ERITREA. VENT`ANNI DI INDIPENDENZA, MA SENZA

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ERITREA. VENT`ANNI DI INDIPENDENZA, MA SENZA
ERITREA. VENT’ANNI DI INDIPENDENZA, MA SENZA LIBERTÀ
A vent’anni dall’indipendenza, sancita con un referendum avvenuto sotto la supervisione dell’Onu
(UNOVER) e a seguito del quale venne nominato un governo di transizione con a capo Issaias
Afewerki, il quale detiene tuttora il potere, la situazione dei diritti umani in Eritrea resta molto grave.
Le situazioni più drammatiche riguardano la libertà di espressione/stampa e le condizioni
carcerarie. Nell’anno in cui l’Eritrea celebra il ventesimo anniversario della sua indipendenza,
migliaia di prigionieri di coscienza e di detenuti politici languono nei centri di detenzione del paese,
senza accuse formali né processo.
Giornalisti, personalità politiche e membri di gruppi religiosi vengono arrestati solo per avere
espresso la loro opinione, avere praticato la loro religione o per avere cercato di lasciare il paese
per sfuggire alla repressione. Migliaia di persone sono così scomparse, detenute incommunicado,
senza poter incontrare le famiglie né avere il supporto di un avvocato.
Oltre alle violazioni dei diritti costituzionali alla libertà di opinione e di associazione, viene
costantemente violato anche il diritto alla libertà di credo religioso. Il governo nega qualsiasi forma
di persecuzione delle minoranze religiose, ma la chiesa evangelica, ad esempio, è stata chiusa
nel 2002; i suoi adepti vengono arrestati e sistematicamente torturati per costringerli a rinnegare la
loro religione. Nel 2006-2007 sono morti in carcere a causa delle torture, quattro esponenti della
chiesa evangelica: Nigisti Haile, 33 anni ; Moges Solomon, 30 anni, Immanuel Andegergesh, 23
anni e Kibrom Firemichael, 30 anni.
Sempre nel 2007, il Patriarca della chiesa ortodossa Abune Antonios, è stato destituito d’autorità
per avere denunciato l’ingerenza del governo nelle questioni religiose; trasferito in un luogo
segreto, non si hanno più avute notizie, nonostante una serie di appelli lanciati da Amnesty
International e dalle chiese ortodosse del mondo. Si ritiene che anch’egli sia deceduto, come molte
altre persone di cui non si hanno notizie ufficiali.
Quest’anno ricorre il dodicesimo anniversario della chiusura di tutti i giornali privati e di una serie di
arresti, avvenuti il 18 settembre 2001 e nei giorni immediatamente successivi, ai danni di 11
esponenti politici e 10 giornalisti.
Si tratta di undici dei quindici firmatari ( il cosiddetto gruppo dei quindici o G-15) di una lettera
aperta al presidente Afeworki, nella quale essi criticavano la “deriva dittatoriale” del loro antico
compagno di armi, la disastrosa guerra contro l’Etiopia del 1998-2000, le promesse di elezioni mai
tenutesi e la Costituzione mai ratificata. Tra di loro figurano personalità di primo piano dello Stato e
soprattutto stretti amici del presidente, come Haile Woldetensae, compagno di liceo del presidente,
arrestato dagli etiopi per il suo patriottismo eritreo e diventato ministro degli Esteri dell’Eritrea
indipendente; il generale Ogbe Abraha, capo della logistica della guerriglia durante la guerra di
indipendenza; Petros Solomon capo dei servizi di informazione della guerriglia; Beraki
Ghebreselassie, l’organizzatore delle scuole clandestine della guerriglia.
A dodici anni dall’arresto non si conosce la loro sorte; fonti eritree non governative confermano la
morte di almeno nove di essi, ma lo Stato non fornisce alcun dato ufficiale.
Si ritiene che nel paese siano almeno 200 i centri di detenzione; ex detenuti descrivono le
condizioni carcerarie come “un inferno”. La tortura viene praticata sistematicamente, sia nel corso
degli interrogatori, sia come punizione.
La Commissione africana dei diritti umani e dei popoli ha stabilito che gli arresti sono illegali e ha
raccomandato al governo eritreo di rilasciare i prigionieri e di risarcirli adeguatamente. Il governo
ha ignorato la raccomandazione, nonché i numerosi appelli di Amnesty International e di varie
organizzazioni di difesa dei diritti umani.
Il 9 maggio 2013 Amnesty International ha pubblicato un rapporto sulle violazioni dei diritti umani
in Eritrea, che ha provocato la pronta ed irritata risposta del governo; l’ambasciatore di Eritrea nel
Regno Unito ha convocato una conferenza stampa per rigettare le accuse di AI, smentendole in
blocco, ma senza argomentazioni. Parimenti il ministro degli esteri ha pubblicato un comunicato
nel quale respinge le “false accuse” e “l’aggressione manifestamente politica di Amnesty
International”.
Il 4 giugno 2013 lo Special Rapporteur delle Nazioni unite sull’Eritrea ha presentato il suo primo
rapporto al Consiglio dei diritti umani a Ginevra, documentando le diffuse violazioni dei diritti umani
nel paese, fra cui le migliaia di detenuti politici, le disumane condizioni di detenzione e
soffermandosi sul caso degli arresti del 2001.
Particolare preoccupazione per le Nazioni unite desta la situazione dei rifugiati che, a quanto stima
l’ACNUR, nel 2010 ammontavano a 223 562 persone (il 5% della popolazione eritrea); in Etiopia ci
sarebbero attualmente almeno 61 000 rifugiati eritrei, in genere sono giovani e istruiti che cercano
di sfuggire alla leva obbligatoria, che in Eritrea inizia a diciotto anni e può essere prolungata
indefinitamente. Si stima che ogni mese attraversino la frontiera con l’Etiopia circa 1300 persone e
1600 ogni mese raggiungano il Sudan. La situazione di questi profughi è ancor più tragica quando
non riescono ad ottenere lo status di rifugiati o l’asilo politico; se ricacciati in patria vengono
immediatamente arrestati e, considerati traditori, vengono rinchiusi in carcere senza processo per
un tempo indefinito.