utrecht 1713 - artiglieria trattato Utrecht

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utrecht 1713 - artiglieria trattato Utrecht
UTRECHT 1713
I TRATTATI CHE APRIRONO LE PORTE D’ITALIA AI SAVOIA
UTRECHT 1713
I TRATTATI CHE APRIRONO LE PORTE D’ITALIA AI SAVOIA
Convegno
a cura di
Gustavo Mola di Nomaglio e Giancarlo Melano
TORINO, 7 – 8 GIUGNO 2013
MASCHIO DELLA CITTADELLA
Convegno promosso da
in collaborazione con
con il sostegno di
Lions Club Torino Castello
Lions Club Torino Pietro Micca
Lions Club Torino Superga
e con il Patrocinio di
Stampa: L’Artistica Savigliano
©2013
Centro Studi Piemontesi – Cà de Stüdi Piemontèis
Via O. Revel 15
10121 Torino – [email protected]
www.studipiemontesi.it
Direttore: Albina Malerba
Presidente: Giuseppe Pichetto
Vice Presidente: Gustavo Mola di Nomaglio
ISBN 978-88-8262-204-6
L’Associazione Torino 1706 ringrazia i Relatori nel Convegno “Utrecht 2013: I trattati che aprirono le porte
d’Italia ai Savoia” ed i Moderatori delle Sessioni attraverso le quali esso si svolge per il loro prezioso e liberale
apporto alle celebrazioni del terzo centenario della stipula di quei trattati.
Ringraziamenti
Aldo A. Mola
Gustavo Mola di Nomaglio
Maria Luisa Moncassoli Tibone
Franco Monetti
Elisa Mongiano
Gabriella Mossetto*
Carlo Naldi
Fulvio Peirone
Andrea Pennini
Sebastiano Ponso
Maria Teresa Reineri
Mario Riberi
Enrico Ricchiardi
Rengenier C. Rittersma
Rosanna Roccia
Roberto Sandri Giachino*
Giorgio Federico Siboni
Bruno Signorelli
Fabrizio Zannoni
Carla Amoretti
Fabrizio Antonielli d’Oulx*
Giusi Audiberti
Giuseppe Balbiano d’Aramengo
Paolo Bevilacqua
Paola Briante
Paolo Bosotti
Juri Bossuto
Dino Carpanetto
Giovanni Cerino-Badone
Arabella Cifani
Antonio Cravioglio
Annalisa Dameri
Casimiro Debiaggi
Davide De Franco
Federico Della Chiesa di Cervignasco*
Sante Di Biase
Giovanni Maria Ferraris
Eugenio Garoglio
Andrew Martin Garvey
Enrico Genta Ternavasio
Pierangelo Gentile
Nicola Ghietti
Elena Gianasso
Daniele Jallà
Alberico Lo Faso di Serradifalco
Damiano Lombardo
Alberto Lupano
Francesco Malaguzzi*
Albina Malerba*
Marco Mana
Giancarlo Melano
Piergiuseppe Menietti
Simona Merlo
Si ringraziano inoltre:
Aldo Garbarini
Emanuela Lavezzo
Vito Maggiolino
Claudio Mantovani
Marcello Marzani
Francesca Odling
Beatrice Sciascia
Rosalba Stura
I Soci dell’Associazione Amici del Museo Storico Nazionale d’Artiglieria e dell’Associazione Amici del Museo Pietro Micca che hanno
disinteressatamente contribuito al successo
dell’iniziativa
* Moderatori delle Sessioni in cui si divide il Convegno
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Programma del Convegno
Venerdì 7 giugno, pomeriggio
a partire dalle 14.30 registrazione dei partecipanti
15.00 Benvenuto del Presidente Nuccio MESSINA e del Segretario Generale Giancarlo
MELANO dell’Associazione Torino 1706
15.15 Saluto delle Autorità
Damiano LOMBARDO, Presidente Lions Club Torino Pietro Micca, Il Lions Club Torino Pietro
Micca, l’assedio di Torino del 1706, la pace di Utrecht.
15.45 Gustavo MOLA di NOMAGLIO Apertura dei lavori e note organizzative
Prima sessione Modera: Albina MALERBA, Direttore Centro Studi Piemontesi
•Paolo BOSOTTI, Generale di Divisione, Comandante della Regione Militare Nord,
Alla vigilia di Utrecht: armi sabaude in campo per la conquista di nuovi confini.
•Aldo A. MOLA, Storico, Università Libera di Bruxelles
L’“annessione” della Sicilia alla corona sabauda, premessa remota del Regno d’Italia tra mito e storiografia.
•Simona MERLO, Dottore di ricerca in Storia sociale e religiosa, Università della Valle d’Aosta
Il ruolo dei Savoia nella formazione identitaria delle élites valdostane.
•Arabella CIFANI, Franco MONETTI, Storici dell’Arte
Il ministro Pietro Mellarède (1659-1730): uno straordinario collezionista d’arte nella Torino del primo
Settecento.
•Enrico GENTA TERNAVASIO, Università di Torino, Dipartimento di Giurisprudenza
Il diritto internazionale europeo (Jus inter principes) agli inizi del XVIII secolo.
•Giovanni Maria FERRARIS, Presidente del Consiglio Comunale di Torino
Torino: città capitale di un Regno sognato.
Seconda sessione Modera: Roberto SANDRI GIACHINO, Vice Presidente Accademia Albertina di Belle Arti
•Carlo NALDI, Professore emerito, Politecnico di Torino
“Te Deum and Jubilate” per la Pace di Utrecht.
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•Annalisa DAMERI, Politecnico di Torino, Dipartimento Architettura e Design
“Alessandria [...] una grande Aquila [...] si deve far capital di lei per ogni occasione di guerra”. La città
baluardo tra Piemonte sabaudo e Stato di Milano.
•Marco MANA, Dottore di ricerca in studi storici
Una nuova mappatura sabauda dei feudi, all’indomani dei trattati di Utrecht.
•Maria Teresa REINERI, Università di Torino
Anna d’Orléans e la Sicilia: le impressioni della Regina sul nuovo possedimento desunte dalla corrispondenza privata con i figli e il confessore.
•Paolo BEVILACQUA, fotografo, Studioso dei sistemi di fortificazione sotterranea, Associazione Amici del Museo Pietro Micca, e Fabrizio ZANNONI, archeologo, Presidente Associazione Amici del Museo Pietro Micca
La carta archeologica delle fortificazioni sotterranee torinesi. Uno strumento di studio e salvaguardia.
•Sebastiano PONSO, Gen. g.t. ris., Direttore del Museo Pietro Micca e dell’Assedio di
Torino del 1706
Salvaguardia dei sistemi di contromina della Cittadella e completamento del recupero delle opere di difesa.
•Nicola GHIETTI, Storico, Centro Studi Carmagnolesi
Il carmagnolese Pietro Francesco Leprotti presente alla firma del trattato di Rastadt.
•Piergiuseppe MENIETTI, Storico, Consigliere Associazione Torino 1706
Avvenimenti e personaggi nella Torino di tre secoli fa.
19.15 Sospensione dei lavori
Sabato 8 giugno, mattina
a partire dalle 9.00 registrazione dei partecipanti
9.30 Ripresa dei lavori
Prima sessione Modera: Francesco MALAGUZZI, Direttore “Bibliofilia Subalpina”
•Carla AMORETTI, Curatrice Archivio Guido Amoretti
Regnanti e Plenipotenziari nel trattato di Utrecht.
•Paola BRIANTE, Archivista di Stato
Et tout ce qui est à l’eau pendante des Alpes: il principio della frontiera naturale e gli effetti sulla popolazione locale.
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•Dino CARPANETTO, Università di Torino, Dipartimento di Studi Storici
Valdesi e ugonotti al tavolo di Utrecht.
•Sante Di BIASE, Dottore di ricerca, Università La Sapienza, Roma
La Repubblica di Venezia e i trattati di Utrecht del 1713.
•Giusi AUDIBERTI, Storica e saggista
Wunderkammer siciliana: i doni inviati dalla Regina Anna d’Orléans dalla Sicilia in Piemonte ai figli
Vittorio Amedeo e Carlo Emanuele (ottobre 1713 - agosto 1714).
•Elena GIANASSO, Politecnico di Torino, Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto
e Politiche del Territorio
Torino: città-capitale e territorio. La Corona di delitie nel 1713.
•Elisa MONGIANO, Università di Torino, Dipartimento di Giurisprudenza
Nuove terre, nuovi sudditi: l’integrazione dei territori alessandrini nell’ordinamento sabaudo.
Seconda sessione Modera: Fabrizio ANTONIELLI d’OULX, Presidente Vivant
•Rosanna ROCCIA, Direttore della Rivista Studi Piemontesi, Centro Studi Piemontesi,
Gli echi di Utrecht nel Castello Cavour di Santena.
•Pierangelo GENTILE, Università di Torino, Dipartimento di Studi Storici, Ricordare, ma non troppo: la memoria di Utrecht nel 1913.
•Rengenier C. RITTERSMA, Rotterdam Business School, Una situazione eccezionale: l’impatto del congresso sulla vita quotidiana a Utrecht e la sua percezione
nella stampa olandese dell’epoca.
•Giorgio Federico SIBONI, Centro documentazione Residenze Reali Lombarde, Il Piemonte e la situazione confinaria dello Stato di Milano attraverso il fondo Atti di Governo-Confini
dell’Archivio di Stato di Milano.
•Maria Luisa MONCASSOLI TIBONE, Storico dell’arte, giornalista, Messina, 1713, Juvarra e Vittorio Amedeo II. Un incontro profetico.
•Giuseppe BALBIANO d’ARAMENGO, Associazione Amici del Museo d’Artiglieria, Utrecht 1713: si conclude una guerra mondiale.
•Enrico RICCHIARDI, Storico, Accademia di San Marciano, Da milizia scelta a reggimenti provinciali: il potenziamento dell’esercito sabaudo dopo l’acquisizione
della Sicilia.
13.15 Sospensione dei lavori
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Sabato 8 giugno, pomeriggio
14.30 Ripresa dei lavori
Prima sessione Modera: Federico Della CHIESA
Studi Piemontesi
di
CERVIGNASCO, Consigliere Centro
•Davide De FRANCO, Dottorando di ricerca, Università del Piemonte Orientale
Il governo del territorio tra conservazione e spinte riformatrici: il Delfinato “di qua dai monti” annesso nel 1713.
•Bruno SIGNORELLI, Presidente della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
Annibale Maffei soldato e diplomatico al servizio di Vittorio Amedeo II.
•Andrew Martin GARVEY, Scuola di Applicazione e Istituto di Studi Militari dell’Esercito
Il Trattato d’Utrecht e la Gran Bretagna.
•Juri BOSSUTO, Ricercatore Storico dell’Associazione Progetto San Carlo
Utrecht. Fenestrelle: da territorio d’oltralpe francese a città di frontiera sabauda.
•Alberto LUPANO, Università di Torino, Dipartimento di Giurisprudenza
Tra Legazia apostolica di Sicilia, Santa Sede e diocesi subalpine: questioni giurisdizionalistiche per Re
Vittorio Amedeo II.
•Giovanni CERINO-BADONE, Dottore di ricerca in scienze storiche, Università del Piemonte
Orientale
Da Torino ad El Alamein. La via italiana e la via tedesca alla guerra, 1706-1942.
•Casimiro DEBIAGGI, Storico dell’Arte, Società Valsesiana di Cultura
Prima e dopo Utrecht. I Valsesiani di Torino attraverso i secoli.
Seconda sessione Modera: Gabriella MOSSETTO, Segretario Abnut, Associazione Amici della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino
•Eugenio GAROGLIO, Storico, Accademia di San Marciano
Utrecht 1713 e la frontiera militare delle Alpi occidentali nelle alte valli di Susa e Chisone.
•Mario RIBERI, Dottore di ricerca, Università di Torino, Dipartimento di Giurisprudenza
Il trattato di Utrecht e le autonomie locali nelle Alpi occidentali: il caso della “république des escartons”.
•Alberico Lo FASO Di SERRADIFALCO, Presidente della Società Italiana di Studi Araldici
Vittorio Amedeo II, un anno di regno in Sicilia.
•Daniele JALLA, Membro del Seggio della Società di Studi Valdesi
L’uomo che piantava i cippi.
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•Fulvio PEIRONE, Archivio Storico Città di Torino
Vita quotidiana e celebrazioni nel racconto degli Ordinati municipali di Torino.
•Andrea PENNINI, Dottore di ricerca, Università di Torino, Dipartimento di Giurisprudenza
All’origine di un’antica amicizia. Le relazioni anglo-sabaude tra XVII e XVIII secolo.
•Antonio CRAVIOGLIO, Associazione Amici del Museo d’Artiglieria
L’organizzazione territoriale dello Stato sabaudo ai tempi di Vittorio Amedeo II.
•Giancarlo MELANO, Segretario Generale Associazione Torino 1706
Da Vienna (1683) a Rastadt (1714) passando per Torino (1706). Uno sguardo alle eredità del Principe
Eugenio in vista del 350° anniversario della nascita.
•Gustavo MOLA di NOMAGLIO, Vice Pres. Centro Studi Piemontesi e Associazione Torino 1706
“Prinz Eugen, der edle Ritter”. L’impronta del condottiero sabaudo da Vienna a Torino (1683-1706), da
Utrecht a Rastadt (1713-1714). Riletture tra storia ed ucronia.
18.30 Conclusioni
Sabato 8 giugno, sera
21.00 Concerto “Venti di libertà”, eseguito dall’Ensemble di fiati “Venti sonori” del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino diretto da Francesca ODLING.
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Utrecht 1713: i Trattati che aprirono
le porte d’Italia ai Savoia
Da Utrecht all’Italia? Note preliminari
e sintesi della Richiesta
di contributi scientifici al Convegno.
Gustavo Mola di Nomaglio
Note preliminari e sintesi della Richiesta di contributi scientifici al Convegno
L’applicazione dei Trattati di Utrecht del 1713 e in particolare di quello siglato l’11
aprile di quell’anno, determinò in Europa nuovi equilibri e rilevanti assestamenti geopolitici continentali, destinati, per quanto riguarda l’Italia in particolare, a costituire un
punto di partenza dei suoi successivi assetti. Per i Savoia l’esito dei Congressi di Utrecht
creò basi e presupposti utili a dare concretezza a sogni – quando non propriamente progetti – e traiettorie di espansione accarezzati sin da antica data. Con Utrecht trovavano
finalmente legittimazione gli arretramenti territoriali anteriormente decisi o subiti sul
fronte oltralpino per consolidare il controllo delle aree subalpine. Alla rinuncia al Bugey
e alla Bresse (porta di un Lionese nella storia del quale il ruoli, i poteri e l’interesse dei
Savoia non passavano inosservati) erano corrisposti ampliamenti importanti sotto il profilo strategico ma esigui in termini generali e in particolare sotto il profilo dimensionale
ed economico. Alla sostanziale abdicazione, onde non affrontare ulteriori conflitti dopo
lo sfavorevole esito dell’Escalade, ai diritti su Ginevra (dopo il forzato precedente arretramento nel Vallese e nel Vaud) non avevano fatto da contraltare gli accrescimenti ambiti
sul versante italiano – e talora legittimamente spettanti in via ereditaria, ma elusi in un
gioco di poteri in cui la legge del più forte poteva fare aggio sul diritto –. Finalmente i
risultati utrettini determinavano un vistoso potenziamento della compagine territoriale sabauda e, se anche la potente dinastia alpina, già in quel momento una tra le più
antiche regnanti in Europa, non conseguì tutti gli obiettivi di accrescimento che si era
prefissi, poté già aggregare attorno al proprio scettro importanti aree storico-politiche
alle quali mirava da antica data, vantando, come si potrebbe dire per il Monferrato o per
il Ducato milanese, precisi diritti successori, come sopra accennato, seppure contrastati
dagli interessi e dalle interferenze di potenze straniere, tra loro concorrenti e antagoniste
in Italia nel perseguimento di un progetto egemonico.
Il mancato ottenimento dello Stato di Milano fu controbilanciato dall’incorporazione immediata - o già indirizzata a breve termine - di aree ad esso precedentemente
afferenti, quali Alessandria, la Lomellina e la Valsesia, che si prestavano, quanto meno
in termini prospettici, a predisporre e indirizzare ulteriori espansioni lungo le direttrici
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lombarde. L’acquisizione, inoltre, delle Valli di Pragelato, dell’alta Valle di Susa e, in
rapida successione, dei feudi imperiali delle Langhe, non solo garantì un rafforzamento
delle aree di confine, ma consentì anche, in breve arco di tempo, alle regioni subalpine
- e specificatamente al Piemonte “geografico” - di configurarsi come uno Stato regione
compatto e ben difendibile, in cui le enclaves e le inframmettenze straniere o estranee
al dominio sabaudo tendevano, anche di fronte alla nascente percezione di una comune
appartenenza a una precisa entità statuale, ad uscire completamente di scena. Gli accordi
di Utrecht ebbero, insomma, effetti sia diretti, sia indiretti sull’accrescimento degli Stati
sabaudi e furono base di successivi sviluppi, anche in chiave italiana, che sarebbe miope
non voler intravedere o addirittura negare, come talora si è registrato.
Le trattative con le potenze riunite nella città olandese, pur non attribuendo immediatamente a Vittorio Amedeo II, come si è detto, il possesso della Lombardia, gli assegnarono, un Regno di non modesta importanza, quale quello di Sicilia. Già da tempo
era riconosciuto al capo di Casa Savoia nelle corti europee e, in primis, dal Pontefice
e dall’Imperatore (fatto di portata non solo formale ma sostanziale) il titolo di Re; tuttavia la base territoriale siciliana dava ad esso nuova concretezza politica e apriva nuovi
promettenti scenari e prospettive. Questi non furono compromessi, di fatto, dal cambiamento imposto, dopo pochi anni, tra la Sicilia (dove subito il nuovo sovrano aveva
avviato una vasta e dispendiosa opera riformatrice destinata a lasciare un’impronta durevole) e la Sardegna, la quale se pure meno ricca, era abitata da una popolazione forte
e bellicosa, ben presto legata ai Savoia e pronta a difenderli senza risparmio di energie
e di sangue.
Lavori e perimetro indicativo del Convegno
L’Associazione Torino 1706, che nel 2006 ha celebrato con mostre1, convegni2 e pubblicazioni3 la liberazione di Torino dall’assedio dal quale ha tratto la propria denominazione, ha ritenuto coerente con la propria missione commemorare i Trattati di Utrecht,
al giro di boa del loro trecentesimo anniversario, con un Convegno interdisciplinare
intitolato «...Pour la seureté et la tranquillité de l’Italie»4 Utrecht 1713: i trattati che aprirono le
porte d’Italia ai Savoia, che è stato successivamente intitolato, più sinteticamente “Utrecht
1713: i Trattati che aprirono le porte d’Italia ai Savoia”. Il Colloquio si svolgerà nel Maschio
della Cittadella di Torino, così legato al tempo dei Trattati e agli avvenimenti che condussero ad essi e sarà la prima importante iniziativa culturale in esso ospitata dopo la
conclusione del restauro. La stessa suggestiva cornice contribuirà a farne un evento di
primo piano, col quale si apriranno una serie di altre attività rievocative.
Si parla di interdisciplinarità a pieno titolo, dato che il Colloquio potrà snodarsi
lungo un articolato itinerario di occasioni e prospettive di indagine, dettagliatamente
proposte nel seguito della Richiesta di contributi scientifici originariamente emanata, che
pochi argomenti, come i Trattati di Utrecht (congiuntamente alle loro origini, premesse,
conseguenze, nonché successivi esiti e sviluppi) possono consentire.
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Di fronte al successo dell’iniziativa, scandito dall’adesione in rapida successione di
numerosi studiosi, l’Associazione è stata costretta a non accogliere, in occasione dei lavori, principalmente col criterio di priorità cronologica preannunciato nella Richiesta di
contributi, numerose proposte di studiosi italiani e stranieri, a causa dei limiti di tempo
e dell’impossibilità di realizzare, in considerazione della sede, unica e suggestiva ma non
priva di vincoli e limiti di fruizione, differenti sessioni parallele. A tutti coloro a cui è
stata già comunicata, è comunque confermata la piena disponibilità a inserire negli Atti
a stampa anche contributi che non siano stati sviluppati durante lo svolgimento del
Convegno.
L’Associazione Torino 1706 è, infine, lieta di sottolineare che le relazioni sono spesso
frutto di specifiche ricerche completamente originali e inedite o che, quando costituiscono ampliamenti di studi già affrontati, si basano su nuove ricerche d’archivio o indagini
bibliografiche. La compagine dei relatori è venuta formandosi pienamente in linea con
gli originari obiettivi di raccogliere voci del mondo accademico (e come si potrà constatare, scorrendo le sintesi degli interventi e dei curricula dei partecipanti, parecchi
autorevoli docenti hanno fornito un prezioso contributo), del mondo dell’associazionismo culturale, di giovani e promettenti ricercatori e dottori di ricerca operanti in seno
a differenti Università Italiane e straniere, nonché di qualificati e appassionati “cultori
della materia”.
1- Tra cui si deve registrare in particolare quella allestita nelle due sedi espositive del Maschio della Cittadella
e del Museo Pietro Micca nelle quali si sono registrati complessivamente i passaggi di novantamila visitatori
(undicimila studenti).
2- Tra i quali il principale è stato quello che si è svolto a Torino presso il Centro Congressi della Regione
Piemonte, al quale si sono registrati, per ascoltare gli oltre sessanta relatori (suddivisi in differenti sessioni),
circa cinquecento partecipanti.
3- I numerosi volumi pubblicati, o dei quali è stata promossa o sostenuta la pubblicazione, sono dettagliatamente
elencati nel volume a cura di Giancarlo Melano, Torino 1706. Le celebrazioni del tricentenario, Savigliano, 2008,
pp. 107-142.
4- Frase liberamente estratta da una più articolata espressione contenuta nel § VIII del Trattato 11 Aprile
1713: «[…] Sa dite Altesse Royale puisse fortifier ses frontières pour la seureté de ses États, qui peut beaucoup
contribuer à la seureté et à la tranquillité de l’Italie […]» (da: Clemente Solaro della Margarita, Traités publics
de la Royale Maison de Savoie avec les puissances étrangères depuis la paix de Château-Cambrésis jiusqu’à nos jours [...],
vol. II, Torino, Stamperia Reale, 1836).
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Un Convegno per la storia.
Giancarlo Melano
L’evento militare più importante nella bimillenaria storia di Torino è stato il lungo
e sanguinoso assedio subìto nel 1706 da parte di un possente esercito franco-spagnolo,
sconfitto nella decisiva battaglia del 7 settembre.
Nel 1713, a distanza di qualche anno da quello scontro vittorioso, il Duca di Savoia
e la Città di Torino ne raccolsero i frutti: i plenipotenziari degli Stati europei radunati in
Olanda, a Utrecht, posero termine alla lunga guerra di Successione di Spagna stipulando una serie di trattati che cambiarono l’assetto del Continente.
Il Duca ottenne ampliamenti territoriali in Italia e in particolare la Sicilia (poi
scambiata con la Sardegna) e il titolo regio. Torino divenne così una fra le più importanti Capitali d’Europa, pronta a contribuire, durante il “Secolo dei Lumi”, al progresso delle scienze e delle arti e ad arricchirsi di palazzi sontuosi adeguati al prestigio
del suo nuovo ruolo.
L’Associazione Torino 1706, fondata nel 2004 da un gruppo di Lions Club torinesi
allo scopo di promuovere il ricordo e la conoscenza di quegli eventi, ha ben presto
raccolto attorno a sé l’adesione di una cinquantina di Circoli, Centri Studi e Sodalizi
impegnati nei campi storico e artistico e, sostenuta da significativi contributi dell’Amministrazione comunale, della Regione e della Compagnia di San Paolo, ha potuto impegnarsi in un fitto programma di manifestazioni.
L’iniziativa di maggior impegno è stata la Mostra “L’alba di un Regno” che, nell’arco
di nove mesi (settembre 2006 – giugno 2007), ha avuto oltre 90 mila visitatori. Collocata nelle due sedi del Maschio della Cittadella (concesso dal Comando della Regione Militare) e del Museo Pietro Micca, ha rievocato ogni dettaglio di quegli eventi
riscuotendo il plauso del pubblico. Un volume a grande tiratura ha riassunto tutti i
contenuti della Mostra.
A fine settembre 2006 l’Associazione ha promosso un Convegno che nell’arco di
due giorni ha raccolto numerosi studiosi presentando ad un pubblico folto ed appassionato un panorama aggiornato di ogni aspetto di quel periodo. Gli Atti di quel Convegno, rapidamente raccolti in due ponderosi volumi, sono stati presentati al pubblico a
metà 2007 e da tempo esauriti.
Le celebrazioni si sono poi completate con una serie di avvenimenti allestiti in collaborazione con le Associazioni aderenti: tra le principali, una grande rievocazione della
battaglia da parte di gruppi storici europei alla Cascina Continassa, una festa per gli
studenti e un concerto a Superga, concerti corali, della Banda dell’Esercito e di quella
dei Granatieri di Sardegna.
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L’Associazione Torino 1706 ha infine patrocinato la pubblicazione di molte opere che
hanno esplorato tante sfaccettature di quelle vicende (indagini specialistiche, romanzi,
ristampe commentate, ecc.). L’insieme delle celebrazioni è stato riepilogato in un denso
volume presentato nel 2008.
L’Associazione conclude il suo impegno a favore della Città rievocando l’anniversario della stipula dei trattati attraverso il Convegno multidisciplinare (“I trattati che aprirono le porte d’Italia ai Savoia”) programmato per i giorni 7 e 8 giugno presso il Maschio
della Cittadella, testimone silenzioso di quei grandi eventi e appena restaurato dall’Amministrazione comunale ma non ancora aperto al pubblico.
Si vuole infatti richiamare l’attenzione di tutti i cittadini su questo storico edificio
che è pronto per una nuova fruttuosa stagione culturale ospitando, in un allestimento
aggiornato, le prestigiose collezioni del Museo Storico Nazionale d’Artiglieria.
Il ciclo delle celebrazioni terminerà nella primavera 2014 con la pubblicazione degli
Atti del Convegno.
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Relazioni in programma, sintesi,
e curriculum dei Relatori
(secondo l’ordine alfabetico dei Relatori)
Carla Amoretti
Regnanti e Plenipotenziari nel trattato
di Utrecht.
Analizzare gli atti del trattato di Utrecht attraverso i plenipotenziari inviati permette di
comprendere meglio il quadro dei rapporti di forza tra Stati nel periodo 1700-1713, in cui è
centrale il problema della successione al trono di Spagna. Dal 1667 le guerre sono ormai territoriali e politiche per il possesso di aree in Europa o nelle colonie: con la pace di Westfalia
del 1648 si era sancita la fine delle guerre religione. Poter insediare su un trono vacante un
pretendente appartenente ad una dinastia o un’altra equivaleva ad una conquista territoriale.
Gli equilibri tra le coalizioni mutano al mutare delle potenzialità di predominio di
una nazione sulle altre. Nelle case regnanti i lutti si susseguono inesorabili, sconvolgendo
talvolta gli equilibri politici: 1700, morte di Carlo II di Spagna; 1702, morte di Guglielmo
d’Orange in Inghilterra; 1706, morte di Pietro II del Portogallo; 1705 e 1711, morti dell’Imperatore d’Austria Leopoldo I e del suo successore Giuseppe; 1711, scomparsa del Gran
Delfino, seguita nel 1712 dai tre nuovi lutti quasi contemporanei nella famiglia di Borgogna, che lasciano all’anziano Luigi XIV un bambinetto di pochi anni erede del trono di
Francia; 1713, morte di Federico I di Prussia. Anche i matrimoni hanno lo scopo di consolidare alleanze, mettendo un suggello ad un impegno di schieramento, spesso poi disatteso.
Ad Utrecht la presenza di plenipotenziari di alcuni stati della Grande Alleanza (Province unite, Inghilterra, Prussia, Savoia, Portogallo), dello schieramento contrapposto
(Francia, Spagna, Baviera-Colonia), di Stati germanici che fanno da ala all’Imperatore,
nonché di numerosi Stati neutrali tra cui quello della Chiesa, permette di cogliere uno
spaccato della situazione politica europea in quel periodo.
Carla Amoretti, docente di matematica per 41 anni. Ha fatto esperienze e studi di teatro, cinema, multimedialità,
vincendo numerosi premi con le proprie classi. Dal 2003 pone le proprie competenze scientifiche al servizio della
Storia, affiancando il padre Gen. Amoretti nei suoi studi ed interventi pubblici. Collabora con l’Associazione
1706 per l’Apparato iconografico ed elaborazioni grafiche della Mostra l’Alba di un Regno. Contribuisce alla
costruzione del plastico virtuale di Torino 1706, ed al filmato sulla battaglia.
Tiene conferenze in prestigiosi enti e associazioni culturali (tra altri l’Archivio Storico del Comune di
Torino e l’Associazione Passepartout 2011) con costante analisi di carte, diari, dipinti, studiati con approccio
comparativo.
Cura la grafica editoriale di diversi libri, almanacchi storici e calendari, quali, a titolo di esempio La serenissima
(2006), Padre Andrea (2006), Calendario CDO sul quadro del Parrocel (2007), I gruppi storici del Piemonte
(2010), Il Monte dei Cappuccini e Filippo d’Agliè (2013); da ultimo ha curato calendari elettronici dedicati al terzo
centenario del trattato di Utrecht e al primo centenario della Croce Barone (Battaglia della Marsaglia).
Collabora dal 2008 con il gruppo di studio del Monte dei Cappuccini coordinato da Fra Luca Isella.
È curatrice dell’imponente archivio del padre, Guido Amoretti, coordinando un gruppo di lavoro impegnato
nella catalogazione elettronica dei circa cento faldoni di documenti di studio da esso raccolti in oltre
cinquant’anni di attività.
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Giusi Audiberti
Wunderkammer siciliana: i doni inviati
dalla Regina Anna d’Orléans dalla Sicilia
in Piemonte ai figli Vittorio Amedeo e Carlo
Emanuele (ottobre 1713 - agosto 1714).
Quando i trattati di Utrecht gli assegnarono il possesso del Regno di Sicilia, Vittorio
Amedeo II di Savoia decise che l’incoronazione sarebbe avvenuta a Palermo.
Il 3 ottobre 1713 lasciò il porto di Villefranche con la moglie Anna d’Orléans e una
piccola ma splendida corte; dopo l’incoronazione nella Cattedrale di Palermo (24 dicembre), i sovrani rimasero in Sicilia fino al 9 settembre dell’anno successivo.
Durante la sua permanenza sull’isola, la regina Anna scrisse con affettuosa e sollecita
frequenza ai figli Vittorio Amedeo e Carlo Emanuele, rimasti in Piemonte (e che avevano allora, rispettivamente, quattordici e dodici anni) e inviò loro numerosi doni, con
una molteplice finalità: ribadire ai figli che essi erano sempre in cima ai suoi pensieri,
suscitare il loro stupore e il loro divertimento, stimolare la loro curiosità per la terra lontana e ancora sconosciuta che era da poco divenuta parte integrante del Regno.
Monete e conchiglie fossili, gazzelle e palme, diaspri, agate, argenti, galline maltesi,
fiori di cera, statuette di alabastro… questi regali - naturalia e artificialia (oggetti curiosi
offerti dalla stessa natura o manipolati e forgiati dall’uomo) - si dispongono gli uni accanto agli altri a costituire un’ideale Wunderkammer, una “stanza delle meraviglie” della
Sicilia di primo Settecento.
Giusi Audiberti è nata a Torino nel 1942, ha compiuto studi classici al liceo “Massimo d’Azeglio” e si è laureata
in Lettere a indirizzo storico nell’Ateneo torinese. Ha insegnato Materie letterarie nelle scuole superiori
della sua città. Si occupa attualmente di ricerca storica sul Piemonte, in particolare di storia delle donne,
privilegiando i secoli XVII - XIX. Ha pubblicato: Colombina d’amore e le sue sorelle. Luoghi e memorie di donne in
Piemonte tra Sei e Settecento (2004), Il fantasma del castello. Storia e leggende, curiosità e misteri nel Piemonte terra di
castelli (2006), Il fiore del lino. Filippo San Martino d’Agliè fra storia e romanzo (2008), La cucina medievale di Laura
Mancinelli (2012). Ha curato le antologie C’era una volta il Settecento (2009) e C’era una volta l’Ottocento (2012).
Ha collaborato all’allestimento della mostra “Torino 1706”; ha partecipato al Convegno internazionale sul
Principe Eugenio (Palazzo Lascaris, settembre 2006); ha svolto relazioni al Convegno su Edmondo De Amicis
(Aula Magna dell’Università di Torino, novembre 2009) e a quello sul “Grand Tour” (CIRVI, Moncalieri,
febbraio 2010). Pubblica articoli e tiene conferenze su tematiche storico-letterarie inerenti al Piemonte.
22
Giuseppe Balbiano d’Aramengo
Utrecht 1713: si conclude una guerra mondiale.
La guerra di successione spagnola non è stata solo l’ennesimo conflitto combattuto
in Europa per il controllo di una o più regioni; il conflitto si è esteso ad altre aree,
in particolare a quella nordamericana. I principali Stati d’Europa avevano avviato una
politica di espansione coloniale ed era inevitabile che i relativi imperi che ne erano
sorti entrassero in conflitto. La situazione del Nordamerica era particolare, in quanto
francesi e inglesi, tra loro concorrenti, avevano avviato una politica di penetrazione nel
quadro della quale le relative colonie e aree di interesse si intersecavano. Ma non è
solo la collocazione geografica dei conflitti che ci consente di definire questa guerra
“mondiale”: ben più importanti sono le motivazioni che hanno scatenato la guerra; le
conquiste territoriali passavano in seconda linea a fronte dell’obiettivo di controllare i
commerci mondiali e le relative rotte marittime. Il trattato di Utrecht ha sancito anche
cambiamenti per quanto riguarda la sovranità su territori, ma questi avevano soprattutto un significato in funzione della possibilità di sviluppare rotte commerciali sicure.
Basti pensare che per gli inglesi, una piccola isola (Minorca) e un fazzoletto di terra
(Gibilterra) avevano più importanza della Sicilia (fatta acquisire comunque a un alleato
sicuro). Volendo ora valutare le principali conseguenze del trattato queste sono l’inizio
dell’espulsione dei francesi dal Nordamerica e la sostituzione degli inglesi agli spagnoli
come principali protagonisti dei commerci. È opinione comune che il nuovo equilibrio
raggiunto in Europa con i trattati di Utrecht sia rimasto sostanzialmente inalterato fino
all’epoca napoleonica; ma il predominio inglese sui mari, sancito in quell’occasione, ed
il conseguente controllo delle rotte marittime ha durato ben oltre, mentre il predominio
anglosassone sul Nordamerica ne ha condizionato lo sviluppo, con conseguenze che
durano ancora oggi.
Giuseppe Balbiano d’Aramengo si è dedicato negli ultimi anni allo studio e ad attività di divulgazione della
storia e delle testimonianze piemontesi con particolare riguardo alle vicende della guerra di successione
spagnola, dell’assedio e della battaglia di Torino. È stato tra i promotori dell’Associazione Torino 1706, che
ha realizzato le principali manifestazioni per il terzo centenario dell’Assedio di Torino. Ha realizzato alcuni
siti Internet inerenti al tema: il sito del Museo Pietro Micca, il sito dell’Associazione Amici del Museo Storico
Nazionale di Artiglieria ed il sito ufficiale dell’Associazione Torino 1706. Ha curato la pubblicazione di
una cronaca inedita dell’assedio, scritta dal Generale Giuseppe Maria Solaro della Margarita comandante
dell’artiglieria piemontese in quel periodo cruciale della storia piemontese.
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Paolo Bevilacqua, Fabrizio Zannoni
La carta archeologica delle fortificazioni
sotterranee torinesi. Uno strumento di studio
e salvaguardia.
Il contributo presenta i primi risultati dell’attività, svolta in collaborazione con l’attuale Direzione del Museo Civico Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706, relativa alla redazione di una Carta Archeologica aggiornata e completa delle fortificazioni
sotterranee torinesi. Che tanta importanza ebbero nella difesa della città e ne successo
che aprì le porte alla vantaggiosa pace di Utrecht. Strumento indispensabile per la conoscenza, la tutela e la gestione del cospicuo patrimonio archeologico militare ancora conservato, la sua redazione, seppur ancora parziale, è il frutto di lunghe e onerose ricerche
nei principali istituti archivistici italiani e stranieri, seguite da operazioni di ricognizione
e verifica sul terreno dei dati ricavati dalla documentazione esistente. Il lavoro, teso a
completare l’opera impostata dal Col. Pietro Magni fra il primo e il secondo decennio
del XX secolo, ripresa e ampliata dal Gen. Guido Amoretti con la fondazione del Museo
Pietro Micca, ha infine lo scopo di costituire la base per eventuali futuri ampliamenti dei
percorsi museali sotterranei consentendo l’accesso a settori delle contromine oggi non
fruibili per il pubblico.
Fabrizio Zannoni, archeologo. Collaboratore esterno della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte
e del Centro Studi e Ricerche Storiche per l’Architettura Militare del Piemonte, si occupa principalmente di
contesti di natura militare di età postmedievale. Collabora inoltre da molti anni con la Direzione del Museo
Civico Pietro Micca nelle attività di recupero, studio, tutela e valorizzazione del patrimonio storico sotterraneo
della Cittadella di Torino
Paolo Bevilacqua, fotografo. Studioso dei sistemi di fortificazione sotterranea. Dal 2004 svolge ricerche
orientate allo studio della costruzione e storia operativa del sistema di contromina della piazzaforte di Torino.
Ha collaborato agli allestimenti celebrativi per il terzo centenario dell’assedio di Torino del 1706 e agli scavi
promossi dal Museo Pietro Micca e dall’omonima Associazione per il recupero del patrimonio storico militare
della Cittadella di Torino.
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Paolo Bosotti
Alla vigilia di Utrecht: armi sabaude in
campo per la conquista di nuovi confini.
Il celebre assunto di von Clausewitz: «La guerra è la continuazione della politica con
altri mezzi» trova numerose conferme nella storia del Piemonte sabaudo la cui posizione
geografica, a cavaliere di vie di comunicazione d’interesse strategico quali i valichi alpini,
è per i Savoia al contempo motivo di preoccupazione e ragione di successi diplomaticomilitari scanditi da progressivi ampliamenti territoriali sino alla completa unificazione
italiana.
Per la sopravvivenza e il rafforzamento dei propri Stati i Savoia sono costretti a
creare e ad aggiornare, riformare e potenziare costantemente una compagine militare
efficiente ed affidabile; uno strumento che, impiegato sinergicamente con la diplomazia, susciti fra le potenze del vecchio continente se non proprio timore, almeno
interesse e rispetto.
Le armi dei Savoia alla vigilia di Utrecht sono il tema di questo sintetico saggio.
Attraverso l’analisi di molteplici fonti storiche il cui comune oggetto di studio sono
le istituzioni militari sabaude, ci si prefigge il fine di lumeggiare le principali caratteristiche della componente bellica del Piemonte di inizio ‘700. Già da allora, caso
unico fra gli Stati italiani preunitari, i Savoia dispongono di un esercito regolare, le
truppe d’ordinanza rinforzate alla bisogna da unità di volontari inquadrati nei ranghi
della milizia.
I temi esplorati, pur sommariamente, sono diversi: la consistenza numerica e l’organizzazione dell’apparato militare, le modalità di reclutamento, l’equipaggiamento,
l’addestramento, la disciplina e l’amministrazione dell’armata e della marina ducali. Ne
esce un quadro articolato e non privo di spunti di riflessione. Per un piccolo Stato la
disponibilità di truppe permanentemente mobilitate, se da un lato costituisce punto di
forza, dall’altro è ragione di preoccupazione, in particolare per il peso che le spese militari hanno nell’economia pubblica.
Senza la pretesa di fornire un quadro esaustivo su temi meritevoli di ben più approfonditi studi multidisciplinari, ci si prefigge il fine di sollecitare l’interesse su uno degli
aspetti cruciali della storia del Piemonte e dell’Italia, quello delle armi sabaude, depositarie di importanti tradizioni storiche, protagoniste delle vicende europee dell’Ancien
Régime ed alle quali fanno capo usi, costumi, tradizioni e saperi che caratterizzano a
tutt’oggi le nostre Forze Armate.
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Il Generale di Divisione Paolo Bosotti è nato a Torino il 6 gennaio 1955, conseguita la maturità classica presso
il liceo “A. Rosmini”, accede all’Accademia Militare di Modena dalla quale esce con la nomina a Sottotenente
di Cavalleria. Ha conseguito la laurea in Scienze Strategiche e quella in Scienze Internazionali e Diplomatiche.
È in possesso di tre Master di 2° livello, parla inglese e francese. È insignito di numerose decorazioni nazionali
ed estere. Nel 1978 viene assegnato quale comandante di squadrone al 1° Gruppo Squadroni Corazzato
“Nizza Cavalleria” in Pinerolo. Nel 1985 viene assegnato alla Scuola di Applicazione di Torino quale
Comandante di Sezione. Nel 1988 viene assegnato, quale Ufficiale addetto, all’Ufficio Generale Pianificazione
e Programmazione Finanziaria dello Stato Maggiore dell’Esercito e, nel 1992, viene assegnato all’Ufficio del
Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Comanda tra il 1993 e il 1994 il 1° Gruppo Squadroni del Reggimento
“Piemonte Cavalleria” (2°) a Trieste. Ufficiale di Stato Maggiore, nello stesso anno diviene Capo della 1^
Sezione dell’Ufficio Coordinamento Logistico dello Stato Maggiore dell’Esercito. Nel 1996 viene trasferito
all’Ufficio del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e nel 1999 assume il Comando del Raggruppamento
Addestrativo in Montelibretti. Dal 2001 al 2004 presta servizio presso l’Ufficio del Gabinetto del Ministro
della Difesa. Frequenta la 56^ Sessione dell’Istituto Alti Studi della Difesa. Dal 2005 al 2008 ricopre il duplice
incarico di Ispettore per l’Arma di Cavalleria e Comandante della Scuola in Lecce. Dal giugno 2008 al luglio
2009 svolge l’incarico di Deputy Commander della NATO Training Mission in Iraq con sede in Baghdad.
Rientrato in Italia, fino all’ottobre 2012 svolge l’incarico di Direttore Esercito dell’Istituto Alti Studi della
Difesa in Roma. Il 5 ottobre 2012 assume l’incarico di Comandante della Regione Militare Nord in Torino.
26
Juri Bossuto
Utrecht. Fenestrelle: da territorio d’oltralpe
francese, a città di frontiera sabauda.
Agosto 1708, le truppe piemontesi portano avanti il contrattacco a quelle francesi
dopo aver spezzato l’assedio di Torino del 1706. I militari sabaudi circondano Fenestrelle
assediando il forte francese Moutin, una modesta costruzione fortificata posta sulla riva
destra del fiume Chisone e sotto ad alcune alture delle Alpi Cozie. La fortezza, il cui
progetto è attribuito a Sébastien Le Prestre de Vauban, è contornata da numerose ridotte
immediatamente conquistate dall’esercito ducale. L’artiglieria di Vittorio Amedeo II,
collocata su alcune alture poste sopra Fenestrelle e forte Moutin, bombarda incessantemente le opere difensive sino a costringere la guarnigione alla resa. Fondamentale alla
riuscita delle operazioni belliche risulta essere il posizionamento di reparti nei pressi dei
valichi posti a corona intorno al forte Moutin stesso, la cui guarnigione si arrende il 30
agosto 1708 in seguito ad una “breccia d’onore” ed a tensioni tra la truppa ed il comando. Gli anni a seguire sono i classici derivanti da un’occupazione militare. I sudditi sono
obbligati a prestare giuramento di fedeltà al Duca, sulle gradinate della chiesa fenestrellese, mentre al contempo si scatena la guerriglia anti sabauda degli uomini comandati dal
capitano Bourcet, ostinato ufficiale francese. Con il 1713 i territori della val Pragelato
passano ufficialmente alla Casa Savoia ed a Fenestrelle avviene la pacificazione, favorita
anche da un grande cantiere pubblico che darà a lungo lavoro a molta manovalanza
locale: il Forte di Fenestrelle, la cui costruzione inizia nel 1728 per concludersi circa
cent’anni dopo.
Juri Bossuto nasce a Torino il 10 febbraio 1965. Laureato in Giurisprudenza con una tesi incentrata sul sistema
carcerario sabaudo, entra in politica nei primi anni ‘90. Dal 1997 al 2001 è Consigliere Comunale di Fenestrelle
e Consigliere della Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca. Nel 2001 diventa Presidente della
Circoscrizione 2 di Torino e nel 2005 Consigliere Regionale del Piemonte. Nel 1998 compie ricerche storiche,
finanziate dai fondi Interreg II, al fine di schedare i documenti di archivio inerenti il forte di Fenestrelle, di cui
è guida e Presidente dell’associazione che cura la gestione del sito storico (Associazione Progetto San Carlo).
Da tali ricerche prendono vita alcune pubblicazioni tra cui “Il gigante armato, Fenestrelle fortezza d’Europa”
ed. Il Punto.
Nel 2012 pubblica, insieme a Luca Costanzo, il libro Le catene dei Savoia, ed. Il Punto. L’elaborato si
sviluppa intorno agli studi d’archivio pertinenti la tesi di laurea (relatore Prof. Sarzotti Claudio), ampliati ed
approfonditi nei mesi successivi. Le voluminose fonti storiche hanno permesso di fare luce sia su Fenestrelle
quale bagno penale, che sulle vicende risorgimentali legate ai prigionieri politici e di guerra (papalini, borbonici
e garibaldini).
27
Paola Briante
«Et tout ce qui est à l’eau pendante des
Alpes»: il principio della frontiera naturale e
gli effetti sulla popolazione locale.
Il titolo del contributo rimanda all’articolo IV del Trattato di Utrecht, che per la
prima volta formalizzava il principio della frontiera naturale, con l’intento di stabilire
una frontiera razionale. Il nuovo confine segnato lungo lo spartiacque provocò all’epoca
malcontento e favorì rivendicazioni territoriali e controversie che si protrassero nel tempo e che trovano riscontro in alcune serie conservate nell’Archivio di Stato di Torino.
Il contributo riguarderà in particolare un’annosa controversia tra comunità già delfinali
e non più appartenenti alla medesima compagine statuale nell’alta valle di Susa e sul
versante della Clarée: Montgenèvre e Cesana, Melezet e Plampinet.
Paola Briante, archivista di Stato presso l’Archivio di Stato di Torino fino al 2012. È stata responsabile della
sezione Ministero della Guerra e direttore della Sezione di Fotoriproduzione, si è occupata di vari fondi
archivistici tra cui gli archivi del Duca di Genova e dell’Ordine di Malta. Ha insegnato, come professore a
contratto, Archivistica speciale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Torino dal 2000
al 2009. Ha pubblicato su temi connessi alla sua professione.
28
Dino Carpanetto
Valdesi e ugonotti al tavolo di Utrecht.
L’intervento si propone di considerare la pace di Utrecht come nodo significativo
che, accanto alle questioni internazionali legate ai nuovi assetti dell’Italia al termine
della lunga pax ispanica, mette in luce temi e prospettive di storia religiosa che fanno da
sfondo alla guerra di Successione spagnola.
È un percorso che si articola su un doppio binario quello che intendo presentare.
L’uno chiama in causa le categorie del dibattito religioso e politico con al centro il tema
della tolleranza; l’altro osserva la dimensione locale in cui uomini divisi dalla fede cercano soluzioni diverse da quelle che avevano contrassegnato l’Europa del Seicento, chiusa
nella dimensione confessionale dello stato.
Dal calvinismo razionalista che compare quale una delle risposte possibili alla revoca
dell’editto di Nantes, al profetismo del calvinismo radicale che riemerge tra gli ugonotti
rimasti in Francia dopo il 1685 e anima una lotta disperata come quella dei camisards
in cui si trova implicato lo stato sabaudo durante la guerra, dal ruolo dei valdesi che
recuperano spazi di libertà dopo le repressioni e gli esili, alle relazioni di confine tra lo
stato sabaudo e la repubblica calvinista di Ginevra: sono queste alcune delle prospettive
generali che la relazione intende indicare quali temi portanti che a Utrecht trovarono
un luogo di discussione negoziale e di risoluzione delle tensioni scaturite dal confronto
politico e religioso tra l’Europa cattolica e quella riformata.
Dino Carpanetto è dal 2006 professore associato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di
Torino (ora presso il Dipartimento di Studi Storici), per l’insegnamento di Storia moderna. Le sue ricerche si
sono orientate ai temi di storia della medicina nel XVIII secolo (Facoltà di Medicina di Torino, professioni e
cultura medica in età moderna, vaccinazione e medicina sociale), di storia dei rapporti tra la cultura dei Lumi e
le riforme politiche, e alle relazioni politiche, culturali e diplomatiche tra Stati limitrofi. Si devono a lui studi ed
analisi sui rapporti tra Stato sabaudo e Repubblica di Ginevra in età moderna. Sui diversi temi citati è autore
di numerosi saggi e volumi monografici.
29
Giovanni Cerino-Badone
Da Torino ad El Alamein. La via italiana
e la via tedesca alla guerra, 1706-1942.
La comunicazione intende mettere a confronto due sistemi completamente differenti di preparare, affrontare e combattere una guerra: il sistema italiano e quello tedesco.
Nonostante la storiografia militare italiana e tedesca li analizzi prevalentemente in relazione al periodo della Seconda Guerra Mondiale, questi modi di combattere hanno
un’origine ben più lontana nel tempo. Le esperienze belliche del Regno di Sardegna,
attorno all’epoca della pace di Utrecht e sino al XIX secolo, possono essere anche lette
come base di formazione del Regio Esercito Italiano. L’assedio di Torino del 1706 fu una
pietra miliare della storia militare prussiana e sabauda. A metà del Settecento Federico II
di Prussia riteneva che la guerra dovesse essere kurz und vives, corta e dinamica, finalizzata
al raggiungimento di una battaglia decisiva di annientamento, basata su una notevole
mobilità sul campo di battaglia. Nello stesso periodo lo Stato Maggiore dell’esercito del
regno di Sardegna, pur disponendo di un potenziale militare simile a quello prussiano in
termini di forza numerica, riteneva che il modo migliore per concludere vittoriosamente
un conflitto si basasse sul concetto dell’Army in being, ossia fosse sfruttare il difficile
territorio alpino, logorare con tattiche prettamente difensive l’avversario e risparmiare
i propri reggimenti in vista della pace. Tali atteggiamenti, che nacquero nel corso della
Guerra di Successione di Spagna ed in particolare durante le campagne piemontesi del
1705-1706, si sono perpetuati nel corso del XIX secolo, nelle rispettive guerre di unificazione nazionale del 1848, 1859 e 1866, nella Prima Guerra Mondiale sino allo scoppio
del secondo conflitto mondiale.
Giovanni Cerino Badone (Alessandria, 22 giugno 1976), dottore di ricerca in scienze storiche, è ricercatore
presso il Centro per l’Analisi Storica del Territorio (CAST) dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo
Avogadro” e membro della Società Italiana di Storia Militare (SISM) e dell’Associazione Svizzera di Storia
e Scienze Militari (Schweizerische Vereinigung für Militärgeschichte und Militärwissenschaft SVMM). È autore di
numerosi interventi in studi collettanei ed atti di convegni e, tra le varie, delle monografie Aquile e Gigli (2007)
e Bandiere nel fango (2005) dedicate alla guerra nel XVIII secolo. Nel 2012 ha curato la prima edizione italiana
della Campagna del 1796 in Italia di Carl von Clausewitz.
30
Arabella Cifani, Franco Monetti
Il ministro Pietro Mellarède (1659-1730):
uno straordinario collezionista d’arte nella
Torino del primo Settecento.
La figura del savoiardo Pietro Mellarède, fine diplomatico e uomo di cultura tra
Sei e Settecento in Piemonte, è conosciuta ed apprezzata soprattutto tra gli studiosi di
storia del periodo, anche in relazione al fondamentale apporto alla pace di Utrecht.
I servigi resi a Vittorio Amedeo II e gli uffici di Segretario di Stato e Ministro degli
Affari Interni gli garantiscono autorevolezza e, consentono il consolidamento del suo
prestigio, anche attraverso accrescimenti patrimoniali e signorili. Dopo una brillante
carriera muore nel 1730 all’età di circa 71 anni a Torino dove viene sepolto nel santuario della Consolata. Fino ad ora praticamente nulla si conosceva della sua vita privata
e dei suoi gusti artistici, sui quali si focalizza il presente intervento, attraverso lo studio
della collezione d’arte del Castello di Betton-Bettonnet da lui costituita. La collezione
fu costituita inizialmente da Pietro Mellarède, che aveva incominciato a raccogliere a
Torino una cospicua raccolta di opere, che dovette dapprima adornare la sua residenza
cittadina. Il primogenito del Ministro, l’abate Filiberto Amedeo nel 1771, lasciando
per sempre Torino, dovette portare con sé ogni memoria - carte, oggetti - della famiglia
al Castello di Betton-Bettonnet. Fu allora che anche la pinacoteca trovò la sua definitiva collocazione in Savoia.
La Collezione che offre uno straordinario contributo alla storia dell’arte piemontese, è formata al presente di 64 opere. Quelle cronologicamente più antiche sono
quattro importanti tavole d’epoca cinquecentesca di autore savoiardo. Vi sono poi
alcuni ritratti, fra cui quello del Ministro e della sua prima moglie. Ma l’importanza
storica ed artistica della collezione risiede nel fatto che i Mellarède si orientarono
soprattutto sull’acquisto di opere molto à la page a quel tempo a Torino, vale a dire
quadri di genere, di bambocciata, di paesaggio. Mellarède acquistò opere dei principali artisti attivi nella capitale in tale settore: Pietro Domenico Ollivero, Pietro Maurizio Bolkman, Angela Maria Pittetti - detta Palanca -, i Lanfranchi, Stefano Pasero. A
rendere la collezione di interesse nazionale contribuirono poi anche escursioni fuori
regione, con tele di Giovanni Battista Abret, Cajetan Roos, Giacomo Francesco Cipper - il Todeschini - di Pieter Mulier - il Tempesta - nonché di Angelo Maria e Giovanni
Crivelli – il Crivellone e il Crivellino -.
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Arabella Cifani e Franco Monetti, torinesi, sono oggi, con i contributi portati su innumerevoli artisti (fra i quali
Nicolas Poussin, Piero da Cortona, Antonio Van Dyck, Guido Reni, Guercino, Alessandro Allori, Carle Van
Loo, Carle Dauphin, il Legnanino, Angelika Kauffmann, il Morazzone, Daniel Seiter, Alvise Vivarini, Claudio
Francesco Beaumont) annoverati tra i maggiori e prolifici storici dell’arte. Si devono a loro le scoperte sulla
Cappella Dal Pozzo del Camposanto di Pisa nel 2000 e la lettura iconografica e storica nel 2005 del celebre
cassettone a ribalta di Pietro Piffetti del Quirinale. Nel 2006 hanno pubblicato la monografia del grande
mosaicista Giovanni Battista Calandra (1586-1644), per i Cinquecento Anni della Basilica Vaticana; nel 2008
Palazzo Lascaris a Torino. Da dimora signorile a sede del Consiglio Regionale del Piemonte e La collezione Croff della
Fondazione Guelpa di Ivrea. Nel 2009, in “Saggi e Memorie di Storia dell’Arte” della Fondazione Giorgio Cini di
Venezia, La collezione di dipinti di Pietro Mellarède (1659-1730) e dei suoi eredi. Nel 2010, in collaborazione con
il Centro Restauro di Venaria Reale ed introduzione di Alvar González-Palacios, Un Capolavoro di Pietro Piffetti.
Nel 2012 il volume La Palazzina Marone Cinzano. Sede del Centro Congressi dell’Unione Industriale di Torino. Hanno
collaborato e collaborano ad alcune delle più importanti riviste d’arte del mondo e alle pagine artistiche de
“L’Osservatore Romano”. Per la loro opera sono stati destinatari di onorificenze e riconoscimenti prestigiosi.
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Antonio Cravioglio
L’organizzazione territoriale dello Stato
sabaudo ai tempi di Vittorio Amedeo II.
L’espansione dello Stato sabaudo sotto la sovranità del Duca (poi Re) Vittorio Amedeo II fu resa possibile anche dalla notevole modernizzazione delle strutture territoriali
civili, con tutti i connessi problemi d’indole amministrativa e finanziaria, vale a dire dei
Comuni e delle Province. I Comuni ( o per meglio dire le “Comunità”)presentavano
connotazioni di antica origine, con molteplicità di ordinamenti sia nelle terre d’oltralpe,
sia nei possedimenti subalpini di “antico dominio”, dalle modalità di elezione dei sindaci o consoli, alle caratteristiche dell’imposizione tributaria, alla regolamentazione dei
rapporti fondiari, e così via. Una caratteristica diffusa era però quella dell’elevatissima
frammentazione di tali entità rispetto alla consistenza della popolazione stanziata. Si
trattava, infatti di circa duemila comunità agli albori del 1700, poi di qualcosa come
altre trecentocinquanta con le terre di nuova acquisizione nel 1713, per una popolazione complessiva (pur con stime non del tutto univoche), di circa un milione e mezzo di
abitanti, Sicilia esclusa. Il compito, delicatissimo, di ricondurre ad unità questa molteplicità di enti locali, anche per assicurare allo Stato centrale flussi di risorse adeguati agli
ambiziosi obiettivi di accrescimento e consolidamento, in un contesto internazionale
particolarmente difficoltoso, fu affidato a funzionari statali denominati “Intendenti”,
entro delimitazioni territoriali provinciali che non poterono realizzarsi, nonostante la
forte volontà centralizzatrice del sovrano, in modo simultaneo. Inoltre, sia il concetto
di provincia sia l’attribuzione dei compiti peculiari degli Intendenti, subirono processi
di assestamento nell’arco degli anni a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, al fine di
adeguarli alle mutate condizioni generali. Basti pensare a quell’opera ciclopica che fu la
revisione generale dei catasti e dei titoli di proprietà dei beni feudali, per citare alcuni
aspetti storicamente più appariscenti. L’autore ripercorre i tratti salienti di tali processi
organizzativi con l’occhio dell’esperto di finanza pubblica, riscontrando anche elementi
di continuità in rapporto all’epoca contemporanea.
Antonio Cravioglio, dirigente aziendale con lunga esperienza in imprese industriali e di servizi, ha affinato
i suoi studi in materia di finanza nei settori privati e pubblici. Ricercatore di storia ed economia locale, ha
pubblicato uno studio sulla famiglia Carron e un volume sulle vicende della comunità di Buttigliera Alta nei
sec. XVIII e XIX; ha in corso una ricerca sul sistema scolastico nel Piemonte rurale del XIX secolo.
33
Annalisa Dameri
“Alessandria […] una grande Aquila […]
si deve far capital di lei per ogni occasion
di guerra”. La città baluardo tra Piemonte
sabaudo e Stato di Milano.
A seguito dell’annessione di Alessandria al regno sabaudo gli ingegneri piemontesi
giudicano il sistema difensivo della città complesso e obsoleto e ritengono necessario adeguarlo in tempi brevi. In realtà i lavori sono più volte bloccati e rimandati sino al 1728,
anno in cui sono stanziati i finanziamenti per una “Cittadella in Borgoglio”, decretando
la completa cancellazione del borgo oltre Tanaro. Alessandria vede in questo modo riconfermata la propria vocazione strategico-difensiva, e un corto circuito storico le impone,
da quel momento, di difendere territori dai quali, sino a qualche anno prima, ha temuto
potesse arrivare un attacco nemico.
Già nel Cinquecento e Seicento la città annessa alla Lombardia e, quindi, sottomessa alla Spagna, ha giocato un ruolo fondamentale nella difesa dei confini dello stato milanese ed è stata più volte oggetto di progetti di potenziamento e ammodernamento del
circuito fortificato. Questo il motivo per cui molti disegni della città del XVII e XVIII secolo sono conservati nei più importanti archivi italiani e stranieri (tra gli altri l’Archivio
di Stato di Milano, l’ISCAG di Roma, Madrid, Simancas, il Krigsarkivet di Stoccolma).
Dalle carte emerge una storia della città fatta anche di sopralluoghi da parte dei molti
ingegneri militari, rilievi, progetti, spesso mai realizzati, nella comune convinzione che
Alessandria debba poter arginare possibili attacchi prima dei Savoia e dei Francesi, poi
dello Stato di Milano. I primi esiti della ricerca sono pubblicati in Annalisa Dameri, Le
città di carta. Disegni dal Krigsarkivet di Stoccolma, Torino 2013.
Annalisa Dameri, Ricercatore confermato, (settore disciplinare ICAR 18), presso il Politecnico di Torino,
Dipartimento di Architettura e Design, laureata in architettura, Specialista in Storia, Analisi e Valutazione
dei Beni Architettonici e Ambientali, ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca frequentando il corso di
Dottorato in Storia e Critica dei Beni Architettonici e Ambientali del Politecnico di Torino. Attualmente è
professore aggregato di Storia dell’architettura e della città, corso di laurea magistrale in architettura per il
restauro e la valorizzazione del patrimonio (Collegio di Architettura, Dipartimento Architettura e Design,
Politecnico di Torino). La storia dell’architettura e la storia della città in età moderna e contemporanea
rappresentano in termini generali l’ambito verso cui si sono orientati gli interessi di ricerca scientifica, in
diretto rapporto anche con l’attività didattica svolta, e con esiti nella partecipazione a ricerche nazionali
coordinate in ambito universitario, relazioni a congressi e convegni, pubblicazioni a stampa. In senso generale
la base di metodo si fonda su inedite ricerche filologiche e archivistiche, sulla letteratura e storiografia coeva,
sull’analisi critica e conoscitiva dei risultati degli studi pubblicati.
34
Casimiro Debiaggi
Prima e dopo Utrecht. I Valsesiani di Torino
attraverso i secoli.
La Valsesia entrò a far parte degli Stati sabaudi poco dopo l’esito dell’assedio di
Torino del 1706, anticipando di alcuni anni, congiuntamente ad altri importanti territori, le successive espansioni geopolitiche determinate dagli accordi di pace di Utrecht.
Le presenze valsesiane a Torino e in altre aree degli Stati dei Savoia sono tuttavia ben
più risalenti nel tempo. Pur essendo sudditi dello Stato di Milano i Valsesiani avevano
una consolidata dimestichezza col Piemonte sabaudo dove, ad esempio, confluirono da
vecchia data, talora radicandovisi, qualificate e numericamente consistenti maestranze
impegnate in campo edilizio, artistico, artigianale. Ma la presenza valsesiana non si limita a tali ambiti. Alcune casate, come quelle dei Nicolis e dei Carelli, che ebbero grande
rilevanza nella storia del Piemonte, sono originarie di Varallo e documentano con le
loro vicende un’antica attrazione, condivisa da altre famiglie originarie di differenti paesi
valsesiani e supportata dal favore della dinastia. Con l’annessione del 1707 e poi con la
pace di Utrecht il ruolo e la consistenza dei Valsesiani cresceranno in modo ancora più
marcato, come si accennerà in queste note.
Casimiro Debiaggi, di antica famiglia valsesiana originaria di Doccio, ha insegnato Storia dell’Arte per
quarant’anni nei Licei torinesi. È socio fondatore della Società Valsesiana di Cultura, in seno alla quale
ha direttamente sviluppato o promosso numerosi studi storico-artistici riferiti a Varallo e alla Valsesia. Tra
le sue opere si possono ricordare i classici volumi Dizionario degli artisti valsesiani dal secolo XIV al XX secolo
(Varallo, Società di Conservazione delle Opere d’Arte e dei Monumenti della Valsesia, 1968), Studi gaudenziani
(Borgosesia, 1977) nonché numerose monografie e studi più recenti, il cui elenco dettagliato, riferito anche
ad alcuni lavori attualmente in corso di stampa, è edito nel volume miscellaneo Una lunga fedeltà all’arte e alla
Valsesia […], dedicatogli in occasione dei suoi ottant’anni, a cura di Enrica Ballarè e Gianpaolo Garavaglia
(Borgosesia, 2012).
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Davide De Franco
Il governo del territorio tra conservazione e
spinte riformatrici: il Delfinato “di qua dai
monti” annesso nel 1713.
La relazione intende portare all’attenzione il problema dei rapporti tra Stato e territorio, ricorrendo al momento storico segnato dal passaggio di dominazione del Delfinato “di qua dai monti” al regno di Vittorio Amedeo II, avvenuto nel 1713. L’esistenza,
oltre i confini sabaudi, di istituti sensibilmente differenti, pone il problema di quale
politica abbia attuato la corona quando le frontiere avanzarono, includendo spazi fino
a poco tempo prima soggetti alla Francia. Come si regolò il governo di Torino, quali
furono i compromessi raggiunti tra le spinte riformatrici imposte dal centro e le istanze
di conservazione provenienti dalle comunità del Delfinato annesso? L’esistenza di peculiari ordinamenti, che traevano legittimità dalla carta di franchigie concessa nel 1343,
pose la necessità di regolare, e dosare nel tempo, i testi normativi promulgati per il buon
governo delle comunità. I villaggi, dal canto loro, nel tentativo di mantenere in vigore
le proprie consuetudini, riproposero con forza, anche in virtù delle clausole di Utrecht,
che imponevano il mantenimento dello status quo sui territori rispettivamente ceduti da
Francia e Savoia, la riconferma delle franchigie medievali. Attraverso alcune questioni
di centrale interesse, quali la fiscalità e le giurisdizioni, sarà dunque possibile leggere le
principali tappe intraprese dalla corona sabauda per il governo della sua frontiera alpina.
Davide De Franco si è laureato in Storia con una tesi dal titolo: Sulle sponde del Ceronda: La metamorfosi di una
terra di cacce da Altessano Superiore a Venaria Reale (secoli XVII-XVIII). Attualmente svolge il dottorato di ricerca in
Scienze storiche presso l’Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, con un progetto di ricerca sul
governo del Delfinato annesso allo Stato sabaudo nel 1713. Ha inoltre conseguito, nel 2011, il Diploma della
Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell’Archivio di Stato di Torino. Dal 2012 collabora per il
progetto Economic Inequality across Italy and Europe, 1300-1800, finanziato dall’ERC (European Research Council),
e coordinato da Guido Alfani dell’Università L. Bocconi di Milano. Tra le sue pubblicazioni risulta Metamorfosi
di un territorio di caccia: il caso di Venaria Reale (1589-1703), per il «Bollettino Storico Bibliografico Subalpino».
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Sante Di Biase
La Repubblica di Venezia e i trattati
di Utrecht del 1713.
Nel contesto dell’azione politica e della partecipazione della Repubblica di Venezia
agli eventi bellici e alle strategie internazionali che furono diretta conseguenza della crisi
dinastica della monarchia spagnola e che cambiarono radicalmente gli assetti dell’intero
continente europeo, si intende analizzare, attraverso l’ausilio di fonti inedite, contenute
presso l’Archivio di Stato lagunare, in particolar modo incentrandosi sui dispacci e le
comunicazioni diplomatiche al Senato, il ruolo del diplomatico lagunare Carlo Ruzzini,
uomo politico di primissimo piano che diventerà doge negli ultimi frangenti della sua
vita, nelle complesse trattative che portarono alla ratifica del trattato di Utrecht. Infatti,
sebbene la Serenissima Repubblica ne uscì fortemente ridimensionata, dovendo rinunciare per sempre alle sue velleità di ingrandimento territoriale in Morea e al progetto
di riconquista dell’antico territorio d’Oltremare in mano ottomana, il Ruzzini si attivò
in maniera cospicua per garantire la dignità reale alla dinastia sabauda, in modo da
garantire un forte contraltare peninsulare alle ingerenze straniere e poter continuare a
perseguire gli obiettivi di una politica di bilanciamento e di equilibrio tra i soggetti e le
entità territoriali dello scacchiere peninsulare.
Sante Di Biase, dopo un tirocinio formativo presso l’Archivio di Stato di Pescara dall’ottobre al dicembre 2008
si è occupato della sistemazione del fondo archivistico “categoria II” del Comune di Pescara, con preparazione
di elenco archivistico edito presso il locale Archivio di Stato e della risistemazione dell’archivio parrocchiale
zona magellense presso l’Archivio diocesano di Chieti. Docente di biblioteconomia per gli operatori interni
della Comunità Montana “Vestina”, con sede a Penne dal febbraio al marzo 2010. Relatore annuale presso
l’Università della Libera Età di Guardiagrele (Ch) – settore disciplinare Storia Religiosa. Dopo la laurea
triennale presso l’Università degli Studi “D’Annunzio” di Chieti (a. a. 2006/2007, Francesco d’Assisi, la
fraternitas e l’Ordine dei Frati Minori. Bilancio storiografico e proposte metodologiche) e la tesi di laurea specialistica
presso l’Università degli Studi di Perugia (a. a. 2008/2009, Sede Apostolica ed Ordini Mendicanti: linee di sviluppo
e comparazione) tesi di dottorato presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma – Dottorato di ricerca in
Storia dell’Europa – XXV ciclo - a. a 2011/2012 sul (I rapporti diplomatici tra la Repubblica di Venezia e il Regno di
Francia tra XVI e XVII secolo). È autore di alcuni studi di storia religiosa, da ultimo della Cronaca del Seminario
di formazione in Storia Religiosa e Studi Francescani ( Assisi, 21 giugno- 1 luglio 2011 ), in “Franciscana” XIII (2011).
Attualmente è Consigliere comunale del Comune di Lettomanoppello (Pe) e Vice-presidente Consiglio della
Comunità Montana “Maiella e Morrone”.
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Giovanni Maria Ferraris
Torino: città capitale di un Regno sognato.
A Torino, durante il Medioevo (e in parte ancora in tempi successivi, quando già la
città era divenuta capitale degli Stati sabaudi) il potere del Principe sussisteva con quello
civico, talora determinando un confronto dialettico, nei tempi più risalenti non sempre
scevro di contrasti che in progresso di tempo erano destinati a ricomporsi pacificamente,
attraverso pattuizioni e con la concessione di franchigie e privilegi.
Nel 1700 il retore Carlo Giuseppe Reina scrive di Torino, pensando al suo duca guerriero e riformatore qual è Vittorio Amedeo II che, guardando alla grande corte di Francia
da cui proviene la consorte Anna d’Orléans, aspira sommamente al titolo regio: “Sembra
una nuova città et una delizia veramente di Gran Principe … Il ridirne una sol parte, è un non mai
cominciare, essendo gionta a tal grandezza, che la semplice narrazione ha sembianza d’hiperbole, e la
di lei magnificenza passa i confini del credibile …”. Poco prima, ma soprattutto dopo i trattati di
Utrecht, la città, capitale del nuovo regno di Sicilia e, secondo i canoni barocchi, la “gemma”
più antica e rilucente della corona regia si trasforma, conseguendo per volontà del sovrano,
attraverso vasti piani edilizi e programmi urbanistici, un decoro che non è secondo a nessuna
delle maggiori capitali d’Europa. A sovrintendere a nuovi sviluppi e alla fase conclusiva di
progettazione urbanistica della città è chiamato il grande Filippo Juvarra. L’antica autonomia
comunale, ossia “l’altro” potere, sfuma definitivamente. L’amministrazione civica asseconda
il primato del sovrano assoluto e muta non tanto nella struttura quanto, in parte, nelle proprie componenti umane: nobili ed esponenti delle arti liberali, a scapito dei rappresentanti
delle professioni lucrose e dei ricchi mercanti. Alle ordinarie attività, il consiglio affianca le
pratiche e cerimoniali di corte. Popolata di nobili ed alti funzionari, nel Settecento la città
comincia ad assumere cadenze signorili. Il contatto con l’aristocrazia incoraggia la borghesia
torinese ad imitarne i modi, ingentilendosi e dando vita alla cortesia torinese, sapiente miscuglio di contegno e naturalezza, belle maniere e buoni costumi. Nascono e si imprimono nella
popolazione i caratteri nuovi e indelebili propri della cosiddetta torinesità.
Giovanni Maria Ferraris, Presidente del Consiglio comunale di Torino, dopo gli studi classici ha conseguito la
laurea in ingegneria chimica presso il Politecnico di Torino. Ha ricoperto vari incarichi istituzionali tra cui quelli di
consigliere e vicepresidente della Circoscrizione 8 per tre mandati amministrativi, poi consigliere comunale e quindi
assessore ai servizi civici, cooperazione e relazioni internazionali. È membro della direzione nazionale coordinamento
ANCI Consigli comunali e coordinatore regionale ANCI. Appassionato di storia e cultura locale ha promosso la
pubblicazione di alcuni volumi, tra cui Per Torino da Nizza e Savoia (Centro Studi Piemontesi – Città di Torino, 2011)
e Cittadini onorari di Torino (Presidenza del Consiglio comunale – Archivio Storico, in corso di stampa) e curato la
presentazione dei volumi Il viaggio in Oriente 1861-1862 di Ernesto Balbo Bertone di Sambuy (Torino, Centro Studi
Piemontesi, 2012) e Mio cugino Bono di Carlo Alfonso Maria Burdet. Ha pubblicato articoli in L’Araldica dello scalpello
e L’Araldica del pennello (Torino, Vivant, rispettivamente 2011 e 2012 ), 1946-2011. Il Consiglio comunale di Torino nell’età
repubblicana (Presidenza del Consiglio comunale – Archivio storico, 2011), La beata Maria degli Angeli, la Sindone e il
patrocinio di San Giuseppe sulla Città di Torino (a cura di Maria Teresa Reineri e Daniele Bolognini).
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Eugenio Garoglio
Utrecht 1713 e la frontiera militare delle Alpi
occidentali nelle alte valli di Susa e Chisone.
Con il trattato di Utrecht, le frontiere del Piemonte sabaudo subirono modifiche importanti. L’estensione dello stato subalpino fu incrementata, ad est, grazie all’annessione
di nuove vaste regioni confinanti con la Lombardia, come il Monferrato, confermando
l’ormai collaudata linea politica della dinastia sabauda, volta ad incrementare il proprio
dominio attraverso l’espansione nel nord Italia. Lungo la frontiera occidentale, invece,
il valore delle acquisizioni territoriali non constava nell’estensione geografica dei nuovi
possedimenti, ma nell’importanza strategica derivata dallo spostamento della frontiera
lungo la linea spartiacque delle vallate alpine e non più nel fondovalle, togliendo così
alle armate del Regno di Francia la possibilità di fruire di comode basi logistiche da poter
impiegare in caso di guerra per discendere rapidamente nella pianura padana, vanificando l’efficacia di quel naturale scudo difensivo rappresentato dall’aspro territorio alpino.
L’esame delle posizioni militari nelle alte valli di Susa e Chisone prima e dopo l’anno
1713 permetterà di avere una chiara visione di questo processo, che tanta importanza
ricoprirà nei secoli successivi.
Eugenio Garoglio, nato a Torino il 24 Aprile del 1985, laureato in Società e Culture d’Europa é laureando
in Scienze storiche e documentarie presso l’Università di Torino. Fa parte del comitato scientifico del Centro
Studi e Ricerche storiche sull’Architettura Militare del Piemonte, (CeSRAMP), con il quale ha collaborato
nell’allestimento del Museo del Forte di Bard e collabora tutt’ora al censimento dei trinceramenti ed opere
campali erette tra il XVI ed il XVIII secolo sulle Alpi occidentali. Membro della Società Italiana di Storia
Militare (SISM) e dell’Accademia di San Marciano, è studioso di armi antiche, fortificazioni e storia militare.
Tra le monografie è coautore di Le Aquile e i Gigli (2007) ed autore di La fortezza di Revello (2010) e La difesa
nascosta del Piemonte sabaudo (2012).
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Andrew Martin Garvey
Beyond Peace and Diplomacy: the Treaty of
Utrecht for Great Britain - Al di là della pace
e la diplomazia: il Trattato di Utrecht per la
Gran Bretagna.
Con questo contributo si vuole ricordare come il Trattato di Utrecht fu per l’Inghilterra, o meglio la Gran Bretagna, non soltanto il documento che garantiva la pace
a seguito della Guerra di Successione Spagnola ma anche un atto fondamentale per lo
sviluppo commerciale con l’estero e per il futuro dominio sui mari e l’espansione coloniale, anche a discapito dei suoi stessi alleati, come l’Olanda. La Pace di Utrecht diede
alla Gran Bretagna, sotto l’astuta guida di Robert Harley, Conte di Oxford e grazie anche
alle attività che sono state oggetto di non poche controversie, di Henry St John, Visconte
Bolingbroke, oggettivi vantaggi. Non ultimo dei privilegi e guadagni commerciali ottenuti dal Trattato di Utrecht fu l’Asiento, il monopolio di poter fornire quasi 4800 schiavi
all’anno per trent’anni al Nuovo Mondo. Inoltre, la Gran Bretagna ottenne anche il
diritto di inviare annualmente una nave con un carico di 500 tonnellate di merci a
Portobello. Vi fu inoltre un’espansione territoriale nel nuovo mondo, in Canada, con la
cessione da parte della Francia di Terranova, Acadia, la Baia di Hudson, che aveva anche
un’importanza per il ricco settore della pesca. Altri benefici territoriali furono ottenuti
nel Mediterraneo, con Gibilterra e Minorca. Anche la successione protestante al Trono
fu riconosciuta dalla Francia.
Andrew Martin Garvey è nato a Southsea (Hampshire) in Inghilterra. Ha servito brevemente nella Royal Navy
ed ha svolto i suoi studi presso le Università di Londra e Sheffield Hallam e il Trinity College di Londra. Insegna
lingua inglese per scopi militari presso la Scuola di Applicazione e Istituto di Studi Militari dell’Esercito. È,
inoltre, titolare di corsi di lingua inglese nelle Facoltà di Giurisprudenza e Psicologia dell’Università di Torino.
È autore o coautore di più di 10 libri, e di più di 150 articoli, studi e saggi di araldica, storia e attualità
britannica, oltre a scritti sull’insegnamento della lingua inglese pubblicati sia nel Regno Unito sia in altri paesi.
È socio di svariate associazioni storiche e araldiche.
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Enrico Genta Ternavasio
Il diritto internazionale europeo (Jus inter
principes) agli inizi del XVIII secolo.
I rapporti tra sovrani vengono elaborati, nel Medioevo e fino alla Rivoluzione francese, da una consociatio di persone, i Principi e i loro consiglieri, che sono titolari di
ampie prerogative, a loro riservate, nella creazione e nell’utilizzo di princìpi e regole
volte a organizzare la coesistenza tra i potentati europei. Questo insieme di regole appartiene alla sfera della sovranità, ha una matrice consuetudinaria, e costituisce un tipico diritto
cetuale. Risulta quindi preminente il ruolo del costume, della consuetudine, la quale,
nel caso dei rapporti internazionali, si presenta però come caratterizzata da una spiccata
autonomia rispetto ai paradigmi della cultura giuridica. Il diritto inter reges “non appartiene” ai giuristi e assume così la peculiarità di essere costituito da un insieme di valori
che presentano una sostanziale indifferenza soprattutto rispetto a quelli del dominante
giusnaturalismo. Si può pertanto definire questo diritto come pre-moderno, nel senso che
non si conforma al modello della razionalità giuridica, proprio della scuola del diritto
naturale. L’importanza della consuetudine è fondamentale; essa costituisce la prima fonte del diritto tra Stati: l’efficacia e la sopravvivenza degli accordi, dei trattati, come quelli
di Utrecht, dipende da una norma di carattere consuetudinario e conseguentemente il
diritto contenuto nei trattati ha spiccate caratteristiche di virtualità. Appartiene altresì
al mondo dei valori di quella “società dei governanti e dei loro ministri” il concetto di
guerra limitata, che verrà sovvertito dalla Rivoluzione e da Napoleone.
Enrico Genta Ternavasio, professore ordinario di storia del diritto italiano ed europeo nella Facoltà (oggi
Dipartimento) di Giurisprudenza dell’Università di Torino. Professore a contratto presso la facoltà giuridica
della LUISS,Roma. Membro effettivo della Deputazione Subalpina di Storia Patria e delle principali istituzioni
culturali locali piemontesi. Ha tenuto corsi presso l’ateneo parigino R. Descartes (Paris V), presso l’Università
di Nizza-Sophia Antipolis ed ha preso parte come relatore a numerosi congressi storico-giuridici in Italia ed
all’estero. Membro della Société d’histoire du droit. Autore di numerosi studi di interesse storico-giuridico,
articoli e volumi; tra questi ultimi: Senato e senatori di Piemonte nel secolo XVIII, (Torino, Deputazione Supalpina
di Storia Patria, 1983), Una rivoluzione liberale mancata. Il progetto Cavour-Santarosa sull’amministrazione comunale
e provinciale, 1858 (Torino, Deputazione Subalpina di Storia Patria, 2000), Princípi e regole internazionali tra forza
e costume: le relazioni anglo-sabaude nella prima metà del Settecento (Torino, Università di Torino, “Memorie del
Dipartimento di Scienze Giuridiche”, Napoli, Casa Editrice Jovene, 2004), Dalla Restaurazione al Risorgimento.
Diritto, diplomazia, personaggi (Torino, Giappichelli, 2012).
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Pierangelo Gentile
Ricordare, ma non troppo: la memoria
di Utrecht nel 1913.
La storia è una delle componenti fondamentali del processo di nation building, tanto
più in Italia, dove, ancora all’inizio del Novecento, la costruzione dello Stato attraverso
una memoria condivisa deve fare i conti, tra le varie componenti, con un mitizzato
processo evolutivo della dinastia regnante. Torino poi, da quando ha perso il ruolo
di capitale e il corpo del suo sovrano (quel Vittorio Emanuele che non aveva voluto
cambiare l’ordinale per rimarcare il secolare destino teleologico del casato nelle sorti
della comune patria), è alla continua ricerca di “anniversari” che ne rinverdiscano gli
antichi fasti, coonestando il primato risorgimentale con la speciale dedizione verso i
“suoi” Savoia: un’operazione di rilettura del passato che vuole in qualche modo spostare
temporalmente, a un secolo prima, le origini degli afflati italiani di impronta sabauda,
ossia a quel Settecento, laddove le ispirazioni e le aspirazioni possono essere ricondotte a
fattori “alti”, disciplinati, puramente autoctoni, depurati dalle variabili della lettura ufficiale che tende ormai a “pacificare” le diverse anime “nazionali” (ma ottocentesche) del
Risorgimento. La decantata superiorità della diplomazia piemontese, gli ardori guerrieri
di un ambizioso duca che diventa re, il popolo educato a sacrificare financo la vita per
il bene e la gloria della patria (piemontese), sono le caratteristiche specifiche della cosiddetta lettura sabaudista della storia d’Italia che ancora affiorano nell’epoca giolittiana:
nel caso specifico, Utrecht viene interpretato come l’evento provvidenziale che unisce,
quasi un secolo e mezzo prima del 1861, gli estremi lembi della penisola. Ma in un Paese
avviato alla modernità, in via di rapida trasformazione sociale, che non nasconde le
proprie contraddizioni e che è ancora ben lungi dall’essere riconciliato storicamente e
politicamente, non tutti la pensano allo stesso modo. E la regal Torino, celebrando la
gloria del “suo” primo re, subendo la concorrenza di Milano, dovrà mettere la sordina
per evitare che a Sud riaffiorino “memorie” dal diverso significato.
Pierangelo Gentile, dottore di ricerca in Storia delle società contemporanee, svolge attività di ricerca in qualità
di assegnista presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino. Esperto di tematiche legate al
Risorgimento e in particolare alla monarchia sabauda, ha vinto numerosi premi nell’ambito degli studi storici:
primo premio ex-aequo “Spadolini-Nuova Antologia” XIII edizione, “Premio per gli studi storici sul Piemonte
nell’Ottocento e nel Novecento” edizione 2007-2008, premio “Camillo Cavour e l’agricoltura” (2010-2011),
primo premio “Carbone” della Deputazione Subalpina di Storia Patria (edizione 2012). Vanta all’attivo
numerose pubblicazioni, tra cui L’ombra del re. Vittorio Emanuele II e le politiche di corte (Comitato di Torino
dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano-Carocci, 2011) e Nelle stanze di Re Vittorio. Un Inventario dagli
Archivi del Quirinale (Centro Studi Piemontesi, 2012). Ha in preparazione un libro sulla corte di Carlo Alberto.
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Nicola Ghietti
Il carmagnolese Pietro Francesco Leprotti
presente alla firma del trattato di Rastadt.
Nel bel palazzotto settecentesco nella via di Sacchirone di Carmagnola, fatto edificare dal nobile Pietro Francesco Leprotti, sono dipinti a fresco in grandi riquadri nell’atrio
del primo piano alcuni avvenimenti che hanno interessato la vita del nobile carmagnolese; in uno di questi riquadri è illustrata una vivace scena nella quale alcuni personaggi
siedono attorno ad un tavolo, assistiti da numerosi altri, in atto di sottoscrivere una carta
appoggiata sul tavolo; domina lo sfondo una città murata sulla quale, per renderla riconoscibile, fu posta la scritta a piccolissimi caratteri “Rastadt”, che fu sede dell’omonimo
trattato, col quale giunse a compimento il processo di pace iniziatosi circa un anno prima a Utrecht. Di certo il nostro Pietro Francesco Leprotti volle che venisse ricordato in
modo duraturo forse il più importante avvenimento al quale aveva partecipato in prima
persona e che di questo anche i suoi posteri ne conservassero memoria.
Nicola Ghietti, giornalista e scrittore. Si è sempre occupato di storia piemontese e di Carmagnola in particolare.
Ha al suo attivo numerose pubblicazioni fra cui Famiglie e personaggi della storia carmagnolese (Torino 1980),
L’Abbazia di Santa Maria Assunta di Casanova (Carmagnola 1996), Antologia dei poeti carmagnolesi (Carmagnola
2003), Con pazienza e con tenacia. I 150 anni della Società Operaia di Mutuo Soccorso F. Bussone di Carmagnola
(Marene 2002), Memorie araldiche della Città di Carmagnola (Torino 2006), La chiesa parrocchiale del Borgo di San
Giovanni di Carmagnola (Savigliano 2013). Ha collaborato e collabora a varie testate giornalistiche. Ha collaborato
alla realizzazione delle iniziative per celebrare i 200 anni della battaglia di Torino e alle pubblicazioni che sono
state editate in tale occasione. È coautore con Pier Luigi Barbero del primo romanzo storico ambientato a
Carmagnola, “La seta di Renzo” (Carmagnola 1996). Nel 2011 ha organizzato il convegno di studi “Carmagnola
e il Piemonte durante il Risorgimento: idee, persone e fatti”. È stato ed è presidente di associazioni carmagnolesi.
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Elena Gianasso
Torino: città-capitale e territorio. La Corona
di delitie nel 1713.
«E venuto corriere che ha portato la nuova della total confirmatione della Pace à riserva
però dell’Imperatore essendosi stabilito fra le altre cose della medema che venga rimesso a
S. A. R: il Regno di Cicilia». Quando Francesco Ludovico Soleri, nel suo diario, riporta alla
data del 18 maggio 1713 la notizia della firma del trattato di Utrecht, le coordinate generali
della struttura fisica e funzionale di Torino risultano tracciate secondo principi di organizzazione dello spazio e dell’architettura uniformi, precisi e puntuali. È già stata sottolineata
l’importanza per gli sviluppi architettonici ed urbanistici degli anni tra la fine dell’assedio
del 1706 e il 1713 (V. Comoli, 2002), periodo che segna la ripresa delle attività edilizie e dei
programmi urbanistici soprattutto nel settore ovest della città dove, nel 1712, risulta già definito il disegno planimetrico degli isolati verso Porta susina. Nell’intorno della capitale sono
tracciati nuovi percorsi e attestamenti stradali sulle residenze extraurbane, segno di una nuova concezione progettuale che sottende a un disegno più articolato e complesso dell’uso del
territorio. Nel 1708 sono già compiuti i primi sopralluoghi per la strada reale di Moncalieri e,
tra il 1711 e il 1712, la realizzazione dello “stradone” di Rivoli (1711-1712) affidata all’architetto
Michelangelo Garove collega con un asse rettilineo l’ampliamento occidentale della città e il
palazzo-reggia di Rivoli, creando una diretta relazione tra la capitale e l’antico castello dinastico, scelta di evidente significato politico. La «corona di delitie» definita da Amedeo di Castellamonte nel 1679, meno di quarant’anni prima del trattato di Utrecht, dimostra il carattere
esteso dei possedimenti ducali al di fuori della fortificazione, confermandosi altresì espressione tangibile «di un unico progetto a scala territorio in grado di richiamare e prefigurare l’idea
della sovranità entro lo Stato» (C. Roggero, 2009). Nel 1713, il castello di Rivoli, Venaria
Reale, Mirafiori, il Valentino, il Regio Parco, le vigne collinari di Madama Reale Cristina
di Francia e del Cardinal Maurizio di Savoia, raffigurate nel Theatrum Sabaudiae e poi nelle
tavole che restituiscono lo stato dei luoghi e i progetti all’inizio del Settecento, presentano alla
corte ducale un’immagine non dissimile da quella offerta, solo un anno dopo, all’architetto
Filippo Juvarra, straordinario interprete della «politica del regno» di Vittorio Amedeo II.
Elena Gianasso, architetto laureata al Politecnico di Torino, è specialista in Storia, analisi e valutazione dei beni
architettonici e ambientali e dottore di ricerca di Storia e critica dei beni architettonici e ambientali. Assegnista
di ricerca presso il Dipartimento interateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico di
Torino e collaboratore alla didattica delle discipline storiche per l’architettura presso lo stesso ateneo, si occupa
di tematiche concernenti la Storia dell’architettura. Autrice di saggi e volumi, è attiva altresì in qualità di libero
professionista in progetti utili alla valorizzazione del paesaggio storico e del costruito piemontese. La sua attività
scientifica approfondisce questioni inerenti la storia dell’architettura di età moderna e contemporanea, con
uno specifico riferimento allo studio dei beni architettonici e del paesaggio in Piemonte.
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Daniele Jalla
L’uomo che piantava i cippi.
Il 4 ottobre 1761, a Saint Pierre d’Entremont, in Savoia, Antoine Durieu, ingegnere
topografo di Sua Maestà il Re di Sardegna, e François Potain, ingegnere geografo di Sua
Maestà Cristianissima il Re di Francia, firmano il verbale di limitazione generale del
confine convenuto tra i Commissari dei due Stati in esecuzione del Trattato di Torino
del 24 marzo 1760, noto anche come “Trattato dei limiti”, che stabiliva l’esatto tracciato
della frontiera tra i due Regni deciso a Utrecht nel 1713. Partiti da Rocasteron (oggi
Roquesteron) il 4 luglio, hanno provveduto, senza interruzioni, a ristabilire i cippi di
confine dal Mediterraneo sino a Saint Pierre d’Entremont, completando la loro opera
di “abornement” il 3 ottobre. Gran parte dei 130 cippi posti da Durieu e Potain nei tre
mesi passati nelle Alpi, andando di colle in colle, sono ancora lì con la Croce dei Savoia
incisa su un lato e il Giglio di Francia sull’altro. Molti sono stati fotografati, di alcuni di
essi è stato realizzato un calco messo al posto dell’originale, collocato in luogo protetto.
Esistono studi e siti che li descrivono e ne propongono in rete l’immagine. Anche la figura di Antoine Durieu (Lanslebourg 1703 - ? 1777) è stata studiata per il grande apporto
che diede, come agrimensore prima, come ingegnere poi, alla catastazione sabauda e,
in campo cartografico, al rilevamento delle frontiere del Ducato e del Regno. Obiettivo della ricerca e della relazione al Convegno, è ricostruire l’esatto svolgimento della
campagna di “abornement” del 1761, utilizzando come fonte le carte personali di Durieu,
conservate presso l’Archivio di Stato di Torino, nella prospettiva di ripercorrere, a due
secoli e mezzo di distanza, di colle in colle, l’itinerario dell’«uomo che piantava i cippi».
Daniele Jalla (Torre Pellice 1950), storico di formazione, funzionario e dirigente della Regione Piemonte dal
1980 al 1994, dal 1994 al 2013 ha lavorato presso la Città di Torino, dirigendone i servizi museali. Presidente
di ICOM Italia dal 2004 al 2009, è membro dell’Executive Council dell’ICOM e docente a contratto di
Gestione delle organizzazioni culturali presso la IULM di Milano. È autore di numerose pubblicazioni tra
cui: (con Anna Bravo) La vita offesa. Storia e memoria dei Lager nazisti nei racconti di duecento protagonisti, (Angeli
1986); Il museo contemporaneo. Introduzione al nuovo sistema museale italiano. (Utetlibreria 2000), e Héritage(s).
Formazione e trasmissione del patrimonio culturale valdese (Claudiana 2009). Con Alain Monferrand ha partecipato
all’ideazione del programma museografico del Forte di Bard (Valle d’Aosta) ed è stato responsabile scientifico
della sua realizzazione.
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Alberico Lo Faso di Serradifalco
Vittorio Amedeo II, un anno di regno
in Sicilia.
Il 10 ottobre 1713 Vittorio Amedeo II, a bordo della nave ammiraglia della flotta britannica in Mediterraneo, sbarcò a Palermo, ricevuto dalle magistrature locali, dalla nobiltà, dal popolo e dal Viceré spagnolo. Le notizie che aveva raccolto sulla Sicilia erano
contraddittorie, paese ricco in cui vi era abbondanza di tutto, classe dirigente quasi del
tutto inadeguata per non dire inetta, povertà diffusa, corruzione diffusa. In realtà non
tenne gran conto delle notizie raccolte, almeno riguardo la classe dirigente, verso la quale sviluppò una politica tesa a coinvolgerla nella conduzione dello stato anche attraverso
i suoi migliori esponenti. Fu un’esperienza breve per la millenaria storia di Casa Savoia
e della Sicilia, che fu passata o fatta passare sotto silenzio perché ebbe una conclusione
traumatica, con l’invasione spagnola, la guerra fra piemontesi, spagnoli ed austriaci, l’abbandono forzato dell’isola da parte del sovrano sabaudo. Però molti Siciliani si legarono
in modo strettissimo al Piemonte e restarono al servizio dei Savoia per moltissimi anni.
L’azione del sovrano, nonostante le difficoltà per rompere lo statu quo, combattere la
corruzione e l’ignavia fu assai positiva: diede all’isola la sola scossa in campo amministrativo e della giustizia ch’essa ebbe nel corso di quasi tutto il Settecento. Vittorio Amedeo
II volle rendersi conto di tutto, attraversò con la consorte e parte della Corte la Sicilia,
sulle strade del tempo, costringendo a migliorare la viabilità, da sempre trascurata, perché era più comodo circumnavigare l’isola, visitò le principali città per rendersi conto di
persona della realtà. Fatto peculiare nella storia di Casa Savoia fu incoronato con una
cerimonia che lo vide unto col sacro crisma unitamente alla consorte. Il giudizio che su
di lui espresse in tempi non sospetti, era re Carlo III di Borbone, il Villabianca, l’autore
della Sicilia Nobile ed il maggior storiografo del Settecento siciliano: «lasciò intanto la
Sicilia nel tempo che preparava in essa il pubblico sospirato bene, che da commercio già
cominciato, dalle belle arti introdotte e da una osservata giustizia facea sperare sicuro».
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Alberico Lo Faso di Serradifalco, è nato a Bologna nel 1935. Già ufficiale dell’Esercito e funzionario della
Presidenza del Consiglio, è dal 2004 presidente della Società Italiana di Studi Araldici. Ha pubblicato, tra
altri, i volumi: 5 mesi sul Don-Ricordi della campagna di Russia di un ufficiale della Sforzesca (Collegno, 2003, basato
su scritti e ricordi del padre Domenico), Palermo 1713 (Palermo, 2004, sul censimento disposto da Vittorio
Amedeo II); Parabola di una rivoluzione – Giovanni Maria Angioy tra Sardegna e Piemonte (Cagliari, 2008); La difesa
di un Regno (Udine, 2009); Il contributo della Savoia all’Unità d’Italia (Acqui Terme 2010); La Basilica Mauriziana,
in collaborazione con altri coautori. Ha collaborato con studi ed articoli col Centro di Studi Piemontesi,
la Società Siciliana per la Storia Patria, le riviste Quaderno del volontariato culturale di Torino e “Spiragli”
(Palermo). Volumi miscellanei, atti di convegni, il periodico “Sul Tutto” ed il sito Internet della Società Italiana
di Studi Araldici (www.socistara.it) ospitano numerosi suoi lavori, tra i quali: Piemontesi in Sicilia; La lunga
marcia del Conte Maffei; L’assedio di Messina Luglio-Settembre 1718; Il ruolo della nobiltà piemontese nelle campagne di
guerra 1703-1706 [in Memorie ed attualità dell’Assedio di Torino, Torino 2007], La cripta della basilica Mauriziana
di Torino, Scorci di guerra in Sicilia, luglio 1718 - maggio 1720 (in “Archivio Storico Siciliano”, Palermo, 2004), La
nobiltà Italiana nella seconda guerra mondiale [UNI.VO.CA. Quaderno del volontariato culturale], Siciliani alla
corte piemontese nel ‘700 – Don Emanuel Valguarnera [rivista “Spiragli”, 2007, Palermo].
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Damiano Lombardo
Il Lions Club Torino Pietro Micca, l’assedio
di Torino del 1706, la pace di Utrecht.
Coerentemente con la propria Missione e le attività svolte nell’ultimo decennio, il
Lions Club Torino Pietro Micca ha sponsorizzato e contribuito a promuovere questo
Convegno.
Il trattato di Utrecht conclude, come è noto, la vicenda storica della Guerra di Successione spagnola che a Torino ha uno snodo significativo nel sacrifico di Pietro Micca.
Egli, nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1706, si oppose all’avanzata dei francesi nei sotterranei del Maschio della Cittadella contribuendo così con la propria vita alla vittoria
del 7 settembre 1706 da parte del Duca Vittorio Amedeo II e del principe Eugenio sulle
armate Franco – Ispaniche. Il Lions Club Torino Pietro Micca, che per definizione e affezione è particolarmente vicino al “mitico” personaggio a cui è intitolato, ha cercato di
attualizzare le vicende storiche promuovendo insieme ad altri Lions Club la costituzione
dell’Associazione Torino 1706 - 2006 protagonista delle celebrazioni del 300° anniversario, finanziando, tra l’altro, il restauro della statua dell’eroe sistemata nella piazza principale di Sagliano Micca (luogo natale dell’eroe), Attualizzare la Storia vuol dire conoscere
meglio se stessi e, in questo caso, essere consapevoli e orgogliosi dell’appartenenza alla
propria comunità.
Damiano Lombardo, presidente del Lions Club Torino Pietro Micca, ha promosso, insieme ad altri “Lions” ed
in particolare con Giancarlo Melano, la fondazione dell’Associazione Torino 1706-2006 (attualmente Torino
1706) di cui è componente del Consiglio Direttivo. Laureato in scienze statistiche e attuariali ha svolto la proprio
attività professionale prevalentemente in SEAT Pagine Gialle dove ha ricoperto varie posizioni di responsabilità
nelle aree del: marketing operativo, marketing strategico, sviluppo nuovi prodotti, sviluppo di nuovi business
in Italia e all’estero, strategia di “Corporate”. Nell’ambito dell’attività professionale è stato rappresentante
italiano, della task force “Innovazione sul mercato dell’Informazione” presso la DG XIIIB (Lussemburgo) della
CEE; Componente del Consiglio direttivo dell’Anfov (Associazione nazionale fornitori di videoinformazione)
e del board of directors della WWAV, società inglese leader nel mercato del Direct Marketing. Ha partecipato
come relatore a seminari e convegni e ha collaborato con vari giornali e riviste su temi attinenti la pubblicità, il
direct marketing, l’innovazione del mercato dell’informazione e relative applicazioni nel campo del marketing.
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Alberto Lupano
Tra Legazia apostolica di Sicilia,
Santa Sede e diocesi subalpine: questioni
giurisdizionalistiche per Re Vittorio Amedeo II.
La Legazia apostolica di Sicilia, concessa da papa Urbano II a Ruggero I nel 1098,
gelosamente mantenuta dai sovrani aragonesi e spagnoli, è un privilegio che tutti i sovrani cattolici d’età moderna avrebbero desiderato per regolare in modo unilaterale e
definitivo la politica ecclesiastica dei propri domini. Il secolare conflitto insorto fin
dal medioevo tra Curia romana e monarchi di Sicilia sull’interpretazione del privilegio
raggiunse l’apice proprio con il breve ma intenso regno di Vittorio Amedeo II di Savoia,
il quale, pur avendo conosciuto da vicino, come Re di Sicilia, il regalismo spagnolo applicato nell’isola, traendone spunti originali per alimentare il giurisdizionalismo sabaudo,
dovette però affrontare la gravissima ‘Controversia Liparitana’, la formale soppressione
della Legazia apostolica attuata da papa Clemente XI. Inoltre anche nei territori subalpini, non a caso, insorsero contemporaneamente problemi giurisdizionali con presuli di
stretta osservanza romana, come il vescovo di Casale Pietro Secondo Radicati di Cocconato, collegato alle scelte di papa Clemente XI.
Alberto Lupano, dopo avere esercitato l’attività forense, è diventato professore associato in storia del diritto
medievale e moderno nel Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Torino. Ha pubblicato saggi e
monografie sulla scuola dei canonisti torinesi, sui consiliatori subalpini, sulle Istituzioni sabaude d’età moderna
e sulle riforme scolastiche di Vittorio Amedeo II in rapporto alla Compagnia di Gesù. In area monferrina ha
studiato i giuristi del XVI secolo, la storia giuridica della diocesi casalese, del capitolo cattedrale di Casale e
del culto di sant’Evasio. Tra le pubblicazioni recenti si può ricordare il volume Aimone Cravetta (1504-1569).
Giurista del diritto comune (edito nella collana “Miscellanea di storia italiana” della Deputazione Subalpina di
Storia Patria, Torino, 2008). Il suo ultimo lavoro, in via di conclusione, è una monografia sul Senato di Casale.
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Marco Mana
Una nuova mappatura sabauda dei feudi,
all’indomani dei trattati di Utrecht.
All’indomani della firma dei Trattati di Utrecht Vittorio Amedeo II, pur non vedendo soddisfatte appieno le proprie ambizioni territoriali, incentrate soprattutto sul
Milanese, poté annettere ai propri domini, oltre al regno di Sicilia, alcuni territori piemontesi come il Monferrato, su cui da tempo i Savoia tentavano di far valere i propri
diritti, Alessandria e la Lomellina. Le modalità di annessione e di omogeneizzazione
di ordinamenti territoriali e giuridici che per secoli avevano subito differenti processi
evolutivi apre interessanti spunti storiografici. In particolare, seguendo il tradizionale
piano espansivo sabaudo, tutti i titolari di diritti signorili e giurisdizioni feudali nei
“paesi di nuovo acquisto” dovettero immediatamente procedere a rendere omaggio al
nuovo sovrano per riceverne successivamente investitura. Il cambiamento del vertice
dell’ordinamento giuridico feudale comportò conseguenze che meritano di essere indagate su diversi livelli. Questo intervento si pone dunque l’obiettivo di indagare la politica
feudale indirizzata dai Savoia dopo i trattati di Utrecht e, in particolare, di comprendere
quale equilibrio, fra rispetto delle tradizioni feudali locali e assimilazione all’interno della feudalità sabauda, venne trovato dai governanti. Il XVIII secolo fu indubbiamente un
periodo di trasformazione feudale all’interno dei domini sabaudi e l’annessione, proprio
durante il periodo delle riforme, di nuovi territori all’interno della feudalità dello Stato
impone un’analisi accurata ed approfondita.
Marco Mana, nato a Moncalieri il 28 agosto 1983, laureato in Scienze Politiche nel settembre 2008 con una
tesi di laurea in Storia moderna incentrata sulla storia istituzionale del Piemonte sabaudo, completa il percorso
del dottorato di ricerca in studi storici, indirizzo di storia moderna, nel febbraio 2013. Il progetto di ricerca,
portato a termine nel triennio del dottorato, ha per titolo Ordinamento giuridico feudale tra Sacro Romano Impero
e domini sabaudi: il caso cuneese. Gli interessi di studio vertono principalmente sulla feudalità e sui rapporti fra
nobiltà feudale, corte sabauda e governo del territorio con particolare interesse per la prosopografia feudale
delle periferie sabaude.
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Giancarlo Melano
Da Vienna (1683) a Rastadt (1714)
passando per Torino (1706). Uno sguardo alle
eredità del Principe Eugenio in vista del 350°
anniversario della nascita.
Il 18 ottobre 2013 ricorrerà il trecentocinquantesimo anniversario della nascita del
Principe Eugenio, uno dei grandi protagonisti della storia europea, sulla cui biografia
e sulle cui imprese sono scorsi in Europa e segnatamente in Italia e in Austria, letteralmente fiumi d’inchiostro, sin dagli anni in cui egli viveva. Nel presente intervento si
intende ripercorrere non tanto le notissime tappe biografiche o i successi militari e politici, quanto rievocare nel suo complesso la poliedricità di un uomo che, considerato tra
i maggiori condottieri della storia del mondo (cosa di cui seppe dare prove tangibili che
sono tramandate nell’ampia pubblicistica dedicata alle sue vicende militari), fu anche
uno tra i più raffinati collezionisti d’arte del Settecento, le cui raccolte di dipinti, acquisite da Carlo Emanuele III, costituiscono oggi uno di quei numerosi lasciti culturali della
dinastia sabauda che offrono a Torino l’opportunità di divenire una città turistica e sede
di grandi eventi espositivi e congressuali, reinventando in questa dimensione prospettive
di sviluppo, di successo, di futuro. L’Associazione Torino 1706 valuterà la possibilità di
celebrare il 350° della nascita del principe con alcune iniziative, ritenendo che la propria
missione di valorizzare l’epopea dell’assedio di Torino del 1706 possa dirsi, guardando in
modo organico e complessivo alle eredità eugeniane, sostanzialmente compiuta.
Giancarlo Melano, già Direttore della Segreteria Generale Enel Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è Segretario
operativo dell’Associazione Amici del Museo Storico Nazionale d’Artiglieria e Segretario Generale dell’Associazione
Torino 1706. Curatore delle Mostra “Da Alessandro Magno a Napoleone” (2005) presso il Maschio della Cittadella.
Curatore della Mostra “Torino 1706 – L’alba di un regno” (2006-2007) presso il Maschio della Cittadella e il
Museo Pietro Micca con relativo catalogo (con G. Mola di Nomaglio e R. Sandri Giachino). Curatore della
Mostra “Il Risorgimento in diretta” (2011) presso la Biblioteca del Consiglio Regionale. Tra le sue pubblicazioni:
“Bertola 40 – Il palazzo dell’elettricità” (1993); “Atti del Convegno L’alba di un regno, memorie e attualità dell’assedio
di Torino del 1706”, settembre 2006, con G. Mola di Nomaglio, R. Sandri Giachino, P. G. Menietti; “Torino 1706
– Le celebrazioni”, 2008; “Testimone del Risorgimento – Il Museo Storico Nazionale d’Artiglieria”, 2011.
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Piergiuseppe Menietti
Avvenimenti e personaggi nella Torino
di tre secoli fa.
Nel 1713 Torino ha sanato quasi tutti i danni causati dall’assedio del 1706 e si dispone a diventare la capitale del Regno di Sicilia. Il marchese La Roche d’Allery, coraggioso
comandante della cittadella durante l’assedio, riceve la nomina a Cavaliere della Santissima Annunziata.
Nello stesso anno la città piange il trapasso di due personaggi importanti: l’arcivescovo Michele Antonio Vibò e l’architetto Michelangelo Garove, la cui opera sarà continuata, in tempi successivi, da Filippo Juvarra.
Nella contrada di Po si posa la prima pietra del Palazzo dell’Università e, tra la città e
il castello di Rivoli, nasce il lungo rettilineo destinato a diventare corso Francia.
Piergiuseppe Menietti si dedica da molti anni a ricerche e pubblicazioni sulla città di Torino. Nel 2003 ha dato
alle stampe Pietro Micca nel reale e nell’immaginario e due anni dopo, in collaborazione con Guido Amoretti,
Torino 1706. Cronache e memorie della città assediata. Membro della Giunta Esecutiva dell’Associazione “Torino
1706-2006” ha collaborato alla stesura del catalogo della mostra Torino 1706: l’alba di un regno e a quella degli atti
del Convegno Torino 1706, memorie e attualità dell’assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale.
Tra i suoi ultimi volumi si può ricordare, scritto in collaborazione col figlio Emanuele, Il Risorgimento nelle vie di
Torino: itinerari, personaggi, notizie (Editrice Il Punto, seconda ed., Torino, 2011).
52
Simona Merlo
Il ruolo dei Savoia nella formazione
identitaria delle élites valdostane.
Il contributo si propone di esaminare come la fedeltà alla Casa di Savoia sia stato
uno dei tratti caratterizzanti nel processo di costruzione identitaria delle élites valdostane prima, durante e dopo il conseguimento dell’unità nazionale. I Savoia sono stati un
riferimento costante nella storia di questa regione, una presenza da cui non è potuto
prescindere nel processo di formazione identitaria di questo territorio e delle sue élites.
La permanenza della sovranità della Casa di Savoia ha segnato, infatti, il passaggio dalla
fase propriamente savoiarda della storia valdostana a quella italiana. Il richiamo alla
continuità dell’autorità dei Savoia sul «Duché d’Aoste» è un elemento che si ritrova continuamente sia nella letteratura, sia nella pubblicistica e nella riflessione politica e intellettuale, insieme alla tesi della «dedizione volontaria» dei valdostani alla Casa di Savoia
elaborata dallo storico Jean-Baptiste de Tillier (1678-1744), un sensibile interprete delle
vicende della Valle d’Aosta operante negli anni a cavallo della guerra di successione di
Spagna e della Pace di Utrecht, e rilanciata a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
La fedeltà alla Casa di Savoia è stata concepita, in tal senso, come una delle componenti
della costruzione dell’identità valdostana e ha giocato un ruolo non secondario nel processo di formazione delle élites.
Simona Merlo è dottore di ricerca in Storia sociale e religiosa. Si è occupata del rapporto tra nazione e religione
nell’area ex sovietica, specialmente in Ucraina e nel Caucaso. Ha studiato altresì i rapporti tra centro e periferia
nel contesto nazionale italiano, in particolare in Valle d’Aosta. È autrice di numerosi saggi e articoli, nonché
delle monografie All’ombra delle cupole d’oro. La Chiesa di Kiev da Nicola II a Stalin (1905-1939), Milano 2005
(premio SISSCO 2006-opera prima e il premio internazionale Desiderio Pirovano 2007), Una vita per gli ultimi.
Le missioni dell’archimandrita Spiridon, Magnano (Bi) 2008, Russia e Georgia. Ortodossia, dinamiche imperiali e
identità nazionale (1801-1991), Milano 2010 e Fra trono e altare. La formazione delle élites valdostane (1861-1922),
Soveria Mannelli (Cz) 2012. Negli anni 2008-2011 è stata assegnista di ricerca presso l’Università della Valle
d’Aosta, con cui sta continuando a collaborare.
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Aldo A. Mola
L’”annessione” della Sicilia alla corona
sabauda, premessa remota del Regno d’Italia
tra mito e storiografia.
Il riconoscimento del titolo di Re di Sicilia al Duca Vittorio Amedeo II di Savoia
fu pressoché dimenticato e separato dalla vittoria di Torino del settembre 1706, che
pur ne era stata premessa. L’oblio venne rafforzato dal titolo di Re di Sardegna, durato
sino al 14 marzo 1861. Nondimeno quel riconoscimento venne rinverdito nel tempo e
costituì riferimento storico e concettuale di “patto” tra il sovrano e la rappresentanza
dei sudditi. L’acquisizione del 1713 risultò premessa della dinamica delle “annessioni”
del 1848-1870: nuovo “patto” tra i cittadini e il sovrano. Obnubilata dall’esaltazione del
volontariato e di altre forme di certificazione della sovranità, la storiografia però tardò (e
ancora tarda) a cogliere la centralità del 1713 per la nascita dello Stato d’Italia, e tuttora
la rilegge stancamente come episodio di conflitti dinastici, mentre essa va veduta per ciò
che fu: primo esperimento dell’esercizio della sovranità da parte di un Re che doveva
conciliare le legittime aspirazioni proprie e dei suoi popoli con la pax europea.
Aldo A. Mola (Cuneo, 1943), dal 1992 contitolare della Cattedra Théodore Verhaegen all’ULB di Bruxelles,
è autore di saggi e biografie. Tra le sue opere Storia della Massoneria italiana dalle origini a oggi (Bompiani, 19762013), Storia della Monarchia in Italia (Bompiani, 2002), Declino e crollo della monarchia in Italia (Mondadori,
2006) e le biografie di Giuseppe Garibaldi (1982), Giuseppe Mazzini (1986), Silvio Pellico (2005), Carducci
(1906), Giolitti, lo statista della Nuova Italia (Mondadori, 2003, dal 2012 nei “Classici della Storia”). Condirettore
di Il Parlamento italiano al 1861 al 1992 (Milano, 1988-1993, 24 voll.), editorialista del “Giornale del Piemonte”,
presiede il comitato scientifico del mensile “Storia in Rete”. Nel 2011 ha pubblicato Italia. Un Paese speciale.
Storia del Risorgimento e dell’Unità (Torino, Ed. Del Capricorno) e nel 2012 Mussolini a pieni voti? Da Facta al
Duce (Id.). Dirige il Centro europeo “Giovanni Giolitti” lo studio dello Stato. Dal 1980 è Medaglia d’Oro della
Scuola, della Cultura e dell’Arte.
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Gustavo Mola di Nomaglio
“Prinz Eugen, der edle Ritter”. L’impronta
del condottiero sabaudo da Vienna a Torino
(1683-1706), da Utrecht a Rastadt (17131714). Riletture tra storia ed ucronia.
Ogni epoca ha espresso uomini le cui scelte non hanno soltanto influenzato le
proprie singole vicende o quelle delle persone ad essi più vicine, ma hanno lasciato
un’impronta profonda nella loro epoca, talora determinando svolte di importanza memorabile nel quotidiano divenire e nel “compiersi” del “futuro”. Vale a dire, per chi
osservi ex post, svolte di fondamentale rilevanza nella storia. Gli storici riconoscono a
Eugenio un’influenza e un ruolo determinanti nell’esito di numerosi eventi bellici o
politici. Ad esempio nella difesa di Vienna del 1683, nella battaglia di Zenta del 1697,
nella liberazione di Torino a fianco del cugino Vittorio Amedeo II del 1706 (una lettera
autografa del principe, analizzata nella stesura di queste note grazie alla disponibilità
del suo possessore, contribuirà a sgombrare definitivamente il campo da interpretazioni
scettiche o riduttive al riguardo) e nel portare a conclusione indirettamente la pace di
Utrecht del 1713 e il trattato di Rastadt dell’anno seguente, a vantaggio di casa Savoia e
dell’Impero. Pur senza discostarsi dalla dimensione storica (corroborando, anzi, l’indagine sull’impronta eugeniana, nel 350° anniversario della nascita, attraverso un ampio
excursus bibliografico), è suggestivo - quanto lo sarebbe per pochi altri personaggi del
passato - almeno domandarsi di sfuggita quali diversi scenari geopolitici avrebbero potuto determinarsi - se il ruolo personale di Eugenio fu veramente determinante in più
epocali occasioni, come molti storici affermano o riconoscono - nel caso che Re Luigi
XIV avesse accolto la richiesta di affidargli un comando nelle sue armate.
Gustavo Mola di Nomaglio (nato a Torino il 20 aprile 1952) è studioso della storia e valori della so­cietà e dei
ceti dirigenti degli Stati dei Savoia. Tra i suoi lavori recenti vi è la Bibliografia delle famiglie Subalpine in 5 tomi
di oltre tremila pagine complessive (in preparazione ag­giunte e indici). Da ultimo ha pubblicato, tra l’altro:
Casa Savoia e l’Unità d’Italia (2010); Nazionalità, identità e ragion di Stato. La cessione di Nizza e Savoia alla Francia;
Santità e Nobiltà. Bibliografia di scritti e studi riguardanti la Beata Maria degli Angeli (1722-2011); “Vos fidèles sujets
de l’antique Vallée…”; Cerlogne e i Savoia (2011); Dalle esperienze dell’Antico Regime all’Accademia Filarmonica e
alla Società del Whist (2012). È Vice presidente del Centro Studi Piemontesi e dell’Associazione Torino 1706,
Presidente dell’Associazione Amici della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino e consigliere di altre
associazioni e sodalizi che studiano, promuovono e valorizzano la civiltà, l’identità, la cultura degli antichi Stati
dei Savoia.
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Maria Luisa Moncassoli Tibone
Messina, 1713. Juvarra e Vittorio Amedeo II.
Un incontro profetico.
Torino, autunno del 1713. Si celebra la pace e la concessione a Vittorio Amedeo, duca
di Savoia, di nuovi territori, fra i quali, la Sicilia, col titolo regio. Una spettacolare piramide,
opera dell’architetto Plantery rappresenta il segno della Trinacria ma anche dei tre territori ora
uniti nel Regno: Piemonte, Savoia, Sicilia. Così la relazione dell’evento festoso, attribuita a
Camillo Audiberti. Il sovrano parte da Nizza il 3 ottobre 1713 per nave e arriva a Palermo il 10
ottobre dove, qualche tempo dopo, sarà incoronato. Il 19 aprile 1714 si organizza la partenza
per visitare il Regno. L’arrivo a Catania avviene il 26 aprile 1714, l’arrivo a Messina l‘11 maggio.
Il sovrano con la corte è accolto anche qui da grandi feste che alcune incisioni ricordano. E
qui avviene - secondo quanto si tramanda - l’incontro con Filippo Juvarra. Rientrato a Palermo all’inizio di settembre Vittorio Amedeo riprende il mare alla volta di Nizza il 9 seguente.
Filippo Juvarra seguì già il Re nel viaggio? Non ne siamo certi, tuttavia egli manifesta al sovrano
una squisita azione inventiva nell’arte dell’architettura civile. Ha “esperienza e capacità” che
sono poste in risalto nella Regia Patente con la quale il 15 dicembre 1714 il Re lo nominerà suo
Primo Architetto. Come ha ben ricordato Gianfranco Gritella, già nell’estate di quell’anno
Juvarra si pone all’opera per un progetto di Palazzo Reale a Messina. Prospiciente al porto, un
edificio sovrano progettato nel Cinquecento dall’architetto toscano Andrea Calamech (15241589) presentava un impianto di gusto manierista. Il progetto juvarriano lo trasformerà in
una struttura castellana a quattro padiglioni, aperta verso uno spazio verde ampio e di raffinata composizione. Purtroppo l’opera non è conservata, aggredita nel tempo e danneggiata
dai terremoti. La riscoperta delle planimetrie juvarriane, fatta con precisa ricerca archivistica,
appare importante, perché rappresenta il primo formale incarico progettuale ricevuto da colui
che, nominato architetto di Corte, come s’è detto, succederà a Torino a Michelangelo Garove,
morto nel 1713, e porterà avanti con interventi ricchi e fantasiosi, sempre originali, una vera
trasformazione della forma urbica a cui darà il suo forte segno distintivo.
Maria Luisa Moncassoli Tibone, allieva di Annamaria Brizio, è storico dell’arte e giornalista. Studia i Beni culturali
nei più significativi aspetti di arte e di storia, operando in diverse associazioni per promuoverne la migliore
conoscenza, premessa di salvaguardia. Docente ordinario di storia dell’arte nei licei, ha progettato e diretto corsi
ed attività di aggiornamento per docenti, in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, con musei e
soprintendenze. Svolge ricerche d’archivio, progetta, presenta e realizza mostre. Coordina gruppi di studio. Tiene
conferenze e collabora a periodici. In una cinquantina di libri finora editi, ha trattato in particolare le arti in
Piemonte, i monumenti da salvare, la museologia, proponendo percorsi d’arte inconsueti. Studia le arti in Oriente,
nei paesi africani e nelle Americhe; da più di trenta anni ne insegna la storia all’Università della Terza età di
Torino. È coordinatore di ANISA Attività Torino. È fondatore e consigliere dell’Associazione Amici del Museo di
Antichità di Torino che promuove e comunica la ricerca e le collezioni archeologiche del Piemonte e ne sviluppa
i collegamenti internazionali. È Grand Vigile della Compagnie du Sarto’, associazione di amicizia dei popoli alpini.
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Franco Monetti, v. Arabella Cifani, -
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Elisa Mongiano
Nuove terre, nuovi sudditi: l’integrazione
dei territori alessandrini nell’ordinamento
sabaudo.
Fra le cessioni territoriali confermate dagli accordi di pace del 1713 figurano in particolare quelle già pattuite nel trattato di Torino dell’8 novembre 1703 tra l’imperatore
Leopoldo e Vittorio Amedeo II in cambio dell’appoggio militare sabaudo, ossia il Ducato di Monferrato, la Valsesia, la Provincia di Alessandria (con le cittadelle di Alessandria
e Valenza e con tutte le terre situate tra Tanaro e Po) e della Provincia di Lomellina. A
differenza del Monferrato, già dipendente dai Gonzaga, duchi di Mantova, le altre terre
erano state separate dallo Stato di Milano, di cui facevano parte da secoli. Era in particolare il caso della città di Alessandria, che, assoggettata, nella seconda metà del XIV
secolo, alla signoria dei Visconti, aveva poi vissuto, insieme con le terre del suo contado,
le successive vicende del ducato sforzesco e della dominazione spagnola.
Il contributo si propone di approfondire alcuni aspetti relativi all’introduzione nei
territori alessandrini delle istituzioni e della legislazione sabaude, con speciale attenzione
all’amministrazione della giustizia ed al notariato.
Elisa Mongiano, è Professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno, nell’Università di Torino,
Dipartimento di Giurisprudenza. Ha svolto studi di storia giuridica medievale e moderna, con peculiare
attenzione alla storia del diritto pubblico e privato, alla storia delle istituzioni, alla cultura giuridica. Ha
condotto ricerche in materia di diritto di famiglia e delle successioni, sull’amministrazione della giustizia,
con specifico riguardo alle istituzioni ed alla legislazione del Regno di Sardegna tra il XVIII ed il XIX secolo.
Ha, inoltre, affrontato lo studio di aspetti del costituzionalismo ottocentesco e dei rapporti tra ordinamento
canonico e ordinamenti secolari tra medioevo ed età moderna e contemporanea. Sui temi citati, e su altri, è
autrice di numerose monografie e di studi pubblicati in opere miscellanee e atti di convegni. È membro della
Società italiana di storia del diritto, della Société d’histoire du droit e della International Commission for the
History of representative and Parliamentary Institutions ed è socio di varie associazioni culturali italiane e
straniere. È membro del Comitato di Direzione della Rivista di storia del diritto italiano.
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Carlo Naldi
“Te Deum and Jubilate” per la Pace
di Utrecht.
Georg Friedrich Händel nacque nel 1685 a Halle in Sassonia. A 19 anni si recò con
il principe Ferdinando de’ Medici in Italia, dove, dal 1706 al 1710, raffinò la tecnica compositiva, sia nella scrittura vocale, sacra e profana, sia in quella strumentale da camera.
Il duca Ernst August von Hannover sentì a Venezia l’esecuzione dell’Agrippina e raccomandò Händel alla corte di Hannover. Nel 1710 Händel accettò la carica di maestro di
cappella del principe elettore George Louis von Hannover, già designato come futuro
erede al trono di Gran Bretagna. Ben presto però si trasferì a Londra dove il suo Rinaldo
riscosse un notevole successo. In Gran Bretagna regnava Anna ultima sovrana del casato
degli Stuart. Dato che non aveva eredi, il Parlamento approvò nel 1701 un Atto di Successione con il quale si lasciava il trono solo a discendenti di fede protestante. Successore
designato divenne Giorgio, principe di Hannover. Anna Stuart fu sovrana per tutta la
durata della guerra di successione che si concluse con un trionfo per l’Inghilterra che,
con la Pace di Utrecht, si affermava come potenza marittima egemone. Solo a pace conclusa Anna morì lasciando la successione a Giorgio d’Hannover. Alla fine del 1712 Händel tornato in Inghilterra compose il Te Deum and Jubilate per la Pace di Utrecht su una
specifica richiesta della corte. Il Te deum era finito il 14 gennaio del 1713 mentre la pace
non fu conclusa che il 31 marzo. È indiscutibile che l’occasione gli forniva la possibilità
di celebrare un evento di vitale rilevanza per entrambi i suoi protettori: Anna e Giorgio.
L’esecuzione nella cattedrale di Saint Paul il 7 luglio 1713 fece di Händel un’istituzione
nazionale e lo designò come unico successore di Purcell.
Carlo Ugo Alberto Naldi, già professore ordinario in ingegneria elettronica presso il Politecnico di Torino
(nel quale è stato preside della Facoltà di Ingegneria, vice rettore per l’Internazionalizzazione e Strategic Project
Manager del Campus Sino-Italiano a Shanghai), ha insegnato anche negli USA, in Francia, Spagna, Sud America
e Cina.
Tra i riconoscimenti internazionali: Palmes Académiques de la République Française “pour les services rendus
à la culture française“, Professeur d’honneur de l’Università “Politehnica” di Bucarest, Doctor Honoris Causa
de l’Institut National Polytechnique de Grenoble (Francia) e Doctor Honoris Causa del Luoyang Institute of
Technology (China). Nel campo degli studi storici in particolare ha curato, da ultimo, il volume Maria Giovanna
Battista di Savoia Nemours. Memorie della Reggenza (Torino, Centro Studi Piemontesi, 2011).
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Fulvio Peirone
Vita quotidiana e celebrazioni nel racconto
degli Ordinati municipali di Torino.
I verbali dei Consigli generali e delle Congregazioni municipali consentono di cogliere
lo svolgersi della vita cittadina dal punto di vista della classe dirigente della città capitale.
Scorrendone le pagine affiorano particolari ora felici ora drammatici: i dettagli organizzativi delle sontuose feste per «la proclamazione di S.A.R. Re di Sicilia», così come gli ordinari
problemi di vita quotidiana, quali la penuria di risorse economiche e finanziarie, il controllo dei prezzi dei beni di prima necessità, le questioni sanitarie, le elemosine agli indigenti.
Se, a partire dal 1722 - anno del matrimonio di Carlo Emanuele III con Cristina di
Sulzbach - le nozze principesche fornirono l’occasione per le feste di maggior rilievo nel
Settecento, le celebrazioni disposte nel 1713 furono il degno preludio delle successive, organizzate secondo un rituale ricorrente fatto di eventi riservati alla corte - i balli, gli spettacoli
teatrali, i pranzi - e di momenti offerti a tutta la cittadinanza: i «fuochi di gioia» e le «mostruose illuminazioni» degli edifici più importanti della città. Strumenti di consolidamento
del culto dinastico e di consenso, le feste, i riti e i simboli furono elementi di pacificazione e
aggregazione sociale. Emblematico l’episodio occorso nei giorni dell’assedio del 1706, quando Torino, sotto il tiro dei cannoni francesi, salvaguardò ciò che aveva di più prezioso. Protagonisti della vicenda – evocata negli Ordinati e narrata nella cronaca del Giornale dell’assedio
della real città di Torino, edito a Milano da Malatesta nel 1707 - furono i «Signori della città», i
quali presero la decisione «di abbassare la gran Torre civica», ovvero, come specifica il verbale
degli Ordinati del 16 giugno 1706, «far levare l’aguglia e il toro esistente sopra la torre» per
proteggerli dai bombardamenti nemici. Solo a guerra conclusa e dopo la firma del trattato
di pace le autorità municipali, il 5 giugno 1713, decisero di «accomodare la torre e rimettere
sovra essa il Toro», affinché il simbolo civico per eccellenza, immagine condivisa e identitaria
della comunità torinese la cui salvaguardia fu ritenuta importante al pari delle azioni militari
difensive, tornasse prontamente a svettare nel cielo di Torino, novella capitale del regno.
Fulvio Peirone, funzionario dell’Archivio Storico della Città di Torino, laureato in sociologia, ha conseguito
con lode il diploma di master universitario di II livello in diritto amministrativo e scienze dell’amministrazione,
tenuto dal giudice costituzionale prof. Sabino Cassese. Dal 1991 svolge attività di ricerca e redazionale e dal
2001 collabora alla realizzazione delle mostre allestite presso la sede dell’Archivio Storico e alla cura dei relativi
cataloghi. Ha fatto parte del comitato scientifico della mostra «Giovani ribelli del ‘48», (Milano, Palazzo Reale
2011). Ha pubblicato saggi di argomento archivistico, informatico, storico ed è autore dei volumi Per Torino da
Nizza e Savoia (Torino, Centro Studi Piemontesi, 2011) e Cittadini onorari di Torino (Presidenza del Consiglio
comunale - Archivio storico, in corso pubblicazione).
60
Andrea Pennini
All’origine di un’antica amicizia. Le relazioni
anglo-sabaude tra XVII e XVIII secolo.
L’intervento che si propone vuol essere un piccolo contributo alla storia delle relazioni anglo-sabaude tra il XVII e il XVIII secolo. L’asse tra Torino e Londra sta certamente
alla base del buon successo diplomatico dei plenipotenziari di Vittorio Amedeo II alla
conferenza di Utrecht. Tuttavia l’alleanza anglo-sabauda non ha origine con la Guerra di
Successione Spagnola. Infatti la straordinaria fioritura dei rapporti tra Torino e Londra
nella prima metà del XVIII secolo non avrebbe potuto aver luogo senza una lunga “frequentazione” dei due Stati.
Le relazioni anglo-sabaude affondano le loro radici in pieno XIII secolo, proseguono
altalenanti fino all’età di Emanuele Filiberto e subiscono un’accelerazione nella prima metà del XVII secolo. Patiscono una brusca interruzione sotto il protettorato di
Cromwell. Mentre nel 1669 viene siglato un trattato commerciale che appare essere una
novità soltanto nella forma, dal momento che risulta essere il naturale proseguimento
degli ottimi rapporti intercorsi tra gli Stuart appena restaurati e i Savoia. A fine XVII
secolo il matrimonio tra Vittorio Amedeo e Anna d’Orleans e le vicende della Glorious
Revolution portano Casa Savoia ad ambire alla successione del trono inglese. Eppure,
grazie anche alla freddezza della corte di Torino nell’appoggiare la famiglia Stuart in
esilio, l’amicizia tra Inghilterra e Savoia permane. Negli anni questi rapporti lentamente
scolorano da alleanza famigliare a vera e propria “amicizia” tra Stati, che accompagnerà
la storia del Ducato di Savoia, del Regno di Sicilia e – finalmente del Regno di Sardegna,
in quanto strategicamente funzionale all’ascesa dell’impero britannico.
Andrea Pennini è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.
Si è laureato in Storia presso la medesima Università con il prof. Enrico Genta ed ha conseguito il titolo di
Dottore di Ricerca presso l’Università del Piemonte Orientale sotto la guida del prof. Claudio Rosso. Si occupa
principalmente della diplomazia sabauda nella prima età moderna. È autore di alcuni saggi tra cui: La religione
nello Stato. Aspetti della normativa in materia ecclesiastica dal regno di Sardegna all’unità d’Italia, in L. Scaraffia I
cattolici che hanno fatto l’Italia. Religiosi e cattolici piemontesi di fronte all’Unità d’Italia, Torino 2011; Le missioni
del conte di Cartignano (1611-1612). Un progetto di matrimonio inglese per il Principe di Piemonte in “Bollettino StoricoBibliografico Subalpino”, vol. CX (2012); Foemina Erit Ruina Tua? Le donne nella vita e nella gestione del potere di
Vittorio Amedeo II, in Couronne Royale. Colloque international autour du 300e anniversaire de l’accession de la Maison
de Savoie au trône royal de Sicile, Annecy 2013.
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Sebastiano Ponso
Salvaguardia dei sistemi di contromina
della Cittadella e completamento del recupero
delle opere di difesa.
La difesa di Torino durante l’Assedio del 1706, che ha tenuto impegnato l’esercito
francese fino alla sconfitta nella battaglia del 7 settembre 1706, è stata determinante per
la sopravvivenza del Ducato di Savoia durante la guerra di successione spagnola, conclusasi con il trattato di Utrecht. Nella difesa ebbero fondamentale importanza le opere
di fortificazione della città e della Cittadella, dotata di un esteso sistema di gallerie di
contromina. A oltre tre secoli dallo loro costruzione, i sistemi di contromina della piazzaforte di Torino costituiscono uno dei pochissimi elementi difensivi in gran parte sopravvissuti alle demolizioni ottocentesche delle fortificazioni. Il recupero di questo esteso
patrimonio, di straordinario interesse per testimonianza storica, tecniche di costruzione
ed efficacia delle azioni di difesa. è iniziato oltre un secolo fa con gli studi del Col. Pietro
Magni e, dopo la scoperta del Gen. Guido Amoretti della Scala di Pietro Micca nel 1958
e la fondazione del Museo Pietro Micca nel 1961, sono ora visitabili alcune delle più
interessanti strutture utilizzate durante l’assedio del 1706. Purtroppo imponenti opere
di urbanizzazione che interessano il sottosuolo (metropolitana, stazioni ferroviarie della
vecchia e nuova Porta Susa, parcheggi pubblici e privati, sottoservizi idrici ed elettrici,
ecc), possono arrecare gravi danni se non la distruzione delle strutture sotterranee. Per
la loro salvaguardia e valorizzazione la Direzione del Museo Pietro Micca prosegue nella
non facile opera di manutenzione, difesa da danni, demolizioni accidentali, ecc, provocati da eventi naturali e da ditte esecutrici dei lavori. L’obbiettivo perseguito dal museo
è quindi quello di giungere alla tutela integrale della poderosa rete di contromina della
scomparsa Cittadella di Torino, che contribuì al successo ottenuto nella difesa della
capitale del Ducato divenuto, tre secoli orsono, Regno.
Il Generale Sebastiano Ponso ha frequentato l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Applicazione
di Torino. Ha ricoperto vari incarichi presso reparti del 3° Corpo d’Armata di Milano, la Scuola delle
Telecomunicazioni di Roma, comandi di reparto alla Divisione “Cremona” e alla RMNO di Torino. Laureato
in Scienze Strategiche, è stato insegnante di materie scientifiche e tecnico-militari e comandante dei corsi alla
Scuola di Applicazione. Dal 1° ottobre 2008 è stato nominato dalla Giunta del Comune di Torino Direttore
del Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706.
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Maria Teresa Reineri
Anna d’Orléans e la Sicilia: le impressioni
della regina sul nuovo possedimento desunte
dalla corrispondenza privata con i figli
e il confessore.
Il vascello inglese su cui si imbarcarono a Nizza Vittorio Amedeo II e Anna
d’Orléans attraccò al molo di Palermo il 10 ottobre 1713 dopo una settimana di orribile
mare. In quello stesso giorno cominciò la corrispondenza della regina con i principi restati a Torino (Vittorio Amedeo Filippo, primogenito, che esercitava la reggenza dello
stato, e Carlo Emanuele, chiamato familiarmente Carlin) e, dopo l’insediamento nella
reggia avvenuto il 12 ottobre, anche con il suo confessore Ignazio Carroccio, prevosto
del Capitolo metropolitano torinese e, in quel tempo, anche vicario del Vescovo. Il
sofferto distacco dai figli fu probabilmente il cardine dell’insofferenza con cui Anna
incontrò il nuovo paese: allo sconvolgimento delle sue abitudini di vita, si associò
la constatazione che Palermo, pur ricca di splendidi monumenti, era maltenuta, la
popolazione pigra, insopportabile per lei il clima. Dopo il soggiorno nella capitale,
conclusosi in modo drammatico con la notizia della morte della giovanissima figlia
regina di Spagna, fu costretta a seguire il re prima a Catania e poi a Messina. Messina
le piacque di più, se non altro per la splendida vista del porto che godeva dalla sua
residenza. Ma il vento che soffiava costantemente la costrinse anche lì a una vita quasi
da reclusa. Neanche la straordinaria fertilità dei terreni coltivati a grano (il Piemonte
era colpito in quei mesi da siccità) fece particolare breccia sul suo cuore. Dovendo
incuriosire i figli al nuovo regno cercava costantemente per loro cose sconosciute, lamentandone purtroppo la scarsità. Il discorso di Anna con i figli fu sempre prudente: i
giudizi severi, ma motivati. Con il Carroccio aprì il cuore e confessò la delusione per il
nuovo paese, sicuramente acuita dalla lontananza dei principi. È quanto si può arguire
dalle risposte di Carroccio che, come suo direttore spirituale, la invitava alla cristiana
sopportazione per crescere in virtù. Anche la lodava per la decisione di tener nascosto
ogni giudizio negativo sul nuovo possedimento e sui nuovi sudditi, non trattenendosi,
però, da personali esclamazioni di vero entusiasmo per il Piemonte dove si attendeva
con ansia il ritorno dei sovrani.
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Maria Teresa Reineri, nata a Torino, è laureata in Fisica, con specializzazione in Fisica Nucleare. Dapprima
ricercatore presso la sezione torinese dell’Istituto di Fisica Nucleare, poi direttore tecnico del Centro di
Calcolo Automatico dell’Università di Torino, infine professore di ruolo presso la facoltà di Scienze M.F.N.,
corso di laurea in Scienze dell’Informazione. Conta un’ampia produzione scientifica pubblicata su riviste
nazionali e internazionali e sugli atti di congressi internazionali di “Cibernetica”. Parallelamente all’attività
istituzionale ha coltivato l’interesse per la storia del Piemonte, collaborando alla rivista “Studi Piemontesi”
con contributi incentrati in particolare sul Seicento sabaudo. E’ autrice delle biografie: Anna Maria d’Orléans,
regina di Sardegna duchessa di Savoia, Torino 2006, e L’archiatra di Casa Savoia, Giovanni Francesco Fiochetto,
Torino 2010, entrambe edite dal Centro Studi Piemontesi (esaurite); del saggio Una carmelitana torinese, faro
spirituale per la corte e la città, in G. Ghiberti, M. I. Corona (eds), Marianna Fontanella-Beata Maria degli Angeli,
Effatà Editrice 2011; della biografia romanzata: “Non vi impegnerò il cuore”. Antonia Maria di Castellamonte
nella Torino barocca, ArabaFenice, 2011.
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Mario Riberi
Il trattato di Utrecht e le autonomie
locali nelle Alpi Occidentali:
il caso della “république des escartons”.
L’intervento proposto intende presentare le istituzioni politico-amministrative di un
territorio di confine, posto nel cuore delle Alpi occidentali, la cosiddetta “République
des Escartons”. Si tratta di una comunità che, sulla base della “Carta delle Franchigie”
concessa dal Delfino Umberto II il 29 Marzo del 1343, inglobava in una comune ed autonoma forma di governo la parte più alta delle tre vallate italiane del Varaita, Chisone e
Dora, e le corrispettive estensioni d’oltralpe del Queyras e del Brianzonese, cioè in totale
51 comunità del Delfinato e del Piemonte. Organizzata in modo federativo nei quattro
“Escartons” di Casteldelfino, d’Oulx, di Briançon e del Queyras, con capitale Briançon,
l’insieme di questa “Repubblica” conservò, confermata anche sotto il governo francese,
una propria autonomia politica e fiscale che mantenne fino al 1713, quando con il trattato di Utrecht essa fu divisa dal nuovo confine statale e la sua prerogativa finì con l’essere
assorbita dai rispettivi governi centrali, quello di Luigi XIV nello spartiacque francese e
quello dei Savoia in quello italiano. In tal modo il grande Escartons brianzonese perse il
versante italiano (Oulx, Pragelato, Casteldelfino), dando origine sulla displuviale alpina
naturale a quella che nei secoli successivi sarebbe diventata la “frontiera” tra la nazione
francese e quella italiana. Tuttavia la tradizione gestionale e di autonomia rimase solida,
ed alcuni istituti degli “Escartons” perdurarono nel corso del XIX secolo, inserendosi
nelle nuove strutture, nate dall’organizzazione della Repubblica e dell’Impero francese,
nonché di quella del nuovo Stato italiano.
Mario Riberi (nato a Cuneo il 23/04/1982), dopo essersi laureato a Torino nella Facoltà di Giurisprudenza
nel 2007, discutendo una tesi Sull’ideologia antigiurisprudenziale della Rivoluzione Francese con relatore il prof.
Enrico Genta, si è addottorato in Storia del diritto italiano ed europeo presso l’Università degli studi di
Torino nel 2012 (tutori i professori Paola Casana e Enrico Genta) presentando il lavoro L’applicazione della
legislazione penale francese in Piemonte durante l’annessione (1802-1814). Ha pubblicato recensioni per la Rivista
di Storia del diritto italiano, schede per il volume-catalogo Il teatro di tutte le scienze e le arti, Torino 2011 e
i contributi Augustin Cochin e le società di pensiero in “Sintaksis”, III (2010) e Lo sviluppo dell’attività assicurativa
in Italia dal XIX secolo alla Prima Guerra Mondiale in Assicurare 150 anni di Unità d‘Italia, Roma 2011. Sono di
imminente pubblicazione gli articoli Un penalista giacobino: Michel Lepeletier de Saint-Fargeau. Appunti per una
ricerca storico-giuridica in “Rivista di Storia del diritto italiano”, LXXXV (2013) e Cittadinanza e identità nazionale
nell’Europa contemporanea.
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Enrico Ricchiardi
Da milizia scelta a reggimenti provinciali:
il potenziamento dell’esercito sabaudo
dopo l’acquisizione della Sicilia.
Nel dicembre del 1713 Vittorio Amedeo II si recò con la consorte, Guardie Svizzere,
Archibugieri e Guardie del Corpo a Palermo, dove fu incoronato Re di Sicilia. Oltre alle
truppe di Corte fu necessario trasferire sull’isola una consistente parte dell’esercito sabaudo (circa 5000 uomini) appartenenti ai migliori reggimenti di fanteria, all’artiglieria e ai
dragoni. Si presentava però l’imbarazzante problema di dover sguarnire gli stati di terraferma del regno. Le finanze non permettevano ancora al troppo piccolo Piemonte di armare
altri reggimenti dì ordinanza, se non i due costituiti sull’isola con i nuovi sudditi siciliani.
Altre risorse dovettero essere destinate alla creazione di una piccola flotta d’alto mare e
della truppa adibita alla protezione delle navi (I Granatieri delle Fregate). Il problema che
si era creato in terraferma fu rapidamente risolto con la decisione di costituire dieci reggimenti di fanteria provinciale, migliorando e modificando in parte i pochi reggimenti di
milizia scelta rimasti in servizio al termine della guerra di secessione di Spagna.
La soluzione fu particolarmente brillante perché, modificando ampiamente la struttura e
l’organizzazione delle antiche milizie di Emanuele Filiberto, secondo un modello innovativo
per l’epoca, il novello monarca riuscì rapidamente a creare una struttura militare adeguata
alle poche risorse economiche disponibili (in tempo di pace i soldati erano a disposizione
per la mobilitazione nelle loro case), ma che si dimostrò altamente efficiente. I reggimenti
provinciali costituirono, infatti, fino al 1816, un’importante tassello delle difese sabaude. I
reggimenti provinciali, incrementati di numero negli anni, giocarono un ruolo chiave nelle
guerre di successione di Polonia (1733-1736), d’Austria (1741-1748) e delle Alpi (1792-1796).
Enrico Ricchiardi è nato a Torino il 17 agosto 1947. Conduce da un trentennio studi sistematici nei fondi di
archivi e biblioteche per ricostruire aspetti della storia dell’esercito e della Corte sabaudi tra XVII e XIX secolo,
pubblicandone i risultati in articoli e volumi monografici o diffondendoli in conferenze e convegni. Si è occupato
della catalogazione storica di materiali conservati presso il Museo Nazionale d’Artiglieria di Torino e dello studio
e catalogazione delle collezioni di antiche bandiere conservate nell’Armeria Reale di Torino. Il reperimento di
disegni di modello, documenti e originali presso istituzioni e privati, ha portato alla pubblicazione da parte
del Centro Studi Piemontesi di un volume sulle bandiere settecentesche dell’esercito sabaudo. È ora in attesa
di finanziamento da parte dello stesso Ente la pubblicazione di un volume sui vessilli ottocenteschi, fino al
primo tricolore del Regno d’Italia. Recentemente ha curato, su incarico del Consiglio Regionale del Piemonte,
un saggio sulle uniformi e sui figurini militari piemontesi tardo settecenteschi, incluso nell’anastatica della
raccolta edita da Antonio Maria Stagnon nel 1789. Ora ha ultimato lo studio delle bande militari dell’esercito
piemontese e della loro evoluzione dal 1664 al 1870. Sul tema è in preparazione il volume Musicisti in uniforme.
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Rengenier C. Rittersma
Una situazione eccezionale: l’impatto
del congresso sulla vita quotidiana a Utrecht
e la sua percezione nella stampa olandese
dell’epoca.
Il congresso di Utrecht ha cambiato in modo rilevante gli assetti dell’Europa di Antico regime. A livello geopolitico esso ha cementato nuovi equilibri, ha stabilizzato di fatto
la supremazia di Francia, Gran Bretagna e Austria, ha gettato le basi per un progressivo
tramonto delle Province Unite e del Regno di Spagna, ha sancito rilevanti accrescimenti
territoriali degli Stati dei Savoia. La presenza a Utrecht per lavorare alla pace e al ridisegno della carta geopolitica europea dei plenipotenziari, funzionari e rispettivi seguiti
delle diverse potenze coinvolte nelle trattative ebbe un impatto davvero considerevole
sulla vita quotidiana della città ospite. Basandosi su fonti locali e sulla stampa olandese
dell’epoca, l’autore illustra nella sua relazione non solo gli effetti immediati del congresso per le Province Unite in generale ma anche in particolare l’impatto sulla città di
Utrecht e sulla sua vita quotidiana.
Rengenier C. Rittersma (1974), dopo la laurea in Storia Moderna e in Filologia Tedesca (Universiteit van
Amsterdam, 1999/ 2000), è stato Dottore di ricerca in Storia e Civiltà dell’Istituto Universitario Europeo a
Fiesole (2006), con una tesi sulla mitogenesi del conte Lamoraal d’Egmont (1522-1568), la cui traduzione
inglese sarà pubblicata da Brill’s Publishers nel 2014. Post-dottorato alla Vrije Universiteit Brussel (2006-2008),
ricerca sulla storia culturale del tartufo in Europa; post-dottorato della Fondazione Humboldt (2008-2010),
ricerca sulla storia culturale del tartufo in Europa. Dal 2007-2012 segretario del comitato di redazione della
rivista “Food & History”; dal 2013 in poi, membro ordinario dello stesso comitato. Dal 2011 Lecturer German
al Politecnico di Rotterdam (Rotterdam Business School). Dal 2012 in poi Visiting Professor all’Università delle
Scienze Gastronomiche a Pollenzo. Numerose le sue pubblicazioni, fra l’altro, sulla rivolta olandese, letteratura
tedesca, storia dell’alimentazione, storia della storiografia, storia materiale dei Paesi Bassi (Luxury in the Low
Countries), e sulla storia culturale del tartufo in Europa, un tema sul quale ha anche pubblicato, con riferimento
agli Stati sabaudi, il saggio A culinary Captatio Benevolentiae: The Use of the Truffle as a Promotional Gift by the
Savoy Dynasty in the Eighteenth Century (edito in Royal Taste. Food, Power and Status at the European Courts after
1789, a cura di Daniëlle De Vooght, Londra, Ashgate, 2011).
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Rosanna Roccia
Gli echi di Utrecht nel Castello Cavour
di Santena.
Due stupendi ritratti settecenteschi e un raffinato tavolino del Piffetti custoditi nel
Castello Cavour di Santena evocano gli intrecci famigliari attraverso i quali si dipana
la complessa genealogia degli antichi proprietari della dimora piemontese: soprattutto
evocano la storia emblematica e curiosa di un matrimonio che riporta alla memoria
i fatti d’arme gloriosamente conclusi con il trattato di Utrecht. Dei due quadri, che
decorano la cosiddetta stanza della marchesa Filippina di Cavour nata de Sales, il primo, di Martin Meytens, raffigura in abito da parata il valoroso vecchio barone Bernard
Otto von Rehbinder (1662-1743), il quale, insignito da Vittorio Amedeo II del Collare dell’Ordine supremo dell’Annunziata nel fatidico anno 1713, a settantasei anni
compiuti ottiene da papa Clemente XII di contrarre un secondo matrimonio. L’altro
dipinto, di Georg Caspar de Prenner, ritrae la sposa sedicenne Cristina Piossasco de
Feys (1722-1775). Se il primo ritratto è l’esaltazione del valore e del merito, il secondo
è il compendio delle virtù coniugali: la fedeltà e l’amore. E qualora potessero sorgere
dubbi sull’unione tra l’uomo, del quale il sovrano assurto al titolo regio si considera il “meilleur ami”, e la giovinetta, il calligrafo che redige su pergamena il superbo
Contratto dotale, prima di enumerare i gioielli favolosi e il ricco “fardello” provvisto
dall’anziano Rehbinder a “Madamigella Cristina Margarita di Piossasco”, disegna ad
acquerello, su uno sfondo di bandiere, bocche da fuoco e palle da cannone, un puttino che incorona due cuori fiammanti sotto il cartiglio che afferma “iunxit amor”.
Nella pagina a fronte gli stemmi Rehbinder e Piossasco chiusi dal collare dell’Annunziata esaltano il vincolo che unisce i due sposi: e l’ebanista di corte Pietro Piffetti, sul
piano del tavolino da caffè in palissandro, “disegna” con l’avorio per loro gli stessi
stemmi congiunti, sostenuti da putti allegorici e stendardi. Il menzionato Contratto è
uno dei tanti documenti dell’archivio Carron di San Tommaso, casato che nel 1748,
dopo cinque anni di vedovanza, accoglierà Cristina sposa del “marchese di Avigliana”:
documenti preziosi e inediti, utili a cogliere gli echi di una vicenda che cambiò la
Storia racchiusi nei segni e nei simboli di una favola autentica e singolare d’altri tempi
giunta sin qui grazie a Giuseppina Alfieri di Sostegno nata Benso di Cavour, nipote
devota del grande Camillo e gelosa vestale delle memorie di famiglia.
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Rosanna Roccia, direttore della rivista “Studi Piemontesi”, è membro della Deputazione Subalpina di Storia
Patria, della Commissione Nazionale per la pubblicazione dei Carteggi del Conte di Cavour, del Comitato
scientifico della Fondazione Cavour. Ha ideato e diretto collane editoriali e pubblicato saggi di storia subalpina
con particolare attenzione all’età risorgimentale. Ha collaborato a lungo con Carlo Pischedda all’edizione
dell’Epistolario cavouriano, di cui ha curato i volumi conclusivi. Per l’Istituto per la Storia del Risorgimento
Italiano è curatrice dell’Epistolario di Urbano Rattazzi. Per il Centro Studi Piemontesi ha, da ultimo, anche
curato, congiuntamente a Gian Savino Pene Vidari, il volume di Fulvio Peirone, Per Torino da Nizza e Savoia.
Le opzioni del 1860 per la cittadinanza torinese da un fondo dell’Archivio storico della Città di Torino (2011).
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Giorgio Federico Siboni
Il Piemonte e la situazione confinaria dello
Stato di Milano attraverso il fondo Atti di
Governo-Confini dell’Archivio di Stato di
Milano.
L’inventario delle oltre trecento buste (bb.384) che compongono il fondo Atti di
Governo-Confini, parte antica presso l’Archivio di Stato di Milano si presenta strutturato
secondo un’impostazione geografico-alfabetica. È utile ricordare che nel 1762 lo stesso
archivista Ilario Corte ricevette da Vienna un encomio per lo stralcio delle scritture
riguardanti i confini e le terre cedute al re di Sardegna nel 1748. La responsabilità superiore per le questioni confinarie sarà risolta soltanto nel 1753 a opera di Beltrame
Cristiani, ministro plenipotenziario imperiale. Tra le iniziative che connotarono l’amministrazione condotta dal Cristiani vi è quella diplomatica, attestata dalla presenza
nel fondo Confini, pa. del materiale riguardante la sistemazione delle linee finitime del
ducato. Il trattato firmato il 4 ottobre 1751 costituì un’eccellente soluzione per entrambe
le parti specificamente in causa (l’Impero e il Regno di Sardegna) poiché non si limitava
alla definizione dei confini, ma prendeva in considerazione pure le questioni inerenti ai
traffici commerciali e agevolava gli scambi tra i due Stati.
Giorgio Federico Siboni è Laureato cum laude in Storia dell’Età dell’illuminismo, European Master’s Degree
e Título de Estudios Avanzados in Storia delle istituzioni politiche e giuridiche, dottore di ricerca in Società
europea, è archivista-paleografo diplomato. In servizio in qualità di commissario d’esame per gli insegnamenti
di Archivistica e Archivistica speciale presso l’Università degli Studi di Milano. Senior editor del trimestrale
«Coordinamento Adriatico», consigliere scientifico internazionale del periodico «Nueva Ilustración», è curatore
e commissario scientifico delle collane di saggistica «Téxnes» e «Adria» per Leone Editore. Vicepresidente
della Associazione Magna Carta Verona Scipione Maffei, è coordinatore di LiMes Club Verona e commissario
scientifico operativo del Centro documentazione Residenze Reali Lombarde. Socio della Società italiana di
storia militare, della Società storica lombarda, della Società dalmata di storia patria di Venezia, della Società
istriana di archeologia e storia patria di Trieste e della Società di studi storici e geografici di Pirano. Ricopre il
ruolo di commissario scientifico per il progetto nazionale Genesi e mutamenti delle strutture del potere territoriale
in Adriatico e di delegato presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Gruppo di lavoro
sulla storia degli esuli giuliano-dalmati. Autore di due monografie, ha pubblicato saggi e approfondimenti in
Italia e all’estero. Le sue ricerche vertono in prevalenza sul xviii secolo e sull’Età rivoluzionaria e napoleonica.
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Bruno Signorelli
Annibale Maffei soldato e diplomatico
al servizio di Vittorio Amedeo II.
Annibale Maffei nasce a Mirandola nel 1667 da nobile famiglia, già in contatto con i
Savoia. Annibale andò paggio a Torino nel 1681 dove fu al servizio di Vittorio Amedeo II sino
alla sua abdicazione, combattendo sia nella guerra di Devoluzione (1690-96) che in quella di
Successione Spagnola (1701-1713). Fu alle battaglie di Staffarda e della Marsaglia, all’assedio
di Pinerolo, Namur e Casale. In missione a Parma e Milano, nel 1697 accompagnò Maria
Adelaide, promessa sposa del Delfino di Francia a Pont-Beauvoisin. Fu attivo durante la guerra di Successione Spagnola comandando il reggimento Maffei tra il 1703 ed il 1706, mentre
iniziava contemporaneamente la sua carriera diplomatica con la missione a Londra. Nel 1707
fu al congresso dell’Aia, poi inviato in Russia e Prussia. Successivamente fu nelle Fiandre alla
battaglia di Oudenard con il principe Eugenio e il Duca di Marlborough. Nel 1709 fu inviato
straordinario a Londra, in seguito inviato al Congresso di pace di Utrecht con il marchese del
Borgo e il Mellarède dove operò con straordinaria abilità. Raggiunse il grado di tenente maresciallo nelle armate del Re e di Gran Mastro dell’Artiglieria. Ottenuta la corona di Sicilia quale
rappresentante di Vittorio Amedeo si recò con lui nell’isola dove operò dal 1714 al 1719 come
Viceré, cercando di mantenere l’ordine e la legalità. Si scontrò duramente con i rappresentanti
della Chiesa cattolica per il problema della “Controversia liparitana”, il che gli mise contro
parte degli abitanti. Subì l’invasione spagnola nel 1718, eseguì una abile marcia di sganciamento da Palermo a Messina, attraversando l’isola sotto la minaccia di parte della popolazione
insorta. Difese l’isola sino a quando fu obbligato a consegnarla all’Austria nel 1719. Tra il
1720 ed il 1724 con il cavalier Provana fu al congresso di Cambrai e poi ambasciatore a Parigi.
Nel 1729 raggiunse il prestigioso traguardo del cavalierato della SS. Annunziata poco prima
dell’abdicazione di Vittorio Amedeo II. Si ritirò poco dopo e morì a Torino il 15 agosto 1735.
Bruno Signorelli, laureato in architettura, è Presidente della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti. Si
occupa, relativamente al Piemonte, di storia dell’architettura (periodo barocco e storia del cemento armato),
di storia della Compagnia di Gesù, storia militare per il periodo 1559-1815. Ha curato con W. Crivellin i tre
volumi dedicati a “Per una storia della Compagnia di San Paolo”. Con A. Cantaluppi e W. Crivellin ha curato
l’edizione di un ‘opera in due volumi intitolata “Le figlie della Compagnia” dedicata alla Storia dell’Educatorio
Duchessa Isabella e delle altre istituzioni educative della Compagnia di San Paolo. Autore di volumi tra cui “Tre
anni di ferro. Dal disarmo di San Benedetto Po alla vittoria di Torino del 1706 nella corrispondenza fra Vittorio Amedeo II
e il conte Giuseppe Biglione (Torino, Provincia di Torino). Ha coordinato il volume “Una chiesa per maggior servizio
di Dio, aiuto delle anime et ornamento di questa città”, dedicato alla chiesa dei SS. Martiri. Ha curato numerosi
volumi per SPABA. Autore di numerosi saggi per il Bollettino e Atti SPABA, “Studi Piemontesi”, “Bollettino
Società Storica Vercellese”, “Segusium”, “De Valle Sicida” e per diversi volumi miscellanei.
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Fabrizio Zannoni v. Paolo Bevilacqua, -
Moderatori:
Fabrizio Antonielli d’Oulx, Presidente Vivant
Federico Della Chiesa di Cervignasco, Consigliere Centro Studi Piemontesi
Francesco Malaguzzi, Direttore “Bibliofilia Subalpina”
Albina Malerba, Direttore Centro Studi Piemontesi
Roberto Sandri Giachino, Vice Presidente Accademia Albertina di Belle Arti
Gabriella Mossetto, Segretario Abnut, Associazione Amici della Biblioteca Nazionale
Universitaria di Torino
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Informazioni generali per i Relatori;
scadenze e norme redazionali
Consegna, dimensioni, illustrazioni dei testi
La trasmissione dei testi, ai fini della pubblicazione degli Atti del Convegno (che si desidera
ultimare entro il mese di maggio 2014) è richiesta, preferibilmente via posta elettronica, quale
attachment, quanto prima possibile e, comunque, entro e non oltre il 31 dicembre 2013 con
trasmissione a: mailto: [email protected].
I saggi, in versione definitiva, dovranno essere, indicativamente, compresi tra 6.000 e 90.000
caratteri spazi inclusi (scostamento consentito senza specifici accordi: +/-10%, pari a min. 5.400,
max 99.000 + illustrazioni; eventuali scostamenti percentualmente più elevati dovranno essere
preventivamente concordati). L’ampia forbice dimensionale è determinata da alcune specifiche
indicazione circa la possibilità di raccogliere interventi di una certa consistenza.
Il numero di battute corrispondenti all’eventuale edizione, integrale o parziale, di fonti inedite
di rilevante interesse non sarà necessariamente compreso nei limiti sopra indicati.
Il numero delle eventuali illustrazioni giudicate opportune a corredo dei testi, per meglio documentarli e completarli, non è soggetto a preventive limitazioni. Al momento è prevedibile,
puramente per questione di costi, la stampa delle figure in B/N, ma non escludiamo ancora del
tutto che divenga possibile la stampa a 4 colori dell’intero volume.
Indici dei nomi, luoghi, autori e materie citati
Gli indici dei nomi, luoghi, autori e materie citati verranno realizzati dalla redazione, tuttavia
sarebbero molto graditi i testi già corredati in calce dalle liste sopracitate (e segnatamente per
quanto riguarda le materie / argomenti); naturalmente non sarà necessario riportare il numero
di pagina in cui i diversi nomi figurano in ciascun articolo. I testi, ove già corredati dalle liste di
nomi, consentiranno di accelerare le fasi redazionali.
Software da utilizzare per la scrittura dei testi
I formati informatici preferiti e richiesti sono, in ambiente Windows, il “documento di word
1997-2003” (.doc); in alternativa: .docx.
Dovrà essere evitato l’uso delle revisioni.
Le note dovranno essere numerate progressivamente.
Norme redazionali
Riportiamo di seguito, per quanti trovino agevole seguirle, le principali norme redazionali per
la stesura dei testi.
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In ogni caso la redazione provvederà, ove necessario, a omogeneizzarli secondo le indicazioni che
seguono, salvo espresse e specifiche indicazioni in contrario da parte di un autore che preferisca,
per proprie insindacabili motivazioni, conformarsi, pur nella complessiva adesione all’ossatura
redazionale di base, a qualche differente scelta grafica, cosa che è resa possibile dal fatto che
ciascun articolo costituisce un autonomo contributo.
Citazione in nota bibliografica dei volumi monografici
• L’autore / gli autori saranno scritti in carattere MAIUSCOLETTO tondo: con indicazione,
nella prima citazione di ciascuno, del nome proprio per esteso e, nelle successive, della sola
iniziale. Qualora gli autori siano due o più, non si utilizzi, tendenzialmente, la congiunzione
“e” o un trattino tra i cognomi, ma li si separi con una virgola. In ogni caso fa aggio sulle
presenti norme redazionali, ai fini della citazione, la esatta “fotografia” del frontespizio dei
testi citati: pertanto, se in essi figurano, per separare i nomi degli autori, la “e” o il trattino
in luogo della virgola, saranno questi a essere fedelmente ripresi. In nessun caso dovrà essere
utilizzata la forma AA.VV.: qualora un volume sia scritto da più di quattro autori, l’opera
sarà citata a partire dal titolo (il che non impedirà di aggiungere in forma discorsiva, ritenendolo opportuno, la lista completa degli autori/contributori).
• Il titolo dei volumi sarà sempre in carattere corsivo. Altrettanto dicasi per il titolo di articoli
o capitoli pubblicati all’interno di volumi. In quest’ultimo caso, dopo il titolo dell’articolo o
capitolo si specificherà: in, seguito dal titolo del volume e dalla paginazione (prima – ultima
pagina dell’articolo, ad es. pp. 11-22 e non pp. 11 sgg. o ss.). Qualora l’informazione citata
sia pubblicata in una specifica pagina dell’articolo o capitolo sarà gradita, seppure non indispensabile, la forma esemplificata di seguito: pp. 11-22 e in partic. 17, o altre equivalenti (e
specialmente 17, principalmente p. 17, etc.).
• altre coordinate bibliografiche da inserire sempre: luogo di stampa, casa editrice, anno
di pubblicazione, specificando nell’ordine, quando si ponga il caso, n° del volume, tomo,
parte, capitolo, paragrafo, pagina / -e. Il numero delle pagine dovrà sempre essere indicato
per esteso (ad esempio, non pp. 145-47 ma pp. 145-147).
• curatore / -i: Il nome del curatore di un volume dovrà sempre essere posposto al titolo del
volume stesso. Qualora vi siano due o più curatori vale, nel menzionarli e separarli, quanto
si è detto sopra con riferimento agli autori.
Citazione degli articoli
Autore e titolo dell’articolo: si citeranno con le modalità indicate per i volumi monografici, facendo
seguire il titolo del periodico/rivista che, senza eccezione (dal quotidiano all’annuario o con altra
più dilatata periodicità) sarà riportato in forma estesa e completa, sempre tra virgolette, seguito da
indicazioni relative alla serie, annata o volume, anno, numero, pagine (prima – ultima pagina dell’articolo, ad es. pp. 11-22 e non pp. 11 sgg. o ss.). Qualora l’informazione citata sia pubblicata in una
specifica pagina dell’articolo sarà gradita, seppure non indispensabile (come si è detto per gli articoli
o capitoli inclusi in volumi monografici) la forma esemplificata di seguito: pp. 11-22 e in partic. 17.
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Atti di convegni
La citazione prenderà l’avvio dal Titolo del convegno in corsivo, seguito dal punto e dall’indicazione, Atti del convegno, luogo e data quando indicati nel frontespizio, sempre in carattere corsivo; seguirà
l’eventuale nome del curatore o dei curatori in carattere tondo, il luogo e le date del convegno,
ancora in corsivo, tra parentesi tonde e poi gli usuali riferimenti bibliografici: luogo di stampa,
casa editrice, anno di pubblicazione, specificando nell’ordine, quando si ponga il caso, n° del
volume, tomo, parte, capitolo, paragrafo, pagina. Il numero delle pagine dovrà sempre essere
indicato per esteso (ad esempio, non pp. 145-47 ma pp. 145-147).
Cataloghi di mostre
Il titolo dei cataloghi delle mostre dovrà essere seguito dall’indicazione: catalogo della mostra,
specificando luogo e data, nonché i nomi del curatore o dei curatori, in carattere tondo, con i
medesimi criteri già citati.
Bibliografia
In calce a ciascun articolo dovrà essere riportata, in aggiunta alle note, la bibliografia di tutti i
testi in esse citati, in ordine alfabetico per autore o per titolo, esattamente come nella citazione.
Nel caso siano citate più opere di uno stesso autore si seguirà l’ordine cronologico. I singoli elenchi bibliografici, fusi tra loro, concorreranno a formare la bibliografia complessiva degli Atti.
Citazioni nel testo
Per le citazioni nel testo l’inizio e la fine saranno segnalati da virgolette caporali « ». Sino ad un
massimo di tre righe esse potranno, a scelta degli autori, sia essere comprese di seguito nel corpo
del testo, sia essere evidenziate in corpo minore a separate da due interlinee dal testo che precede
e da quello che segue. In quest’ultimo caso le virgolette non saranno utilizzate. Lo stesso criterio
si seguirà per eventuali citazioni superiori a tre righe (no virgolette e corpo della citazione minore
rispetto al restante testo, separato da ciò che precede e che segue mediante doppia interlinea).
Eventuali interventi dell’autore in seno a una citazione, quali commenti, precisazioni e via dicendo, saranno racchiusi tra parentesi quadre [ ]. Ove si renda necessario istituire una gerarchia citazionale, all’interno delle virgolette caporali potranno essere utilizzate le virgolette in apice doppie (“ ”),
all’interno delle quali si ricorrerà, in caso di necessità, alle virgolette in apice singole (‘ ’).
Punteggiatura
L’omissione di una parola o di una parte della frase deve essere segnalata entro parentesi [...]. I
punti di sospensione saranno sempre tre.
Non è esclusa la possibilità di fare ricorso, ove si renda necessario aprire una parentesi, un inciso, una precisazione, all’interno di una frase già inserita tra parentesi tonde ( ), alle parentesi
quadre [ ].
La barra / sarà usata principalmente per indicare la separazione fra i versi di una poesia o di una
canzone e nelle trascrizioni di eventuali iscrizioni.
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Citazione dei Nomi di persona
I cognomi preceduti dalle particelle di, de, del, della, du, des, von, van e via dicendo, dovranno
rispecchiare con riferimento all’uso di iniziali minuscole o maiuscole la forma generalmente
attestata per ciascun personaggio.
Nei cognomi francesi le particelle Le, La, Les, hanno l’iniziale maiuscola, salvo che la forma
generalmente attestata per specifici casi non differisca da tale impostazione
Nei cognomi inglesi le particelle O’, Mac, Mc hanno l’iniziale maiuscola, con i distinguo di cui
sopra.
Nei nomi dei personaggi storici è preferibile utilizzare la minuscola per i titoli nobiliari, titoli
onorifici, cariche; tuttavia con riferimento ai capi di Stato, siano essi Pontefici, Imperatori, Re,
Duchi, si lascia piena libertà ai relatori circa l’uso di iniziali maiuscole o minuscole.
Nomi geografici
I nomi geografici si citano secondo la grafia più usuale in lingua italiana, ad es. Rastadt non
Rastatt, Copenaghen non Kopenhagen.
Nelle note / riferimenti bibliografici le città che siano luogo di edizione di opere citate vanno preferibilmente tradotte (ad es. Ginevra, non Genève; Losanna non Lausanne; Parigi non Paris; Londra
non London). La redazione lascia tuttavia agli autori scegliere la formula preferita, in particolare
con riferimento a opere antiche (in particolare pubblicate sino alla metà dell’Ottocento).
Titoli, qualifiche
Le parole San, Santo, Santa, Santi, Sante vanno sempre scritte con l’iniziale maiuscola quando
si cita l’intitolazione ad essi di una chiesa, convento, monastero, santuario, cappella, altare e via
dicendo; in tutti gli altri casi, quando ci si riferisca in particolare alla persona del santo, non è
necessariamente ricercata una piena omogeneità e si lascia alla sensibilità e ai gusti dei singoli
autori la scelta tra l’iniziale maiuscola o minuscola. Le parole chiesa, convento, monastero, santuario, basilica, cappella, duomo, cattedrale vanno scritte con l’iniziale minuscola, tanto quando
siano seguite dall’intitolazione, quanto nei casi in cui ne siano prive.
Nel citare santi e beati, titoli, qualifiche, apposizioni diverse, quali martire, eremita, apostolo,
tebeo, è preferibile utilizzare la minuscola per le relative apposizioni (abate, evangelista, martire,
martire tebeo, apostolo [...]), eccetto che per le intitolazioni degli edifici religiosi di cui si è detto
sopra.
Parole in lingua straniera
Tendenzialmente le parole straniere, quando non siano entrate nell’uso corrente della lingua
italiana si riporteranno in carattere corsivo.
In linea di massima esse non si declinano e non vengono poste al plurale (ad esempio: gli abstract , non: gli abstracts).
I nomi di associazioni, enti e istituti, che non vanno in alcun caso tradotti, non richiedono di
essere connotati da corsivi o virgolette.
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Numeri
Cardinali
All’interno di un testo si esprimono di preferenza in lettere, ma si possono esprimere anche in
cifre se sono assai “lunghi” (mai, quindi, dall’uno al dieci, mai le decine, le centinaia, le migliaia
in cifra tonda).
Fino a tre cifre i numeri si scriveranno uniti, oltre tre cifre si separeranno con il punto.
Si esprimeranno in cifre i numeri che si riferiscano a note e pagine, a una misura, a date e orari;
si esprimeranno in lettere gli altri (ad esempio: trecento – non 300 o 3 cento – oppure tremila
– non 3.000 o 3 mila -).
In generale le abbreviazioni con riferimento a numeri saranno evitate e in particolare:
• per i numeri di pagina (come già accennato)
• per le cifre indicanti l’anno.
I decenni di un secolo si scriveranno preferibilmente in lettere, con iniziale minuscola; i secoli
in lettere, con l’iniziale maiuscola. Ad esempio: negli anni trenta del Settecento.
Ordinali
Le indicazioni del secolo saranno sempre in MAIUSCOLO; altrettanto dicasi per i volumi,
tomi, libri, parti, serie, fascicoli di riviste, capitoli di volumi, pagine in numerazione romana,
tavole, annate di riviste, atti e scene teatrali. Ad esempio: XVIII secolo; vol. I; tomo I; libro I;
parte I; s. I; fasc. I; cap. I; pp. I-II; tav. I; a. I; atto I; scena I.
Pure in MAIUSCOLO si riporteranno, ovviamente, i numeri ordinali riferiti a pontefici, sovrani, imperatori. Ad esempio: Clemente XI; Vittorio Amedeo II, Carlo VI.
Principali abbreviazioni
Le abbreviazioni delle unità di misura, da considerarsi alla stregua di simboli, non richiedono
il punto finale né la maiuscola e vanno indicate dopo il numero; ad esempio 21 x 30 cm; 15 x
30 mm
• capitolo, capitoli: cap., capp.
• citato: cit.
• colonna, colonne: col. , coll.
• confronta: cfr.
• eccetera: ecc. oppure etc.
• edizione: ed.
• fascicolo : fasc.
• figura, figure: fig. , figg.
• foglio, fogli: f. , ff.
• ibidem: l’abbreviazione non è indispensabile ma, ove si ritenga di farne uso, abbreviare
in ibid. (da usare quando vi sia completa identità, anche di pagina; nel caso la fonte sia la
medesima ma il volume o la pagina siano differenti usare preferibilmente ivi, seguito dalle
specifiche coordinate).
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junior: jr; senior: sr
manoscritto: ms.; manoscritti: mss.
non numerato: n. n.
nota dell’Autore: N.d.A. (n.b. il termine nota si riporta sempre per esteso)
nota del Curatore: N.d.C. (n.b. il termine nota si riporta sempre per esteso)
nota del Redattore: N.d.R. (n.b. il termine nota si riporta sempre per esteso)
nota del Traduttore: N.d.T. (n.b. il termine nota si riporta sempre per esteso)
numero, numeri: n., nn.
nuova serie: n. s.
pagina, pagine: p., pp.
paragrafo: § oppure par.; paragrafi: §§ oppure parr.
recto, verso: r, v oppure r.°, v.°
seguente, seguenti: sg., sgg.
senza data: s. d.
senza luogo: s. l.
tabella, tabelle: tab., tabb.
tavola, tavole: tav., tavv.
traduzione: trad.
vedi: forma preferibilmente da non abbreviare (altrimenti, se giudicato opportuno: v.)
verso, versi: v., vv.
volume, volumi: vol., voll
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Finito di stampare nel mese di maggio 2013