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SOMMARIO
2011;28 (3)
3
Direttore Responsabile
Maria Benetton
Comitato Editoriale
Giovanni Becattini
Gianfranco Cecinati
Antonella D’Errico
Elio Drigo
Gian Domenico Giusti
Paola Marchino
Fabrizio Moggia
Gaetano Romigi
Silvia Scelsi
4
7
Comitato di Redazione
Giovanni Becattini
Elio Drigo
Gian Domenico Giusti
14
Segreteria di Redazione
Donatella Pirozzo
Tariffe
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€ 30,00
(comprensiva dell’abbonamento
annuale alla rivista Scenario)
Abbonamento a Scenario
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€ 65,00
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Via Val di Sieve, 32 - 50127 Firenze
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Lavori, lettere, suggerimenti, commenti,
proposte, interventi in genere e fotografie vanno inviati a Donatella Pirozzo,
segretaria di redazione
c/o Ufficio soci ANIARTI
Via Val di Sieve, 32 - 50127 Firenze
Tel. 055/434677 - Fax 055/435700
Cell. 340/4045367
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Progetto Grafico copertina:
Vittorio Casebasse
L’ANIARTI Associazione Nazionale Infermieri di
Area Critica è membro fondatore dell’efCCNa
BERLINO 1999
EfCCNa European Federation of Critical Care Nursing
association
20
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SCENARIO® è indicizzato su CINAHL
(Cumulative Index to Nursing and Allied
Health Literature)
in EBSCO HOST
Un nuovo traguardo per la diffusione
della cultura infermieristica
Stampa: Tipografia San Marco
Via Della Treccia, 14 - 50145 Firenze
Numero chiuso il giorno
1 Settembre 2011
(1 copia € 3,50 per soli Soci)
26
31
Questo periodico è associato
alla Unione Stampa
Periodica Italiana
36
EDITORIALE
30’ANNI DI ANIARTI
E CONGRESSO 2011:
UN FILO ROSSO IN 5 PUNTI
30° Aniarti’s years and Congress
2011: a five-point red thread
Il Comitato Direttivo
L’INFERMIERE E LA CLINICA:
LIMITE O RESPONSABILITÀ?
The nurse and the clinical practice: limit or responsibility?
di Elio Drigo
ASSISTENZA INFERMIERISTICA
TRA “HIGH CARE” E “LOW
CARE”: MODELLI PER UNA
POSSIBILE INTEGRAZIONE
Nursing assistance between
“High Care” and “Low Care”:
models for a possible integration
di Rosalba Gallo, Caterina Galletti,
Maria Luisa Rega
ANALISI E COMPARAZIONE
TRA IL MODELLO DI EMERGENZA EXTRAOSPEDALIERA
ITALIANO ED ANGLOSASSONE. ORGANIZZAZIONE,
FORMAZIONE E RUOLO
INFERMIERISTICO
Analysis and comparison
between the italian and anglosaxon model of emergencyhospital. Organization, training
and the role of nursing
di Susanna Maria Petracca,
Paola Graciotti, Paola Massei,
Maurizio Mercuri
CONFRONTO TRA CPAP CON
CASCO E CON MASCHERA
NELL’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA IN ETÀ PEDIATRICA: STUDIO OSSERVAZIONALE
Comparison with helmet and
mask CPAP in acute respiratory
failure in paediatric age: a observational study.
di Mario Madeo, Marta Guerrini,
Chiara Polano
STRUMENTI DI MISURA, VALIDITÀ E AFFIDABILITÀ: GUIDA
MINIMA ALLA VALUTAZIONE
CRITICA DELLE SCALE
Measuring tools, validity and
reliability: guide to the minimum
critical evaluation of the measurement instrument
di Alvisa Palese
MORTE E MORIRE: LE EMOZIONI VISSUTE DAGLI INFERMIERI
IN PRONTO SOCCORSO
Death and dying: the nurses’
emotions in Accident and
Emergency
di Elsa Labelli, Laura Bertossi,
Cristiano Cortello
CONSIGLIO DIRETTIVO
E NAZIONALE ANIARTI
2
2011;28 (3): 2
Istruzioni per le proposte di Pubblicazioni
SCENARIO è la rivista ufficiale di Aniarti (Associazione
Nazionale Infermieri di Area Critica); il suo scopo è quello di
dare impulso alla crescita del sapere infermieristico, in modo particolare alle tematiche inerenti l’Area Critica.
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Comunicazione (relazione a congressi e/o poster)
Editoriale (parere su una tematica e riflessione o analisi)
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EDITORIALE
3
2011;28 (3): 3
30’anni di Aniarti e Congresso 2011:
un filo rosso in 5 punti
30° Aniarti’s years and Congress 2011: a five-point red thread
L
’infermieristica in Italia ha avuto un
grande sviluppo, diventato quasi
tumultuoso negli ultimi anni, con
riforme formative, organizzative e
culturali. Aniarti si è sempre trovata
al fianco della professione cercando
di essere da stimolo per tutte le varie
generazioni di infermieri che in questi anni si
sono riconosciuti nella sua filosofia, in questo
editoriale cerchiamo di tracciare ancora quale
è la strada da percorrere per crescere ancora.
1. La celebrazione dei 30’anni di vita
dell’Aniarti coincide con una fase di particolare criticità della vita non solo del
Paese, ma del mondo intero. Dopo il secolo breve, si presenta una crisi che si manifesta come economico-finanziaria, ma ha
radici ed avrà esiti certamente più estesi ed
influenzerà i modi di essere società ed i
rapporti fra i singoli cittadini, i popoli e gli
stati. Il problema maggiormente incidente
sembra essere il soverchiante condizionamento delle forze economiche – ma
soprattutto finanziarie – sulla politica, sull’autodeterminazione dei popoli. Questo
dovuto al fatto che, mentre i movimenti
delle risorse finanziarie sono stati (ormai
20 anni fa, proprio da decisioni della politica illusorie o probabilmente astute di
alcuni) rese libere di muoversi in modo
globale, le scelte politiche sono rimaste
sostanzialmente legate alle singole nazioni, che non trovano l’intelligenza e la forza
di darsi e di porre, almeno alcune regole
che garantiscano una strada verso l’equità
fra gli uomini. Almeno l’equità, infatti,
dovrebbe essere valore indiscutibile universalmente condiviso. Altra anomalia
intollerabile inoltre, sta nel fatto che
pochissimi sono favoriti a continuare ad
accumulare ricchezze spropositate, nell’evidente illusione che questo stimoli la
creazione di benessere per tutti, e viene
supinamente accettata l’assurda liceità per
i detentori di tali ricchezze di contribuire
in misura irrisoria al bene comune quando
non contribuire affatto.
2. L’Aniarti nel proprio ambito di competenza, si è sempre spesa sostanzialmente, per
un’idea di equità applicata a tutti, assistiti,
operatori, strutture. L’Associazione ha promosso una cultura di ottimali forme di assistenza infermieristica, un sistema per la
salute razionale e che valorizzasse tutte le
risorse disponibili (mezzi e competenze) in
un’ottica di obiettivi di salute da perseguire e non di rendite di posizione dei professionisti da consolidare o conquistare. Una
scelta guidata dalla fedeltà all’idea che un
professionista – qualunque professionista,
dunque anche l’infermiere - può essere e
concepirsi tale esclusivamente se opera
per il beneficio di qualunque persona (e
società) verso la quale è necessario mettere a frutto il massimo delle competenze
sviluppate nell’evoluzione della conoscenza. In questa ottica l’associazione ha dato
risposta. Un esempio fra gli altri, con la
concettualizzazione dell’area critica, elaborata e diffusa da Aniarti, in cui l’idea di
integrazione di conoscenze e competenze,
di mezzi e strutture diverse fra loro, si concentrano con l’obiettivo unitario di garantire il miglior livello del servizio per la salute a qualunque persona, ovunque si trovi,
in situazione di criticità vitale. La persona,
davvero al centro delle attenzioni dei professionisti, non più inseriti in organizzazioni autocratiche ed autoreferenziali come
per molto tempo abbiamo visto. Primazie
gerarchiche e aprioristiche appaiono ferri
vecchi… Con lo stesso spirito si sono realizzate anche tutte le iniziative dell’associazione in questi 30’anni.
3. Ora, con il 30° Congresso nazionale
vogliamo esaminare e dire la nostra sul
tema della situazione economica, diventato critico per tutti e che rischia di intaccare pesantemente anche l’area critica e dunque la garanzia dell’equità che va invece
preservata, pena lo scadimento della convivenza civile. Come cittadini-infermieri,
siamo immersi e coinvolti nel reale del
mondo, condizionati dai fenomeni, ma
siamo anche, inevitabilmente, protagonisti
della loro trasformazione. Vogliamo riflettere per riportare l’idea di economia alla
sua essenza nobile, ricca e aderente alla
realtà delle vite, non snaturata e ridotta a
finzione come ha fatto la finanza.
Vogliamo attribuire il valore giusto, non
mitico, alle tecnologie, alle possibilità sempre più avanzate, alla visione efficientista,
per recuperare il valore della consapevolezza. Vogliamo indicare come sia necessario vedere l’assistere, non solo come uso
di energie e risorse, ma in quanto investimento che produce evoluzione positiva
della qualità della vita dei singoli e delle
comunità; un forte indicatore di concretezza delle situazioni di vita e di responsabilità sugli aspetti fondamentali. Assistenza
come investimento con effetti misurabili
anche economicamente. Il programma del
Congresso Nazionale, oltre al contributo di
esperti in campo economico, è stato
costruito con le moltissime proposte infermieristiche coraggiose e lungimiranti che
ci sono pervenute dall’area critica, che qui
hanno la possibilità di divulgare il proprio
sapere nuovo per una migliore salute ed
un’assistenza possibile.
4. Il Congresso prevede anche una ricca serie
di 7 eventi formativi accreditati ECM, su
temi o metodologie operative specifici, a
cui i partecipanti potranno iscriversi per
approfondire le proprie conoscenze ed i
propri percorsi professionali. Ci sarà uno di
questi eventi che affronterà un altro argomento caldo e che rischia di diventare esso
stesso critico, se vissuto e gestito in modo
non equilibrato: i rapporti fra le professioni, particolarmente quella medica ed infermieristica, e fra le rispettive competenze in
una realtà in fortissima e costante mutazione. In collaborazione con la Federazione
Nazionale dei Collegi IPASVI, esamineremo la situazione sull’evoluzione delle
competenze, sull’integrazione di conoscenze e competenze, delle relazioni e dei
nuovi ruoli delle professioni quando riconoscono il valore reciproco ed abbattono
steccati ormai grotteschi di fronte alla storia. L’integrazione e la collaborazione, non
la competizione, sono il moltiplicatore
delle potenzialità di progetti complessi.
5. L’Aniarti si impegna, in occasione del proprio 30° Congresso ed anniversario di fondazione, a riproporre con forza un messaggio che, a partire dagli infermieri, possa
contribuire a ripensare una società che
recupera la destinazione delle proprie
energie ed intelligenze per destinarle a
priorità che impattano sulla vita e la sofferenza; una società che decide di smascherare invece le finte priorità indotte dall’omologazione al ribasso. Gli infermieri sono
i più sensibili ai problemi veri: li vivono
sempre in prima persona. Vogliamo fare in
modo che l’economia che produciamo si
occupi della salute, ne scopra le potenzialità di produzione di benessere e questa
consapevolezza provochi una svolta nelle
scelte collettive di civiltà. Vorremmo uscire pubblicamente con un documento ufficiale su questi temi con una nostra posizione. Un documento che ci impegni
come Associazione e professione,
alla cui costruzione e poi applicazione nel quotidiano, tutti
sono invitati a contribuire.
Il lavoro non ci manca. E
dobbiamo darci un
segnale di inversione
positiva di rotta.
Il Comitato Direttivo
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2011;28 (3): 4-6
L’infermiere e la clinica: limite o responsabilità?
The nurse and the clinical practice: limit or responsibility?
Elio Drigo, Componente Comitato Direttivo Aniarti
Riassunto
La responsabilità clinica dell’infermiere si sta profilando come un fattore di criticità nei rapporti con la professione medica. Le ragioni vanno cercate soprattutto nella profondità e rapidità dell’evoluzione delle conoscenze disponibili, nella diffusione delle competenze necessarie allo svolgimento razionale delle attività connesse alla protezione della salute e negli indispensabili adeguamenti dell’organizzazione del sistema sanitario e dunque degli operatori.
L’articolo espone alcuni argomenti a supporto della competenza clinica anche dell’infermiere ed alcune proposte metodologiche per il superamento dell’idea di responsabilità clinica esclusiva e per la concezione di una responsabilità condivisa derivante da quelle competenze che di
fatto, sono condivise. Viene anche indicata la necessità di un’impostazione di relazioni interprofessionali basate sull’integrazione piuttosto che
su una insostenibile gerarchia delle professioni.
Parole chiave: Infermiere, Responsabilità Clinica, Competenza Clinica, Relazione Interprofessionale
Abstract
The clinical responsibility of the nurse is becoming a critical factor in the relationships with the medical profession. The reasons have to be found
mostly in the deep and rapid evolution of the available knowledge, in the diffusion of the competences needed for the rationale activities connected with the health protection and the indispensable adjustments of the organisation of the health system and thus, of the health professionals.
The article presents some arguments supporting the clinical competence also for the nurse and some methodological proposals in order to overcome the idea of the clinical responsibility as exclusive and for a conception of a shared responsibility as a result from those competencies that
are shared in the daily practice. It is also shown the need for interprofessional relationships based on the integration instead of on an untenable
hierarchy of the professions.
Key words: Nurse, Clinical Responsibility, Clinical Competence, Interprofessional Relationship
P
EDITORIALE
Pervenuto il 22/06/2011
Accettato il 09/07/2011
L’AUTORI
DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO
DI INTERESSI.
CORRISPONDENZA PER RICHIESTE
ELIO DRIGO, [email protected]
erché parlare di responsabilità clinica dell’infermiere? Forse perché la clinica
è competenza specifica
dell’infermiere di area critica? Per una riaffermazione di posizioni nello scacchiere della gerarchia delle professioni?
Per nessuna di queste due ragioni. La
competenza clinica non è specifica dell’infermiere, anche se è parte essenziale
della sua professionalità. La competenza dell’infermiere si colloca molto di
più nella sfera delle relazioni con la persona e gli operatori, visto che deve
garantire l’assistenza e quindi il miglior
risultato complessivo delle cure.
Gli infermieri usano dire che l’assistenza consente di garantire l’espletarsi di
tutte le altre competenze: diagnosi e
terapia comprese. Non si discute sul
fatto che la porzione clinica della competenza debba essere elevata, in evoluzione e pertanto richiede una costante,
equilibrata ricollocazione nel sistema.
La clinica rimane relativamente specifica per l’infermiere.
Questa ricollocazione diventa urgente
da definire, sia per una omogeneità e
chiarezza di pensiero della professione
e sia, dobbiamo dirlo con realismo e
serenità, per l’incomprensibile resistenza a questa evoluzione, che registriamo
nella compagine medica del sistema.
Dirimere la questione non è certo semplice: sono in gioco fattori culturali,
sociali, conseguenze organizzative,
visioni antropologiche e concezioni
della medicina e del servizio per la salute. Inoltre, una disponibilità a trasformazioni radicali di strutture e ruoli, che
fino a qualche anno fa erano rigidi ed
erano stati assunti come inamovibili.
Anche da qui la fatica che si registra,
anche da parte nostra di infermieri, che
dobbiamo rielaborare e convertire
modelli cui siamo stati educati.
Per quanto riguarda la seconda ragione
che escludiamo, pare fuori luogo continuare a ragionare in termini di gerarchia
delle professioni.
Le organizzazioni stanno andando in
un’altra direzione. È la complessità dei
problemi affrontati a guidare i sistemi e
le modalità organizzative finalizzate
alla soluzione più ragionevole.
Continuare a difendere l’esclusività su
porzioni di attività ci sembra un discorso da tempo superato dai fatti.
2011;28 (3): 4-6
Intendiamo guardare oltre; al futuro già
cominciato. Nessuna rivendicazione,
ma una puntualizzazione, oggi, sullo
stato della professionalità dell’infermiere. Questo si. Con chiarezza e la giusta
determinazione.
Il nostro obiettivo è affrontare questa
criticità, analizzarla, valutare la realtà,
chiarire le zone d’ombra e proporre percorsi nuovi di riflessione, di elaborazione, di sperimentazione, di pratica.
Sta diventando cruciale questo tema,
perché si stanno acuendo situazioni
finora latenti di scarsa chiarezza sulle
competenze e a fronte di una costanza
di difficoltà nell’affrontare situazioni
complesse.
Il superamento di questa criticità di oggi
nel sistema sanitario e delle professioni,
consentirebbe di sbloccare energie e
competenze importanti e convertire
intere strutture e sistemi a finalità che
riescano ad essere all’altezza delle
richieste avanzate di cittadini di un
mondo molto cambiato e cambiato
molto rapidamente.
Abbiamo visto e dichiarato, noi infermieri di Aniarti, perché oggi, nel nostro
mondo ipertecnologico, è essenziale
richiamare tutti, operatori, agenti culturali, politici, cittadini, alla concretezza
ed alla indispensabilità dell’assistenza
per la comunità. Dobbiamo ridefinire il
ruolo dell’infermiere in questa questione critica, vista la fatica che fa ad affermarsi. L’infermiere e la clinica: dove si
collochi il limite ed in che cosa consista
la responsabilità.
Sono necessarie delle riflessioni sulle
risorse, sulla crucialità del ruolo che
queste giocano anche per la salute e per
la vita delle persone soprattutto se guardiamo a livello planetario, ci saranno
stimolazioni anche sulla figura del cittadino esigente.
Ci siamo posti alcuni interrogativi, tentando di dare degli spunti per riflessioni
e per proposte che possano trovare concretezza nel prossimo futuro.
Nell’evoluzione della medicina, è ancora sostenibile una esclusività del medico
sulla competenza e sulla responsabilità
per gli aspetti clinici anche del “prendersi cura” o è più ragionevole - considerata l’estensione degli interventi
necessari per risolvere problemi di salute e di situazioni personali sempre più
complesse - praticare una responsabilità, almeno in parte, diffusa fra più professionisti?
L’approccio e la gestione dei problemi
di salute, considerato il livello di complessità e la loro collocazione nei sistemi attuali, richiedono conoscenze,
competenze, energie e risorse non
disponibili all’interno di una sola professione. È chiaro che la medicina oggi
ha la possibilità, ed è anche costretta, ad
affrontare processi diagnostici e terapeutici in espansione in tutte le direzioni. È la capofila di questi percorsi e ne
ha la responsabilità.
Tali percorsi muovono però sistemi estesi. Ma la medicina non è l’unico agente
in campo: sempre di più il ricorso ai
trattamenti medici è subordinato dal
livello di consapevolezza delle persone.
Molte altre attività, sono indispensabili
affinché un processo diagnostico e terapeutico possa rimanere rispondente ai
propri fini. Tra queste, quella assistenziale risulta la più diffusa e trasversale a
qualunque ambito dei servizi per la
salute. In questo senso e solo in questo
senso, l’assistenza diventa “complementare” all’attività medica. Ma le
responsabilità dell’ambito assistenziale
sono legate al referente dell’assistenza:
l’infermiere. Non devono né possono
essere ritenute dipendenti dalle decisioni di un professionista di “altro”.
Ciascuna delle attività non può essere
isolata, ma deve contenere gli elementi
di conoscenza e competenza necessari/sufficienti a costruire e garantire una
buona integrazione: uno di questi elementi per l’infermiere è la competenza
clinica, certo a minore livello di intensità rispetto al medico.
All’interno di una tale complessità, è
insostenibile che anche sugli stessi
aspetti clinici la responsabilità sia attribuita in maniera esclusiva al medico.
Nella definizione delle rispettive competenze fra i vari professionisti, la specifica responsabilità può essere identificata in maniera netta e/o sulla base di una
serie di “atti” esclusivi o è più oggettivo
identificare delle aree di competenza
che fondino la propria legittimità sugli
ambiti specifici di professionalità?
Ritornare agli “atti esclusivi” per ciascuna professione suona, sinceramente,
come una marcia indietro della storia.
Ma constatiamo che di fronte alla sfida
della complessità e dell’inevitabile (e
5
con tutta evidenza, vantaggiosa) integrazione a tutti i livelli, la risposta è la
chiusura a riccio ed il ripiego sulla illusoria separazione e semplificazione.
Di fronte ad obiettivi di salute spesso
avanzati e dai risultati incerti, le risposte
risiedono nel mix di competenze che
cooperano senza cercare, come primo
obiettivo, le primazie.
Le competenze sono caratterizzate da
una costante evoluzione e pertanto non
sono e non possono essere definite in
maniera secca e definitiva. È molto più
ragionevole definire delle aree di competenza di determinate professioni,
all’interno delle quali, in base ai diversi
livelli di complessità delle situazioni e
delle attività da mettere in atto, le professioni affini possono muoversi in
accordo ed integrazione finalizzata.
Alcune posizioni ufficiali delle rappresentanze mediche, sono particolarmente rigide su questo versante dell’esclusività delle competenze. L’impressione
chiarissima è che vi sia la paura a rimettere in discussione certezze consolidate,
ma non più funzionali a rispondere alle
esigenze sanitarie attuali, bensì a difendere privilegi di altra natura.
L’Unione Europea dei Medici Specialisti
(UEMS) ha pubblicato un documento
che contiene la “Definizione europea di
Atto Medico”. Questa definizione, adottata per la prima volta nel 2005, è stata
in seguito emendata nel 2006 ed infine
nel meeting di Bruxelles del 25 aprile
2010. Questa la versione attualmente
approvata:
“l’atto medico ricomprende tutte le attività professionali, ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica, svolte al
fine di promuovere la salute, prevenire
le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei
confronti di pazienti, individui, gruppi o
comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. L’atto medico è
una responsabilità del medico abilitato
e deve essere eseguito dal medico o
sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione”.
… dunque, qualcun altro può eseguire
l’atto medico… in certe situazioni. Allora,
la “supervisione” cos’è se non la volontà
del mantenimento dell’esclusività?
La “delega” implica che il delegato possieda le stesse competenze del delegante e, in quanto tale, al delegato è solo
trasferito un mandato.
2011;28 (3): 4-6
Se l’“atto” deve essere “medico”, o lo fa
il “medico” o non si fa. E allora, certe
attività fatte senza alcuna conseguenza
pericolosa, anzi…, da “non-medici” e
reclamate come “atto medico”, evenienze oggi all’ordine del giorno, come
si risolvono?
La strada, ragionevolmente, sembra
chiusa. Oppure si cambia questa impostazione rigida.
Si può pensare l’ambito della responsabilità sul versante clinico di professionisti diversi, in termini di area di esercizio
della libertà attiva, con la garanzia (in
relazione alle aree di competenza specifica di altre professioni) della salvaguardia delle decisioni caratterizzate
dalla complessità specifica di campo?
La responsabilità è necessariamente
legata alla libertà.
Anche nel campo delle attività finalizzate al recupero o alla protezione della
salute è necessario applicare il concetto
e la pratica della libertà. Naturalmente,
non si tratta di “licenza” a qualunque
livello. Certo la libertà è legata alla
responsabilità e dunque all’esercizio ed
allo sviluppo delle proprie competenze.
Il criterio guida deve essere il perseguimento del bene desiderato dalla persona assistita e dalla comunità significativa e generale. L’esercizio di una tale
libertà risulta pertanto non un essere
svincolati da doveri, ma un impegno a
far avanzare le conoscenze e le competenze. Un impegno immanente ed inesauribile di ciascun professionista, che
lo vincola eticamente ad un modo univoco di interpretare il proprio lavoro.
Questa dovrebbe essere la garanzia dell’esercizio della libertà nella responsabilità verso tutti.
Come definire le situazioni caratterizzate dalla “complessità” specifica di
campo, per ciascuna professionalità?
A partire dagli ambiti di competenza
(diagnosi e terapia per il medico; prendersi cura per l’infermiere; riabilitare
per il fisioterapista; ecc…), vengono
identificate quelle situazioni che richiedono degli interventi per la cui attuazione sono necessarie conoscenze, abilità
e attitudini acquisibili tramite specifica
formazione ed esperienza.
Le situazioni caratterizzate dalla “complessità” specifica verranno reciprocamente riconosciute tali da tutti i professionisti di volta in volta coinvolti.
Questo riconosce sia la personalizzazione della cura e dell’assistenza ed
anche la professionalità soggettiva dei
singoli professionisti e dell’équipe.
Dovrebbe essere il massimo del riconoscimento, certamente difficile da attuare, perché implica una costante rielaborazione ed adattamento delle interazioni nel gruppo, ma sarebbe anche la
massima espressione dell’integrazione.
Rimangono da definire – e qui la discussione è aperta – le modalità concrete per
darsi strumenti operativi applicabili per
gestire queste modalità.
Le situazioni di complessità specifica,
possono essere convenzionalmente
definite a partire dalle aree di competenza specifica. Nelle situazioni di particolare complessità, quando si prevedono possibili sovrapposizioni di competenze e possibili conflittualità, si adotta il metodo della concertazione.
Ciascun professionista dichiara e concorda di volta in volta con gli altri, il
livello di complessità di determinate
situazioni e/o degli interventi clinicoassistenziali: diagnosi e cura e prendersi cura.
Stabiliti i punti di scarsa chiarezza clinico-assistenziale, ed i livelli di specifica
complessità di campo, si stabiliscono le
responsabilità ed i livelli di reciproca
collaborazione. Questo dovrebbe esplicitare con relativo anticipo i risultati che
si intendono/possono raggiungere, gli
ambiti di intervento, di possibile sovrapposizione accettata. Si potrà, poi, riesaminare lo svolgimento dei fatti per eventuali chiarimenti e/o considerare le evoluzioni complessive in atto.
L’infermiere, nel contesto di un servizio
e di un sistema per la salute radicalmente modificato rispetto anche al recente
passato ed in continua evoluzione, può
“prendersi cura” delle persone rispondendo alle esigenze espresse sia dalle
persone sia dal sistema, senza una competenza e dunque una responsabilità
anche clinica, ancorché non sempre di
livello complesso?
Considerata l’oggettiva impossibilità di
risolvere i problemi di salute complessi
con interventi e decisioni monoprofessionali, nei rapporti tra le professioni è
ipotizzabile una transizione sistematica
dalla conflittualità alla corresponsabilità, almeno progettuale o come tavolo
di riflessione?
Vista la complessità e l’impraticabilità,
6
per definizione, della predominanza di
una professione sulle altre (altra cosa è
la definizione delle priorità degli interventi sulla base dei problemi clinici
della singola persona!), vista la estensione delle competenze specifiche, viste le
esigenze (di varia natura – non solo clinica) espresse dalle persone è necessario superare definitivamente il modello
gerarchico per la soluzione dei problemi clinico-assistenziali ed adottare sistematicamente modalità relazionali tra le
diverse professioni che accettino oltre
che la responsabilità personale, anche
la corresponsabilità sugli interventi considerati nella loro completezza.
La conflittualità deve essere “bandita” e
quindi evitata con ogni mezzo, per riuscire ad orientarsi sulle sinergie, per evitare la dispersione di risorse e per ottenere invece il potenziamento delle
competenze e dei risultati.
7
2011;28 (3): 7-13
Assistenza infermieristica tra “High Care” e “Low
Care”: modelli per una possibile integrazione.
Nursing assistance between “High Care” and “Low Care”: models for a possible integration
Rosalba Gallo, Infermiere, Master in Infermieristica di Area critica, Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Università Cattolica del S. Cuore, Roma
Caterina Galletti, Coordinatore Didattico, Corso di Laurea specialistica in Scienze infermieristiche e ostetriche, Prof. a contratto, Università Cattolica del S. Cuore, Roma
Maria Luisa Rega, Infermiere Coordinatore, Corso di Laurea specialistica in Scienze infermieristiche e ostetriche, Università Cattolica del S. Cuore, Roma
Riassunto
Introduzione: nel corso degli ultimi quindici anni è avvenuto un importante mutamento circa i bisogni assistenziali del cittadino. In tale contesto il ruolo dell’ospedale si è modificato tanto da affidare alla realtà territoriale parte di quell’attività assistenziale che un tempo era ad esso deputata.
Problema: oggi, in un’ottica di programmazione dei sistemi sanitari, occorre coniugare tali cambiamenti con la sostenibilità complessiva del sistema. A tal proposito, uno degli impegni prioritari dei servizi sanitari è la ricerca di sempre migliori soluzioni per incrementare l’appropriatezza,
l’efficacia, l’efficienza degli interventi nonché la partecipazione del cittadino.
Discussione: il presente lavoro vuole testimoniare come sia possibile leggere in modo critico e costruttivo situazioni assistenziali che sembrano
immutabili nel tempo e introdurre modelli organizzativi innovativi capaci di coniugare i nuovi bisogni di salute della persona all’evoluzione del
sapere professionale e alle esigenze di sostenibilità del sistema sanitario. Attraverso una ricerca bibliografica sono proposti i risultati di esperienze condotte in alcune regioni italiane.
Conclusioni: il modello organizzativo della continuità assistenziale è in grado di agevolare la presa in carico dei pazienti ricoverati nei reparti
per acuti e condurli verso il sistema del post acuzie. L’obiettivo di integrare le due diverse aree del percorso sanitario (high care e low care) viene
raggiunto attraverso la definizione di un progetto di cura personalizzato affidato a un’équipe multiprofessionale nella quale le diverse competenze si integrano. In sintesi, l’assistenza primaria (primary care) in quanto sistema articolato di professionalità singole o organizzate in unità operative e servizi, tra loro autonomi ma in rete, rappresenta la risposta più adeguata ai complessi bisogni di salute, per garantire integrazione, personalizzazione dei percorsi e attenzione per la qualità della vita in tutte le sue fasi.
Parole chiave: Continuità Assistenziale, High Care-Low Care, Intensità di Cure, Dimissione Protetta, Casa della Salute, Case Manager
Abstract
Introduction: in the course of last 15 years an important change occurred concerning the citizen’s health needs. In this context the role of hospital has changed so much as it has assigned to the territorial reality part of that health care activity which one time was assigned to it.
Purpose: today, from the viewpoint of health systems programming, it’s necessary combine these changes with the overall sustainability of the
System. Concerning this, one of health services prior commitments is the research of better and better solutions to increase pertinence, effectiveness, efficiency of interventions, as well as citizen participation.
Discussion: the present work, presenting the experience of some organizational realities, wants to prove that is possible to read in a critical and
constructive way health care situations which seem unchanging in the time, and to introduce innovative organizational models capable to combine the new health needs of the person with the evolution of professional knowledge and the demand of health service. Through a bibliographic
research and the literature review, the results of researches conducted in some Italian regions are proposed.
Conclusions: the organizational model of welfare continuity is able to facilitate the taking charge of the hospitalized patients’ care in acute wards
and to lead them to the system of post-exacerbations. The aim of integrating two different areas of the health path (high care and low care) is reached through the definition of a personalized care project assigned to a multiprofessional team in which the different competencies integrate.
Briefly, the primary care as an articulate system of individual or organized (in operative units and services, independents between them but in a
network) professionalism, represents the more appropriate answer to the complex health problems, to guarantee the integration, personalization
of paths and attention for the quality of life in all of her phases.
Key words: Continuity of Care, High Care-Low Care, Intensive Care, Protected Discharge, Case Manager
Introduzione
REVISIONE
PERVENUTO 21/6/2011
ACCETTATO 11/8/2011
GLI
AUTORI DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO
DI INTERESSI.
CORRISPONDENZA PER RICHIESTE
ROSALBA GALLO, [email protected]
N
el corso degli ultimi
quindici anni siamo
stati spettatori ed attori
di una continua evoluzione dei bisogni assistenziali dei cittadini.
Tali bisogni socio-sanitari nascono da importanti mutamenti
del contesto nazionale che di seguito
vengono brevemente evidenziati.
1. Il processo d’invecchiamento, che
interessa ormai quasi tutte le popolazioni, è stato in Italia e soprattutto in
alcune regioni del Centro-Nord particolarmente rapido e marcato. Come è
noto, esso consiste nell’aumento
numerico o della quota della popolazione considerata anziana, di solito
definita come la popolazione che ha
superato il sessantacinquesimo compleanno, valutando l’aspetto econo-
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mico-lavorativo e lo stato di salute
degli individui. Considerato che la
popolazione con sessantacinque e
più anni di età è quella attualmente
più esposta al rischio di malattie gravi
ed invalidanti ed a quello di morte,
nella sfera sanitaria assistiamo ad un
aumento delle malattie cronico-degenerative cui si associano comorbosità
e relativa limitazione dell’autosufficienza, determinando anche un
aumento delle malattie a forte implicazione psico-sociale.
2. La trasformazione delle famiglie,
organizzate sempre meno in forma
nucleare o con permanenza al loro
interno di giovani in cerca di occupazione o con occupazioni precarie
e un ampliamento della cultura dei
diritti determinata dalla scolarizzazione di massa e dal benessere economico.
3. La progressiva diversificazione culturale dovuta a flussi immigratori in
entrata che riguardano l’intero territorio nazionale, con aumento della
popolazione. Gli indici esaminati evidenziano le tendenze emerse negli
anni precedenti confermando la positività del saldo migratorio grazie
soprattutto alla capacità attrattiva
delle regioni del Centro-Nord.1
In risposta ai mutati bisogni di salute
dei cittadini, le istituzioni erogatrici di
servizi sanitari stanno sviluppando un
approccio organizzativo caratterizzato
da innovazione scientifica ed aumento
delle tecnologie complesse, a cui si
affianca l’adeguamento clinico-organizzativo-gestionale, l’implementazione di Mission e Vision e modelli assistenziali di tipo globale e interdisciplinare. Di contro però i rilevanti vincoli
economici determinati dall’obbligo al
pareggio di bilancio e dalla limitazione
nella disponibilità finanziaria delle
regioni, rischiano di ostacolare le
caratteristiche peculiari di efficacia, di
appropriatezza e di efficienza delle
prestazioni erogate in applicazione dei
Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Per parlare di bisogno e risposta ai
bisogni è necessario quindi considerare tutte quelle situazioni, non legate ad
una singola condizione morbosa specifica ma che generano nella persona
uno stato di difficoltà nell’espletamento delle normali attività quotidiane o
nell’assicurargli un’esistenza dignitosa
e decorosa.2
Problema
Secondo il Ministro Fazio sebbene nel
SSN italiano, con un sistema complessivamente a bassa compartecipazione
di spesa, vi siano numerose punte di
eccellenza rispondenti ai bisogni sanitari dei cittadini, esso non viene percepito
dagli utenti come un sistema di qualità.
I punti critici sono legati alla difficoltà di
accesso ai servizi, che determinano
fenomeni di iper-afflusso ai Pronto
Soccorso, dalla complessità in termini
di efficacia e chiarezza dei percorsi per
l’attivazione della risposta assistenziale,
in particolare per quanto attiene ai servizi territoriali e alla gestione trasparente delle liste di attesa. Il perdurare in
alcune realtà della funzione centrale
dell’ospedale nella risposta assistenziale
e il conseguente maggior utilizzo inappropriato delle risorse in questo settore,
non ha consentito e non consente lo sviluppo dell’assistenza in ambito territoriale, luogo di riferimento prioritario per
la gestione dei quadri patologici cronico-degenerativi riferibili ad una fascia di
utenza in crescita. Lo scarso collegamento funzionale tra la risposta territoriale e quella ospedaliera, causa non
poche difficoltà per la gestione dei
pazienti cronici con multipatologia3.
La proposta di recenti ed innovativi
modelli assistenziali basati sulla continuità assistenziale e sull’intensità di
cure, nasce quindi dalle esigenze sopra
citate, a cui si affiancano la diffusione di
direttive legislative ed etiche adeguate
ai mutati bisogni sanitari dei cittadini.
Non a caso l’O.M.S. indica la continuità
assistenziale quale indicatore sensibile
del buon funzionamento dei sistemi
sanitari, per tal motivo occorre realizzare percorsi assistenziali integrati, caratterizzati da collegamento, coordinamento, comunicazione ed interdipendenza tra le organizzazioni ed i servizi
ospedalieri e la fitta rete di strutture e
servizi presenti sul territorio. 4
In questo lavoro verranno esaminati
alcuni modelli e strumenti la cui applicazione consente di supportare lo sviluppo di azioni coerenti per realizzare
operativamente la continuità assistenziale e lo sviluppo della primary care.
Questa ultima è il complesso delle attività e delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie dirette alla prevenzione, al trattamento delle malattie, degli incidenti
di più larga diffusione e di minore gravità e delle malattie e disabilità ad andamento cronico, quando non necessitano
di prestazioni specialistiche di particolare complessità clinica e tecnologica
che rimangono di competenza dell’ospedale.5
Il “Modello a chiocciola per la primary
care” (Figura 1) raffigura la modalità con
cui gli Autori del presente articolo
hanno voluto rappresentare il passaggio
da un sistema sanitario “ospedalo-centrico” a un sistema in cui le strutture
ospedaliere conservano le loro peculiarità di luoghi di cura per gli aspetti
intensivi e di acuzie ma, utilizzando
strumenti gestionali di “nuova generazione”, possono raccordarsi e avvalersi
di strutture assistenziali complementari
per tutto ciò che riguarda la prevenzione (secondaria e terziaria), la riabilitazione e l’assistenza nelle cronicità.
Figura 1. Modello a chiocciola per la
primary care
Il Modello proposto è composto da elementi tra loro interconnessi e che necessitano di modulazioni e rimodulazioni
continue in rapporto non gerarchico ma
funzionale e di gravità/appropriatezza
per dare risposte ai bisogni di salute dei
cittadini. Il Modello non è statico e il
consolidarsi di sperimentazioni organizzative consentirà di aggiungere nuove
“losanghe” alla chiocciola. Infatti, l’importante sfida che l’organizzazione del
servizio sanitario ha lanciato è conservare il nucleo primitivo dell’assistenza
ospedaliera passando da un luogo polifunzionale e generalista a un centro
high care in cui vi sia alta specializzazione ma anche integrazione con la
medicina del territorio.
Discussione
L’intensità: il caso delle “Aziende
Ospedaliere”
L’intensità di cure ha come idea centra-
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le quella di creare un valore aggiunto
eliminando gli sprechi, secondo i
moderni concetti di efficacia ed efficienza del management sanitario. Il
modello ospedaliero ad alta tecnologia
e per intensità di cure va ovviamente
inquadrato nello scenario attuale, per
garantire terapie complesse ed alte tecnologie in ambito ospedaliero, mentre
in altre strutture territoriali vanno potenziate diagnosi, prevenzione, controlli e
gestione di condizioni croniche. Appare
ovvio che uno dei presupposti per l’efficacia del nuovo modello è la creazione
di filtri territoriali che permettano di
adottare la soluzione più appropriata ai
bisogni del paziente evitando gli accessi impropri in ospedale.6, 7
Predisporre un’organizzazione per
intensità di cure, prevede la formulazione di schemi d’ammissione diversi da
quelli oggi esistenti nella maggior parte
degli ospedali. Generalmente, fatta
eccezione per i ricoveri programmati, il
primo accesso alla struttura sanitaria
avviene tramite il Pronto soccorso, che
diviene il vero e proprio filtro per stabilire l’intensità di cure e la complessità
assistenziale, fattori determinanti nella
scelta dell’U.O. di degenza più appropriata ai bisogni dell’utente.
Negli ospedali dove l’intensità di cura è
implementata, si distinguono tre livelli
di intensità in relazione alle caratteristiche tecnologiche presenti, quantità e
qualità delle competenze dell’équipe
multidisciplinare:
- alta intensità (high care), comprendente rianimazione e le terapie intensive;
- media intensità rappresentata da
UU.OO. con ricoveri ordinari, ricoveri brevi e con sezioni di terapia
sub-intensiva;
- bassa intensità (low care) raffigurata
da lungodegenze, post-acuzie, RSA,
riabilitazione, week-hospital.
Un quarto livello comprendente l’intensità di cura minima è riservata a strutture non ospedaliere come ad esempio i
Presidi di Prossimità Territoriale (di cui
si parlerà più avanti).
La realtà italiana ha dovuto confrontarsi
ed adattarsi nelle varie realtà regionali e
le esperienze concrete di ospedali gestiti per intensità di cura sono alquanto
limitate e tuttora in fase di progettazione
e di studio.
Sul territorio nazionale, vi sono iniziati-
ve per la progettazione di nuove strutture o la riorganizzazione di quelle esistenti seguendo un’organizzazione per
intensità di cure, di seguito vengono
riportate alcune esperienze significative.
A Forlì in Emilia Romagna è stato
costruito, accanto all’Ospedale sede di
un DEA di 2° livello con piattaforma per
l’elisoccorso, un edificio pensato per
un percorso per intensità di cure.
Nella nuova struttura, che rappresenta il
polo di riferimento per il territorio
dell’Area Vasta Romagna, viene svolta
attività assistenziale sia di alta sia di
bassa complessità. Il padiglione
Morgagni (costruito nel 2004, uno dei 4
che compongono l’ospedale) costituisce
l’area del presidio dedicata all’alta
intensità di cura. È composto da due
piastre, di cui una con degenza per l’assistenza ad alta intensità di cura ed
un’altra sede dell’attività specialistica
ambulatoriale. Negli altri padiglioni si
svolgono prevalentemente attività a
bassa complessità assistenziale.
Secondo il concetto dei percorsi per
intensità di cure, vi è la differenziazione
dei percorsi diagnostico-terapeutici dei
pazienti acuti dai non acuti, in modo da
assicurare la massima interdisciplinarietà dello stesso. Ai pazienti acuti è
dedicato un percorso specifico ad elevato contenuto tecnologico e professionale; ai pazienti non acuti invece un
percorso assistenziale con un più consistente supporto riabilitativo e, quando
necessario, anche sociale. In questo tipo
di organizzazione avviene il superamento del concetto di singola unità operativa, ed è facilitata una maggiore concentrazione sul percorso del paziente e
l’integrazione professionale. 8,9
In Toscana, a Firenze, all’Ospedale
pediatrico Meyer la distribuzione funzionale delle diverse aree della struttura
è basata sull’intensità di cura e realizzata mediante un’attenta valutazione e
programmazione spaziale dei percorsi
assistenziali e dell’intensità delle prestazioni che devono essere erogate.
Passando dalle aree più esterne a quelle
più interne della struttura viene ad
aumentare l’intensità di cura e nello
stesso tempo si ha una suddivisione dei
percorsi in base alla tipologia di paziente (ambulatoriali, attività programmata,
degenti, urgenze), evitando commistioni
dei flussi e confusione.10
In Lombardia nell’Azienda Ospedaliera
Ospedali Riuniti di Bergamo, dopo aver
approfondito le varie problematiche e
dopo una serie di valutazioni inerente
l’utenza ed i suoi bisogni, le risorse
materiali, umane e tecnologiche è stato
intrapreso un processo di riorganizzazione dei percorsi assistenziali per
intensità di cure.11
Secondo il dott. Angelo Cordone direttore sanitario dell’Ospedale di
Legnano il passaggio al modello per
intensità di cura è una necessità cui
sempre più le realtà ospedaliere
dovranno aderire nel prossimo futuro.
“L’Azienda Ospedaliera di Legnano,
peraltro, da tempo ha deciso di sviluppare la sua organizzazione verso una
forte impronta dipartimentale, sulla
quale si può con fiducia basare l’ulteriore evoluzione verso l’intensità di cura.
Lo stimolo ad aderire al nuovo modello
che, in pieno accordo con le volontà di
sviluppo regionali, è pensato nell’ottica
della centralità del paziente e nasce
dalla consapevolezza di quella che è la
nostra realtà organizzativa esistente che
necessariamente richiede una attenta
rivisitazione in tutti i suoi aspetti.
L’implementazione del nuovo modello
è perseguito con l’apporto di tutti i
nostri operatori che, a seguito di interventi formativi ad hoc per l’acquisizione
dei modelli teorici di intensità di cura,
hanno collaborato alla definizione dei
passaggi necessari verso la nuova organizzazione, con la consapevolezza che
l’obiettivo definitivo del modello spinto
di intensità di cura verrà raggiunto per
step, il primo prevede il rafforzamento
dell’organizzazione per aree omogenee.” 12
L’integrazione:
il caso del “Case Management”
Il case management è un sistema di erogazione dell’assistenza al cittadino. Esso
si pone come obiettivo la riduzione dei
costi e dei tempi di degenza ma si propone anche di migliorare l’efficacia e
l’efficienza dell’assistenza sanitaria,
durante tutto l’evento patologico e in
qualunque struttura. La metodologia di
tale sistema si basa sul coordinamento e
l’utilizzo di risorse adeguate, sull’appropriatezza degli interventi e sul monitoraggio dei risultati raggiunti.
L’orientamento è di creare un cambiamento nel comportamento negli operatori, al fine di prendere decisioni più
consone e ridurre le erogazioni di servizi inappropriati, prediligendo invece la
scelta di interventi pertinenti, opportuni
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ed efficaci. In ambito ospedaliero il
Case Manager, può essere individuato
nel medico e nell’infermiere esperto
dell’U.O.
Per lo sviluppo di questi comportamenti è necessario avvalersi di veri e propri
Piani di Azione Multidisciplinari (MAP)
e/o di Clinical Pathways (CPs). In particolar modo questi ultimi enfatizzano il
coordinamento delle attività clinicoassistenziali e la cura giusta al momento giusto, in un’ottica di gestione multidisciplinare.13, 14
In ambito territoriale il Case Manager
può essere identificato nella figura del
Medico di Medicina Generale e
nell’Infermiere di Famiglia. Tali figure
sono estremamente utili in quanto la
loro funzione è in grado di coordinare il
percorso clinico-assistenziale mediante
una serie di contatti con strutture e figure assistenziali sia territoriali che ospedaliere a varia intensità di cure.15
Purtroppo ad oggi in Italia il ruolo della
figura dell’Infermiere di Famiglia, nonostante la dettagliata descrizione enunciata dall’OMS nel 1999 dal documento “Salute 21” e le già esistenti realtà
internazionali (Stati Uniti, Regno Unito,
Romania, Slovenia, Botswana) con specifica formazione in alcune realtà, non è
stato ancora recepito in tutta la sua totalità e potenzialità, sia da parte della cittadinanza, che dagli stessi operatori
sanitari.
L’Infermiere di Famiglia rappresenta una
figura in grado di svolgere sul territorio
attività di educazione, assistenza, formazione, consulenza e ricerca.
Rappresenta un’area di alta specializzazione professionale in grado di potenziale l’integrazione tra i servizi ospedalieri e l’assistenza sanitaria di base con
collegamento tra i servizi esistenti nella
rete assistenziale, non solo sanitari ma
anche sociali, in grado di favorire dimissioni protette, in particolari casi che
richiedono maggiore attenzione (cronicità, maternità, disabilità).16
L’ottimizzatore dei percorsi: il caso del
“Gestore dei percorsi assistenziali”
Questa competenza descrive un valore
aggiunto ai modelli assistenziali per
intensità di cure e continuità assistenziale. Tale funzione può essere svolta
anche dal personale infermieristico, a
proposito delle informazioni fornite dal
personale medico, garantendo così la
corretta gestione dei posti letto.17
L’adeguata gestione dei posti letto dell’ospedale può avere un impatto positivo ed efficace sulla produttività del
Pronto Soccorso ed ha un effetto positivo sulla sicurezza e sulla soddisfazione dei pazienti. 18 Nasce come
risposta all’esigenza di “garantire l’assegnazione del reparto più idoneo
riguardo alle esigenze e criticità assistenziali dell’utente”. L’overcrowding
rappresenta un problema emergente
nelle U.O. di Pronto Soccorso di tutto
il territorio nazionale. La figura di
coordinamento e gestione dei posti
letto, può essere un valido supporto
per gli operatori di Pronto Soccorso,
favorendo una sosta limitata dei
pazienti al minimo indispensabile
all’interno delle strutture di emergenza-urgenza, riducendo anche la
deviazione delle ambulanze a causa
della congestione dello stesso.19
Il bed manager quale figura preposta
alla gestione dei posti letto è già presente e consolidata in numerosi ospedali degli Stati Uniti, Inglesi e
Canadesi con provata efficacia.
Anche in Italia iniziano ad esserci le
prime esperienze come al Meyer di
Firenze ed al S. Orsola di Malpighi di
Bologna in cui l’infermiere rappresenta il regista della gestione e locazione
dei posti letto sia ordinari che urgenti. 20 La corretta gestione dei posti
letto, ovviamente non prevede il
coinvolgimento delle sole strutture di
emergenza e delle costose terapie
intensive che tra l’altro non sempre
riescono a rispondere al fabbisogno
dell’utenza,21 ma anche quelle Unità
Operative. In cui è previsto il ricovero in elezione. Tale attività rappresenta un aspetto importante e fondamentale che implica una pianificazione e
gestione giornaliera ed un efficace efficiente impiego delle risorse disponibili della struttura ospedaliera. In
tale ambiente la comunicazione tra il
personale medico, quello infermieristico ed il professionista che si occupa della gestione dei posti letto appare di vitale importanza.
L’informatizzazione delle comunicazioni può facilitare ulteriormente tale
procedura, permettendo di conoscere
in tempo reale i vari spostamenti dei
malati all’interno delle varie unità di
degenza, garantendo un valido supporto all’équipe multidisciplinare che
si occupa del percorso clinico assistenziale dell’utente.22,23
10
La dimissione: il caso della “Dimissione
protetta”
La dimissione rappresenta il nodo cruciale per la buona riuscita di ogni percorso assistenziale. Il processo di deospedalizzazione che ha coinvolto anche
il nostro Paese, ha determinato una condizione in cui la continuità assistenziale
assume una funzione decisiva nella
dimissione dei pazienti cosiddetti “fragili”. In questi casi la dimissione protetta è
di norma pianificata al termine di un
periodo di ricovero finalizzato alla diagnosi e alla cura della malattia e all’assistenza della persona malata.
Frequentemente i pazienti assistiti
nelle realtà ospedaliere non ottengono
dal ricovero una completa guarigione
sia per la natura stessa della malattia
che per il suo andamento. Altri pazienti definiti “fragili” non riescono a ripristinare lo stato di benessere o di autosufficienza che avevano prima del ricovero. Il domicilio è considerato il luogo
privilegiato dove, la persona può
curarsi e recuperare in modo totale o
parziale l’autosufficienza. Anche nei
casi in cui la malattia provoca una cronicizzazione e la perdita totale o parziale dell’autonomia, le cure domiciliari rappresentano sempre un forte stimolo e sostegno al superamento della
malattia e al massimo recupero delle
proprie potenzialità. Sebbene le cure a
domicilio dopo la dimissione rappresentino un’opportunità importante per
il recupero della salute, il passaggio
stesso dall’assistenza ospedaliera (h
24) a quella domiciliare rappresenta
una fase di difficile gestione che può
mettere il paziente e la famiglia stessa
davanti a gravi disagi e difficoltà. La
dimissione protetta ed il trasferimento
di un paziente presso una struttura territoriale rappresenta un momento
denso di rischi e per tal motivo la sua
pianificazione deve avvenire seguendo
delle Linee Guida accurate che prendono in considerazione l’appropriatezza della dimissione, l’identificazione
dei fattori di rischio, la comunicazione
bidirezionale (ospedale-territorio) sulle
condizioni clinico/assistenziali, il consenso e la preparazione del paziente e
dei familiari, l’informazione e raccordo
con il Medico di Medicina Generale.
L’attenzione nel curare gli aspetti sopra
citati consente di programmare una
dimissione adeguata evitando i rischi
in cui frequentemente si incorre quali il
ricorso al Pronto Soccorso ed il rientro
2011;28 (3): 7-13
nella struttura ospedaliera dopo pochi
giorni dalla dimissione.24
La “dimissione protetta”, quindi, non va
intesa come “dimissione precoce” bensì
come sistema di comunicazione ed
integrazione tra l’équipe ospedaliera e
quella territoriale al fine di garantire la
presa in carico e la continuità assistenziale.25,26
La medicina del territorio: il caso della
Casa della Salute o Presidio Territoriale
di Prossimità
La Casa della Salute rappresenta un
insieme di attività integrate ed organizzate in specifiche aree di interventi, con
le finalità di decongestione rapida nel
post acuzie, ottimizzazione del tasso di
occupazione dei posti letto per acuti,
contenimento di ricoveri inappropriati e
degli accessi al Pronto Soccorso, continuità assistenziale nel post-acuzie.27,28
Riproduce un progetto per garantire
continuità assistenziale ed integrazione,
l’obiettivo viene perseguito mediante la
presenza di strutture polifunzionali in
cui operano medici di medicina generale (MMG), pediatri di libera scelta (PLS),
infermieri ed altri operatori integrandosi
fianco a fianco per erogare un’assistenza continua nelle 24 ore tutti i giorni
della settimana.29 L’istituzione della
Casa della Salute, ideata dall’On. Livia
Turco, consente al MMG e all’Infermiere di Famiglia di collaborare con
altri operatori socio-sanitari nel raggiungimento di obiettivi comuni, lavorando
a stretto contatto anche con i cittadini.
Il compito di coordinare le attività della
Casa della Salute può essere svolto
dall’Infermiere di Famiglia che può consentire “alla persona giusta di ricevere la
cura adeguata al momento giusto” superando la frammentarietà delle risposte
assistenziali. All’interno della Casa della
Salute, le figure infermieristiche sono l’ideale per svolgere il ruolo del Case
Manager, perché hanno una visione
complessiva dell’assistito, specifica, ma,
non specialistica, sono attenti ai più fini
dettagli delle persone cha curano ed
eccellono nell’assistenza diretta.30
In varie regioni queste iniziative nascono dall’esigenza di costruire una sanità
più vicina al cittadino e dare delle risposte che non sempre possono essere date
nelle strutture ospedaliere.31
Il Modello a chiocciola qui presentato
per funzionare necessita dell’utilizzo di
adeguati strumenti di comunicazione.
In un sistema sanitario che negli ultimi
anni è stato investito da profondi cambiamenti, comunicare è diventato un
ulteriore punto fondamentale in ogni
percorso clinico-assistenziale.
La consapevolezza dei cambiamenti
rende cosciente l’équipe multidisciplinare territoriale ed ospedaliera della
necessità di una riorganizzazione dei
Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA). L’integrazione tra l’assistenza sanitaria primaria e quella
ospedaliera è necessaria per garantire
continuità ed appropriatezza. La condivisione delle informazioni secondo
modalità bidirezionali permette di ricevere numerose informazioni sui propri
assistiti.32
La condivisione delle informazioni tra le
diverse componenti della rete assistenziale sia ospedaliera che territoriale, ad
esempio è fondamentale per poter pianificare la dimissione della persona fragile. Un’assistenza per percorsi, connotata dall’avvicendarsi di passaggi attraverso setting assistenziali differenti per
tipologia, intensità e complessità, esige
una documentazione adeguata anche in
un’ottica di Sicurezza del Paziente.
Un valido esempio è rappresentato dal
manuale di accreditamento della Joint
Commission International nel quale si
afferma che “un Ospedale deve considerare le prestazioni erogate come parte
di un sistema integrato di servizi, professionisti sanitari e livelli di assistenza
che, insieme, creano continuità nell’assistenza sanitaria”. L’obiettivo finale del
modello basato sulla continuità assistenziale è di prendersi cura delle persone fragili, attraverso un approccio olistico, che tiene conto non solo di aspetti
clinici, ma anche socio-ambientali e
orienta gli interventi alla realizzazione
della massima capacità funzionale e
della miglior qualità di vita.33 Questa
affermazione appare ancor più vera se si
vuol garantire continuità assistenziale
nei Pronto Soccorso e tra le U.O. high
care e low care, oppure tra le strutture
ospedaliere ed il territorio.
Come riferimento a quanto sopra citato,
in molte regioni italiane sono in corso
numerosi progetti favorenti i processi di
comunicazione tra il territorio e le strutture ospedaliere mediante la creazione
di una piattaforma informatica. Grazie a
piattaforme di interoperabilità è possibile acquisire le informazioni cliniche
necessarie sia al triage, sia da parte del
11
medico di Pronto Soccorso, con ottimizzazione dei tempi di compilazione delle
schede di triage e riduzione del rischio
clinico. Mediante l’integrazione tra il
software di Pronto Soccorso e la
Piattaforma di Interoperabilità Territoriale è possibile uno scambio bidirezionale in tempo reale tra tutti gli operatori del sistema sanitario assistenziale.
L’integrazione con i MMG può garantire la pronta disponibilità dei dati clinici
essenziali completamente integrati con
il software di Pronto Soccorso e dare
una rappresentazione immediata del
paziente (Patient Summary).
L’integrazione con strutture ad alta complessità che trattano pazienti che ricorrono con frequenza al PS per il tramite
della Scheda Sanitaria Specializzata
Individuale.
L’Information
and
Comunication
Tecnology (ICT), rappresentano un complesso di scienze, metodologie, tecniche e strumenti di supporto in grado di
rendere disponibili al Pronto Soccorso
alcune agende ambulatoriali privilegiate
ed ai sistemi ambulatoriali la visibilità
sulle informazioni raccolte in Pronto
Soccorso, ciò consente mediante un
collegamento informativo con i MMG
per notificare in tempo reale i percorsi
assistenziali alternativi.34
L’ICT rappresenta la nuova sfida dell’informatica sanitaria, fino ad ora abituata a dare risposte complete per la
gestione di singoli servizi/processi, ma
che da tempo è chiamata a dare supporto a modelli organizzativi molto più
complessi. Modelli organizzativi caratterizzati dalla necessità di interscambiare, integrare, gestire e monitorare contemporaneamente più processi.
In Lombardia è nato il Progetto Carta
Regionale dei Servizi – Sistema
Informativo Socio-Sanitario che rappresenta un passo importante basato su
modalità innovative di comunicazione
e cooperazione tra medici, operatori e
cittadini.
Ancora in Abruzzo è stato presentato a
Pescara il progetto “Rete dei medici di
Medicina generale della Regione
Abruzzo”, sviluppato da Dedalus e
Telecom Italia con l’Agenzia regionale
per l’informatica e la telematica.
L’obiettivo è avviare il processo di
messa in rete della sanità regionale per
dare un decisivo impulso alla collaborazione e interoperabilità tra Medici di
Medicina Generale e presidi sanitari sul
territorio.
2011;28 (3): 7-13
Ulteriori progetti sull’uso di piattaforme
interoperabili sono in realizzazione
anche in altre regioni, Emilia-Romagna,
Val d’Aosta,Trento, Toscana e Friuli.35,36,37
Conclusioni
Premessa essenziale per il buon funzionamento dei modelli basati sulla continuità e sull’intensità di cure è l’ottimizzazione dell’offerta territoriale, la presenza di strutture ospedaliere organizzate per intensità di cure “aperte al territorio” ed infine la creazione di filtri territoriali al fine di adottare soluzioni
appropriate ai bisogni dell’utente, evitando così accessi impropri nelle strutture ospedaliere.
I vantaggi dei modelli basati sull’assistenza per intensità di cure e continuità
assistenziale sono rappresentati dalla
centralità dell’utente con relativa ridotta
frammentazione del percorso di cure,
dal riferimento costante per l’utente e
familiari con conseguente riduzione
dell’incertezza sul percorso assistenziale, dalla possibilità di presa in carico
non solo rispetto alla patologia, ma
anche in relazione alle problematiche
che ruotano intorno ad essa, dal ricorso
alla degenza limitata ai casi e per le
giornate giustificate dall’acuzie e dal
carico assistenziale, dalla possibilità di
confronto-colloquio-integrazione multi
professionale e dall’ottimizzazione
della comunicazione tra territorio e
strutture ospedaliere sui trattamenti erogati ai pazienti.
La professione infermieristica da sempre
pone un’attenzione continua e pronta
per interpretare i bisogni della persona,
garantendo risposte assistenziali competenti appropriate e di qualità. Questo
comporta necessariamente l’implementazione di metodologie rigorose e l’adozione di modelli organizzativi assistenziali che consentano agli infermieri di
fornire prestazioni professionali adeguate alle mutate esigenze, sia dell’organizzazione sanitaria, che degli utenti.38
I numerosi progetti presentati, rappresentano l’avvio di processi della gestione, profondamente integrati che presumono modelli assistenziali mirati ad
approfondire il livello di comprensione
e di lettura dei bisogni della persona,
coordinando ed organizzando risposte
soddisfacenti, in una logica di presa in
carico multidisciplinare della persona,
poiché una buona salute non può esse-
re considerata un esito di cui dispone
una singola professionalità. ll modello
organizzativo della continuità assistenziale è in grado di agevolare la presa in
carico dei pazienti ricoverati nei reparti
per acuti e condurli verso il sistema del
post acuzie. L’obiettivo di integrare le
due diverse aree del percorso sanitario
(High Care e Low Care) è raggiunto
attraverso la definizione di un progetto
di cura personalizzato affidato a un’équipe multiprofessionale nella quale le
diverse competenze si integrano. In sintesi, l’assistenza primaria (primary care)
in quanto sistema articolato di professionalità singole o organizzate in unità
operative e servizi, tra loro autonomi
ma in rete, rappresenta la risposta più
adeguata ai complessi bisogni di salute,
per garantire integrazione, personalizzazione dei percorsi e attenzione per la
qualità della vita in tutte le sue fasi.
Oggi, in un’ottica di programmazione
dei sistemi sanitari, occorre coniugare
tali cambiamenti con la sostenibilità
complessiva del sistema.39 A tal proposito, uno degli impegni prioritari dei servizi sanitari è la ricerca di sempre
migliori soluzioni per incrementare
l’appropriatezza, l’efficacia, l’efficienza
degli interventi nonché la partecipazione del cittadino.
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38. NOVI V. Modelli organizzativi dell’assistenza infermieristica, nel territorio, ed
extra territorio, che integrano l’intensità di
cure e la complessità assistenziale.
Obiettivi del congresso:
- esaminare le caratteristiche assunte oggi dall’economia e le alterazioni
indotte dalla finanza globalizzata;
- descrivere i meccanismi di condizionamento dell’economia sull’evoluzione e sull’efficacia dei sistemi di protezione della salute sia dell’adulto che del neonato/bambino;
- indicare percorsi per garantire la sostenibilità del servizio pubblico per la
salute;
- esaminare l’influenza dell’economia sul lavoro degli operatori della salute e
sui problemi ed i quesiti di natura etica e le soluzioni praticabili;
- presentare il servizio per la salute - con particolare riferimento all’assistenza - come non un costo ma un investimento anche per l’economia di una
comunità;
- ideare iniziative per favorire una reale consapevolezza dei cittadini in merito alla consistenza ed urgenza dei problemi della salute ed alle conseguenti scelte di politica sanitaria.
Presentazione
Il congresso Aniarti 2011 affronta il problema dell’economia e le sue implicanze per l’assistenza infermieristica, uno fra i servizi più compromessi dalla riduzione delle risorse per la crisi di un sistema economico e di mercato, che ha
deluso le sue illusorie promesse.
Gli infermieri, pur colpiti direttamente, rappresentano la consapevolezza delle
società sulle priorità reali.
Il programma offre contributi originali di esperti sui temi economici applicati
ai contesti sanitari, oltre cento esempi di assistenza infermieristica letti in chiave economica; una serie di 7 eventi speciali (ECM), di cui uno in collaborazione con la Federazione IPASVI, sull’evoluzione delle competenze infermieristiche e le questioni di confine con i medici; la sessione poster (premio) e la
mostra scientifica.
Non mancherà il valore aggiunto dai partecipanti con la consueta ricchezza
dei dibattiti.
L’Aniarti celebra i 30’anni con una sfida per migliorare il patrimonio dell’assistenza. Da non perdere.
Tutte le informazioni ed il programma completo su: www.aniarti.it
Iscrizioni solo on-line
Segreteria organizzativa: tel. 055 434677 - cell. 340 4045367
14
2011;28 (3): 14-19
Analisi e comparazione tra il modello di emergenza
extraospedaliera italiano ed anglosassone.
Organizzazione, formazione e ruolo infermieristico
Analysis and comparison between the italian and anglo-saxon model of emergency-hospital. Organization, training and the role of nursing
Susanna Maria Petracca, Infermiera
Paola Graciotti, Tutor corso di laurea in infermieristica Università politecnica delle Marche
Paola Massei, Coordinatore servizio regionale di soccorso e centrale operativa 118 Ancona soccorso
Maurizio Mercuri, Docente e tutor corso di laurea in infermieristica Università politecnica delle Marche
Riassunto:
Introduzione: l’emergenza in Italia è attualmente l’ambito nel quale la professione infermieristica può esplicarsi in un elevato grado di autonomia e in modo conforme alle proprie competenze. Il confronto con il modello anglosassone è nato dall’esigenza di comprendere quanto in Italia
l’autonomia dell’infermiere sia una realtà, o ancora solo un’ affermazione di principi.
Materiali e metodi: per i dati riguardanti il confronto tra modelli è stata condotta una ricerca su siti internet e articoli pubblicati su riviste specializzate. Per l’Italia inoltre è stata condotta un’indagine attraverso interviste telefoniche ed e-mail ai coordinatori infermieristici e agli infermieri
responsabili della formazione per verificare l’istituzione dell’ambulanza infermieristica, dei protocolli e della formazione specifica.
Risultati: negli USA e in Gran Bretagna il modello di soccorso è “scoop and run”, l’emergenza territoriale è affidata a figure tecniche non sanitarie addestrate, non ci sono medici, volontari e non esiste la figura dell’autista soccorritore. In Italia il modello di soccorso è “scoop and run” e
“stay and play”, secondo la tipologia dell’emergenza. I dati ottenuti dalle Centrali Operative hanno evidenziato un’organizzazione a macchia di
leopardo.
Discussione: lo “scoop and run” è il modello tipico del mondo anglosassone poiché sui mezzi di soccorso non ci sono medici, ma solo figure
tecniche e per l’elevata frequenza di patologie traumatiche. Il mondo anglosassone è più rigoroso nel verificare competenze e abilità attraverso
la formazione specifica. In Italia la co-presenza di medico e infermiere permette di decidere quale modello di intervento adottare a seconda delle
necessità del paziente. Tuttavia la disomogenea organizzazione è legata probabilmente alla situazione sanitaria precedente la Legge istitutiva
del 118.
Conclusioni: nell’ultimo decennio la legislazione sanitaria italiana ha dato importanti riconoscimenti alla professione infermieristica passando da
una situazione “autorizzativa” del mansionario, a una visione di “accreditamento” a operare in autonomia professionale. Malgrado ciò nell’emergenza si è ancora lontani dall’obiettivo.
Parole chiave: Ambulanza Infermieristica, Protocolli, Procedure Standard, Formazione Specifica
Abstract
Introduction: the emergency in Italy is currently the area in which the nurse can work in a high degree of autonomy and according to his skills.
The comparison with the Anglo-Saxon model is born from the necessity to understand how the autonomy of the nurse in Italy is still a reality or
just a “statement of principles”.
Materials and method: for the comparison between models was carried out a search on websites and articles published in magazines. For Italy,
also a survey was conducted through telephone interviews and mail to the coordinators and nurses responsible for nursing education to ensure
the establishment of the ambulance nurse, protocols and training .
Results: USA and UK model of rescue is “scoop and run”, the territorial emergency is carried out by trained technician rescue, there are no doctors, volunteers, and there isn’t the driver helper, there are no doctors, volunteers, and there isn’t the driver helper. In Italy the model of relief is
“scoop and run” and “stay and play”, according to the type of emergency. The data obtained from Italy showed patchy organization.
Discussion: the “scoop and run” is the typical model of Anglo-Saxon world, because in the emergency vehicles there are no doctors, but only
technician rescue and there is high frequency of traumatic diseases. The Anglo-Saxon world is more rigorous in testing skills and abilities through specific training. In Italy the coexistence of doctor and nurse makes possible to decide which is the best model of action to use according to
patient’s needs. However, the heterogeneous organization is probably linked to the health status before the law establishing the 118.
Conclusions: in the last decade, the Italian health legislation gave important recognition to the nursing situation from an “authorization” of the
job description, to a vision of “accreditation” to work in professional autonomy. Despite this in the emergency we are still far few the target.
Keyword: Ambulance Nursing, Protocols, Procedures Standards, Training
Introduzione
ARTICOLO ORIGINALE
PERVENUTO IL 29/03/2011
ACCETTATO IL 21/07/2011
GLI AUTORI
DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO
DI INTERESSI.
CORRISPONDENZA PER RICHIESTE
MAURIZIO MERCURI, [email protected]
I
n Italia il sistema del 118 è stato
istituito con il DPR 27/03/1992,
che ha demandato alle Regioni il
compito di definire l’organizzazione territoriale dell’emergenza
ma, lo stesso all’articolo 10 sancisce anche una svolta epocale nel
definire i compiti dell’infermiere nell’emergenza:
“Il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di
emergenza, può essere autorizzato a
praticare iniezioni per via endovenosa e
fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le
15
2011;28 (3): 14-19
funzioni vitali, previste dai protocolli
decisi dal medico responsabile del servizio”.
Questo articolo apre un nuovo scenario
in cui l’infermiere non è più imbrigliato
in un rigido mansionario, abrogato poi
con la Legge 42 del 1999.
La domanda che ci siamo posti pertanto
è stata la seguente: “Dopo 19 anni dal
DPR istitutivo dell’emergenza territoriale e dopo 12 anni dall’abrogazione del
mansionario qual è la realtà in cui opera
l’infermiere in Italia?”
Su questa riflessione è stato sviluppato
un lavoro articolato su due linee di
ricerca:
- analizzare la realtà dell’emergenza in
Italia attraverso una ricerca su tutte le
Centrali Operative (CO) di quale sia
la reale organizzazione in termini di
ambulanza infermieristica, protocolli
e procedure operative standard a supporto del lavoro dell’infermiere in
assenza del medico e formazione specifica;
- confrontare la realtà italiana con quella anglosassone (USA,UK) sia come
modello organizzativo che come tipologia e compiti delle risorse umane
impegnate.
Materiali e Metodi
Per il primo obiettivo è stata condotta
un’indagine conoscitiva attraverso interviste telefoniche e per posta elettronica
ai coordinatori infermieristici, che nelle
CO delle Regioni sono responsabili dell’organizzazione del personale, e/o agli
infermieri responsabili della formazione
specifica.
I numeri telefonici e gli indirizzi e-mail
sono stati presi dal sito web SIS 118.1
L’intervista telefonica si è basata su
quattro domande standard:
1. esistenza o meno dell’ambulanza
infermieristica, intesa come mezzo su
cui operano un autista soccorritore e
un infermiere;
2. esistenza o meno di protocolli, procedure operative e linee guida a supporto dell’infermiere che opera nell’emergenza territoriale in assenza
del medico;
3. approvazione e quindi attivazione
dei suddetti protocolli, procedure
operative e linee guida;
4. formazione erogata al personale
impegnato nell’emergenza, sia di
base come corsi BLSD, PBLSD, ACLS,
ALS, PTC PHTLS, sia specifica per l’abilitazione all’ uso dei protocolli,
delle procedure operative e delle
linee guida.
Per il secondo obiettivo è stata condotta una ricerca bibliografica su siti web
e articoli pubblicati su riviste specializzate.
Risultati
Per l’indagine italiana sono state contattate 104 CO e 101 si sono rese disponibili alla ricerca.
Le province italiane sono state suddivise
in 5 gruppi:
1. province che non hanno ambulanza
infermieristica, né protocolli operativi, né formazione specifica;
2. province che hanno tutte tre le variabili ricercate;
3. province che hanno l’ambulanza
infermieristica, ma non hanno protocolli e formazione specifica;
4. province che hanno l’ambulanza
infermieristica e i protocolli, mentre
non hanno implementato la formazione specifica;
5. province che hanno solo l’ambulanza
infermieristica e la formazione specifica, ma non hanno sviluppato protocolli.
Per analizzare con maggiore dettaglio la
realtà italiana si è stratificato il dato per
aree. (Grafico 1,2,3)
Confrontando i dati si può vedere come
diminuisce progressivamente da Nord a
Sud il numero di Centrali Operative che
hanno sia l’ambulanza infermieristica,
che i protocolli e la formazione specifica. (Grafico 4)
Per quanto riguarda il modello organizzativo anglosassone, i dati ottenuti
dimostrano che le differenze con il
modello italiano sono molto significative, in particolare sul territorio non operano figure mediche e sanitarie, se non
in qualche caso particolare (elisoccorso), mentre un ruolo fondamentale lo
svolgono figure tecniche addestrate in
modo specifico.2,3,4,5
Il modello anglosassone prevede l’impiego nell’emergenza territoriale di figure tecniche con una formazione specifica su protocolli, che rappresenta un
requisito fondamentale per lavorare nel
settore dell’emergenza e allo scopo
sono previsti periodici re-training che
devono essere superati per mantenere la
qualifica.3,4,5 (Tabelle 2 e 3)
Discussione e conclusioni
Il risultato della ricerca mostra in Italia
un quadro dell’emergenza territoriale a
macchia di leopardo, con differenti
livelli organizzativi non solo tra Regione
e Regione, ma anche nello stesso ambito regionale. Questa disomogeneità ha
probabilmente le sue radici nella disomogeneità culturale ed organizzativa
locale in cui la Legge istitutiva del 118 si
è inserita.
L’ambulanza infermieristica non è stata
istituita ovunque e dove esiste è chiamata con le denominazioni più diverse, ad esempio mezzo BLS (Crotone),
ambulanza INDIA (Piemonte), MSI
(Lombardia), semplicemente ambulanza (Lazio). In molte sedi questo mezzo
è utilizzato solo in fascia diurna e per
codici verdi e/o gialli come a
Grafico 1. Organizzazione dell’emergenza nell’Italia settentrionale
2011;28 (3): 14-19
Grafico 2. Organizzazione dell’emergenza nell’Italia centrale
Grafico 3. Organizzazione dell’emergenza nell’Italia meridionale
Grafico 4. Confronto fra i dati nelle tre aree (Nord, Centro, Sud)
16
Venezia/Mestre, Rovigo, Treviso,
Crotone.
Tra le Regioni avanzate che hanno sviluppato un’ organizzazione centralizzata sostenuta da un programma formativo
regionale obbligatorio, con valutazione
periodica, ci sono la Lombardia (AREU)
e il Lazio (ARES 118).6,7
Allo scopo di dare un quadro di insieme
facilmente comprensibile si è deciso di
attribuire alle regioni un codice colore:
- b i a n c o: per le Regioni più avanzate
con modelli organizzativi regionali e
formazione centralizzata (Lombardia
e Lazio);
- verde per le Regioni che hanno attivato quasi ovunque il mezzo, i protocolli e la formazione (Trentino Alto
Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto,
Emilia Romagna, Puglia);
- giallo per le Regioni in cui il modello
organizzativo è ancora in fase di
implementazione con situazioni a
diverso grado di evoluzione (Liguria,
Piemonte; Toscana, Umbria, Marche,
Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia
e Sardegna);
- rosso per le Regioni in cui non c’è
l’ambulanza infermieristica, non sono
stati definiti protocolli e procedure e
la formazione è ovviamente solo di
base (Abruzzo, Molise) (Figura 1).
Diversa è la situazione nel mondo
anglosassone, dove il personale addetto all’ emergenza territoriale non è personale sanitario, ma tecnico che opera
seguendo protocolli e procedure, che
rappresentano un vincolo al loro operato.
Il mondo anglosassone è preciso e puntuale nel definire le competenze e le
abilità che danno diritto ad appartenere
a un registro dei soccorritori, dal quale
si può essere cancellati se non si supera
la valutazione periodica a cui si è sottoposti.3,4,10,11
In Italia invece la valutazione delle
competenze e abilità risponde a criteri
meno rigidi e non preclude la possibilità
di lavorare in area critica.
In entrambi i modelli è riconosciuta
alla formazione un ruolo fondamentale. In Italia viene dato un significato
importante alla formazione di base,
mentre non c’è una diffusa consapevolezza dell’importanza della formazione specifica su protocolli, che rappresenta invece per il personale del
mondo anglosassone un punto di forza
del proprio operare.8,9,10,11,12
17
2011;28 (3): 14-19
Tabella 1. Modelli organizzativi a confronto
CARATTERISTICHE
Numero per l’emergenza
Principio base dell’intervento
sul territorio
Obiettivo
Organizzazione
del territorio
Personale addetto
all’emergenza
118
Sia “scoop and run”: “carica e
vai”, che “stay and play”: “rimani
e lavora”, a seconda delle necessità del paziente.
Ridurre al minimo l’intervallo di
tempo in cui la vittima rimane
senza adeguato trattamento
prima del trasporto all’ospedale
più idoneo (Therapy Free
Interval).
Il territorio è suddiviso
in
Centrali operative che hanno una
valenza provinciale.
Medici
Infermiere di CO: addestrato alla
ricezione della chiamata, all’uso
dei dispatch con attribuzione del
codice di gravità in uscita, all’attivazione del mezzo di soccorso
idoneo fino al trasporto della vittima in ospedale.
Infermiere che opera sul mezzo
di soccorso: valuta la scena, tratta e stabilizza il paziente in autonomia, o in collaborazione con il
medico, fino al trasporto nello
Ospedale più idoneo, attribuisce
il codice di rientro.
Autisti soccorritori
Volontari
Un esempio di protocollo utilizzato
negli USA è quello dell’ACLS, che consente ai paramedici di somministrare
adrenalina, lidocaina e atropina in autonomia. Inoltre, in conformità ai protocolli e procedure standard, il paramedico può somministrare glucosata,
naloxone, antiaritmici, cortisonici, analgesici, oppiacei e curari.3,4
Dai risultati ottenuti si può legittimamente affermare che se da un lato il
panorama sanitario italiano ha dato
importanti riconoscimenti legislativi alla
professione infermieristica, che è passata da una situazione “autorizzativa” del
mansionario, a una visione di “accreditamento” a operare in autonomia professionale,, dall’altra nel campo dell’emergenza la Legge continua a parlare di
911
“scoop and run”: “carica e vai”
999 o 112
“scoop and run”: “carica e vai”
Soccorrere sul territorio e non
curare.
Intervenire adeguatamente e rapidamente nella golden hour.
Valutazione del paziente sul
posto, effettuare i trattamenti
salva vita e trasportare il paziente
in ospedale prima possibile.
L’allarme di soccorso giunge alla
centrale del 911 che attiva il
mezzo di soccorso più idoneo. La
centrale è collegata ai DEA negli
ospedali.
First responder: vigili del fuoco,
polizia che arrivano per primi
sulla scena.
EMT-1 o basic: opera da solo o
con equipaggi avanzati.
EMT-2/3 o intermedio: è una
figura simile all’infermiere.
EMT-4 o paramedico: è colui che
dirige l’équipe dell’ambulanza ed
è il responsabile del soccorso.
L’allarme di soccorso giunge alla
centrale del 999 che attiva il
mezzo di soccorso più idoneo. La
centrale è collegata agli A&ED
negli ospedali.
Call handler: è assimilabile all’infermiere di C.O.
Ambulance technician: affianca
spesso i paramedici.
Emergency care assistant: è una
figura tecnica.
Emergency care practitioner: è
una figura tra l’infermiere e il
paramedico.
Paramedico: è il professionista
più esperto, lavora da solo, o con
il supporto di altre figure. Può far
parte di tutti gli equipaggi, compreso l’air ambulance.
“protocolli decisi e approvati dal medico responsabile del servizio” (art.10 del
DPR 27 marzo 1992). A oggi quindi
assistiamo a due realtà parallele: quella
giurisprudenziale che riconosce l’infermiere come un professionista con un
preciso ambito di responsabilità e quella operativa sul campo che invece, nella
maggior parte dei casi, relega questa
figura a un’operatività ancora marginale, in assenza di quei protocolli e procedure che dovrebbero essere scritti e
approvati a sostegno dell’attività.8,9 La
resistenza all’elaborazione e attivazione
dei protocolli potrebbe trovare una
motivazione nella confusione tutta italiana tra “atto medico” e “atto sanitario”, che sono considerati sinonimi.
In questo scenario acquista una partico-
lare rilevanza, la formazione, che
andrebbe anch’essa vista come un processo, nel quale entrano in gioco sia i
bisogni formativi necessari all’organizzazione, che quelli individuali. La valutazione di efficacia in itinere e finale,
rispetto agli obiettivi formativi, è un
momento fondamentale per valutarne
l’impatto sui professionisti, nell’ottica di
un cambiamento dei loro comportamenti.
La realtà sociale apre nuove sfide nel
precludere monopoli professionali ed
aprire alla integrazione delle competenze dei vari professionisti della salute.
Questo però rende necessario aprire
una fase di riflessione, finalizzata alla
ricostruzione dei diversi ruoli professionali, per evitare lo scivolamento verso
18
2011;28 (3): 14-19
Tabella 2. Organizzazione USA
Compiti del personale
USA
First responder: è addestrato a manovre di primo soccorso.
EMT-1: abilitato a RCP, liberazione vie aeree con aspiratore, posizionamento cannula orofaringea, trattamento di base, immobilizzazione
del paziente traumatizzato e uso del defibrillatore semiautomatico.
EMT-2/3: abilitato al posizionamento di accessi venosi, somministrazioni infusive e di ossigeno, uso del defibrillatore manuale e applicazione di tecniche avanzate per le vie aeree.
EMT-4/paramedico: abilitato al BLS, infusioni venose, somministrazione di ossigeno e farmaci, trattamento avanzato delle vie aeree con
intubazione anche rino tracheale, decompressione toracica con ago
14-16G, interpretazione ECG.
Formazione erogata
USA
La formazione è standardizzata, continua e obbligatoria per i seguenti corsi: BLS, BTLS, ALS, ACLS, ATLS, BPLS, e PALS con re-training
biennale. Nei 2 anni che intercorrono fra i corsi base obbligatori, sono
previste ore fisse di educazione medica continua e lezioni di clinica.
Se alla fine di questo periodo non è superato l’esame finale il personale perde la licenza come EMT e non può più svolgere questo lavoro in tutti gli USA, in quanto viene cancellato dal Registro Unico
Nazionale dei Soccorritori.
Tabella 3. Organizzazione UK
Compiti del personale
UK
Call handler: risponde alla chiamata di emergenza e in base alle informazioni ricevute attiva il mezzo più idoneo usando dispatch, se
necessario dà indicazioni all’utente per manovre salva vita.
Ambulance technician: affianca il paramedico, intervenendo in ogni
tipo di situazione traumatica e non, effettua BLS e si occupa del trasporto in ospedale del paziente.
Emergency care assistant: è spesso alla guida del mezzo, affianca i
paramedici, osserva e valuta i parametri vitali, conosce l’uso di supporti medici, si occupa della manutenzione del veicolo e collabora
per il trasporto in sicurezza del paziente.
Emergency care practitioner: interviene nelle emergenze mediche
non traumatiche spesso a livello domiciliare, valuta la situazione del
paziente secondo skill e procedure, prescrive, fa e interpreta test,
radiografie e medicazioni ritenute necessarie fino alla stabilizzazione
del paziente.
Paramedico: è abilitato all’infusione di farmaci per via ev, im e sc,
intubazione endotracheale, somministrazione di ossigeno, all’uso di
tutti i presidi per la ventilazione (maschera laringea), all’uso del defibrillatore, all’immobilizzazione del paziente traumatizzato, al monitoraggio cardiaco, alla rilevazione della saturazione e alla terapia
trombo litica.
Figura 1
Formazione erogata
UK
Il call handler è addestrato su procedure BLS, l’uso dei dispatch per il
triage telefonico, uso del software e delle radiocomunicazioni.
L’ ambulance technician segue un percorso formativo di 3 mesi suddiviso in 5 moduli: 3 su casi clinici con lezioni teoriche – pratiche e
2 su addestramento alla guida.
L’addestramento dell’emergency care assistant consiste in un corso
preparatorio all’ambulanza di circa 9 settimane che tratta di manovre
BLS e tecniche manuali per la mobilizzazione / immobilizzazione del
paziente. Se l’esame finale è superato si accede al mezzo di soccorso
con affiancamento.
L’emergency care practitioner oltre al corso base segue un percorso
formativo aggiuntivo con un corso di manualità pratiche e uno per
le patologie croniche.
La formazione del paramedico prevede un corso teorico – pratico che
dura dai 2 ai 5 anni e un periodo di tirocinio nei DEA degli ospedali
con la supervisione medica. Il corso prevede BLSD, PBLSD, PHTLS,
gestione delle vie aeree, gestione delle emergenze cardiovascolari,
delle patologie neurologiche, ostetriche, ginecologiche e immobilizzazione del paziente.
Segue un percorso formativo anche per disturbi mentali, malattie
pediatriche, incidenti maggiori.
posizioni rigidamente corporative da
parte di tutti gli attori della sanità per
riscrivere le competenze in uno scenario collaborativo che, pur delineando in
modo chiaro i diversi compiti e responsabilità, è l’unico scenario possibile per
il “bene” del paziente.
Acronimi
ACLS: advanced cardiac life support
BLSD: basic life support and defibrillation
AREU: Assistenza Regionale Emergenza Urgenza
ARES 118: Assistenza Regionale Assistenza Sanitaria
MSI: mezzo di soccorso intermedio.
Bibliografia
1. Società Italiana del 118. 118 emergenza
sanitaria. www.sis118.it/pagine /index.htm
ultimo accesso 12.03.2011
2. Emergenza Sanitaria 118 Italia.
www.118italia.net ultimo accesso
12.03.2011
3. Stati Uniti d’America: l’organizzazione
dei servizi d’emergenza.www.autistasoccorritore.it/usa.html ultimo accesso
13.03.2011
4. National Health Service. The structure of
the NHS and Explore by career.
www.nhscareers.nhs.uk ultimo accesso
13.03.2011
5. National Association of Emergency
Careers in
Medical
Technicians.
EMS.www.naemt.org ultimo accesso
13.03.2011
19
2011;28 (3): 14-19
6. Azienda Regionale Emergenza Urgenza.
118 - Emergenza urgenza sanitaria
www.areu.lombardia.it ultimo accesso
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7. Azienda Regionale Emergenza Sanitaria.
Il Sistema di emergenza sanitaria nel
Lazio. www.ares118.it ultimo accesso
12.03.2011
8. MENGHINI A, VACCA D. L’infermiere nell’emergenza extra e intraospedaliera.
CO118 Viterbo
Pronto soccorso
Ospedale Belcolle. Disponibile all’indirizzo: http://nfs.unipv.it ultimo accesso
14.03.2011
9. MUSIARI M. Gestione avanzata delle vie
aeree nell’emergenza extraospedaliera.
Tesi di laurea in infermieristica aa. 20022003.
Disponibile
all’indirizzo:http://www.infermieriattivi.it
ultimo accesso 14.03.2011
10.SMITH R M, CONN A. Prehospital care –
scoop and run or stay and play? Injury,
nov. 2009; 40 suppl 4:S23-6.
11.HAAS B, NATHENS AB. Pro/con debate: is
the scoop and run approach the best
approach to trauma services organization? Critical care 2008, 12:224.
12.NIRULA R, MAIER R, MOORE E, SPERRY J,
GENTILELLO L. Scoop and run to the
Trauma Center or stay and play at the
local Hospital: hospital transfer’s effect on
mortality. Journal trauma, 2010 Sep;
69(3): 595-9.
“LA COMUNICAZIONE EFFICACE”
Seconda Parte
Evento formativo ECM
Trento 29, 30 Ottobre 2011
c/o Servizio Formazione
Via Paolo Orsi, 11 - 1° piano Aula 4
Questo corso della durata di 8 ore (inizio 8,15 fine ore 18,10) si
presenta come la naturale continuità del precedente percorso.
Nella prima parte si è analizzata la parte “umana” della comunicazione, evidenziando come spesso il non prestare attenzione
al “come” comunichiamo possa generare, a volte, dei conflitti.
Nello stesso tempo si è cercato di fornire una maggiore consapevolezza di alcuni aspetti comunicativi tesi a “disinnescare”
certe problematiche.
In questa seconda parte il discente potrà “esperimantare” come
il “contesto comunicativo”modifichi la sua abilità di
parlare/ascoltare attraverso un percorso “fisico” al termine del
quale si cercherà di analizzare il “perché” e il “come” di questa
esperienza.
Per maggiori informazioni rivolgersi a: Olivo Calliari,
[email protected]
Servizio di Gastroenterologia Ospedale S. Chiara Trento. Cell. 340
4045377
Destinatari: Infermieri, N° 50 posti disponibili
Iscrizioni on line al corso di formazione
Per le iscrizioni registrarsi on line sul sito www. aniarti.it
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Entro il 24 Ottobre 2011
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L’iscrizione effettuata dall’ente di appartenenza non è soggetta ad IVA
(art. 8 comma 34 legge 67/1988).
Diritti di iscrizione
L’iscrizione al Corso di Formazione dà diritto a:
• kit personale • attestato di partecipazione • ECM
20
2011;28 (3): 20-25
Confronto tra CPAP con casco e con maschera
nell’insufficienza respiratoria acuta in età pediatrica:
studio osservazionale
Comparison with helmet and mask CPAP in acute respiratory failure in paediatric age: a observational study.
Mario Madeo, Coordinatore Infermieristico, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - SITRA Area delle Terapie Intensive
Marta Guerrini, Infermiera, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - SITRA Area delle Terapie Intensive
Chiara Polano, Infermiera Pediatrica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - SITRA Area delle Terapie Intensive
Riassunto
Introduzione: fino a pochi anni fa la ventilazione meccanica invasiva era la modalità prescelta nella gestione ventilatoria dell’insufficienza respiratoria acuta. Sebbene sia molto efficace e sicura nel supportare la ventilazione alveolare, l’intubazione endotracheale comporta il rischio di complicazioni sia nella popolazione adulta sia in quella pediatrica. La frequenza delle complicanze è forse più elevata di quello che comunemente
si pensi; infatti, studi retrospettivi ne hanno quantificato l’incidenza in circa il 60-70% dei casi. Il recente incremento della ventilazione non invasiva in ambito acuto tende a ridurre le complicanze della ventilazione invasiva e migliorare l’impiego delle risorse.
Materiali e metodi: è stato condotto uno studio monocentrico, prospettico, osservazionale presso il Reparto di Terapia Intensiva Pediatrica della
Clinica De Marchi della “Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico”, il cui obiettivo era di valutare la tollerabilità della CPAP
casco/maschera e l’effettivo beneficio sui principali parametri vitali ed emogasanalitici. Il dolore è stato rilevato con l’Objective Pain Scale (OPS) e
la Confort Scale. Lo studio è stato eseguito nel periodo tra gennaio 2010 e settembre 2010 su 11 bambini di età compresa tra 1 e 27 mesi ammessi
nella Terapia Intensiva Pediatrica (TIP) per una patologia polmonare.
Risultati: tutti i pazienti sottoposti al trattamento col casco CPAP hanno avuto un netto miglioramento del quadro clinico, con possibilità, a 24 ore
dall’inizio del supporto, di ridurre totalmente la FiO2 al 21% mantenendo buoni parametri: SatO2 tra 95% e 100%, FC media di 130±26 b/min., FR
media di 45±10 atti/min., PA 110±7, 58±8 mmHg, oltre a un confort del 100%. Tutti i pazienti sottoposti al trattamento maschera hanno avuto un
outcome sfavorevole: uno ha sviluppato un quadro di ipercapnia severa ed è stato intubato dopo 24 ore dall’inizio del trattamento con CPAP. Gli altri
tre pazienti sono passati al trattamento col casco dopo 10/15 minuti dall’inizio della ventilazione con maschera, a causa di importanti segni di intolleranza (pianto non consolabile, tachicardia e agitazione).
Conclusioni: i risultati dimostrano come il casco sia un dispositivo efficace nel trattare acutamente l’insufficienza respiratoria e meglio tollerato
dal bambino rispetto alla stessa modalità ventilatoria in maschera. Questa metodica richiede comunque di essere applicata unicamente in centri
di livello avanzato dove il personale è esperto nell’impiego della CPAP.
Parole chiave: CPAP, Casco, Maschera, Bambino, Insufficienza Respiratoria Acuta
Abstract
Introduction: up to a few years ago the artificial mechanical ventilation was the chosen modality on ventilation management of acute respiratory failure.
The tracheal intubation involves the risk of complications both in adult and paediatric population. The frequency of complications linked to this
practice can’t be ignored : retrospective studies quantify the incidence in 60%-70% of cases. The recent innovations of non invasive mechanical
ventilation prevent the complications of artificial mechanical ventilation (VAM) improving the resources employment. The main purpose of this
study was to evaluate the tolerability of mask/helmet CPAP, as well as assess the actual benefit of vital signs and blood gases in children aged 1
to 27 months
Methods: we conducted a single center study, prospective, observational at the Department of Intensive Care De Marchi Paediatric Clinic of the
“Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Milano“ whose objective was to evaluate the tolerability of CPAP helmet/mask, and its actual
benefits on the principal vital signs and blood gases. Pain was measured using the Objective Pain Scale (OPS) and the Comfort Scale. The study
was performed between January and September 2010 on 11 children aged between 1 and 27 months admitted to the Paediatric Intensive Care
Unit for a pulmonary disease.
Results: no patient treated with CPAP helmet has developed signs of intolerance, dislodgement of devices or pressure sores. They all had an improvement in their health conditions. All of them had the FiO2 reduced to 21% within 24 hours from the beginning of the treatment, maintaining a
good trend in vital signs: SatO2 between 95% and 100%, avg HR 130±26 bpm, RR 45±10/60 Hz, avg BP 110±7, 58±8 and a 100% comfort. All
patients treated with the mask had an disadvantageous outcome: one has soon developed a severe hypercapnea and has been intubated after 24
hours from the beginning of CPAP treatment. The other three passed to the helmet after 10/15 mins from the beginning of the ventilation treatment with the mask, due to important signs of intolerance to it (inconsolable crying, tachycardia and agitation).
Conclusion: the results show that the helmet is an effective device in the treatment of the acute respiratory failure and also better tolerated by
children rather than the same ventilation mode in mask. This method still requires to be only applied in advanced centers where the staff have
an expertise in the use of CPAP.
Keywords: CPAP, Helmet, Mask, Child, Acute Respiratory Failure
ARTICOLO ORIGINALE
PERVENUTO IL 5/6/2011
ACCETTATO IL 15/7/2011
GLI AUTORI DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO
DI INTERESSI.
CORRISPONDENZA PER RICHIESTE
MARIO MADEO - [email protected]
Introduzione
F
ino a pochi anni fa l’intubazione endotracheale era la
modalità prescelta nella
gestione ventilatoria dell’insufficienza respiratoria acuta.
Sebbene la ventilazione
meccanica invasiva (VAM)
sia molto efficace e sicura nel supportare la ventilazione alveolare, l’intubazione endotracheale comporta il rischio di
complicazioni sia nella popolazione
adulta che in quella pediatrica. La frequenza delle complicanze legate a questa procedura è forse più elevata di
quello che comunemente si pensi, infat-
2011;28 (3): 20-25
ti, studi retrospettivi ne hanno quantificato l’incidenza in circa il 60-70% dei
casi.1
Riuscire a prevenire l’intubazione significa ridurre l’incidenza di polmonite
legata all’uso del ventilatore (VAP) e
altre infezioni nosocomiali che si sono
rivelate le principali cause di aumento
della mortalità e di prolungamento della
degenza dei pazienti nei reparti di terapia intensiva.2, 3
Il recente incremento della ventilazione
non invasiva (NIV) in ambito acuto
tende a ridurre le complicanze della
ventilazione invasiva e di migliorare
l’impiego delle risorse.
L’obiettivo generale della NIV nell’insufficienza respiratoria acuta è di ripristinare l’equilibrio del sistema respiratorio, vale a dire diminuire il lavoro respiratorio,4 mantenendo il comfort del
bambino.
La Continuous Positive Airway Pressure
(CPAP) è una metodica di supporto
respiratorio non invasivo e consiste nell’erogazione di un flusso continuo nelle
vie aeree del paziente.
A oggi, la CPAP erogata tramite la
maschera o il casco, può essere considerata come trattamento respiratorio
non invasivo di prima linea nei neonati
e nei bambini affetti da insufficienza
respiratoria acuta di grado lieve/moderato.5 Le modalità di CPAP con la
maschera e con il casco sono ugualmente efficaci nell’incrementare il volume polmonare di fine espirazione e nel
minimizzare l’oscillazione della pressione respiratoria.6
L’interfaccia gioca un ruolo cruciale
nella NIV per quanto riguarda il
comfort,7 il successo o l’insuccesso
della NIV e gli effetti avversi, sia nella
popolazione adulta sia in quella pediatrica. La selezione dell’interfaccia per la
ventilazione non invasiva dovrebbe
quindi avvenire sulla base dei seguenti
criteri:
1. Esperienza locale del centro ove si
applica la NIV.
2. Modalità ventilatoria selezionata
(CPAP o modalità assistite/controllate).
3. Durata prevista del trattamento.
4. Gravità dell’insufficienza respiratoria
e tipo di respirazione (nasale o prevalentemente orale).
5. Anatomia del viso e del naso.
6. Adattamento del paziente a quel tipo
di protesi.8
L’obiettivo principale dello studio è di
valutare la tollerabilità del dispositivo
21
Figura 1. Objective Pain Scale (OPS)
maschera/casco da parte del bambino
di età compresa tra 1-27 mesi. La scelta
iniziale del device (casco o maschera) è
stata casuale.
Materiali e metodi
Si tratta di uno studio monocentrico,
prospettico, osservazionale eseguito
presso il Reparto di Terapia Intensiva
Pediatrica della Clinica De Marchi
“Fondazione Ca’ Granda Policlinico
IRCCS di Milano”.
I dati sono stati raccolti in modo anonimo solo dopo aver ottenuto dai genitori
del minore il consenso.
Il dolore è stato rilevato con intervallo di
sei ore con la Objective Pain Scale
(OPS) e la Comfort Scale (Figura1 e 2).
La prima nella fascia 1 mese-2 anni
prende in considerazione quattro item
rispetto ai cinque cui si fa riferimento
nelle età successive (3-7 anni): pressione sanguigna, pianto, movimenti e agitazione. È esclusa, considerata l’età, la
valutazione verbale. Si è deciso di utilizzare la Objective Pain Scale (OPS),
poiché tutti gli infermieri della rianimazione erano precedentemente formati
all’utilizzo di tale scale che viene utilizzata quotidianamente per la rilevazione
del dolore.
La seconda è invece una scala clinica
che valuta otto parametri (coscienza,
agitazione, risposta respiratoria, movimenti fisici, pressione arteriosa, fre-
22
2011;28 (3): 20-25
Figura 2. Comfort Scale
personale infermieristico per la valutazione del livello di sedazione del bambino.
Campione
Sono stati raccolti dati su bambini di età
compresa tra 1 e 27 mesi ammessi nella
Terapia Intensiva Pediatrica (TIP) per
distress respiratorio acuto10 tra gennaio
2010 e settembre 2010.
I criteri di ammissione erano:
1. necessità di un supporto respiratorio;
2. possibilità di intraprendere una metodica di ventilazione non invasiva;
3. dispnea con una FR maggiore a 40
atti/min per tutte le età;
4. l’impiego della muscolatura accessoria e una respirazione paradossa
addominale.
Equipaggiamento
Nello studio sono stati utilizzati due
diversi dispositivi per fornire la CPAP: la
maschera e il casco.
Il casco utilizzato (CaStar®, Starmed,
Italy) è un dispositivo per il supporto
respiratorio non invasivo, costruito in
Tabella 1. Maschera
quenza cardiaca, tono muscolare, tensione muscolare) assegnando a ciascuno un punteggio da 1 a 5 per cui il punteggio finale sarà compreso tra 8 (seda-
zione profonda) e 40 (sveglio). Un punteggio maggiore a 17 indica la necessità
di analgesici.9
La Comfort Scale è usata di routine dal
Foto 1.
Foto 2.
Parametri
FIO2
Media
0,2575
DS
0,08227
PO2
70,75
27,0404
PCO2
PH
PAO2/FIO2
PAS
PAD
FC
FR
ETÀ(mesi)
PESO(kg)
42,25
7,41
278,5
104
63
156
62,75
5,5
7,87
6,2599
0,0441
94,1607
20,0374
18,0138
8,8034
5,2618
5,7
2,55
Tabella 1. Casco
Parametri
FIO2
PO2
PCO2
PH
PAO2/FIO2
PAS
PAD
FC
FR
ETÀ(mesi)
PESO(kg)
Media
0,4728
71,4285
42,57
7,39
163
104
64,71
151,857
57,571
10,4
9,6
DS
0,17276
23,0766
5,9246
0,0740
50,4946
10,099
5,4697
18,1299
12,4539
7,94
3,23
23
2011;28 (3): 20-25
testa del bambino, che sono regolati in
modo da permettere la maggiore aderenza possibile al volto.
Anche il circuito della maschera è connesso al flussimetro doppio. Per evitare
cadute di pressione, sul circuito inspiratorio è applicata una sacca reservoir
(Foto 1 e 2).
Grafico 1
Entrambe le interfacce erogano una
CPAP che ha i seguenti vantaggi fisiologici:
• produce un pattern respiratorio più
regolare;
• ripristina e mantiene la Capacità
Funzionale Residua (CFR);
• riduce la resistenza delle vie aeree
superiori;
• determina un progressivo reclutamento alveolare, insufflando anche gli
alveoli collassati;
• riduce le apnee ostruttive.
Grafico 2
Monitoraggio
Sono state valutate le complicanze locali legate ai presidi utilizzati: lesioni cutanee, congiuntivite, distensione gastrica,
epistassi, perdita di dispositivi di monitoraggio invasivo (ad esempio CVC,
SNG) o lesioni pubiche, per tutta la
durata della CPAP tramite una apposita
scheda compilata dall’infermiere a fine
di ogni turno per tutto il periodo della
CPAP.
Inoltre, sono stati valutati i gas ematici
mediante emogasanalisi, ripetuti in tre
tempi: prima dell’inizio del trattamento
(rilevazione basale), all’inizio del trattamento e comunque entro un’ora (rilevazione CPAP), a 24 ore. La dinamica
respiratoria è stata valutata attraverso la
Frequenza Cardiaca, Pressione Arteriosa, Frequenza Respiratoria e Saturazione O2 in modo continuativo tramite
monitor.
PVC trasparente e privo di lattice. Un collare morbido in PVC, unito al casco da un
anello rigido, permette la tenuta del casco
alle spalle del piccolo paziente. Il fissaggio del casco è garantito dal baby-body
(da 5 a 15 kg) che si collega ai pomelli
presenti sull’anello rigido anteriormente e
posteriormente. Le misure utilizzate sono
state la small (volume interno dei gas di
circa 7 litri), adatta a bambini di peso
inferiore a 10 Kg, e la taglia large (volume
interno di gas di 9 litri) per bambini con
peso maggiore a 10 Kg.
Il dispositivo è connesso al flussimetro
doppio per erogazione di O2 e aria compressa, regolabili per garantire la FiO2
desiderata.
La maschera è costituita in materiale
plastico rigido, con un bordo soffice e
gonfiabile, così da aderire al volto senza
provocare eccessiva pressione o lesioni.
La taglia adeguata al bambino è stata
scelta in base alla conformazione del
viso per garantire il miglior comfort.
Il fissaggio della maschera avviene
mediante due laccetti, passanti dietro la
Risultati
I soggetti dello studio (6 femmine e 5
maschi) hanno un’età compresa tra 1 e
27 mesi (media 8,64 mesi) e un peso
compreso tra 5,25 Kg e 15 Kg (media
8,98 Kg). Sei di questi erano affetti da
bronchiolite e cinque da polmonite
acquisita in comunità.
Nelle tabelle 1 e 2 sono riportati valori
medi con deviazione standard dei
parametri vitali e i principali indici
2011;28 (3): 20-25
24
di 18.4±5.4 ore nelle 24 ore per una
durata complessiva di cinque giorni.
Durante le 24 ore di trattamento sono
state effettuate delle sospensioni dello
stesso per un tempo variabile da 1 a 4
ore al massimo.
Nessun bambino del gruppo casco ha
presentato segni di intolleranza al device né sviluppato lesioni cutanee, congiuntivite, distensione gastrica, epistassi,
perdita di dispositivi di monitoraggio
invasivo o lesioni pubiche, per tutta la
durata della CPAP. Due bambini inclusi nel gruppo casco hanno ricevuto una
minima sedazione con midazolam (0,1
– 3 gamma/kg/min) per migliorare la
loro compliance al trattamento.
I quattro bambini che hanno iniziato la
CPAP con la maschera, hanno avuto un
outcome sfavorevole: uno ha sviluppato
un quadro di ipercapnia severa ed è
stato intubato dopo 24 ore dall’inizio
del trattamento con CPAP. Gli altri tre
pazienti sono passati al trattamento col
casco dopo 10/15 minuti dall’inizio
della ventilazione con maschera, a
causa di importanti segni di intolleranza
al dispositivo (pianto non consolabile,
tachicardia e agitazione) nonostante
una dose di midazolam.
Ovviamente, in questi soggetti non
sono stati rilevati i valori ematici dell’emogasanalisi poiché il tempo intercorso tra l’inizio del trattamento e il
tempo di adattamento dell’organismo
alla CPAP è stato insufficiente.
Grafico 3
Grafico 4
Variabili di Outcome: scambio di gas
Tutti i pazienti sottoposti al trattamento
col casco CPAP hanno avuto un netto
miglioramento del quadro clinico, con
possibilità, a 24 ore dall’inizio del supporto, di ridurre la FiO2 al 21% mantenendo buoni parametri vitali (Grafico 1):
SatO2: compresa tra 95% e 100%
FC media: 130±26 bpm
FR media: 45±10 atti/min
PA media: 110±7 / 58±8 mmHg
Grafico 5
Analogamente, tutti e 7 i soggetti hanno
presentato un miglioramento del rapporto PaO2/FiO2 all’inizio del trattamento CPAP, ancora più evidente nella terza
rilevazione, a 24 ore. La media del rapporto è passata da 163±50.5 a
482±93.8. (Grafico 2)
emogasanalitici, a livello basale, dei
pazienti ammessi allo studio dei due
gruppi: gruppo maschera formato da 4
bambini e gruppo casco formato da 7
bambini.
Il casco è stato applicato per una media
L’applicazione della CPAP col casco
consente un miglioramento generale dei
gas ematici, compresa la PCO2: essa
tende a stabilizzarsi a 24 ore dall’inizio
del trattamento, con una PCO2 media
che raggiunge il valore di 37.3±3.7
mmHg. (Grafico 3)
Il pH stesso (range di normalità tra 7.357.45) evidenzia la positività del trattamento con il casco. Solo in un caso
abbiamo avuto un aumento del pH, che
però è rientrato nei range nelle 24 ore di
trattamento.
Se il valore basale di pH è 7.39±0.07, a
24 ore di trattamento, il pH è
7.41±0.03. (Grafico 4)
I punteggi della valutazione del dolore
sono passati da 18±4 (basale) a 17±3
(all’inizio del trattamento CPAP), a 17±2
(a 24 ore dall’inizio della CPAP). Ciò
indica che il trattamento col casco è
stato ben tollerato e il comfort del bambino è stato assicurato.
Discussione
Nelle unità di Terapia Intensiva
Pediatrica il fallimento della ventilazione non invasiva varia tra 10-40%.11 Nei
bambini piccoli, specie sotto a 1 anno,
la percentuale sale ancora, soprattutto
per il difficile adattamento dell’interfaccia al volto del bambino.
Il casco costituisce una valida alternativa a questa problematica poiché, per la
sua conformazione, evita qualsiasi contatto diretto con il volto del paziente.
Grazie a ciò le complicanze che si potevano riscontrare con l’impiego della
maschera (lesioni cutanee, congiuntiviti, distensione gastrica, epistassi, perdita
di dispositivi invasivi), hanno un’incidenza prossima allo zero.
Il supporto respiratorio non invasivo
CPAP, ha portato ad un miglioramento
delle condizioni cliniche generali dei
piccoli pazienti:
1. miglioramento dello stato di coscienza,
2. diminuzione della frequenza respiratoria,
3. aumento della saturazione di ossigeno,
4. aumento del rapporto PaO2/ FiO2,
5. diminuzione della PaCO2 e normalizzazione del pH.
Conclusioni
Sebbene il numero di bambini sia esi-
guo, possiamo affermare che il casco
è un’interfaccia sicura e ben tollerata
dai bambini piccoli che hanno bisogno di un trattamento ventilatorio non
invasivo.
Questa metodica richiede comunque di
essere applicata unicamente in centri di
livello avanzato dove il personale è
esperto nell’impiego della CPAP. A oggi
non esistono linee guida rispetto ad un
suo impiego anche all’esterno dell’area
di Terapia Intensiva.
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RICERCA
2011;28 (3): 26-30
26
Strumenti di misura, validità e affidabilità:
guida minima alla valutazione critica delle scale
Measuring tools, validity and reliability: guide to the minimum critical evaluation of the measurement
instrument
Alvisa Palese, Professore Associato di scienze Infermieristiche, Università degli studi di Udine
Riassunto
Negli ultimi anni si è sviluppato in Italia, sia nella clinica sia nella ricerca e nella didattica, un crescente interesse verso le scale di misurazione.
Le scale sono utili ed efficaci quando effettivamente misurano ciò per cui sono state sviluppate e rispondono a requisiti di affidabilità e accuratezza. Per i paesi come l’Italia, il processo di validazione, quando vengano utilizzate scale sviluppate in altri paesi, richiede anche la valutazione linguistica e culturale. Nell’articolo si descrive una guida minima alla valutazione critica delle scala al fine di aiutare gli infermieri ad una
scelta attenta della scala da utilizzare nella pratica clinica.
Parole chiave: Scale di Misura, Strumenti, Validazione, Guida Minima
Abstract
In recent years, a growing interest in the measurement tools is developed within Italian nursing profession both at clinic and research/teaching
level. Measurement tools are useful and effective when they meet the requirements of reliability and accuracy. In countries such as Italy, when
nurses adopt scales developed in other countries, the validation process requires also a process aiming to validate the scale under the language
and culture perspective. A guide to critical appraisal of the tools is described in the article in order to assist nurses in the decision making on le
best scale.
Key word: Instruments, Tools, Scales, Measurement, Validity, Accuracy, Critical Appraisal
L
REVISIONE
PERVENUTO IL 21/05/2011
ACCETTATO IL 06/06/2011
L’ AUTORE DICHIARA DI NON AVER CONFLITTO DI
INTERESSI.
CORRISPONDENZA PER RICHIESTE
ALVISA PALESE - [email protected]
a misurazione è parte essenziale della pratica e della
ricerca infermieristica: possono essere misurati i problemi attivi (ad esempio la
dipendenza nelle attività di
vita quotidiane) o di rischio
(ad esempio di lesioni da decubito o
cadute) dei pazienti; può essere valutata
la loro evoluzione nel tempo per sorvegliarne il miglioramento e/o il peggioramento e per verificare l’efficacia degli
interventi infermieristici messi in atto.
Oltre alle misure utilizzate dagli infermieri clinici, può essere misurata la percezione dei pazienti, degli studenti e
degli stessi infermieri. Anche nell’infermieristica, come in altre discipline, tutto
può potenzialmente essere misurato ma
a volte mancano gli strumenti.
Nella pratica clinica, la misurazione ha
la principale finalità di sostenere l’assunzione delle migliori decisioni; inoltre, rende più oggettiva la descrizione di
un fenomeno e consente la valutazione
dei cambiamenti e l’efficacia/inefficacia
di un intervento. Nella ricerca, la misurazione consente ad esempio la valutazione della confrontabilità di due cam-
pioni (casi e controlli) rispetto a un fattore di rischio, ma consente anche la
valutazione degli effetti di una variabile.
Per misurare sono utilizzati numerosi
strumenti (griglie di valutazione, scale,
questionari) citati in letteratura come
instrument, tool, scale, questionnaire,
la cui scelta è cruciale perché, la loro
capacità di misurare effettivamente ciò
che si vorrebbe (validità) restituendo un
valore accurato e preciso (affidabilità)
assicura che l’informazione raccolta sia
di buona qualità. Una scarsa qualità
delle informazioni può generare pessime decisioni (ad esempio, posticipare il
posizionamento di un materasso da
decubito ad un paziente sottostimato
nel suo rischio di lesioni); costi eccessivi o livelli disomogenei di assistenza (ad
esempio un paziente che riceve immediatamente un materasso antidecubito
senza che questo sia effettivamente
necessario); la raccolta di dati inaccurati e pertanto inutilizzabili sia per la pratica sia per la ricerca; una scarsa qualità
delle informazioni può anche generare
effetti sugli infermieri che, accorgendosi
della inutilità delle proprie rilevazioni e
impegnati in molte (troppe) raccolte
27
2011;28 (3): 26-30
dati, possono sviluppare una progressiva diffidenza verso la compilazione
degli strumenti.1
Negli ultimi trent’anni, il dibattito scientifico e professionale italiano ha sviluppato crescente attenzione sugli strumenti di misura. Dal 1985, quando è stato
pubblicato uno dei primi articoli indicizzati sulla prevalenza delle lesioni da
decubito utilizzando la scala di Norton,2
il dibattito si è progressivamente focalizzato sulla validazione delle scale prodotte in altri paesi al fine di renderle
disponibili agli infermieri italiani.3 Più
recentemente, si è iniziato a validare
strumenti originali italiani4-5 e i progetti
di ricerca hanno iniziato a includere, tra
i propri strumenti, scale validate.6
Parallelamente, i corsi di laurea in infermieristica stanno attribuendo maggiore
enfasi all’uso delle scale sia nei corsi
teorici sia nei tirocini: docenti e studenti sono supportati da libri che documentano numerose scale di interesse infermieristico.7-8 Anche la Federazione
Nazionale Colleghi Ipasvi ha promosso
e sostenuto il dibattito9 attivando un
progetto di ricerca specifico per la validazione dello strumento10 che misura la
complessità assistenziale dei pazienti.
Molti programmi di rilievo nazionale
(ad esempio l’ospedale senza dolore11)
stanno inoltre sostenendo l’esigenza di
adottare strumenti di misurazione dei
problemi dei pazienti.
Nonostante il crescente dibattito, pochi
sono gli articoli che riportano la validazione degli strumenti in uso e sono poco
diffuse (anche perché considerate molto
avanzate), le conoscenze che aiutano a
comprendere il grado di validità e affidabilità di uno strumento di misurazione. Inoltre, non esiste una banca dati
italiana sugli strumenti già validati e per
gli infermieri che hanno bisogno di
misurare, il reperimento di validi strumenti non è facile. Il rischio è che si utilizzino strumenti poveri nella qualità
che restituiscono misure inaffidabili e
imprecise; oppure che si proceda nella
produzione di scale “in proprio” senza
verificarne la validità; oppure, ancora,
che si adottino nella pratica scala dal
nome importante e noto in letteratura
ma di cui non è dato a conoscere se
sono state validate nel nostro contesto
(con il rischio che siano traduzioni non
verificate).
Commentare le proprietà di uno strumento valido - a un primo livello - per
supportare gli infermieri nella scelta del
migliore strumento da utilizzare nella
pratica e nella ricerca è la finalità del
presente articolo.
Le ragioni
Una disciplina scientifica che desidera
accrescere la conoscenza deve quantificare le sue osservazioni1 dimostrando di
avere la capacità di misurare ciò che
teoricamente si propone di misurare (ad
esempio il caring, l’assistenza, il coping,
l’empowerment) e per cui come professione esiste. Gli infermieri, ad esempio,
sulla base del loro profilo, attivano strategie relazionali per aumentare il
confort, facilitare il coping, sostenere o
motivare un paziente ad aderire alla
terapia prescritta. Per misurare l’efficacia, devono poter ‘catturare’ le modificazioni nel confort, nelle abilità di
coping, e nella motivazione nei pazienti che gestiscono misurando prima e
dopo il proprio intervento. Per l’infermieristica, diversamente dalla medicina
che ha numerose misure strumentali (ad
esempio i mg/dl di emoglobina, la
sodiemia) la misurabilità di un fenomeno è più complessa e come tale richiede chiarezza nei concetti (che cosa è il
coping? che cosa è l’empowerment?).
Anche per altre discipline (ad esempio
la psichiatria) o per specifici problemi
(ad esempio nella fase terminale dei
pazienti), la misurazione è difficile perché richiede la traduzione operativa di
ciò che si vuole misurare: solo dopo
aver tradotto operativamente ciò che si
vuole misurare è possibile costruire uno
strumento.
Esistono tuttavia altre ragioni specifiche
che sostengono l’esigenza di introdurre
nella pratica strumenti di misurazione
validati:
a. nella clinica, la misurazione ha (o
dovrebbe avere)12 un effetto sulle
decisioni del singolo infermiere, del
gruppo e di quelle collaborative con
la professione medica o altre professioni: ad esempio, l’utilizzo della
scala Braden per misurare il rischio di
lesioni da decubito, consente la presa
di decisione rispetto al materasso da
posizionare. Oppure, la misura del
rischio di malnutrizione di un paziente appena ricoverato utilizzando la
Mini Nutritional Scale, indica l’esigenza di personalizzare la nutrizione
e potenziare la sorveglianza nutrizionale.
b. a livello di sistema, invece, il raggruppamento di singole misure raccolte sul paziente (ovvero di tutte le
schede Braden e Mini Nutritional
Assesment compilate) consente (o
dovrebbe consentire) una fotografia
dei fenomeni nel loro insieme, la
costruzione di indicatori e il loro
monitoraggio nel tempo per assumere
decisioni di sistema. Confrontare
annualmente quanti pazienti hanno
sviluppato lesioni da decubito tra
quelli a rischio è una strategia di sorveglianza importante per un ospedale; oppure contare quanti pazienti
hanno effettivamente sviluppato la
malnutrizione alla dimissione tra
coloro individuati a rischio al ricovero, consente di riflettere sul sistema
dietetico, della distribuzione dei
pasti, sul tempo dedicato all’aiuto dei
pazienti dipendenti ma anche comprendere l’eccedenza di complicanze
o della degenza. È noto, infatti, l’effetto della malnutrizione sulla durata
della degenza e sulla quantità di complicanze dei pazienti ospedalizzati.13
L’aggregazione dei singoli dati e la
costruzione di report da inviare alle
strutture che hanno partecipato alla
raccolta dati, consente l’attivazione di
programmi di miglioramento, lo sviluppo di una diffusa consapevolezza
sull’importanza dei dati raccolti e una
revisione sistematica della loro qualità.
c. a livello di macro sistema, invece,
disporre di misure sintetiche consente
la messa a fuoco di politiche e/o di
raccomandazioni di indirizzo regionale e/o nazionale.14 Ad esempio, se
potessimo disporre in Italia di un set
essenziale di strumenti di valutazione
applicati a tutti quelli che sono ricoverati (ad esempio lesioni da decubito, stato nutrizionale, cadute, infezioni, dipendenza nelle ADL) potremmo
valutare l’impatto della quantità di
risorse umane su larga scala e definire, come peraltro hanno fatto in altri
paesi da molto tempo,15 gli standard
minimi di assistenza al di sotto dei
quali non è prudente scendere.
Gli strumenti
Si definisce “strumento di misura” la
raccolta di item combinati in un
punteggio che rilevano operativamente le variabili teoriche che non
28
2011;28 (3): 26-30
possono essere direttamente osservate. 1 Uno strumento può essere in
forma di:
a. questionario come ad esempio la
Mini Mental State Examination da
somministrare oppure l’Anxiety and
Depression Hospital Scale da utilizzare come self-report,
b. griglia di osservazione e/o di rilevazione guidata dei dati prevalentemente tramite l’osservazione diretta come
ad esempio la Braden e la Norton
Scale,
c. questionario misto a griglia di raccolta dati in cui sono richieste altre strategie di misurazione: ad esempio la
Mini Nutritional Assesment prevede
domande dirette e la raccolta dati
attraverso strumenti (peso, altezza).
Ciascuno strumento può utilizzare una
scala nominale, ordinale, intervallare e
rapporto. La misurazione può esitare in
un punteggio complessivo (ad esempio
l’intensità del dolore), oppure in una
valutazione sull’intensità del problema
o del rischio del paziente (ad esempio
nullo, medio, elevato rischio) o, ancora,
in un cut-off che distingue i pazienti che
hanno un problema da quelli che non
ce l’hanno (ad esempio, l’Hospital
Anxiety and Depression Scale individua
i pazienti in ansia e depressione rispetto
a quelli non affetti). Esistono numerose
pubblicazioni che descrivono nel dettaglio gli strumenti e che possono essere
consultate per approfondirne le caratteristiche. 1-16-17-18-19 La questione cruciale,
tuttavia, non è tanto la quantità di strumenti da adottare quanto la loro relazione con gli esiti sensibili alle cure infermieristiche (dovremmo prioritariamente
misurare ciò che è associato e/o attribuito alle cure infermieristiche) e la validità/affidabilità delle misure che producono.
Il problema italiano
Molti strumenti sono originati e validati
in un paese diverso da quello Italiano.
Per gli infermieri italiani (ma anche di
altri Paesi non madrelingua inglese) che
rintracciano una scala sviluppata in un
contesto ed in una lingua diversa, è
necessario attivare un percorso di validazione. Ad esempio, se un gruppo di
infermieri di struttura residenziale rintraccia l’Abbey scale per la misurazione
del dolore nel paziente con declino
cognitivo (che rileva i comportamenti
associati a dolore),20 dovrebbero chiedere preliminarmente l’autorizzazione
all’autore e quindi tradurre lo strumento
nella lingua italiana coinvolgendo
esperti sul contenuto (ad esempio nelle
manifestazioni del dolore nei pazienti
con demenza) e nella lingua (italiano e
inglese). Questo processo (denominato
forward translation) può introdurre
prime distorsioni nella scala e pur assicurando l’appropriatezza linguistica
della traduzione, il suo risultato non
necessariamente è valido dal punto di
vista culturale. Un altro problema
riguarda il rapporto con gli autori che
hanno sviluppato la scala originale: più
gruppi di ricerca italiani potrebbero
essere contestualmente interessati a una
stessa scala e inoltrare multiple richieste
di autorizzazione allo stesso autore:
forse avrebbe più senso conoscere quali
sono in fase di validazione attraverso
un registro “pubblico” affinché sia possibile partecipare alla validazione o
procedere nella validazione di altre
scale. Le risorse a disposizione per la
ricerca, infatti, non sono molte.
Il passaggio successivo alla validazione
culturale e linguistica delle scale è la
backward translation dove un’altra persona competente nella lingua italiana e
inglese, adeguatamente preparata, traduce la nuova versione dall’italiano
all’inglese che può essere sottoposta
alla valutazione finale dell’autore della
scala originale. A questo punto, è necessario ri-validare la scala come fosse di
nuova produzione, anche se esistono
già articoli sulla sua validazione.16
Il problema di tutti i paesi
Superato il problema della lingua e
della cultura, gli infermieri di tutti i
paesi dovrebbero essere certi di utilizzare strumenti di misurazione validati:
ovvero sottoposti a un procedimento
rigoroso che al suo termine assicura che
gli stessi sono in grado di misurare effettivamente ciò che ci si aspetta di misurare in modo accurato e preciso. Gli
studi di validazione delle scale sono
numerosi: le pubblicazioni spesso riportano tutti i dati di validazione (o proprietà psicometriche) che sono difficili
da comprendere per chi deve decidere
se adottare la scala oppure no. Inoltre,
spesso le pubblicazioni si soffermano
sui risultati della validazione ma non
riportano le scale a causa di problemi di
copyright rendendo di fatto difficile il
reperimento. Per il faticoso percorso di
validazione, ma anche per ridurre lo
sviluppo di molte scale che valutano
senza sostanziali differenze, lo stesso
problema, numerosi autori suggeriscono
l’uso di scale già validate.
Guida minima
Se la scelta è di avvalersi di scale già
validate, per decidere quale strumento
di misura adottare è necessario recuperare articoli o materiali che documentino le proprietà psicometriche della
scala e la sua accettabilità per gli infermieri che la utilizzeranno e per i
pazienti cui verrà somministrata.16
Questi aspetti possono essere valutati
ponendosi alcune domande guida
(Tabella 1).
Conclusioni
Ovviamente questa guida minima è
orientativa: potrebbero essere offerti
numerosi esempi (ad esempio, sulla
qualità della vita) che richiedono altre
valutazioni. Inoltre, tutte le scale hanno
una propria validità esterna: ovvero
deve essere verificata la popolazione su
cui sono state validate e che potrebbe
avere caratteristiche diverse da quella di
nostro interesse (ad esempio, il valore di
cut off della Braden potrebbe essere
poco specifico per i pazienti ricoverati
in terapia intensiva). Infine, l’analisi
dovrebbe essere completata con la validità di costrutto (composta dall’analisi
fattoriale, dalla validità convergente,
discriminante e multimetodo) ovvero
sul grado con cui la scala misura effettivamente il costrutto o la teoria di riferimento. Tuttavia, valutare i criteri di base
offerti, aiuta a scegliere strumenti di
misura che hanno maggiore probabilità
di offrire misure valide ed affidabili.
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29
Tabella 1. Guida minima alla valutazione di uno strumento di misura1,16,17,18,19
Validità
a) Validità di contenuto (content validity): dimostra che gli item della scala rappresentano completamente il problema. Leggendo
l’articolo che riporta la validazione della scala che vuoi adottare, verifica se i ricercatori hanno verificato se la scala include
tutte le caratteristiche, le dimensioni e/o gli attributi del fenomeno che si propone di misurare. Oppure, se hanno valutato il
contenuto di ciascuna variabile che deve corrispondere esattamente al nome attribuito alla variabile: ad esempio, se un item
intende misurare la fatica al risveglio dei pazienti con scompenso cardiaco, il contenuto degli item dovrebbe esprimere davvero tutte le dimensioni della fatica percepita dal paziente al risveglio. Valuta, anche se i ricercatori hanno riportato come
hanno scelto il numero degli item della scala rispetto all’importanza di ciascuna dimensione del fenomeno che intendono
misurare, ovvero se la scala ha una sua distribuzione interna tra le sottoscale ragionevole. Per ottenere questo tipo di validità,
i ricercatori dovrebbero aver coinvolto esperti del settore, chiedendo l’espressione di un proprio parere.
b) Validità di facciata (face validity): è, secondo alcuni,16 una dimensione della validità di contenuto mentre secondo altri1 un
aspetto non necessariamente da valutare. Esprime se i ricercatori si sono preoccupati di valutare, con l’aiuto di esperti, se è
immediatamente evidente ciò che la scala intende valutare. Non esprime la validità della scala17 e pertanto non è sempre documentata. Se non la rintracci tra i materiali che disponi, non costituisce di per sé un errore.
c) Validità di criterio (criterion validity): ve ne sono almeno due, una concorrente e una predittiva che esprimono l’accuratezza
della scala. Verifica tra gli articoli o i materiali che disponi se i ricercatori hanno valutato l’una o l’altra: la prima può essere
stata testata verificando se lo strumento che hanno creato (ad esempio una nuova scala di valutazione del rischio di lesioni da
decubito) correla con una scala considerata ‘gold standard’ (ad esempio la Braden). In questo caso, il punteggio totale ottenuto dalla nuova scala dovrebbe correlare con quello ottenuto dalla migliore scala sino a quel momento conosciuta e somministrata a un gruppo di pazienti nello stesso momento. Il livello di accettabilità della correlazione dovrebbe essere ≥0.70.
Quando tali valori sono elevati, si può dire che la nuova scala ‘funziona’ e magari può sostituire la precedente, se particolarmente impegnativa nella somministrazione e/o richiedeva molto tempo.
La validità predittiva, invece, riporta alla specificità e sensibilità dello strumento: ovvero a quanti falsi negativi e positivi individua, valori che devono attestarsi ≥ 80%.
La lettura dei dati sulla validità di criterio ti aiuta a capire: 1) se la scala che stai proponendo è effettivamente migliore della
scala che stavi utilizzando o che la letteratura considerava come gold standard; 2) se la scala che stai proponendo nel tuo contesto (ad esempio per selezionare gli utenti da ammettere in un nucleo Alzheimer di una casa di riposo) riuscirà a individuare
le persone che hanno effettivamente il problema (sensibilità) e coloro che invece non lo hanno (specificità).
Affidabilità
d) Consistenza interna (internal consistency): misura il grado con cui ogni item è un buon indicatore di un altro item della stessa scala, ovvero quanto la scala è omogenea. Tale valutazione è effettuata indagando le correlazioni tra tutti gli item della
scala, o di una parte della scala oppure nella metà della scala quando può essere articolata in due parti. Puoi facilmente rintracciare se i ricercatori hanno valutato la consistenza interna della scala leggendo se hanno riportato l’alpha di Crombach che
può restituire valori da 0 a 1: quando la consistenza è molto bassa (ad esempio 0.40) significa che gli item non derivano dallo
stesso dominio concettuale (ovvero misurano cose diverse), quando è alta (ad esempio 0.98) significa che misurano sempre lo
stesso ambito. Il livello di accettabilità per considerare consistente la scala è da 0.70 a 0.90. Tuttavia non ha molto senso ricercare questo valore se non si è preliminarmente valutata la validità.
e) Stabilità (stability), in altre parole la capacità dello strumento di riprodurre gli stessi risultati nel tempo, osservando ad esempio il paziente in due occasioni. Ricerca nell’articolo o nei materiali se alla scala è stato applicato il test-retest. Per le variabili continue è possibile valutare la stabilità esplorando le correlazioni dei punteggi prodotti alla prima ed alla seconda somministrazione (Test di Pearson). Nel caso di dati ordinali (ad esempio questionari che richiedono una risposta articolata in “molto,
abbastanza, per niente”) sarà stato adottato il Test di Spearman. I risultati accettabili vanno da ≥0,70 a ≥ 0,80. I ricercatori
devono aver riportato il tempo trascorso da una somministrazione all’altra e devono essersi assicurati che i partecipanti non
abbiano risposto allo stesso modo perché hanno memorizzato le risposte; devi accertarti inoltre che durante il tempo intercorso non siano intervenuti altri fattori come il cambiamento della situazione del paziente: ad esempio, nella prima somministrazione una scala può restituire una complessità assistenziale di 20 e nella seconda di 10. Non necessariamente vi è una bassa
stabilità della scala perché possono essersi modificate effettivamente le condizioni dei pazienti valutati.
f) Concordanza intervalutatore (inter-rater reability): esprime il grado di accordo tra due valutatori che in modo indipendente
somministrano la scala allo stesso paziente. Ricerca nell’articolo se la scala è stata sottoposta al test K di Cohen che può andare da 0 a 1: se è 0 non è accettabile, significa che i due valutatori hanno risposto in modo completamente diverso quando
esposti ad osservare in cieco lo stesso fenomeno; se è ≤0.40 il livello di accordo è considerato debole, da 0.41 a 0.50 moderato, da 0.61 a 0.80 buono e da 0.81 a 1 molto elevato. Se la concordanza intervalutatore non è buona, verifica se i ricercatori hanno condotto una valutazione della concordanza intravalutatore (intra-rater reability), chiedendo a un singolo valutatore di misurare la stessa situazione ma in tempi diversi: potrebbe essere, infatti, che il basso accordo non dipenda dai due valutatori ma da uno dei due che non ha compreso il metodo di valutazione, compie degli errori, o altro.
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30
Stop al Senato per il disegno di
legge sulle professioni sanitarie
Il ministro della Salute, On. Fazio, si pronuncia a favore degli Ordini professionali e auspica che il Ddl che istituisce nuovi Ordini e Albi per le professioni sanitarie possa presto riprendere il suo iter per l’approvazione. Le
professioni sanitarie, secondo il Ministro, “hanno funzioni fondamentali
che richiedono grande attenzione e vigilanza per contrastare l’abusivismo
e i comportamenti poco corretti. Credo quindi che sia molto importante
andare avanti con il ddl sulle professioni sanitarie la cui discussione non è
stata sospesa per ragioni ideologiche ma per un problema tecnico che mi
auguro possa risolversi già la prossima settimana”.
Il Ministro ha affermato l’importanza di questo ddl e la diversità delle professioni sanitarie rispetto alle altre professioni.
Annalisa Silvestro, presidente della Federazione dei Collegi Ipasvi
“Siamo molto colpiti e sconcertati. Gli onorevoli e i senatori forse non
sono a conoscenza del fatto che abbiamo già il Collegio provinciale aggregato in una federazione nazionale. Per quanto ci riguarda, si tratterebbe
solo di una mera trasformazione di questi Collegi in Ordini, visto che, tra
l’altro, la nostra legge ordinistica è esattamente uguale a quella dei medici”. Questo il commento di Annalisa Silvestro alla notizia dell’arresto del
Ddl benché fosse stato approvato in commissione Salute del Senato con
voto bipartisan.
Il problema, secondo la Presidente Silvestro, è con ogni probabilità legato
all’attuale dibattito sull’ordinistica, “anche se, il relazione agli infermieri,
non è possibile di certo parlare di tentativi per non liberalizzare la professione visto non c’è alcuna preclusione all’inserimento nella professione, né
nella formazione.
A far aumentare il livello di irritazione è anche il sospetto che, se da una
parte viene rimandato il percorso degli infermieri, dall’altro potrebbe esser
mandato avanti senza troppi problemi quello relativo all’innovazione delle
norme ordinistiche riguardanti medici, farmacisti e veterinari. “La cosa
potrebbe infastidirci molto – ha ammonito Silvestro – poiché sarebbe il
palesarsi di una vera discriminazione”.
Le stesse parole di contrarietà al provvedimento pronunciate ieri dal sen.
Francesco Rutelli hanno palesato per Silvestro “una scarsa conoscenza
delle situazioni e una diffusa tendenza a generalizzare, visto che non si
parla di categorie sulle quali poter fare valutazioni di tipo corporativo e
che non andrebbero ad inficiare nulla sul mercato del lavoro”. Anche dal
punto di vista economico, “non sarebbe di certo un ulteriore onere a carico dello Stato – ha concluso - i Collegi sono totalmente autofinanziati, non
chiediamo allo Stato neanche un euro, e quindi non capiamo quanto sta
accadendo, se non per una presa di posizione totalmente ideologica”.
BIOETICA
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31
Morte e morire: le emozioni vissute dagli infermieri
in Pronto Soccorso
Death and dying: the nurses’ emotions in Accident and Emergency
Elsa Labelli, Dott.ssa Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Corso di laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Padova, sede di
Portogruaro (VE)
Laura Bertossi, Infermiera, Medicina ASS n°5 “Bassa Friulana”, Palmanova (UD)
Cristiano Cortello, Infermiere, Master 1° livello di Area Critica in Anestesia e Rianimazione, Master 1° livello in Coordinamento Professioni Sanitarie
Riassunto
Introduzione: la realtà improvvisa e scioccante della morte non è mai lontana dalla vita quotidiana dei Pronto Soccorso. In tutti i casi, l’evento
luttuoso provoca spesso un’ansia acuta, il rischio di una crisi d’identità, il senso d’insicurezza, la disperazione e la rabbia. Tale aspetto nella pratica infermieristica ha portato a stressanti e insostenibili esperienze, lasciando nel professionista un’eredità d’inadeguatezza, disagio e insoddisfazione, rappresentando una minaccia per la competenza professionale.
Obiettivo: lo studio di tipo qualitativo intende identificare le principali emozioni e sentimenti vissuti dagli infermieri di emergenza (Pronto
Soccorso), in seguito alla morte improvvisa di loro assistiti e descrivere l’esperienza di sofferenza e di elaborazione del lutto degli stessi.
Materiali e metodi: dal 28 giugno al 25 luglio 2010 nel Pronto Soccorso dell’Ospedale di Portogruaro (VE), sono stati raccolti, per mezzo di interviste semi-strutturate, i vissuti degli infermieri che hanno esperito almeno un decesso di un assistito. Sono stati intervistati 9 infermieri su 20 in
dotazione organica.
Risultati: il 55,56% del campione erano femmine, il 44,44% maschi. È emerso che il 78% degli infermieri sui 9 intervistati, ha presentato distacco emotivo in situazioni di morte, il 44,44% ha dichiarato di aggrapparsi disperatamente a qualcosa per dar senso alla morte, il 33,33% che si
è occupato di attività diversive, assumendo comportamenti di evasione dalla notizia del decesso inatteso e improvviso. Rispetto alle emozioni
percepite, si è rilevato nel campione una prevalenza del 100% di sentimenti di accettazione, dolore e tristezza, seguiti per l’89% da angoscia.
Conclusioni: le esperienze di sofferenza evidenziate degli infermieri sono accompagnate da sentimenti di tristezza, angoscia e dolore. La totalità del
campione, attraversando in modo diversificatole fasi di elaborazione del lutto, dichiara di aver acquisito la consapevolezza di quanto accaduto. Gli
infermieri stessi affermano e dimostrano di attribuire a tali esperienze di morte, un significato positivo di crescita personale e professionale.
Parole chiave: Emozioni, Pronto Soccorso, Infermieri, Morte Improvvisa, Lutto, Elaborazione del Lutto
Abstract
Introduction: the sudden and shocking reality of death is never far away from the daily life of A & E. In all cases, in fact, the sad event often causes acute anxiety, the risk of an identity crisis, the sense of insecurity, despair and anger. This aspect in nursing practice has led to stressful and
unsustainable experiences and a sense of inadequacy, discomfort and dissatisfaction, which represent a threat to professional competence.
Objective: the qualitative study identifies the key emotions and feelings experienced by emergency nurses following the sudden death of their
patients and describe the experience of suffering and mourning of the same nurses.
Materials and methods: from June 28th to July 25th, 2010 in the A & E of Hospital in Portogruaro (VE), the background of nurses who have experienced at least one death of a patient was collected through semi-structured interviews,. Interviews were conducted with 9 out of 20 nurses in
staffing.
Results: the 55.56% were females, 44.44% male. It showed that 78% of the nurses interviewed presented emotional detachment in situations of
death, 44.44% said to desperately cling to something to give meaning to death, the 33.33% were involved in diversionary activities, behaving
with evasiveness to avoid the news of the unexpected and sudden death. With regards to the emotions felt, it was found a feeling of acceptance,
pain and sadness in 100% of the sample and of anxiety in the 89%.
Conclusions: we highlighted the existing nurses’ experiences of suffering accompanied by feelings of sadness, anxiety, pain and disgust. The
whole sample, more or less evenly across the various stages of the grieving process, claims to have acquired the awareness of what happened.
Despite the recognition of a missing psychological support, nurses say and show to give these death experiences, a positive sense of personal and
professional growth.
Keywords: Emotions, Accident and Emergency, Nurses, Sudden Death, Bereavement, Mourning
Introduzione
ARTICOLO ORIGINALE
PERVENUTO IL 8/4/2011
ACCETTATO IL 19/5/2011
GLI
AUTORI DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO
DI INTERESSI.
CORRISPONDENZA PER RICHIESTE
DOTT.SSA ELSA LABELLI,
[email protected]
I
n una società ove vi è un mutismo
disumano, un’emarginazione dalla
dimensione sia individuale sia collettiva del vivere e una sordità totale di fronte alla morte e al lutto,1 è
importante che l’infermiere trovi
degli spazi strutturati in cui potersi
domandare che cosa è la morte e nei
quali possa far emergere le emozioni
che sorgono dopo tale esperienza.2 La
realtà improvvisa e scioccante della
morte non è mai lontana dalla vita quotidiana dei Pronto Soccorso.3
Frequentemente, difatti, si entra in contatto con la sofferenza del decesso dei
pazienti e la necessità di fornire assistenza empatica ai parenti in lutto.4 Alla
morte è associato l’inevitabile assalto
delle forze interiori che, potendo essere
visibili, rappresentano una minaccia per
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la competenza professionale. In tutti i
casi, l’evento luttuoso provoca spesso
un’ansia acuta, il rischio di una crisi d’identità, il senso d’insicurezza, la disperazione e la rabbia.5 Tale aspetto nella
pratica infermieristica ha portato a stressanti e insostenibili esperienze, lasciando
nel professionista un’eredità d’inadeguatezza, disagio e insoddisfazione.6 Il percorso emotivo del lutto, così come suggerisce Kübler-Ross, parte dal rifiuto della
perdita e dall’isolamento, per transitare
attraverso uno stato di collera con successive fasi del venire a patti e della
depressione, e infine per approdare nello
stato di accettazione in cui, con gran
dolore, la morte avvenuta viene ammessa.7 Vivere correttamente le fasi del lutto,
permette a chi lo sperimenta di renderlo
più tollerabile, di far sì che i propri sentimenti non incidano sul rapporto con
coloro nei cui confronti hanno precise
responsabilità di aiuto e di non sviluppare comportamenti che potrebbero assumere connotati patologici.
Obiettivi dello studio
L’ambito della ricerca attiene al vissuto
degli infermieri di Pronto Soccorso, che
hanno avuto un’esperienza di decesso
di un proprio assistito durante l’attività
lavorativa. Si vuole identificare le principali emozioni e sentimenti esperiti
dagli infermieri in tale occasione e verificare se l’esperienza dell’elaborazione
del lutto, possa estendere la propria
conoscenza personale e professionale
ed implementare interventi che siano
utili alla gestione dei comportamenti
conseguenti alle emozioni percepite.
Verificare, inoltre, quale percezione ciò
comporta sulla qualità dell’assistenza
infermieristica erogata.
Luglio 2010, presso l’Unità Operativa
Complessa di Pronto Soccorso,
Accettazione ed Osservazione Temporanea dell’Ospedale di Portogruaro
dell’ASSL n°10 “Veneto Orientale”Regione Veneto.
Il campionamento ha previsto come
unico criterio di inclusione che i partecipanti fossero infermieri che hanno vissuto un’esperienza di decesso di un proprio assistito durante l’attività lavorativa
in Pronto Soccorso e che esprimessero
una chiara disponibilità ad essere intervistati.
Il campione finale arruolato allo studio,
è stato di 9 infermieri.
Le interviste, di durata media tra i 22 e i
28 minuti, sono state condotte dal 28
giugno 2010 al 25 luglio 2010. Per consentire all’intervistatore di accedere
nuovamente ai dati è stato fatto uso di
un registratore digitale. Le riproduzioni,
al termine della trascrizione delle interviste, sono state consegnate ai rispettivi
intervistati o eliminati.
Agli infermieri, tramite quesiti semistrutturati posti durante l’intervista in
modo non direttivo, si chiedeva:
- di raccontare quali emozioni/sentimenti avessero vissuto di fronte all’episodio di morte improvvisa di un
proprio assistito;
- quali comportamenti avessero assunto
dopo tale esperienza nei mesi successivi durante l’attività lavorativa;
- come si fossero evolute le emozioni
nel tempo a distanza dall’episodio di
morte;
- il significato conclusivo conferito
all’esperienza luttuosa.
Le nove interviste sono state trascritte
verbatim e sono state analizzate per
mezzo di tabelle impostate secondo il
modello concettuale della teoria di
Kübler Ross e della classificazione delle
emozioni di base previste da Ortony e
Turner.8
Materiali e metodi
Lo studio di tipo qualitativo fenomenologico, è stato condotto sottoponendo il
campione ad un’intervista semi-strutturata di cinque domande aperte. Le interviste sono state in seguito analizzate utilizzando il metodo Van Kaam. Il modello è stato impiegato come strumento
guida nell’analisi delle interviste, rimanendo aderenti ai significati dichiarati
dagli intervistati.
Il campione selezionato per lo studio ha
incluso 20 infermieri in organico al 2
Risultati
L’età media dei soggetti reclutati nello
studio, è stata di 37,78 anni (±5,01).
Dei 9 infermieri coinvolti nello studio, la distribuzione per sesso era
composta da 5 femmine (55,56%, età
media di 40 anni ±4) e 4 (44,44%)
maschi (44,44%, età media di 35 anni
±5,23).
L’esperienza lavorativa degli infermieri
32
era compresa tra 2,5 e 27, con una
media di 10,06 anni ±8,38.
Il processo di elaborazione del lutto
Analizzando i dati del campione d’indagine, riguardo la prima fase del processo di elaborazione del lutto, è emerso
che 7 (78%) infermieri sui 9 intervistati
hanno presentato distacco emotivo in
situazioni di morte. Il 44,44% degli
infermieri ha dichiarato di aggrapparsi
disperatamente a qualcosa per dar
senso alla morte; 3 (33,33%) si sono
occupati di attività diversive e hanno
assunto comportamenti di evasione alla
notizia del decesso inatteso e improvviso.
Rispetto alla fase di collera, è emerso
che il 56% del campione si è domandato con indignazione perché la morte
fosse sopraggiunta a un paziente piuttosto che a un altro. L’affrontare la morte
e i familiari in lutto con freddezza e
indifferenza, è stato evidenziato dal
33,33% del campione.
Il 56% degli infermieri, rispetto alla
terza fase del processo di elaborazione
del lutto, ha dichiarato di aver pensato
che il destino fosse intervenuto nel
determinare la morte improvvisa del
paziente. Inoltre, è emerso che 4 infermieri hanno ricercato co-morbilità o
altri espedienti che potessero dar senso
e significato provvisorio all’accaduto e
che 3 sono venuti ad un accordo che
potesse alleviare le intense e profonde
emozioni esperite.
Rispetto alla fase della depressione, è
affiorato che l’89% del campione ha
presentato pensieri ricorrenti accompagnati da tristezza e profonda empatia ai
familiari e alle persone in lutto. In seguito al decesso di un proprio assistito, il
44,44% del campione ha mostrato comportamenti di pianto, ha ritenuto che
non ci fosse nessun aiuto per affrontare
esperienze così profonde e che non ci
fosse tempo a sufficienza per elaborare
quanto accaduto. Il 33,33% degli intervistati ha esperito sensi di colpa irrealistici per la morte inaspettata e improvvisa di un proprio paziente ed ha dichiarato che questo è stato percepito come
una sconfitta. La rassegnazione all’evento luttuoso e la ricerca di un tempo
di silenzio utile per l’intensificazione
della preparazione emotiva, sono state
espresse, sempre, dal 33,33% del campione.
Analizzando la fase dell’accettazione
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Tabella n.1. I vissuti degli infermieri secondo la teoria sull’elaborazione del lutto di
Kübler Ross.
33
fidate e annullare i sensi di colpa irrealistici esperiti nella fase precedente. Il
56% degli infermieri ha trovato consolazione e significato all’esperienza luttuosa nella famiglia, negli amici e nei colleghi. L’accettazione dei propri limiti e il
senso di soddisfazione che si prova
quando si ripensa a quanto fatto per
l’assistenza al morente e ai familiari in
lutto,sono affiorati nel 44,44% dei professionisti sanitari (Tabella n. 1).
Le emozioni e i sentimenti esperiti dagli
infermieri
L’esplorazione delle emozioni ha visto
una prevalenza (100%) dei sentimenti
di accettazione, dolore e tristezza,
seguiti per l’89% da angoscia. Il 67%
degli infermieri ha dichiarato di aver
esperito sentimenti di disgusto connessi al modo di percepire se stessi come
esseri umani, all’indifferenza espressa
dai familiari alla notizia di morte del
proprio caro, a stimoli sensoriali esperiti durante il tentativo di soccorso del
paziente e che hanno ispirato repulsione. Dalle 9 interviste è emerso che 5
(56%) infermieri hanno esperito sentimenti di interesse. Il 56% del campione, difatti, ha espresso il desiderio e la
necessità di aggiornarsi, ricercando
informazioni, documentazioni, consigli e chiarimenti circa l’accaduto; sentimenti d’interesse sono documentati
anche dalla manifesta volontà degli
infermieri di ottenere informazioni,
circa gli aspetti psicologici dei superstiti. Paura e abbattimento sono emozioni esperite dal 44,44%, seguite dal
33,33% che ha provato sensi di colpa,
rabbia e disprezzo (Tabella n. 2).
I significati conclusivi conferiti all’evento luttuoso
dell’evento luttuoso, è affiorato che il
100% del campione ha dimostrato e
dichiarato di aver consapevolezza circa
l’accaduto e di non aver paura di affrontare nuovamente esperienze similari. Il
78% del campione ha riconosciuto e
dichiarato con dignità e serenità, che la
morte è iscritta nell’esistenza umana. Il
78% ha avuto il coraggio di parlare e
riflettere circa l’accaduto con persone
Si è evinto, inoltre, che 7 (78%) infermieri ritengono di aver fatto professionalmente il possibile per salvare il
paziente morente e per i familiari in
lutto, conferendo all’evento luttuoso
un significato di crescita personale e
professionale; il 67% valuta l’esperienza di morte in sé come negativa e
attribuisce un maggior significato esistenziale della vita. Dei 9 intervistati,
3 hanno ritenuto che l’esperienza gli
abbia aiutati a confermare e crescere
il senso di appartenenza alla professione infermieristica.
34
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Sebbene tali comportamenti corrispondano a quelli
espressi da Kübler
Ross nella quinta
fase del processo di
elaborazione della
perdita, gli infermieri in lutto possono avvertire “l’oltraggio” subito per
la loro incapacità di
controllare gli eventi,
manifestando
sentimenti di frustrazione e d’impotenza. Il 33,33 %
degli
intervistati,
difatti,
esperisce
sensi di colpa irrealistici per la morte
inaspettata e subitanea di un proprio
paziente, fino a considerarla un fallimento personale e professionale; ciò
conferma quando detto negli studi di
Farrell e Brysiewicz.15, 16
“Beh, essenzialmente… mmh, come
dire è una sconfitta; essenzialmente è
una sconfitta… .” (Intervista n. 1)
A supporto di quanto dichiarato in precedenza, emerge che il 44,44% del
campione esperisce emozioni come
abbattimento, seguito dall’89%da angoscia e dal 100% da tristezza.
Come indicato da Ordog, il personale
sanitario intervistato che ha assistito a
una morte improvvisa e prematura, ha
presentato risposte difensive utili per
non entrare in contatto con ciò che gli
induce ansia.17 Il 78% degli infermieri,
difatti, ha dichiarato di presentare
distacco emotivo dal paziente e dai
famigliari in situazioni di morte, focalizzandosi sugli aspetti biomedici delle
malattie.
Tale reazione, definita da Ordog come
apparente insensibilità verso la morte e
la sofferenza che ne deriva, è sviluppata e riconosciuta dal personale infermieristico, per proteggersi contro l’investimento emozionale e la frustrazione.
“Probabilmente è un atto di autodifesa
[…].” (Intervista n. 3)
Secondo Mandel, risposte di evitamento
s’innescano nel momento in cui non si
può o si è incapaci di verbalizzare il
proprio disagio emotivo, le proprie sensazioni ed emozioni. Contrariamente a
tale ipotesi, il 78% del campione ha
dichiarato e dimostrato di aver coraggio
Tabella n. 2. I sentimenti degli infermieri secondo la classificazione delle emozioni di base previste da Ortony e Turner.
Discussione
Come riportato nelle trascrizioni delle
interviste e come riscontrato anche in
letteratura, nei precedenti paragrafi si è
posto l’accento su come gli infermieri
possano, con intensità e natura diversa,
soffrire quando un paziente da loro assistito muore e quanto risulti importante
vivere correttamente le varie fasi del
processo di lutto.9 Elaborarlo attraverso
gli stadi di negazione, collera, patteggiamento, depressione ed accettazione,
permette di renderlo più tollerabile,
favorisce un’adeguata accettazione
della perdita,10, 11, 12 fa sì che i propri sentimenti non interferiscano sull’efficacia
della relazione d’aiuto13 e di non sviluppare comportamenti che potrebbero
assumere connotati patologici.14
È interessante che la totalità degli intervistati dimostri e dichiari di aver consapevolezza circa l’accaduto e di non
aver paura di affrontare nuovamente
esperienze similari.
“In quella situazione […] a livello di
lavoro, personalmente ritornerei a fare
le stesse cose… […].” (Intervista n. 4)
Più di due terzi del campione, riconosce
che la morte è iscritta nell’esistenza
umana.
“ […] resterà sempre quell’angolino buio
in cui tu non puoi intervenire. Comunque
la morte fa parte della vita, purtroppo.
[…] Devi arrivare a capire che la vita
come la morte è un mistero. È sempre
stato un mistero e sempre continuerà a
restare un mistero.” (Intervista n. 4)
di parlare e riflettere circa l’accaduto
con persone fidate, seguito dal 56% che
trova consolazione e significato dall’esperienza luttuosa nella famiglia, negli
amici e nei colleghi.
Ciò facilita il percorso di elaborazione
della perdita e rileva l’importanza delle
risorse individuali e sociali come indicato da Biondi e Tabarini.18 Nonostante
il 44,44% ritenga che non ci sia nessun
aiuto e che non si abbia tempo a sufficienza per elaborare circostanze così
profonde, la quasi totalità degli intervistati dichiara e valuta tali esperienze
lavorative, come un momento di crescita personale e professionale, uniformemente con quanto detto da Saines.
“[…] è un’esperienza che ti fa crescere
sicuramente… […]. Situazione che ti fa
crescere… perché innanzitutto ti fa
capire l’importanza della vita e quindi,
promuovere il più possibile la salute…
ti fa crescere perché ti fa capire se…
[…] ti invoglia a documentarti, chiedere consigli, a essere più scrupolosi nel
tuo lavoro, e quindi sia dal punto di
vista professionale ma anche tanto dal
punto di vista umano.” (Intervista n. 1)
Dei 9 intervistati, 6 hanno avvalorato
quanto dichiarato dallo studio di
Mandel e dal report di Gonzalez19 il
67% degli intervistati, difatti, conferisce un maggiore significato esistenziale alla vita.
“Certo che tutto il resto, tutto il superfluo diventa futile, diventa di poca
importanza. […] Impari anche ad
amare le piccole cose che di solito tutti
i giorni ti sfuggono. […]capisci che a
volte, che questa vita così frenetica ti
porta a trascurare quello che invece
sono le piccole gioie, le piccole soddisfazioni, che poi in realtà sono enormi.” (Intervista 1)
Inoltre, coerentemente a quando detto
da Gonzalez e da Ordog, il 44,44% del
campione ha sostenuto nelle interviste,
come la morte abbia insegnato loro a
consapevolizzare concretamente le
limitazioni insite nell’esercizio professionale, in qualità di professionisti
sanitari.
Conclusioni
Per gli infermieri di Pronto Soccorso, in
cui il contesto lavorativo sembra non
concedere loro tempo a sufficienza per
poter riflettere sul loro operato e su
quanto esperiscono, il decesso di un
paziente è un evento destabilizzatore e
stressante. Di tutte le separazioni, la
morte è la più temuta sia riguardi noi
stessi sia una persona vicina.20
Nonostante il riconoscimento e la
potente ed energica dichiarazione che
manca un continuo supporto psicologico-sociale all’interno delle realtà ospedaliere, gli infermieri nella loro quasi
totalità affermano e dimostrano di attribuire alle esperienze di morte, un significato positivo di crescita personale e
professionale.
La morte è una delle esperienze spesso
vissute, ma talvolta poco trattate e/o
discusse. Evitare l’espressione delle
proprie emozioni e dei sentimenti percepiti, non acquisire supporti psicologici ed emotivi adeguati e costanti, sottrae la possibilità agli infermieri di terminare il processo di lutto in maniera
soddisfacente e di considerare il
momento del lutto, come tempo di
cambiamento personale. Auspicabile è
un’accurata preparazione durante la
formazione professionale di base su
tematiche riguardanti le emozioni, la
morte e l’elaborazione del lutto, per il
maggior sviluppo di abilità comunicative, soprattutto in merito ai propri sentimenti riconosciuti ed esperiti in esperienze assistenziali di morte, nella logica di offrire un supporto psicologico ed
emotivo adeguato al morente e al familiare in lutto, permettendo così agli
infermieri di garantire un ambiente
lavorativo cooperativo e di miglior
qualità assistenziale in area di
Emergenza.
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[email protected]
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36
2011;28 (3): 36
CONSIGLIO DIRETTIVO ANIARTI - TRIENNIO 2011-2013
MOGGIA FABRIZIO - Presidente
Strada Privata delle Magnolie 3/24
16035 Rapallo (GE)
Cell. Aniarti 3404045259 - [email protected]
SCELSI SILVIA - Vicepresidente
Azienda Regionale Emergenza Sanitaria 118 Lazio
- area formazione
Cell. 3346209675 - [email protected]
ROMIGI GAETANO - Tesoriere
Viale dei Salesiani 49 – 00175 Roma
Cell. 3291213308 - Cell. Aniarti 3404045439
UOC Formazione ed aggiornamento ASL Roma A
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CECINATI GIANFRANCO
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BENETTON MARIA - Direttore della Rivista
Cell. Aniarti 3404045124
Corso di Laurea in Infermieristica
Tel. 0422328196 - [email protected]
DRIGO ELIO
Via del pozzo 19 – 33100 Udine
Tel. 0432501461
Cell. Aniarti 3404045327
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BECATTINI GIOVANNI
Direzione Dipartimento Infermieristico Ostetrico USL 7 Siena
Cell. 3395619602 - Cell. Aniarti 3404045447
[email protected]
D’ERRICO ANTONELLA
Assistenza Dipartimentale.Dipartimento
CardioNefroPolmonare – Az. Osp. Univ. Parma
Cell. 3346077982 - [email protected]
GIUSTI GIAN DOMENICO
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Rianimazione A.C.U.T.I A.O. “S.M. della
Misericordia” (PG)
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MARCHINO PAOLA
Azienda S.S. 1 Triestina - Struttura Semplice Tutela
Salute Bambini Adolescenti, Distretto 2
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CONSIGLIO NAZIONALE ANIARTI - TRIENNIO 2011-2013
ABRUZZO
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CALABRIA - BASILICATA
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