economiche maggiori
si registrano nelle avannotterie (Corbari, 2003). I Betanodavirus sono piccoli virus
icosaedrici a RNA a singolo filamento appartenenti alla famiglia Nodaviridae (Ball et al.,
2000). L’infezione da Betanodavirus si trasmette sia per via orizzontale tramite
l’introduzione di pesci infetti o indirettamente da acqua e attrezzatura contaminata, sia per
via verticale tramite la riproduzione. Attualmente non sono disponibili terapie e vaccini che
permettano un adeguato controllo dell’ERV, per questo la prevenzione della malattia è
prevalentemente basata sul mantenimento di corrette procedure igienico-sanitarie, attività di
screening e alla corretta gestione dell’allevamento con particolare attenzione alla densità
della biomassa (Sano et al., 2011). Al fine di intraprendere adeguati piani di controllo è di
fondamentale importanza avere un’approfondita conoscenza delle caratteristiche di
resistenza del patogeno e la disponibilità di prodotti e protocolli di disinfezione che siano
efficaci verso questo patogeno nei vari settori del ciclo produttivo. Precedenti studi hanno
testato la resistenza di questi virus verso alcuni agenti fisici e chimici al fine di approfondire
le conoscenze sui meccanismi di trasmissione e persistenza in natura e di stabilire adeguati
metodi di controllo (Arimoto et al., 1996; Frerichs et al., 2000). Questi studi hanno
evidenziato la resistenza del virus per estesi periodi di tempo in un ampio range di condizioni
ambientali. I disinfettanti a base di cloro e iodio si sono rivelati altamente efficaci, ma
solamente in assenza di sostanza organica (Frerichs et al., 2000).
Al fine di standardizzare le metodiche di analisi sull’attività virucida dei prodotti
disinfettanti è stato recentemente messo a punto dalla BSi-British Standards un protocollo di
analisi in vitro approvato anche dal CEN (Comité européen de normalisation): il protocollo
BS EN 14675:2006 (UNI, 2006).
Questo protocollo è stato messo a punto su virus dei mammiferi, pertanto successivamente,
sono state apportate alcune modifiche per poterlo adattare ai virus di interesse ittico e alle
condizioni più consone all’utilizzo dei disinfettanti in acquacoltura (Graham et al., 2007;
Verner-Jeffreys et al., 2009). Al momento il protocollo è stato applicato allo studio di vari
disinfettanti solo contro il virus dell’Anemia Infettiva dei salmonidi (ISA) (Verner-Jeffreys
et al., 2009) e il virus della malattia pancreatica (PD) o malattia del sonno (SD) del salmone
(Graham et al., 2007).
Al fine di ampliare le conoscenze sull’efficacia di prodotti disinfettanti verso
Betanodavirus e di implementare gli strumenti di controllo sull’ERV il protocollo BS EN
14675:2006 è stato applicato alla valutazione dell’attività virucida di un prodotto
commerciale già utilizzato in ambito veterinario denominato Virkon®S contro il virus
80
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 79-85
dell’ERV. Questo prodotto è un disinfettante a base di perossidi e acidi organici ad ampio
spettro di efficacia; esso risulta del tutto innocuo sia per gli operatori che per gli animali ed è
velocemente degradabile con assenza di residui: queste caratteristiche ne determinano una
utilizzazione ottimale anche nell’ambiente acquatico. Questo prodotto inoltre risponde già ai
requisiti della Direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi.
MATERIALI E METODI
Virus
Il virus utilizzato per questa sperimentazione è stato isolato da avannotti di branzino
Europeo (Dicentrarchus labrax) durante un focolaio naturale di ERV nel nord Adriatico
(Ciulli et al., 2006). Il virus è stato isolato utilizzando la linea cellulare SSN-1 (Frerichs et
al., 1996) e denominato IT/351/Sb. Dalla caratterizzazione genetica il virus è risultato
appartenere alla specie RGNNV, genere Betanodavirus, Famiglia Nodaviridae. Questa
specie virale è quella comunemente isolata durante i focolai di Encefalo Retinopatia Virale
in branzino Europeo e anche in altre specie ittiche in tutto il Mar Mediterraneo. Il virus
RGNNV è stato inoltre segnalato anche in molteplici specie ittiche marine selvatiche del Mar
Mediterraneo (Ciulli et al., 2007).
Protocollo di valutazione dell’attività virucida dei disinfettanti
Tutte le prove di valutazione dell’attività virucida del disinfettante sono state eseguite
seguendo il protocollo BS EN 14675:2006. Il protocollo, inizialmente allestito per un
enterovirus bovino, è stato modificato per poterlo adattare a virus ittici secondo le
indicazioni pubblicate da Verner-Jeffreys et al. nel 2009. Nel nostro studio il protocollo è
stato adattato per testare l’attività virucida del disinfettante contro Betanodavirus.
Il virus oggetto di indagine è stato replicato e titolato sulla linea cellulare snakehead-fish
(SSN-1) a 25°C. Il calcolo della dose infettante il 50% di tessuto coltura (TCID50/ml) è stato
effettuato secondo il metodo Reed & Muench (1938).
Le prove sono state condotte con volumi pari a 100 µl con un rapporto 1:1:8 di virus,
interferente (albumina bovina frazione V 3 g/100 ml), disinfettante secondo quanto
raccomandato dal protocollo BS EN 14675:2006. Ogni prova di disinfezione includeva una
prova di controllo virus dove al posto del disinfettate veniva utilizzato del diluente. In un
primo momento le prove sono state condotte utilizzando come diluente acqua dura (HW;
1,248 mM MgCl2, 3,328 mM CaCl2, 2,496 mM NaHCO3) secondo quanto raccomandato dal
protocollo BS EN 14675:2006; successivamente i saggi sono stati condotti con acqua di
mare sterile (SW) al fine di valutare l’efficacia del prodotto anche in condizioni assimilabili
a quelle tipiche dell’allevamento del branzino. La miscela è stata quindi incubata a diverse
temperature (10 e 20°C) e per diversi tempi di contatto (da 1 a 20 minuti) come indicato in
tabella 1. Ogni diluizione, tempo e temperatura è stato testato in triplicato con tre saggi
indipendenti. Trascorso il tempo di esposizione da testare, l’azione del disinfettante veniva
arrestata secondo un procedimento di diluizione. Secondo questo procedimento la miscela
virus/disinfettante e virus/diluente veniva diluita in base 10 fino all’ottava diluizione e quindi
testata, per la valutazione del titolo virale residuo, in coltura cellulare SSN-1 su piastra a 96
pozzetti utilizzando 5 pozzetti per diluizione. Su ogni piastra sono stati mantenuti pozzetti di
controllo della coltura cellulare. Dopo 7 giorni di osservazione al microscopio rovesciato e il
calcolo del titolo virale l’attività virucida veniva calcolata sottraendo il titolo virale ottenuto
dopo il trattamento al titolo virale riscontrato senza trattamento (controllo virus), ottenendo
così il valore di riduzione relativa (R). Il disinfettante è stato ritenuto efficace nei casi in cui
81
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 79-85
R ≥ 4, cioè dove la riduzione relativa mostrava una diluizione uguale o superiore a 4
logaritmi come specificato nel protocollo BS EN 14675:2006 (UNI, 2006).
Tempo in minuti
Temperatura
in °C
Concentrazione
disinfettante
Diluente
20
10
10
5
5
1
1
1
1
10
20
10
20
10
20
10
20
20
2%
1%
1%
1%
1%
1%
1%
1%
0,5%
HW
HW
HW
HW
HW
HW
HW
SW
SW
Tabella 1 – Concentrazione, tempi e temperature di incubazione testate.
Table 1 - Concentration, time points and temperatures of incubation used in the tests.
Disinfettante
Il disinfettante utilizzato per la prova è il prodotto Virkon®S (DuPont Wilmington, DE
divisione Antec International Limited Sudbury, Suffolk, UK). Il prodotto è stato conservato e
preparato seguendo le indicazioni del produttore. In particolare sono state testate le
concentrazioni 1 e 2% diluendolo in HW o SW. Le soluzioni sono state allestite all’inizio di
ogni prova ed utilizzate entro un’ora dalla preparazione come raccomandato dal protocollo
BS EN 14675:2006.
RISULTATI
Tutte le prove effettuate hanno permesso di ottenere un’attività virale di controllo adeguata
alla lettura delle piastre. Il virus, infatti, nelle soluzioni di controllo ha evidenziato titoli
virali compresi fra 106,87 e 104,92 TCID50/ml. Dopo trattamento tutte le soluzioni virali hanno
mostrato assenza di attività virale residua mostrando l’inattivazione del virus per un ampio
range di titoli virali, sempre ≥ 4 TCID50/ml rientrando pienamente nei parametri indicati
dalla norma di riferimento (BS EN 14675 - UNI, 2006).
Alcuni test della diluizione 2% e della diluizione 1% in HW dopo 10 minuti di incubazione
hanno mostrato effetto tossico alla prima diluizione (1/10) della miscela
virus/interferente/disinfettante. Al fine di impedire che tale effetto tossico potesse
nascondere eventuali effetti citopatici specifici, la riduzione relativa è stata calcolata a partire
dalla seconda diluizione sia nel prodotto testato che nel rispettivo controllo virale.
82
ITTIOPATOLOGIA, 2011, 8: 79-85
a
Tempo in
minuti
Temperatura
in °C
Concentrazione
disinfettante
Diluente
L’utilizzo di acqua di mare con il prodotto Virkon®S non ha generato la presenza di
precipitati a differenza di quanto precedentemente riportato (Graham et al., 2007).
In tabella 2 sono riportati in dettaglio i risultati delle prove espressi come TCID50/ml
ottenuta dopo trattamento di disinfezione con Virkon®S affiancata dal valore di TCID50/ml
ottenuta dal controllo virus e quindi la differenza dei due valori espressa come riduzione
relativa (R).
20
10
2%
HW
10
20
1%
HW
10
10
1%
HW
5
20
1%
HW
5
10
1%
HW
1
20
1%
HW
1
10
1%
HW
1
20
1%
SW
1
20
0,5%
SW
Repliche
TCID50/ml
dopo
disinfezione a
TCID50/ml
Controllo virus a
Riduzione
relativa
Test 1
Test 2
Test 3
Test 1
Test 2
Test 3
Test 1
Test 2
Test 3
Test 1
Test 2
Test 3
Test 1
Test 2
Test 3
Test 1
Test 2
Test 3
Test 1
Test 2
Test 3
Test 1
Test 2
Test 3
Test 1
Test 2
Test 3
0*
0
0*
0*
0*
0*
0
0*
0*
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
5,70*
5,20
4,92*
6,07*
5,53*
5,87*
6,53
5,80*
5,06*
6,07
6,32
6,07
7,02
6,70
7,02
6,20
6,32
6,07
6,20
6,32
5,87
5,04
5,04
5,06
6.87
6.53
6.53
5,70
5,20
4,92
6,07
5,53
5,87
6,53
5,80
5,06
6,07
6,32
6,07
7,02
6,70
7,02
6,20
6,32
6,07
6,20
6,32
5,87
5,04
5,04
5,06
6.87
6.53
6.53
Tabella 2 - Risultati dei test di valutazione dell’attività virucida di Virkon®S.
in presenza di effetto tossico alla prima diluizione, i valori di TCID50/ml sono stati letti a partire dalla seconda
diluizione (*).
a
Table 2 - Results of evaluation of Virkon®S’s virucidal activity.
in presence of toxic effect at first dilution, TCID50/ml values were read starting from second dilution (*).
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DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’intensificazione della produzione ittica richiede un’implementazione delle tecniche
produttive con particolare attenzione agli aspetti igienico sanitari al fine di limitare i danni
derivanti dalle malattie infettive. Per quanto riguarda l’allevamento del branzino l’ERV è la
principale malattia virale responsabile di danni economici. Al momento non sono disponibili
presidi terapeutici o vaccinali capaci di limitare i danni derivanti da questa malattia e la
profilassi diretta resta lo strumento migliore per ridurre i casi di ERV.
Al fine di ampliare le conoscenze sull’efficacia di prodotti disinfettanti verso
Betanodavirus sono state intraprese, in questo studio, prove in vitro atte a valutare l’attività
virucida specifica di un prodotto commerciale denominato Virkon® già utilizzato in ambito
veterinario.
Al fine di conferire una validità internazionale ai test eseguiti e di ottenere dei risultati
comparabili con l’attività di altri disinfettanti e verso altri microorganismi è stato applicato il
protocollo BS EN 14675:2006 messo a punto dalla BSi-British Standards ed approvato dalla
CEN (Comité européen de normalisation) e quindi riconosciuto come standard della
Comunità Europea. L’utilizzo di questo protocollo ha permesso di testare il prodotto anche
in presenza di sostanza organica, uno dei fattori limitanti l’attività di molti ottimi
disinfettanti. Questa condizione peraltro è facilmente riscontrabile nelle comuni situazioni di
utilizzo dei prodotti disinfettanti in acquacoltura e quindi validare l’efficacia dei prodotti in
presenza di sostanza organica è un punto critico per il successivo successo nell’utilizzo
pratico del prodotto in questo settore.
Le prove eseguite hanno permesso di evidenziare una potente attività virucida verso
Betanodavirus del prodotto Virkon®S raggiungendo sempre valori superiori a 4 logaritmi di
riduzione relativa anche in presenza di sostanza organica. Anche la sostituzione del diluente
da HW a SW ha permesso di testare una condizione affine a quella riscontrabile
nell’allevamento del branzino. Le prove hanno evidenziato una efficacia del prodotto del
tutto paragonabile nelle due condizioni ambientali.
In conclusione con questo lavoro è stato possibile acquisire con successo il protocollo BS
EN 14675:2006 per l’analisi dell’attività virucida di disinfettanti specifica verso
Betanodavirus.
L’applicazione di tale protocollo ha permesso la valutazione dell’attività disinfettante di un
prodotto commerciale che ha mostrato un elevato potere virucida nei confronti di
Betanodavirus in molteplici condizioni ambientali suggerendo una sua possibile applicazione
sicura anche nel settore dell’acquacoltura marina.
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bibliografici dovranno essere riportati come segue: 1 autore (Diamant, 1996), 2 autori
(Wright & Colorni, 2002), 3 autori ed oltre (Toranzo et al., 2003).
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Bibliografia: i riferimenti bibliografici vanno elencati in ordine alfabetico e senza
numerazione, come da esempi qui riportati:
Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della
patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di
vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12.
Austin B. & Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed
and wild fish. 3rd Ed.”, Praxis Publishing, Chichester, England.
Le abbreviazioni dei titoli delle riviste vanno controllate su “World List of Scientific
Periodicals”.
Tutti i lavori saranno valutati dal Comitato Scientifico di “Ittiopatologia” ed inviati a
referees.
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Affiliation: reported under the names.
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Key words: no more than 8 key words should follow the summary.
Corresponding Author: has to be reported as a footnote (marked with asterisk) with
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Text: use approximately 11 point font (Times New Roman) and single spacing. Latin names
must be written in italics. The headings of sections should be in bold capital. The
illustrations (figures, tables, and graphics) must be referred to in correct numerical order in
the text [e.g. (Figure 1) (Table 1) (Graphic 1)]. References in the text should appear as
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follows: for 1 author (Diamant, 1996), for 2 authors (Wright & Colorni, 2002), for 3 authors
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Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della
patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di
vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12.
Austin B. & Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed
and wild fish. 3rd Ed.” Praxis Publishing, Chichester, England: 48-49.
Manuscripts will be evaluated by the Scientific Committee of “Ittiopatologia” and sent to
referees.
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90
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Elenco dei soci sostenitori
della Società Italiana di Patologia Ittica:
Aqua S.r.l.
Lavagna (GE)
Azienda Agricola Rio Fontane di Fuselli Marco & C.
Istrana (TV)
Azienda Ittica “Il Padule” di Fornaciari Argo
Castiglione della Pescaia (GR)
Cosa Società Agricola a.r.l.
Ansedonia, Orbetello (GR)
Troticoltura Foglio Angelo s.s.
Storo (TN)
Valle Ca’ Zuliani S.r.l.
Pila di Porto Tolle (RO)
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Elenco degli sponsor della
Società Italiana di Patologia Ittica:
Associazione Piscicoltori
Italiani (A.P.I.)
Verona
Biomar Group Italia
Monastier di Treviso (TV)
Fatro S.p.A.
Ozzano Emilia (BO)
La Casetta in Canada
Settimo Torinese (TO)
Lamar Udine S.n.c.
Remanzacco (UD)
Lepore Mare S.r.l.
Fasano (BR)
Maribrin S.r.l.
Brindisi
Maricoltura Mattinatese
Soc. Coop A R.L.
Mattinata Gargano (FG)
Ordine dei Medici Veterinari
Brindisi
Panittica Pugliese S.p.A.
Torre Canne di Fasano (BR)
Skretting Italia
Hendrix S.p.A.
Mozzecane (VR)
Veronesi S.p.A.
Verona
Istituto Zooprofilattico Sperimentale
del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Torino
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