blog assassino De Raffaele Eulalia 1420

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blog assassino De Raffaele Eulalia 1420
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Eulalia de Raffaele
BLOG
ASSASSINO
Bonfirraro Editore
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© 2012 by Bonfirraro Editore
Viale Ritrovato, 5 94012 Barrafranca Enna
Tel. 0934.464646 0934.400091 telefax 0934.1936565
E-mail: [email protected]
ISBN 978-88-6272-037-3
Prima edizione febbraio 2012
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A Rocco, Bobbi e Shira
A voi rivolgo il mio ricordo più tenero.
Cani indipendenti e sporchi,
ma più fedeli della fedeltà.
Eravate sempre lì ad aspettarmi, incuranti del tempo, delle stagioni che passando vi ricoprivano di
pioggia d’inverno e vi avvampavano d’estate.
Vagabondi senza tetto, dallo spirito rassegnato e
paziente e con una fede negli “uomini” immacolata.
Forse, quando restavate con gli occhi chiusi, sdraiati contro il muro per ore ed ore,
immaginavate l’incontro con chi vi amava.
L’attimo delle carezze e della gioia sconfinata
vi faceva sussultare, nel dormiveglia,
di soddisfazione.
Oh, vale sì la pena soffrire la sete, il freddo, il caldo per raggiungere poi quella dolce ricompensa …
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Prefazione
“FACCIAMOCI ALLORA SOVVERSIVI. RIVOLTIAMOCI CONTRO L’IGNORANZA, L’INDIFFERENZA, LA CRUDELTÀ, CHE D’ALTRONDE NON SI ESERCITANO COSÌ SPESSO
CONTRO L’UOMO SE NON PERCHÈ SI SONO
FATTE LA MANO SULLE BESTIE” (MARGUERITE YOURCENAR, “CHI SA SE LO SPIRITO
DELLE BESTIE SCENDA GIÙ SOTTO TERRA”,
1981)
Era Pasqua del 2011 quando iniziò la mattanza.
Nel novembre dell’anno precedente c’era già stato
un episodio significativo: qualcuno aveva pensato
bene di provare il proprio fucile da caccia al cinghiale su un gruppo di cani, in pieno centro abitato, di
sabato sera. Naturalmente nessuno vide alcunché,
ma in tanti sentirono gli spari che uccisero un bellissimo esemplare, centrandolo al cuore, e ne ferirono due. Il giorno successivo, un altro cane venne rinvenuto impiccato. Le indagini, penali e civili, non
hanno ancora avuto esito. Naturalmente. Come non
ne hanno avuto quelle relative all’avvelenamento sistematico di quasi l’intera popolazione di randagi a
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Piazza Armerina, cittadina adagiata nel cuore della Sicilia. A questa strage si ispira l’avvincente racconto di
Eulalia De Raffaele, che già nel titolo denuncia la
superficialità, condita da pericolosa ignoranza, che
accompagna troppo spesso certi siti, che di informazione dovrebbero trattare, ma che, al contrario, si rivelano terreno fertile per menti malate.
Anche nella realtà un blog locale è stato, infatti,
involontaria origine di un avvelenamento di massa
della popolazione randagia. Le parole riportate nella finzione letteraria sono tali e quali: opinioni di
esaltati che, non censurate, hanno fatto breccia nella mente di squilibrati “giustizieri”, trasformando le
strade della città in letali trappole per i “quattrozampe”. Peccato che nella realtà non esista una soluzione del caso. E laddove l’autrice scrive la parola fine
alla sua narrazione, lo fa con pietas nei confronti di
un carnefice che è vittima anch’egli, quasi condannato ad agire da una società più malata di lui, marcia dentro.
La trama agile si dipana in capitoli che presentano gli attori della scena, ambientata in un’immaginaria città della Sicilia. Ispirata alla scrittura di Andrea Camilleri, la vicenda è narrata con un abile gioco di stile: si ride, si riflette, ci si amareggia, impotenti come la Commissaria nella “lettera al Questore”, che chiude magistralmente il racconto. Come in
un alveare, i protagonisti-macchiette si muovono nel
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palazzone che inghiotte le loro patetiche esistenze,
incattivendoli, privandoli di umanità. Mancano di
rispetto a sé stessi, disprezzano i più fragili. Forse li
invidiano. Il “povero disgraziato” ha qualcosa che
loro non hanno: l’amore. I randagi posseggono ciò
cui essi anelano: la libertà. Eppure tanta miseria interiore suscita compassione, a tanto livore corrisponde uguale tristezza.
Il fantasma della vittima calca le pagine, qua e là
si affaccia come da dietro le quinte e sembra sorridere mentre assiste allo “spettacolo”. Lei sì appagata, vera, limpida, con un solo rammarico: aver lasciato i propri amici, che ogni santo giorno l’aspettavano, saziandola di un amore totale. A questa donna renderà giustizia un’altra donna, che dalla vita,
tutto sommato, non ha avuto granché, ma, contrariamente ai sospettati, ha saputo capitalizzare una vita
normale, quasi banale: ordinaria. Donna caparbia e
intelligente, non bella, dunque due volte penalizzata da una società costruita su luoghi tanto comuni da
declinare nel becerume. A questa piccola donna toccherà un ruolo scomodo: sarà il trait d’union tra l’abisso e la risalita, tra il buio dell’indifferenza e la luce
della verità. Una verità amara più del fiele: i veri colpevoli rimarranno comunque impuniti. Le vittime, alla fine, saranno tre: una donna buona, un ragazzo fragile, una madre sola. Vittime dell’ignoranza, del fanatismo, vittime di altre vittime, in un gioco crudele.
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Brava, l’autrice, che ha saputo trasmettere con
brevi e incisive pennellate gli stati d’animo dei protagonisti, regalando sensibilità e intensità alle sue
donne, gettando al contempo uno sguardo lucido e
disincantato sulle coscienze assopite, sulla bruttezza del “quieto vivere”.
E all’inizio mi piace tornare, in conclusione: a
quella dedica commovente per tre esseri che la follia umana (certamente meno edulcorata rispetto alla
finzione romanzata) ha spento. E con Rocco, Bobbi,
Shira e tutti gli altri, ha spento sorrisi, giochi, lacrime, gioia. Ha ucciso l’innocenza. E questo è reale,
terribilmente, definitivamente reale…
P.S. Siamo certi che, da qualche parte, i nostri amici stiano ancora “sussultando di soddisfazione”, che
“qualcuno” stia donando loro “quella dolce ricompensa”…
“CHI SA SE LO SPIRITO DELL’UOMO SALGA IN ALTO, E QUELLO DELLE BESTIE SCENDA GIÙ SOTTO TERRA?” ECCLESIASTE 3.21
Angela Malvina L’Episcopo
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Prologo
La donna che di lì a poco sarebbe morta uscì circospetta dal portone e si guardò intorno.
Alle sue spalle l’atrio del palazzo era immerso nel
buio perché, scendendo le scale, aveva preferito non
accendere la luce.
Esitò prima di avviarsi verso il marciapiede di
fronte, quasi percependo di essere osservata.
Camminava veloce e determinata a portare a termine il suo misfatto, dare da mangiare a tre poveri
cani randagi che, avversati da tutto il quartiere, si ostinavano a vagabondare per quei paraggi, desiderosi,
più che di cibo, di qualche fuggevole dimostrazione
d’affetto.
Faceva freddo e la donna, che aveva indossato un
pesante cappotto color panna, sembrava stagliarsi come un fantasma contro l’oscurità. Salì sul marciapiede allontanandosi dalla luce del lampione ma, nonostante il buio e le ombre, le sue azioni non potevano
essere fraintese.
Appoggiò una busta di plastica per terra e si mise
a riempire ciotole e piattini. Poi girò sui tacchi e si
avviò verso la direzione da cui era venuta.
Fece appena in tempo a vedere una grossa pietra
brandita sul suo capo. Dopo il secondo colpo non vide più nulla.
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Il cadavere
Alle otto in punto, mentre si stava preparando per
recarsi in ufficio come ogni mattino, il commissario
ricevette una telefonata:
“Pronto, sono Bellavita, c’è stato un omicidio a
Miramonte. Hanno trovato il cadavere di una donna
in Via Baronessa di Carini, accanto ad un cassonetto della spazzatura. È stato un passante ad accorgersene pochi minuti fa, incuriosito dalla presenza di tre
cani che guaivano attorno a quella che a lui, in un
primo momento, era sembrata una coperta arrotolata”.
“Chi è di guardia adesso sul posto?”.
“Abbiamo mandato due agenti, il medico legale
li sta raggiungendo”.
Arrivata sul luogo del delitto, dato un primo sguardo alla figura stesa per terra, il commissario si avvicinò al tizio che aveva trovato il cadavere, allo scopo di ricevere ulteriori informazioni, ma il suo tentativo risultò vano. Si capiva subito che l’uomo era
in preda ad una crisi di nervi e riusciva a stento a
balbettare. Affondava le unghie nel polso dell’altra
mano, che teneva ancora il cellulare con cui aveva
chiamato il commissariato.
Intanto i tecnici della scientifica stavano sistemando
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i loro strumenti ed il medico legale, chino sulla morta, stava iniziando i primi accertamenti.
“Buongiorno commissario”.
“Buongiorno dottore, mi dice cosa è successo?”
“L’hanno ammazzata colpendola più volte alla testa, probabilmente con una grossa pietra, che però i
suoi uomini non sono ancora riusciti a trovare. Il decesso è avvenuto intorno alle 22.00 di ieri”.
“C’è stata colluttazione?”
“No, il colpo è stato sferrato all’improvviso, cogliendo di sorpresa la vittima”.
“Da dietro?”, chiese il commissario.
“No, le ha fracassato l’osso frontale. Poverina,
meritava una fine migliore di quella che ha fatto”.
“La conosceva?”
“Non molto bene” rispose il medico legale. “So
che era una maestra in pensione, una persona per bene, e abitava da sola in un appartamento del condominio qui di fronte”.
Il commissario volse lo sguardo verso la palazzina, nella quale regnava una apparante tranquillità.
Evidentemente gli inquilini non erano tipi da appostarsi dietro le finestre solo perché una donna era stata uccisa sotto casa.
“Dottore si è fatto un’idea?”
“Proprio no. E poi ha forse dimenticato che questo è compito suo?!”
Rientrata nel suo ufficio, e dopo aver tamburellato
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per un buon quarto d’ora con la penna sul ripiano
della sua scrivania, il commissario chiamò l’agente
Conti.
Osvaldo Conti era un vero segugio, capace di scoprire i segreti più reconditi di ogni abitante di Miramonte; ne sapeva più lui che tutti i padri confessori
della diocesi miramontese messi insieme.
“Voglio sapere tutto della vittima. Sarà stata anche una persona per bene e gentile, ma qualcuno doveva avercela con lei, tanto è vero che l’hanno ammazzata. Voglio anche una corretta e completa analisi della scena del delitto ed anche un sopralluogo
nell’appartamento della morta”.
“E poi” – continuò il commissario parlando tra sé
e sé – “Cercherò di scoprire perché le hanno riservato un trattamento così speciale”.
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Il commissario
Aveva fissato talmente a lungo la foto del Presidente della Repubblica che gli occhi le erano diventati per qualche istante strabici.
Il Presidente, che ogni giorno la spiava dall’alto
mentre lei rimaneva seduta cercando perennemente
carte tra il disordine della sua scrivania, le aveva ricordato la cerimonia del 158° anniversario della fondazione della polizia.
Questo ricordo le aveva lasciato un sottile sorriso sulle labbra.
A Roma il 14 maggio faceva caldo ma lei, senza
smentirsi, aveva indossato il suo tailleur blu di Armani. Al passaggio di quelle divise, che lei osservava da un angolino che due giovanotti le avevano riservato per cortesia, a ridosso delle barriere di metallo e non lontano dal palco d’onore, aveva riso talmente tanto che sospettava di aver attirato l’attenzione della gente vicina più della sfilata.
Pensava a se stessa, alta poco più di un metro e
cinquanta, sfilare con quelle graziose signorine in
gonnella, con quella divisa che non aveva più indossato da quando era diventata commissario.
Doveva sempre accorciare la gonna e il baschetto
evidenziava ancor più la sua goffaggine, facendola
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