I graffiti delle periferie di Luanda

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I graffiti delle periferie di Luanda
S o m m a1 r i o
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
I graffiti delle periferie di Luanda:
giovani, arte di strada e delinquenza
di Marco Prada
■ Luanda, il cuore del paese
pag.
3
■ Periferie di Luanda: miraggio e realtà
6
■ Inventarsi un mestiere
8
■ Kicolo: ai margini della città
13
■ Delinquenza giovanile, prodotto delle periferie
15
■ Parlano due giovani ex-delinquenti
18
■ Dio e scuola sì, politica no
22
■ Giovani e graffiti a Kicolo: pennello e coltello
24
■ Orfani di un padre dell’indipendenza
34
■ Dallo schermo al muro: i media nei graffiti
40
■ Graffiti e rivoluzione
44
Fotografie: dell’autore e di Nale
Art director: Enrico Merli
Editoriale
2
Afriche 2008/2
L
’Angola sta cambiando, sta crescendo a un ritmo vertiginoso. Non c’è
paragone tra la paralisi della sua società negli ultimi anni di guerra
civile e l’effervescenza di oggi. C’è voglia di recuperare il tempo perduto,
e l’aumento del prezzo del petrolio dà una mano a correre più in fretta.
Luanda è lo specchio più fedele di un’Angola in grande movimento. Luanda è un unico grande cantiere, questo è ciò che nota subito chi scende
dall’aereo e percorre la città. Ma la velocità della crescita economica e
dello sviluppo sociale non è uguale per tutti gli strati della popolazione.
C’è una barriera netta che separa i quartieri più moderni di Luanda, adagiati attorno alla sua baia, e i quartieri fatiscenti della periferia, esplosi
con l’immigrazione degli sfollati di guerra. Il divario tra le classi agiate
e le masse immiserite aumenta sempre di più. Da una parte una minoranza privilegiata si spartisce i benefici del boom economico, dall’altra
una maggioranza sfortunata si deve accontentare delle
briciole e deve lottare ogni giorno per sopravvivere. Le foto
che pubblichiamo nelle prime pagine di questo numero di
Afriche, foto che mettono a confronto il centro e la periferia
di Luanda, pensiamo siano più eloquenti di una serie di
statistiche o di spiegazioni sociologiche.
La questione giovanile a Luanda si è acuita proprio in questi anni in cui la società ha cominciato a correre a due velocità. Disagio, devianza, delinquenza: un numero sempre
crescente di giovani nelle periferie assume comportamenti
antisociali e vuole appropriarsi con la forza di ciò che ritiene suo diritto. Le giovani generazioni delle periferie, nate a
Luanda da genitori fuggiti dall’interno del paese, si sentono
sradicate, non hanno punti di riferimento, rifiutano di farsi
escludere dai benefici del boom. Le gangs giovanili proliferano nei quartieri popolari. Interi rioni diventano invivibili
perché i gruppi giovanili ne hanno preso il controllo. Violenza e sopraffazione diventano la prassi quotidiana.
Afriche riporta i risultati di una ricerca recente di un sociologo angolano,
Paulo de Carvalho, che ha studiato il fenomeno delle gangs giovanili a
Luanda. Veniamo così informati sulle cause e sulle modalità che assume la delinquenza giovanile. La seconda parte di questo numero tenta
di affrontare il fenomeno con un altro metodo: un’inchiesta sui gruppi
giovanili presenti in un grande quartiere della periferia di Luanda, Kicolo,
partendo da una loro espressione tipica di questi ultimi anni, i graffiti, le
pitture murali. Il graffito è diventato un tramite per avvicinare i gruppi e
le persone che li hanno prodotti e li hanno fatti diventare il loro mezzo di
comunicazione con gli adulti e con la società.
Marco Prada
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
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Luanda, il cuore del paese
Tutti gli anni, il 25 gennaio, festa della conversione di S.
Paolo, Luanda festeggia il suo compleanno. Quest’anno, 2008, Luanda ha compiuto 432 anni. Nel 1575 il
comandante plenipotenziario portoghese Paulo Dias de
Novais giunse sulle coste dell’Angola, con la missione
di fondare una capitale per i possedimenti portoghesi.
Sbarcò sull’Ilha do Cabo, una striscia di terra a poco più
di un chilometro dalla terra ferma, che formava un porto naturale, sulla quale vivevano i nativi, gli Ashiluanda,
insieme con alcuni coloni portoghesi. Portava con sé
700 persone: soldati, commercianti, artigiani, contadini
e frati. Un anno dopo, nel 1576, si trasferì con i suoi
uomini sulla terra ferma, salì su un colle che domina la costa, chiamato poi Morro
de São Miguel, e pose la prima pietra per la costruzione di una chiesa dedicata a
S. Sebastiano. E decise che quello era il luogo ideale per fondare la capitale delle
conquiste del Regno di Portogallo. La festa liturgica che ricorreva quel giorno 25
gennaio determinò il nome: la capitale si chiamò S. Paulo de Luanda.
I portoghesi erano attratti dall’Africa e volevano crearvi possedimenti stabili perché avevano bisogno di schiavi per la ricca colonia del Brasile. Nei loro piani,
Luanda doveva diventare il polo più importante, in Africa, della tratta degli schiavi
verso il nuovo continente.
Nel secoli XVI e XVII la popolazione di Luanda aumentò, e si cominciò ad occupare la parte alta della città, per costruirvi gli edifici amministrativi e le residenze
dei notabili, mentre nella parte bassa sorgevano taverne, locande, e case per il
popolo. Luanda non poteva vivere senza un entroterra da cui ricavare prodotti
agricoli, oltreché la preziosa acqua da bere, di cui Luanda era sprovvista. Fu così
che la valle del fiume Bengo, si popolò di fattorie. Si risalì pure il fiume Kwanza (a
60 km a sud) e si stabilirono gli avamposti di Muxima, Cambambe e soprattutto
Massangano. Questi avamposti fornivano un altro bene più prezioso, gli schiavi.
E il commercio degli schiavi caratterizzò tutta la vita di Luanda fino alla seconda
metà del secolo XIX 1.
Luanda divenne la vera capitale dell’Angola solo quando, all’inizio del secolo scor-
Il Museo della Schiavitù
a Luanda. Qui erano
ammassati gli schiavi
destinati alle piantagioni
del Brasile. Luanda fu
fondata dai portoghesi per
organizzare la tratta degli
schiavi.
1) Si veda: J. C. Venâncio,
A economia de Luanda
e Hinterland no século
XVIII, Lisboa 1996, e
anche: F.A. Albuquerque Mourão, Configurações dos núcleos humanos de Luanda, do século
XVI ao século XX, in:
AAVV, Encontro dos
povos e culturas em Angola, Lisboa, 1997, pp.
109-225
Il Morro de São Miguel,
il più antico nucleo di
Luanda. Oggi è diventato il
Museo delle Forze Armate
Angolane.
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Veduta della Baia di Luanda
e della città bassa, la
parte più moderna della
città. In pochi km quadrati
sono concentrate le sedi
delle istituzioni del potere
politico ed economico.
Luanda è in piena
trasformazione. La pace
e il boom del petrolio
attirano investimenti da
tutto il mondo.
Afriche 2008/2
so, i portoghesi cominciarono ad occupare e colonizzare l’interno del paese. Il
suo sviluppo fu determinato dall’immigrazione di portoghesi, che fino al 1945
costituivano la maggioranza dei suoi abitanti. È dopo la seconda guerra mondiale che la popolazione cresce a un ritmo accelerato: 40.000 abitanti nel 1940,
142.000 nel ‘50, 225.000 nel ‘60, fino a 500.000 nel 1974. È in quell’epoca che
Luanda diventa una città moderna: vengono abbattuti gli antichi edifici della parte
bassa per fare spazio a residenze e a edifici amministrativi e commerciali; nuovi
quartieri sorgono nella parte alta; vengono aperte strade più spaziose. La parte
moderna della città è riservata ai bianchi, mentre la popolazione nera è costretta
a stabilirsi nella periferia.
L’anno cruciale della sua storia è il 1975, quando il paese conquista l’Indipendenza. I portoghesi abbandonano precipitosamente la città, e gli angolani si riappropriano della loro città. Ma il 1975 è anche l’anno del declino: con l’inizio della
guerra civile affluiscono masse sempre più imponenti di sfollati che occupano
terreni e costruiscono residenze provvisorie fuori di ogni piano urbanistico; le
finanze dello stato sono destinate alla guerra e non ci sono fondi per grandi opere,
né per la normale manutenzione. Luanda a poco a poco si circonda di baraccopoli che accerchiano la parte più bella e moderna della città, che è sempre più
abbandonata a se stessa.
■ UNA CITTÀ IN RAPIDA EVOLUZIONE
Luanda è la capitale politica del paese, e tutte le istituzioni dello stato hanno qui
le loro sedi. Il parlamento, il palazzo presidenziale e i vari ministeri sono tutti
localizzati nel “centro” della città (gli antichi rioni attorno alla baia), dove anche
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
hanno sede le principali imprese e una miriade di uffici
amministrativi e commerciali.
A Luanda funzionano le uniche industrie del paese. Fino
al 2002, anno della fine della guerra civile, queste si limitavano ad attività legate al petrolio, alla trasformazione
di prodotti agricoli, bevande, cemento, costruzione civile,
meccanica. In questi ultimi anni si sono moltiplicati gli investitori (esteri, ma anche nazionali) che stanno mutando
il volto industriale della città. A fare da padrone è il settore petrolifero, ma anche il settore dei diamanti, seconda
fonte di esportazione, stimola investimenti e occupazione:
esiste una fabbrica di taglio dei diamanti e un’altra è in
costruzione.
Luanda è anche la capitale culturale: dal 1963 funziona
l’Università statale, intitolata ad Agostinho Neto, primo
presidente; negli ultimi 10 anni sono state aperte varie
università private, tra cui spicca quella cattolica.
I principali assi stradali partono da Luanda, e la collegano
alle provincie del paese. In questi ultimi anni, grazie a crediti e investimenti stranieri, soprattutto cinesi, è stato fatto
un notevole sforzo per rimettere a nuovo la rete stradale.
La popolazione di Luanda non ha smesso di crescere. Secondo l’Istituto Nazionale
di Statistica, in base a varie stime, era di 2.150.000 nel 1997; oggi è stimata tra i
3 e 3,5 milioni. Ma c’è chi afferma che sia molto di più. In 30 anni la popolazione
si è moltiplicata di 6-7 volte.
5
Moderno grattacielo in
costruzione nel centro
della città.
Sarà una delle sedi
della Sonangol,
impresa statale del
petrolio, la maggior
impresa del paese.
Bambini poveri
passano davanti alle
vetrine di una banca
del centro. Il sistema
bancario angolano sta
crescendo a un ritmo
vertiginoso.
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Afriche 2008/2
Periferie di Luanda: miraggio e realtà
Piantina di Luanda con
i principali “Municipi”,
le grandi circoscrizioni
amministrative in cui è
suddivisa la città.
Uscendo dal centro città:
cambio brusco di paesaggio.
Fino all’inizio del secolo scorso il nucleo abitato di
Luanda era limitato a pochi km quadrati. Vi vivevano tre classi di popolazione: i coloni portoghesi, i
meticci, i neri assimilados. I primi erano poche
migliaia ed occupavano le funzioni di comando nel
governo coloniale e nell’esercito, o esercitavano
liberamente un’attività economica nell’industria e
nel commercio. I meticci erano una minoranza,
ma beneficiavano di certi privilegi dei bianchi ed
erano ammessi a funzioni di responsabilità, anche
se subordinati. Gli assimilados erano gli angolani
nativi, che avevano imparato la lingua portoghese
ed avevano assunto modi di vita dei coloni; potevano essere impiegati in varie funzioni minori in tutti
i settori della vita della colonia, potevano esercitare
una piccola professione autonoma (nell’artigianato, nel commercio) e potevano risiedere in città.
Oggi è chiamato Ingombota il quartiere più antico di Luanda. Amministrativamente è uno dei nove
Municipi che compongono oggi la Provincia di
Luanda, la più piccola per territorio (2418 km2),
ma largamente la più popolosa tra le 18 province del paese. “Municipio” è la
suddivisione amministrativa che ha sostituito il “Concelho” del tempo portoghese.
Ingombota si affaccia sulla baia, ospita il porto, è arricchito dagli unici grattacieli del paese, e i suoi edifici sono diventati quasi tutti uffici. Insieme a Maianga,
costituisce quella parte della città da sempre considerata moderna, abitata dalla
classe dominante, centro del potere politico, economico e culturale. Fino a pochi
decenni fa era chiamata la città del cemento e dell’asfalto, in contrapposizione con
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
la città dei musseques, dei quartieri popolari dove viveva la popolazione nera, le
cui case erano costruite con l’argilla e le vie strette e polverose.
Nella seconda metà del secolo scorso lo sviluppo economico ha fatto crescere
i musseques, ed ha aumentato progressivamente la popolazione nera che non
godeva del privilegio dell’assimilação.
Luanda non è sfuggita alla logica urbanistica del colonialismo europeo, che imponeva la separazione tra popolazione
bianca e popolazione nera, in due habitat completamente
differenti, come afferma Adelino Torres: “Il processo di
urbanizzazione in Angola ha escluso quasi radicalmente
la popolazione africana in quanto soggetto e fruitore di
servizi. Invece della fusione delle razze e della normale interpenetrazione dei microcosmi culturali, l’urbanizzazione
coloniale ha operato un clivage tra la città e la sua periferia, in una rottura, in cui la città bianca ha respinto sempre
più lontano la periferia nera, senza tuttavia creare dei ponti
o degli elementi mediatori, come i trasporti o le infrastrutture. Da allora la percezione dello spazio e la nozione del
tempo sono differenti per gli europei e gli africani. I primi
pensano alla durata e costruiscono per la durata, mentre i
secondi non avendo che il presente, si installano nel transitorio. Questa semiologia dell’habitat esprime una dualità che si ritrova anche nella struttura sociale.”1
Ma un altro autore, Christian Messiant, scopre nell’urbanistica di Luanda qualcosa di particolare: “La divisione città-musseque è frammentaria e difficilmente
tracciabile: i musseques non circondano la città moderna, ma l’interrompono, vi
si infiltrano. L’avanzata delle costruzioni negli anni 1950-1975 è essenzialmente
selvaggia. I nuovi arrivati portoghesi si installano senza considerazione per i piani
di urbanizzazione; la città si estende soprattutto in un modo tentacolare lungo gli
assi di circolazione, stringendo le capanne.”2
7
Rione Boavista: a pochi km
dai grattacieli le baracche e
la lotta quotidiana per l’acqua
domestica.
Graffito sui muri di Kicolo: la
Polizia reprime la protesta di
abitanti della periferia.
1) Adelino Torres, Le processus
d’urbanisation de l’Angola
pendant la période coloniale
(années 1940-1970), in:
Michel Cahen (ed.), Bourgs et villes en Afrique
lusophone, Parigi, 1989,
pp. 98
2) Christian Messiant, Luanda (1945-1961): Colonisés,
société coloniale et engagement nationaliste, ibidem,
p. 130.
8
Inventarsi un mestiere
L’economia informale è definita come l’insieme di quelle
attività che sfuggono al quadro istituzionale e regolamentato dell’economia, e che, pur non essendo registrate e
controllate, sono di fatto le più praticate da una certa
popolazione1.
Il sociologo Mario Adauta de Souza, quando era direttore dell’Istituto Nazionale di Statistica di Angola, aveva
condotto una ricerca sul settore informale a Luanda2. Nel
1997 era impiegato nel settore informale il 56% della
popolazione attiva di Luanda. E’ un settore tipicamente
femminile: 64% sono donne; è marcato dall’analfabetismo:
21% (27% le donne). Il settore informale si è rapidamente
espanso dall’inizio degli anni ‘90, con la liberalizzazione
dell’economia, dopo 15 anni di marxismo-leninismo, e con
l’afflusso a Luanda di masse di sfollati. E’ caratterizzato
da una forte presenza femminile, ma anche di adolescenti
e giovani tra i 14 e 19 anni. Il 35% delle donne è capofamiglia, vive senza marito ed ha a carico i figli o altri
familiari, ma contribuisce solo al 26% del reddito del
settore. I loro sono gli aggregati familiari più poveri. Il
42% dei capifamiglia (uomini e donne) afferma di avere
un lavoro autonomo, non dipendente da terzi: è un segnale
dell’atomizzazione di questo settore, e dei bassi livelli di
organizzazione del lavoro.
Il 55,2% degli impiegati nel settore informale si dedica al
piccolo commercio (fisso o ambulante), percentuale che
sale al 66% per le donne, ma è un’attività che genera un
Afriche 2008/2
reddito misero rispetto ad altre. Il 6,9% è impiegato nei trasporti, il 6,2% nella piccola edilizia; il 5,4% lavora come sarto
e il 5% fabbrica mobilia. Chi si dedica al commercio spesso
non dispone di un locale appropriato per vendere la sua merce.
Spesso si sacrifica un locale dell’abitazione per ricavarne un
esiguo negozio, o si utilizza una struttura precaria nella propria
via, fuori dell’abitazione. Ci lavora il capofamiglia, ma anche i
figli danno una mano. Il problema maggiore è il finanziamento
necessario per acquisire la merce; il settore informale non ha
accesso al credito bancario, e la gestione dei ricavi dell’attività
è molto approssimativa.
Il giovane giornalista Bernardo Ventura ci ha messo a disposizione alcune sue note sulle attività informali preferite
dai giovani del quartiere di Kicolo. A Kicolo si comincia a
lavorare già a 11-12 anni, e il luogo di lavoro più frequente
è la strada. Sono varie le ragioni che spingono un (o una)
adolescente verso un lavoro di strada: necessità di pagarsi
le spese di iscrizione scolastica, e la relativa retta mensile,
oltre che libri e quaderni, quando i genitori non ne hanno i
mezzi; comprare i capi di abbigliamento, secondo la moda del
momento; comprare telefonino e scheda di ricarica; aiutare un
fratello o una sorella più piccola, o i genitori se per malattia
non possono lavorare.
Un lavoro tipicamente femminile è la zunga, cioè la vendita
ambulante, trasportando sulla testa, in una bacinella o in
una scatola i propri prodotti. Le zungueiras percorrono ogni
giorno chilometri e chilometri, come Mariana da Silva che
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
vende saponette e detersivo, perché a soli 19 anni deve già
sostentare due figli e un marito sempre senza lavoro. I ragazzi
si stanno adattando a questo lavoro: quando escono da scuola
ricevono della merce da un negoziante e percorrono le vie o
le fermate dei taxi, e alla sera dividono il guadagno con il
proprietario.
Kicolo ha alcune strade importanti per il commercio: la strada
che porta al grande mercato all’aperto, e le uniche due strade
asfaltate su cui si affacciano un centinaio di magazzini per la
vendita all’ingrosso. Sono migliaia le persone che ci passano,
a piedi o nei taxi collettivi, e c’è possibilità di vendere loro
l’acqua fresca, in sacchetti di plastica, o una bibita ghiacciata,
o una salviettina agli autisti di taxi o di camion, per asciugarsi
il sudore e pulirsi dalla polvere che sovrasta perennemente le
strade di Kicolo. Fuori dai magazzini ci sono altri lavoratori:
i roboteiros, i conducenti di grosse carriole di legno, con
ruota recuperata da una macchina, che trasportano le scatole
e i sacchi di prodotti che la gente ha comprato all’ingrosso
e che poi va a rivendere al dettaglio nel suo negozietto. Ci
sono anche giovani che scaricano la merce dai camion e la
ripongono nei magazzini: pallets e montacarichi qui non si
usano. Al mercato di Kicolo troviamo molti ragazzi occupati:
c’è chi segue gli acquirenti per vendergli sacchetti di tutti i
tipi in cui riporre le compere; ci sono le ragazzine che aiutano la mamma a preparare piatti a buon mercato e altre che
passano tra le bancarelle proponendo uova sode o gelati; ci
sono i kinguila, i cambiavalute, perché il dollaro continua a
circolare insieme alla moneta locale. Ci sono soprattutto i
matoxeiros, una turbolenta categoria di mediatori tra il cliente
9
e il venditore; ci sono i motoqueiros, che forniscono il
servizio di moto-taxi.
Ma esistono anche lavori più classici per giovani e
adolescenti volenterosi: nel tempo libero dalla scuola,
imparano una professione come apprendisti in un’officina di riparazione auto, o in una falegnameria, o in
un laboratorio di elettrotecnica, o semplicemente fanno
l’aiutante di un muratore, di un saldatore o di un pittore.
Nessuno rimane con le mani in mano, e la sera tutti
hanno qualcosa in tasca.
1) G. De Villers, Introduction, in: Cahiers Africains, n° 49-50,
2002, dal titolo: Economie de la débrouille dans les villes du
Congo/Zaire, p. 11
2) Mario Adauta de Souza, Contribuição para o conhecimento
do sector informal em Luanda, INEA, 1997
10
Nave porta-container
ancorata nel porto di Luanda.
Sullo sfondo brulicano le
povere case dell’enorme
quartiere operaio di
Sambizanga.
Afriche 2008/2
In questo modo, a partire dal 1950 i musseques dei neri diventano popolosi quartieri: anzitutto Sambizanga e Kilamba Kiaxi; più tardi Rangel diventa un prolungamento di Maianga, mentre Samba unisce alla città i vecchi villaggi di pescatori di
Corimba e del Futungo. Già in epoca recente le campagne dell’ultima periferia
della città diventano i quartieri dell’esplosione demografica e del degrado urbano: Cazenga, Viana e Cacuaco. Se è vero ciò che dice Messiant, l’attuale disordine
urbano, l’anarchia con cui la popolazione occupa qualsiasi spazio libero e vi costruisce la sua baracca, è un peccato antico, ereditato dai portoghesi.
■ MICROCOSMO DI ETNIE
Degrado in una strada
del rione Roque Santeiro,
che ospita il più grande
mercato all’aperto del
paese.
Luanda è la capitale del paese, ma non tutte le etnie che compongono il paese
vi sono rappresentate. Sono disponibili dei dati certi per il periodo coloniale,
in cui sono stati fatti regolarmente censimenti. La regione in cui sorge Luanda è
abitata da un gruppo di etnie che parlano la stessa lingua, il kimbundu. Un po’
artificialmente questo gruppo è chiamato Mbundu. Allo stesso modo si possono
identificare il gruppo Ovimbundu, che parla umbundu, che popola il centroovest, e il gruppo Bakongo nel nord-ovest, che parla il kikongo. Abbiamo già visto
che negli anni ‘40-75 del secolo scorso si è verificata una crescita esponenziale
della popolazione, frutto soprattutto dell’immigrazione dall’interno del paese. Nel
1960 gli Mbundu erano 120.000, mentre gli
Ovimbundu solo 12.200. Meno ancora i Bakongo: 7.700. Il flusso migratorio dipendeva
da vari fattori: vicinanza e facilità di trasporto
per gli Mbundu, reclutamento di lavoratori
per i lavori di costruzione del porto e della
ferrovia per gli Ovimbundu. I Bakongo furono meno attratti da Luanda, perché erano
già abituati a migrare nel confinante Congo
Belga, poi diventato Zaire, in cui incontravano omogeneità di lingua e cultura. I quartieri
della periferia di Luanda sorgono con una
connotazione etnica specifica. Chi emigra sa
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
già in quale quartiere dirigersi: là dove può trovare la solidarietà della comunanza
etnico-linguistica. Nel 1970 gli Mbundu erano diffusi in tutti i musseques che
compongono i grandi quartieri alle porte della città moderna. Solo a Sambizanga
non sono la maggioranza. I luandensi, Mbundu naturali della città e dei suoi immediati dintorni, sono più numerosi nel Rangel e nel musseque Marçal, il rione
che più penetra nella città moderna, lungo l’Avenida do Brasil. Gli Ovimbundu
a quel tempo erano concentrati a Sambizanga, il quartiere più vicino ai cantieri
del porto e della ferrovia, in cui lavoravano, ma se ne trovavano anche a Prenda,
musseque della parte opposta della città. I pochi Bakongo erano concentrati nel
Rangel, e nei vicini musseques di Mota e Lixeira 3.
11
3 Cfr. Michel Cahen, Syndacalisme urbain, luttes ouvrières
et questions ethniques à Luanda (1974-1977/1981), ibidem, pp. 200-279
■ ESPLOSIONE DEMOGRAFICA E DEGRADO URBANO
Dal 1975 in poi i dati statistici demografici non sono disponibili. Ci si deve affidare
all’osservazione sull’evolvere dei quartieri di Luanda e della sua popolazione. È
certo, in ogni caso, che la guerra civile ha prodotto una crescita abnorme delle
periferie. La prima fase della guerra ha interessato le regioni popolate dagli Ovimbundu e dai Nganguela. Come conseguenza è aumentata l’immigrazione di queste
popolazioni in vari quartieri della città. Quando la guerra è risalita verso nord, le
campagne in un raggio di 200 km da Luanda si sono spopolate, e i municipi di Cacuaco, Cazenga e Viana hanno accolto
decine di migliaia di sfollati. La guerra
civile è ripresa con violenza nel 1992,
ed anche le popolazioni Bakongo, prima della provincia dello Zaire, e poi di
Uige, hanno invaso Luanda, popolando
i rioni di Petrangol, Kicolo, Kwanzas. Lo
Zaire di Mobutu non era più uno sfogo,
perché anch’esso destabilizzato e devastato dalla guerra civile. Immigravano
a Luanda perfino Bakongo angolani
rimasti a lungo a Kinshasa, e con essi
è cominciata l’immigrazione congolese,
che oggi ammonta a diverse centinaia
di migliaia di persone. Il boom economico angolano, e la concomitante crisi nel
vicino Congo-Kinshasa, ha incentivato l’immigrazione di stranieri dei due Congo,
ma anche di Senegalesi, Camerunesi, Maliani, che hanno trapiantato a Luanda il
medio-piccolo commercio a cui si dedicavano a Kinshasa.
Ciò che oggi si osserva nei quartieri della Luanda moderna è la sostituzione dei
coloni bianchi con esponenti dell’élite politica che da 30 anni mantiene il potere.
Dal 1991 in poi, anno in cui il partito al potere ha abbandonato il marxismoleninismo e si è convertito al libero mercato, si è costituita una oligarchia politicoeconomica che di fatto ha ricomposto il clivage tra città moderna e periferia popolare. I grossi investimenti per il riordino urbano e per la creazione di moderne
Veduta del Municipio di
Cacuaco, periferia a nord
di Luanda. Da antico borgo
di pescatori è diventato in
pochi anni una popolosa
propaggine della città.
12
4) Shopping em Angola denuncia discrepâncias vividas no país, 23/1/2008,
pubblicato nel sito
www.lusa.com.br.
Si veda anche: PNUD,
Relatório de Desenvolvimento Humano
Angola 2004: “Construindo a Paz Social”,
Luanda, 2005, pag.
25-50. Questo rapporto del PNUD dedica un
capitolo all’analisi dello
sviluppo a due velocità
in atto in Angola; la
crescita economica degli
ultimi anni dispensa i
suoi benefici al settore
più avanzato della società, a discapito delle
classi sociali più arretrate, concentrate negli
ambienti rurali e nelle
nuove periferie urbane.
Il mercato all’aperto
di Kicolo, Municipio
di Cacuaco. Migliaia di
piccoli commercianti
offrono ai clienti
qualsiasi tipo di
merce.
Afriche 2008/2
infrastrutture sembrano concentrarsi nei municipi centrali: Maianga, Ingombota,
Rangel e Samba. Per il momento sono esclusi i municipi periferici più popolosi,
come Cazenga, Viana, Cacuaco.
Mentre da una parte il governo incentiva forti investimenti per realizzare lussuose
città satelliti, dotate di moderni centri commerciali, dall’altra sloggia con la forza
gli occupatori abusivi o gli abitanti di zone soggette all’esproprio, trasferendoli in
nuovi quartieri popolari, dall’aspetto desolante, lontani dalla città, come Panguila
nel Municipio di Cacuaco, e Zango a Viana. Sprovvisti di servizi sociali e di trasporti adeguati, di fatto si stanno trasformando in ghetti.
Un giornalista dell’Agenzia di informazione Lusa descrive la sua meraviglia nel
visitare il moderno centro commerciale Bela Shopping, inaugurato nel marzo
2007. “Entrandovi l’immaginazione ci fa viaggiare verso un universo in cui brilla
il lusso delle marche più prestigiose e il cliente è trattato come un principe. Per
arrivarci dal centro città si percorrono 15 km, lungo i quali ci si è lasciati indietro
i quartieri poveri e grigi della periferia... Il Bela Shopping è simbolo della crescita
vertiginosa dell’economia, ma anche delle discrepanze della società angolana”4.
Il Semanário Angolense, settimanale angolano indipendente, nell’edizione del
16/2/2008 denuncia la politica abitazionale dello Stato come “ingiusta e immorale, perché non fa che approfondire il fossato che separa i ricchi dai poveri... I
residence da favola e la speculazione immobiliare sono sintomi di una malattia
sociale che può solo produrre tensioni e conflitti”.
Le periferie di Luanda sono uno specchio dell’evoluzione di Luanda negli ultimi
anni: più è cresciuta l’economia e più si è accentuato il divario tra le classi sociali.
Nelle periferie vive la maggioranza della popolazione di Luanda, ma le sue condizioni di vita sono disastrose: servizi sanitari e scuole di tutti i livelli decisamente
insufficienti, mancanza di acqua potabile, fognature inesistenti, energia elettrica
incostante, trasporti pubblici disastrosi, disoccupazione, assenza di spazi per lo
sport e il divertimento, delinquenza, spazzatura accumulata... e la lista potrebbe
continuare.
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
13
Kicolo: ai margini della città
Kicolo è uno degli enormi quartieri della periferia della capitale. Amministrativamente dipende dal Municipio di Cacuaco. Fino al 1975, anno dell’Indipendenza, nel piano regolatore del governo coloniale portoghese, era previsto come un
quartiere industriale; ma una buona parte del suo territorio era coltivata a ortaggi.
Vi risiedeva poca popolazione.
Dopo l’Indipendenza la quasi totalità delle piccole fabbriche di Kicolo hanno chiuso i battenti, e sono cominciate le prime costruzioni abusive di abitanti affluiti
dalle province del Centro del Paese. Il fenomeno dell’occupazione abusiva dei
terreni e della costruzione disordinata di residenze di fortuna si è accelerato negli
ultimi 10 anni del secolo passato, quando la guerra civile ha provocato l’esodo
verso la capitale di centinaia di migliaia di sfollati da varie province del nord e del
centro del paese, e a Kicolo si sono resi disponibili vari terreni, fino ad allora usati
per l’agricoltura, ma abbandonati a causa del taglio brusco, da parte del governo,
dell’acqua per irrigazione.
In questo periodo l’urbanizzazione di Kicolo è letteralmente esplosa, e la popolazione è passata dalle poche decina di migliaia del 1985 agli attuali 300-400 mila.
Le colline di Kicolo si sono ricoperte delle lamiere di una bidonville sconfinata.
Nella sua quasi totalità le case sono state costruite con pochi mezzi e molta fretta;
il governo provinciale e le autorità cittadine non hanno fatto nessuna opera di
urbanizzazione (fogne, strade, elettricità, acqua potabile); non c’è stato nessun
piano regolatore.
La falesia oltre la quale
si estende il quartiere di
Kicolo. Sullo sfondo le
ciminiere del cementificio.
Sul promontorio: un
piccolo villaggio di
pescatori.
Nella pagina seguente: la
fabbrica di farina di grano
e mais, oggi abbandonata,
e diventata deposito di
containers.
14
Le strade di Kicolo dopo una
pioggia.
Sotto: veduta del rione
Balumuka, uno dei più
recenti del quartiere. Case
costruite in fretta, anche
nei letti dei torrenti.
Afriche 2008/2
A Kicolo funzionano alcune fabbriche: la Cimangol, unico
cementificio del paese, la Cimianto, fabbrica di coperture
per tetti in fibro-cemento e attrezzi agricoli, l’Induve, fabbrica di olio e detersivi, e macinazione di cereali. Un’altra
fabbrica di farina di cereali, Kianda, è chiusa. Sono ancora in funzione le officine di riparazione di auto e camion della Land Rover e della Volvo, ma la maggior parte
dei capannoni delle vecchie fabbriche sono ora diventati
magazzini per la vendita di merce all’ingrosso. A Kicolo
esiste il secondo maggior mercato informale di Luanda
e del paese, specializzato nella vendita di materiale da
costruzione. Il commercio all’ingrosso in una miriade di
grandi e piccoli magazzini, i cui proprietari sono stranieri
(congolesi, senegalesi, maliani, ma anche indiani, sudafricani e libanesi), è la
principale attività economica. Da una decina d’anni è stata aperta l’unica scuola
superiore statale, di ragioneria; non esiste un ospedale statale, ma solo alcuni
grossi ambulatori. Non esistono strutture pubbliche ricreative e culturali per la
gioventù.
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
Delinquenza giovanile, prodotto delle periferie
La devianza e la delinquenza giovanile a Luanda sono un fenomeno soprattutto
delle periferie degradate. È un fenomeno che si è esteso nella misura in cui si
estendeva il degrado delle periferie.
Sono pochi gli studi pubblicati sulla delinquenza giovanile a Luanda. Il sociologo
Paulo de Carvalho, docente nell’Università Statale Agostinho Neto, è ritenuto uno
specialista. Ha cercato di enumerare 5 cause di questo fenomeno: la guerra civile
angolana, durata dal 1975 al 2002; l’alto numero di adolescenti che non hanno
mezzi per inserirsi nel sistema scolastico; l’alto tasso di disoccupazione giovanile;
l’indice di povertà ancora molto elevato in Angola; la crisi di valori nella società
urbana1. Alcuni psicologi citati in un articolo del Jornal de Angola, Carliho Zassala, Sandra de Almeida e José Carlos da Piedade, richiamano sostanzialmente le
stesse cause2. Possiamo dire che ognuna di queste cause è amplificata dal quadro
sociale delle periferie.
“La guerra ha agito in forma distruttiva non solo sull’economia (per mezzo della
distruzione delle infrastrutture e della paralisi del sistema industriale e agricolo),
ma anche sulla struttura demografica del paese. A causa della guerra circa un
terzo della popolazione è stata forzata ad emigrare, stabilendosi nelle aree urbane.
Ciò ha provocato l’esplosione demografica nelle città, in particolare Luanda. Di
conseguenza si è verificato una crescita disordinata delle periferie; le città si sono
ruralizzate e l’economia informale è diventata l’unica forma di sopravvivenza di un
numero sempre più grande di famiglie.”3
La guerra non solo ha insegnato a centinaia di migliaia di giovani a usare le armi,
a uccidere, ma ha anche istillato nelle
abitudini sociali un istinto di violenza e
di odio, difficile da guarire. Per finanziare la guerra il governo, retto ininterrottamente dall’MPLA, ha dovuto ridurre
all’osso le spese sociali, educazione e
salute. E così l’Angola, un paese ricchissimo di risorse naturali, si è ritrovato
nel 2001 al 164° posto (su 175 paesi)
nell’Indice di Sviluppo Umano. Secondo studi recenti, il 70 % dei giovani da
16 a 25 anni è disoccupato, e più della
metà della popolazione attiva di Luanda
sopravvive solo per mezzo di un’attività
informale. Ciò che la guerra ha lasciato
in eredità nel 2002, anno della ritrovata
pace, non è solo un paese distrutto, ma
anche una società prostrata a terra: gli
15
1) Paulo de Carvalho, Os
gangues de rua de Luanda:
a delinquência como modo
de vida, testo dattiloscritto di una conferenza
pronunciata a Luanda
il 24/8/2005 nelle IX
Giornate Scientifiche
della FESA, 14 pagine.
2) Psicólogos alarmados com
aumento da delinquência
juvenil, aprile 2007.
3) Paulo de Carvalho, op.
cit., p. 3
Bambini in una misera
scuola di Kicolo. La
mancanza di scuole è una
delle cause maggiori della
devianza giovanile.
16
La strada è il luogo di ritrovo
di adolescenti e giovani. La
strada può diventare anche
scuola di delinquenza.
Bambini giocano alla guerra
in una strada di periferia.
L’Angola ha alle spalle 30
anni di guerra civile.
Afriche 2008/2
indici di povertà in costante aumento soprattutto in
ambiente urbano, la classe media quasi scomparsa
e il divario tra la classe agiata e le masse immiserite incolmabile. Questo ultimo aspetto è particolarmente pericoloso, perché in una società in cui
la mobilità sociale è bloccata e le classi agiate si
rinchiudono nei propri privilegi, è più probabile
che gli esclusi ricorrano a mezzi illeciti, come la
corruzione e il crimine, i valori morali e la solidarietà si deteriorino, e la frustrazione accumulata
esploda con la violenza. È ciò che G. De Villers ha
constatato anche a Kinshasa, un’altra capitale africana passata attraverso un processo di decadenza economica e sociale: “L’aumento della miseria
(passaggio da una situazione di povertà generalizzata a una situazione di miseria
generalizzata) è accompagna dalla perdita dei riferimenti morali, in particolare
nella popolazione giovane o molto giovane, che abbandonata alla strada e a se
stessa, scivola in forme di devianza: furti, consumo di droga, prostituzione o semiprostituzione4”.
■ LA STRADA COME AMBIENTE DI SOCIALIZZAZIONE
A Luanda sono sempre esistiti gruppi di strada, composti da ragazzi e adolescenti.
Il loro fine era soprattutto la socializzazione: ritrovarsi tra coetanei abitanti nella
stessa zona per conversare, passare il tempo, organizzare una festa, giocare a calcio. In una città in cui non esistono strutture ricreative o sportive per la gioventù,
era naturale che fosse la strada il luogo di
ritrovo. Questi gruppi non avevano niente a
che fare con la devianza giovanile. Ma verso
la fine degli anni ‘90 alcuni di questi gruppi
nelle periferie di Luanda cominciarono ad
assumere una forma sempre più simile alle
gangs di giovani delinquenti, caratteristiche
delle periferie di altre metropoli del mondo. In pochi anni, la delinquenza giovanile dilaga nei quartieri periferici e diventa
una vera questione sociale. Sono sempre
più frequenti i piccoli furti, le aggressioni
a passanti, le sfide e le risse tra gangs. Le
gangs si strutturano al loro interno, adottano dei nomi, assumono comportamenti
imitati da film e telenovelas. Per comunicare si servono di un proprio gergo. Ogni
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
gang controlla una determinata porzione del rione e
del quartiere, che è delimitata e identificata dal proprio
marchio: scritte e disegni sui muri che reclamizzano
la gang e mettono in guardia altri gruppi. In seguito le
gangs più forti aggregano attorno a sé gruppi più ridotti
di adolescenti che vivono nello stesso territorio, e che
vogliono ricalcarne le orme, accettandone l’autorità.
Paulo de Carvalho ha intervistato alcuni membri di gang
dei quartieri di Sambizanga, Petrangol e S. Paulo. Il suo
intento non era di formulare statistiche sul fenomeno,
ma di cercare di conoscere meglio il profilo del giovane
delinquente e penetrare nel suo mondo. In genere i componenti di una gang sono
tra 50 e 70. Ma è raro che i membri si ritrovino tutti insieme: all’interno esistono
gruppetti di 5-10 giovani che sono più affiatati e che organizzano in modo autonomo le loro attività. L’età parte in genere dai 14 anni e arriva ai 22 anni, anche
se si possono trovare facilmente dei ragazzini di 10-13 anni, attratti dal modo di
vita del giovane delinquente, che ruotano attorno alle gangs e svolgono il ruolo
di aiutanti.
■ GANGS GIOVANILI
Ogni gruppo agisce in una zona ben determinata, dentro la quale non tollera
sconfinamenti ad opera di altre gangs. In ogni gruppo esiste la figura e la funzione del leader, riconosciuto e rispettato dai membri. È spesso il membro più
anziano, colui che ha dato prova di maggior coraggio, colui che ha più carisma e
che dispone di più esperienza. È il capo del gruppo che mantiene la coesione del
gruppo, risolvendo i conflitti e affidando a ciascuno il
suo compito.
L’ingresso di un nuovo membro è fatto per cooptazione:
è un amico o familiare di qualcuno che è già membro,
e gode della sua fiducia. L’iniziazione al gruppo comporta, oltreché una prova di coraggio, effettuando ad
esempio un furto o un’aggressione a un alunno all’uscita di scuola, la dimostrazione di sopportare l’uso di
droghe, che nelle gangs di periferia sono la canapa
indiana (chiamata in Angola liamba), o il diazepam
mischiato nella coca-cola, o i vapori di benzina inspirata; il candidato deve anche dare prova di sopportare
l’alcool. “Essendo le gangs gruppi di grande coesione
interna, l’uso di droga funziona come un mezzo di cooperazione e approssimazione permanente tra i membri
del gruppo”5.
Cosa spinge un ragazzo ad entrare in un gruppo? Gli
stessi intervistati riconoscono che è soprattutto lo stato
17
I graffiti dei giovani di
Kicolo illustrano la violenza
quotidiana delle gangs
giovanili di periferia.
4) G. De Villers, Introduction, in:
Cahiers Africains, n° 49-50,
2002, dal titolo: Economie de
la débrouille dans les villes du
Congo/Zaire, p. 22
5) Paulo de Carvalho, op. cit.,
p. 7
18
Afriche 2008/2
Parlano due giovani di Kicolo, ex delinquenti
Abbiamo intervistato J.B. e E.Z., due giovani di 19 e 18 anni,
che erano in una gang ma sono riusciti a venirne fuori.
A quanti anni siete entrati in una gang? Vivevate con i
genitori?
JB: Fu 5 anni fa. Avevo 14 anni e frequentavo la 5ª elementare. Vivevo con mia madre, mio padre e 7 fratelli.
EZ: Io avevo 15 anni e studiavo nella 2ª media. Vivevo con
i miei genitori, ma mio papà beveva, e tutte le sere tornava
a casa ubriaco. Era meccanico, lavorava saltuariamente, ma
tutto quello che guadagnava lo spendeva con l’alcool. E in
casa non c’era pace, tutti i giorni litigi con la mamma. Da
quando sono piccolo, ho sempre il ricordo dei miei genitori
che litigano e si picchiano.
Cosa vi ha fatto entrare in una gang?
JB: Nel quartiere in quel momento c’era la moda della danza
del kuduro. Sono entrato in quel gruppo, perché mi piaceva
danzare. Solo che questo gruppo non faceva solo musica
e danza, ma “praticava azioni”, cioè faceva piccoli furti,
aggressioni, risse.
EZ: Un mio cugino faceva già parte di un gruppo, e un
giorno mi ha detto: vuoi restare da solo in casa? Mi sono
lasciato convincere.
Come si chiamava quel gruppo?
JB: B.M., cioè Bicho Mau. In quel momento nel nostro
quartiere era l’unico gruppo. Era un gruppo composto da
60-70 giovani. C’era un capo più vecchio di noi, che aveva
smesso di andare a scuola. Il gruppo era suddiviso in piccoli
gruppi. Noi eravamo 3, molto uniti. Ci riunivamo quasi tutti
i giorni per “fare il piano”, cioè per scegliere quale azione
compiere quel giorno: se rubare un telefonino, o rubare i
soldi di un passante, o rubare in una bancarella.
EZ: Io vivevo a Sambizanga e il mio gruppo era di 50 giovani,
chiamato Tanga, ma facevamo parte di una “unione” di varie
gang del quartiere, detta Mana Bela. Quando questa unione si
ritrovava i poliziotti avevano paura, quella notte non uscivano
dal loro commissariato. Il nostro capo aveva 25 anni. Lasciava fare a noi le azioni, si limitava a comandare, ad esigere una
percentuale, e risolveva i problemi che sorgevano tra di noi.
Noi rubavamo al grande mercato del Roque, aggredivamo
le commercianti che la sera ritornavano a casa con i loro
guadagni. Anche le persone che andavano per fare compere
erano i nostri obiettivi. A Sambizanga erano anche frequenti
le risse tra gang. A causa delle ragazze, o a causa di gruppi
che invadevano il territorio di un altro gruppo.
I vostri genitori sapevano che appartenevate a una gang?
cronico di povertà, è la mancanza di opportunità di lavoro. Si deve aggiungere
però che un’altra ragione ha a che vedere con il modo in cui i bambini sono
educati dai genitori in un ambiente urbano. I genitori hanno sempre meno tempo
da dedicare ai figli, perché assillati dalla necessità di racimolare ogni giorno il
denaro necessario per far sopravvivere la propria famiglia. Al villaggio ci sono
varie figure di adulto che coadiuvano i genitori nell’educazione dei loro figli. In
città i bambini crescono in strada, apprendono imitando i ragazzi poco più vecchi
di loro, si distanziano sempre più dal modello dei genitori. C’ è anche una ragione
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
JB: Sospettavano, ma non hanno mai avuto la certezza. Solo
una mia sorella era venuto a saperlo, ma aveva paura di
raccontarlo in casa.
EZ: Mio padre non si interessava di me. Mia madre e i miei
fratelli avevano capito qualcosa, ma non osavano parlarmi.
Come erano i vostri rapporti con la polizia?
JB: Noi non avevamo un contatto con la Polizia. In quel
momento, un cittadino che ti aveva riconosciuto andava a
denunciarti alla Polizia, e questa ti veniva a cercare in casa.
A me per fortuna non è mai capitato, ma a molti miei amici sì.
Li portavano alla “squadra” e lì prima di tutto li riempivano
di botte. Poi aspettavano che venisse un familiare disposto
a pagare per rilasciarlo. Se eri denunciato per crimini gravi,
ed eri recidivo, ti portavano al Commissariato Municipale di
Cacuaco. Da lì è più difficile uscire. Potevano anche portarti
alla DNIC, alla Direzione di Investigazione Criminale. Ci
finiva chi assaltava negozi o residenze, chi usava armi, chi
rubava grosse somme.
EZ: Il nostro capo collaborava con la polizia: dava loro dei
soldi per essere lasciato in pace. Io non sono mai stato
preso dalla Polizia, ma mio cugino un giorno si è preso un
colpo di pistola.
Voi siete riusciti a uscire da questa vita. È stato facile?
JB: No, è stato molto duro. Quando ti sei immerso in questo
vizio, non riesci a staccartene subito. Hai sempre dei ripensamenti. Sei fuori, ma vorresti ritornare nel gruppo. Devi
essere forte per riuscirci.
EZ: Mia sorella un giorno ha avuto coraggio e mi ha parlato.
Era membro di un gruppo della parrocchia molto impegnato.
Mi ha dato molti consigli, mi ha portato un giorno nel suo
gruppo, e ho capito che era ora di smettere, perché sarebbe
stato sempre peggio.
19
E cosa vi hanno fatto gli ex compagni?
JB: Ti tagliano i ponti, non ti parlano più, ti salutano solo da
lontano, non ti si avvicinano. Io sono stato libero di uscire, il
gruppo non me l’ha proibito. L’unica cosa per cui mi hanno
minacciato era di non rivelare i nomi degli altri.
EZ: I miei genitori avevano cambiato casa e quartiere, ed è
stato più facile perdere i contatti. Ma all’inizio avevo paura
che si vendicassero.
Che consiglio date a chi continua la vita nelle gang?
JB: Prima decidete di uscire, e meglio è per voi. Se continuate, ve ne pentirete. Nel gruppo impari a drogarti, ma questo
significa rovinare la tua vita. La vita è bella, è una cosa buona,
che Dio ti ha dato. Non buttare via la tua vita.
EZ: Devi credere in te stesso e non smettere di sperare.
Devi fare un’autoanalisi: nel gruppo ti stai solo rovinando,
non hai niente di buono da guadagnare. Se rifletti, capisci,
e decidi di uscire.
(la foto non ritrae i giovani intervistati)
psicologica, ciò che Carvalho chiama “ansia per la fama”. Il giovane che entra in
una gang sa che in una società chiusa non ha molte possibilità per autoaffermarsi.
Conseguire successo e prestigio, ottenere quei mezzi materiali che rafforzano l’autostima, è quasi impossibile per chi è nato e vive in un quartiere miserabile. Ma
affiliandosi a una gang è più facile guadagnare una posizione di rispetto nel rione
e suscitare invidia nei coetanei o ammirazione da parte delle ragazze.
Gli atti delittuosi che le gangs commettono sono abbastanza comuni: piccole aggressioni a passanti in strada per rubare telefonini, gioielli, orologi, ma anche
20
Un altro graffito sui muri
di Kicolo, eseguito dalla
gang che si è data il nome
di Cebola. Mostra i visi
minacciosi di 3 giovani che
eseguono un’aggressione
armata ai passanti. I giovani
delle gang rubano telefonini,
orologi, ma anche scarpe e
vestiti, se hanno un qualche
valore.
Sotto: insegna di una scuola
professionale privata.
Afriche 2008/2
scarpe e vestiti di valore; furto di denaro nei taxi
collettivi o nei mercati rionali; furti con scasso
in abitazioni povere e incustodite per rubare i
pochi oggetti di valore, come videoregistratori
o bottiglie del gas; scontri e risse con bande rivali.
I giovani delle gangs sono dotati di armi bianche: le più utilizzate sono coltelli, bastoni, sbarre di ferro, e soprattutto bottiglie rotte. Ma i
capi riescono a procurarsi delle pistole, o addirittura dei kalashnikov. A Luanda non è difficile:
con 50 dollari si compra una pistola e con 100
un AKM, piccolo fucile mitragliatore. E non è
neppure difficile prendere un’arma a noleggio,
come dimostra un militare recentemente incriminato per affittare pistole a gruppi di giovani
delinquenti. Quanto può guadagnare un giovane
che fa parte di una gang? Dipende dal rione controllato, dalla funzione occupata
nel gruppo, dalla percentuale da dare ai capi, dall’esperienza: c’è chi ottiene perfino 150-300 dollari per settimana. Ma i guadagni sono subito dilapidati in droga,
alcool, regali alle proprie ragazze, vestiti alla moda.
Un aspetto delicato è il rapporto tra gangs e forze dell’ordine. Da una parte la
Polizia tenta in tutti i modi di reprimere i gruppi di giovani delinquenti, dall’altra
stabilisce accordi taciti di collaborazione. È ciò che denunciano i giovani intervistati da Carvalho: per non essere infastiditi dalle ronde mentre sono riuniti per
strada, i gruppi devono pagare una quota ai poliziotti; spesso alcuni poliziotti
corrotti passano informazioni ai gruppi su obiettivi da colpire, per dividere poi la
refurtiva. Più corrente, e socialmente accettata, è la pratica
di pagare una “mazzetta” alla Polizia che ha arrestato un
membro del gruppo: se l’interessato o gli amici non lo possono fare, sono i familiari che intervengono.
■ PREVENZIONE E RIEDUCAZIONE
DEI GIOVANI DELINQUENTI
Il commissario António Miguel Germano, comandante della
Polizia di Cacuaco, ha studiato i dati emersi da un’inchiesta
condotta su 211 giovani delinquenti di minore età, arrestati
in un’operazione della Polizia in vari quartieri di Luanda tra
il 26 marzo e il 5 aprile 20076. Il 32% di loro avevano 14 e
15 anni, il rimanente 68% tra i 16 e 18 anni. Il 54% di loro
è cresciuto in famiglie destrutturate, sono nella quasi totalità
provenienti dalla periferia, e il 96% erano già stati arrestati
almeno una volta. Il 40% ha abbandonato la scuola e non
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
pratica nessuna attività lavorativa. L’85% è entrato in una gang su invito di un
amico. Il 46% afferma di aver utilizzato almeno una volta un’arma da fuoco per
un’aggressione commessa in periferia.
La legge angolana prevede che il minore che infrange la legge sia condotto davanti
al Tribunale dei Minori, il quale, secondo la gravità del crimine commesso, può
inviarlo in un centro di internamento e rieducazione. La legge prevede anche che
siano costruiti dei Centri di Osservazione, in cui siano detenuti i minori. È previsto
anche l’affido a dei tutori. Ma la legge è rimasta lettera morta, e il minore arrestato
dalla Polizia è detenuto nelle celle per gli adulti. Non esistendo strutture appropriate, il Tribunale dei minori è obbligato ad ordinare la scarcerazione, per cui i
giovani ritornano nel loro habitat, si dedicano di nuovo alle loro attività con in più
la consapevolezza della loro impunità. Il commissario Germano invoca, quindi,
come misura per prevenire e combattere il crescente fenomeno della delinquenza
giovanile, la costruzione di strutture adeguate per la rieducazione dei minori.
Carvalho concorda che una cella di un
commissariato o di una prigione è l’ambiente più deleterio per un ragazzo di una
gang, perché, interagendo con coetanei e
adulti già detenuti per crimine, si rafforza
nella sua coscienza l’immagine di sé come
delinquente. “Per diminuire l’incidenza
della delinquenza giovanile la soluzione
non sta nella repressione, ma nell’azione
sociale dello Stato e della società, a favore
di un aumento dell’accesso all’istruzione e
all’impiego; sta nel combattere la corruzione generalizzata e la povertà dilagante” 7.
Chi è considerato o si considera escluso,
deve invece essere incluso nella società.
21
Giovani di una gang giocano
a pallone in un vicolo della
periferia.
Sotto: un’altra scuola
professionale, aperta
recentemente a Kicolo per
togliere giovani dalla strada.
6) António Miguel Germano,
A delinquência juvenil e os
desafios do julgado de menores, 2007, dattiloscritto, 9
pagine.
7) Paulo de Carvalho, op. cit.,
p. 11
22
Dio e scuola sì, politica no
Cosa è più importante per te nella vita? Lo abbiamo chiesto ai giovani di Kicolo che frequentano la Parrocchia1.
Ciascuno doveva scegliere 3 valori. La tabella qui a lato
dà le risposte.
In generale colpisce l’enorme percentuale della scelta “Dio”,
più di ciò che si aspettava. Non si deve solo attribuire al fatto
che siano giovani che frequentano la chiesa; l’angolano crede
in Dio, e lo considera la cosa più importante della vita. In
secondo luogo può stupire che al secondo posto ci sia la
preoccupazione per gli studi universitari. Ci si deve riferire
alla condizione attuale dei giovani di Kicolo. La società sta
evolvendo a un ritmo accelerato, e la laurea è vista come la
condizione per beneficiare delle nuove opportunità che si
aprono; cresciuti in un quartiere degradato della periferia
di Luanda, per i giovani la laurea è considerata l’unica
possibilità per elevare il proprio stato sociale. L’università
è un mondo tutto nuovo. Fino a pochi anni fa era riservato
a pochi privilegiati, e non attirava perché in tempo di
guerra la società e l’economia erano bloccate. Oggi c’è la
corsa all’università, ma la maggioranza dei giovani non sa
veramente cosa sia. Lo studio viene prima del lavoro, che
non è ancora una preoccupazione per i giovani di Kicolo:
meglio aspettare, arrangiarsi con qualche lavoretto, ritardare
il tempo di formare la famiglia, pur di tentare di fare il salto
che può davvero cambiare la vita.
Il terzo valore è la verità. È un’altra sorpresa dell’inchiesta.
Afriche 2008/2
Valore
Totale (%) Maschi Femm.
Dio
92
90
95
Studi universitari
60
53
67
Verità
33
31
35
Famiglia
30
19
41
Lavoro
25
31
19
Democrazia
19
22
17
Amicizia
17
21
14
Libertà
12
18
6
Denaro
6
9
4
Sesso
4
5
3
Potere
1
3
0
È un ideale difficile da definire: certamente manifesta il desiderio dei giovani di fondare i rapporti umani sulla sincerità
e la fiducia, c’è forse il rifiuto del sistema della corruzione,
che pervade la società e la politica. Viene al quarto posto la
famiglia: in città si riduce sempre più alla famiglia nucleare, e
la grande famiglia africana scompare. I giovani non sembrano
averne il rimpianto.
I valori più socio-politici vengono solo in secondo ordine:
democrazia, libertà. Il paese è in un grande fermento politico:
sta preparando le elezioni, un evento atteso da 15 anni. La
popolazione si è dovuta registrare per ottenere la carta di
elettore. I partiti dibattono i programmi e si fanno propaganda. Si critica l’attuale regime per mancanza di libertà
e democrazia. Nei giorni in cui si è realizzata l’inchiesta
c’era eccitazione nei media indipendenti per la condanna di
un giornalista e per un procedimento giudiziario a sfondo
politico. Ma per i giovani intervistati non sembrano
questioni rilevanti per la loro vita. Attraverso altre
domande del questionario si è voluto indagare
di più sull’interesse dei giovani per la politica e
il modo con cui il paese è governato. Il 55% dei
giovani critica il governo perché non costruisce
scuole sufficienti per tutti. Ma solo il 18% lo critica per non permettere un’informazione libera e
democratica, e il 17% per la mancanza di giustizia
nei processi. I giovani si lamentano che il governo
fa poco per dare lavoro ai giovani (44%), che non
è interessato all’opinione dei giovani (31%), che
non offre ai giovani campi da gioco (25%), ma
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
23
Manifesto elettorale del partito al potere
solo il 28% si lamenta della corruzione. Neppure l’avanzata
galoppante dell’AIDS smuove l’interesse dei giovani: solo il
13% ritiene che il governo dovrebbe essere più attivo nella
prevenzione.
Qualche indicazione interessante ci viene dall’analisi delle
risposte secondo i sessi. Le ragazze sono più unanimi nell’indicare i pochi valori della loro vita: Dio, scuola e famiglia.
La libertà è rilevante solo per il 6% di esse. Anche il lavoro
non è una preoccupazione del presente. I ragazzi, invece,
hanno ideali più vari. Il lavoro conta di più della famiglia, che
mettono solo al 7° posto. Non sono secondarie l’amicizia,
la democrazia e la libertà. Anche il denaro non è proprio
un demonio.
Un’altra parte del questionario chiedeva ai giovani di speci-
ficare i valori scelti. Cominciamo da Dio. Il 50% vorrebbe
avere una fede personale e matura in Dio. Il 27% si accontenta di conoscere meglio la Bibbia. Il 23% è più interessato
ad imparare delle preghiere che lo possono aiutare nella vita.
Metà dei giovani si affida a un Dio personale. L’altra metà lo
cerca attraverso la Bibbia, o lo vuole negli avvenimenti della
vita per mezzo di formule di preghiera.
In famiglia il 45% pensa che sia importante obbedire in tutto
ai genitori, mentre per il 44% più importante è il dialogo
tra genitori e figli. Solo l’11% vorrebbe andare a vivere da
solo. C’è differenza significativa tra ragazzi e ragazze: i primi
preferiscono il dialogo, le seconde l’obbedienza.
Circa il lavoro: il 71% sogna un lavoro che piace e che gli
dia soddisfazione; il 21% invece preferisce un lavoro sicuro
nel settore pubblico; per l’8%
importante non è il tipo lavoro,
ma i soldi che ti dà. Infine la
politica: il 20% pensa che sia
meglio non intromettersi nelle
questioni politiche, mentre il
29% vorrebbe impegnarsi in
un partito. Il rimanente 51% si
limita all’informazione politica,
ma senza impegno.
(1) Nella seconda metà del novembre 2007 sono stati intervistati 156
giovani da 16 a 23 anni, età media
24
Afriche 2008/2
Giovani e graffiti a Kicolo: pennello e coltello
Ambrós, giovane pittore di
insegne commerciali.
Una sua pittura, eseguita
per decorare un bar di
Kicolo.
A Luanda, come in altre città africane, sono sempre esistite pitture murali. Da quando il movimento Hip Hop si è diffuso fuori
da New York, ci siamo abituati a chiamare le pitture sui muri
graffiti; essi sono diventati quasi esclusivamente un’espressione dei gruppi giovanili delle periferie, e lo stato quasi sempre li
squalifica come vandalismo1. Ma a Luanda ci sono pitture murali più neutre, più normali, più inserite nella vita quotidiana:
sono le decorazioni che non mancano mai fuori dell’edificio in
cui si svolge un’attività economica nel quartiere, dal barbiere al
meccanico, dal bar al cartolaio. Possono essere delle scritte appariscenti come anche dei disegni che illustrano l’attività svolta
dall’esercizio commerciale. Sono anche una forma di pubblicità
adattata alla cultura e all’economia delle periferie di Luanda. Le
insegne di tipo moderno sono riservate ai ricchi negozi del centro
di Luanda, così come i pochi cartelloni pubblicitari reclamizzano
prodotti per una categoria di persone già più abituata alla comunicazione dei moderni mass-media. La gente semplice di Kicolo
è informata in modo più eloquente e più persuasivo dai disegni e
dalle scritte realizzate a mano, non standardizzate, ispirate da volti e contesti più
familiari.
A Kicolo abbiamo reperito due “studi” di decorazione di interni e esterni di esercizi commerciali. In uno di essi siamo stati accolti molto affabilmente, abbiamo
potuto fare un’intervista e persino prendere delle foto. I titolari dello “studio”,
Gary e Ambrós, di 23 e 22 anni, sono entrambi originari nella Provincia dello
Zaire, al nord dell’Angola. Hanno entrambi il diploma di terza media e non hanno
frequentato nessuna scuola di arti figurative, hanno imparato il mestiere con un
mestre, un mastro, un amico di alcuni anni più vecchio di nome Alberto che aveva frequentato una scuola d’arte a Kinshasa,
nel Congo ex-Zaire. Ora essi stessi sono diventati mestres, e hanno formato vari giovani
apprendisti. La loro specialità è decorare con
pitture murali interni ed esterni di esercizi
commerciali, in particolare bar e discoteche.
Ma, in mancanza di ciò, si adattano ad altri
lavori: stampare disegni su magliette, dipingere targhe di automobili o manifesti per feste.
Mi spiegano che il dipingere per loro non è
solo una professione, è arte, è qualcosa che
hanno dentro di sé e che li rende diversi dalle
altre persone. Gary dice che quando dipinge
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
un soggetto su una parete di un locale in cui si riunisce molta gente si sente orgoglioso, “sente nel cuore qualcosa di nuovo, che non c’era prima”. A Ambrós
piace ritrarre i paesaggi, ma il più delle volte deve dipingere ciò che gli è stato
commissionato, e ci mette tutto l’impegno anche se deve riprodurre una birra di
una certa marca o una scatola di medicinali fuori di una farmacia. Qualche volta,
per puro divertimento, hanno fatto dei graffiti, come se ne vedono dappertutto nei
vicoli di Kicolo, ma senza essere legati a un gruppo particolare.
Chiese e sette di tutti i tipi hanno una loro filiale a Kicolo. In molte di esse si predica che mettere delle immagini in chiesa è idolatria, ma per farsi propaganda
non si fanno scrupoli di ricorrere a un pittore che decori i muri esterni. È un altro
genere di pittura murale, quella religiosa.
■ “NON CHIAMATELA VANDALISMO! È LA NOSTRA ARTE!”
Se la gente da sempre era abituata a vedere
sui muri del proprio quartiere dei disegni
pubblicitari o religiosi, negli ultimi tempi ha
dovuto, suo malgrado, abituarsi a un altro
tipo di pittura murale. Chi lascia alle spalle le
vetrine e i palazzi del centro città e comincia
a penetrare in un quartiere periferico è colpito dalla densità di scarabocchi che tappezzano i muri di cinta, le pareti esterne di case,
magazzini ed edifici pubblici. “Scarabocchi”
li chiamano le persone profane e ignoranti;
“la nostra è arte, non chiamatela vandalismo”, così ammonisce la scritta che un giovane ha dipinto su un muro che fiancheggia
la via di entrata del rione Boa Esperança a
Kicolo. Non è vandalismo, né scarabocchio,
ma arte, cioè libertà di esprimere le proprie
idee e i propri sentimenti per mezzo di alcuni
25
Esempi di pitture
commerciali: gli articoli in
vendita in un magazzino
all’ingrosso e la réclame di
un carrozziere.
1) Si possono consultare sul
tema: Nike Morganti, Quando parlano anche
i muri, in: Afriche, n°
26, 1995, pp. 1-32, e
V.Andriamirado, Dakar:
les mur pour le dire, in:
Africulture, n° 21, 1999,
pp. 40-42
Un muro di Kicolo: i gruppi
di giovani marcano la loro
presenza.
26
Gruppo di giovani accanto al
muro da loro dipinto. È un
segnale che è lì il loro luogo
di ritrovo.
Alcuni membri della gang
“Staff DB” presentano se
stessi sul loro muro.
Afriche 2008/2
segni tracciati su un muro, alla vista
di tutti.
Siamo passati per i vicoli di Kicolo
cercando di prendere sul serio la richiesta di questo giovane anonimo,
abbiamo fotografato scritte e disegni,
abbiamo registrato nel nostro blocknotes i nomi dei gruppi reclamizzati
sui muri, e le frasi, vere e proprie
massime, o moderni proverbi, abbiamo conversato con i loro autori,
che abbiamo incontrato molto spesso seduti vicino alle proprie “opere d’arte”.
Abbiamo pensato che sia una maniera per capire meglio cosa pensano e cosa vogliono i giovani di Kicolo. Cominciamo dalla cosa più facile: semplici scritte, molto
spesso di una sola parola, al plurale, come ad esempio demónios, yamakachi,
famosos. Gli studi sul movimento Hip Hop e il Graffiti Writing, l’espressione di
arte popolare figurativa a cui ha dato origine, ci ricordano due parole della lingua
inglese che descrivono questa prima forma espressiva giovanile: tag e crew. Tag
significa “etichetta”, ma nel gergo giovanile new-yorkese indica il nomignolo che
un giovane scrive con la vernice spray su una vettura della metropolitana. Crew è
un sostantivo collettivo, indica gruppo, gang. Non solo gli individui si firmano con
il tag, ma anche le crew, e spesso lo fanno con una sigla, l’acronimo dei termini
che compongono il nome.
■ OGNI GRUPPO HA IL SUO NOME SUL MURO
Da New York questa moda è arrivata fino a Kicolo. Ma con le sue particolarità.
Anzitutto non si “firmano” mai gli individui, ma i gruppi, e anche quando abbiamo
nomi di individui questi sono sempre associati al nome del gruppo, sono presentati come membri del gruppo. Qui a
lato diamo qualche esempio.
I tag sono di varie forme: il maggior
numero sono molto semplici, tracciati rapidamente e rozzamente, senza
elementi decorativi. Si riferiscono a
piccoli gruppi, di creazione recente,
che fanno conoscere la loro esistenza
nel rione per mezzo di una scritta sui
muri della via in cui si riuniscono. Ce
ne sono di più elaborati, di dimensioni maggiori, con vari colori: indicano
già un’evoluzione del gruppo, un’esistenza più lunga e uno status più elevato rispetto agli altri gruppi. A Kicolo
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
le scritte sono eseguite con pennello e vernice, spesso
di color bianco o nero. Non si usa mai la vernice spray,
cara e difficile da trovare.
Sono più frequenti nei rioni Kawelele, Compão, Essanju
e Boa Esperança. Questi rioni hanno in comune, oltre
che a una storia più antica, un’urbanizzazione più fitta, una densità di popolazione più alta e la delimitazione delle abitazioni e dei cortili con muri di cinta, che
lasciano poco spazio pubblico, solo dei vicoli stretti e
sporchi. Gli altri rioni, Augusto Ngangula, Paraiso, Balumuka, sono sorti più recentemente, e chi ha comprato
una parcella di terreno non l’ha ancora recintata. Quindi tra una abitazione e l’altra c’è uno spazio aperto, in cui la gente entra, passa, si ferma. I vicoli sono meno
delimitati, ci sono più angoli in cui i giovani si possono riunire per conversare e
giocare. Ci sono anche meno superfici murali su cui scrivere e dipingere. I gruppi
di giovani di Kawelele o di Essanju, invece, non hanno altro posto in cui ritrovarsi
se non la strada. E quella strada, quel vicolo, in cui si passa quasi solo a piedi, diventa il loro territorio. E la maniera di marcare il diritto di proprietà è di scrivere
il loro nome su uno dei muri di cinta lungo la via, muri di mattoni di cemento di
2-2,5 m di altezza, ideali per dipingere. Gli altri
abitanti ora sanno che esistono, che usano quella
via per le loro attività; anche i gruppi di giovani
delle vicinanze sono avvertiti: non possono invadere quel territorio.
I giovani hanno bisogno di socializzare. In un
quartiere come Kicolo, oltre che alle chiese e alle
scuole, non c’è nessun altro luogo in cui i giovani
si possono riunire. Per questo la strada diventa il
luogo in cui ritrovare i propri coetanei e amici,
per conversare, ridere, scherzare, ma anche per
ascoltare i cantanti del momento e ballare i ritmi alla moda, farsi la ragazza o il ragazzo, tirare
qualche calcio al pallone, organizzare qualche attività.
C’è un’occasione lungo l’anno in cui i gruppi di adolescenti e
giovani sono più mobilitati a ritrovarsi e a ritagliarsi il loro spazio vitale: è l’avvicinarsi del Natale e del Capodanno. A Luanda,
a differenza di quanto avviene all’interno del paese, le notti di
Natale e di Capodanno sono notti di grande baldoria. Ogni famiglia si organizza per passare sveglia tutta la notte, mangiando,
bevendo, ascoltando musica ad alto volume e ballando. I giovani
organizzati in gruppo fanno la stessa cosa, ma dove? Nella strada,
naturalmente. Per questo devono scegliersi il posto più adatto in
cui montare amplificatore, casse acustiche, generatore, e dove
27
Esempi di tag, la firma di
un gruppo giovanile sul
muro, fotografati a Kicolo.
Zangamaka significa,
in lingua kimbundu,
guastafeste. Gli altri
non hanno bisogno di
spiegazione.
28
Afriche 2008/2
passare la notte in festa. Quel posto prende il nome di parada
o pousada. Una scritta elaborata del nome del gruppo dipinta
sul muro, magari accompagnata da un bel disegno, rendono
più degno e danno un’identità più spiccata al gruppo.
A Kicolo anche ragazzi e adolescenti di 12-14 anni cominciano
ad organizzarsi per passare da soli il Natale, e anche altri giorni
di festa nazionale, o le feste di compleanno. Ma per disporre di
una porzione di strada, devono accordarsi con il gruppo che
per primo ha preso possesso del territorio: il permesso è facilmente accordato quando il nuovo gruppo si affilia al vecchio,
ne riconosce l’autorità e offre la sua collaborazione, nel bene
come nel male.
■ VISTI CON SOSPETTO
Gruppo di giovani che
si ritrova in strada per
fare sport o per passare
il tempo. Gli adulti del
quartiere li guardano
con sospetto, perché li
considerano tutti più o
meno delinquenti.
Gli adulti vedono con sospetto adolescenti e giovani che si riuniscono in gruppo. In varie conversazioni avute con loro emerge
sempre il preconcetto che gruppo di giovani è uguale a gruppo
di delinquenti. È il processo che i sociologi chiamano “stigma”, secondo il quale alcuni comportamenti considerati come devianti dai parametri normali sono
connotati negativamente, e giudicati come antisociali. Come fa António Bandua,
che ha 37 anni, vive nel Compão, ha 4 figli, di cui uno adolescente, e vede male
quando questi esce di casa per andare a giocare con gli amici del gruppo: “Nel
nostro quartiere ogni via è controllata da un gruppo di giovani delinquenti.
Gli adolescenti sono ammirati da questi giovani, li vogliono imitare, per questo creano il loro piccolo gruppo”. Ma i genitori – gli chiedo – cosa fanno per
impedire che un semplice gruppo di ragazzi si trasformi in una gang? “Possiamo
fare molto poco. Diamo consigli a nostro figlio, chiediamo al pastore o al
catechista che gli faccia capire il suo errore, ma raramente lui ascolta. Se insistiamo possiamo avere problemi
con gli amici più grandi di nostro
figlio, che ci minacciano perché
non lo lasciamo in pace”. Ne avete
parlato alla polizia? “Anche loro fanno poco. Il poliziotto che ha parenti
nel quartiere viene per farsi dare
informazioni sui giovani più pericolosi. Hanno fatto qualche retata,
ma non è servito a niente”.
Gli adulti, quindi, sostengono che il
gruppo non nasce ed esiste solo per
socializzare, ma anche per agire al di
fuori della legalità. In effetti, se cominciamo ad analizzare la terminolo-
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
gia e la nomenclatura dei gruppi, ci accorgiamo che non tutti sono delle innocenti
associazioni ricreative.
■ I GRUPPI PRENDONO POSSESSO DEL TERRITORIO
Dai tag possiamo ricavare informazioni sugli appellativi di luogo usati dai giovani
e sulla loro “geografia”. È frequente, anzitutto, associare il gruppo alla strada in
cui si riunisce ed opera: Rua da Baia, Rua dos fofocas. Lo stradario di Luanda è
limitato alle vie del centro: i gruppi hanno “battezzato” le vie del loro rione. Largo
da amizade, Largo dos Mexicanos: il largo si distingue dalla rua (via) perché
è più spazioso, è spesso un incrocio di vie. Entrada dos capoeirista, Entrada
dos Leões: “entrata” è un termine coniato dai giovani, ed è come un segnale che
avverte che il passante sta entrando nel territorio di un determinato gruppo. Sono
di solito i gruppi più grossi e più potenti, che controllano più vie, che si servono
di questo tag. Favela, vila, guetto, termini che non hanno bisogno di traduzione, e che indicano un territorio più vasto, una grande porzione del quartiere
su cui regna una gang, che si dedica ad azioni criminose. Boca dos demónios
do Jesso: il termine boca (bocca), mi spiegano gli informatori, ha un significato
molto speciale, indica il luogo in cui al calare del buio si ritrovano i membri del
gruppo per concordare l’azione criminosa da commettere quella notte: aggressione, furto, punizione. Il termine sarebbe stato attinto dal film brasiliano Cidade
de Deus, che è diventato una sorta di manuale
per le gangs di Luanda. Anche questo termine ci
rinvia alle gangs di giovani delinquenti. Termini
più innocui sono quelli già visti: parada, pousada, che, si riferiscono al luogo dove organizzare
una festa.
Altri tag ci informano sulla natura del gruppo. A
Kicolo troviamo lo Staff Yury, la Baleia Squad,
la Brigada São João, la Tropa dos Teimosos,
Family dos odeados, Tribo dos pikantes. Sono
tutti termini collettivi, anteposti al nome del
29
I giovani di Kicolo hanno
battezzato le vie del
loro rione. Qui vediamo
alcuni esempi. Il gruppo
“Capoeristas” marca con
un tag l’entrata nella loro
via. Il gruppo SMF definisce
“favela” la porzione di
rione che controlla. Un
altro gruppo: “Largo
dell’amicizia”.
30
Esempi del genere di
graffito definito “letras”
(lettere) dagli stessi giovani
pittori. In alto a destra uno
stile classico per designare
una gang che vuole incutere
terrore, i “Demoni del rione
Jesso”.
A sinistra un’altra scritta
che imita lo stile gotico: “Al
crimine diciamo no”.
In basso uno stile personale
più corposo e movimentato,
per scrivere la parola
“Justiça” (giustizia).
Afriche 2008/2
gruppo, che vogliono dare un’informazione in più sul gruppo. Staff è un termine
alla moda per indicare gang, gruppo con una certa organizzazione e gerarchia.
Brigada è un termine collettivo non molto usato, ma che indica anzitutto un gruppo abbastanza numeroso, e in secondo luogo dà una connotazione di violenza, di
lotta tra gangs. Come la dà anche il termine tropa (truppa, esercito), di origine
brasiliana, più recente, e il termine Squad. Family e tribo (tribù) sembrano più
neutri, ma ci introducono in un’altra categoria di termini, quelli che indicano
l’associazione di vari gruppi, come quebrada (scritto anche kebrada) e bolão,
entrambi vocaboli del gergo giovanile. Questi ultimi termini collettivi ci confermano che i gruppi giovanili di Kicolo sono agglomerati: attorno al gruppo più antico
e più autorevole, composto di membri d’età più elevata, si raccolgono sottogruppi
più recenti, composti da adolescenti, che riconoscono un rapporto di dipendenza
e promettono lealtà e collaborazione al gruppo maggiore.
La nostra inchiesta, condotta nei tra la metà novembre 2007 e la metà gennaio
2008, ha recensito 213 nomi di gruppi e sottogruppi giovanili. Ma ce ne sono
molti di più non recensiti. Non è stato facile: i vicoli di Kicolo sono infiniti, e
un bianco, anche se accompagnato da un angolano, che fotografa e registra nel
taccuino ciò che legge sui muri, non può passare inosservato, suscita enormi sospetti. Praticamente abbiamo perso più tempo a dare spiegazioni e tranquillizzare
gli abitanti dei rioni, che non a raccogliere dati! In ogni caso 213 nomi di gruppo
ci aiutano già a farci un’idea abbastanza realista. Un primo dato è che il 30% dei
nomi scelti dai gruppi hanno una chiara connotazione negativa; ma la percentuale è più alta se si includono i nomi-sigla o nomi che usano parole delle lingue
angolane. Diamo alcuni esempi: piratas, família agressiva, terrors, brutália,
mafiosos, vampiros, demónios, diabos, taliban. Non c’è bisogno di traduzione per rendersi conto che il gruppo
che si è scelto uno di questi nomi vuole
infondere paura agli abitanti del rione,
o vuole dare un’immagine di sé forte,
pericolosa, temuta. Nei termini e nelle
immagini si richiama la violenza, la prepotenza, la sopraffazione, l’agire al di
fuori della legge. C’è una grande varietà
nei termini: la maggioranza adottano un
aggettivo negativo: odiati, peccatori,
aggressivi, mafiosi, cattivi, furbastri.
Altri adottano un nomignolo che combina un verbo e un sostantivo, spesso
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
31
usando vocaboli dei dialetti angolani: trita-rabo (trita culo),
suja-pés (insozza piedi), zangamaka (guasta feste), pisa-cacos
(tritura cocci di vetro), mandalixo (governa spazzatura)... Molti
gruppi si paragonano a personaggi che incutono terrore: diavolo,
vampiro, pirata. Altri gruppi si
richiamano a un oggetto per darsi
il nome: scure, machete, polvere
da sparo, inferriate della prigione, bomba. In sette casi, perfino animali, feroci
o temibili, sono usati per definirsi: leoni, pit-bulls, gatto selvatico, balena, pitoni. In quattro casi non si esita a ricorrere a nomi di malattie: AIDS (2 gruppi),
HIV, malaria. Un gruppo si è dato il nome di Bentiaba, la prigione più temuta e
famigerata del paese.
■ IL NOME RIVELA LA NATURA DEL GRUPPO
Ma ci sono anche gruppi che vogliono presentarsi in una luce positiva, vogliono
comunicare la loro volontà di rispettare gli altri, di convivere pacificamente; sono
l’8%. Esempi dei loro nomi: amicizia, simpatici, innocenti, appassionati, fenomeni, profeti, brillanti, pace. Non mancano gruppi “impegnati”: i rivoluzionari, i razionali, i coscientizzati. Un gruppo si è dato come nome: No al crimine.
E sul muro lascia scritta una spiegazione: “Prima ci chiamavamo ‘Favela Family’,
ma, grazie a Dio il tempo è passato e la vita continua. Ora siamo felici di chiamarci ‘No al crimine’ e auguriamo buon Natale e felice anno nuovo a tutti i papà
e a tutte le mamme della via”. Non è difficile vederci dietro la storia di un gruppo
che era diventato una gang dedita alla delinquenza, ma che è maturata, ha capito i suoi sbagli e, pur non rinunciando a ritrovarsi come gruppo,
vuole ricostruire i rapporti con gli
adulti del rione e presentarsi con
un nuovo volto. All’inizio del 2008
in alcuni rioni sono apparse scritte simili: No alle droghe, No alla
delinquenza, Alla delinquenza
diciamo no. Sono conseguenza di
una campagna di sensibilizzazione
della Polizia e dell’amministrazione locale, o di una nuova strategia
di “pubbliche relazioni” dei gruppi, mirata a dare una nuova immagine di sé.
Altri esempi di letras: in
alto, una gang abbastanza
temuta a Kicolo, i VIP,
vanta la propria audacia:
“Nessuno ci controlla”.
In basso, un altro gruppo
si ispira alla vita militare:
“Staff della Brigata”;
le fiamme sotto il
nome vogliono incutere
spavento
32
L’altro genere di graffito
è definito “bonecos”,
pupazzi. Qui l’ispirazione
è il calcio e il basket. Nei
vicoli è frequente trovare
un canestro fabbricato
dagli stessi giovani, per
praticare questo sport
molto popolare in Angola.
Afriche 2008/2
Analizziamo altri nomi di gruppo. Il 20% sono sigle, acronimi, neologismi formati dalla composizione delle prime sillabe dei nomi
dei membri. Dietro queste sigle si celano, a volte, i gruppi più pericolosi, gangs di giovani noti delinquenti: B.M. (Bicho Mau, animale feroce), CBL (le consonanti di Cebola, cipolla), D.B. (De bata,
col grembiule scolastico, espressione mutuata dal film Cidade de
Deus), VIP, B13, MISA, CPD (consonanti di chapada, sberla). Usare
una sigla manifesta desiderio di segretezza, di mistero, di esclusivismo.
Dai nomi dei gruppi possiamo ricavare altre osservazioni interessanti: ad esempio che i termini della lingua inglese superano quelli
delle lingue angolane (17 contro 15): song, kiss, king, the best
boys, sexy, black, bad... Troviamo alcuni nomi di città o paesi (8):
Cancun, Brasilia, Baía, Roma, Cacuaco, Jamaica, Brasile, e perfino
Schengen. Il Brasile è il paese più citato, direttamente, o indirettamente. Il secondo paese, a sorpresa è l’Italia: 2 gruppi hanno scelto
come nome mafia, altri 2 mafiosi, 1 Roma e 1 inequivocabilmente
Italianos. TV e cinema fanno da padroni (12 nomi): ritroviamo termini presi da film, da cartoni animati (Pokémon), da telenovelas.
Gli idoli giovanili: primeggia lo sport, basket soprattutto (2 gruppi Chicago Bulls), calcio (Drogba, Davids e l’angolano Zecalanga), 2 cantanti (rap), e un unico
politico: Che Guevara. Non mancano riferimenti alla religione: 2 gruppi si fanno
chiamare “Quelli di Cristo”, e uno “I cattolici”. Un’ultima osservazione curiosa:
i gruppi hanno quasi sempre un nome al plurale, che in portoghese si fa con la -s;
nelle scritte dei gruppi di Kicolo la -s del plurale è diventata $, il segno del dollaro.
Sulla porta di entrata di due piccoli negozi del quartiere Boa Esperança è dipinto:
“In God we trust”, il motto che si trova su ogni banconota nord-americana. Riflesso della fragilità della moneta angolana, o desiderio inconscio di ricchezza, di
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
33
lusso, di potenza che richiama il biglietto verde?
■ GRAFFITO PER ABBELLIRE
E COMUNICARE IDEE
Sui muri di Kicolo non ci sono solo tag, nomi di gruppi
di giovani scritti spesso male e in fretta. Ci sono anche
disegni, graffiti come si usano chiamare. Gli autori di questi disegni li dividono in due categorie: letras e bonecos,
cioè disegni composti da lettere, scritte molto elaborate,
e “pupazzi”, disegni di persone o animali o oggetti, alla
maniera dei fumetti.
Le letras non sono molto difformi da quelle che vediamo
anche qui da noi sui treni o sui muri di fabbriche di periferia. Riproducono i nomi
di certi gruppi, o anche il nome dei proprietari dei muri o degli edifici su cui sono
eseguiti. Ce lo spiega un grafiteiro, un disegnatore di 16 anni del rione Compão,
che si fa chiamare Farofa: “Mi capita spesso di ricevere la richiesta di una persona
che vuole abbellire il suo muro di cinta esterno; vuole che scriva il soprannome
con cui è conosciuto, o un nomignolo che lui stesso si è dato, con grosse lettere,
molto colorate e animate. Mi dà la vernice e i pennelli e mi promette una somma
di denaro. Io gli faccio vedere il mio catalogo, e lui sceglie il tipo. A volte chiede
anche una figura e io la eseguo, ma costa di più. Sotto Natale si fanno vivi anche i
gruppi di giovani della via. Vogliono dipingere o ridipingere la loro parada, farla
più bella degli altri gruppi, vogliono qualcosa che colpisca. Dobbiamo quindi
disegnare il nome del loro gruppo, o un loro motto. Con loro è più difficile farsi
pagare, e quando reclamo, qualche volta mi prendo un cazzotto”.
Un altro grafiteiro, conosciuto come Zinho, di 18 anni, mi spiega che lavora in
gruppo con altri due compagni. Anche loro ricevono proposte di lavoro da proprietari di cortili circondati da alti e lunghi muri: li vogliono decorati, più belli,
vogliono che tutto il rione sembri più elegante. Mi spiega: “Ci sono tre stili per
Un soggetto violento:
la pantera aggredisce la
gazzella.
In basso soggetti più
pacifici: personaggi
dei fumetti, e persino
il simbolo culturale
dell’Angola, la statua del
pensatore.
34
Orfani di un padre
Afriche 2008/2
dell’indipendenza
Come è nato il mito di Che Guevara? Cosa ha fatto trasformare in eroe
della libertà e della giustizia sociale un guerrigliero sanguinario, intollerante,
fanatico e vendicativo?
Sono domande che i giovani di Kicolo non si pongono. Del resto non sono
nemmeno interessati a conoscere la sua vera biografia. Per loro Che Guevara è un simbolo che va al di là della persona. Per questo il suo famoso
ritratto lo si vede dappertutto: su magliette, su camion e taxi collettivi,
perfino nella pubblicità di feste di compleanno.
Per loro Che Guevara è la personificazione di ideali positivi di impegno
sociale che purtroppo non vedono realizzati nel loro quartiere, né promossi
dalla cultura delle classi emergenti di Luanda.
Ho provato a chiedere ai giovani di Kicolo: chi è Che Guevara? Tutti ne
hanno sentito parlare. Solo qualche ragazza più giovane magari risponde: “Sì, ho sentito il suo nome, ma non mi ricordo bene chi sia”. Tutti
rispondono, anzitutto, che è cubano. Nessuno ha saputo citare la sua vera
nazionalità, che è argentina. Cuba, nella cultura popolare, è la nazione
amica per eccellenza, è il popolo fratello, legato indissolubilmente al popolo
angolano dal sangue versato nella guerra civile.
A parte qualche rara eccezione, tutti ne danno un giudizio positivo: “È un
uomo che ha lottato per la liberazione del suo popolo”. “Ha dato la sua vita
per il suo popolo”. “Ha lottato per la libertà”. “Ha aiutato molto i popoli
oppressi”. “È stato un grande rivoluzionario, che ha dato il suo contributo
per l’indipendenza di Cuba”.
La parola indipendenza è forse quella che i giovani intervistati associano
di più a Che Guevara. L’utilizza più di un terzo. L’altra parola associata è
colonialismo. Che Guevara non è mai stato in Angola. In Africa ha avuto
un’esperienza negativa in Congo, nel 1965, durata pochi mesi. Eppure parecchi giovani
hanno risposto: “Che Guevara ha aiutato a combattere il colonialismo portoghese, affinché
l’Angola fosse liberata dall’oppressione”. “Ha contribuito a dare l’indipendenza all’Angola”.
“Ha aiutato l’Angola a sbarazzarsi del colonialismo portoghese”.
Qualcuno arriva perfino a dire: “Ha aiutato Agostinho Neto a lottare contro il colonialismo
e a ottenere l’indipendenza”.
Agostinho Neto è celebrato come il padre dell’indipendenza angolana. Ma non è mai
diventato un mito, tanto meno un simbolo.
Soprattutto è difficile legare il suo nome e il
partito che ha fondato all’ideale della libertà. Nella cultura giovanile delle periferie di
Luanda il suo posto l’ha preso Che Guevara,
il padre dell’indipendenza di tutti i popoli
oppressi, ieri come oggi.
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
disegnare le letras: meccanico, pietra, e geometrico. L’ultimo è il più difficile, il secondo il più facile,
il primo è poco richiesto. A volte il proprietario ci
lascia liberi di scegliere noi le parole. Ad esempio
nell’ultimo graffito ho scritto: giustizia, Dio e calore.
Dalla parola ‘calore’ esce una catena che va a finire
al collo di una persona dipinta a fianco della scritta. Ho voluto rappresentare il dolore della schiavitù
dell’africano, il suo desiderio di liberazione, di giustizia, la sua fiducia in Dio”.
Nonostante la buona volontà dei grafiteiros le loro
scritte risultano il più delle volte indecifrabili, incomprensibili. Non solo a me, ma anche ai giovani
del vicolo a cui chiedevo spiegazioni. Colpiscono
certamente per le forme elaborate, per il loro tentativo di esprimere un sentimento attraverso le contorsioni e deformazioni delle lettere, e soprattutto
per l’uso dei colori.
■ DISEGNI DI TESCHI E DIAVOLI
È più facile tentare una classificazione e una descrizione dei bonecos, dei disegni figurativi, concreti.
Come nel caso dei tag, ce ne sono un’infinità sui
muri dei vicoli di Kicolo. Noi siamo riusciti a fotografarne 96. Oltre a questi ci sono due serie di disegni più estesi e compositi, veri e propri graffiti,
di cui parleremo più avanti. Proviamo a classificare
questi dipinti per soggetto. Lo facciamo un po’ arbitrariamente ed empiricamente, non avendo a disposizione tentativi già fatti da altri. Sono 31 i soggetti
che si riferiscono a scene di violenza, a animali,
simboli o oggetti che incutono timore e terrore.
Come nel caso dei tag, è un terzo dei soggetti che
hanno una connotazione negativa. Diamo alcuni
esempi. 6 volte abbiamo trovato il disegno di teschi
che sormontano due tibie incrociate, ciò che noi
chiamiamo il simbolo di “pericolo di morte”, o il
disegno di una testa trapassata da lato a lato da un
pugnale, con abbondanza di sangue. 8 disegni ritraggono figure mostruose, truculente, che mettono
spavento, come demoni pronti a balzare addosso al
passante, o teste spaccate da un’accetta, o decine di
teschi abbandonati in un cimitero. 3 disegni raffigu-
35
Esempi di pitture murali con soggetti mostruosi e terrificanti,
usati dalle gangs per circondarsi di paura e riverenza
36
Afriche 2008/2
rano più esplicitamente uomini che impugnano una pistola
(e la puntano contro chi osserva) o un kalashnikov; altri 3
ritraggono dei giovani delinquenti armati di bottiglie rotte
o bastoni, in atteggiamento furioso, pronti per colpire. Per
completare questa fosca e truce rassegna: 4 volte sono disegnate delle fiamme, una volta mentre avvolgono una persona,
e le altre sotto il nome del gruppo; in 5 casi sono riprodotti
animali feroci o temibili: un leone, una pantera che azzanna
una gazzella, un’aquila che attacca un uccello più piccolo,
uno scorpione e un toro.
Non c’ è dubbio che questi soggetti sono scelti non dai grafiteiros, ma dalle gangs che praticano la violenza e la delinquenza nel quartiere. Accompagnano spesso il tag, il nome
del gruppo dipinto, per dare più forza, impressionare di più,
distaccare il proprio gruppo dagli altri, circondarsi di una
fama di audacia, di brutalità, di potenza.
■ GLI IDOLI GIOVANILI DELLO SPORT
I graffiti riproducono anche
gli idoli della gioventù delle
periferie: cantanti rap e
reggae.
“Nero è colore. Negro
è razza”, si legge qui
sopra. Sotto: “Bob Marley
– simbolo dell’Unione
Africana”.
E DELLA MUSICA
Accanto a questi soggetti, ce ne sono altri 11 che richiamano il mondo delle arti marziali. Solo in un caso si vede un
lottatore di karaté in azione. Negli altri casi si riproducono
dei simboli che richiamano la Cina, Hong Kong e l’estremo oriente: ideogrammi, dragoni, elementi decorativi di tipo orientale. Come in tutta l’Africa, anche a
Luanda i giovani vanno pazzi del kung-fu, del karaté e della kickbox. Nelle salette
di proiezione delle video-cassette o dei DVD questo genere ha sempre grande
successo. Non è necessariamente un richiamo alla violenza, alla lotta cruenta e
spietata tra gangs. In Angola da molti anni si pratica una danza chiamata kuduro,
che è un’imitazione della capoeira brasiliana. Quest’ultima è sorta quasi tre secoli
fa ad opera degli schiavi africani, fondendo danze tribali con arte marziale, accompagnata da
una musica molto ritmica e convulsa. I padroni
brasiliani la temevano e la proibivano. Benché
sia il ballo preferito dalle gangs, molti giovani
praticano il kuduro, per la prova di forza e agilità che richiede, senza indurre necessariamente alla violenza.
Più della metà dei soggetti raffigurati dai grafiteiros non ha un carattere negativo. In 20 possiamo ritrovare dei temi legati alla cultura Hip
Hop, mentre altri 31 si riferiscono a vari soggetti più legati all’immaginario giovanile. Diamo
alcuni esempi. Sono numerosi i ritratti (busto,
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
figura intera o volto) di giovani neri con orecchino all’orecchio,
spinello in bocca, vistose collane al collo, tatuaggi, abbigliamento
tipico: sono gli afroamericani che hanno lanciato il movimento Hip
Hop e l’hanno proposto a tutti i giovani neri come una forma di
protesta e di affermazione della propria identità. Sono pure abbondanti i disegni di DJ alle prese con vari giradischi, o microfoni in
libertà, e c’è persino un roboteiro, il venditore ambulante con la
carriola piena di CD piratati. Non manca Bob Marley e la Jamaica.
Si deve osservare che questi soggetti legati all’Hip Hop sono più
rappresentati nel rione Boa Esperança, e meno negli altri. Le interviste realizzate a grafiteiros e ai giovani abitanti del rione ci hanno
rivelato il perché: a Boa Esperança operano gruppi che hanno fatto
dell’Hip Hop la loro bandiera e il loro stile di vita.
Altri soggetti sono lo sport, i motori, Gesù, i personaggi dei fumetti
e altri ancora tra i più svariati: il ‘pensatore’, simbolo nazionale,
un giovane studente, una massaia, il cuore trafitto dalla freccia, la bandiera brasiliana. Da ultimo sottolineiamo 6 disegni a carattere “impegnato”, politico: 4
ritrattano persone con catene al collo e ai piedi, o dietro le sbarre della prigione, e richiamano il tema della libertà dalla schiavitù e dal colonialismo; altri 2
sorprendentemente ritraggono un corteo di protesta, con cartelli che reclamano
democrazia e fine della corruzione. Siamo riusciti ad intervistare l’autore di uno di
questi, il grafiteiro Sami2: si veda il riquadro. Un caso a parte è il famoso ritratto
di Che Guevara, che abbiamo visto riprodotto 4 volte sui muri. Ne parla diffusamente un altro riquadro.
■ DA DOVE SI PRENDE ISPIRAZIONE?
Quali sono le fonti di ispirazione di questa variegata rassegna di dipinti? Le più
diverse e imprevedibili. Come ad esempio copertine
di CD musicali di musicisti rapper e reggae, americani
ma anche angolani: è da lì che si copia il look e il contesto sociale Hip Hop. Le copertine dei DVD dei film di
kung-fu, di violenza urbana, di lotta tra CIA e terroristi, di cartoni animati offrono altri soggetti interessanti
da illustrare sui muri dei rioni di Kicolo. Non è difficile procurarsi questi “cataloghi”: il mercato di Kicolo
abbonda di venditori di CD e DVD. Un’altra fonte di
ispirazione per i nostri grafiteiros sono i mosaici del
moderno monumento al primo presidente angolano,
Agostinho Neto: vi sono raffigurate persone incatenate
o imprigionate, che ritroviamo quasi uguali sui muri
di Kicolo. I grafiteiros affermano pure di essersi fatti
le loro raccolte di soggetti a partire da immagini e
foto tratte da riviste e libri. Ma non tutto è copiato: la
37
Le videocassette dei film
di arti marziali hanno
ispirato questi graffiti,
che riproducono simboli
dell’estremo oriente.
2): Tutti i nomi di giovani
citati nell’articolo sono
stati alterati.
38
Alla base del monumento
a Agostinho Neto, padre
della nazione, è stato posto
un grande mosaico. Le sue
immagini hanno ispirato
vari grafiteiros, colpiti
dal simbolo delle catene
(schiavitù antica e moderna)
e delle grate di una prigione
(repressione coloniale
e oppressione politica
attuale).
Il graffito al centro riproduce
una scritta: “le grate non
potranno mai imprigionare i
nostri pensieri.”
Afriche 2008/2
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
39
fantasia e la creatività di ogni artista è la miglior ispiratrice.
Spendiamo un’ultima parola circa sulla forma di questi graffiti.
Sono molto diversi tra di loro non solo per i soggetti rappresentati,
ma anche per la qualità del materiale utilizzato e la capacità del pittore. Alcuni disegni colpiscono per l’esattezza delle proporzioni, per
l’espressività, il tocco personale dell’autore. Altri sembrano esercizi di scuola, o tentativi di pittori alle prime armi. Ci sono pitture
che resistono per anni, perché il supporto, il muro, è solido, non
è intaccato dall’umidità, la pittura di fondo e la vernice del disegno
è abbondante e di ottima qualità. Ce ne sono altri che alla prima
pioggia cominciano a sbiadirsi. Prima o poi, in ogni caso, una mano
di vernice nuova sul muro è destinata a cancellare dalla visione e
dalla memoria queste opere. Ci sono buoni pittori i cui graffiti sono
copiati su altri muri; altri pittori più inesperti vengono sbeffeggiati
con frasi ironiche scritte sopra i suoi disegni. In ogni caso il graffito
è un’arte precaria e fuggevole, è fatta per trasmettere un messaggio
visivo del presente e nel presente, deve impressionare il passante
distratto e prevenuto, è arte del popolo per il popolo.
■ DISEGNARE GRAFFITI NON È UN MESTIERE
Continuiamo a conversare con i grafiteiros per udire da loro il significato che
danno a questa loro espressione artistica. È facile trovarli insieme ai loro amici, seduti vicini alle proprie opere. Quasi tutti hanno abbandonato la scuola per
mancanza di soldi, adesso sono disoccupati, si devono arrangiare. Superata la
prima diffidenza accettano volentieri di parlare, non in strada però,
ma seduti nel cortile di una casa, e mai soli, ma sempre in compagnia
degli amici. Voi dite che la vostra è arte, ma cosa è per voi l’arte? T.J.,
21 anni, risponde: “È immaginazione, è un mezzo per raggiungere
i miei obiettivi”. Leu, 20 anni: “È liberare i miei sentimenti, farli
passare da dentro di me a fuori di me”. Bebè, 18 anni: “È vita, e
attraverso l’arte impariamo che la vita dei nostri antenati e i loro
valori devono continuare a vivere in noi”. Sami, 24 anni: “È una
forma di educazione del popolo, di protesta sociale”.
Nessuno di loro ha visto dei veri quadri di una galleria d’arte; solo
Bebè è andato una volta al mercato di artigianato africano di Benfica,
un quartiere di Luanda, dove si vendono quadri per i turisti.
Abbiamo parlato con 12 grafiteiros. Tutti hanno un’età compresa tra
16 e 22 anni, tranne uno di 14 e un altro di 24. Tutti hanno frequentato la scuola, almeno fino alla 3a media, meno uno che si è fermato
alla 1a media. Tutti dicono che hanno imparato da un compagno più
grande, un mestre, ma fin da piccoli piaceva loro disegnare, sentivano di avere questa dote naturale. Nessuno ha fatto una scuola d’arte
figurativa, perché non ne esistono. Fanno disegni anche su carta in
Due grafiteiros di Kicolo,
mostrano i bozzetti per
un possibile graffito, uno
a soggetto religioso e
l’altro che ritrae il primo
Presidente dell’Angola.
40
Afriche 2008/2
Dallo schermo al muro: i media nei graffiti
La televisione e il cinema sono una fonte di ispirazione per
le gangs di Kicolo. I giovani ne traggono, oltre che la moda
dell’abbigliamento e del gergo giovanile, anche modelli di
comportamento.
Tra il 2002 e il 2003 ebbe un’enorme risonanza la telenovela brasiliana
Malhação. Essa
trattava della vita
di alcuni adolescenti di Rio de
Janeiro: scuola,
divertimenti, incomprensioni con
i genitori, esperienze sentimentali. Questa serie fu
trasmessa in un momento particolare della storia angolana:
erano i primi mesi di pace, dopo una guerra civile durata
25 anni. Giovani e adolescenti nel tempo di guerra avevano
la mente occupata da problemi vitali: mancanza di cibo,
arruolamento forzato, attacchi dei guerriglieri, scuole chiuse.
Malhação fece sognare gli adolescenti angolani, restituì loro
questa fase della vita che la guerra aveva strappato. La vita
dei protagonisti, Hericles e Isabella, Dado e Luisa, Vudù e
Patricia diventò un modello: il loro modo di vestire, la loro
spensieratezza, le loro preoccupazioni, le loro idee sulla
sessualità, il loro mondo opposto al mondo degli adulti.
Nel 2003 cominciarono a circolare a Luanda videocassette
del film brasiliano Cidade de Deus. Racconta la vita di Zè
Pequeno e Bené, due ragazzi delle favelas, di come organizzarono le loro gangs e diventarono piccoli delinquenti. Venti
anni dopo: i protagonisti sono diventati rivali, e lottano per
il controllo della malavita e del traffico di droga nella favela.
Il film è molto realistico, descrive con crudezza la violenza
quotidiana nelle favelas e fa un ritratto fedele della vita dei
giovani delinquenti.
Cidade de Deus è diventato una specie di manuale per i
gruppi di giovani delle periferie di Luanda.
“È stato considerato come una delle principali fonti di
ispirazione dei più svariati gruppi di giovani che seminano
il terrore a Luanda. In questo film si vedono adolescenti
che praticano il crimine alla luce del giorno contro giovani
e adulti, senza nessuna pietà. Situazioni che si vivono nella
realtà anche in Angola. Per praticare le loro azioni criminose
le Squad, termine adottato dal film, usano, come nel film,
bastoni, sbarre di ferro, coltelli, bottiglie, e perfino armi
da fuoco. Alle fermate dei bus, i discepoli di Zé Pequeno
realizzano le loro macabre azioni non appena si accorgono
che un passeggero possiede un telefonino o porta gioielli
di valore. Per mimetizzarsi in mezzo alle loro vittime le
gangs angolane usano uno stratagemma appreso dal film:
vestono grambiuli di scuola e portano cartelle da studente,
per farsi credere alunni. Ma nelle cartelle nascondono le
loro armi”1. Nei graffiti di Kicolo troviamo delle tracce di
questo film: la scritta cidade baixa e cidade alta, i nomi che
le gangs avevano dato ai rioni della favela Cidade de Deus
che ciascuno controllava. Il termine squad è tuttora usato
per definire il gruppo.
Una delle gangs più violente e pericolose di Kicolo si è data
come nome B13. Da dove viene questo nome? Anche qui i
media sono responsabili. Nel 2004, nelle baracche dove si
trasmettono film in videocassetta, faceva furore il film Banlieu
13. Era ambientato in una delle periferie più degradate e
violente di Parigi, dove Taha e la sua banda commettevano
41
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
ogni tipo di sopruso. Leito si ribella e comincia a lottare contro Taha, che gli rapisce la sorella Lola. A condire la storia
ci sono anche la Polizia corrotta e politici cinici e affaristi.
Sembra la trasposizione di una delle periferie di Luanda.
Nel 2007 la TPA, televisione pubblica angolana, tuttora unica rete, cominciò a trasmettere la telenovela messicana Rubì.
Come Malhação, è trasmessa alle 18, nella fascia oraria
più seguita dai giovani. Racconta di una ragazza nata in un
quartiere povero della città di Cancún, orfana di padre, che
è determinata a diventare ricca. Ambiziosa e spregiudicata,
bella e seducente, fa la sua scalata sociale, legando a sé
uomini che non ama, ma che gli servono solo per accedere
al mondo di lusso e di potere che aveva sempre sognato da
ragazza. Anche Rubì ha lasciato il segno sui muri di Kicolo:
in vari rioni appare il nome della città di Cancun, o il nome
di Rubì. In genere sono scritte di critica e di rifiuto: “Rubì,
fuori dalla nostra via”, “Rubì, basta con i tuoi trucchi”. È
interessante: i giovani delle gangs considerano le ragazze
oggetti e trofei, e le vogliono sottomesse e attraenti. Rubì
è simbolo di intraprendenza femminile, di negazione del
ruolo di “donna del capo”; è lei che si sceglie il suo uomo;
sa come fare per sottomettere gli uomini alle sue ambizioni.
È un modello pericoloso per le ragazze di Kicolo, e i giovani
delle gangs si mobilizzano per denigrarlo!
Sui muri di Kicolo, 3 gruppi si sono firmati De Chok: è
una deformazione del titolo del film Chok Dee, che racconta la vita di un giovane detenuto diventato campione di
kickboxing, un’arte marziale orientale. Anche il disegno di
un dragone rimanda alle arti marziali, al film The Dragoon
di Bruce Lee.
(1) Edizione del settimanale Angolense del 18 /4/2006.
42
Proverbi letti sui muri di
Luanda: “Sarà che essere
giovane è un crimine?
Perché?”. “Chi vince una
battaglia non vince la
guerra, e chi insulta gli
altri non solo è stupido,
ma ha anche paura”.
“Chi pensa molto, poco
realizza”.
Afriche 2008/2
casa, e li raccolgono, come ci mostrano Bebè e Zinho
nelle foto accanto.
Cosa pensa la gente dei vostri disegni? Zinho: “Alla gente
piacciono, ci loda, ci incoraggia a continuare”. T.J.:
“Ci permettono di usare i loro muri. Vogliono essere
informati sul significato della scritta o del disegno,
quando non la capiscono; vogliono essere rassicurati
che non sia un mezzo per promuovere la delinquenza”. Figuereido, 19 anni: “Dicono che disegnare è una
cosa buona per la società. Mi sento orgoglioso quando
la gente loda i miei disegni, quando riconosce che ho
delle capacità”.
Toy, 22 anni, ci spiega la sua tecnica e i materiali che
usa: “Devi prima scegliere il soggetto, prendendolo da un disegno o una foto.
Poi devi preparare la parete, pitturandola di bianco. I contorni e la bozza si
fanno con pittura nera ricavata dal liquido delle pile usate. Quando sei ancora inesperto i contorni li traccia il mestre, e tu poi riempi con i vari colori.
Devi avere una corda che ti serve da compasso, e un righello. Poi della vernice
tipo smalto, di buona qualità, per durare tanto tempo, e di vari colori. Ci
vuole esperienza per mischiare i colori e ottenerne dei nuovi. E poi i pennelli,
anche questi di buona qualità, altrimenti hai difficoltà ad eseguire il disegno.
Non eseguo mai il lavoro da solo. I miei compagni del gruppo partecipano,
mi aiutano a preparare i colori, danno consigli e opinioni. Si lavora insieme dalle 6 del mattino alle 3 del
pomeriggio”.
■ UN PROVERBIO SUL MURO
I muri di Kicolo rivelano qualcosa di originale: non solo
scritte e disegni, ma anche frasi, che sono veri e propri
proverbi e massime. La cultura orale africana è intessuta
di proverbi, e da questa cultura non possono staccarsi i
giovani. E sono massime e proverbi che esprimono solo
messaggi positivi. Mentre tag e graffiti sembravano essere dominati da riferimenti alla violenza, alla prepotenza
delle gangs, questi proverbi invitano a riflettere sulla vita,
sui rapporti con gli altri, sulla natura dell’uomo.
Attraverso queste massime i giovani sembrano inviare un
chiaro messaggio agli adulti: “Sarà che essere giovane
è un crimine? Perché?” (letto sui muri dei rione Compão). Genitori, non abbiate pregiudizi su di noi, cercate
di capirci, non fate di ogni erba un fascio: “Perché siamo
molti, molte volte siamo confusi” (Compão). E tentano
di mostrarsi superiori alle critiche e ai pregiudizi: “Dio
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
perdoni chi parla male di noi” (Essanju); “Chi ci vede parla bene di noi, chi
ci conosce parla meglio” (Boa Esperança). E rivendicano il diritto di essere se
stessi, in quanto giovani: “Non siamo ciò che dicono, siamo ciò che siamo”
(Gruppo Zangamaka, rione Balumuka); “Ci rifiutiamo di essere ciò che voi
volete che fossimo. Siamo ciò che siamo” (Gruppo Cidade de Cacuaco, Boa
Esperança). Un gruppo chiamatosi Os Teimosos (i testardi, ostinati) si sente nel
dovere di evitare fraintendimenti sul loro nome: “Non ci ostiniamo nella cattiveria, ma tentiamo di affrontare ciò che dicono essere difficile”. Attraverso
questi messaggi i gruppi di giovani pacifici vogliono che sia riconosciuta la loro
particolarità, vogliono distanziarsi dalle gangs, non essere confusi con esse.
Questi gruppi pacifici, per mezzo dei proverbi, lanciano messaggi anche ai coetanei che operano nelle gangs: “Chi ama la disciplina ama la conoscenza, ma
chi odia il rimprovero è irrazionale”; “La superbia senza la conoscenza vale
zero, meno di un cane morto” (Boa Esperança, gruppo 3ª Divisão). La gang
VIP scrive: “Nessuno ci controlla”; poco lontano gli risponde il gruppo Roma:
“Chi vince una battaglia non vince la guerra, e chi insulta gli altri non solo
è stupido, ma ha anche paura”. E conclude il gruppo Línguas:”La mente è un
campo di battaglia: in essa noi siamo soggetti ad avere varie
idee costruttive e distruttive”.
Il gruppo 3ª Divisão, giovani che vogliono promuovere gli
aspetti positivi della cultura Hip Hop, ha lasciato sui muri slogan di protesta politica:”Pazienza di un popolo che aspetta da
tempo il buon governo!”; “Abbasso la corruzione”. Ma anche
messaggi pacifisti:”Pace, libertà e amore”; “Non limitarti alla
musica di moda, procurati la musica per la tua anima”.
Altri due gruppi del rione Boa Esperança amano scrivere proverbi sui muri. Uno è molto recente, dice di non aver ancora
scelto un nome. È formato da ragazzi Testimoni di Geova, che
hanno trascritto proverbi dalla Bibbia ai muri. L’altro si chiama
43
Il graffito di un gruppo
composto da giovani
Testimoni di Geova, che
riproduce due proverbi
biblici: “Il pigrone va dalle
formiche per vedere come
lavorano”; “L’uomo che ha
molti amici deve mostrarsi
amichevole, ma avrà sempre
un amico che considera più
intimo di un fratello”.
Un gruppo ha scelto come
nome “Os Teimosos”, cioè:
gli ostinati. Ma con una
massima vuole evitare
equivoci: “Non ci ostiniamo
nella cattiveria, ma
tentiamo di affrontare ciò
che dicono essere difficile.”
44
Graffiti e rivoluzione
Sami è un grafiteiro speciale. Degli intervistati è l’unico
che abbia il diploma di scuola superiore. Oggi ha 24 anni
ed è disoccupato, ma gli piacerebbe studiare all’università
per diventare avvocato o giornalista. Nel 2002 ha fondato
un gruppo di giovani chiamato “Terza Divisione”. Spiega
che non ha niente a che vedere con la simbologia militare.
Nel gruppo i membri sono divisi in vari settori: musica, arte
plastica, danza, arti marziali.
“Non limitarti alla musica di moda, procurati la musica per l’anima”.
Quando e come hai cominciato a dipingere graffiti?
Sami: Fu nel 1999. Andavo a scuola a Cacuaco, e un
compagno mi ha insegnato un po’ di disegno, e con lui ho
cominciato a fare dei graffiti.
Perché fai i graffiti?
Lo faccio per esprimere i miei sentimenti, ciò che penso.
Afriche 2008/2
Dipingo sui muri perché non ho una galleria d’arte in cui
esporre i miei quadri. I muri lungo le strade sono visti
da molta gente. Ma lo faccio anche per un fine sociale: il
graffito è una forma di educazione popolare e una forma
di protesta.
Che messaggio esprimi tramite i graffiti?
Un messaggio rivoluzionario: voglio esprimere l’insoddisfazione mia, dei giovani, del popolo, verso il governo, per la
mancanza di scuole, di lavoro, per il mal governo.
È quindi un messaggio anche politico: avete contatti con
i partiti?
No, e neanche vogliamo averne. Certi partiti sono venuti a
cercarci, ma noi ci siamo rifiutati di legarci a loro. Un partito
ha come fine il potere, governare il paese. Noi siamo grafiteiros, siamo un movimento che ha come fine di denunciare gli
abusi dei partiti, di risvegliare la coscienza della gente, del
popolo. Qui in Angola si confonde partito e politica. Tutto
deve passare attraverso il partito che è al potere. Non c’è
la mentalità della politica come formazione delle coscienze,
politica per risvegliare l’interesse del popolo: tutto si riduce
a concentrare il potere in poche mani. Chi è al potere tende
a corrompere gli elementi più innovativi e dinamici della
società. Ti danno denaro per tacere. Per questo non vogliamo
avere niente a che fare con i partiti.
Ma la gente accusa i giovani che fanno graffiti di essere in
fondo dei delinquenti.
Noi apparteniamo al movimento Hip Hop, e non c’è nessun legame tra Hip Hop
e delinquenza. Nel nostro
gruppo non ammettiamo
giovani che si drogano o
che rubano. Il problema dei
gruppi giovanili di Luanda
è l’ignoranza, la mancanza
di formazione scolastica. Il
livello scolastico dei giovani
delinquenti è molto basso,
e usano la violenza fine a
se stessa. Pensano che la
violenza sia l’unica soluzione
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
ai problemi della gioventù. Ma un giovane formato nell’ideologia Hip Hop diventa un educatore sociale.
Voi aderenti all’Hip Hop siete organizzati a livello di
Luanda?
No, ci sono solo scambi e contatti informali. Questi scambi e
contatti ci aiutano ad approfondire le nostre conoscenze del
movimento. Circolano anche alcuni libri, ma è soprattutto
tramite Internet che è possibile raccogliere documenti e
testimonianze.
Vi sentite perseguitati dalla Polizia?
La Polizia ci impedisce di fare dipinti sui muri, perché dice
che è illegale. Non gli piacciono i messaggi socio-politici che
trasmettono. I giovani vorrebbero esprimersi, ma non hanno
mezzi e condizioni. Scelgono il muro, ma la Polizia dice
45
che è illegale. Esiste la povertà, e con i graffiti noi vogliamo
denunciarne le cause, ma la Polizia è parte del regime, e non
vuole rimuovere le cause della povertà. Ma noi non abbiamo
paura della Polizia, facciamo le nostre pitture di giorno, e
non di notte come altri.
Ci spieghi il graffito Afrikka?
I colori del disegno sono quelli dell’OUA, Organizzazione
dell’Unità Africana: giallo per indicare la nostra ricchezza
minerale, verde per indicare la vegetazione rigogliosa del
nostro continente, e rosso per indicare il sangue versato per
conquistare l’indipendenza. Le due “k” sono solo per richiamare l’attenzione, per darle qualcosa di originale, espressivo.
Le parole: suono, potere, parola, sono i tre principi creatori,
i tre principi di ogni realizzazione artistica.
46
Afriche 2008/2
Os Tugas,che è il nomignolo dato ai portoghesi. Dicono che l’hanno scelto perché
a loro piace la moda e la musica portoghese. Sulle pareti della loro via hanno scritto decine di proverbi, che, dicono,
hanno inventato loro. Eccone alcuni, firmati
da Miax, Jerry, Dadica, Tina: “Sogna con la
vita, ma non perdere la vita per un sogno”;
“Oggi è un giorno come gli altri, ma il tuo
sorriso potrà renderlo differente”; “Si impara poco con la vittoria, e molto con la
sconfitta”; “La vita è come un sogno che
nasce in ogni cuore, e cresce con l’immensa volontà di camminare alla ricerca di un
ideale”. I Tugas sono una ventina di ragazzi
e qualche ragazza, vanno a scuola, si ritrovano per organizzare qualche festa, per pulire
la via dall’immondizia, per praticare sport.
■ LA GALLERIA D’ARTE DI Kicolo
Graffito dal titolo
“fede”, quadro del
complesso “Bermuda”.
Volti raggianti, sole
che splende su un
paesaggio rurale, luce
che emana da una
chiesetta. Nostalgia
di una fede semplice
e gioiosa, impossibile
in città?
Quadro del complesso
“Caboco Sangrento”.
Agli estremi il diavolo
e un crocifisso
capovolto. In mezzo
un uomo trafitto e
insanguinato sembra
fuggire dall’abbraccio
del diavolo.
L’ultima tappa del nostro viaggio per i vicoli
di Kicolo lo dedichiamo a due composizioni di disegni e scritte che, per forma ed
elaborazione, sono più simili ai graffiti che giovani europei dipingono sui muri di
periferia. Non sono legati a un gruppo, e il graffito non è stato commissionato da
un gruppo. Sono espressione della libera creatività personale. Uno è stato realizzato da un gruppo di grafiteiros coordinati da Derlé sui muri di una piazza che è
conosciuta come Bermuda. Sono varie scene introdotte dalla scritta “Breve storia
di Arte – Mini Galleria di
Graffti”. Purtroppo non
siamo riusciti a intervistare nessuno degli autori. A
sinistra troviamo la prima
scena: quattro uomini seminudi, sofferenti, e legati da catene; una piccola
scritta appena leggibile,
dice: “schiavitù” (vedi a
pag. 38, in basso a destra). Poi ci sono due volti
deformati, che si guardano minacciosi, uno armato di pistola, l’altro con un
microfono in mano; una
scritta dice: “esistenza”.
Il terzo è più elaborato e
Graffiti di Luanda e gangs giovanili
mostra dei poliziotti armati che
si oppongono a manifestanti;
lo sfondo è significativo: dietro
ai poliziotti ci sono i grattacieli
del centro-città e dietro i manifestanti baracche della periferia.
E la scritta dice: “giustizia” (vedi
pag. 7). L’ultima scena della prima parte mostra una donna che
si dirige verso una chiesa con i
3 figli; dalle loro teste s’irradia
luce, come anche dalla porta e
dalle finestre della chiesa. Lo
sfondo: un sole che risplende
alto sulle montagne che richiamano l’interno dell’Angola. La
scritta dice: “fede”.
La seconda parte ha delle scritte cubitali e contorte, che non siamo riusciti a decifrare, poi c’è un disegno incompiuto, introdotto dalla scritta “Umiltà”. La terza
parte è la più imponente. A sinistra ci sono delle scritte: “La libertà non sarà mai
data dall’oppressore – deve essere conquistata dagli oppressi” e “Un paese
senza giustizia è utopia”. A destra c’è un enorme affresco di circa 6 metri, che
raffigura delle bare, dei teschi e altre ossa da morto dispersi per terra, alcuni
scheletri; due scheletri tengono in mano dei microfoni e stanno cantando, e uno
di essi sta armeggiando a un giradischi. Non siamo riusciti a decifrare la grande
47
Scheletri cantano musica
hip hop in un deserto
desolato. Ritratto di
una gioventù bruciata,
prigioniera di un mondo
di morte?
48
Afriche 2008/2
scritta a caratteri contorti che sovrasta la scena.
Non è facile dare un’interpretazione unitaria a quest’opera: possiamo ritrovarvi
vari messaggi di protesta e di disagio, non solo verso il potere e la società attuale,
ma anche verso la gioventù di Luanda, prigioniera di un mondo di morte. La scena
della chiesa richiama, forse, il rimpianto per un mondo semplice e puro che la
guerra e la conseguente immigrazioni in città hanno distrutto per sempre.
Altro quadro del graffito
Caboco Sangrento. Il
cantante hip hop è a
terra, stanco e solo.
Prostrato dalla droga e
dall’alcool? La sua grossa
radio è rovesciata, forse
rotta. Fine di un sogno di
rivolta?
Il secondo grande graffito era ancora in fieri nei giorni in cui è stata condotta
l’inchiesta. È stato realizzato su un lungo muro di cinta lungo la disastrata strada
che porta al mercato di Kicolo. Anche qui non abbiamo incontrato gli autori,
perché vivono distanti, non appartengono a un gruppo, e il graffito non è il “logo”
di un gruppo. Il loro capo sembra chiamarsi Anis. Il titolo del graffito è Kaboco
Sangrento, cioè basamento insanguinato. Ma, mi spiegavano altri grafiteiros che
vengono qui per ispirarsi e imparare, non si riferisce alla violenza. È uno stile
dell’arte dei graffiti, ermetico, che non esprime palesemente i suoi messaggi. La
prima parte ritrae un cantante Hip Hop semi-sdraiato, accanto a casse acustiche e amplificatori. L’altra parte non è ancora terminata, ed accosta una persona
crocifissa a testa in giù (che non sembra il Cristo), un’altra con varie ferite e in
piena corsa e un demonio in atteggiamento trionfante. Sullo sfondo delle scritte
contorte non ancora concluse, non decifrate. Lasciamo al lettore, se è arrivato fino
in fondo,il compito di proporre la sua interpretazione...

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