Cavalier Condorelli, è un vero piacere…

Transcript

Cavalier Condorelli, è un vero piacere…
34
PERSONAGGI
Cavalier Condorelli,
è un vero piacere…
Avventura e tenacia dell’uomo che ha fatto del torroncino
l’ambasciatore della pasticceria siciliana nel mondo
Assemblea degli
industriali catanesi si era riunita per
salutare il presidente di Confindustria Antonio D'amato presente in
città in occasione di un convegno sulla
sicurezza. La platea degli imprenditori
che gremiva la sala di viale Vittorio
Veneto era tutta un intrecciarsi di saluti e di convenevoli tra capitani d'industria di diverse generazioni.
Il decano che stava seduto nelle
prime file, osservava con attenzione il
comporsi ordinato dell'assemblea, si offriva all'omaggio dei suoi tanti estimatori e scambiava qualche allegra battuta con alcuni colleghi anziani:
Maione, Mauri, Torrisi. Poi quando Saretto
Leonardi che al tempo era alla guida di Assindustria ricordando le benemerenze di una
autentica colonna dell'imprenditoria della provincia, gli anticipò gli auguri per l'ottantanovesimo
compleanno che avrebbe compiuto da li pochi
giorni; lui, il cavalier Francesco Condorelli si alzò
e, ossequiato con deferenza il presidente nazionale e tutta la platea, cominciò a raccontare. La
storia, quella stessa sulla quale oggi, doppiato felicemente il traguardo di novant'anni, il cavaliere di
Belpasso può ancora amabilmente intrattenere gli
amici che lo incontrano fin dalle prime ore del
mattino nello storico locale nella zona nord del
centro etneo, giungeva da lontano e si portava
appresso quel sapore familiare della provincia antica, quell'odore di cose buone e semplici tenute
insieme dal cemento del sacrificio, esaltate dalla
religione della fedeltà, dell'impegno e della dedizione al lavoro. Parlava il cavaliere e mentre indicava attraverso l'esempio della propria esperienza,
le vie maestre del successo dell'impresa, il piacevole effluvio della sua "creatura", il famosissimo e
morbidissimo torroncino, si diffondeva nell'aria.
Quelli tra i presenti che hanno avuto la sensibilità di percepirlo avranno sicuramente apprezzato i profumi decisi delle mandorle tostate, degli
L’
zuccheri, dei pistacchi, delle essenze
naturali ben amalgamate nell'atmosfera di vecchi stigli di confetteria che
hanno fatto di questo prodotto, ricetta artigianale d'antica dolceria, un
autentico ambasciatore della tradizionale bontà dei prodotti dolciari siciliani. Certamente però dal tono deciso
con cui questo storico vegliardo rappresentava e testimoniava la personale vicenda di lavoro lunga oltre settantanni, tutti avranno colto il grande
impegno a mantenere sempre elevato
il livello di una produzione che ormai
da tempo ha varcato i limiti ristretti di mercato
locale per diventare punta di diamante di una
industria di dimensioni internazionali, diversificata nell'offerta e impegnata a tenere alto, anche
con le nuove managerialità che la guidano, lo spirito e lo standard di una solida tradizione. Se oggi
il "condorelli" si è affermato come sinonimo di un
particolarissimo torrone, lo si deve certo alla
bontà e alla qualità del prodotto, ad intelligenti e
fortunate presenze sui media ma anche alla determinazione di quanti viaggiatori, turisti, emigranti,
capitani d'industria stipandolo nelle tasche o nelle
valigie, inviandolo ad amici, parenti, autorità, opinion makers lo hanno fatto giungere ed apprezzare in ogni parte del mondo decretandone, attraverso questa operazione di marketing assolutamente spontaneo, il grande successo. Il presidente dell'amministrazione provinciale Musumeci nel
formulare gli auguri al decano degli imprenditori
ha sottolineato nell'importanza di questa produzione, il mantenimento di una forte valenza tradizionale e nell'impegno di un capitano d'industria
tenace, il valore delle forze più sane e laboriose
che onorano la nostra provincia."Cavaliere
Condorelli... è stato un piacere", potremmo ripeterle con Leo Gullotta e il fortunato spot televisivo, ciliegina sulla torta degli oltre trentennali successi del torroncino di Belpasso
Lino Serrano
35
Leo, luminoso attore
prediletto da Shakespeare
incipit dell’avventura artistica
di Leo Gullotta si può far
risalire al 1962, allorché un
geniale regista, Giacomo
Vaccari, gira a Vizzini il
primo sceneggiato televisivo realizzato interamente in esterni, Mastro-don Gesualdo. Per il secondo
capolavoro del Ciclo dei vinti, un cast d’eccezione: Enrico Maria Salerno, Lydia Alfonsi, Turi Ferro
e alcuni dei più noti caratteristi del teatro siciliano:
tra le comparse un sedicenne Leo Gullotta, attonito e straniato servo davanti al corpo esanime di
mastro-don Gesualdo Motta, l’eroe della roba. Tra
i vetusti palazzi di Vizzini gli umili casolari della
Cunziria, le rigogliose campagne, le riarse stoppie,
dove ancora paiono aggirarsi i dolenti personaggi
verghiani, la parola dello scrittore, scultorea,
immota nella sua compiutezza letteraria, ritrova
vigore, informando di sé i luoghi, i volti, la voce, i
gesti degli interpreti. Come documenta il volume
riccamente illustrato “Mastro-don Gesualdo”,
sceneggiatura di Vaccari e Guida, edito grazie
all’Azienda provinciale turismo di Catania. In questo spazio, reale, con guizzi espressinistici, il giovane Leo Gullotta matura l’innata vocazione per il
teatro. Allo Stabile di Catania che ha raccolto, perpetuandola, la gloriosa eredità del teatro siciliano,
si misura con forme drammaturgiche differenti:
quelli popolari, per le quali il testo è chiamato a
vivere in gran parte come gestualità, esuberanza
mimetica e vocale, in virtù di una tecnica di recitazione che si nutre di pregnanti umori regionali,
e in quelle auliche, in cui ogni mossa d’animo,
parola, grido, silenzio condensa grumi di verità,
lampi di epifanie esistenziali. Maestri d’eccezione
Turi Ferro e Salvo Randone. Ma presto Leo
Gullotta avverte urgente il bisogno di confrontarsi
con altre realtà attoriali. Con un nutrito bagaglio
di esperienze professionali si trasferisce a Roma
senza tuttavia obliare le radici siciliani. Mettersi in
gioco per crescere, raggiungere notorietà e successo per conquistare la libertà delle scelte.
S’impone così per il talento comico nel varietà
come nel cinema scatenando l’offensiva della
rusticitas, di un parlato di piazza, di campo, in
una passione vitale di viscere ed intelletto, mentre
si appresta a vivere una straordinaria stagione.
Decisivo è l’incontro con registi quali Nanni Loy e
L’
Il profilo
dell’attore
catanese
Gullotta,
dagli esordi
nel
“Mastro-don
Gesualdo” di
Vaccari alla
grande
popolarità
odierna
Giuseppe Tornatore, che ne hanno esaltato le singolari capacità interpretative. Eccentrico, beffardo,
disgregatore, plebeo, aristocratico, sempre in
grado di penetrare nelle pieghe più riposte del personaggio per strapparne l’anima. Il suo repertorio
oscilla dal comico, nell’accezione classica, al tragico, giacché un artista vero può e deve esprimere il riso e il pianto. L’uno, elemento insostituibile
di rigenerazione, espressione della verità attraverso cui il sapiente s’innalza sul senso comune,
secondo il dettato di Nietzsche, l’altro strumento
incomparabile di catarsi, a cui Aristotele assegna
il gravoso compito di educare gli uomini agli affanni, ai dolori, ai lutti.
“Come può l’attore, solo per celia, forzar l’anima sua a seguitar tutt’intero il costrutto delle
sue parole, al segno che il volto impallidisce, le
lacrime bagnano il ciglio, l’aspetto appare smarrito, rotta la voce a tutti gli atti s’accordano alle
parole del poeta? E tutto questo per nulla? Per
Ecuba? Che cos’è Ecuba per lui o lui per Ecuba
perchè ne debba piangere?” si chiede Amleto.
Scherzare, ridere, gioire, fustigare, inveire, dolersi.
Perchè, non pago di una sola vita assumere su di
sé il fardello di quella altrui? mistero dell’attore, “il
cui ufficio è sempre stato ed è quello di reggere lo
specchio alla natura dimostrare alla virtù la propria
immagine, al vizio la propria sembianza e all’età e
al corpo del secolo la sua forma e la sua impronta”. L’attore, cui il mondo plaude invidiandone
l’arte straordinaria di essere in ogni istante autenticamente vero nella finzione, ma a patto che –
raccomanda Amleto – “nella tempesta”, “nel vortice degli affanni”, sappia dar forma a quella
moderazione che ne ammorbidisce i tratti, disdegnando di “lacerare la passione del cuor suo a
brandelli”. E il clown “non dica più di quanto sia
stato scritto per lui e non faccia ridere gli sciocchi,
ridendo egli stesso”. Il rifiuto dell’enfasi è il segno
distintivo di Leo Gullotta, sia che si tratti di folgorante satira, di sferzate allucinate o grottesche, di
sguardi stravolti nella fissità folle della maschera,
di battute che s’impennano o si raccolgono nell’intimità della confessione, di monologhi di slancio lirico, del grido esistenziale. Leo Gullotta è il
“luminoso attore” prediletto da Shakespeare.
Sarah Zappulla Muscarà