Commento all`icona di Rublev - missionarie della Regalità di Cristo

Transcript

Commento all`icona di Rublev - missionarie della Regalità di Cristo
La Trinità, mistero di ospitalità1
Commento all’icona di Rublev
"Temete e onorate, lodate e benedite,
ringraziate il Signore,
Dio onnipotente nella Trinità e nell'Unità,
Padre e Figlio e Spirito Santo,
creatore di tutte le cose" (Francesco d’Assisi)
1. Invocazione: Es. 3, 1-6
Siamo davanti all’icona della Trinità di Rublev: essa è come il roveto che arde e non si
consuma. L’icona, che è la Scrittura scritta con i colori, partecipa alle caratteristiche della Scrittura:
arde nei nostri cuori senza mai spegnersi. L’icona, ogni icona, è interpretazione spirituale delle
Scritture: è lectio divina fatta tramite i colori e le immagini.
Avviciniamoci come Mosè al roveto, togliendoci i sandali davanti al mistero di Dio che
questa icona vuole “comunicare” più che “spiegare”: per il credente è incontro con Dio per una
“parola viva e nuova di Dio”; per l’uomo è invocazione a Dio perché mostri il suo volto. Davanti
all’icona per scoprire le proprie radici, per dissetarsi nuovamente alla fonte che saprà ridare le forze
e l’energia per continuare un cammino di speranza.
2. Lectio: Gen 18,1-15
L’icona descrive l’ospitalità di Abramo e nella tradizione biblica orientale essa è una
“prefigurazione” veterotestamentaria del mistero trinitario. La tradizione orientale cioè per
rappresentare Dio-Trinità non ricorre direttamente alla raffigurazione del Padre, del Figlio e dello
Spirito, ma richiama un evento biblico in cui è possibile intravedere qualcosa del mistero di Dio.
Non è indifferente a mio avviso che la tradizione iconografica abbia scelto questo brano biblico e
non credo che si possa commentare correttamente l’icona senza passare attraverso questo primo
livello di interpretazione che fa riferimento ad un testo biblico di cui l’icona è “esegesi”,
“interpretazione”.
Il brano della Genesi narra l’episodio di quando tre uomini giunsero inaspettatamente e
misteriosamente presso la tenda di Abramo. Li vediamo sotto un albero seduti intorno ad una
tavola. Sono pellegrini hanno il bastone per il viaggio in mano; sono inviati (angeli) hanno le ali…
inviati per portare una notizia. La notizia che essi portano è attesa… anzi ormai insperata. Sono
passati venticinque anni da quando una voce risuonava nella notte per Abramo: «lascia il tuo paese,
la tua famiglia, la casa di tuo padre; va’ nella terra che io ti mostrerò» (Gn 12, 1). Abramo partì
senza sapere dove andava percorrendo paesi stranieri come un pellegrino, un viandante. Alla
promessa di una terra si aggiunge la promessa di una discendenza: «Esci nella notte, solleva gli
occhi verso il cielo, conta il numero delle stelle: così numerosa sarà la tua discendenza… » (Gn
15,5). Terra promessa, ma mai donata; discendenza promessa, ma mai avuta. Abramo continua a
camminare nell’attesa del dono promesso, cercando di scorgere la presenza di colui che lo aveva
chiamato. Ed ecco che nell’ora più calda del giorno tre uomini stanno in piedi davanti a lui… come
accorgersi che quella è la visita tanto attesa (Gn 18,1-14). La promessa viene confermata… si da
una scadenza: «tornerò a te alla fine della stagione ed ecco: Sara, tua moglie, avrà un figlio».
1
Il presente testo, per ciò che concerne la lettura dell’icona, riprende i tratti salienti della riflessione di D. Ange in
“Trinità ed Eucaristia”.
E’ la storia di una “visita di Dio”.e diventa richiamo a tutte le visite di Dio nella storia,
quando Dio si fa vicino e trasforma la promessa in dono.
Questa raffigurazione della visita dei tre uomini ad Abramo diventa simbolo di ogni visita di
Dio fino a quella visita che è compimento pieno e definitivo di ogni promessa: Gesù di Nazareth.
Già Luca vede in Gesù la visita definitiva di Dio al suo popolo Israele: «Dio ha visitato il suo
popolo» (Lc 7, 16). Per questo motivo la tradizione cristiana ha visto in quei tre uomini un
riferimento dell’Antico Testamento alla Trinità: perché ogni “visita di Dio” deriva dal suo essere
Trinità. Nell’icona viene raffigurata la Trinità all’opera nella storia della salvezza, è la Trinità che
visita ogni uomo che vive in “terra straniera”, che sente vacillare la speranza…
*Verso il Convegno di Verona
In piena sintonia con il cammino della Chiesa italiana che si ritrova a Verona in un
tempo cui sorgono domande acute dai mutati scenari sociali e culturali in Italia, in Europa e
nel mondo, e ancor più dalle profonde trasformazioni riguardanti la condizione e la realtà
stessa dell’uomo. Nel tramonto di un'epoca segnata da forti conflittualità ideologiche, infatti,
emerge un quadro culturale e antropologico inedito, segnato da forti ambivalenze e da
un'esperienza frammentata e dispersa. Nulla appare veramente stabile, solido, definitivo. Privi
di radici, si rischia di smarrire anche il futuro. Il dominante "sentimento di fluidità" è causa di
disorientamento, incertezza, stanchezza e talvolta persino di smarrimento e disperazione. In
questo contesto i cristiani, «stranieri e pellegrini» nel tempo (1Pt 2,11), sanno di poter essere
rigenerati continuamente dalla speranza, perché le tristezze e le angosce del tempo sono
«gettate» nelle mani del «Dio di ogni grazia» (1Pt 5,7.10).
3. Meditatio: Giovanni 1, 14-18
Nell’icona i tre angeli nelle loro espressioni, nella loro posizione, nei colori esprimono il
ritmo della vita trinitaria. Prima di vedere gli elementi che indicano questo ritmo vediamo quelli
che richiamano all’unità:
- un elemento molto importante è il colore blu che, se osserviamo l’icona, è presente nelle
vesti di tutte e tre le figure, mentre gli altri colori variano figura per figura. Il blu è il colore
della divinità che le tre persone divine condividono, gli altri colori invece sottolineano le
specificità di ogni persona; - un altro tratto comune che caratterizza i tre angeli è la somiglianza del volto. Come la
presenza del blu che indica la divinità, così anche questo tratto richiama
l’unità della trinità. Ogni angelo presenta un volto giovanile, né
maschile né femminile, per esprimere l’eternità della divinità delle tre
persone;
- anche fisicamente i tre angeli sono uguali. Il loro corpo è molto
allungato rispetto alle proporzioni normali. Questo è un elemento tipico
dell’icona che esprime la diversa dimensione delle figure raffigurate.
Non si tratta infatti della raffigurazione di corpi materiali, ma del loro
“spessore spirituale”. Questo aspetto è molto rilevante nelle icone dei
santi.
Molto importante per sottolineare l’unità è il cerchio in cui i tre
angeli possono essere inscritti (cfr. disegno): il cerchio indica il tutto,
l’unità della vita di Dio.
L’angelo al centro
L’angelo che sta al centro dell’icona è messo in risalto oltre che dalla posizione anche dalla
vivacità dei colori e dalle linee che sembrano attirare lo sguardo su di lui. Si potrebbe pensare che si
tratti del Padre proprio per questa sua posizione preminente sugli altri due. In realtà sembra
preferibile ritenere che si tratti del Figlio. Perché allora il Figlio nell’icona della Trinità è al centro e
non il Padre, come ci si aspetterebbe?
Mi sembra che i motivi siano due: il primo riguarda un aspetto molto importante per la teologia
della Trinità secondo la sensibilità orientale: la Trinità si rivela nella storia della salvezza e
massimamente nell’opera fatta di parole e opere del Figlio di Dio fatto uomo. Non si può parlare di
Dio se non partendo da Gesù, il Figlio. Come abbiamo già detto non si parla della Trinità in astratto,
ma facendo riferimento al suo rivelarsi nella storia della salvezza, nelle grandi opere che Dio
compie in favore dell’uomo. Il secondo motivo è legato al mistero pasquale, alla morte e
risurrezione di Gesù, come il luogo dove l’azione del Padre, per il Figlio, nello Spirito raggiunge la
sua massima espressione e l’amore di Dio si rivela. L‘asse centrale dell’icona è quella che presenta i
richiami al mistero pasquale e alla croce di Gesù.
L’angelo al centro è rivolto verso quello di sinistra, il Padre. Lo sguardo dei due personaggi si
incontra e sembra si possa intuire un dialogo in quegli sguardi. In quello sguardo del Figli verso il
Padre e del Padre verso il Figlio possiamo vedere la missione che il Figlio riceve dal Padre e che la
teologia dell’evangelista Giovanni esprime con un linguaggio molto denso e suggestivo:
«In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal
Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5, 19).
«… bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha
comandato» (Gv 14, 31)
Nello sguardo che il Figlio rivolge al Padre potremmo udire la risposta che diede il profeta:
«eccomi, manda me!» (Is 6,8). L‘argomento del colloquio che si svolge più attraverso lo sguardo
che le parole sembra essere la coppa che sta al centro della tavola e che contiene un agnello. Le
mani (rappresentate con le due dita separate per indicare le due nature) dei due angeli sembrano
indicarla. Certamente in primo luogo si tratta dell’agnello che Abramo offrì ai tre pellegrini, ma
quell’agnello posto in un calice è anche riferimento «all’agnello di Dio che toglie il peccato del
mondo», il suo “mistero parsale”. Quello sguardo d’amore che il Padre rivolge verso il figlio è
dovuto a questo… egli dà la vita:
“Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di
nuovo”. (Gv 10, 17)
Il rosso della tunica dell’angelo centrale richiama l’amore prontissimo della sua obbedienza
“fino alla morte”. In questa figura il blu è il colore del mantello: quel colore che nel Padre era velato
e nascosto, qui è manifesto e predominante per dire che è Gesù che ci ha rivelato il vero volto di
Dio e il suo amore per noi: egli è colui che ci narra il Padre, al sua misericordia, la sua volontà di
salvezza…Dio nessuno l’ha mai visto… il Figlio unigenito che sta nel seno del Padre egli ne ha
fatto l’esegesi, la spiegazione, egli ce lo ha narrato. (cfr. Gv 1, 18).
Questi due colori poi ci ricordano anche che Gesù è Dio (blu) e uomo (rosso), Dio che si è
fatto vicino a noi, è venuto a camminare con noi.
L’albero che sta alle spalle dell’angelo centrale richiama l’albero della vita nel paradiso e
l’albero della Croce. L’albero, curvo sulle spalle dell’angelo centrale come se egli stesse per
caricarselo addosso, richiama la croce, il nuovo albero della vita. L’icona non può rappresentare il
Figlio senza un albero, la croce che gli si sta caricando sulle spalle, senza un calice che ricorda il
dono di sé perché questo è il senso della vita di Cristo. Adamo aveva allungato la mano verso
l’albero per invidia e superbia, Gesù carica su di sé il legno della croce per amarci fino in fondo.
Non poteva mancare un riferimento esplicito alla croce, perché è lì sulla croce che il Figlio nel
modo più pieno rivela il cuore del Padre che ama in modo gratuito, unilaterale e folle.
Sulla medesima linea dell’albero troviamo la tenda di Abramo e il monte.
La tenda sorge alle spalle del Padre, dell’angelo di sinistra, è la casa del Padre alla quale tutto gi
uomini sono inviatati. E’ una casa in costruzione della quale il «Figlio» è chiamato ad essere
l’artefice chiamando un polo «dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1 Pt 2, 9) per l’edificazione
di «un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per
mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5) che è la pietra angolare. Porte e finestre sono aperte perché è una
casa accogliente come la tenda di Abramo e di Sara.
Il colle sembra offrirsi al Figlio per essere salito. E’ il colle del calvario sul quale il Figlio darà «la
vita per le pecore». Il Padre guarda verso quel colle come Abramo guardò il monte Moira quando
saliva per offrire il proprio figlio Isacco.
Il Figlio – l’angelo di centro – non guarda l’albero-croce e il colle ma volge loro le spalle… li vede
riflessi nello sguardo del Padre, sguardo che parla della nostra salvezza e del cuore di Dio
misericordioso e fedele.
* Verso il Convegno di Verona
Ci siamo preparati al Convegno di Verona con la Prima lettera di Pietro che ha
vivissima coscienza (cap. 1 della Traccia) che il centro della testimonianza cristiana è
il Crocifisso Risorto e lui è il nome della speranza cristiana. Da qui il compito del
testimone cristiano, oggi: vedere, incontrare, comunicare il Risorto.
-vedere il Risorto: un’esperienza di conversione
“La prima conversione riguarda l’identità di Gesù. Gesù di Nazaret non è solo il
profeta che ha rivendicato di essere il Figlio di Dio, ma è il Signore che, seduto alla destra del
Padre, conserva le piaghe del Crocifisso, «agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 3,19).
Non è solo il Signore che si fa servo, prendendo le nostre piaghe e le nostre ferite, le nostre
malvagità e il nostro peccato; ma è il servo che diventa e resta Signore per sempre,
trasfigurandoci con la sua carità sino alla fine. Le ferite del Crocifisso non sono il segno di un
incidente da dimenticare, ma una memoria incrollabile nella testimonianza della Chiesa”.
“La seconda conversione riguarda il volto della Chiesa. Vedere il Risorto significa che
la comunità dei discepoli, che ha seguito il maestro per le vie della Palestina, deve diventare la
Chiesa-comunione che mette il Risorto al suo centro e lo annuncia ai fratelli. Come la donna
che parte dal giardino della risurrezione e va dire ai fratelli: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18).
Cambia così anche il nostro modo di essere comunità credente e di appartenere alla
Chiesa. La Chiesa non è solo il luogo del bisogno di guarigione, di serenità, di pace, di
armonia spirituale, di impegno per il povero. La Chiesa del Risorto è la comunità costruita
sull’amore, in cui ciascuno può dire all’altro: io ti prometto, io ti dono la mia libertà. La
presenza del Risorto nella vita del testimone crea così la comunità della testimonianza. La
libertà dell’uomo, che oscilla tra desiderio illimitato e capacità limitate, si trova non solo
guarita dal suo delirio di onnipotenza, ma diventa una libertà liberata per la comunione. La
dinamica della missione a tutte le genti trova qui la sua sorgente invisibile e inesauribile”.
- incontrare il Risorto: un’esperienza di missione
“La fede pasquale è, in secondo luogo, esperienza di missione. È quanto esprime il mandato
finale nel Vangelo di Matteo: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e
fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20). La missione è l’incontro con il Risorto, la cui
signoria riconcilia il cielo e la terra.
Da qui scaturisce la missione di fare di popoli diversi la Chiesa universale e da qui
proviene il mandato di far partecipare tutti alla vita trinitaria mediante il battesimo. Tutto ciò
avviene perché il Signore è con noi tutti i giorni. Non c’è prima la fede pasquale e poi il
mandato missionario, non c’è prima la comunione e poi la missione: la comunione e la
missione della Chiesa sono i due nomi di uno stesso incontro, che custodisce il volto paterno
di Dio e la vita fraterna e solidale dell’uomo”.
-comunicare il Risorto: un’esperienza di relazione
“La missionarietà della Chiesa non ha lo scopo di dire “altro” o di andare “oltre” Gesù Cristo,
ma di condurre gli uomini a lui. Il modo è uno solo: una relazione “spirituale”, capace di
trasformare la vita personale e sociale. Il mistero della Chiesa, il senso dei suoi gesti e delle
sue iniziative, la forza della sua testimonianza hanno il compito di introdurre gli uomini alla
relazione viva con il Risorto”.
“Il luogo di questa riconciliazione è l’uomo nuovo, restituito alla buona relazione con il
Signore e reso capace di plasmare la vita, di condurre un’esperienza quotidiana di relazione in
famiglia, con gli amici, al lavoro, nella società. In questi scenari si attua l’esercizio del
cristianesimo radicato nella speranza della risurrezione”.
L’angelo di sinistra
Dell’angelo di sinistra abbiamo parlato parlando di quello centrale, ancora una volta comprendiamo
che non si può parlare del Padre senza passare attraverso il Figlio che ne è la rivelazione.
Il Padre qui a sinistra siede con solennità sul trono. Lo sguardo e il gesto della mano destra hanno
qualcosa di imperativo. Anche il vestito oro e rosa (trasparenza) proclama che lui è l’origine della
divinità e la sorgente della vita; il blu in questa figura è quasi totalmente nascosto dal mantello: egli
è il Dio che nessuno ha mai visto e che il Figlio ha rivelato e narrato con la sua parola e con le sue
opere e massimamente nel suo “mistero pasquale” dove il “cuore di Dio” si è mostrato in pienezza.
Abbiamo già notato l’importanza dello sguardo che egli rivolge all’angelo di centro e dei gesti delle
sue mani che indicano il calice che contiene l’agnello.
L’angelo di destra
L’angelo di destra è in atteggiamento di “infinita devozione”. Egli è, interamente, soltanto una
“grande inclinazione” verso gli altri; il suo corpo disegna un'ampia curva. Sembra ricevere tutto
dagli altri e attendere tutto da loro. E’ lo Spirito che nulla dice di suo, ma testimonia tutto ciò che
Gesù ha fatto.
Il mantello verde richiama la sua azione: dare la vita, rinnovare continuamente il mondo. Spirito
vivificante – come diciamo nella professione di fede – che aleggiava sulle acque prima della
creazione. La sua funzione è quella di rendere gli uomini simili a Gesù per introdurli nella vita di
Dio. Per questo il suo sguardo è rivolto verso coloro che guardano l’icona, anzi precisamente verso
l’apertura che si crea davanti alla tavola-altare alla quale i tre sono seduti, il lato vuoto al quale ogni
uomo è invitato. Come è importante lo sguardo degli altri due angeli così è importante quello
dell’angelo di destra. Quello sguardo indica la missione dello Spirito che è donato nei cuori per
plasmare in noi l’immagine del Figlio, per renderci conformi a Cristo e così ricondurci alla nostra
primitiva e originaria vocazione. Lo Spirito «è la faccia di Dio inclinata sul mondo», i suoi occhi
sembrano immergersi verso un abisso che si intuisce lontanissimo e vicinissimo.
Ma che rapporto c’è tra l’angelo di centro e l’angelo di destra, tra il Figlio e lo Spirito? Se
guardiamo l’angelo di centro, il Figlio, notiamo che egli ha i volto e lo sguardo rivolti verso il Padre
per contemplare la sua volontà, ma ha il petto rivolto verso l’angelo di destra come per “inviarlo”.
Lo Spirito effuso è il compimento del mistero pasquale, il compimento della salvezza perché egli ci
rende Figli ad immagine del Figlio e quindi in comunione con il Padre. E’ il dono dei tempi
messianici annunciato dai profeti, il dono di Dio per eccellenza, il dono che porta in sé ogni altro
dono.
*Verso il Convegno di Verona
L’impegno della Chiesa italiana: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti
sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15).
Nel tempo della ragione debole e del disincanto, occorre riuscire a dire che Cristo è la ragione
della speranza che è in noi. Al credente è proposto un cammino di assimilazione all’amore del
Crocifisso e alla vita nuova del Risorto. Il protagonista dell’assimilazione a Cristo è lo Spirito
Santo, che abita nel cuore dei credenti e li guida sul cammino di una vita nuova. L’esistenza
cristiana diventa così vita secondo lo Spirito, se accoglie la sua presenza, si apre alla sua
azione silenziosa e permanente, produce i suoi frutti di comunione, matura i suoi carismi di
servizio alla Chiesa e al mondo. Questo è il cammino di santità a cui ogni credente è chiamato.
Questa è l’autentica vita spirituale capace di rispondere alla domanda di interiorità che,
seppure talora formulata in modo confuso, emerge nel nostro tempo.
Resi uomini nuovi dallo Spirito, caparra del mondo futuro, i cristiani si sentono però
realmente e intimamente solidali con il genere umano e la sua storia (cfr Gaudium et spes, 1).
Proprio attraverso la lettura dei segni dei tempi, che nei quarant’anni del dopo Concilio è stata
un’attenzione viva della nostra Chiesa, si è cercato di superare la separazione tra coscienza
cristiana e cultura moderna, favorendo un più stretto rapporto tra evangelizzazione e
promozione umana, praticando il discernimento comunitario e accogliendo le istanze del
Progetto culturale orientato in senso cristiano in connessione con l’urgenza della nuova
evangelizzazione.
Oggi siamo invitati a riconoscere che questo nostro tempo ha una grande nostalgia di
speranza, anche per i rischi insiti nelle rapide trasformazioni culturali, in particolare per la
deriva individualistica, per la negazione della capacità di verità da parte della ragione, per
l’offuscamento del senso morale. Ogni cristiano è chiamato a collaborare con gli uomini e le
donne di oggi nella ricerca e nella costruzione di una civiltà più umana e di un futuro buono.
Questo comporta il dedicarsi ai frammenti positivi di vita, custodendo però la tensione verso
la speranza escatologica che non può mai essere del tutto esaudita.
Una preghiera di un vescovo orientale al Concilio Vaticano II dice bene il modo in cui
lo Spirito è inteso dalle chiese d’oriente:
Vieni, Santo Spirito,
perché senza di te Dio è lontano,
Gesù risorto resta nel passato,
il Vangelo appare una lettera morta,
la Chiesa una semplice organizzazione,
l'autorità un puro esercizio del potere,
la missione una propaganda,
il culto un arcaismo,
l'agire morale un agire da servi.
Con te, invece, o Spirito Santo,
il cosmo è mobilitato,
il Risorto si fa presente,
Dio è vicino,
il Vangelo è potenza di vita,
la Chiesa diventa comunione,
l'autorità è un servizio gioioso e forte,
la liturgia è memoriale vivente,
l'agire umano etico e morale
è un cammino forte e costruttivo di libertà.
IGNATIUS HAZIM, metropolita di Lattakia
4. Ruminatio: Giovanni 3, 16-17 (Trinità ed Eucaristia)
Prendendo in considerazione i singoli personaggi dell’icona abbiamo già visto come sia
forte il riferimento alla Pasqua del Figlio come momento massimo della rivelazione del Dio-Trinità:
è sulla croce che massimamente il Figlio ha rivelato la volontà di salvezza del Padre inaugurando la
Nuova Alleanza; è sulla croce che il Figlio ha donato lo Spirito per rendere possibile ad ogni uomo
l’accesso alla comunione con Dio. Per ogni uomo di ogni tempo lo Spirito plasma l’immagine del
Figlio rendendo attuale e salvifica nella nostra vita la Pasqua di Gesù.
Oltre all’albero che richiama la croce, abbiamo visto che anche il calice che sta davanti all’angelo
centrale con dentro l’agnello immolato richiama il mistero pasquale. Tanto più la cosa è
significativa se osserviamo che la tavola alla quale i tre sono seduti in realtà è un altare. Basta
considerare la finestrella sul davanti che è tipica degli altari dell’antichità costruiti sulle tombe dei
martiri. Il calice posto sull’altare richiama dunque l’eucaristia e il senso dell’eucaristia è proprio
racchiuso nel mistero del Figlio obbediente fino alla morte e alla morte di croce perché nel pane
spezzato si rivela il senso della sua morte che si fa dono per la vita degli altri e nel calice del vino si
realizza la Nuova Alleanza che la croce ha reso possibile e inaugurato. Nell’icona il riferimento
all’eucaristia illumina il Cristo caricato della croce, ma nello stesso tempo la croce illumina il senso
dell’eucaristia.
Ma se osserviamo bene l’icona e allarghiamo il nostro sguardo a
partire dal calice che sta sulla tavola-altare vediamo che i contorni dei
due angeli laterali formano la sagoma di un altro calice che contiene
l’angelo centrale cioè il Figlio. A questo punto è ancora più chiaro il
senso del calice posto sull’altare. I due calici si richiamano,
illuminandosi vicendevolmente. L’agnello nel calice sull’altare-mensa
è identificato chiaramente con il Figlio amato dal Padre perché “da la
vita”.
In questo modo possiamo vedere come l’icona coinvolga tutte e tre le
persone della trinità nella Pasqua di Gesù e del suo dono sulla croce. Il
dono di sé di Gesù è dono di sé di Dio, sua autocomunicazione
all’uomo. Con l’effusione dello Spirito questo dono si fa incontro
all’uomo e lo porta alla salvezza.
Nella croce, nel calice, nell’agnello immolato si rivela l’amore di Dio
che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Per
mezzo del Figlio Dio dona al mondo la possibilità della salvezza che per Giovanni sta nella
comunione con Dio. Entrare nel rapporto che intercorre tra il Padre e il Figlio è salvezza, entrare in
quello sguardo, tramite l’altro sguardo che lo Spirito ci rivolge.
Richiamo alcune considerazioni del Card. Martins Josè Saravia al XLVII Congresso
Eucaristico Internazionale che sintetizza bene lo stretto rapporto tra l’Eucaristia, la Chiesa e la vita
trinitaria, resa visibile dal Risorto, e ci aiutano a rivedere la nostra vita personale e di fraternità e la
nostra missione:
“Ogni Eucaristia è esplosione di culto spirituale, vero, vivo, intimo, personale, in persona
Christi, e, dunque, comunitario ed ecclesiale, in corpore mistico di Cristo che è la Chiesa”.
“La Chiesa è, dunque, una comunità essenzialmente cultuale. E in quanto tale essa diventa
«imago» (eikôn) della vita intratrinitaria. Ivi le Persone Divine, tributandosi onore e gloria
l'una all'altra e compartecipando dell'unica vita ed essenza divina, diventano la causa, il
principio e il fine della stessa «Ecclesia orans». Questa imita il modello della vita trinitaria.
Per cui meritatamente si dice pregando che la comunità eucaristica è «radunata dall'unità
della Trinità» (cfr Prefazio VIII delle domeniche «per annum»). E mentre si prega, si viene
educati alla fede, per cui si apprende che la medesima Trinità è il principio dell'unità, delle
mutue relazioni tra i membri della Ecclesia. Il «convenire in unum» e la «congregatio» della
«plebs sancta», dalla preghiera dell'Eucaristia sono attribuiti alle Persone Divine, «in una
simul» considerate, come quando si asserisce pregando che il popolo è radunato dall'unità
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (cfr Colletta del 3· formulario, della Messa» per la
Chiesa universale, tra le messe «ad diversa»). Tanto più che ogni azione liturgica e
specialmente l'Eucaristia, rievoca la storia della salvezza e riattualizza, per la vita dei fedeli,
tutto il progetto salvifico trinitario. L'evangelizzazione lo porta a conoscenza. L'Eucaristia lo
fa esperimentare, ne fa fare l'esperienza, lo attua a bene dei fedeli”.
“I sentieri della Trinità per l'incontro privilegiato con i fedeli, si intersecano nella
Celebrazione Eucaristica compiuta dalla Chiesa. Essa è il mezzo in cui il benefico influsso
della Parola di Dio, mediante la quale le Persone Divine si introducono nel cuore dei fedeli,
giunge alla vita di ognuno di loro”.
“L'Eucaristia orienta alla Trinità, perché la Trinità nell'Eucaristia rende efficace nel modo
più completo in via, il «mysterium», ossia il piano della salvezza (=l'oikonomia trinitaria).
L'evangelizzazione esplicita con i suoi contenuti la volontà della Trinità. L'annuncio che la
Celebrazione Eucaristica fa della Parola di Dio rievoca e riattivalizza la storia della
salvezza. Per cui il convenire in unum, frutto delle energie del seme che è la Parola di Dio
(cfr Lc 7, 11), raggiunge lo scopo della convocazione dei figli di Dio, che è opera del Padre
nel Figlio in virtù dello Spirito Santo”.
“Lo scopo della convocatio è di creare una comunione di fedeli che si moduli e si modelli su
quella esistente tra le Persone Divine. Esse sono la fonte, la causa, la finalità, il sostegno di
ogni convocazione eucaristica per mezzo della parola e costituiscono il paradigma per la
comprensione del significato ultimo della congregatio sanctorum seu fidelium attorno alla
mensa eucaristica”.
“La comunità eucaristica radunata nel vincolo delle Trinità, concretizza, dunque, il contenuto
dell'Evangelizzazione che sfocia nel radunare i figli di Dio dispersi (cfr Giov 11, 51-52) in
unum, ossia attorno al Cristo Pasquale, il cui Mistero è celebrato e rinnovato
nell'Eucaristia”.
5. Contemplatio e Oratio: Giovanni 14, 1-23
Ed ecco alla conclusione del nostro cammino un posto vuoto, un’apertura fissata dallo
Spirito. La prospettiva inversa dell’icona e in particolare delle pedane dei troni dei due angeli
laterali crea un naturale coinvolgimento, come se l’icona fosse un invito alla comunione e
anticipazione della patria. Ma quell’apertura può anche essere vista come una ferita… una “ferita”
in Dio quasi che il cerchio della vita divina sia in qualche modo lacerato, una lacerazione attraverso
la quale lo Spirito può effondersi. In quella lacerazione della vita di Dio, sta la nostra chiamata alla
comunione. Ma quella ferita è anche la ferita dell’uomo: la lacerazione in Dio è il suo amore per
l’uomo, mentre la lacerazione dell’uomo è la sua sete di Dio. Entrambi gli aspetti nell’icona si
fondono… il desiderio di Dio e il desiderio dell’uomo… per tutti e due desiderio di comunione.
Se notiamo nell’asse centrale dell’icona sono allineati l’albero-croce, l’angelo centrale, il
calice con l’agnello, l’altare, l’apertura ai piedi dell’icona. Sembra quindi che l’apertura ai piedi
dell’icona sia messa in corrispondenza con gli elementi che indicano la passione-morte di Gesù. Ma
qual è questo rapporto? Certamente la salvezza che si realizza nella comunione piena con Dio non è
qualcosa di esterno al mistero pasquale. Ne è il frutto, ma potremmo anche dire che ne fa parte
perché ciò che si compie nel Figlio di Dio fatto uomo, morto in croce, risorto e assiso alla destra del
Padre è già pegno e profezia di ciò che si compirà per ogni uomo in ogni tempo, in ogni luogo. Per
questo la salvezza di ogni uomo non sta fuori dal mistero pasquale di Cristo, ma ne è parte
integrante. Nelle scritture e nei Padri questo è espresso con il vocabolario della sponsalità, dove il
rapporto Dio/uomo è espresso attraverso l’immagine del matrimonio.
Un invito alla contemplazione per rinnovare la vita. Siamo invitati a essere testimoni di
Gesù Cristo, speranza del mondo, tenendo fisso lo sguardo su di lui e «gettando in lui ogni nostra
preoccupazione, perché egli ha cura di noi» (cfr 1Pt 5,7-8). E in questa icona “ricostruiamo” le
dinamiche vitale della comunione e della missione nel mondo, attingiamo alle sorgenti della nostra
chiamata, siamo invitati a celebrare con perseveranza il mistero dell’Amore trinitario!
Concluderei riproponendovi la preghiera di Verona, una preghiera che invoca alla Trinità e
che sintetizza i tratti essenziali del nostro vivere quotidiano, visitati da Dio per una speranza eterna:
O Dio nostro Padre,
origine e fonte della vita.
Nel tuo Figlio fatto uomo
hai toccato la nostra carne
e hai sentito la nostra fragilità.
Nel tuo Figlio crocifisso e risorto
hai vinto la nostra paura
e ci hai rigenerati a una speranza viva.
Guarda con bontà i tuoi figli
che cercano e lottano,
soffrono e amano,
e accendi la speranza nel cuore del mondo.
Cristo Gesù,
Figlio del Padre, nostro fratello.
Tu, obbediente,
hai vissuto la pienezza dell’amore.
Tu, rifiutato,
sei divenuto pietra angolare.
Tu, agnello condotto alla morte,
sei il buon pastore
che porta l’uomo stanco e ferito.
Rivolgi il tuo sguardo su di noi,
stranieri e pellegrini nel tempo.
Fa’ di noi pietre scelte e preziose,
e la tua Chiesa sarà lievito di speranza nel mondo.
Spirito Santo,
gioia del Padre, dono del Figlio.
Soffio di vita, vento di pace,
sei tu la nostra forza,
tu la sorgente di ogni speranza.
Luce che non muore,
susciti nel tempo
testimoni del Risorto.
La nostra vita sia memoria del Figlio,
i nostri linguaggi eco della sua voce,
perché mai si spenga l’inno di gioia
degli apostoli, dei martiri e dei santi,
fino al giorno in cui l’intero creato
diventerà un unico canto all’Eterno. Amen