«Dove sei finito, grand frère?» «Sono andato in giro a guardarmi
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«Dove sei finito, grand frère?» «Sono andato in giro a guardarmi
«Dove sei finito, grand frère?» «Sono andato in giro a guardarmi intorno». «Sta attento, non è così che si fa. Meglio non andare in giro, perché qui dobbiamo vivere nascosti. Non abbiamo il permesso di soggiorno. Ci facciamo passare per turisti. Ma tutti lo sanno che non siamo turisti, che andiamo nelle spiagge a vendere. Questo è vietato. Proibito. Se tu te ne vai in giro così, può capitare che uno zio ti veda e ti fermi. E se ti ferma, ti porta in caserma e ti dà il foglio di via. E quando ti ritrovi con il foglio di via, caro "grand", devi lasciare il paese. Altrimenti, se ti pescano ancora, ti mandano in carcere. Hai capito bene? Devi stare attento. Quando esci di casa, devi guardarti attorno e assicurarti che non ti stia aspettando la macchina degli zii.» […] Così una mattina i due ragazzi mi svegliano. Dobbiamo prepararci per andare ad acquistare la merce a Rimini. Siamo in tre. Esce per primo il ragazzo che conosce bene la strada. Io gli sto a una cinquantina di metri. Il terzo, che è pratico, segue un altro percorso. Ci ritroveremo alla fermata dell'autobus, senza farci vedere insieme. Bisogna aspettare nascosti dietro i cespugli e poi, all'arrivo dell'autobus, saltar fuori e salire su di corsa. Così se uno zio ci scopre, non riesce a bloccarci tutti e tre: se acchiappa uno di noi, gli altri due possono ancora svignarsela. Anche a Rimini è sempre la stessa storia: uno avanti, uno dietro, un terzo per un'altra strada, con gli occhi attenti a individuare uno zio e insieme un possibile nascondiglio, un bar o persino un albero o un cespuglio. Sarebbe stato sempre così anche in seguito. Raggiungiamo un negozio, il negozio di un eritreo, che ha sposato un'italiana. Vende all'ingrosso, ma vende pure a noi, perché siamo in tanti e gli torna comodo. Anche se per rispetto dei regolamenti non dovrebbe e potrebbe avere qualche noia con i vigili. Una multa, una contravvenzione... Ma no, i nostri soldi sono buoni e sul nostro commercio chiudono tutti un occhio. E poi i ragazzi mi avrebbero presto fatto conoscere un altro negozio, sempre a Rimini, poco distante dall'altro. Il padrone era una brava persona. Qualche volta ci vendeva a credito. Era un vigile urbano. Collanine, bracciali, orecchini, famiglie di elefanti, corna intarsiate, aquile d'osso o finto osso entrano nelle borse degli amici. Io resto per un po' a guardare. Alla fine compero quel che prendono gli altri. Solo un po' meno, per prudenza. E’ ora, dicono. Cominciamo da una spiaggia vicina, quella di Misano. «Sta' attento ai vigili e ai poliziotti. Sono vestiti così e portano il cappello così, con la visiera dura come i militari». Comincio. Dopo Abidjan, Riccione. Solo che qui mi capita di dover scappare sempre. Una fuga dopo l'altra. I miei carabinieri, i miei vigili sono in agguato dietro ogni ombrellone. Non c'è un lembo di spiaggia dove posso vendere tranquillo: faccio pochi metri e mi trovo davanti un vigile. Altri pochi metri — una collana venduta — e dall'ombra sbuca un vigile. Sto attento, molto attento e così riesco sempre a cavarmela. Ma non so fino a quando. Vendere strisciando dietro gli ombrelloni è un'impresa i non da poco. Mi andò bene anche quando andai a sbattere con la mia merce a tracolla proprio contro un vigile. Tremavo dalla paura, non sapevo che fare. Lo guardai: alto, con i pantaloni corti, la maglietta bianca e il solito cappello con la visiera dura. Ma lui non fece niente. Non che non mi avesse visto. Mi aveva visto, ma si era scansato, come per lasciarmi passare. Dio mio. Rimasi fermo, finché lo vidi andarsene, poi lentamente mi mossi anch'io. Piano, verso casa. Quando fui sicuro che non mi poteva vedere più, me la diedi a gambe. Raccontai la storia agli amici. Avevo fatto la conoscenza con il bagnino del Lido Splendor. Capii che i bagnini non erano zii e che ci lasciavano fare, perché eravamo ancora pochi. […] Sono sempre a Milano, mentre la neve si scioglie, in compagnia della paura. Ogni giorno vendo, con un guadagno che oscilla tra le dieci e le sessantamila lire. […] Proprio in quei giorni matura l'idea. Discutiamo io e Sal e alla fine decidiamo: «Perché invece di andare in giro a cercare la gente per vendere, non ci sistemiamo con la nostra merce dove la gente passa a qualsiasi ora? E che cosa c'è di meglio di una stazione della metropolitana?». Vado alla stazione di piazzale Lotto a controllare: sì, c'è un bel movimento. Io e Sal scegliamo Lotto. Il nostro Falou e Mordiarra preferiscono le stazioni di Pasteur e Turro. C'è un altro che ha avuto la nostra stessa idea: si chiama anche lui Falou e va ad esporre le sue mercanzie a Sesto Marelli. Ora staremo a vedere. Il primo giorno, una volta sistemati ben bene nella nostra stazione, mi sembra sia arrivato il momento di andare a fare un po' di spesa per la cena: «Sal, ti affido la mia roba». Vado al supermercato e poi torno. Non c'è più niente e nessuno. Né la merce, né Sal. Faccio il giro della stazione. Niente. Chiedo a un napoletano che era lì a vendere anche lui e neanche mi risponde. Mi decido a uscire e intravvedo Sal dentro una macchina con tre uomini. Non so che cosa fare: non è una macchina della polizia o dei carabinieri. Penso che sia meglio ritirarsi. Dopo un paio d'ore Sal riappare: «Mi hanno sequestrato tutto. Erano vigili urbani in borghese». «Non importa Sal. Quello che conta è che non ti abbiano dato il foglio di via»; Ma ero k.o. Non era mai capitato che mi sequestrassero la merce. E lì c'erano duecentomila lire di merce. Ma avanti: ho ancora qualche soldo. Compro un po' di merce e faccio a metà con Sal. Mi rimangono centomila lire, che mi ficco bene in tasca. E’ una giornata tiepida d'aprile. La gente sembra risvegliarsi, la folla è vivace. «Guarda Sal quanta gente. Mi sembra felice, senza problemi. Pensa un po' Sal se fossimo in Africa...». Siamo diretti con la metropolitana a Gorgonzola. Scendiamo lì e ci guardiamo attorno indecisi. Caccio una mano nella tasca e lancio un urlo: «Sono spariti i soldi!». Guardo negli occhi Sal, cercando una parola di conforto. «Che cosa faccio adesso? Sono disperato. Non me la sento più di andare a vendere. Basta». Torno indietro. Voglio chiedere spiegazioni a un controllore. «Come può essere successo?». «Ti hanno rubato solo i soldi, ragazzo?». «Solo i soldi». «Ti è andata bene. Pensa che ogni giorno centinaia di persone passano di qua a lamentarsi di furti di soldi e di documenti». [Tratto da: Khouma P. Pivetta O, Io, venditore di elefanti, Garzanti, Milano, 1990]