La Madonna del Cardellino è uno dei quadri più celebri di Raffaello

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La Madonna del Cardellino è uno dei quadri più celebri di Raffaello
di Antonio Natali
Direttore della Galleria degli Uffizi
La Madonna del Cardellino è uno dei quadri più celebri di Raffaello e di sicuro è fra
le gemme preziose della Galleria degli Uffizi. Il suo restauro (chiuso in questi
giorni) è stato condotto a Firenze nei laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure, ch’è
uno dei due istituti nazionali per la conservazione del patrimonio artistico. A lavoro
felicemente compiuto si doveva far festa e si doveva farla in un luogo emblematico.
Palazzo Medici, l’austera e magnifica residenza voluta da Cosimo il Vecchio per sé
e la sua famiglia, oggi sede dell’amministrazione provinciale e di rappresentanza del
governo centrale, è parso a tutti fosse in città quello più adatto alla prima ufficiale
presentazione del capo d’opera del Sanzio.
In queste stanze, opportunamente, la tavola restaurata si mostra alla vista
d’ognuno, avendo d’intorno l’illustrazione del percorso operativo che l’ha condotta
all’attuale perspicua leggibilità: le fasi degl’interventi – sovente ardui, sempre
delicatissimi – sono esibite sui pannelli che fanno corredo didattico all’opera, dai
quali anche s’evince l’impiego delle differenti (e tutte alte) professionalità che
hanno concorso a quest’esito.
Non s’è voluto però che la Madonna del Cardellino si offrisse alla stregua d’un
capolavoro disincarnato. Non ci piaceva l’idea di ridurla al rango di feticcio o di
venerabile reliquia, cui l’avrebbe segregata una sua esibizione solitaria. È parso
invece conveniente che le fossero vicine poche, ma eloquenti, opere coeve, capaci di
dar conto, ancorché in maniera succinta, d’alcuni aspetti utili alla comprensione
della stagione che la vide nascere e, poco dopo (in seguito a un trauma drammatico),
risorgere.
Oltre la Madonna del Cardellino, quattro opere; non di più.
Un ritratto – la Gravida –, ascritto a Raffaello al tempo del suo soggiorno fiorentino,
servirà a documentare l’altro genere (accanto ai quadri di Madonne) cui si volse il
Sanzio a Firenze, fra il 1504 e il 1508.
Un secondo ritratto – la Monaca –, stavolta d’artista fiorentino, varrà da prova
dell’ascendente esercitato dal giovane urbinate sui colleghi in riva d’Arno.
Una tavola sottile (che fungeva da “coperta” di ritratto), decorata con motivi a
grottesche – talora autorevolmente attribuita a Raffaello e invece, essa pure,
d’ambito fiorentino –, sarà un ulteriore attestato di consonanze stilistiche tra Firenze
e il maestro (a maggior ragione se la “coperta” fosse stata concepita – come pare –
proprio per la Monaca).
Una terracotta invetriata di Girolamo della Robbia con la Madonna, il Bambino e
san Giovannino (1510-1515), la cui composizione fedelmente ripropone la Bella
giardiniera di Raffaello al Louvre, gioverà a mostrare la subitanea diffusione non
solo dell’espressioni, ma anche delle invenzioni raffaellesche (perfino nella
scultura). E giusto la Madonna parigina (lasciata dal Sanzio incompiuta) fu –
secondo una tradizione antica e affidabile – portata a termine da Ridolfo del
Ghirlandaio, figlio del grande Domenico e coetaneo di Raffaello; anzi, di lui amico e
consentaneo.
La comunanza d’affetti e di stile fra i due c’è sembrata tale da indurre a congetturare
che appunto Ridolfo possa essere stato l’artefice del restauro cui alla fine degli anni
quaranta del Cinquecento fu sottoposta la Madonna del Cardellino, rimasta nel
1547 sotto le macerie del palazzo di chi l’aveva commissionata. Sarà allora d’una
qualche suggestione vedere nelle stesse sale la cosiddetta Monaca, ritratto di cui si
torna qui a proporre l’autografia proprio di Ridolfo. Lui, il primo probabile
restauratore, al cospetto dell’ultimo restauro.
L’attribuzione della Monaca a Ridolfo non è tuttavia accolta dai più, giacché di
solito si preferisce ascriverla a Giuliano Bugiardini; ai cui stilemi può in effetti
risultare conveniente, ma che fu pittore – a mio avviso – di mano meno felice e di
cuore meno alato. Se i ragionamenti che su questo quadro saranno svolti nelle
pagine seguenti non paressero persuasivi e si preferisse conformarsi al parere più
diffuso, non meno importante sarà comunque l’accostamento fra la Gravida e la
Monaca al fine d’intendere ciò che per Firenze e i suoi giovani artisti rappresentò la
permanenza di Raffaello in città.
Con questa mostra la Galleria fiorentina saluta il ritorno a casa d’un suo figliol
prodigo.
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