Raffaello Sanzio anno acc. 2009-10

Transcript

Raffaello Sanzio anno acc. 2009-10
"La tecnica pittorica prima del Quattrocento"
Durante il Medioevo era stata perfezionata la tecnica della tempera, composta da pigmento
colorato mescolato a un agglutinante colloso (quasi sempre costituito dall'albume dell'uovo
che veniva sciacquato e mescolato ad alcune gocce di aceto, che lo rendevano più fluido e
meno deperibile).
Il fondo della pittura veniva preparato su una tela incollata sopra un supporto formato da assi
di legno ben stagionate inchiodate tra loro.
Mani di gesso mescolato a colla proteica ( di pelle di guanti, cartilagine di coniglio, ritagli di
pergamena o liscia di pesce) venivano stese e rasate ripetutamente fino ad ottenere una
superficie molto liscia.
Una iprimitura , o strato liquido di una sostanza trasparente, serviva a ridurre l'assorbimento
della superficie nel caso in cui venisse utilizzata la pittura a olio.
Quando il fondo era pronto veniva tracciato il disegno preparatorio, trasportato da un disegno
o cartone in cui venivano bucati i contorni per far passare la polvere di carbone filtrata da un
sacchetto sulla faccia esterna. In alternativa si poteva incidere leggermente con una punta
metallica i contorni del disegno sullo strato di gesso e colla della preparazione.
Cominciava a questo punto la pittura vera e propria, mescolando il pigmento con la tempera a
uovo.
Piccole quantità di pigmento venivano bagnate con gocce di tempera e mescolate con il
pennello per essere poi stese in campiture trasparenti.
Per ottenere una campitura compatta bisognava passare molte mani aspettando che ogni
volta lo strato asciugasse.
Il tuorlo dell'uovo o le colle animali, che si usavano per fissare i pigmenti con la tempera,
davano opacità alle velature riducendone la profondità.
La lucentezza finale era data alle verniciature, eseguite stendendo sul dipinto uno strato di
resina disciolta in solventi.
La più raccomandata era la resina di ginepro che veniva disciolta in acqua ragia, oppure
l'albume dell'uovo.
Questa tecnica era lenta e portava a risultati fissi: campiture opache ben separate tra loro e
soprattutto tinte primarie (giallo, blu, rosso), in cui i pigmenti erano raramente mescolati per
evitare la loro reazione chimica. Le sfumature erano molto difficili e i pittori agivano con
piccole quantità di pigmento puro mescolato continuamente all'uovo che asciugava in
pochissimo tempo.
Questa produzione era meccanica, perfino per la costruzione di un volto si eseguiva una
procedura rigida e sempre uguale a se stessa.
La pittura aveva un connotato meccanico legato alla tecnica esecutiva.
Da secoli, in alternativa, si conosceva il vantaggio dell'olio come legante dei pigmenti.
Ma era un procedimento lungo perché l'olio richiedeva tempi di asciugatura lunghi e non si
poteva dipingere sulle parti non ancora essiccate.
In compenso l'olio permetteva di ottenere velature e sfumature diverse, con esso, usato come
legante, si potevano mescolare più pigmenti.
La lucentezza era il pregio principale della velatura oleosa, insieme alla sua profondità
immateriale.
Con la scoperta degli oli di lino e di papavero si potevano ridurre i tempi,
Pagina 1 di 12
furono i pittori Fiamminghi a scoprirne i vantaggi.
Durante il Medioevo la rappresentazione pittorica era dotata di un vocabolario rigido nel quale
i colori e i gesti significavano la devozione religiosa condivisa da tutti.
L'azzurro del manto di Maria, il giallo dorato del manto di Giuseppe, il rosso della veste di
Cristo erano attributi simbolici della purezza, della regalità, della passione, i colori erano
identici in ogni bottega e in ogni quadro.
I committenti erano interessati alla comprensibilità del quadro molto più che alla sua
singolarità.
1 RAFFAELLO E LA DIVINA ARMONIA. UNA FINESTRA APERTA SUL RINASCIMENTO
1.1 " Il figlio di Giovanni"
La casa dove Raffaello Sanzio nasce (1483) è a pochi passi dal palazzo costruito per il duca
Federico da Montefeltro a Urbino, un piccolo centro con un'economia neppure avvicinabile a
quella di molte altre città italiane, poli industriali e bancari, ma che può vantare la virtù e la
ricchezza di un signore senza confronti in Italia.
Il duca riunisce intorno a se una corte raffinata e colta, composta da gentiluomini, intellettuali
e artisti.
Giovanni Santi, il padre di Raffaello, è un celebre pittore, si occupa dell'allestimento di feste,
realizza scenari teatrali per la corte e conduce anche la più importante bottega di Urbino.
E' proprio in questo momento che inizia una trasformazione artistica, la tradizione ha messo
appunto una tecnica esecutiva affinata nei secoli e ormai al suo apice di perfezione ma non
più sufficiente a soddisfare le esigenze sia dei committenti che degli artisti.
L'Umanesimo inizia così a scoprire l'antico, i letterati iniziano a tradurre testi antichi e i pittori
a rappresentarli.
Gli artisti fiamminghi rappresentano la natura mentre i pittori italiani utilizzano la prospettiva
per rispondere alle esigenze di un maggiore realismo.
Intorno al 1470 queste due tendenze si incontrano proprio a Urbino, attirati dalla raffinatezza
di Federico da Montefeltro erano confluiti Piero Della Francesca, portando il suo disegno e le
sue architetture prospettiche, e le opere di Jean van Eyck , con le sfumature morbide prodotte
dagli oli.
Giovanni Santi assorbe da questi eccellenti pittori tutto quello che può servire alla sua
professione.
La bottega del pittore è il luogo migliore dove crescere, qui il piccolo Raffaello può
apprendere con facilità tutti i segreti di questa professione.
Una bottega quattrocentesca è più simile a una piccola fabbrica che a uno studio come lo
conosciamo noi moderni.
Un luogo fortemente gerarchizzato, dove ognuno ha mansioni precise ed è responsabile di un
piccolo frammento dell'impresa, sotto l'occhio attento del maestro.
Raffaello passa i suoi primi dieci anni di vita prendendo dimestichezza con i colori e le matite.
Presto all'interno della bottega del padre viene ritagliato un piccolo spazio gestito dal giovane.
I disegni di Raffaello iniziano ad essere conosciuti e apprezzati nella corte di Federico.
Nel 1494 Giovanni Santi muore lasciando orfano un ragazzo di appena undici anni, la madre
e la sorella erano morte tre anni prima.
Raffaello è già in grado di eseguire con una certa fermezza dipinti sempre più complessi e
Pagina 2 di 12
grazie all'aiuto dello zio paterno Bartolomeo rileva la bottega del padre.
1.2 "Città di Castello"
Alla fine del quattrocento i Vitelli, signori di Città di Castello, stringono i propri legami con i
Montefeltro.
Raffaello si reca a Città di Castello sotto la protezione di Federico che lo introduce nella
migliore società locale.
Baronci, uno degli uomini più influenti della città, gli commissiona una Pala D'Altare
rappresentante il trionfo di San Nicola.
L'opera di gran successo è purtroppo andata distrutta nel terremoto del 1789.
La buona riuscita dell'opera frutta a Raffaello un altro incarico prestigioso:
il Gonfalone della Confraternita della Santissima Trinità (1500), sempre a Città di
Castello.
Gli stendardi portati in processione diverse volte all'anno, opere molto importanti ma molto
difficili da realizzare.
Vengono realizzati su due tele incollate impregnate con un preparato molto ricco di colla, al
posto del gesso, perché devono mantenere la morbidezza.
La difficoltà di esecuzione è data dal fatto che il colore viene legato alla colla per cui il tipo di
pittura deve essere veloce, sulla tela ancora umida.
Su una faccia rappresenta la Trinità con ai piedi della croce San Rocco e San Sebastiano,
mentre sull'altra faccia dipinge la creazione di Eva , con il padreterno che furtivamente
estrae la costola a Adamo addormentato.
In quest’ opera le citazioni del paterne sono molte, soprattutto nel paesaggio azzurrato che si
apre al centro della scena con l'orizzonte luminoso che allontana l'occhio tra le rocce. La
velocità del dipinto non manca, però di dettagli si può notare nella foglia di fico che copre la
nudità di Adamo, chiaro richiamo alla cultura fiamminga del padre.
Ciò che stupisce di quest’ opera, nonostante il pessimo stato di conservazione, è la qualità
degna di un dipinto su tavola.
La pastosità degli incarnati visibili nel volto del Padreterno, il realismo con cui scava e
ombreggia l'arcata sopracciliare, i colori ricercati come il lilla del perizoma di Cristo sono una
novità assoluta nella pittura umbra e smentiscono definitivamente la leggenda vasariana di un
discepolato presso il Perugino.
L'ansiano maestro ha in mano il mercato umbro e Raffaello deve competere direttamente con
lui.
I Gavari, un'altra potente famiglia di Città di Castello, commissionano in seguito una Pala per
la Cappella si San Girolamo, adibita a Cappella funeraria del capofamiglia, nella chiesa di
San Domenico.
Il soggetto commissionatogli è una Crocifissione .
Il dipinto viene eseguito su sei assi di pioppo stagionato legate in senso verticale, la base
viene preparata con diversi strati di gesso e colla.
Raffaello solitamente usa un fondo giallo per smorzare i contrasti.
Il disegno preparatorio viene realizzato a mano libera direttamente sulla
Tavola , senza l'utilizzo dello spolvero.
La ricercatezza e la preziosità dei pigmenti devono essere consoni al committente, Raffaello
Pagina 3 di 12
utilizza l'oro per realizzare il sole e l'argento per la luna.
Il grande crocefisso è collocato in un paesaggio aperto e limpido, le forme e la luce si
sfumano dolcemente, sono lontane dalla secchezza del segno quattrocentesco.
La figura del cristo è portata in alto per non avere interferenze dal paesaggio.
La testa è inclinata senza mostrare l'abbandono che gli avrebbe tolto regalità.
Il corpo è abbandonato ma non sofferente, bello di proporzioni seppure ancora nervosamente
calligrafico.
Le figure ai piedi della croce in perfetta simmetria, sembrano assorte in una meditazione più
che in tragedia.
La conquista più matura della pala sta nella densità sfumata del colore, nei panneggi, nella
scelta dei contrasti delicati ma anche nella lucentezza della carni, per le quali l'artista non
usa più le terre chiare ma il bianco scaldato dal vermiglione e le lacche che sfumano
impercettibilmente, creando rossori sui volti delle donne.
Filippo Albizzini incarica Raffaello di eseguire la pala con lo Sposalizio della Vergine
datata1504.
In questo periodo c'è un clima ferocemente competitivo, tra i committenti ancora più che tra
gli artisti, e questo spiega perché Filippo chiede a Raffaello una pala con lo stesso soggetto
commissionato al Perugino solo pochi anni prima, nel 1499, per un altare del Duomo di
Perugia.
Attraverso la sfida tra Raffaello e il vecchio maestro umbro per la rappresentazione dello
Sposalizio della Vergine , entrano in competizione i due committenti e perfino le due città
vicine.
Raffaello riprende nel dettaglio la composizione del Perugino ma la rielabora rendendola
straordinariamente moderna.
Le analogie tra i due dipinti sono numerose:
entrambi sono olio su tavola, a forma arcuata nella parte superiore.
I due artisti collocano in primo piano i personaggi, al centro vi sono gli sposi con il sacerdote,
dal lato dello sposo vengono ci sono gli uomini, mentre dal lato della sposa vengono
posizionate le donne.
Le due tavole sono tuttavia speculari, il Perugino colloca gli uomini a sinistra mentre Raffaello
li colloca a destra.
Il gruppo del Perugino si sviluppa in una fila parallela alla tavola, le figure sono schiacciate,
quasi sovrapposte.
Raffaello dispone le sue figure in cerchio ognuna è sottolineata spazialmente da una
circolazione aerea da un livello di dettaglio molto più accentuata.
Sullo sfondo di tutte e due le opere domina un tempio posizionato su di una scalinata.
Perugino realizza il suo tempio su di una pianta ottagonale, con un portico ogni due lati.
Raffaello dipinge un tempio con sedici lati, più vicino alla forma circolare, circondato da un
porticato di archi e colonne, che da più ariosità all'edificio.
Inoltre Raffaello dispone il tempio su di una scalinata più alta contribuendo a dare uno slancio
maggiore alla costruzione.
E' probabile che Raffaello si sia ispirato al Tempietto di San Pietro in Montecitorio del
Bramante, di cui il pittore può aver visto il progetto.
I due artisti sono originari di Urbino ed una profonda amicizia lega Raffaello con l'anziano
Bramante.
In entrambe i dipinti il senso prospettico è realizzato introducendo una pavimentazione a
Pagina 4 di 12
scacchiera, meno decisa nel dipinto del Perugino, più marcata in quello di Raffaello. Inoltre in
quest'ultimo le linee prospettiche coincidono con gli spigoli della scalinata e dunque, sebbene
parallele, sembrano snodarsi a raggiera, creando una sensazione di circolarità, in tema con la
scelta del tempio a sedici lati.
Altra differenza tra le due opere è il punto di vista, Perugino lo colloca all'altezza degli occhi
dei personaggi mentre Raffaello più in alto in modo da lasciare all'osservatore la vista delle
tarsie marmoree della piazza.
Sanzio innova la scena ambientandovi piccoli episodi di vita quotidiana dell'epoca.
Il paesaggio è meno astratto, viene illuminato attentamente da una luce naturale.
La sfida viene vinta clamorosamente da Raffaello.
1.3 "Raffaello a Firenze"
Nel vasto e vivace orizzonte culturale della Firenze dei primi anni del cinquecento, tra il 1504
ed il 1508, Raffaello arricchisce enormemente il proprio linguaggio figurativo diventando così
uno dei maggiori esponenti del Rinascimento Maturo.
Quando Raffaello arriva a Firenze la signoria aveva commissionato la decorazione della
pareti della Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Vecchio ai due maggiori esponenti della
pittura, mettendoli in competizione diretta : Leonardo ( la battaglia di Anghiari:il suo intento è
quello di effettuare una pittura a olio che possa incorporarsi con l'intonaco, per non aspettare i
lunghi tempi dell'asciugatura Leonardo cerca di isolare l'intonaco con la pece. L'affresco viene
fissato al muro con l'utilizzo del calore, ma quando l'artista cerca di fissarlo il dipinto si
scioglie) e Michelangelo (la battaglia di Cascina, di cui realizza solo il cartone preparatorio,
che è andato distrutto).
Leonardo rappresenta la figura dell'artista, filosofo e scienziato al tempo stesso.
L'approccio scientifico allo studio naturale finalizzato all'arte rappresenta totalmente la
contemporaneità.
Il disegno di Leonardo fatto con la matita nera e la sanguigna sfumata ottenendo effetti
chiaroscurali impressiona Raffaello.
Anche il ritratto della gioconda lascia dei segni nel pittore, la figura rappresentata in obliquo e
l'espressione delle donne di Leonardo ha lo stesso effetto sul pittore.
Michelangelo attacca violentemente tutte le speculazioni leonardesche sui sentimenti e le
attitudini, nonché l'atmosfera sfumata.
Lui è concentrato sull'anatomia maschile e sulla capacità di esprimere la forza e il sentimento
della virilità attraverso la bellezza delle proporzioni.
Raffaello sposa la potenza plastica delle madonne scolpite nei tondi di marmo, il pittore può
studiare ilTondo Doni e ilTondo Taddei visto che queste opere sono state realizzate per
due dei mecenati per cui esegue dei dipinti.
Raffaello lavora per famiglie dell'aristocrazia mercantile fiorentina, eseguendo per loro alcuni
ritratti.
Fra questi il ritratto del facoltoso mercante e mecenate Agnolo Doni , 1505, qui Raffaello si
rifà alla tradizione realistica, biografico - civile più che psicologica, del busto-ritratto fiorentno
e ai modelli leonardeschi ( di cui trascura la complessità espressiva per concentrare la propria
attenzione sulla fusione atmosferica fra il personaggio e l'ambiente circostante).
La figura eretta, tagliata sotto la vita e disposta leggermente di tre quarti domina lo spazio,
mentre le direttrici segnate dal bordo della camicia e dalla curva delle braccia introducono alla
veduta del paesaggio in lontananza creando un accordo tra il primo piano e lo sfondo.
Pagina 5 di 12
I volumi appaiono come bloccati entro i confini nitidi e spezzati; questo principio di
organizzazione formale verrà trasformato grazie al suggerimento, offerto dalle opere di
Leonardo, di una nuova flessibilità di ritmi compositivi, che Raffaello sperimenta
nell'elaborazione del tema vinciniano e michelangiolesco della Madonna con il Bambino.
La raffigurazione del gruppo sacro spesso arricchita da altre figure, è in questi anni il
principale terreno di prova del giovane pittore.
La prima opera rivelatrice di una forte influenza leonardesca è La Madonna col Bambino fra
due Santi, 1504-1505, detta Madonna di Terranova. I tre fanciulli collegati nella parte
inferiore della tavola dai ritmi curvi dei gesti e degli sguardi, conferiscono alla composizione
un movimento aggraziato.
In altri dipinti come la Madonna detta La bella giardiniera , Raffaello abbandona le
composizioni vinciane per attingere ad un vigore plastico e a una fermezza monumentale di
volumi suggeriti dalle opere di Michelangelo; ciò che resta dell'influenza leonardesca è un
mezzo per approfondire quella ricerca di naturalezza e armonia espressiva che rappresenta il
maggior contributo offerto dal giovane Raffaello al Rinascimento maturo.
Punto di arrivo di questa ricerca è la Madonna Tempi, 1508, che nel tenero nodo dei
personaggi sintetizza una limpida geometria strutturale con un'impressione di assoluta
spontaneità e umana concretezza.
Anche nella Pala D'Altare La Madonna del Baldacchino , Raffaello stabilisce tra le figure
un'animata circolazione di moti e di sguardi che conferisce naturalezza e umanità ai
personaggi.
Tale soluzione Raffaellesca assieme alla nuova grandiosa ambientazione architettonica e al
respiro spaziale creato dalle figure scalate in profondità, fa di questo dipinto un modello per le
pale d'altare fiorentino del secondo decennio del secolo.
Nella pala con il Trasporto di Cristo (o Pala Baglioni) Sanzio articola le singole figure e i
gruppi secondo tese cadenze dinamiche riconducibili ai ritmi michelangioleschi, mentre
l'accentuata espressività dei volti rivela, assieme all'influenza leonardesca, la conoscenza di
raffigurazioni classiche, forse dello stesso Laoconte ritrovato a Roma nel 1506 e riecheggiato
nel viso del terzo portatore a sinistra.
Il soggetto è uno dei più drammatici tra quelli affrontati da Raffaello, abituato a tematiche più
serene.
Si tratta di un tema voluto dalla nobildonna perugina Atalanta Baglioni, come omaggio in
ricordo del figlio Grifonetto, ucciso nel 1500.
Si è ipotizzato che il trasportatore al centro sia un ritratto di Grifonetto, e la madonna
addolorata allude al dolore di Atalanta.
Lo schema della composizione è classico ma Raffaello trasforma la citazione.
Con atteggiamenti più naturali nei personaggi.
La donna seduta che sorregge la madonna riprende la torsione della Madonna nel Tondo
Doni .
1.4 "Roma"
All'inizio del cinquecento il Papa Giuliano della Rovere, salito al soglio pontificio con il nome di
Giulio II (1503-1513), elabora un ambizioso programma di iniziative culturali e artistiche che
mirano a dare un'immagine monumentale a Roma.
Il significato delle imprese artistiche avviate dal pontefice rappresentano i temi centrali
Pagina 6 di 12
dell'umanesimo, tanto da apparire ad i contemporanei come la realizzazione degli ideali di
quella cultura.
La nuova Roma apparirà come la solenne continuazione della città imperiale, dove passato e
presente si congiungono per dare a essa una prospettiva universale.
La ricchezza di contenuti storici e culturali offerta dalla corte papale, l'importanza delle
commissioni e il mecenatismo principesco del pontefice sono tali da attirare a Roma gli artisti
più importanti del momento.
Il quadro della committenza romana è dominato da Giulio II per lui intervengono:
Bramante, Michelangelo( per l'ambizioso progetto del suo Mausoleo, per gli affreschi nella
Cappella Sistina) e Raffaello (per gli affreschi nelle stanze Vaticane).
Giulio II viene succeduto da Leone X (1513-1520) che approfondisce i suoi interessi di
archeologia, e usa la sua autorità per approfondire cultura e arte.
L'artista di punta è Raffaello che oltre a svolgere la consueta attività pittorica compie lavori di
urbanistica e edilizia (dal 1514 è anche Maestro della fabbrica di San Pietro).
Sanzio viene incaricato di sovrintendere agli scavi archeologici e conservare le antichità di
Roma.
Lo studio delle antichità è ora il centro delle attività dell'artista, Raffaello concepisce la
conoscenza del mondo greco-romano come una necessità civile e morale per chi voglia
operare nel presente: eletta a modello della cultura umanistica, l'antichità rappresenta la
realizzazione di quegli ideali di pienezza e armonia di vita a cui l'età moderna nuovamente
aspira e anche nell'arte classica hanno trovato la loro più alta e compiuta espressione.
Fra le grandi imprese di Giulio II si colloca la decorazione di un nuovo appartamento papale.
Il programma iconografico della prima stanza (certamente studiato da un teologo), con
funzione di biblioteca e studio privato del Papa, affrescato da Raffaello (1508-1513) si
propone di rappresentare le tre massime categorie dello spirito umano: il vero, il bene e il
bello.
Il VERO soprannaturale è illustrato nella Disputa del SS: Sacramento (o la teologia), quello
razionale nella Scuola di Atene (o la filosofia); il BENE è espresso nella rappresentazione
delle Virtù cardinali e Teologali e della Legge mentre il BELLO nel Parnaso con Apollo e
le Muse. Gli affreschi della Volta si legano alle scene sottostanti; le figure allegoriche della
Teologia, Filosofia, Giustizia e Poesia alludono, infatti, alle facoltà dello spirito dipinte sulle
corrispettive pareti.
Sulle pareti lunghe si fronteggia la Disputa del SS: Sacramento e la Scuola di Atene ; sulle
due pareti più piccole, con le finestre, si fronteggiano Virtù cardinali , Teologali e della
Legge e il Parnaso.
Queste quattro scene corrispondono anche alle quattro facoltà delle università medievali,
rispettivamente la Teologia, la Filosofia, la Giurisprudenza e la Poesia.
Il vero Teologico e il vero razionale, la rivelazione cristiana e la sapienza antica si affrontano
nelle due scene della Disputa del SS: Sacramento e la Scuola di Atene , e la loro
concordanza si esprime attraverso un sistema simmetrico di corrispondenze compositive. In
entrambe la prospettiva è utilizzata come principio di gerarchia. L'impostazione centralizzata
e simmetrica individua nel fuoco prospettico il nucleo ideale delle rappresentazioni, che nella
Disputa del SS. Sacramento è costituito dall'ostia consacrata, e nella Scuola di Atene dalle
figure dei due sommi filosofi dell'antichità. Platone e Aristotele i cui gesti simboleggiano i
massimi sistemi del pensiero classico, l'idealismo e il realismo.
Platone, dipinto con le sembianze di Leonardo, regge in mano la sua opera Timeo ed indica il
Pagina 7 di 12
cielo con un dito ( indica la necessità dell'uomo a stringere un rapporto con dio), mentre
Aristotele regge l'Etica e rivolge il palmo della mano verso terra rivolgendosi al mondo terreno
e alla volontà dell'uomo di studiare il mondo della natura e di essere in contatto con essa.
Attorno a loro ed ad altri filosofi e matematici sono raccolti in gruppi i loro seguaci.
All'estrema sinistra c'è Epicuro, alle cui spalle è presente Federico Gonzaga fanciullo. Al
centro, in primo piano, c'è Eraclito con le sembianze di Michelangelo che appoggia il gomito
su un grande blocco, mentre all'estrema destra troviamo Euclide, con i tratti di Bramante, che
disegna a terra.
Unica donna della scena, sulla sinistra, è la matematica di Alessandria Ipazia, che sembra
anche essere l'unico personaggio della scena con cui l'osservatore possa entrare in
comunicazione nessun altro infatti volge lo sguardo verso di lui.
Infine , i due giovani che si trovano all'estrema destra , in vesti contemporanee all'epoca
della creazione dell'affresco, sono degli autoritratti di Raffaello stesso con l'amico e collega
Sodoma.
Gli studiosi pensano che il ritratto di Eraclito sia stato aggiunto in seguito, ad opera compiuta.
Infatti nella Pinacoteca Ambrosiana a Milano è conservato il cartone finale disegnato di
proprio pugno da Raffaello, dove non compare la figura di Eraclito. Probabilmente l'autore,
dopo aver visto gli affreschi della Cappella Sistina si è sentito in dovere di aggiungere il
ritratto del suo rivale nell'affresco, dandogli le sembianze di un filosofo greco.
Nella Disputa l'asse centrale raccoglie le figure del Padre, del Figlio tra la vergine e il San
Giovannino e dello Spirito Santo i cui raggi dorati creano un collegamento visivo e
concettuale tra la Trinità e l'Eucarestia. attorno a questo perno ruotano tre grandi emicicli
sovrapposti lungo i quali è raccolta come in un'abside una moltitudine di personaggi terreni e
celesti, uniti nella celebrazione corale dell'incoronazione del Verbo.
Nella Scuola di Atene una gigantesca navata che sviluppa le sue campate come solenni archi
di trionfo assicura un impianto unitario alla folla rappresentata.
La poesia è rappresentata nel Parnaso , dove le figure di Apollo tra le muse
Ed i poeti antichi e moderni illustrano l'accordo tra mondo classico e spiritualità cristiana.
L'occasione per un grande affresco di soggetto classico è data a Raffaello dal ricchissimo
banchiere Agostino Chigi, che durante un'assenza del papa era riuscito ad assicurarsi
un'opera del pittore.
Sanzio interviene nella decorazione di una grande sala della villa La Farnesina, progettata da
Baldassarre Peruzzi, con un affresco il cui soggetto si rifà alla descrizione di un antico dipinto
raffigurante il trionfo di Galatea (1511).
Al ritorno del Papa Raffaello riprende i lavori in Vaticano.
La situazione d’incertezza in cui versa la Santa sede spinge il papa Giulio II a cercare negli
affreschi della seconda stanza, destinata alle pubbliche udienze, un'esplicita
rappresentazione dell'appoggio divino della Chiesa nel corso della sua storia e un'esaltazione
della propria politica universalistica.
Raffaello abbandona il tono di chiarezza dimostrativa con cui aveva trattato i temi della
Stanza della Segnatura, e affronta i soggetti storici della Stanza di Eliodoro (1511-1513),
riuscendo a sviluppare una rappresentazione drammatica.
Questo cambiamento di stile è probabilmente dovuto anche al fatto che Raffaello vede la
Cappella Sistina.
Le figure vengono rappresentate con un nuovo potenziamento eroico e compare anche un
dinamismo compositivo chiaroscurale.
Pagina 8 di 12
Nell'episodio della Cacciata di Eliodoro dal Tempio, tratto dall'Antico Testamento, lo spazio
creato dalla profonda e tenebrosa navata solcata da lampi dorati crea una forte illusione di
sfondamento della parete.
La scena si articola lungo due direttrici distinte, quella di sinistra formata dai personaggi
protesi a osservare l'evento miracoloso, l'altra, quella di destra, costituita dai messi divini che
con moto impetuoso atterrano l'empio di Eliodoro. Esse creano nella composizione delle
violente tensioni dinamiche che danno efficacia alla flagranza dell'intervento divino.
La suggestione emotiva della Liberazione di San Pietro da carcere è dovuta al trattamento
della luce, che diviene la protagonista dell'immagine. Ai momenti successivi all'azione
corrisponde una diversa caratterizzazione delle fonti luminose-, il freddo chiarore della luce
lunare, il balenare delle fiaccole e dei riflessi metallici delle corazze, lo splendore emanato
dall' angelo- che contrastano con le tenebre della cella e della notte e, nel contempo, siglano
l'unità della composizione senza più bisogno di schemi geometrici di supporto.
Il nuovo stile di Raffaello mira ora a istituire con lo spettatore un'intensa comunicazione
emotiva.
Negli anni romani l'attività di ritrattista di Raffaello rappresenta un momento minore del suo
lavoro, sono soltanto manifestazioni di affetto o gesti di obbligo nei confronti di grandi
mecenati.
Nell'esecuzione dei ritratti il pittore riprende schemi già presenti nei suoi periodi precedenti
introducendo variazioni tese ad animare dall'interno i personaggi.
Nel ritratto di Giulio II (1511-1512) la dignità del personaggio nasce dalla rappresentazione
immediata della personalità fisica e psicologica dell'uomo.
Risalta lo sguardo abbassato carico di tutta la tensione emotiva e di tutta la stanchezza del
vegliardo. Il punto di vista rialzato e il taglio diagonale della
Figura e della stanza posto in evidenza dall'angolo delle pareti suscitano nell'osservatore la
sensazione di trovarsi in piedi a fianco del Pontefice.
Nel Ritratto di BaldassarreCastiglione (1514-1515) il taglio del braccio e delle mani sono
inconsueti, fissando l'altezza dello sguardo del gentiluomo crea una sensazione di intimità..
La carica emotiva del dipinto deriva dal rapporto stabilito con il riguardante e dall'espressione
di vitalità trattenuta.
Il ritratto è dimostrazione della stima di Sanzio nei confronti di Castiglione.
Nelle immagini sacre il processo di umanizzazione delle figure divine, iniziato da Raffaello
con le Madonne fiorentine, giunge in questi anni a produrre un effetto d’intensa vicinanza e
concreta presenza dei personaggi.
Il nuovo Papa Leone X è un'amante del lusso e della cultura grazie a questo Raffaello può
allargare il campo delle proprie esperienze.
Nella terza stanza dell'appartamento papale (1514-1517), destinata ai pranzi di cerimonia,
Raffaello trae dai nuovi orientamenti culturali uno stimolo per l'invenzione artistica.
I soggetti prescelti si riferiscono a episodi dei regni di Leone III e Leone IV, allusivi ad
avvenimenti del papato di Leone X e volti a rafforzare l'idea del potere della Chiesa Cattolica.
La tensione che aveva sostenuto la rappresentazione delle prime due sale lascia il posto alla
celebrazione del Papa regnante.
La scena Dell'incendio di Borgo (1514) raffigura l'intervento di Leone IV che impartendo la
benedizione estingue un incendio divampato nel quartiere romano di Borgo.
L'evento è rappresentato in tre momenti distinti, coordinati grazie ai diversi orientamenti
direzionali di architetture che e figure che collegano i due gruppi in primo piano, dando il
Pagina 9 di 12
massimo risalto al nucleo del papa benedicente.
Le architetture non formano un organico contenitore tridimensionale sembrano superfici
slittanti come fondali teatrali, offrono soltanto uno sfondo alle figure che emergono come
protagoniste.
Queste ultime sono fuori scala, emergono dallo sfondo, qui Raffaello abbandona il
fondamento armonico e proporzionale della prospettiva quattrocentesca.
Il pittore si concentra sull'espressività dei singoli elementi figurativi, rinunciando alla loro
integrazione e sviluppando valenze scenografiche.
1.5 "Ultimi anni e morte"
Gli anni tra il 1517 e il 1520 furono per Raffaello particolarmente fecondi e lo portarono a
realizzare alcune tra le sue opere più apprezzate come: il Ritratto di Leone X con i cardinali
Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi e il ritratto di donna conosciuto come La Fornarina in cui
raffigurò -secondo alcune ipotesi- la sua musa-amante Margherita Luti;
Il Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi è un dipinto ad
olio su tavola di cm 154 x 119 realizzato tra il 1518 ed il 1519 dal pittore Raffaello Sanzio. È
conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.Raffigura il papa Leone X con due nipoti, i
cardinali Giulio de’ Medici (futuro Clemente VII, a sinistra) e Luigi de' Rossi (a destra).Leone
X, uomo acuto, affabile e intelligente, è ritratto mentre sta osservando con una lente un libro
di preghiere preziosamente miniato. Scrive in una sua relazione un ambasciatore della
repubblica di Venezia: << Il Papa è un uomo bonario e molto liberale, che ha in orrore ogni
grave fatica e ama la pace... ama le scienze , possiede buone cognizioni di lettura... è un
distinto musico...>>La composizione mostra come, se pur nell' ottica di gruppo, la figura del
Papa vero protagonista dell' opera, sia in posizione dominante. Il Cardinal Luigi de' Rossi
ritratto di profilo sulla sinistra e il Cardinale Giulio de' Medici sulla destra, poggia su di uno
scranno papale. Le due figure sullo sfondo sembrano quasi una scorta d'onore. Sul tavolo,
coperto da una tovaglia scarlatta, è aperto un "libro d'ore" finemente istoriato ; accanto al libro
poggia un campanello in oro e argento cesellato . Gli oggetti sul tavolo alludono senza dubbio
ai gusti raffinati del Papa mecenate. Il tono uniforme del colore sulle varie sfumature di rosso
e del cremisi, l'atmosfera pacata ma allusiva al potere papale e allo splendore della sua corte
e l' armonia dell' intera composizione fanno di questo dipinto una delle opere più significative
e ammirate degli ultimi lavori dell' artista. Probabilmente i due nipoti furono aggiunti
successivamente e probabilmente ciò fu ad opera di un suo allievo: Giulio Romano. Il
copricapo del papa è detto Camauro, e il mantello con cappuccio è detto Mozzetta.
Il Ritratto di giovane donna (La Fornarina) è un dipinto a olio su tavola di cm 85 x 60
realizzato tra il 1518 ed il 1519 dal pittore italiano Raffaello. È conservato alla Galleria
Nazionale d'Arte Antica a Roma. L’opera è firmata sul bracciale della donna: “RAPHAEL
URBINAS”.Citata per la prima volta dal Corasduz che la vede nella collezione Sforza di
Santafiora, come "una donna nuda ritratta dal vivo, mezza figura di Raffaele"; poi notato dal
Chigi nella collezione Boncompagni, dai quali fu acquistato dai Barberini, è citato negli
inventari Barberini dal 1642. Il dipinto è il ritratto della donna amata da Raffaello, raffigurata
anche nella Velata di Palazzo Pitti, descritta dal Vasari e identificata in numerosi dipinti
raffaelleschi. Il personaggio è al centro del mito romantico che nell'Ottocento ha dato origine
Pagina 10 di 12
alla ricostruzione pseudo-storica della figura della musa-amante del pittore e che portò
all'identificazione, per altro non storicamente provata, dell'amata di Raffaello con Margherita
Lutià,figlia di Francesco Senese (Francesco Luti di Siena, fornaio a Roma), entrata subito
dopo la morte di Raffaello nel convento di Sant'Apollonia. Il dipinto, databile intorno al 1518 e
il 1519, vicino all'anno della morte di Raffaello, rimase probabilmente nello studio del pittore e
fu rimaneggiato e venduto dall'allievo ed erede Giulio Romano. La presenza della mano di
Giulio Romano è alternativamente sottolineata o minimizzata dalla critica, ma analisi
radiografiche hanno comunque individuato due successive stesure del dipinto, che aveva
come sfondo un paesaggio leonardesco anziché il cespuglio di mirto sacro a Venere.
Dello stesso periodo è la Trasfigurazione, grande olio su tavola, dinamico e innovativo, che
risulta essere l'ultima opera dell'artista e che fu completata nella parte inferiore da Giulio
Romano il giorno prima della morte del maestro, così da poter essere collocata accanto al
suo letto al momento del decesso, come racconta il Vasari. La Trasfigurazione presenta una
nuova tipologia di dipinto che segnerà tutto il corso del ‘500. Inizialmente la Trasfigurazione
era stata pensata in modo diverso: la prima idea era raffigurare una teofania (apparizione di
Dio), influenzato da Sebastiano del Piombo sdoppia così la scena: L’atto principale viene
posto nella metà superiore della tavola, dove Gesù perde la materialità e si trasforma in
Divinità alla presenza di Mosè, Elia e di tre Apostoli. Nella metà inferiore vengono dipinti i
restanti Apostoli e “l’indemoniato” circondato dai parenti. Il ragazzo viene posto sotto
esorcismo di fronte alla Trasfigurazione, ovvero al contatto con il Divino. Il dipinto appare
nell'insieme caratterizzato da un forte dinamismo, sottolineato soprattutto dai gesti dei
personaggi raffigurati. Dinamismo però che non è proprio della rappresentazione del Divino,
che è infatti statico ed immobile. Questa scelta di Raffaello si trova in accordo con la
tradizione artistica precedente: il divino non può essere caratterizzato dal dinamismo, perché
quest'ultimo è sinonimo d’imperfezione (idealismo platonico).Quest'opera viene considerata
uno dei maggiori capolavori di Raffaello, se non un vero e proprio testamento artistico.
L'artista riesce a raffigurare con apparente semplicità un evento straordinario come il
miracolo, e soprattutto risolve senza sforzo ogni problema di anatomia e d'espressione, in
uno stato di perfezione tale da suscitare negli osservatori un senso di divinità dell'autore,
inteso come rapporto divino con la materia.
Lo stesso Vasari si sofferma sulle cause della morte, sopraggiunta dopo quindici giorni di
malattia, iniziata con una febbre, causata secondo il biografo da "eccessi amorosi", e
infelicemente curata con ripetuti salassi. Raffaello morì, comunque, il 6 aprile 1520, a soli
trentasette anni, nel giorno di Venerdì Santo; la sua scomparsa fu salutata dal commosso
cordoglio dei romani e dell'intera corte pontificia. Il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come
lui stesso aveva richiesto. L'epigrafe della tomba di Raffaello, un distico scritto appositamente
da Pietro Bembo e situato nel Pantheon, recita:
«Questi è quel Raffaello per cui la natura temette di esser vinta,
mentr' era vivo e di morire, una volta morto »
Pagina 11 di 12
Pagina 12 di 12