“Due verità assiomatiche: la prima, è che l`Africa ha una sua storia

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“Due verità assiomatiche: la prima, è che l`Africa ha una sua storia
“Due verità assiomatiche: la prima, è che l'Africa ha una
sua storia che non coincide e non va confusa con la storia
degli europei in Africa; la seconda è che il periodo
coloniale rappresenta, come è stato efficacemente detto
dallo storico nigeriano J.F.A. Ajayi, un “episodio”, forse
significativo ma tutto sommato marginale, di un più lungo
cammino storico delle società africane”
Alessandro Triulzi
Per il titolo dell'intervento ho scelto di parlare di una storia dimenticata, forse sbagliando, perché
l'atto del dimenticare ricade nell'ambito delle azioni inconsapevoli, presuppone buonafede da parte
di chi dimentica. Sarebbe stato più opportuno, più corretto, parlare di una storia occultata. Il silenzio
che avvolge le vicende delle colonie italiane precedenti l'occupazione non ha il carattere della
buona fede o dell'ingenuità. Si tratta di un'operazione culturale e politica precisa: annullare la storia
delle colonie significa togliere a queste identità, ed in ultima analisi dignità. In questo modo è
possibile giustificare l'occupazione violenta, perché occupare un paese senza dignità, senza identità,
diviene moralmente più giustificabile rispetto all'occupazione di un paese che conserva un prezioso
patrimonio di storia e cultura.
Il Corno d'Africa e la Libia venivano presentati dalla propaganda dell'età liberale e del periodo
fascista come territori spogli di identità, di storia, deserti della memoria, che proprio per questo
l'Italia aveva diritto di conquistare. “Restituire l'Africa alla storia”: questo era uno degli slogan più
diffusi tra '800 e '900 (che trova qualche eco anche oggi); ma il restituire l'Africa alla storia
presupponeva che in un dato momento il continente nero fosse uscito dall'orbita della storia, per
finire chissà dove. Ovviamente, nessuno poteva indicare quando ciò avvenne, come, né perché: era
un dato di fatto, che non serviva spiegare.
Ma quale storia? L'Africa non si era mai congedata dalla sua storia, le lancette del tempo non si
erano fermate. È con questo approccio che l'Italia partì per l'Africa, prima l'Eritrea, poi la Somalia,
quindi la Libia ed infine l'Etiopia.
L'obbiettivo dichiarato era civilizzare chi non aveva mai visto la civiltà. La propaganda coloniale
italiana era così creativa e spregiudicata che arrivò perfino ad appropriarsi del mito risorgimentale
per giustificare l'espansionismo in Africa: bisognava proseguire l'opera feconda del Risorgimento,
diffondendone i valori sacri, in una sorta di evangelizzazione laica, rilanciare i valori democratici,
di libertà e fratellanza, e tutto questo sulla punta della baionetta. Questo legame col risorgimento fu
sempre presente, ma non può non apparirci un'appropriazione indebita.
Faceva da contraltare a questa alta ispirazione morale dell'Italia l'arretratezza e selvatichezza dei
popoli da conquistare. Per giustificare quest'opera rischiosa, ma soprattutto per giustificare il carico
di violenza che il colonialismo portava con sé, che accompagnava l'impresa coloniale, la
propaganda dei nazionalisti, come Corradini e Federzoni, e poi quella dei fascisti, insistette molto
sull'arretratezza dei popoli da conquistare, sul dovere della conquista. L'esito naturale di simili
posizioni (spesso altro non erano che farneticazioni, basta leggere testi come “L'ora di Tripoli” di
Corradini) era la formulazione di teorie che teorizzavano la necessità storica, quindi ineludibile ed
ineluttabile, della conquista. Detto in altra maniera: il dovere delle razze superiori di annientare
quelle inferiori. Appare evidente che lungo questo piano inclinato di imbarbarimento culturale è
facile scivolare verso il razzismo, tratto dominante del colonialismo italiano.
Ma perfino nell'Italia intontita e assuefatta dalla propaganda coloniale, non mancavano voci
dissonanti, che tentavano di riportare alla realtà dei fatti, smascherando l'ipocrisia. Un esempio
potrebbe essere Ferdinando Martini, un uomo che pure ricoprì un ruolo chiave nella storia del
colonialismo italiano, ma che non poteva accettare che le ragioni reali dell'espansionismo fossero
celate all'opinione pubblica. In un discorso tenuto alla Camera dei deputati il 2/6/1887 espresse così
il suo disagio rispetto quest'ipocrisia:
lasciate stare la civiltà, e dite le cose senza ipocrisia; dite che tutti gli
stati di Europa fanno una politica coloniale, e che la dobbiamo fare
anche noi: anche noi, perché in Italia allo stato che è giovane, il
popolo che è vecchio impone tutte le impazienze , tutte le frette, tutte
le irrequietudini dell'individuo. Dite ciò, ed io vi approverò fors'anche:
ma a patto che mi diciate altresì quali sono gl'intenti vostri, e che mi
dimostriate quali utili effetti susseguiranno ai sacrifizi che il paese
s'impone.
Contro cosa si scagliava Martini? Contro l'ipocrisia che non permetteva di parlar chiaro, di
ammettere le vere ragioni del colonialismo, che non erano certo la prosecuzione dell'impresa
risorgimentale, la civilizzazione o evangelizzazione di altri popoli. Era un appello alla verità e alla
franchezza il suo. Martini si impegnò in prima persona in quest'opera di disseppellimento della
verità. Era un'impresa che passava anche attraverso la ricostruzione storica delle vicende dei popoli
colonizzati, accantonando quell'atteggiamento di disprezzo per l'altro, di ignoranza voluta, ricercata,
al servizio delle armi. Non a caso, Martini, che fu ministro, ma anche intellettuale e fecondo
scrittore, scrisse diversi testi sulla storia dell'Eritrea, di cui fu anche governatore nel decennio 18971907.
Alcuni cenni sulla storia eritrea:
1) L'Eritrea, polo di civilizzazione da almeno il 3500 A.C., era una regione che vantava legami con
l'antica civiltà degli Egizi, mantenendo una proiezione verso la penisola arabica e il Medio Oriente,
quest'ultimo culla di grandiose civiltà antiche.
2) L'Eritrea vantava anche legami coi Sabei, che vivevano nello Yemen.
3) Tappa fondamentale della storia eritrea fu la nascita nel V secolo A.C. del regno axumita, che
aveva il suo cuore pulsante in Etiopia. L'Eritrea seguì e partecipò all'evoluzione del regno di Axum,
accogliendo, tra l'altro, il cristianesimo nella versione particolare nella quale si declinò in questi due
paesi, ossia il cristianesimo copto.
4) Intorno alla chiesa copta entrambi i paesi costruirono la propria identità, soprattutto dopo che a
partire dal VII secolo D.C. l'espansione dell'Islam toccò anche il Corno d'Africa.
5) Questa espansione si concretizzò con la discesa dal Sudan dei Beja tra l'VIII e il XIII secolo.
Questi ultimi occuparono e posero sotto il loro controllo la parte settentrionale e occidentale
dell'Eritrea, ancora oggi islamizzata. L'altopiano, al contrario, vide l'instaurarsi del regno cristiano
di Midre Bahr (VIII-XIII sec. D.C.).
6)
Altra tappa fondamentale fu la conquista ottomana di Massaua, da parte di Solimano il
Magnifico nel 1577.
Come emerge dalla rapida cronistoria, siamo di fronte ad una storia ricca, complessa, figlia di una
civiltà antica, dove avevano prosperato le 3 religioni monoteiste (cristianesimo, islam ed ebraismo).
L'Eritrea fu un polo di attrazione per mercanti che provenivano dal sud, dal Medio Oriente e dal
nord (in particolare Sudan ed Egitto). Una verità che la propaganda colonialista faceva fatica ad
accettare, ma che divenne difficile da nascondere, soprattutto quando, nel 1935, gli appetiti italiani
si indirizzarono verso l'Etiopia: perfino il più illetterato dei colonialisti conosceva il prezioso
patrimonio di storia che conservava l'impero etiope, nato per volontà della regina di Saba, che la
leggenda vuole che abbia concepito il figlio, Menelik (primo re d'Etiopia), assieme al mitico Re
Salomone. Ciò a ribadire i legami storici, questi non leggendari ma provati, che legavano l'Abissinia
ad Israele. Dimostrati anche dal carattere stesso del cristianesimo copto etiope, così legato a
pratiche e tradizioni dell'ebraismo (è detto cristianesimo vetero-testamentario) e dalla presenza in
Etiopia di minoranze autoctone professanti l'ebraismo (Falasha).
La ricchezza della storia etiope era così immensa e preziosa che l'etiopistica divenne una materia da
studiare nelle facoltà universitarie. Ma non bastò questo a fermare la propaganda fascista, che per
giustificare l'invasione etiope continuava ad insistere sulla barbarie degli etiopi, mentre la Chiesa
cattolica, correva in soccorso del Duce, invocando l'evangelizzazione dell'impero, cristiano prima
che fosse cristiana Roma.
Non fu diversa la modalità con la quale la propaganda si mosse per la conquista della Libia,
avvenuta nel 1911, mentre erano in corso in tutta Italia i festeggiamenti del cinquantenario
dell'Unità d'Italia. Gli argomenti sui quali si faceva leva erano generalmente:
1) l'oppressione del regime turco, presente in Libia da qualche secolo
2) la volontà di sradicare la schiavitù nelle zone meridionali della Libia, sebbene una legge del
Sultano avesse dichiarato illegale tale pratica barbara
In realtà, prevalevano gli interessi economici, ma soprattutto geopolitici dell'Italia, decisa ad
occupare quel lembo di terra, prima che francesi o inglesi se ne impossessassero.
A spingere l'Italia verso la Libia vi era anche la necessità di lavare l'onta di Adua, che aveva
rappresentato nel 1896 la più grave sconfitta di un esercito europeo in Africa. Adua rappresentò per
l'Italia di allora un vero e proprio complesso, che poteva essere superato solamente tornando in
Africa da vincitori. Il complesso di Adua spiega anche il clima isterico che si creò in Italia alla
vigilia della guerra di Libia, e il mancato dibattito intorno alle vere ragioni che spingevano il paese
verso la conquista della “quarta sponda”: Secondo Sergio Romano:
grazie a Adua, paradossalmente, l'Italia poteva esimersi dal discutere i
meriti della propria politica coloniale. Avere perso, in altre parole, era
una ragione sufficiente per fare la guerra e per dimenticare che il
dibattito sull'utilità del colonialismo italiano restava incompleto e
insoddisfacente.
Alla vigilia della guerra di Libia, come era successo per l'Eritrea, mancavano testi organici ed
informati sulla storia del paese, mentre fioccavano i testi di propaganda dei nazionalisti.
Alcuni cenni sulla storia della Libia:
1) Il nome Libia si suppone derivi dal popolo dei Libi, in stretti legami con i Faraoni egiziani.
2) La Libia fu interessata dalla colonizzazione fenicia (XI-VII sec) e poi greca.
3) Nel II sec. A.C. in Libia sbarcarono i romani; poi i vandali, i bizantini, e infine gli arabi.
4) Nel 1551 vi fu lo sbarco dei turchi, evento in seguito al quale la Libia entrò nell'orbita di
Costantinopoli.
5) nel 1711 le rivolte scoppiate nel paese portarono alla costituzione di una dinastia autonoma da
Costantinopoli, quella degli al-Qaramanli.
6) nel 1835 gli ottomani rioccuparono Tripoli, e dopo una repressione durata vent'anni riuscirono a
riconquistare le zone interne del paese.
7) nel 1911 l'esercito italiano sbarcava in Liba.