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SOMMARIO 2011;28 (3) 3 Direttore Responsabile Maria Benetton Comitato Editoriale Giovanni Becattini Gianfranco Cecinati Antonella D’Errico Elio Drigo Gian Domenico Giusti Paola Marchino Fabrizio Moggia Gaetano Romigi Silvia Scelsi 4 7 Comitato di Redazione Giovanni Becattini Elio Drigo Gian Domenico Giusti 14 Segreteria di Redazione Donatella Pirozzo Tariffe Iscrizione Aniarti 2011 € 30,00 (comprensiva dell’abbonamento annuale alla rivista Scenario) Abbonamento a Scenario Istituzionale € 65,00 (Enti, Istituzioni, Associazioni, Biblioteche, Unità Operative, Sedi formative) Le quote vanno versate sul c/c postale n. 11064508 intestato a: ANIARTI Via Val di Sieve, 32 - 50127 Firenze Aut. Trib. Arezzo 4/84 R.S. Lavori, lettere, suggerimenti, commenti, proposte, interventi in genere e fotografie vanno inviati a Donatella Pirozzo, segretaria di redazione c/o Ufficio soci ANIARTI Via Val di Sieve, 32 - 50127 Firenze Tel. 055/434677 - Fax 055/435700 Cell. 340/4045367 www.aniarti.it e-mail: [email protected] Progetto Grafico copertina: Vittorio Casebasse L’ANIARTI Associazione Nazionale Infermieri di Area Critica è membro fondatore dell’efCCNa BERLINO 1999 EfCCNa European Federation of Critical Care Nursing association 20 INDICIZZATI SCENARIO® è indicizzato su CINAHL (Cumulative Index to Nursing and Allied Health Literature) in EBSCO HOST Un nuovo traguardo per la diffusione della cultura infermieristica Stampa: Tipografia San Marco Via Della Treccia, 14 - 50145 Firenze Numero chiuso il giorno 1 Settembre 2011 (1 copia € 3,50 per soli Soci) 26 31 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana 36 EDITORIALE 30’ANNI DI ANIARTI E CONGRESSO 2011: UN FILO ROSSO IN 5 PUNTI 30° Aniarti’s years and Congress 2011: a five-point red thread Il Comitato Direttivo L’INFERMIERE E LA CLINICA: LIMITE O RESPONSABILITÀ? The nurse and the clinical practice: limit or responsibility? di Elio Drigo ASSISTENZA INFERMIERISTICA TRA “HIGH CARE” E “LOW CARE”: MODELLI PER UNA POSSIBILE INTEGRAZIONE Nursing assistance between “High Care” and “Low Care”: models for a possible integration di Rosalba Gallo, Caterina Galletti, Maria Luisa Rega ANALISI E COMPARAZIONE TRA IL MODELLO DI EMERGENZA EXTRAOSPEDALIERA ITALIANO ED ANGLOSASSONE. ORGANIZZAZIONE, FORMAZIONE E RUOLO INFERMIERISTICO Analysis and comparison between the italian and anglosaxon model of emergencyhospital. Organization, training and the role of nursing di Susanna Maria Petracca, Paola Graciotti, Paola Massei, Maurizio Mercuri CONFRONTO TRA CPAP CON CASCO E CON MASCHERA NELL’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA IN ETÀ PEDIATRICA: STUDIO OSSERVAZIONALE Comparison with helmet and mask CPAP in acute respiratory failure in paediatric age: a observational study. di Mario Madeo, Marta Guerrini, Chiara Polano STRUMENTI DI MISURA, VALIDITÀ E AFFIDABILITÀ: GUIDA MINIMA ALLA VALUTAZIONE CRITICA DELLE SCALE Measuring tools, validity and reliability: guide to the minimum critical evaluation of the measurement instrument di Alvisa Palese MORTE E MORIRE: LE EMOZIONI VISSUTE DAGLI INFERMIERI IN PRONTO SOCCORSO Death and dying: the nurses’ emotions in Accident and Emergency di Elsa Labelli, Laura Bertossi, Cristiano Cortello CONSIGLIO DIRETTIVO E NAZIONALE ANIARTI 2 2011;28 (3): 2 Istruzioni per le proposte di Pubblicazioni SCENARIO è la rivista ufficiale di Aniarti (Associazione Nazionale Infermieri di Area Critica); il suo scopo è quello di dare impulso alla crescita del sapere infermieristico, in modo particolare alle tematiche inerenti l’Area Critica. La rivista pubblica contributi inediti che riguardano le seguenti tipologie di articoli: Articolo originale (frutto di ricerca e/o metanalisi) Revisione (revisione della letteratura) Comunicazione (relazione a congressi e/o poster) Editoriale (parere su una tematica e riflessione o analisi) Lettera (intervento su una tematica trattata dalla rivista) Gli articoli dovranno pervenire, esclusivamente via e-mail (utilizzando l’indirizzo [email protected] ), su file RTF o leggibile dai comuni word processor e devono essere redatti seguendo le indicazioni del documento preparato dall’International Committee of Medical Journal Editors “Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals” (www.icmje.org). Nella prima pagina dovranno essere indicati: Titolo dell’articolo (in italiano ed inglese). Autori con nomi completi e qualifiche professionali. Istituzioni d’appartenenza. Recapito (posta elettronica o indirizzo o telefono) che, l’autore responsabile della corrispondenza, desidera sia pubblicato nella rivista. Dichiarazione che l’articolo non è stato pubblicato in precedenza e non è stato inoltrato presso altra rivista. Dichiarazione di assenza di conflitti di interesse. Breve ringraziamento per eventuali finanziamenti pubblici o privati ricevuti come contributo per lo svolgimento dello studio. La seconda pagina deve contenere un abstract non superiore alle 300 parole in italiano ed in inglese strutturato con introduzione, materiali e metodi/problema, risultati, discussione, conclusioni. Devono essere indicate da 3 a 5 parole chiave in italiano ed inglese. Per gli articoli di ricerca il testo deve essere suddiviso in: Introduzione Materiali e metodi Risultati Discussione Conclusioni Bibliografia Per gli altri articoli il testo deve essere suddiviso in: Introduzione Problema Discussione Conclusioni Bibliografia Le figure e le illustrazioni devono essere scelte secondo criteri di chiarezza e semplicità. Eventuali tabelle o diagrammi debbono essere citati sequenzialmente nel testo (le tabelle dovranno essere complementari al testo e non contenere semplicemente uno ripetizione dello stesso), dotate di didascalie con titolo e numero progressivo in cifra araba. Le citazioni bibliografiche devono essere strettamente pertinenti e riferirsi a tutti e solo gli autori citati nel testo; andranno numerate consecutivamente secondo l’ordine di citazione nel testo. Le citazioni a fine del testo devono seguire le norme del Vancouver Style (www.icmje.org). Gli autori sono responsabili dell’accuratezza della bibliografia e devono controllare l’esattezza di ogni voce bibliografica prima dell’invio. Ogni articolo è sotto la responsabilità diretta del/degli autori. Quando il contenuto può coinvolgere responsabilità dell’Ente di appartenenza, o quando gli autori esprimono una posizione politico-strategica della medesima, occorre una liberatoria scritta dei relativi responsabili. Andrà dichiarata anche l’autorizzazione alla pubblicazione di dati o documenti riferibili all’attività istituzionale dell’Ente. Gli articoli inviati alla rivista saranno sottoposti all’esame della redazione e degli esperti di riferimento per i vari settori. Le proposte di pubblicazione saranno accettate ad insindacabile giudizio del Comitato di Redazione. L’accettazione, la richiesta di revisione, o la non-accettazione saranno notificati e motivati per iscritto nel più breve tempo possibile. Gli autori dei manoscritti accettati per la pubblicazione trasferiscono tutti i diritti d’autore all’Aniarti – editore della rivista SCENARIO. I manoscritti diventano proprietà dell’Aniarti e possono essere riprodotti in parte o totalmente con il consenso dell’Editore. In caso di pubblicazione, gli autori riceveranno una copia del numero della Rivista che contiene il proprio lavoro. INFORMATIVA PER I SOCI Legge 675/96 e seguenti - Tutela dei dati personali L’ ANIARTI è in possesso dei dati personali anagrafici di ogni associato in quanto da lui stesso forniti al momento della presentazione della domanda di socio. Tali dati sono conservati presso l’archivio della stessa Associazione e trattati esclusivamente da personale incaricato ed unicamente per adempiere agli scopi istituzionali. Tutto il materiale va inviato unicamente all’indirizzo di posta elettronica [email protected] EDITORIALE 3 2011;28 (3): 3 30’anni di Aniarti e Congresso 2011: un filo rosso in 5 punti 30° Aniarti’s years and Congress 2011: a five-point red thread L ’infermieristica in Italia ha avuto un grande sviluppo, diventato quasi tumultuoso negli ultimi anni, con riforme formative, organizzative e culturali. Aniarti si è sempre trovata al fianco della professione cercando di essere da stimolo per tutte le varie generazioni di infermieri che in questi anni si sono riconosciuti nella sua filosofia, in questo editoriale cerchiamo di tracciare ancora quale è la strada da percorrere per crescere ancora. 1. La celebrazione dei 30’anni di vita dell’Aniarti coincide con una fase di particolare criticità della vita non solo del Paese, ma del mondo intero. Dopo il secolo breve, si presenta una crisi che si manifesta come economico-finanziaria, ma ha radici ed avrà esiti certamente più estesi ed influenzerà i modi di essere società ed i rapporti fra i singoli cittadini, i popoli e gli stati. Il problema maggiormente incidente sembra essere il soverchiante condizionamento delle forze economiche – ma soprattutto finanziarie – sulla politica, sull’autodeterminazione dei popoli. Questo dovuto al fatto che, mentre i movimenti delle risorse finanziarie sono stati (ormai 20 anni fa, proprio da decisioni della politica illusorie o probabilmente astute di alcuni) rese libere di muoversi in modo globale, le scelte politiche sono rimaste sostanzialmente legate alle singole nazioni, che non trovano l’intelligenza e la forza di darsi e di porre, almeno alcune regole che garantiscano una strada verso l’equità fra gli uomini. Almeno l’equità, infatti, dovrebbe essere valore indiscutibile universalmente condiviso. Altra anomalia intollerabile inoltre, sta nel fatto che pochissimi sono favoriti a continuare ad accumulare ricchezze spropositate, nell’evidente illusione che questo stimoli la creazione di benessere per tutti, e viene supinamente accettata l’assurda liceità per i detentori di tali ricchezze di contribuire in misura irrisoria al bene comune quando non contribuire affatto. 2. L’Aniarti nel proprio ambito di competenza, si è sempre spesa sostanzialmente, per un’idea di equità applicata a tutti, assistiti, operatori, strutture. L’Associazione ha promosso una cultura di ottimali forme di assistenza infermieristica, un sistema per la salute razionale e che valorizzasse tutte le risorse disponibili (mezzi e competenze) in un’ottica di obiettivi di salute da perseguire e non di rendite di posizione dei professionisti da consolidare o conquistare. Una scelta guidata dalla fedeltà all’idea che un professionista – qualunque professionista, dunque anche l’infermiere - può essere e concepirsi tale esclusivamente se opera per il beneficio di qualunque persona (e società) verso la quale è necessario mettere a frutto il massimo delle competenze sviluppate nell’evoluzione della conoscenza. In questa ottica l’associazione ha dato risposta. Un esempio fra gli altri, con la concettualizzazione dell’area critica, elaborata e diffusa da Aniarti, in cui l’idea di integrazione di conoscenze e competenze, di mezzi e strutture diverse fra loro, si concentrano con l’obiettivo unitario di garantire il miglior livello del servizio per la salute a qualunque persona, ovunque si trovi, in situazione di criticità vitale. La persona, davvero al centro delle attenzioni dei professionisti, non più inseriti in organizzazioni autocratiche ed autoreferenziali come per molto tempo abbiamo visto. Primazie gerarchiche e aprioristiche appaiono ferri vecchi… Con lo stesso spirito si sono realizzate anche tutte le iniziative dell’associazione in questi 30’anni. 3. Ora, con il 30° Congresso nazionale vogliamo esaminare e dire la nostra sul tema della situazione economica, diventato critico per tutti e che rischia di intaccare pesantemente anche l’area critica e dunque la garanzia dell’equità che va invece preservata, pena lo scadimento della convivenza civile. Come cittadini-infermieri, siamo immersi e coinvolti nel reale del mondo, condizionati dai fenomeni, ma siamo anche, inevitabilmente, protagonisti della loro trasformazione. Vogliamo riflettere per riportare l’idea di economia alla sua essenza nobile, ricca e aderente alla realtà delle vite, non snaturata e ridotta a finzione come ha fatto la finanza. Vogliamo attribuire il valore giusto, non mitico, alle tecnologie, alle possibilità sempre più avanzate, alla visione efficientista, per recuperare il valore della consapevolezza. Vogliamo indicare come sia necessario vedere l’assistere, non solo come uso di energie e risorse, ma in quanto investimento che produce evoluzione positiva della qualità della vita dei singoli e delle comunità; un forte indicatore di concretezza delle situazioni di vita e di responsabilità sugli aspetti fondamentali. Assistenza come investimento con effetti misurabili anche economicamente. Il programma del Congresso Nazionale, oltre al contributo di esperti in campo economico, è stato costruito con le moltissime proposte infermieristiche coraggiose e lungimiranti che ci sono pervenute dall’area critica, che qui hanno la possibilità di divulgare il proprio sapere nuovo per una migliore salute ed un’assistenza possibile. 4. Il Congresso prevede anche una ricca serie di 7 eventi formativi accreditati ECM, su temi o metodologie operative specifici, a cui i partecipanti potranno iscriversi per approfondire le proprie conoscenze ed i propri percorsi professionali. Ci sarà uno di questi eventi che affronterà un altro argomento caldo e che rischia di diventare esso stesso critico, se vissuto e gestito in modo non equilibrato: i rapporti fra le professioni, particolarmente quella medica ed infermieristica, e fra le rispettive competenze in una realtà in fortissima e costante mutazione. In collaborazione con la Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI, esamineremo la situazione sull’evoluzione delle competenze, sull’integrazione di conoscenze e competenze, delle relazioni e dei nuovi ruoli delle professioni quando riconoscono il valore reciproco ed abbattono steccati ormai grotteschi di fronte alla storia. L’integrazione e la collaborazione, non la competizione, sono il moltiplicatore delle potenzialità di progetti complessi. 5. L’Aniarti si impegna, in occasione del proprio 30° Congresso ed anniversario di fondazione, a riproporre con forza un messaggio che, a partire dagli infermieri, possa contribuire a ripensare una società che recupera la destinazione delle proprie energie ed intelligenze per destinarle a priorità che impattano sulla vita e la sofferenza; una società che decide di smascherare invece le finte priorità indotte dall’omologazione al ribasso. Gli infermieri sono i più sensibili ai problemi veri: li vivono sempre in prima persona. Vogliamo fare in modo che l’economia che produciamo si occupi della salute, ne scopra le potenzialità di produzione di benessere e questa consapevolezza provochi una svolta nelle scelte collettive di civiltà. Vorremmo uscire pubblicamente con un documento ufficiale su questi temi con una nostra posizione. Un documento che ci impegni come Associazione e professione, alla cui costruzione e poi applicazione nel quotidiano, tutti sono invitati a contribuire. Il lavoro non ci manca. E dobbiamo darci un segnale di inversione positiva di rotta. Il Comitato Direttivo 4 2011;28 (3): 4-6 L’infermiere e la clinica: limite o responsabilità? The nurse and the clinical practice: limit or responsibility? Elio Drigo, Componente Comitato Direttivo Aniarti Riassunto La responsabilità clinica dell’infermiere si sta profilando come un fattore di criticità nei rapporti con la professione medica. Le ragioni vanno cercate soprattutto nella profondità e rapidità dell’evoluzione delle conoscenze disponibili, nella diffusione delle competenze necessarie allo svolgimento razionale delle attività connesse alla protezione della salute e negli indispensabili adeguamenti dell’organizzazione del sistema sanitario e dunque degli operatori. L’articolo espone alcuni argomenti a supporto della competenza clinica anche dell’infermiere ed alcune proposte metodologiche per il superamento dell’idea di responsabilità clinica esclusiva e per la concezione di una responsabilità condivisa derivante da quelle competenze che di fatto, sono condivise. Viene anche indicata la necessità di un’impostazione di relazioni interprofessionali basate sull’integrazione piuttosto che su una insostenibile gerarchia delle professioni. Parole chiave: Infermiere, Responsabilità Clinica, Competenza Clinica, Relazione Interprofessionale Abstract The clinical responsibility of the nurse is becoming a critical factor in the relationships with the medical profession. The reasons have to be found mostly in the deep and rapid evolution of the available knowledge, in the diffusion of the competences needed for the rationale activities connected with the health protection and the indispensable adjustments of the organisation of the health system and thus, of the health professionals. The article presents some arguments supporting the clinical competence also for the nurse and some methodological proposals in order to overcome the idea of the clinical responsibility as exclusive and for a conception of a shared responsibility as a result from those competencies that are shared in the daily practice. It is also shown the need for interprofessional relationships based on the integration instead of on an untenable hierarchy of the professions. Key words: Nurse, Clinical Responsibility, Clinical Competence, Interprofessional Relationship P EDITORIALE Pervenuto il 22/06/2011 Accettato il 09/07/2011 L’AUTORI DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO DI INTERESSI. CORRISPONDENZA PER RICHIESTE ELIO DRIGO, [email protected] erché parlare di responsabilità clinica dell’infermiere? Forse perché la clinica è competenza specifica dell’infermiere di area critica? Per una riaffermazione di posizioni nello scacchiere della gerarchia delle professioni? Per nessuna di queste due ragioni. La competenza clinica non è specifica dell’infermiere, anche se è parte essenziale della sua professionalità. La competenza dell’infermiere si colloca molto di più nella sfera delle relazioni con la persona e gli operatori, visto che deve garantire l’assistenza e quindi il miglior risultato complessivo delle cure. Gli infermieri usano dire che l’assistenza consente di garantire l’espletarsi di tutte le altre competenze: diagnosi e terapia comprese. Non si discute sul fatto che la porzione clinica della competenza debba essere elevata, in evoluzione e pertanto richiede una costante, equilibrata ricollocazione nel sistema. La clinica rimane relativamente specifica per l’infermiere. Questa ricollocazione diventa urgente da definire, sia per una omogeneità e chiarezza di pensiero della professione e sia, dobbiamo dirlo con realismo e serenità, per l’incomprensibile resistenza a questa evoluzione, che registriamo nella compagine medica del sistema. Dirimere la questione non è certo semplice: sono in gioco fattori culturali, sociali, conseguenze organizzative, visioni antropologiche e concezioni della medicina e del servizio per la salute. Inoltre, una disponibilità a trasformazioni radicali di strutture e ruoli, che fino a qualche anno fa erano rigidi ed erano stati assunti come inamovibili. Anche da qui la fatica che si registra, anche da parte nostra di infermieri, che dobbiamo rielaborare e convertire modelli cui siamo stati educati. Per quanto riguarda la seconda ragione che escludiamo, pare fuori luogo continuare a ragionare in termini di gerarchia delle professioni. Le organizzazioni stanno andando in un’altra direzione. È la complessità dei problemi affrontati a guidare i sistemi e le modalità organizzative finalizzate alla soluzione più ragionevole. Continuare a difendere l’esclusività su porzioni di attività ci sembra un discorso da tempo superato dai fatti. 2011;28 (3): 4-6 Intendiamo guardare oltre; al futuro già cominciato. Nessuna rivendicazione, ma una puntualizzazione, oggi, sullo stato della professionalità dell’infermiere. Questo si. Con chiarezza e la giusta determinazione. Il nostro obiettivo è affrontare questa criticità, analizzarla, valutare la realtà, chiarire le zone d’ombra e proporre percorsi nuovi di riflessione, di elaborazione, di sperimentazione, di pratica. Sta diventando cruciale questo tema, perché si stanno acuendo situazioni finora latenti di scarsa chiarezza sulle competenze e a fronte di una costanza di difficoltà nell’affrontare situazioni complesse. Il superamento di questa criticità di oggi nel sistema sanitario e delle professioni, consentirebbe di sbloccare energie e competenze importanti e convertire intere strutture e sistemi a finalità che riescano ad essere all’altezza delle richieste avanzate di cittadini di un mondo molto cambiato e cambiato molto rapidamente. Abbiamo visto e dichiarato, noi infermieri di Aniarti, perché oggi, nel nostro mondo ipertecnologico, è essenziale richiamare tutti, operatori, agenti culturali, politici, cittadini, alla concretezza ed alla indispensabilità dell’assistenza per la comunità. Dobbiamo ridefinire il ruolo dell’infermiere in questa questione critica, vista la fatica che fa ad affermarsi. L’infermiere e la clinica: dove si collochi il limite ed in che cosa consista la responsabilità. Sono necessarie delle riflessioni sulle risorse, sulla crucialità del ruolo che queste giocano anche per la salute e per la vita delle persone soprattutto se guardiamo a livello planetario, ci saranno stimolazioni anche sulla figura del cittadino esigente. Ci siamo posti alcuni interrogativi, tentando di dare degli spunti per riflessioni e per proposte che possano trovare concretezza nel prossimo futuro. Nell’evoluzione della medicina, è ancora sostenibile una esclusività del medico sulla competenza e sulla responsabilità per gli aspetti clinici anche del “prendersi cura” o è più ragionevole - considerata l’estensione degli interventi necessari per risolvere problemi di salute e di situazioni personali sempre più complesse - praticare una responsabilità, almeno in parte, diffusa fra più professionisti? L’approccio e la gestione dei problemi di salute, considerato il livello di complessità e la loro collocazione nei sistemi attuali, richiedono conoscenze, competenze, energie e risorse non disponibili all’interno di una sola professione. È chiaro che la medicina oggi ha la possibilità, ed è anche costretta, ad affrontare processi diagnostici e terapeutici in espansione in tutte le direzioni. È la capofila di questi percorsi e ne ha la responsabilità. Tali percorsi muovono però sistemi estesi. Ma la medicina non è l’unico agente in campo: sempre di più il ricorso ai trattamenti medici è subordinato dal livello di consapevolezza delle persone. Molte altre attività, sono indispensabili affinché un processo diagnostico e terapeutico possa rimanere rispondente ai propri fini. Tra queste, quella assistenziale risulta la più diffusa e trasversale a qualunque ambito dei servizi per la salute. In questo senso e solo in questo senso, l’assistenza diventa “complementare” all’attività medica. Ma le responsabilità dell’ambito assistenziale sono legate al referente dell’assistenza: l’infermiere. Non devono né possono essere ritenute dipendenti dalle decisioni di un professionista di “altro”. Ciascuna delle attività non può essere isolata, ma deve contenere gli elementi di conoscenza e competenza necessari/sufficienti a costruire e garantire una buona integrazione: uno di questi elementi per l’infermiere è la competenza clinica, certo a minore livello di intensità rispetto al medico. All’interno di una tale complessità, è insostenibile che anche sugli stessi aspetti clinici la responsabilità sia attribuita in maniera esclusiva al medico. Nella definizione delle rispettive competenze fra i vari professionisti, la specifica responsabilità può essere identificata in maniera netta e/o sulla base di una serie di “atti” esclusivi o è più oggettivo identificare delle aree di competenza che fondino la propria legittimità sugli ambiti specifici di professionalità? Ritornare agli “atti esclusivi” per ciascuna professione suona, sinceramente, come una marcia indietro della storia. Ma constatiamo che di fronte alla sfida della complessità e dell’inevitabile (e 5 con tutta evidenza, vantaggiosa) integrazione a tutti i livelli, la risposta è la chiusura a riccio ed il ripiego sulla illusoria separazione e semplificazione. Di fronte ad obiettivi di salute spesso avanzati e dai risultati incerti, le risposte risiedono nel mix di competenze che cooperano senza cercare, come primo obiettivo, le primazie. Le competenze sono caratterizzate da una costante evoluzione e pertanto non sono e non possono essere definite in maniera secca e definitiva. È molto più ragionevole definire delle aree di competenza di determinate professioni, all’interno delle quali, in base ai diversi livelli di complessità delle situazioni e delle attività da mettere in atto, le professioni affini possono muoversi in accordo ed integrazione finalizzata. Alcune posizioni ufficiali delle rappresentanze mediche, sono particolarmente rigide su questo versante dell’esclusività delle competenze. L’impressione chiarissima è che vi sia la paura a rimettere in discussione certezze consolidate, ma non più funzionali a rispondere alle esigenze sanitarie attuali, bensì a difendere privilegi di altra natura. L’Unione Europea dei Medici Specialisti (UEMS) ha pubblicato un documento che contiene la “Definizione europea di Atto Medico”. Questa definizione, adottata per la prima volta nel 2005, è stata in seguito emendata nel 2006 ed infine nel meeting di Bruxelles del 25 aprile 2010. Questa la versione attualmente approvata: “l’atto medico ricomprende tutte le attività professionali, ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica, svolte al fine di promuovere la salute, prevenire le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. L’atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione”. … dunque, qualcun altro può eseguire l’atto medico… in certe situazioni. Allora, la “supervisione” cos’è se non la volontà del mantenimento dell’esclusività? La “delega” implica che il delegato possieda le stesse competenze del delegante e, in quanto tale, al delegato è solo trasferito un mandato. 2011;28 (3): 4-6 Se l’“atto” deve essere “medico”, o lo fa il “medico” o non si fa. E allora, certe attività fatte senza alcuna conseguenza pericolosa, anzi…, da “non-medici” e reclamate come “atto medico”, evenienze oggi all’ordine del giorno, come si risolvono? La strada, ragionevolmente, sembra chiusa. Oppure si cambia questa impostazione rigida. Si può pensare l’ambito della responsabilità sul versante clinico di professionisti diversi, in termini di area di esercizio della libertà attiva, con la garanzia (in relazione alle aree di competenza specifica di altre professioni) della salvaguardia delle decisioni caratterizzate dalla complessità specifica di campo? La responsabilità è necessariamente legata alla libertà. Anche nel campo delle attività finalizzate al recupero o alla protezione della salute è necessario applicare il concetto e la pratica della libertà. Naturalmente, non si tratta di “licenza” a qualunque livello. Certo la libertà è legata alla responsabilità e dunque all’esercizio ed allo sviluppo delle proprie competenze. Il criterio guida deve essere il perseguimento del bene desiderato dalla persona assistita e dalla comunità significativa e generale. L’esercizio di una tale libertà risulta pertanto non un essere svincolati da doveri, ma un impegno a far avanzare le conoscenze e le competenze. Un impegno immanente ed inesauribile di ciascun professionista, che lo vincola eticamente ad un modo univoco di interpretare il proprio lavoro. Questa dovrebbe essere la garanzia dell’esercizio della libertà nella responsabilità verso tutti. Come definire le situazioni caratterizzate dalla “complessità” specifica di campo, per ciascuna professionalità? A partire dagli ambiti di competenza (diagnosi e terapia per il medico; prendersi cura per l’infermiere; riabilitare per il fisioterapista; ecc…), vengono identificate quelle situazioni che richiedono degli interventi per la cui attuazione sono necessarie conoscenze, abilità e attitudini acquisibili tramite specifica formazione ed esperienza. Le situazioni caratterizzate dalla “complessità” specifica verranno reciprocamente riconosciute tali da tutti i professionisti di volta in volta coinvolti. Questo riconosce sia la personalizzazione della cura e dell’assistenza ed anche la professionalità soggettiva dei singoli professionisti e dell’équipe. Dovrebbe essere il massimo del riconoscimento, certamente difficile da attuare, perché implica una costante rielaborazione ed adattamento delle interazioni nel gruppo, ma sarebbe anche la massima espressione dell’integrazione. Rimangono da definire – e qui la discussione è aperta – le modalità concrete per darsi strumenti operativi applicabili per gestire queste modalità. Le situazioni di complessità specifica, possono essere convenzionalmente definite a partire dalle aree di competenza specifica. Nelle situazioni di particolare complessità, quando si prevedono possibili sovrapposizioni di competenze e possibili conflittualità, si adotta il metodo della concertazione. Ciascun professionista dichiara e concorda di volta in volta con gli altri, il livello di complessità di determinate situazioni e/o degli interventi clinicoassistenziali: diagnosi e cura e prendersi cura. Stabiliti i punti di scarsa chiarezza clinico-assistenziale, ed i livelli di specifica complessità di campo, si stabiliscono le responsabilità ed i livelli di reciproca collaborazione. Questo dovrebbe esplicitare con relativo anticipo i risultati che si intendono/possono raggiungere, gli ambiti di intervento, di possibile sovrapposizione accettata. Si potrà, poi, riesaminare lo svolgimento dei fatti per eventuali chiarimenti e/o considerare le evoluzioni complessive in atto. L’infermiere, nel contesto di un servizio e di un sistema per la salute radicalmente modificato rispetto anche al recente passato ed in continua evoluzione, può “prendersi cura” delle persone rispondendo alle esigenze espresse sia dalle persone sia dal sistema, senza una competenza e dunque una responsabilità anche clinica, ancorché non sempre di livello complesso? Considerata l’oggettiva impossibilità di risolvere i problemi di salute complessi con interventi e decisioni monoprofessionali, nei rapporti tra le professioni è ipotizzabile una transizione sistematica dalla conflittualità alla corresponsabilità, almeno progettuale o come tavolo di riflessione? Vista la complessità e l’impraticabilità, 6 per definizione, della predominanza di una professione sulle altre (altra cosa è la definizione delle priorità degli interventi sulla base dei problemi clinici della singola persona!), vista la estensione delle competenze specifiche, viste le esigenze (di varia natura – non solo clinica) espresse dalle persone è necessario superare definitivamente il modello gerarchico per la soluzione dei problemi clinico-assistenziali ed adottare sistematicamente modalità relazionali tra le diverse professioni che accettino oltre che la responsabilità personale, anche la corresponsabilità sugli interventi considerati nella loro completezza. La conflittualità deve essere “bandita” e quindi evitata con ogni mezzo, per riuscire ad orientarsi sulle sinergie, per evitare la dispersione di risorse e per ottenere invece il potenziamento delle competenze e dei risultati. 7 2011;28 (3): 7-13 Assistenza infermieristica tra “High Care” e “Low Care”: modelli per una possibile integrazione. Nursing assistance between “High Care” and “Low Care”: models for a possible integration Rosalba Gallo, Infermiere, Master in Infermieristica di Area critica, Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Università Cattolica del S. Cuore, Roma Caterina Galletti, Coordinatore Didattico, Corso di Laurea specialistica in Scienze infermieristiche e ostetriche, Prof. a contratto, Università Cattolica del S. Cuore, Roma Maria Luisa Rega, Infermiere Coordinatore, Corso di Laurea specialistica in Scienze infermieristiche e ostetriche, Università Cattolica del S. Cuore, Roma Riassunto Introduzione: nel corso degli ultimi quindici anni è avvenuto un importante mutamento circa i bisogni assistenziali del cittadino. In tale contesto il ruolo dell’ospedale si è modificato tanto da affidare alla realtà territoriale parte di quell’attività assistenziale che un tempo era ad esso deputata. Problema: oggi, in un’ottica di programmazione dei sistemi sanitari, occorre coniugare tali cambiamenti con la sostenibilità complessiva del sistema. A tal proposito, uno degli impegni prioritari dei servizi sanitari è la ricerca di sempre migliori soluzioni per incrementare l’appropriatezza, l’efficacia, l’efficienza degli interventi nonché la partecipazione del cittadino. Discussione: il presente lavoro vuole testimoniare come sia possibile leggere in modo critico e costruttivo situazioni assistenziali che sembrano immutabili nel tempo e introdurre modelli organizzativi innovativi capaci di coniugare i nuovi bisogni di salute della persona all’evoluzione del sapere professionale e alle esigenze di sostenibilità del sistema sanitario. Attraverso una ricerca bibliografica sono proposti i risultati di esperienze condotte in alcune regioni italiane. Conclusioni: il modello organizzativo della continuità assistenziale è in grado di agevolare la presa in carico dei pazienti ricoverati nei reparti per acuti e condurli verso il sistema del post acuzie. L’obiettivo di integrare le due diverse aree del percorso sanitario (high care e low care) viene raggiunto attraverso la definizione di un progetto di cura personalizzato affidato a un’équipe multiprofessionale nella quale le diverse competenze si integrano. In sintesi, l’assistenza primaria (primary care) in quanto sistema articolato di professionalità singole o organizzate in unità operative e servizi, tra loro autonomi ma in rete, rappresenta la risposta più adeguata ai complessi bisogni di salute, per garantire integrazione, personalizzazione dei percorsi e attenzione per la qualità della vita in tutte le sue fasi. Parole chiave: Continuità Assistenziale, High Care-Low Care, Intensità di Cure, Dimissione Protetta, Casa della Salute, Case Manager Abstract Introduction: in the course of last 15 years an important change occurred concerning the citizen’s health needs. In this context the role of hospital has changed so much as it has assigned to the territorial reality part of that health care activity which one time was assigned to it. Purpose: today, from the viewpoint of health systems programming, it’s necessary combine these changes with the overall sustainability of the System. Concerning this, one of health services prior commitments is the research of better and better solutions to increase pertinence, effectiveness, efficiency of interventions, as well as citizen participation. Discussion: the present work, presenting the experience of some organizational realities, wants to prove that is possible to read in a critical and constructive way health care situations which seem unchanging in the time, and to introduce innovative organizational models capable to combine the new health needs of the person with the evolution of professional knowledge and the demand of health service. Through a bibliographic research and the literature review, the results of researches conducted in some Italian regions are proposed. Conclusions: the organizational model of welfare continuity is able to facilitate the taking charge of the hospitalized patients’ care in acute wards and to lead them to the system of post-exacerbations. The aim of integrating two different areas of the health path (high care and low care) is reached through the definition of a personalized care project assigned to a multiprofessional team in which the different competencies integrate. Briefly, the primary care as an articulate system of individual or organized (in operative units and services, independents between them but in a network) professionalism, represents the more appropriate answer to the complex health problems, to guarantee the integration, personalization of paths and attention for the quality of life in all of her phases. Key words: Continuity of Care, High Care-Low Care, Intensive Care, Protected Discharge, Case Manager Introduzione REVISIONE PERVENUTO 21/6/2011 ACCETTATO 11/8/2011 GLI AUTORI DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO DI INTERESSI. CORRISPONDENZA PER RICHIESTE ROSALBA GALLO, [email protected] N el corso degli ultimi quindici anni siamo stati spettatori ed attori di una continua evoluzione dei bisogni assistenziali dei cittadini. Tali bisogni socio-sanitari nascono da importanti mutamenti del contesto nazionale che di seguito vengono brevemente evidenziati. 1. Il processo d’invecchiamento, che interessa ormai quasi tutte le popolazioni, è stato in Italia e soprattutto in alcune regioni del Centro-Nord particolarmente rapido e marcato. Come è noto, esso consiste nell’aumento numerico o della quota della popolazione considerata anziana, di solito definita come la popolazione che ha superato il sessantacinquesimo compleanno, valutando l’aspetto econo- 8 2011;28 (3): 7-13 mico-lavorativo e lo stato di salute degli individui. Considerato che la popolazione con sessantacinque e più anni di età è quella attualmente più esposta al rischio di malattie gravi ed invalidanti ed a quello di morte, nella sfera sanitaria assistiamo ad un aumento delle malattie cronico-degenerative cui si associano comorbosità e relativa limitazione dell’autosufficienza, determinando anche un aumento delle malattie a forte implicazione psico-sociale. 2. La trasformazione delle famiglie, organizzate sempre meno in forma nucleare o con permanenza al loro interno di giovani in cerca di occupazione o con occupazioni precarie e un ampliamento della cultura dei diritti determinata dalla scolarizzazione di massa e dal benessere economico. 3. La progressiva diversificazione culturale dovuta a flussi immigratori in entrata che riguardano l’intero territorio nazionale, con aumento della popolazione. Gli indici esaminati evidenziano le tendenze emerse negli anni precedenti confermando la positività del saldo migratorio grazie soprattutto alla capacità attrattiva delle regioni del Centro-Nord.1 In risposta ai mutati bisogni di salute dei cittadini, le istituzioni erogatrici di servizi sanitari stanno sviluppando un approccio organizzativo caratterizzato da innovazione scientifica ed aumento delle tecnologie complesse, a cui si affianca l’adeguamento clinico-organizzativo-gestionale, l’implementazione di Mission e Vision e modelli assistenziali di tipo globale e interdisciplinare. Di contro però i rilevanti vincoli economici determinati dall’obbligo al pareggio di bilancio e dalla limitazione nella disponibilità finanziaria delle regioni, rischiano di ostacolare le caratteristiche peculiari di efficacia, di appropriatezza e di efficienza delle prestazioni erogate in applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Per parlare di bisogno e risposta ai bisogni è necessario quindi considerare tutte quelle situazioni, non legate ad una singola condizione morbosa specifica ma che generano nella persona uno stato di difficoltà nell’espletamento delle normali attività quotidiane o nell’assicurargli un’esistenza dignitosa e decorosa.2 Problema Secondo il Ministro Fazio sebbene nel SSN italiano, con un sistema complessivamente a bassa compartecipazione di spesa, vi siano numerose punte di eccellenza rispondenti ai bisogni sanitari dei cittadini, esso non viene percepito dagli utenti come un sistema di qualità. I punti critici sono legati alla difficoltà di accesso ai servizi, che determinano fenomeni di iper-afflusso ai Pronto Soccorso, dalla complessità in termini di efficacia e chiarezza dei percorsi per l’attivazione della risposta assistenziale, in particolare per quanto attiene ai servizi territoriali e alla gestione trasparente delle liste di attesa. Il perdurare in alcune realtà della funzione centrale dell’ospedale nella risposta assistenziale e il conseguente maggior utilizzo inappropriato delle risorse in questo settore, non ha consentito e non consente lo sviluppo dell’assistenza in ambito territoriale, luogo di riferimento prioritario per la gestione dei quadri patologici cronico-degenerativi riferibili ad una fascia di utenza in crescita. Lo scarso collegamento funzionale tra la risposta territoriale e quella ospedaliera, causa non poche difficoltà per la gestione dei pazienti cronici con multipatologia3. La proposta di recenti ed innovativi modelli assistenziali basati sulla continuità assistenziale e sull’intensità di cure, nasce quindi dalle esigenze sopra citate, a cui si affiancano la diffusione di direttive legislative ed etiche adeguate ai mutati bisogni sanitari dei cittadini. Non a caso l’O.M.S. indica la continuità assistenziale quale indicatore sensibile del buon funzionamento dei sistemi sanitari, per tal motivo occorre realizzare percorsi assistenziali integrati, caratterizzati da collegamento, coordinamento, comunicazione ed interdipendenza tra le organizzazioni ed i servizi ospedalieri e la fitta rete di strutture e servizi presenti sul territorio. 4 In questo lavoro verranno esaminati alcuni modelli e strumenti la cui applicazione consente di supportare lo sviluppo di azioni coerenti per realizzare operativamente la continuità assistenziale e lo sviluppo della primary care. Questa ultima è il complesso delle attività e delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie dirette alla prevenzione, al trattamento delle malattie, degli incidenti di più larga diffusione e di minore gravità e delle malattie e disabilità ad andamento cronico, quando non necessitano di prestazioni specialistiche di particolare complessità clinica e tecnologica che rimangono di competenza dell’ospedale.5 Il “Modello a chiocciola per la primary care” (Figura 1) raffigura la modalità con cui gli Autori del presente articolo hanno voluto rappresentare il passaggio da un sistema sanitario “ospedalo-centrico” a un sistema in cui le strutture ospedaliere conservano le loro peculiarità di luoghi di cura per gli aspetti intensivi e di acuzie ma, utilizzando strumenti gestionali di “nuova generazione”, possono raccordarsi e avvalersi di strutture assistenziali complementari per tutto ciò che riguarda la prevenzione (secondaria e terziaria), la riabilitazione e l’assistenza nelle cronicità. Figura 1. Modello a chiocciola per la primary care Il Modello proposto è composto da elementi tra loro interconnessi e che necessitano di modulazioni e rimodulazioni continue in rapporto non gerarchico ma funzionale e di gravità/appropriatezza per dare risposte ai bisogni di salute dei cittadini. Il Modello non è statico e il consolidarsi di sperimentazioni organizzative consentirà di aggiungere nuove “losanghe” alla chiocciola. Infatti, l’importante sfida che l’organizzazione del servizio sanitario ha lanciato è conservare il nucleo primitivo dell’assistenza ospedaliera passando da un luogo polifunzionale e generalista a un centro high care in cui vi sia alta specializzazione ma anche integrazione con la medicina del territorio. Discussione L’intensità: il caso delle “Aziende Ospedaliere” L’intensità di cure ha come idea centra- 9 2011;28 (3): 7-13 le quella di creare un valore aggiunto eliminando gli sprechi, secondo i moderni concetti di efficacia ed efficienza del management sanitario. Il modello ospedaliero ad alta tecnologia e per intensità di cure va ovviamente inquadrato nello scenario attuale, per garantire terapie complesse ed alte tecnologie in ambito ospedaliero, mentre in altre strutture territoriali vanno potenziate diagnosi, prevenzione, controlli e gestione di condizioni croniche. Appare ovvio che uno dei presupposti per l’efficacia del nuovo modello è la creazione di filtri territoriali che permettano di adottare la soluzione più appropriata ai bisogni del paziente evitando gli accessi impropri in ospedale.6, 7 Predisporre un’organizzazione per intensità di cure, prevede la formulazione di schemi d’ammissione diversi da quelli oggi esistenti nella maggior parte degli ospedali. Generalmente, fatta eccezione per i ricoveri programmati, il primo accesso alla struttura sanitaria avviene tramite il Pronto soccorso, che diviene il vero e proprio filtro per stabilire l’intensità di cure e la complessità assistenziale, fattori determinanti nella scelta dell’U.O. di degenza più appropriata ai bisogni dell’utente. Negli ospedali dove l’intensità di cura è implementata, si distinguono tre livelli di intensità in relazione alle caratteristiche tecnologiche presenti, quantità e qualità delle competenze dell’équipe multidisciplinare: - alta intensità (high care), comprendente rianimazione e le terapie intensive; - media intensità rappresentata da UU.OO. con ricoveri ordinari, ricoveri brevi e con sezioni di terapia sub-intensiva; - bassa intensità (low care) raffigurata da lungodegenze, post-acuzie, RSA, riabilitazione, week-hospital. Un quarto livello comprendente l’intensità di cura minima è riservata a strutture non ospedaliere come ad esempio i Presidi di Prossimità Territoriale (di cui si parlerà più avanti). La realtà italiana ha dovuto confrontarsi ed adattarsi nelle varie realtà regionali e le esperienze concrete di ospedali gestiti per intensità di cura sono alquanto limitate e tuttora in fase di progettazione e di studio. Sul territorio nazionale, vi sono iniziati- ve per la progettazione di nuove strutture o la riorganizzazione di quelle esistenti seguendo un’organizzazione per intensità di cure, di seguito vengono riportate alcune esperienze significative. A Forlì in Emilia Romagna è stato costruito, accanto all’Ospedale sede di un DEA di 2° livello con piattaforma per l’elisoccorso, un edificio pensato per un percorso per intensità di cure. Nella nuova struttura, che rappresenta il polo di riferimento per il territorio dell’Area Vasta Romagna, viene svolta attività assistenziale sia di alta sia di bassa complessità. Il padiglione Morgagni (costruito nel 2004, uno dei 4 che compongono l’ospedale) costituisce l’area del presidio dedicata all’alta intensità di cura. È composto da due piastre, di cui una con degenza per l’assistenza ad alta intensità di cura ed un’altra sede dell’attività specialistica ambulatoriale. Negli altri padiglioni si svolgono prevalentemente attività a bassa complessità assistenziale. Secondo il concetto dei percorsi per intensità di cure, vi è la differenziazione dei percorsi diagnostico-terapeutici dei pazienti acuti dai non acuti, in modo da assicurare la massima interdisciplinarietà dello stesso. Ai pazienti acuti è dedicato un percorso specifico ad elevato contenuto tecnologico e professionale; ai pazienti non acuti invece un percorso assistenziale con un più consistente supporto riabilitativo e, quando necessario, anche sociale. In questo tipo di organizzazione avviene il superamento del concetto di singola unità operativa, ed è facilitata una maggiore concentrazione sul percorso del paziente e l’integrazione professionale. 8,9 In Toscana, a Firenze, all’Ospedale pediatrico Meyer la distribuzione funzionale delle diverse aree della struttura è basata sull’intensità di cura e realizzata mediante un’attenta valutazione e programmazione spaziale dei percorsi assistenziali e dell’intensità delle prestazioni che devono essere erogate. Passando dalle aree più esterne a quelle più interne della struttura viene ad aumentare l’intensità di cura e nello stesso tempo si ha una suddivisione dei percorsi in base alla tipologia di paziente (ambulatoriali, attività programmata, degenti, urgenze), evitando commistioni dei flussi e confusione.10 In Lombardia nell’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, dopo aver approfondito le varie problematiche e dopo una serie di valutazioni inerente l’utenza ed i suoi bisogni, le risorse materiali, umane e tecnologiche è stato intrapreso un processo di riorganizzazione dei percorsi assistenziali per intensità di cure.11 Secondo il dott. Angelo Cordone direttore sanitario dell’Ospedale di Legnano il passaggio al modello per intensità di cura è una necessità cui sempre più le realtà ospedaliere dovranno aderire nel prossimo futuro. “L’Azienda Ospedaliera di Legnano, peraltro, da tempo ha deciso di sviluppare la sua organizzazione verso una forte impronta dipartimentale, sulla quale si può con fiducia basare l’ulteriore evoluzione verso l’intensità di cura. Lo stimolo ad aderire al nuovo modello che, in pieno accordo con le volontà di sviluppo regionali, è pensato nell’ottica della centralità del paziente e nasce dalla consapevolezza di quella che è la nostra realtà organizzativa esistente che necessariamente richiede una attenta rivisitazione in tutti i suoi aspetti. L’implementazione del nuovo modello è perseguito con l’apporto di tutti i nostri operatori che, a seguito di interventi formativi ad hoc per l’acquisizione dei modelli teorici di intensità di cura, hanno collaborato alla definizione dei passaggi necessari verso la nuova organizzazione, con la consapevolezza che l’obiettivo definitivo del modello spinto di intensità di cura verrà raggiunto per step, il primo prevede il rafforzamento dell’organizzazione per aree omogenee.” 12 L’integrazione: il caso del “Case Management” Il case management è un sistema di erogazione dell’assistenza al cittadino. Esso si pone come obiettivo la riduzione dei costi e dei tempi di degenza ma si propone anche di migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’assistenza sanitaria, durante tutto l’evento patologico e in qualunque struttura. La metodologia di tale sistema si basa sul coordinamento e l’utilizzo di risorse adeguate, sull’appropriatezza degli interventi e sul monitoraggio dei risultati raggiunti. L’orientamento è di creare un cambiamento nel comportamento negli operatori, al fine di prendere decisioni più consone e ridurre le erogazioni di servizi inappropriati, prediligendo invece la scelta di interventi pertinenti, opportuni 2011;28 (3): 7-13 ed efficaci. In ambito ospedaliero il Case Manager, può essere individuato nel medico e nell’infermiere esperto dell’U.O. Per lo sviluppo di questi comportamenti è necessario avvalersi di veri e propri Piani di Azione Multidisciplinari (MAP) e/o di Clinical Pathways (CPs). In particolar modo questi ultimi enfatizzano il coordinamento delle attività clinicoassistenziali e la cura giusta al momento giusto, in un’ottica di gestione multidisciplinare.13, 14 In ambito territoriale il Case Manager può essere identificato nella figura del Medico di Medicina Generale e nell’Infermiere di Famiglia. Tali figure sono estremamente utili in quanto la loro funzione è in grado di coordinare il percorso clinico-assistenziale mediante una serie di contatti con strutture e figure assistenziali sia territoriali che ospedaliere a varia intensità di cure.15 Purtroppo ad oggi in Italia il ruolo della figura dell’Infermiere di Famiglia, nonostante la dettagliata descrizione enunciata dall’OMS nel 1999 dal documento “Salute 21” e le già esistenti realtà internazionali (Stati Uniti, Regno Unito, Romania, Slovenia, Botswana) con specifica formazione in alcune realtà, non è stato ancora recepito in tutta la sua totalità e potenzialità, sia da parte della cittadinanza, che dagli stessi operatori sanitari. L’Infermiere di Famiglia rappresenta una figura in grado di svolgere sul territorio attività di educazione, assistenza, formazione, consulenza e ricerca. Rappresenta un’area di alta specializzazione professionale in grado di potenziale l’integrazione tra i servizi ospedalieri e l’assistenza sanitaria di base con collegamento tra i servizi esistenti nella rete assistenziale, non solo sanitari ma anche sociali, in grado di favorire dimissioni protette, in particolari casi che richiedono maggiore attenzione (cronicità, maternità, disabilità).16 L’ottimizzatore dei percorsi: il caso del “Gestore dei percorsi assistenziali” Questa competenza descrive un valore aggiunto ai modelli assistenziali per intensità di cure e continuità assistenziale. Tale funzione può essere svolta anche dal personale infermieristico, a proposito delle informazioni fornite dal personale medico, garantendo così la corretta gestione dei posti letto.17 L’adeguata gestione dei posti letto dell’ospedale può avere un impatto positivo ed efficace sulla produttività del Pronto Soccorso ed ha un effetto positivo sulla sicurezza e sulla soddisfazione dei pazienti. 18 Nasce come risposta all’esigenza di “garantire l’assegnazione del reparto più idoneo riguardo alle esigenze e criticità assistenziali dell’utente”. L’overcrowding rappresenta un problema emergente nelle U.O. di Pronto Soccorso di tutto il territorio nazionale. La figura di coordinamento e gestione dei posti letto, può essere un valido supporto per gli operatori di Pronto Soccorso, favorendo una sosta limitata dei pazienti al minimo indispensabile all’interno delle strutture di emergenza-urgenza, riducendo anche la deviazione delle ambulanze a causa della congestione dello stesso.19 Il bed manager quale figura preposta alla gestione dei posti letto è già presente e consolidata in numerosi ospedali degli Stati Uniti, Inglesi e Canadesi con provata efficacia. Anche in Italia iniziano ad esserci le prime esperienze come al Meyer di Firenze ed al S. Orsola di Malpighi di Bologna in cui l’infermiere rappresenta il regista della gestione e locazione dei posti letto sia ordinari che urgenti. 20 La corretta gestione dei posti letto, ovviamente non prevede il coinvolgimento delle sole strutture di emergenza e delle costose terapie intensive che tra l’altro non sempre riescono a rispondere al fabbisogno dell’utenza,21 ma anche quelle Unità Operative. In cui è previsto il ricovero in elezione. Tale attività rappresenta un aspetto importante e fondamentale che implica una pianificazione e gestione giornaliera ed un efficace efficiente impiego delle risorse disponibili della struttura ospedaliera. In tale ambiente la comunicazione tra il personale medico, quello infermieristico ed il professionista che si occupa della gestione dei posti letto appare di vitale importanza. L’informatizzazione delle comunicazioni può facilitare ulteriormente tale procedura, permettendo di conoscere in tempo reale i vari spostamenti dei malati all’interno delle varie unità di degenza, garantendo un valido supporto all’équipe multidisciplinare che si occupa del percorso clinico assistenziale dell’utente.22,23 10 La dimissione: il caso della “Dimissione protetta” La dimissione rappresenta il nodo cruciale per la buona riuscita di ogni percorso assistenziale. Il processo di deospedalizzazione che ha coinvolto anche il nostro Paese, ha determinato una condizione in cui la continuità assistenziale assume una funzione decisiva nella dimissione dei pazienti cosiddetti “fragili”. In questi casi la dimissione protetta è di norma pianificata al termine di un periodo di ricovero finalizzato alla diagnosi e alla cura della malattia e all’assistenza della persona malata. Frequentemente i pazienti assistiti nelle realtà ospedaliere non ottengono dal ricovero una completa guarigione sia per la natura stessa della malattia che per il suo andamento. Altri pazienti definiti “fragili” non riescono a ripristinare lo stato di benessere o di autosufficienza che avevano prima del ricovero. Il domicilio è considerato il luogo privilegiato dove, la persona può curarsi e recuperare in modo totale o parziale l’autosufficienza. Anche nei casi in cui la malattia provoca una cronicizzazione e la perdita totale o parziale dell’autonomia, le cure domiciliari rappresentano sempre un forte stimolo e sostegno al superamento della malattia e al massimo recupero delle proprie potenzialità. Sebbene le cure a domicilio dopo la dimissione rappresentino un’opportunità importante per il recupero della salute, il passaggio stesso dall’assistenza ospedaliera (h 24) a quella domiciliare rappresenta una fase di difficile gestione che può mettere il paziente e la famiglia stessa davanti a gravi disagi e difficoltà. La dimissione protetta ed il trasferimento di un paziente presso una struttura territoriale rappresenta un momento denso di rischi e per tal motivo la sua pianificazione deve avvenire seguendo delle Linee Guida accurate che prendono in considerazione l’appropriatezza della dimissione, l’identificazione dei fattori di rischio, la comunicazione bidirezionale (ospedale-territorio) sulle condizioni clinico/assistenziali, il consenso e la preparazione del paziente e dei familiari, l’informazione e raccordo con il Medico di Medicina Generale. L’attenzione nel curare gli aspetti sopra citati consente di programmare una dimissione adeguata evitando i rischi in cui frequentemente si incorre quali il ricorso al Pronto Soccorso ed il rientro 2011;28 (3): 7-13 nella struttura ospedaliera dopo pochi giorni dalla dimissione.24 La “dimissione protetta”, quindi, non va intesa come “dimissione precoce” bensì come sistema di comunicazione ed integrazione tra l’équipe ospedaliera e quella territoriale al fine di garantire la presa in carico e la continuità assistenziale.25,26 La medicina del territorio: il caso della Casa della Salute o Presidio Territoriale di Prossimità La Casa della Salute rappresenta un insieme di attività integrate ed organizzate in specifiche aree di interventi, con le finalità di decongestione rapida nel post acuzie, ottimizzazione del tasso di occupazione dei posti letto per acuti, contenimento di ricoveri inappropriati e degli accessi al Pronto Soccorso, continuità assistenziale nel post-acuzie.27,28 Riproduce un progetto per garantire continuità assistenziale ed integrazione, l’obiettivo viene perseguito mediante la presenza di strutture polifunzionali in cui operano medici di medicina generale (MMG), pediatri di libera scelta (PLS), infermieri ed altri operatori integrandosi fianco a fianco per erogare un’assistenza continua nelle 24 ore tutti i giorni della settimana.29 L’istituzione della Casa della Salute, ideata dall’On. Livia Turco, consente al MMG e all’Infermiere di Famiglia di collaborare con altri operatori socio-sanitari nel raggiungimento di obiettivi comuni, lavorando a stretto contatto anche con i cittadini. Il compito di coordinare le attività della Casa della Salute può essere svolto dall’Infermiere di Famiglia che può consentire “alla persona giusta di ricevere la cura adeguata al momento giusto” superando la frammentarietà delle risposte assistenziali. All’interno della Casa della Salute, le figure infermieristiche sono l’ideale per svolgere il ruolo del Case Manager, perché hanno una visione complessiva dell’assistito, specifica, ma, non specialistica, sono attenti ai più fini dettagli delle persone cha curano ed eccellono nell’assistenza diretta.30 In varie regioni queste iniziative nascono dall’esigenza di costruire una sanità più vicina al cittadino e dare delle risposte che non sempre possono essere date nelle strutture ospedaliere.31 Il Modello a chiocciola qui presentato per funzionare necessita dell’utilizzo di adeguati strumenti di comunicazione. In un sistema sanitario che negli ultimi anni è stato investito da profondi cambiamenti, comunicare è diventato un ulteriore punto fondamentale in ogni percorso clinico-assistenziale. La consapevolezza dei cambiamenti rende cosciente l’équipe multidisciplinare territoriale ed ospedaliera della necessità di una riorganizzazione dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA). L’integrazione tra l’assistenza sanitaria primaria e quella ospedaliera è necessaria per garantire continuità ed appropriatezza. La condivisione delle informazioni secondo modalità bidirezionali permette di ricevere numerose informazioni sui propri assistiti.32 La condivisione delle informazioni tra le diverse componenti della rete assistenziale sia ospedaliera che territoriale, ad esempio è fondamentale per poter pianificare la dimissione della persona fragile. Un’assistenza per percorsi, connotata dall’avvicendarsi di passaggi attraverso setting assistenziali differenti per tipologia, intensità e complessità, esige una documentazione adeguata anche in un’ottica di Sicurezza del Paziente. Un valido esempio è rappresentato dal manuale di accreditamento della Joint Commission International nel quale si afferma che “un Ospedale deve considerare le prestazioni erogate come parte di un sistema integrato di servizi, professionisti sanitari e livelli di assistenza che, insieme, creano continuità nell’assistenza sanitaria”. L’obiettivo finale del modello basato sulla continuità assistenziale è di prendersi cura delle persone fragili, attraverso un approccio olistico, che tiene conto non solo di aspetti clinici, ma anche socio-ambientali e orienta gli interventi alla realizzazione della massima capacità funzionale e della miglior qualità di vita.33 Questa affermazione appare ancor più vera se si vuol garantire continuità assistenziale nei Pronto Soccorso e tra le U.O. high care e low care, oppure tra le strutture ospedaliere ed il territorio. Come riferimento a quanto sopra citato, in molte regioni italiane sono in corso numerosi progetti favorenti i processi di comunicazione tra il territorio e le strutture ospedaliere mediante la creazione di una piattaforma informatica. Grazie a piattaforme di interoperabilità è possibile acquisire le informazioni cliniche necessarie sia al triage, sia da parte del 11 medico di Pronto Soccorso, con ottimizzazione dei tempi di compilazione delle schede di triage e riduzione del rischio clinico. Mediante l’integrazione tra il software di Pronto Soccorso e la Piattaforma di Interoperabilità Territoriale è possibile uno scambio bidirezionale in tempo reale tra tutti gli operatori del sistema sanitario assistenziale. L’integrazione con i MMG può garantire la pronta disponibilità dei dati clinici essenziali completamente integrati con il software di Pronto Soccorso e dare una rappresentazione immediata del paziente (Patient Summary). L’integrazione con strutture ad alta complessità che trattano pazienti che ricorrono con frequenza al PS per il tramite della Scheda Sanitaria Specializzata Individuale. L’Information and Comunication Tecnology (ICT), rappresentano un complesso di scienze, metodologie, tecniche e strumenti di supporto in grado di rendere disponibili al Pronto Soccorso alcune agende ambulatoriali privilegiate ed ai sistemi ambulatoriali la visibilità sulle informazioni raccolte in Pronto Soccorso, ciò consente mediante un collegamento informativo con i MMG per notificare in tempo reale i percorsi assistenziali alternativi.34 L’ICT rappresenta la nuova sfida dell’informatica sanitaria, fino ad ora abituata a dare risposte complete per la gestione di singoli servizi/processi, ma che da tempo è chiamata a dare supporto a modelli organizzativi molto più complessi. Modelli organizzativi caratterizzati dalla necessità di interscambiare, integrare, gestire e monitorare contemporaneamente più processi. In Lombardia è nato il Progetto Carta Regionale dei Servizi – Sistema Informativo Socio-Sanitario che rappresenta un passo importante basato su modalità innovative di comunicazione e cooperazione tra medici, operatori e cittadini. Ancora in Abruzzo è stato presentato a Pescara il progetto “Rete dei medici di Medicina generale della Regione Abruzzo”, sviluppato da Dedalus e Telecom Italia con l’Agenzia regionale per l’informatica e la telematica. L’obiettivo è avviare il processo di messa in rete della sanità regionale per dare un decisivo impulso alla collaborazione e interoperabilità tra Medici di Medicina Generale e presidi sanitari sul territorio. 2011;28 (3): 7-13 Ulteriori progetti sull’uso di piattaforme interoperabili sono in realizzazione anche in altre regioni, Emilia-Romagna, Val d’Aosta,Trento, Toscana e Friuli.35,36,37 Conclusioni Premessa essenziale per il buon funzionamento dei modelli basati sulla continuità e sull’intensità di cure è l’ottimizzazione dell’offerta territoriale, la presenza di strutture ospedaliere organizzate per intensità di cure “aperte al territorio” ed infine la creazione di filtri territoriali al fine di adottare soluzioni appropriate ai bisogni dell’utente, evitando così accessi impropri nelle strutture ospedaliere. I vantaggi dei modelli basati sull’assistenza per intensità di cure e continuità assistenziale sono rappresentati dalla centralità dell’utente con relativa ridotta frammentazione del percorso di cure, dal riferimento costante per l’utente e familiari con conseguente riduzione dell’incertezza sul percorso assistenziale, dalla possibilità di presa in carico non solo rispetto alla patologia, ma anche in relazione alle problematiche che ruotano intorno ad essa, dal ricorso alla degenza limitata ai casi e per le giornate giustificate dall’acuzie e dal carico assistenziale, dalla possibilità di confronto-colloquio-integrazione multi professionale e dall’ottimizzazione della comunicazione tra territorio e strutture ospedaliere sui trattamenti erogati ai pazienti. La professione infermieristica da sempre pone un’attenzione continua e pronta per interpretare i bisogni della persona, garantendo risposte assistenziali competenti appropriate e di qualità. Questo comporta necessariamente l’implementazione di metodologie rigorose e l’adozione di modelli organizzativi assistenziali che consentano agli infermieri di fornire prestazioni professionali adeguate alle mutate esigenze, sia dell’organizzazione sanitaria, che degli utenti.38 I numerosi progetti presentati, rappresentano l’avvio di processi della gestione, profondamente integrati che presumono modelli assistenziali mirati ad approfondire il livello di comprensione e di lettura dei bisogni della persona, coordinando ed organizzando risposte soddisfacenti, in una logica di presa in carico multidisciplinare della persona, poiché una buona salute non può esse- re considerata un esito di cui dispone una singola professionalità. ll modello organizzativo della continuità assistenziale è in grado di agevolare la presa in carico dei pazienti ricoverati nei reparti per acuti e condurli verso il sistema del post acuzie. L’obiettivo di integrare le due diverse aree del percorso sanitario (High Care e Low Care) è raggiunto attraverso la definizione di un progetto di cura personalizzato affidato a un’équipe multiprofessionale nella quale le diverse competenze si integrano. In sintesi, l’assistenza primaria (primary care) in quanto sistema articolato di professionalità singole o organizzate in unità operative e servizi, tra loro autonomi ma in rete, rappresenta la risposta più adeguata ai complessi bisogni di salute, per garantire integrazione, personalizzazione dei percorsi e attenzione per la qualità della vita in tutte le sue fasi. Oggi, in un’ottica di programmazione dei sistemi sanitari, occorre coniugare tali cambiamenti con la sostenibilità complessiva del sistema.39 A tal proposito, uno degli impegni prioritari dei servizi sanitari è la ricerca di sempre migliori soluzioni per incrementare l’appropriatezza, l’efficacia, l’efficienza degli interventi nonché la partecipazione del cittadino. 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Obiettivi del congresso: - esaminare le caratteristiche assunte oggi dall’economia e le alterazioni indotte dalla finanza globalizzata; - descrivere i meccanismi di condizionamento dell’economia sull’evoluzione e sull’efficacia dei sistemi di protezione della salute sia dell’adulto che del neonato/bambino; - indicare percorsi per garantire la sostenibilità del servizio pubblico per la salute; - esaminare l’influenza dell’economia sul lavoro degli operatori della salute e sui problemi ed i quesiti di natura etica e le soluzioni praticabili; - presentare il servizio per la salute - con particolare riferimento all’assistenza - come non un costo ma un investimento anche per l’economia di una comunità; - ideare iniziative per favorire una reale consapevolezza dei cittadini in merito alla consistenza ed urgenza dei problemi della salute ed alle conseguenti scelte di politica sanitaria. Presentazione Il congresso Aniarti 2011 affronta il problema dell’economia e le sue implicanze per l’assistenza infermieristica, uno fra i servizi più compromessi dalla riduzione delle risorse per la crisi di un sistema economico e di mercato, che ha deluso le sue illusorie promesse. Gli infermieri, pur colpiti direttamente, rappresentano la consapevolezza delle società sulle priorità reali. Il programma offre contributi originali di esperti sui temi economici applicati ai contesti sanitari, oltre cento esempi di assistenza infermieristica letti in chiave economica; una serie di 7 eventi speciali (ECM), di cui uno in collaborazione con la Federazione IPASVI, sull’evoluzione delle competenze infermieristiche e le questioni di confine con i medici; la sessione poster (premio) e la mostra scientifica. Non mancherà il valore aggiunto dai partecipanti con la consueta ricchezza dei dibattiti. L’Aniarti celebra i 30’anni con una sfida per migliorare il patrimonio dell’assistenza. Da non perdere. Tutte le informazioni ed il programma completo su: www.aniarti.it Iscrizioni solo on-line Segreteria organizzativa: tel. 055 434677 - cell. 340 4045367 14 2011;28 (3): 14-19 Analisi e comparazione tra il modello di emergenza extraospedaliera italiano ed anglosassone. Organizzazione, formazione e ruolo infermieristico Analysis and comparison between the italian and anglo-saxon model of emergency-hospital. Organization, training and the role of nursing Susanna Maria Petracca, Infermiera Paola Graciotti, Tutor corso di laurea in infermieristica Università politecnica delle Marche Paola Massei, Coordinatore servizio regionale di soccorso e centrale operativa 118 Ancona soccorso Maurizio Mercuri, Docente e tutor corso di laurea in infermieristica Università politecnica delle Marche Riassunto: Introduzione: l’emergenza in Italia è attualmente l’ambito nel quale la professione infermieristica può esplicarsi in un elevato grado di autonomia e in modo conforme alle proprie competenze. Il confronto con il modello anglosassone è nato dall’esigenza di comprendere quanto in Italia l’autonomia dell’infermiere sia una realtà, o ancora solo un’ affermazione di principi. Materiali e metodi: per i dati riguardanti il confronto tra modelli è stata condotta una ricerca su siti internet e articoli pubblicati su riviste specializzate. Per l’Italia inoltre è stata condotta un’indagine attraverso interviste telefoniche ed e-mail ai coordinatori infermieristici e agli infermieri responsabili della formazione per verificare l’istituzione dell’ambulanza infermieristica, dei protocolli e della formazione specifica. Risultati: negli USA e in Gran Bretagna il modello di soccorso è “scoop and run”, l’emergenza territoriale è affidata a figure tecniche non sanitarie addestrate, non ci sono medici, volontari e non esiste la figura dell’autista soccorritore. In Italia il modello di soccorso è “scoop and run” e “stay and play”, secondo la tipologia dell’emergenza. I dati ottenuti dalle Centrali Operative hanno evidenziato un’organizzazione a macchia di leopardo. Discussione: lo “scoop and run” è il modello tipico del mondo anglosassone poiché sui mezzi di soccorso non ci sono medici, ma solo figure tecniche e per l’elevata frequenza di patologie traumatiche. Il mondo anglosassone è più rigoroso nel verificare competenze e abilità attraverso la formazione specifica. In Italia la co-presenza di medico e infermiere permette di decidere quale modello di intervento adottare a seconda delle necessità del paziente. Tuttavia la disomogenea organizzazione è legata probabilmente alla situazione sanitaria precedente la Legge istitutiva del 118. Conclusioni: nell’ultimo decennio la legislazione sanitaria italiana ha dato importanti riconoscimenti alla professione infermieristica passando da una situazione “autorizzativa” del mansionario, a una visione di “accreditamento” a operare in autonomia professionale. Malgrado ciò nell’emergenza si è ancora lontani dall’obiettivo. Parole chiave: Ambulanza Infermieristica, Protocolli, Procedure Standard, Formazione Specifica Abstract Introduction: the emergency in Italy is currently the area in which the nurse can work in a high degree of autonomy and according to his skills. The comparison with the Anglo-Saxon model is born from the necessity to understand how the autonomy of the nurse in Italy is still a reality or just a “statement of principles”. Materials and method: for the comparison between models was carried out a search on websites and articles published in magazines. For Italy, also a survey was conducted through telephone interviews and mail to the coordinators and nurses responsible for nursing education to ensure the establishment of the ambulance nurse, protocols and training . Results: USA and UK model of rescue is “scoop and run”, the territorial emergency is carried out by trained technician rescue, there are no doctors, volunteers, and there isn’t the driver helper, there are no doctors, volunteers, and there isn’t the driver helper. In Italy the model of relief is “scoop and run” and “stay and play”, according to the type of emergency. The data obtained from Italy showed patchy organization. Discussion: the “scoop and run” is the typical model of Anglo-Saxon world, because in the emergency vehicles there are no doctors, but only technician rescue and there is high frequency of traumatic diseases. The Anglo-Saxon world is more rigorous in testing skills and abilities through specific training. In Italy the coexistence of doctor and nurse makes possible to decide which is the best model of action to use according to patient’s needs. However, the heterogeneous organization is probably linked to the health status before the law establishing the 118. Conclusions: in the last decade, the Italian health legislation gave important recognition to the nursing situation from an “authorization” of the job description, to a vision of “accreditation” to work in professional autonomy. Despite this in the emergency we are still far few the target. Keyword: Ambulance Nursing, Protocols, Procedures Standards, Training Introduzione ARTICOLO ORIGINALE PERVENUTO IL 29/03/2011 ACCETTATO IL 21/07/2011 GLI AUTORI DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO DI INTERESSI. CORRISPONDENZA PER RICHIESTE MAURIZIO MERCURI, [email protected] I n Italia il sistema del 118 è stato istituito con il DPR 27/03/1992, che ha demandato alle Regioni il compito di definire l’organizzazione territoriale dell’emergenza ma, lo stesso all’articolo 10 sancisce anche una svolta epocale nel definire i compiti dell’infermiere nell’emergenza: “Il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le 15 2011;28 (3): 14-19 funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”. Questo articolo apre un nuovo scenario in cui l’infermiere non è più imbrigliato in un rigido mansionario, abrogato poi con la Legge 42 del 1999. La domanda che ci siamo posti pertanto è stata la seguente: “Dopo 19 anni dal DPR istitutivo dell’emergenza territoriale e dopo 12 anni dall’abrogazione del mansionario qual è la realtà in cui opera l’infermiere in Italia?” Su questa riflessione è stato sviluppato un lavoro articolato su due linee di ricerca: - analizzare la realtà dell’emergenza in Italia attraverso una ricerca su tutte le Centrali Operative (CO) di quale sia la reale organizzazione in termini di ambulanza infermieristica, protocolli e procedure operative standard a supporto del lavoro dell’infermiere in assenza del medico e formazione specifica; - confrontare la realtà italiana con quella anglosassone (USA,UK) sia come modello organizzativo che come tipologia e compiti delle risorse umane impegnate. Materiali e Metodi Per il primo obiettivo è stata condotta un’indagine conoscitiva attraverso interviste telefoniche e per posta elettronica ai coordinatori infermieristici, che nelle CO delle Regioni sono responsabili dell’organizzazione del personale, e/o agli infermieri responsabili della formazione specifica. I numeri telefonici e gli indirizzi e-mail sono stati presi dal sito web SIS 118.1 L’intervista telefonica si è basata su quattro domande standard: 1. esistenza o meno dell’ambulanza infermieristica, intesa come mezzo su cui operano un autista soccorritore e un infermiere; 2. esistenza o meno di protocolli, procedure operative e linee guida a supporto dell’infermiere che opera nell’emergenza territoriale in assenza del medico; 3. approvazione e quindi attivazione dei suddetti protocolli, procedure operative e linee guida; 4. formazione erogata al personale impegnato nell’emergenza, sia di base come corsi BLSD, PBLSD, ACLS, ALS, PTC PHTLS, sia specifica per l’abilitazione all’ uso dei protocolli, delle procedure operative e delle linee guida. Per il secondo obiettivo è stata condotta una ricerca bibliografica su siti web e articoli pubblicati su riviste specializzate. Risultati Per l’indagine italiana sono state contattate 104 CO e 101 si sono rese disponibili alla ricerca. Le province italiane sono state suddivise in 5 gruppi: 1. province che non hanno ambulanza infermieristica, né protocolli operativi, né formazione specifica; 2. province che hanno tutte tre le variabili ricercate; 3. province che hanno l’ambulanza infermieristica, ma non hanno protocolli e formazione specifica; 4. province che hanno l’ambulanza infermieristica e i protocolli, mentre non hanno implementato la formazione specifica; 5. province che hanno solo l’ambulanza infermieristica e la formazione specifica, ma non hanno sviluppato protocolli. Per analizzare con maggiore dettaglio la realtà italiana si è stratificato il dato per aree. (Grafico 1,2,3) Confrontando i dati si può vedere come diminuisce progressivamente da Nord a Sud il numero di Centrali Operative che hanno sia l’ambulanza infermieristica, che i protocolli e la formazione specifica. (Grafico 4) Per quanto riguarda il modello organizzativo anglosassone, i dati ottenuti dimostrano che le differenze con il modello italiano sono molto significative, in particolare sul territorio non operano figure mediche e sanitarie, se non in qualche caso particolare (elisoccorso), mentre un ruolo fondamentale lo svolgono figure tecniche addestrate in modo specifico.2,3,4,5 Il modello anglosassone prevede l’impiego nell’emergenza territoriale di figure tecniche con una formazione specifica su protocolli, che rappresenta un requisito fondamentale per lavorare nel settore dell’emergenza e allo scopo sono previsti periodici re-training che devono essere superati per mantenere la qualifica.3,4,5 (Tabelle 2 e 3) Discussione e conclusioni Il risultato della ricerca mostra in Italia un quadro dell’emergenza territoriale a macchia di leopardo, con differenti livelli organizzativi non solo tra Regione e Regione, ma anche nello stesso ambito regionale. Questa disomogeneità ha probabilmente le sue radici nella disomogeneità culturale ed organizzativa locale in cui la Legge istitutiva del 118 si è inserita. L’ambulanza infermieristica non è stata istituita ovunque e dove esiste è chiamata con le denominazioni più diverse, ad esempio mezzo BLS (Crotone), ambulanza INDIA (Piemonte), MSI (Lombardia), semplicemente ambulanza (Lazio). In molte sedi questo mezzo è utilizzato solo in fascia diurna e per codici verdi e/o gialli come a Grafico 1. Organizzazione dell’emergenza nell’Italia settentrionale 2011;28 (3): 14-19 Grafico 2. Organizzazione dell’emergenza nell’Italia centrale Grafico 3. Organizzazione dell’emergenza nell’Italia meridionale Grafico 4. Confronto fra i dati nelle tre aree (Nord, Centro, Sud) 16 Venezia/Mestre, Rovigo, Treviso, Crotone. Tra le Regioni avanzate che hanno sviluppato un’ organizzazione centralizzata sostenuta da un programma formativo regionale obbligatorio, con valutazione periodica, ci sono la Lombardia (AREU) e il Lazio (ARES 118).6,7 Allo scopo di dare un quadro di insieme facilmente comprensibile si è deciso di attribuire alle regioni un codice colore: - b i a n c o: per le Regioni più avanzate con modelli organizzativi regionali e formazione centralizzata (Lombardia e Lazio); - verde per le Regioni che hanno attivato quasi ovunque il mezzo, i protocolli e la formazione (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Puglia); - giallo per le Regioni in cui il modello organizzativo è ancora in fase di implementazione con situazioni a diverso grado di evoluzione (Liguria, Piemonte; Toscana, Umbria, Marche, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna); - rosso per le Regioni in cui non c’è l’ambulanza infermieristica, non sono stati definiti protocolli e procedure e la formazione è ovviamente solo di base (Abruzzo, Molise) (Figura 1). Diversa è la situazione nel mondo anglosassone, dove il personale addetto all’ emergenza territoriale non è personale sanitario, ma tecnico che opera seguendo protocolli e procedure, che rappresentano un vincolo al loro operato. Il mondo anglosassone è preciso e puntuale nel definire le competenze e le abilità che danno diritto ad appartenere a un registro dei soccorritori, dal quale si può essere cancellati se non si supera la valutazione periodica a cui si è sottoposti.3,4,10,11 In Italia invece la valutazione delle competenze e abilità risponde a criteri meno rigidi e non preclude la possibilità di lavorare in area critica. In entrambi i modelli è riconosciuta alla formazione un ruolo fondamentale. In Italia viene dato un significato importante alla formazione di base, mentre non c’è una diffusa consapevolezza dell’importanza della formazione specifica su protocolli, che rappresenta invece per il personale del mondo anglosassone un punto di forza del proprio operare.8,9,10,11,12 17 2011;28 (3): 14-19 Tabella 1. Modelli organizzativi a confronto CARATTERISTICHE Numero per l’emergenza Principio base dell’intervento sul territorio Obiettivo Organizzazione del territorio Personale addetto all’emergenza 118 Sia “scoop and run”: “carica e vai”, che “stay and play”: “rimani e lavora”, a seconda delle necessità del paziente. Ridurre al minimo l’intervallo di tempo in cui la vittima rimane senza adeguato trattamento prima del trasporto all’ospedale più idoneo (Therapy Free Interval). Il territorio è suddiviso in Centrali operative che hanno una valenza provinciale. Medici Infermiere di CO: addestrato alla ricezione della chiamata, all’uso dei dispatch con attribuzione del codice di gravità in uscita, all’attivazione del mezzo di soccorso idoneo fino al trasporto della vittima in ospedale. Infermiere che opera sul mezzo di soccorso: valuta la scena, tratta e stabilizza il paziente in autonomia, o in collaborazione con il medico, fino al trasporto nello Ospedale più idoneo, attribuisce il codice di rientro. Autisti soccorritori Volontari Un esempio di protocollo utilizzato negli USA è quello dell’ACLS, che consente ai paramedici di somministrare adrenalina, lidocaina e atropina in autonomia. Inoltre, in conformità ai protocolli e procedure standard, il paramedico può somministrare glucosata, naloxone, antiaritmici, cortisonici, analgesici, oppiacei e curari.3,4 Dai risultati ottenuti si può legittimamente affermare che se da un lato il panorama sanitario italiano ha dato importanti riconoscimenti legislativi alla professione infermieristica, che è passata da una situazione “autorizzativa” del mansionario, a una visione di “accreditamento” a operare in autonomia professionale,, dall’altra nel campo dell’emergenza la Legge continua a parlare di 911 “scoop and run”: “carica e vai” 999 o 112 “scoop and run”: “carica e vai” Soccorrere sul territorio e non curare. Intervenire adeguatamente e rapidamente nella golden hour. Valutazione del paziente sul posto, effettuare i trattamenti salva vita e trasportare il paziente in ospedale prima possibile. L’allarme di soccorso giunge alla centrale del 911 che attiva il mezzo di soccorso più idoneo. La centrale è collegata ai DEA negli ospedali. First responder: vigili del fuoco, polizia che arrivano per primi sulla scena. EMT-1 o basic: opera da solo o con equipaggi avanzati. EMT-2/3 o intermedio: è una figura simile all’infermiere. EMT-4 o paramedico: è colui che dirige l’équipe dell’ambulanza ed è il responsabile del soccorso. L’allarme di soccorso giunge alla centrale del 999 che attiva il mezzo di soccorso più idoneo. La centrale è collegata agli A&ED negli ospedali. Call handler: è assimilabile all’infermiere di C.O. Ambulance technician: affianca spesso i paramedici. Emergency care assistant: è una figura tecnica. Emergency care practitioner: è una figura tra l’infermiere e il paramedico. Paramedico: è il professionista più esperto, lavora da solo, o con il supporto di altre figure. Può far parte di tutti gli equipaggi, compreso l’air ambulance. “protocolli decisi e approvati dal medico responsabile del servizio” (art.10 del DPR 27 marzo 1992). A oggi quindi assistiamo a due realtà parallele: quella giurisprudenziale che riconosce l’infermiere come un professionista con un preciso ambito di responsabilità e quella operativa sul campo che invece, nella maggior parte dei casi, relega questa figura a un’operatività ancora marginale, in assenza di quei protocolli e procedure che dovrebbero essere scritti e approvati a sostegno dell’attività.8,9 La resistenza all’elaborazione e attivazione dei protocolli potrebbe trovare una motivazione nella confusione tutta italiana tra “atto medico” e “atto sanitario”, che sono considerati sinonimi. In questo scenario acquista una partico- lare rilevanza, la formazione, che andrebbe anch’essa vista come un processo, nel quale entrano in gioco sia i bisogni formativi necessari all’organizzazione, che quelli individuali. La valutazione di efficacia in itinere e finale, rispetto agli obiettivi formativi, è un momento fondamentale per valutarne l’impatto sui professionisti, nell’ottica di un cambiamento dei loro comportamenti. La realtà sociale apre nuove sfide nel precludere monopoli professionali ed aprire alla integrazione delle competenze dei vari professionisti della salute. Questo però rende necessario aprire una fase di riflessione, finalizzata alla ricostruzione dei diversi ruoli professionali, per evitare lo scivolamento verso 18 2011;28 (3): 14-19 Tabella 2. Organizzazione USA Compiti del personale USA First responder: è addestrato a manovre di primo soccorso. EMT-1: abilitato a RCP, liberazione vie aeree con aspiratore, posizionamento cannula orofaringea, trattamento di base, immobilizzazione del paziente traumatizzato e uso del defibrillatore semiautomatico. EMT-2/3: abilitato al posizionamento di accessi venosi, somministrazioni infusive e di ossigeno, uso del defibrillatore manuale e applicazione di tecniche avanzate per le vie aeree. EMT-4/paramedico: abilitato al BLS, infusioni venose, somministrazione di ossigeno e farmaci, trattamento avanzato delle vie aeree con intubazione anche rino tracheale, decompressione toracica con ago 14-16G, interpretazione ECG. Formazione erogata USA La formazione è standardizzata, continua e obbligatoria per i seguenti corsi: BLS, BTLS, ALS, ACLS, ATLS, BPLS, e PALS con re-training biennale. Nei 2 anni che intercorrono fra i corsi base obbligatori, sono previste ore fisse di educazione medica continua e lezioni di clinica. Se alla fine di questo periodo non è superato l’esame finale il personale perde la licenza come EMT e non può più svolgere questo lavoro in tutti gli USA, in quanto viene cancellato dal Registro Unico Nazionale dei Soccorritori. Tabella 3. Organizzazione UK Compiti del personale UK Call handler: risponde alla chiamata di emergenza e in base alle informazioni ricevute attiva il mezzo più idoneo usando dispatch, se necessario dà indicazioni all’utente per manovre salva vita. Ambulance technician: affianca il paramedico, intervenendo in ogni tipo di situazione traumatica e non, effettua BLS e si occupa del trasporto in ospedale del paziente. Emergency care assistant: è spesso alla guida del mezzo, affianca i paramedici, osserva e valuta i parametri vitali, conosce l’uso di supporti medici, si occupa della manutenzione del veicolo e collabora per il trasporto in sicurezza del paziente. Emergency care practitioner: interviene nelle emergenze mediche non traumatiche spesso a livello domiciliare, valuta la situazione del paziente secondo skill e procedure, prescrive, fa e interpreta test, radiografie e medicazioni ritenute necessarie fino alla stabilizzazione del paziente. Paramedico: è abilitato all’infusione di farmaci per via ev, im e sc, intubazione endotracheale, somministrazione di ossigeno, all’uso di tutti i presidi per la ventilazione (maschera laringea), all’uso del defibrillatore, all’immobilizzazione del paziente traumatizzato, al monitoraggio cardiaco, alla rilevazione della saturazione e alla terapia trombo litica. Figura 1 Formazione erogata UK Il call handler è addestrato su procedure BLS, l’uso dei dispatch per il triage telefonico, uso del software e delle radiocomunicazioni. L’ ambulance technician segue un percorso formativo di 3 mesi suddiviso in 5 moduli: 3 su casi clinici con lezioni teoriche – pratiche e 2 su addestramento alla guida. L’addestramento dell’emergency care assistant consiste in un corso preparatorio all’ambulanza di circa 9 settimane che tratta di manovre BLS e tecniche manuali per la mobilizzazione / immobilizzazione del paziente. Se l’esame finale è superato si accede al mezzo di soccorso con affiancamento. L’emergency care practitioner oltre al corso base segue un percorso formativo aggiuntivo con un corso di manualità pratiche e uno per le patologie croniche. La formazione del paramedico prevede un corso teorico – pratico che dura dai 2 ai 5 anni e un periodo di tirocinio nei DEA degli ospedali con la supervisione medica. Il corso prevede BLSD, PBLSD, PHTLS, gestione delle vie aeree, gestione delle emergenze cardiovascolari, delle patologie neurologiche, ostetriche, ginecologiche e immobilizzazione del paziente. Segue un percorso formativo anche per disturbi mentali, malattie pediatriche, incidenti maggiori. posizioni rigidamente corporative da parte di tutti gli attori della sanità per riscrivere le competenze in uno scenario collaborativo che, pur delineando in modo chiaro i diversi compiti e responsabilità, è l’unico scenario possibile per il “bene” del paziente. Acronimi ACLS: advanced cardiac life support BLSD: basic life support and defibrillation AREU: Assistenza Regionale Emergenza Urgenza ARES 118: Assistenza Regionale Assistenza Sanitaria MSI: mezzo di soccorso intermedio. Bibliografia 1. Società Italiana del 118. 118 emergenza sanitaria. www.sis118.it/pagine /index.htm ultimo accesso 12.03.2011 2. Emergenza Sanitaria 118 Italia. www.118italia.net ultimo accesso 12.03.2011 3. Stati Uniti d’America: l’organizzazione dei servizi d’emergenza.www.autistasoccorritore.it/usa.html ultimo accesso 13.03.2011 4. National Health Service. The structure of the NHS and Explore by career. www.nhscareers.nhs.uk ultimo accesso 13.03.2011 5. National Association of Emergency Careers in Medical Technicians. EMS.www.naemt.org ultimo accesso 13.03.2011 19 2011;28 (3): 14-19 6. Azienda Regionale Emergenza Urgenza. 118 - Emergenza urgenza sanitaria www.areu.lombardia.it ultimo accesso 12.03.2011 7. Azienda Regionale Emergenza Sanitaria. Il Sistema di emergenza sanitaria nel Lazio. www.ares118.it ultimo accesso 12.03.2011 8. MENGHINI A, VACCA D. L’infermiere nell’emergenza extra e intraospedaliera. CO118 Viterbo Pronto soccorso Ospedale Belcolle. Disponibile all’indirizzo: http://nfs.unipv.it ultimo accesso 14.03.2011 9. MUSIARI M. Gestione avanzata delle vie aeree nell’emergenza extraospedaliera. Tesi di laurea in infermieristica aa. 20022003. Disponibile all’indirizzo:http://www.infermieriattivi.it ultimo accesso 14.03.2011 10.SMITH R M, CONN A. Prehospital care – scoop and run or stay and play? Injury, nov. 2009; 40 suppl 4:S23-6. 11.HAAS B, NATHENS AB. Pro/con debate: is the scoop and run approach the best approach to trauma services organization? Critical care 2008, 12:224. 12.NIRULA R, MAIER R, MOORE E, SPERRY J, GENTILELLO L. Scoop and run to the Trauma Center or stay and play at the local Hospital: hospital transfer’s effect on mortality. Journal trauma, 2010 Sep; 69(3): 595-9. “LA COMUNICAZIONE EFFICACE” Seconda Parte Evento formativo ECM Trento 29, 30 Ottobre 2011 c/o Servizio Formazione Via Paolo Orsi, 11 - 1° piano Aula 4 Questo corso della durata di 8 ore (inizio 8,15 fine ore 18,10) si presenta come la naturale continuità del precedente percorso. Nella prima parte si è analizzata la parte “umana” della comunicazione, evidenziando come spesso il non prestare attenzione al “come” comunichiamo possa generare, a volte, dei conflitti. Nello stesso tempo si è cercato di fornire una maggiore consapevolezza di alcuni aspetti comunicativi tesi a “disinnescare” certe problematiche. In questa seconda parte il discente potrà “esperimantare” come il “contesto comunicativo”modifichi la sua abilità di parlare/ascoltare attraverso un percorso “fisico” al termine del quale si cercherà di analizzare il “perché” e il “come” di questa esperienza. Per maggiori informazioni rivolgersi a: Olivo Calliari, [email protected] Servizio di Gastroenterologia Ospedale S. Chiara Trento. Cell. 340 4045377 Destinatari: Infermieri, N° 50 posti disponibili Iscrizioni on line al corso di formazione Per le iscrizioni registrarsi on line sul sito www. aniarti.it Quote di iscrizione: Per il pagamento seguire le istruzioni presenti sul sito www.aniarti.it Entro il 24 Ottobre 2011 Quota Iscrizione: € 83,33 + 16,67 iva = € 100,00 L’iscrizione effettuata dall’ente di appartenenza non è soggetta ad IVA (art. 8 comma 34 legge 67/1988). Diritti di iscrizione L’iscrizione al Corso di Formazione dà diritto a: • kit personale • attestato di partecipazione • ECM 20 2011;28 (3): 20-25 Confronto tra CPAP con casco e con maschera nell’insufficienza respiratoria acuta in età pediatrica: studio osservazionale Comparison with helmet and mask CPAP in acute respiratory failure in paediatric age: a observational study. Mario Madeo, Coordinatore Infermieristico, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - SITRA Area delle Terapie Intensive Marta Guerrini, Infermiera, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - SITRA Area delle Terapie Intensive Chiara Polano, Infermiera Pediatrica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - SITRA Area delle Terapie Intensive Riassunto Introduzione: fino a pochi anni fa la ventilazione meccanica invasiva era la modalità prescelta nella gestione ventilatoria dell’insufficienza respiratoria acuta. Sebbene sia molto efficace e sicura nel supportare la ventilazione alveolare, l’intubazione endotracheale comporta il rischio di complicazioni sia nella popolazione adulta sia in quella pediatrica. La frequenza delle complicanze è forse più elevata di quello che comunemente si pensi; infatti, studi retrospettivi ne hanno quantificato l’incidenza in circa il 60-70% dei casi. Il recente incremento della ventilazione non invasiva in ambito acuto tende a ridurre le complicanze della ventilazione invasiva e migliorare l’impiego delle risorse. Materiali e metodi: è stato condotto uno studio monocentrico, prospettico, osservazionale presso il Reparto di Terapia Intensiva Pediatrica della Clinica De Marchi della “Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico”, il cui obiettivo era di valutare la tollerabilità della CPAP casco/maschera e l’effettivo beneficio sui principali parametri vitali ed emogasanalitici. Il dolore è stato rilevato con l’Objective Pain Scale (OPS) e la Confort Scale. Lo studio è stato eseguito nel periodo tra gennaio 2010 e settembre 2010 su 11 bambini di età compresa tra 1 e 27 mesi ammessi nella Terapia Intensiva Pediatrica (TIP) per una patologia polmonare. Risultati: tutti i pazienti sottoposti al trattamento col casco CPAP hanno avuto un netto miglioramento del quadro clinico, con possibilità, a 24 ore dall’inizio del supporto, di ridurre totalmente la FiO2 al 21% mantenendo buoni parametri: SatO2 tra 95% e 100%, FC media di 130±26 b/min., FR media di 45±10 atti/min., PA 110±7, 58±8 mmHg, oltre a un confort del 100%. Tutti i pazienti sottoposti al trattamento maschera hanno avuto un outcome sfavorevole: uno ha sviluppato un quadro di ipercapnia severa ed è stato intubato dopo 24 ore dall’inizio del trattamento con CPAP. Gli altri tre pazienti sono passati al trattamento col casco dopo 10/15 minuti dall’inizio della ventilazione con maschera, a causa di importanti segni di intolleranza (pianto non consolabile, tachicardia e agitazione). Conclusioni: i risultati dimostrano come il casco sia un dispositivo efficace nel trattare acutamente l’insufficienza respiratoria e meglio tollerato dal bambino rispetto alla stessa modalità ventilatoria in maschera. Questa metodica richiede comunque di essere applicata unicamente in centri di livello avanzato dove il personale è esperto nell’impiego della CPAP. Parole chiave: CPAP, Casco, Maschera, Bambino, Insufficienza Respiratoria Acuta Abstract Introduction: up to a few years ago the artificial mechanical ventilation was the chosen modality on ventilation management of acute respiratory failure. The tracheal intubation involves the risk of complications both in adult and paediatric population. The frequency of complications linked to this practice can’t be ignored : retrospective studies quantify the incidence in 60%-70% of cases. The recent innovations of non invasive mechanical ventilation prevent the complications of artificial mechanical ventilation (VAM) improving the resources employment. The main purpose of this study was to evaluate the tolerability of mask/helmet CPAP, as well as assess the actual benefit of vital signs and blood gases in children aged 1 to 27 months Methods: we conducted a single center study, prospective, observational at the Department of Intensive Care De Marchi Paediatric Clinic of the “Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Milano“ whose objective was to evaluate the tolerability of CPAP helmet/mask, and its actual benefits on the principal vital signs and blood gases. Pain was measured using the Objective Pain Scale (OPS) and the Comfort Scale. The study was performed between January and September 2010 on 11 children aged between 1 and 27 months admitted to the Paediatric Intensive Care Unit for a pulmonary disease. Results: no patient treated with CPAP helmet has developed signs of intolerance, dislodgement of devices or pressure sores. They all had an improvement in their health conditions. All of them had the FiO2 reduced to 21% within 24 hours from the beginning of the treatment, maintaining a good trend in vital signs: SatO2 between 95% and 100%, avg HR 130±26 bpm, RR 45±10/60 Hz, avg BP 110±7, 58±8 and a 100% comfort. All patients treated with the mask had an disadvantageous outcome: one has soon developed a severe hypercapnea and has been intubated after 24 hours from the beginning of CPAP treatment. The other three passed to the helmet after 10/15 mins from the beginning of the ventilation treatment with the mask, due to important signs of intolerance to it (inconsolable crying, tachycardia and agitation). Conclusion: the results show that the helmet is an effective device in the treatment of the acute respiratory failure and also better tolerated by children rather than the same ventilation mode in mask. This method still requires to be only applied in advanced centers where the staff have an expertise in the use of CPAP. Keywords: CPAP, Helmet, Mask, Child, Acute Respiratory Failure ARTICOLO ORIGINALE PERVENUTO IL 5/6/2011 ACCETTATO IL 15/7/2011 GLI AUTORI DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO DI INTERESSI. CORRISPONDENZA PER RICHIESTE MARIO MADEO - [email protected] Introduzione F ino a pochi anni fa l’intubazione endotracheale era la modalità prescelta nella gestione ventilatoria dell’insufficienza respiratoria acuta. Sebbene la ventilazione meccanica invasiva (VAM) sia molto efficace e sicura nel supportare la ventilazione alveolare, l’intubazione endotracheale comporta il rischio di complicazioni sia nella popolazione adulta che in quella pediatrica. La frequenza delle complicanze legate a questa procedura è forse più elevata di quello che comunemente si pensi, infat- 2011;28 (3): 20-25 ti, studi retrospettivi ne hanno quantificato l’incidenza in circa il 60-70% dei casi.1 Riuscire a prevenire l’intubazione significa ridurre l’incidenza di polmonite legata all’uso del ventilatore (VAP) e altre infezioni nosocomiali che si sono rivelate le principali cause di aumento della mortalità e di prolungamento della degenza dei pazienti nei reparti di terapia intensiva.2, 3 Il recente incremento della ventilazione non invasiva (NIV) in ambito acuto tende a ridurre le complicanze della ventilazione invasiva e di migliorare l’impiego delle risorse. L’obiettivo generale della NIV nell’insufficienza respiratoria acuta è di ripristinare l’equilibrio del sistema respiratorio, vale a dire diminuire il lavoro respiratorio,4 mantenendo il comfort del bambino. La Continuous Positive Airway Pressure (CPAP) è una metodica di supporto respiratorio non invasivo e consiste nell’erogazione di un flusso continuo nelle vie aeree del paziente. A oggi, la CPAP erogata tramite la maschera o il casco, può essere considerata come trattamento respiratorio non invasivo di prima linea nei neonati e nei bambini affetti da insufficienza respiratoria acuta di grado lieve/moderato.5 Le modalità di CPAP con la maschera e con il casco sono ugualmente efficaci nell’incrementare il volume polmonare di fine espirazione e nel minimizzare l’oscillazione della pressione respiratoria.6 L’interfaccia gioca un ruolo cruciale nella NIV per quanto riguarda il comfort,7 il successo o l’insuccesso della NIV e gli effetti avversi, sia nella popolazione adulta sia in quella pediatrica. La selezione dell’interfaccia per la ventilazione non invasiva dovrebbe quindi avvenire sulla base dei seguenti criteri: 1. Esperienza locale del centro ove si applica la NIV. 2. Modalità ventilatoria selezionata (CPAP o modalità assistite/controllate). 3. Durata prevista del trattamento. 4. Gravità dell’insufficienza respiratoria e tipo di respirazione (nasale o prevalentemente orale). 5. Anatomia del viso e del naso. 6. Adattamento del paziente a quel tipo di protesi.8 L’obiettivo principale dello studio è di valutare la tollerabilità del dispositivo 21 Figura 1. Objective Pain Scale (OPS) maschera/casco da parte del bambino di età compresa tra 1-27 mesi. La scelta iniziale del device (casco o maschera) è stata casuale. Materiali e metodi Si tratta di uno studio monocentrico, prospettico, osservazionale eseguito presso il Reparto di Terapia Intensiva Pediatrica della Clinica De Marchi “Fondazione Ca’ Granda Policlinico IRCCS di Milano”. I dati sono stati raccolti in modo anonimo solo dopo aver ottenuto dai genitori del minore il consenso. Il dolore è stato rilevato con intervallo di sei ore con la Objective Pain Scale (OPS) e la Comfort Scale (Figura1 e 2). La prima nella fascia 1 mese-2 anni prende in considerazione quattro item rispetto ai cinque cui si fa riferimento nelle età successive (3-7 anni): pressione sanguigna, pianto, movimenti e agitazione. È esclusa, considerata l’età, la valutazione verbale. Si è deciso di utilizzare la Objective Pain Scale (OPS), poiché tutti gli infermieri della rianimazione erano precedentemente formati all’utilizzo di tale scale che viene utilizzata quotidianamente per la rilevazione del dolore. La seconda è invece una scala clinica che valuta otto parametri (coscienza, agitazione, risposta respiratoria, movimenti fisici, pressione arteriosa, fre- 22 2011;28 (3): 20-25 Figura 2. Comfort Scale personale infermieristico per la valutazione del livello di sedazione del bambino. Campione Sono stati raccolti dati su bambini di età compresa tra 1 e 27 mesi ammessi nella Terapia Intensiva Pediatrica (TIP) per distress respiratorio acuto10 tra gennaio 2010 e settembre 2010. I criteri di ammissione erano: 1. necessità di un supporto respiratorio; 2. possibilità di intraprendere una metodica di ventilazione non invasiva; 3. dispnea con una FR maggiore a 40 atti/min per tutte le età; 4. l’impiego della muscolatura accessoria e una respirazione paradossa addominale. Equipaggiamento Nello studio sono stati utilizzati due diversi dispositivi per fornire la CPAP: la maschera e il casco. Il casco utilizzato (CaStar®, Starmed, Italy) è un dispositivo per il supporto respiratorio non invasivo, costruito in Tabella 1. Maschera quenza cardiaca, tono muscolare, tensione muscolare) assegnando a ciascuno un punteggio da 1 a 5 per cui il punteggio finale sarà compreso tra 8 (seda- zione profonda) e 40 (sveglio). Un punteggio maggiore a 17 indica la necessità di analgesici.9 La Comfort Scale è usata di routine dal Foto 1. Foto 2. Parametri FIO2 Media 0,2575 DS 0,08227 PO2 70,75 27,0404 PCO2 PH PAO2/FIO2 PAS PAD FC FR ETÀ(mesi) PESO(kg) 42,25 7,41 278,5 104 63 156 62,75 5,5 7,87 6,2599 0,0441 94,1607 20,0374 18,0138 8,8034 5,2618 5,7 2,55 Tabella 1. Casco Parametri FIO2 PO2 PCO2 PH PAO2/FIO2 PAS PAD FC FR ETÀ(mesi) PESO(kg) Media 0,4728 71,4285 42,57 7,39 163 104 64,71 151,857 57,571 10,4 9,6 DS 0,17276 23,0766 5,9246 0,0740 50,4946 10,099 5,4697 18,1299 12,4539 7,94 3,23 23 2011;28 (3): 20-25 testa del bambino, che sono regolati in modo da permettere la maggiore aderenza possibile al volto. Anche il circuito della maschera è connesso al flussimetro doppio. Per evitare cadute di pressione, sul circuito inspiratorio è applicata una sacca reservoir (Foto 1 e 2). Grafico 1 Entrambe le interfacce erogano una CPAP che ha i seguenti vantaggi fisiologici: • produce un pattern respiratorio più regolare; • ripristina e mantiene la Capacità Funzionale Residua (CFR); • riduce la resistenza delle vie aeree superiori; • determina un progressivo reclutamento alveolare, insufflando anche gli alveoli collassati; • riduce le apnee ostruttive. Grafico 2 Monitoraggio Sono state valutate le complicanze locali legate ai presidi utilizzati: lesioni cutanee, congiuntivite, distensione gastrica, epistassi, perdita di dispositivi di monitoraggio invasivo (ad esempio CVC, SNG) o lesioni pubiche, per tutta la durata della CPAP tramite una apposita scheda compilata dall’infermiere a fine di ogni turno per tutto il periodo della CPAP. Inoltre, sono stati valutati i gas ematici mediante emogasanalisi, ripetuti in tre tempi: prima dell’inizio del trattamento (rilevazione basale), all’inizio del trattamento e comunque entro un’ora (rilevazione CPAP), a 24 ore. La dinamica respiratoria è stata valutata attraverso la Frequenza Cardiaca, Pressione Arteriosa, Frequenza Respiratoria e Saturazione O2 in modo continuativo tramite monitor. PVC trasparente e privo di lattice. Un collare morbido in PVC, unito al casco da un anello rigido, permette la tenuta del casco alle spalle del piccolo paziente. Il fissaggio del casco è garantito dal baby-body (da 5 a 15 kg) che si collega ai pomelli presenti sull’anello rigido anteriormente e posteriormente. Le misure utilizzate sono state la small (volume interno dei gas di circa 7 litri), adatta a bambini di peso inferiore a 10 Kg, e la taglia large (volume interno di gas di 9 litri) per bambini con peso maggiore a 10 Kg. Il dispositivo è connesso al flussimetro doppio per erogazione di O2 e aria compressa, regolabili per garantire la FiO2 desiderata. La maschera è costituita in materiale plastico rigido, con un bordo soffice e gonfiabile, così da aderire al volto senza provocare eccessiva pressione o lesioni. La taglia adeguata al bambino è stata scelta in base alla conformazione del viso per garantire il miglior comfort. Il fissaggio della maschera avviene mediante due laccetti, passanti dietro la Risultati I soggetti dello studio (6 femmine e 5 maschi) hanno un’età compresa tra 1 e 27 mesi (media 8,64 mesi) e un peso compreso tra 5,25 Kg e 15 Kg (media 8,98 Kg). Sei di questi erano affetti da bronchiolite e cinque da polmonite acquisita in comunità. Nelle tabelle 1 e 2 sono riportati valori medi con deviazione standard dei parametri vitali e i principali indici 2011;28 (3): 20-25 24 di 18.4±5.4 ore nelle 24 ore per una durata complessiva di cinque giorni. Durante le 24 ore di trattamento sono state effettuate delle sospensioni dello stesso per un tempo variabile da 1 a 4 ore al massimo. Nessun bambino del gruppo casco ha presentato segni di intolleranza al device né sviluppato lesioni cutanee, congiuntivite, distensione gastrica, epistassi, perdita di dispositivi di monitoraggio invasivo o lesioni pubiche, per tutta la durata della CPAP. Due bambini inclusi nel gruppo casco hanno ricevuto una minima sedazione con midazolam (0,1 – 3 gamma/kg/min) per migliorare la loro compliance al trattamento. I quattro bambini che hanno iniziato la CPAP con la maschera, hanno avuto un outcome sfavorevole: uno ha sviluppato un quadro di ipercapnia severa ed è stato intubato dopo 24 ore dall’inizio del trattamento con CPAP. Gli altri tre pazienti sono passati al trattamento col casco dopo 10/15 minuti dall’inizio della ventilazione con maschera, a causa di importanti segni di intolleranza al dispositivo (pianto non consolabile, tachicardia e agitazione) nonostante una dose di midazolam. Ovviamente, in questi soggetti non sono stati rilevati i valori ematici dell’emogasanalisi poiché il tempo intercorso tra l’inizio del trattamento e il tempo di adattamento dell’organismo alla CPAP è stato insufficiente. Grafico 3 Grafico 4 Variabili di Outcome: scambio di gas Tutti i pazienti sottoposti al trattamento col casco CPAP hanno avuto un netto miglioramento del quadro clinico, con possibilità, a 24 ore dall’inizio del supporto, di ridurre la FiO2 al 21% mantenendo buoni parametri vitali (Grafico 1): SatO2: compresa tra 95% e 100% FC media: 130±26 bpm FR media: 45±10 atti/min PA media: 110±7 / 58±8 mmHg Grafico 5 Analogamente, tutti e 7 i soggetti hanno presentato un miglioramento del rapporto PaO2/FiO2 all’inizio del trattamento CPAP, ancora più evidente nella terza rilevazione, a 24 ore. La media del rapporto è passata da 163±50.5 a 482±93.8. (Grafico 2) emogasanalitici, a livello basale, dei pazienti ammessi allo studio dei due gruppi: gruppo maschera formato da 4 bambini e gruppo casco formato da 7 bambini. Il casco è stato applicato per una media L’applicazione della CPAP col casco consente un miglioramento generale dei gas ematici, compresa la PCO2: essa tende a stabilizzarsi a 24 ore dall’inizio del trattamento, con una PCO2 media che raggiunge il valore di 37.3±3.7 mmHg. (Grafico 3) Il pH stesso (range di normalità tra 7.357.45) evidenzia la positività del trattamento con il casco. Solo in un caso abbiamo avuto un aumento del pH, che però è rientrato nei range nelle 24 ore di trattamento. Se il valore basale di pH è 7.39±0.07, a 24 ore di trattamento, il pH è 7.41±0.03. (Grafico 4) I punteggi della valutazione del dolore sono passati da 18±4 (basale) a 17±3 (all’inizio del trattamento CPAP), a 17±2 (a 24 ore dall’inizio della CPAP). Ciò indica che il trattamento col casco è stato ben tollerato e il comfort del bambino è stato assicurato. Discussione Nelle unità di Terapia Intensiva Pediatrica il fallimento della ventilazione non invasiva varia tra 10-40%.11 Nei bambini piccoli, specie sotto a 1 anno, la percentuale sale ancora, soprattutto per il difficile adattamento dell’interfaccia al volto del bambino. Il casco costituisce una valida alternativa a questa problematica poiché, per la sua conformazione, evita qualsiasi contatto diretto con il volto del paziente. Grazie a ciò le complicanze che si potevano riscontrare con l’impiego della maschera (lesioni cutanee, congiuntiviti, distensione gastrica, epistassi, perdita di dispositivi invasivi), hanno un’incidenza prossima allo zero. Il supporto respiratorio non invasivo CPAP, ha portato ad un miglioramento delle condizioni cliniche generali dei piccoli pazienti: 1. miglioramento dello stato di coscienza, 2. diminuzione della frequenza respiratoria, 3. aumento della saturazione di ossigeno, 4. aumento del rapporto PaO2/ FiO2, 5. diminuzione della PaCO2 e normalizzazione del pH. Conclusioni Sebbene il numero di bambini sia esi- guo, possiamo affermare che il casco è un’interfaccia sicura e ben tollerata dai bambini piccoli che hanno bisogno di un trattamento ventilatorio non invasivo. Questa metodica richiede comunque di essere applicata unicamente in centri di livello avanzato dove il personale è esperto nell’impiego della CPAP. A oggi non esistono linee guida rispetto ad un suo impiego anche all’esterno dell’area di Terapia Intensiva. Bibliografia 1. NAVA S, FANFULLA F, Ventilazione meccanica non invasiva. Springer-Verlag Italia, 2010, pag 1-4 . 2. MEHTA S, HILL NS. Noninvasive Ventilation. Am. J. Respir. Crit. Care Med 2001; 163 (2): 540-77 3. NAVA S, EVANGELISTI I, RAMPULLA C, CAMPAGNONI ML, FRACCHIA C, RUBINI F. Human and financial costs of noninvasive mechanical ventilation in patients affected by COPD and acute respiratory failure. Chest 1997; 111: 1631-8 4. THIA LP, MCKENZIE SA, BLYTH TP, MINASIAN CC, KOZLOWSKA WJ, CARR SB. Randomised controlled trial of nasal continuous positive airways pressure (CPAP) in bronchiolitis. Arch Dis Child 2008; 93: 45–7 5. CALDERINI E. What are the current indications for non invasive ventilation in children? Curr Opin Anaesthesiol 2010; 23 (3): 368–74 . 6. CHIUMELLO D, PELOSI P, CARLESSO E, SEVERGNINI P, ASPESI M, GAMBERONI C, et al. Head helmet versus face mask for non invasive continuous positive airway pressure. Intensive Care Med 2003 29: 1671–9 7. ELLIOTT MW. The interface: crucial for successful noninvasive ventilation. Eur Respir J 2004; 23:7-8 8. ANTONELLI M, CONTI G, PELOSI P, GREGORETTI C, PENNINI MA, COSTA R, et al. 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Intensive Care Med 2010; 36: 1592-6 25 www.aniarti.it 2011;28 (3): 20-25 RICERCA 2011;28 (3): 26-30 26 Strumenti di misura, validità e affidabilità: guida minima alla valutazione critica delle scale Measuring tools, validity and reliability: guide to the minimum critical evaluation of the measurement instrument Alvisa Palese, Professore Associato di scienze Infermieristiche, Università degli studi di Udine Riassunto Negli ultimi anni si è sviluppato in Italia, sia nella clinica sia nella ricerca e nella didattica, un crescente interesse verso le scale di misurazione. Le scale sono utili ed efficaci quando effettivamente misurano ciò per cui sono state sviluppate e rispondono a requisiti di affidabilità e accuratezza. Per i paesi come l’Italia, il processo di validazione, quando vengano utilizzate scale sviluppate in altri paesi, richiede anche la valutazione linguistica e culturale. Nell’articolo si descrive una guida minima alla valutazione critica delle scala al fine di aiutare gli infermieri ad una scelta attenta della scala da utilizzare nella pratica clinica. Parole chiave: Scale di Misura, Strumenti, Validazione, Guida Minima Abstract In recent years, a growing interest in the measurement tools is developed within Italian nursing profession both at clinic and research/teaching level. Measurement tools are useful and effective when they meet the requirements of reliability and accuracy. In countries such as Italy, when nurses adopt scales developed in other countries, the validation process requires also a process aiming to validate the scale under the language and culture perspective. A guide to critical appraisal of the tools is described in the article in order to assist nurses in the decision making on le best scale. Key word: Instruments, Tools, Scales, Measurement, Validity, Accuracy, Critical Appraisal L REVISIONE PERVENUTO IL 21/05/2011 ACCETTATO IL 06/06/2011 L’ AUTORE DICHIARA DI NON AVER CONFLITTO DI INTERESSI. CORRISPONDENZA PER RICHIESTE ALVISA PALESE - [email protected] a misurazione è parte essenziale della pratica e della ricerca infermieristica: possono essere misurati i problemi attivi (ad esempio la dipendenza nelle attività di vita quotidiane) o di rischio (ad esempio di lesioni da decubito o cadute) dei pazienti; può essere valutata la loro evoluzione nel tempo per sorvegliarne il miglioramento e/o il peggioramento e per verificare l’efficacia degli interventi infermieristici messi in atto. Oltre alle misure utilizzate dagli infermieri clinici, può essere misurata la percezione dei pazienti, degli studenti e degli stessi infermieri. Anche nell’infermieristica, come in altre discipline, tutto può potenzialmente essere misurato ma a volte mancano gli strumenti. Nella pratica clinica, la misurazione ha la principale finalità di sostenere l’assunzione delle migliori decisioni; inoltre, rende più oggettiva la descrizione di un fenomeno e consente la valutazione dei cambiamenti e l’efficacia/inefficacia di un intervento. Nella ricerca, la misurazione consente ad esempio la valutazione della confrontabilità di due cam- pioni (casi e controlli) rispetto a un fattore di rischio, ma consente anche la valutazione degli effetti di una variabile. Per misurare sono utilizzati numerosi strumenti (griglie di valutazione, scale, questionari) citati in letteratura come instrument, tool, scale, questionnaire, la cui scelta è cruciale perché, la loro capacità di misurare effettivamente ciò che si vorrebbe (validità) restituendo un valore accurato e preciso (affidabilità) assicura che l’informazione raccolta sia di buona qualità. Una scarsa qualità delle informazioni può generare pessime decisioni (ad esempio, posticipare il posizionamento di un materasso da decubito ad un paziente sottostimato nel suo rischio di lesioni); costi eccessivi o livelli disomogenei di assistenza (ad esempio un paziente che riceve immediatamente un materasso antidecubito senza che questo sia effettivamente necessario); la raccolta di dati inaccurati e pertanto inutilizzabili sia per la pratica sia per la ricerca; una scarsa qualità delle informazioni può anche generare effetti sugli infermieri che, accorgendosi della inutilità delle proprie rilevazioni e impegnati in molte (troppe) raccolte 27 2011;28 (3): 26-30 dati, possono sviluppare una progressiva diffidenza verso la compilazione degli strumenti.1 Negli ultimi trent’anni, il dibattito scientifico e professionale italiano ha sviluppato crescente attenzione sugli strumenti di misura. Dal 1985, quando è stato pubblicato uno dei primi articoli indicizzati sulla prevalenza delle lesioni da decubito utilizzando la scala di Norton,2 il dibattito si è progressivamente focalizzato sulla validazione delle scale prodotte in altri paesi al fine di renderle disponibili agli infermieri italiani.3 Più recentemente, si è iniziato a validare strumenti originali italiani4-5 e i progetti di ricerca hanno iniziato a includere, tra i propri strumenti, scale validate.6 Parallelamente, i corsi di laurea in infermieristica stanno attribuendo maggiore enfasi all’uso delle scale sia nei corsi teorici sia nei tirocini: docenti e studenti sono supportati da libri che documentano numerose scale di interesse infermieristico.7-8 Anche la Federazione Nazionale Colleghi Ipasvi ha promosso e sostenuto il dibattito9 attivando un progetto di ricerca specifico per la validazione dello strumento10 che misura la complessità assistenziale dei pazienti. Molti programmi di rilievo nazionale (ad esempio l’ospedale senza dolore11) stanno inoltre sostenendo l’esigenza di adottare strumenti di misurazione dei problemi dei pazienti. Nonostante il crescente dibattito, pochi sono gli articoli che riportano la validazione degli strumenti in uso e sono poco diffuse (anche perché considerate molto avanzate), le conoscenze che aiutano a comprendere il grado di validità e affidabilità di uno strumento di misurazione. Inoltre, non esiste una banca dati italiana sugli strumenti già validati e per gli infermieri che hanno bisogno di misurare, il reperimento di validi strumenti non è facile. Il rischio è che si utilizzino strumenti poveri nella qualità che restituiscono misure inaffidabili e imprecise; oppure che si proceda nella produzione di scale “in proprio” senza verificarne la validità; oppure, ancora, che si adottino nella pratica scala dal nome importante e noto in letteratura ma di cui non è dato a conoscere se sono state validate nel nostro contesto (con il rischio che siano traduzioni non verificate). Commentare le proprietà di uno strumento valido - a un primo livello - per supportare gli infermieri nella scelta del migliore strumento da utilizzare nella pratica e nella ricerca è la finalità del presente articolo. Le ragioni Una disciplina scientifica che desidera accrescere la conoscenza deve quantificare le sue osservazioni1 dimostrando di avere la capacità di misurare ciò che teoricamente si propone di misurare (ad esempio il caring, l’assistenza, il coping, l’empowerment) e per cui come professione esiste. Gli infermieri, ad esempio, sulla base del loro profilo, attivano strategie relazionali per aumentare il confort, facilitare il coping, sostenere o motivare un paziente ad aderire alla terapia prescritta. Per misurare l’efficacia, devono poter ‘catturare’ le modificazioni nel confort, nelle abilità di coping, e nella motivazione nei pazienti che gestiscono misurando prima e dopo il proprio intervento. Per l’infermieristica, diversamente dalla medicina che ha numerose misure strumentali (ad esempio i mg/dl di emoglobina, la sodiemia) la misurabilità di un fenomeno è più complessa e come tale richiede chiarezza nei concetti (che cosa è il coping? che cosa è l’empowerment?). Anche per altre discipline (ad esempio la psichiatria) o per specifici problemi (ad esempio nella fase terminale dei pazienti), la misurazione è difficile perché richiede la traduzione operativa di ciò che si vuole misurare: solo dopo aver tradotto operativamente ciò che si vuole misurare è possibile costruire uno strumento. Esistono tuttavia altre ragioni specifiche che sostengono l’esigenza di introdurre nella pratica strumenti di misurazione validati: a. nella clinica, la misurazione ha (o dovrebbe avere)12 un effetto sulle decisioni del singolo infermiere, del gruppo e di quelle collaborative con la professione medica o altre professioni: ad esempio, l’utilizzo della scala Braden per misurare il rischio di lesioni da decubito, consente la presa di decisione rispetto al materasso da posizionare. Oppure, la misura del rischio di malnutrizione di un paziente appena ricoverato utilizzando la Mini Nutritional Scale, indica l’esigenza di personalizzare la nutrizione e potenziare la sorveglianza nutrizionale. b. a livello di sistema, invece, il raggruppamento di singole misure raccolte sul paziente (ovvero di tutte le schede Braden e Mini Nutritional Assesment compilate) consente (o dovrebbe consentire) una fotografia dei fenomeni nel loro insieme, la costruzione di indicatori e il loro monitoraggio nel tempo per assumere decisioni di sistema. Confrontare annualmente quanti pazienti hanno sviluppato lesioni da decubito tra quelli a rischio è una strategia di sorveglianza importante per un ospedale; oppure contare quanti pazienti hanno effettivamente sviluppato la malnutrizione alla dimissione tra coloro individuati a rischio al ricovero, consente di riflettere sul sistema dietetico, della distribuzione dei pasti, sul tempo dedicato all’aiuto dei pazienti dipendenti ma anche comprendere l’eccedenza di complicanze o della degenza. È noto, infatti, l’effetto della malnutrizione sulla durata della degenza e sulla quantità di complicanze dei pazienti ospedalizzati.13 L’aggregazione dei singoli dati e la costruzione di report da inviare alle strutture che hanno partecipato alla raccolta dati, consente l’attivazione di programmi di miglioramento, lo sviluppo di una diffusa consapevolezza sull’importanza dei dati raccolti e una revisione sistematica della loro qualità. c. a livello di macro sistema, invece, disporre di misure sintetiche consente la messa a fuoco di politiche e/o di raccomandazioni di indirizzo regionale e/o nazionale.14 Ad esempio, se potessimo disporre in Italia di un set essenziale di strumenti di valutazione applicati a tutti quelli che sono ricoverati (ad esempio lesioni da decubito, stato nutrizionale, cadute, infezioni, dipendenza nelle ADL) potremmo valutare l’impatto della quantità di risorse umane su larga scala e definire, come peraltro hanno fatto in altri paesi da molto tempo,15 gli standard minimi di assistenza al di sotto dei quali non è prudente scendere. Gli strumenti Si definisce “strumento di misura” la raccolta di item combinati in un punteggio che rilevano operativamente le variabili teoriche che non 28 2011;28 (3): 26-30 possono essere direttamente osservate. 1 Uno strumento può essere in forma di: a. questionario come ad esempio la Mini Mental State Examination da somministrare oppure l’Anxiety and Depression Hospital Scale da utilizzare come self-report, b. griglia di osservazione e/o di rilevazione guidata dei dati prevalentemente tramite l’osservazione diretta come ad esempio la Braden e la Norton Scale, c. questionario misto a griglia di raccolta dati in cui sono richieste altre strategie di misurazione: ad esempio la Mini Nutritional Assesment prevede domande dirette e la raccolta dati attraverso strumenti (peso, altezza). Ciascuno strumento può utilizzare una scala nominale, ordinale, intervallare e rapporto. La misurazione può esitare in un punteggio complessivo (ad esempio l’intensità del dolore), oppure in una valutazione sull’intensità del problema o del rischio del paziente (ad esempio nullo, medio, elevato rischio) o, ancora, in un cut-off che distingue i pazienti che hanno un problema da quelli che non ce l’hanno (ad esempio, l’Hospital Anxiety and Depression Scale individua i pazienti in ansia e depressione rispetto a quelli non affetti). Esistono numerose pubblicazioni che descrivono nel dettaglio gli strumenti e che possono essere consultate per approfondirne le caratteristiche. 1-16-17-18-19 La questione cruciale, tuttavia, non è tanto la quantità di strumenti da adottare quanto la loro relazione con gli esiti sensibili alle cure infermieristiche (dovremmo prioritariamente misurare ciò che è associato e/o attribuito alle cure infermieristiche) e la validità/affidabilità delle misure che producono. Il problema italiano Molti strumenti sono originati e validati in un paese diverso da quello Italiano. Per gli infermieri italiani (ma anche di altri Paesi non madrelingua inglese) che rintracciano una scala sviluppata in un contesto ed in una lingua diversa, è necessario attivare un percorso di validazione. Ad esempio, se un gruppo di infermieri di struttura residenziale rintraccia l’Abbey scale per la misurazione del dolore nel paziente con declino cognitivo (che rileva i comportamenti associati a dolore),20 dovrebbero chiedere preliminarmente l’autorizzazione all’autore e quindi tradurre lo strumento nella lingua italiana coinvolgendo esperti sul contenuto (ad esempio nelle manifestazioni del dolore nei pazienti con demenza) e nella lingua (italiano e inglese). Questo processo (denominato forward translation) può introdurre prime distorsioni nella scala e pur assicurando l’appropriatezza linguistica della traduzione, il suo risultato non necessariamente è valido dal punto di vista culturale. Un altro problema riguarda il rapporto con gli autori che hanno sviluppato la scala originale: più gruppi di ricerca italiani potrebbero essere contestualmente interessati a una stessa scala e inoltrare multiple richieste di autorizzazione allo stesso autore: forse avrebbe più senso conoscere quali sono in fase di validazione attraverso un registro “pubblico” affinché sia possibile partecipare alla validazione o procedere nella validazione di altre scale. Le risorse a disposizione per la ricerca, infatti, non sono molte. Il passaggio successivo alla validazione culturale e linguistica delle scale è la backward translation dove un’altra persona competente nella lingua italiana e inglese, adeguatamente preparata, traduce la nuova versione dall’italiano all’inglese che può essere sottoposta alla valutazione finale dell’autore della scala originale. A questo punto, è necessario ri-validare la scala come fosse di nuova produzione, anche se esistono già articoli sulla sua validazione.16 Il problema di tutti i paesi Superato il problema della lingua e della cultura, gli infermieri di tutti i paesi dovrebbero essere certi di utilizzare strumenti di misurazione validati: ovvero sottoposti a un procedimento rigoroso che al suo termine assicura che gli stessi sono in grado di misurare effettivamente ciò che ci si aspetta di misurare in modo accurato e preciso. Gli studi di validazione delle scale sono numerosi: le pubblicazioni spesso riportano tutti i dati di validazione (o proprietà psicometriche) che sono difficili da comprendere per chi deve decidere se adottare la scala oppure no. Inoltre, spesso le pubblicazioni si soffermano sui risultati della validazione ma non riportano le scale a causa di problemi di copyright rendendo di fatto difficile il reperimento. Per il faticoso percorso di validazione, ma anche per ridurre lo sviluppo di molte scale che valutano senza sostanziali differenze, lo stesso problema, numerosi autori suggeriscono l’uso di scale già validate. Guida minima Se la scelta è di avvalersi di scale già validate, per decidere quale strumento di misura adottare è necessario recuperare articoli o materiali che documentino le proprietà psicometriche della scala e la sua accettabilità per gli infermieri che la utilizzeranno e per i pazienti cui verrà somministrata.16 Questi aspetti possono essere valutati ponendosi alcune domande guida (Tabella 1). Conclusioni Ovviamente questa guida minima è orientativa: potrebbero essere offerti numerosi esempi (ad esempio, sulla qualità della vita) che richiedono altre valutazioni. Inoltre, tutte le scale hanno una propria validità esterna: ovvero deve essere verificata la popolazione su cui sono state validate e che potrebbe avere caratteristiche diverse da quella di nostro interesse (ad esempio, il valore di cut off della Braden potrebbe essere poco specifico per i pazienti ricoverati in terapia intensiva). Infine, l’analisi dovrebbe essere completata con la validità di costrutto (composta dall’analisi fattoriale, dalla validità convergente, discriminante e multimetodo) ovvero sul grado con cui la scala misura effettivamente il costrutto o la teoria di riferimento. Tuttavia, valutare i criteri di base offerti, aiuta a scegliere strumenti di misura che hanno maggiore probabilità di offrire misure valide ed affidabili. Bibliografia 1. DE VELLIS R. Scale Development. Theory and Applications. London: Sage Publications, 2003. 2. AAVV. Indagine di prevalenza sulle lesioni da decubito nei pazienti ospedalizzati. Riv Inferm 1984; 4: 68-75. 3. STRATTA P, BUSTINI M, RESTA C, CASACCHIA M, ROSSI A. Usefulness of psychometric evaluation in the care of psychiatric patients: evaluation of the Italian version of ‘Nurses 2011;28 (3): 26-30 29 Tabella 1. Guida minima alla valutazione di uno strumento di misura1,16,17,18,19 Validità a) Validità di contenuto (content validity): dimostra che gli item della scala rappresentano completamente il problema. Leggendo l’articolo che riporta la validazione della scala che vuoi adottare, verifica se i ricercatori hanno verificato se la scala include tutte le caratteristiche, le dimensioni e/o gli attributi del fenomeno che si propone di misurare. Oppure, se hanno valutato il contenuto di ciascuna variabile che deve corrispondere esattamente al nome attribuito alla variabile: ad esempio, se un item intende misurare la fatica al risveglio dei pazienti con scompenso cardiaco, il contenuto degli item dovrebbe esprimere davvero tutte le dimensioni della fatica percepita dal paziente al risveglio. Valuta, anche se i ricercatori hanno riportato come hanno scelto il numero degli item della scala rispetto all’importanza di ciascuna dimensione del fenomeno che intendono misurare, ovvero se la scala ha una sua distribuzione interna tra le sottoscale ragionevole. Per ottenere questo tipo di validità, i ricercatori dovrebbero aver coinvolto esperti del settore, chiedendo l’espressione di un proprio parere. b) Validità di facciata (face validity): è, secondo alcuni,16 una dimensione della validità di contenuto mentre secondo altri1 un aspetto non necessariamente da valutare. Esprime se i ricercatori si sono preoccupati di valutare, con l’aiuto di esperti, se è immediatamente evidente ciò che la scala intende valutare. Non esprime la validità della scala17 e pertanto non è sempre documentata. Se non la rintracci tra i materiali che disponi, non costituisce di per sé un errore. c) Validità di criterio (criterion validity): ve ne sono almeno due, una concorrente e una predittiva che esprimono l’accuratezza della scala. Verifica tra gli articoli o i materiali che disponi se i ricercatori hanno valutato l’una o l’altra: la prima può essere stata testata verificando se lo strumento che hanno creato (ad esempio una nuova scala di valutazione del rischio di lesioni da decubito) correla con una scala considerata ‘gold standard’ (ad esempio la Braden). In questo caso, il punteggio totale ottenuto dalla nuova scala dovrebbe correlare con quello ottenuto dalla migliore scala sino a quel momento conosciuta e somministrata a un gruppo di pazienti nello stesso momento. Il livello di accettabilità della correlazione dovrebbe essere ≥0.70. Quando tali valori sono elevati, si può dire che la nuova scala ‘funziona’ e magari può sostituire la precedente, se particolarmente impegnativa nella somministrazione e/o richiedeva molto tempo. La validità predittiva, invece, riporta alla specificità e sensibilità dello strumento: ovvero a quanti falsi negativi e positivi individua, valori che devono attestarsi ≥ 80%. La lettura dei dati sulla validità di criterio ti aiuta a capire: 1) se la scala che stai proponendo è effettivamente migliore della scala che stavi utilizzando o che la letteratura considerava come gold standard; 2) se la scala che stai proponendo nel tuo contesto (ad esempio per selezionare gli utenti da ammettere in un nucleo Alzheimer di una casa di riposo) riuscirà a individuare le persone che hanno effettivamente il problema (sensibilità) e coloro che invece non lo hanno (specificità). Affidabilità d) Consistenza interna (internal consistency): misura il grado con cui ogni item è un buon indicatore di un altro item della stessa scala, ovvero quanto la scala è omogenea. Tale valutazione è effettuata indagando le correlazioni tra tutti gli item della scala, o di una parte della scala oppure nella metà della scala quando può essere articolata in due parti. Puoi facilmente rintracciare se i ricercatori hanno valutato la consistenza interna della scala leggendo se hanno riportato l’alpha di Crombach che può restituire valori da 0 a 1: quando la consistenza è molto bassa (ad esempio 0.40) significa che gli item non derivano dallo stesso dominio concettuale (ovvero misurano cose diverse), quando è alta (ad esempio 0.98) significa che misurano sempre lo stesso ambito. Il livello di accettabilità per considerare consistente la scala è da 0.70 a 0.90. Tuttavia non ha molto senso ricercare questo valore se non si è preliminarmente valutata la validità. e) Stabilità (stability), in altre parole la capacità dello strumento di riprodurre gli stessi risultati nel tempo, osservando ad esempio il paziente in due occasioni. Ricerca nell’articolo o nei materiali se alla scala è stato applicato il test-retest. Per le variabili continue è possibile valutare la stabilità esplorando le correlazioni dei punteggi prodotti alla prima ed alla seconda somministrazione (Test di Pearson). Nel caso di dati ordinali (ad esempio questionari che richiedono una risposta articolata in “molto, abbastanza, per niente”) sarà stato adottato il Test di Spearman. I risultati accettabili vanno da ≥0,70 a ≥ 0,80. I ricercatori devono aver riportato il tempo trascorso da una somministrazione all’altra e devono essersi assicurati che i partecipanti non abbiano risposto allo stesso modo perché hanno memorizzato le risposte; devi accertarti inoltre che durante il tempo intercorso non siano intervenuti altri fattori come il cambiamento della situazione del paziente: ad esempio, nella prima somministrazione una scala può restituire una complessità assistenziale di 20 e nella seconda di 10. Non necessariamente vi è una bassa stabilità della scala perché possono essersi modificate effettivamente le condizioni dei pazienti valutati. f) Concordanza intervalutatore (inter-rater reability): esprime il grado di accordo tra due valutatori che in modo indipendente somministrano la scala allo stesso paziente. Ricerca nell’articolo se la scala è stata sottoposta al test K di Cohen che può andare da 0 a 1: se è 0 non è accettabile, significa che i due valutatori hanno risposto in modo completamente diverso quando esposti ad osservare in cieco lo stesso fenomeno; se è ≤0.40 il livello di accordo è considerato debole, da 0.41 a 0.50 moderato, da 0.61 a 0.80 buono e da 0.81 a 1 molto elevato. Se la concordanza intervalutatore non è buona, verifica se i ricercatori hanno condotto una valutazione della concordanza intravalutatore (intra-rater reability), chiedendo a un singolo valutatore di misurare la stessa situazione ma in tempi diversi: potrebbe essere, infatti, che il basso accordo non dipenda dai due valutatori ma da uno dei due che non ha compreso il metodo di valutazione, compie degli errori, o altro. 2011;28 (3): 26-30 Observation Scale for Inpatients Observation (NOSIS). Prof Inferm 1997; 50(2): 49-53. 4. CATANIA G, COSTANTINI M, LAMBERT M, LUZZANI F, MARCEA F, TRIDELLO G, BONI L, BERNARDI M. Validazione di uno strumento che misura le conoscenze e gli atteggiamenti degli infermieri italiani sulla gestione del dolore. AIR 2006; 25(3): 149156. 5. VELLONE E, BELLINI G, FABRIANI L, FELLONE C, PASSERETTI F. Sviluppo di uno strumento per misurare la qualità del corso di laurea in infermieristica. AIR 2007; 2(1): 14-23. 6. SAIANI L, ZANOLIN ME, DAL PONTE A, PALESE A, VIVIANI D. Valutazione della sensibilità e specificità di uno strumento di screening dei pazienti a rischio di dimissione difficile. AIR 2008, 27(4): 184-193. 7. COPPELLI P, ARTIOLI G. Assesment infermieristico: Approccio orientato alla persona. Milano: Poletto Editore, 2005. 8. SANTULLO A. Le scale di valutazione in sanità. Milano: McGraw-Hill, 2008. 9. AA.VV. Le scale di valutazione: strumenti per la rilevazione dei dati clinici nell’assistenza infermieristica. L’infermiere 2003; 6 (3): 3- 29. 10. SILVESTRO A, MARICCHIO R, MONATANARO A, MOLINARI MIN M, ROSSETTO P. La complessità assistenziale. Milano, McGraw Hill, 2009. 11. Linee Guida “Ospedale senza dolore”. Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano. Provvedimento 24 Maggio 2001, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana149/2001. 12. SULLIVAN DH, SUN S, WALLS RC. ProteinEnergy Among Elderly Hospitalized Patients. A prospective study. JAMA 30 Stop al Senato per il disegno di legge sulle professioni sanitarie Il ministro della Salute, On. Fazio, si pronuncia a favore degli Ordini professionali e auspica che il Ddl che istituisce nuovi Ordini e Albi per le professioni sanitarie possa presto riprendere il suo iter per l’approvazione. Le professioni sanitarie, secondo il Ministro, “hanno funzioni fondamentali che richiedono grande attenzione e vigilanza per contrastare l’abusivismo e i comportamenti poco corretti. Credo quindi che sia molto importante andare avanti con il ddl sulle professioni sanitarie la cui discussione non è stata sospesa per ragioni ideologiche ma per un problema tecnico che mi auguro possa risolversi già la prossima settimana”. Il Ministro ha affermato l’importanza di questo ddl e la diversità delle professioni sanitarie rispetto alle altre professioni. Annalisa Silvestro, presidente della Federazione dei Collegi Ipasvi “Siamo molto colpiti e sconcertati. Gli onorevoli e i senatori forse non sono a conoscenza del fatto che abbiamo già il Collegio provinciale aggregato in una federazione nazionale. Per quanto ci riguarda, si tratterebbe solo di una mera trasformazione di questi Collegi in Ordini, visto che, tra l’altro, la nostra legge ordinistica è esattamente uguale a quella dei medici”. Questo il commento di Annalisa Silvestro alla notizia dell’arresto del Ddl benché fosse stato approvato in commissione Salute del Senato con voto bipartisan. Il problema, secondo la Presidente Silvestro, è con ogni probabilità legato all’attuale dibattito sull’ordinistica, “anche se, il relazione agli infermieri, non è possibile di certo parlare di tentativi per non liberalizzare la professione visto non c’è alcuna preclusione all’inserimento nella professione, né nella formazione. A far aumentare il livello di irritazione è anche il sospetto che, se da una parte viene rimandato il percorso degli infermieri, dall’altro potrebbe esser mandato avanti senza troppi problemi quello relativo all’innovazione delle norme ordinistiche riguardanti medici, farmacisti e veterinari. “La cosa potrebbe infastidirci molto – ha ammonito Silvestro – poiché sarebbe il palesarsi di una vera discriminazione”. Le stesse parole di contrarietà al provvedimento pronunciate ieri dal sen. Francesco Rutelli hanno palesato per Silvestro “una scarsa conoscenza delle situazioni e una diffusa tendenza a generalizzare, visto che non si parla di categorie sulle quali poter fare valutazioni di tipo corporativo e che non andrebbero ad inficiare nulla sul mercato del lavoro”. Anche dal punto di vista economico, “non sarebbe di certo un ulteriore onere a carico dello Stato – ha concluso - i Collegi sono totalmente autofinanziati, non chiediamo allo Stato neanche un euro, e quindi non capiamo quanto sta accadendo, se non per una presa di posizione totalmente ideologica”. BIOETICA 2011;28 (3): 31-35 31 Morte e morire: le emozioni vissute dagli infermieri in Pronto Soccorso Death and dying: the nurses’ emotions in Accident and Emergency Elsa Labelli, Dott.ssa Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Corso di laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Padova, sede di Portogruaro (VE) Laura Bertossi, Infermiera, Medicina ASS n°5 “Bassa Friulana”, Palmanova (UD) Cristiano Cortello, Infermiere, Master 1° livello di Area Critica in Anestesia e Rianimazione, Master 1° livello in Coordinamento Professioni Sanitarie Riassunto Introduzione: la realtà improvvisa e scioccante della morte non è mai lontana dalla vita quotidiana dei Pronto Soccorso. In tutti i casi, l’evento luttuoso provoca spesso un’ansia acuta, il rischio di una crisi d’identità, il senso d’insicurezza, la disperazione e la rabbia. Tale aspetto nella pratica infermieristica ha portato a stressanti e insostenibili esperienze, lasciando nel professionista un’eredità d’inadeguatezza, disagio e insoddisfazione, rappresentando una minaccia per la competenza professionale. Obiettivo: lo studio di tipo qualitativo intende identificare le principali emozioni e sentimenti vissuti dagli infermieri di emergenza (Pronto Soccorso), in seguito alla morte improvvisa di loro assistiti e descrivere l’esperienza di sofferenza e di elaborazione del lutto degli stessi. Materiali e metodi: dal 28 giugno al 25 luglio 2010 nel Pronto Soccorso dell’Ospedale di Portogruaro (VE), sono stati raccolti, per mezzo di interviste semi-strutturate, i vissuti degli infermieri che hanno esperito almeno un decesso di un assistito. Sono stati intervistati 9 infermieri su 20 in dotazione organica. Risultati: il 55,56% del campione erano femmine, il 44,44% maschi. È emerso che il 78% degli infermieri sui 9 intervistati, ha presentato distacco emotivo in situazioni di morte, il 44,44% ha dichiarato di aggrapparsi disperatamente a qualcosa per dar senso alla morte, il 33,33% che si è occupato di attività diversive, assumendo comportamenti di evasione dalla notizia del decesso inatteso e improvviso. Rispetto alle emozioni percepite, si è rilevato nel campione una prevalenza del 100% di sentimenti di accettazione, dolore e tristezza, seguiti per l’89% da angoscia. Conclusioni: le esperienze di sofferenza evidenziate degli infermieri sono accompagnate da sentimenti di tristezza, angoscia e dolore. La totalità del campione, attraversando in modo diversificatole fasi di elaborazione del lutto, dichiara di aver acquisito la consapevolezza di quanto accaduto. Gli infermieri stessi affermano e dimostrano di attribuire a tali esperienze di morte, un significato positivo di crescita personale e professionale. Parole chiave: Emozioni, Pronto Soccorso, Infermieri, Morte Improvvisa, Lutto, Elaborazione del Lutto Abstract Introduction: the sudden and shocking reality of death is never far away from the daily life of A & E. In all cases, in fact, the sad event often causes acute anxiety, the risk of an identity crisis, the sense of insecurity, despair and anger. This aspect in nursing practice has led to stressful and unsustainable experiences and a sense of inadequacy, discomfort and dissatisfaction, which represent a threat to professional competence. Objective: the qualitative study identifies the key emotions and feelings experienced by emergency nurses following the sudden death of their patients and describe the experience of suffering and mourning of the same nurses. Materials and methods: from June 28th to July 25th, 2010 in the A & E of Hospital in Portogruaro (VE), the background of nurses who have experienced at least one death of a patient was collected through semi-structured interviews,. Interviews were conducted with 9 out of 20 nurses in staffing. Results: the 55.56% were females, 44.44% male. It showed that 78% of the nurses interviewed presented emotional detachment in situations of death, 44.44% said to desperately cling to something to give meaning to death, the 33.33% were involved in diversionary activities, behaving with evasiveness to avoid the news of the unexpected and sudden death. With regards to the emotions felt, it was found a feeling of acceptance, pain and sadness in 100% of the sample and of anxiety in the 89%. Conclusions: we highlighted the existing nurses’ experiences of suffering accompanied by feelings of sadness, anxiety, pain and disgust. The whole sample, more or less evenly across the various stages of the grieving process, claims to have acquired the awareness of what happened. Despite the recognition of a missing psychological support, nurses say and show to give these death experiences, a positive sense of personal and professional growth. Keywords: Emotions, Accident and Emergency, Nurses, Sudden Death, Bereavement, Mourning Introduzione ARTICOLO ORIGINALE PERVENUTO IL 8/4/2011 ACCETTATO IL 19/5/2011 GLI AUTORI DICHIARANO DI NON AVER CONFLITTO DI INTERESSI. CORRISPONDENZA PER RICHIESTE DOTT.SSA ELSA LABELLI, [email protected] I n una società ove vi è un mutismo disumano, un’emarginazione dalla dimensione sia individuale sia collettiva del vivere e una sordità totale di fronte alla morte e al lutto,1 è importante che l’infermiere trovi degli spazi strutturati in cui potersi domandare che cosa è la morte e nei quali possa far emergere le emozioni che sorgono dopo tale esperienza.2 La realtà improvvisa e scioccante della morte non è mai lontana dalla vita quotidiana dei Pronto Soccorso.3 Frequentemente, difatti, si entra in contatto con la sofferenza del decesso dei pazienti e la necessità di fornire assistenza empatica ai parenti in lutto.4 Alla morte è associato l’inevitabile assalto delle forze interiori che, potendo essere visibili, rappresentano una minaccia per 2011;28 (3): 31-35 la competenza professionale. In tutti i casi, l’evento luttuoso provoca spesso un’ansia acuta, il rischio di una crisi d’identità, il senso d’insicurezza, la disperazione e la rabbia.5 Tale aspetto nella pratica infermieristica ha portato a stressanti e insostenibili esperienze, lasciando nel professionista un’eredità d’inadeguatezza, disagio e insoddisfazione.6 Il percorso emotivo del lutto, così come suggerisce Kübler-Ross, parte dal rifiuto della perdita e dall’isolamento, per transitare attraverso uno stato di collera con successive fasi del venire a patti e della depressione, e infine per approdare nello stato di accettazione in cui, con gran dolore, la morte avvenuta viene ammessa.7 Vivere correttamente le fasi del lutto, permette a chi lo sperimenta di renderlo più tollerabile, di far sì che i propri sentimenti non incidano sul rapporto con coloro nei cui confronti hanno precise responsabilità di aiuto e di non sviluppare comportamenti che potrebbero assumere connotati patologici. Obiettivi dello studio L’ambito della ricerca attiene al vissuto degli infermieri di Pronto Soccorso, che hanno avuto un’esperienza di decesso di un proprio assistito durante l’attività lavorativa. Si vuole identificare le principali emozioni e sentimenti esperiti dagli infermieri in tale occasione e verificare se l’esperienza dell’elaborazione del lutto, possa estendere la propria conoscenza personale e professionale ed implementare interventi che siano utili alla gestione dei comportamenti conseguenti alle emozioni percepite. Verificare, inoltre, quale percezione ciò comporta sulla qualità dell’assistenza infermieristica erogata. Luglio 2010, presso l’Unità Operativa Complessa di Pronto Soccorso, Accettazione ed Osservazione Temporanea dell’Ospedale di Portogruaro dell’ASSL n°10 “Veneto Orientale”Regione Veneto. Il campionamento ha previsto come unico criterio di inclusione che i partecipanti fossero infermieri che hanno vissuto un’esperienza di decesso di un proprio assistito durante l’attività lavorativa in Pronto Soccorso e che esprimessero una chiara disponibilità ad essere intervistati. Il campione finale arruolato allo studio, è stato di 9 infermieri. Le interviste, di durata media tra i 22 e i 28 minuti, sono state condotte dal 28 giugno 2010 al 25 luglio 2010. Per consentire all’intervistatore di accedere nuovamente ai dati è stato fatto uso di un registratore digitale. Le riproduzioni, al termine della trascrizione delle interviste, sono state consegnate ai rispettivi intervistati o eliminati. Agli infermieri, tramite quesiti semistrutturati posti durante l’intervista in modo non direttivo, si chiedeva: - di raccontare quali emozioni/sentimenti avessero vissuto di fronte all’episodio di morte improvvisa di un proprio assistito; - quali comportamenti avessero assunto dopo tale esperienza nei mesi successivi durante l’attività lavorativa; - come si fossero evolute le emozioni nel tempo a distanza dall’episodio di morte; - il significato conclusivo conferito all’esperienza luttuosa. Le nove interviste sono state trascritte verbatim e sono state analizzate per mezzo di tabelle impostate secondo il modello concettuale della teoria di Kübler Ross e della classificazione delle emozioni di base previste da Ortony e Turner.8 Materiali e metodi Lo studio di tipo qualitativo fenomenologico, è stato condotto sottoponendo il campione ad un’intervista semi-strutturata di cinque domande aperte. Le interviste sono state in seguito analizzate utilizzando il metodo Van Kaam. Il modello è stato impiegato come strumento guida nell’analisi delle interviste, rimanendo aderenti ai significati dichiarati dagli intervistati. Il campione selezionato per lo studio ha incluso 20 infermieri in organico al 2 Risultati L’età media dei soggetti reclutati nello studio, è stata di 37,78 anni (±5,01). Dei 9 infermieri coinvolti nello studio, la distribuzione per sesso era composta da 5 femmine (55,56%, età media di 40 anni ±4) e 4 (44,44%) maschi (44,44%, età media di 35 anni ±5,23). L’esperienza lavorativa degli infermieri 32 era compresa tra 2,5 e 27, con una media di 10,06 anni ±8,38. Il processo di elaborazione del lutto Analizzando i dati del campione d’indagine, riguardo la prima fase del processo di elaborazione del lutto, è emerso che 7 (78%) infermieri sui 9 intervistati hanno presentato distacco emotivo in situazioni di morte. Il 44,44% degli infermieri ha dichiarato di aggrapparsi disperatamente a qualcosa per dar senso alla morte; 3 (33,33%) si sono occupati di attività diversive e hanno assunto comportamenti di evasione alla notizia del decesso inatteso e improvviso. Rispetto alla fase di collera, è emerso che il 56% del campione si è domandato con indignazione perché la morte fosse sopraggiunta a un paziente piuttosto che a un altro. L’affrontare la morte e i familiari in lutto con freddezza e indifferenza, è stato evidenziato dal 33,33% del campione. Il 56% degli infermieri, rispetto alla terza fase del processo di elaborazione del lutto, ha dichiarato di aver pensato che il destino fosse intervenuto nel determinare la morte improvvisa del paziente. Inoltre, è emerso che 4 infermieri hanno ricercato co-morbilità o altri espedienti che potessero dar senso e significato provvisorio all’accaduto e che 3 sono venuti ad un accordo che potesse alleviare le intense e profonde emozioni esperite. Rispetto alla fase della depressione, è affiorato che l’89% del campione ha presentato pensieri ricorrenti accompagnati da tristezza e profonda empatia ai familiari e alle persone in lutto. In seguito al decesso di un proprio assistito, il 44,44% del campione ha mostrato comportamenti di pianto, ha ritenuto che non ci fosse nessun aiuto per affrontare esperienze così profonde e che non ci fosse tempo a sufficienza per elaborare quanto accaduto. Il 33,33% degli intervistati ha esperito sensi di colpa irrealistici per la morte inaspettata e improvvisa di un proprio paziente ed ha dichiarato che questo è stato percepito come una sconfitta. La rassegnazione all’evento luttuoso e la ricerca di un tempo di silenzio utile per l’intensificazione della preparazione emotiva, sono state espresse, sempre, dal 33,33% del campione. Analizzando la fase dell’accettazione 2011;28 (3): 31-35 Tabella n.1. I vissuti degli infermieri secondo la teoria sull’elaborazione del lutto di Kübler Ross. 33 fidate e annullare i sensi di colpa irrealistici esperiti nella fase precedente. Il 56% degli infermieri ha trovato consolazione e significato all’esperienza luttuosa nella famiglia, negli amici e nei colleghi. L’accettazione dei propri limiti e il senso di soddisfazione che si prova quando si ripensa a quanto fatto per l’assistenza al morente e ai familiari in lutto,sono affiorati nel 44,44% dei professionisti sanitari (Tabella n. 1). Le emozioni e i sentimenti esperiti dagli infermieri L’esplorazione delle emozioni ha visto una prevalenza (100%) dei sentimenti di accettazione, dolore e tristezza, seguiti per l’89% da angoscia. Il 67% degli infermieri ha dichiarato di aver esperito sentimenti di disgusto connessi al modo di percepire se stessi come esseri umani, all’indifferenza espressa dai familiari alla notizia di morte del proprio caro, a stimoli sensoriali esperiti durante il tentativo di soccorso del paziente e che hanno ispirato repulsione. Dalle 9 interviste è emerso che 5 (56%) infermieri hanno esperito sentimenti di interesse. Il 56% del campione, difatti, ha espresso il desiderio e la necessità di aggiornarsi, ricercando informazioni, documentazioni, consigli e chiarimenti circa l’accaduto; sentimenti d’interesse sono documentati anche dalla manifesta volontà degli infermieri di ottenere informazioni, circa gli aspetti psicologici dei superstiti. Paura e abbattimento sono emozioni esperite dal 44,44%, seguite dal 33,33% che ha provato sensi di colpa, rabbia e disprezzo (Tabella n. 2). I significati conclusivi conferiti all’evento luttuoso dell’evento luttuoso, è affiorato che il 100% del campione ha dimostrato e dichiarato di aver consapevolezza circa l’accaduto e di non aver paura di affrontare nuovamente esperienze similari. Il 78% del campione ha riconosciuto e dichiarato con dignità e serenità, che la morte è iscritta nell’esistenza umana. Il 78% ha avuto il coraggio di parlare e riflettere circa l’accaduto con persone Si è evinto, inoltre, che 7 (78%) infermieri ritengono di aver fatto professionalmente il possibile per salvare il paziente morente e per i familiari in lutto, conferendo all’evento luttuoso un significato di crescita personale e professionale; il 67% valuta l’esperienza di morte in sé come negativa e attribuisce un maggior significato esistenziale della vita. Dei 9 intervistati, 3 hanno ritenuto che l’esperienza gli abbia aiutati a confermare e crescere il senso di appartenenza alla professione infermieristica. 34 2011;28 (3): 31-35 Sebbene tali comportamenti corrispondano a quelli espressi da Kübler Ross nella quinta fase del processo di elaborazione della perdita, gli infermieri in lutto possono avvertire “l’oltraggio” subito per la loro incapacità di controllare gli eventi, manifestando sentimenti di frustrazione e d’impotenza. Il 33,33 % degli intervistati, difatti, esperisce sensi di colpa irrealistici per la morte inaspettata e subitanea di un proprio paziente, fino a considerarla un fallimento personale e professionale; ciò conferma quando detto negli studi di Farrell e Brysiewicz.15, 16 “Beh, essenzialmente… mmh, come dire è una sconfitta; essenzialmente è una sconfitta… .” (Intervista n. 1) A supporto di quanto dichiarato in precedenza, emerge che il 44,44% del campione esperisce emozioni come abbattimento, seguito dall’89%da angoscia e dal 100% da tristezza. Come indicato da Ordog, il personale sanitario intervistato che ha assistito a una morte improvvisa e prematura, ha presentato risposte difensive utili per non entrare in contatto con ciò che gli induce ansia.17 Il 78% degli infermieri, difatti, ha dichiarato di presentare distacco emotivo dal paziente e dai famigliari in situazioni di morte, focalizzandosi sugli aspetti biomedici delle malattie. Tale reazione, definita da Ordog come apparente insensibilità verso la morte e la sofferenza che ne deriva, è sviluppata e riconosciuta dal personale infermieristico, per proteggersi contro l’investimento emozionale e la frustrazione. “Probabilmente è un atto di autodifesa […].” (Intervista n. 3) Secondo Mandel, risposte di evitamento s’innescano nel momento in cui non si può o si è incapaci di verbalizzare il proprio disagio emotivo, le proprie sensazioni ed emozioni. Contrariamente a tale ipotesi, il 78% del campione ha dichiarato e dimostrato di aver coraggio Tabella n. 2. I sentimenti degli infermieri secondo la classificazione delle emozioni di base previste da Ortony e Turner. Discussione Come riportato nelle trascrizioni delle interviste e come riscontrato anche in letteratura, nei precedenti paragrafi si è posto l’accento su come gli infermieri possano, con intensità e natura diversa, soffrire quando un paziente da loro assistito muore e quanto risulti importante vivere correttamente le varie fasi del processo di lutto.9 Elaborarlo attraverso gli stadi di negazione, collera, patteggiamento, depressione ed accettazione, permette di renderlo più tollerabile, favorisce un’adeguata accettazione della perdita,10, 11, 12 fa sì che i propri sentimenti non interferiscano sull’efficacia della relazione d’aiuto13 e di non sviluppare comportamenti che potrebbero assumere connotati patologici.14 È interessante che la totalità degli intervistati dimostri e dichiari di aver consapevolezza circa l’accaduto e di non aver paura di affrontare nuovamente esperienze similari. “In quella situazione […] a livello di lavoro, personalmente ritornerei a fare le stesse cose… […].” (Intervista n. 4) Più di due terzi del campione, riconosce che la morte è iscritta nell’esistenza umana. “ […] resterà sempre quell’angolino buio in cui tu non puoi intervenire. Comunque la morte fa parte della vita, purtroppo. […] Devi arrivare a capire che la vita come la morte è un mistero. È sempre stato un mistero e sempre continuerà a restare un mistero.” (Intervista n. 4) di parlare e riflettere circa l’accaduto con persone fidate, seguito dal 56% che trova consolazione e significato dall’esperienza luttuosa nella famiglia, negli amici e nei colleghi. Ciò facilita il percorso di elaborazione della perdita e rileva l’importanza delle risorse individuali e sociali come indicato da Biondi e Tabarini.18 Nonostante il 44,44% ritenga che non ci sia nessun aiuto e che non si abbia tempo a sufficienza per elaborare circostanze così profonde, la quasi totalità degli intervistati dichiara e valuta tali esperienze lavorative, come un momento di crescita personale e professionale, uniformemente con quanto detto da Saines. “[…] è un’esperienza che ti fa crescere sicuramente… […]. Situazione che ti fa crescere… perché innanzitutto ti fa capire l’importanza della vita e quindi, promuovere il più possibile la salute… ti fa crescere perché ti fa capire se… […] ti invoglia a documentarti, chiedere consigli, a essere più scrupolosi nel tuo lavoro, e quindi sia dal punto di vista professionale ma anche tanto dal punto di vista umano.” (Intervista n. 1) Dei 9 intervistati, 6 hanno avvalorato quanto dichiarato dallo studio di Mandel e dal report di Gonzalez19 il 67% degli intervistati, difatti, conferisce un maggiore significato esistenziale alla vita. “Certo che tutto il resto, tutto il superfluo diventa futile, diventa di poca importanza. […] Impari anche ad amare le piccole cose che di solito tutti i giorni ti sfuggono. […]capisci che a volte, che questa vita così frenetica ti porta a trascurare quello che invece sono le piccole gioie, le piccole soddisfazioni, che poi in realtà sono enormi.” (Intervista 1) Inoltre, coerentemente a quando detto da Gonzalez e da Ordog, il 44,44% del campione ha sostenuto nelle interviste, come la morte abbia insegnato loro a consapevolizzare concretamente le limitazioni insite nell’esercizio professionale, in qualità di professionisti sanitari. Conclusioni Per gli infermieri di Pronto Soccorso, in cui il contesto lavorativo sembra non concedere loro tempo a sufficienza per poter riflettere sul loro operato e su quanto esperiscono, il decesso di un paziente è un evento destabilizzatore e stressante. Di tutte le separazioni, la morte è la più temuta sia riguardi noi stessi sia una persona vicina.20 Nonostante il riconoscimento e la potente ed energica dichiarazione che manca un continuo supporto psicologico-sociale all’interno delle realtà ospedaliere, gli infermieri nella loro quasi totalità affermano e dimostrano di attribuire alle esperienze di morte, un significato positivo di crescita personale e professionale. La morte è una delle esperienze spesso vissute, ma talvolta poco trattate e/o discusse. Evitare l’espressione delle proprie emozioni e dei sentimenti percepiti, non acquisire supporti psicologici ed emotivi adeguati e costanti, sottrae la possibilità agli infermieri di terminare il processo di lutto in maniera soddisfacente e di considerare il momento del lutto, come tempo di cambiamento personale. Auspicabile è un’accurata preparazione durante la formazione professionale di base su tematiche riguardanti le emozioni, la morte e l’elaborazione del lutto, per il maggior sviluppo di abilità comunicative, soprattutto in merito ai propri sentimenti riconosciuti ed esperiti in esperienze assistenziali di morte, nella logica di offrire un supporto psicologico ed emotivo adeguato al morente e al familiare in lutto, permettendo così agli infermieri di garantire un ambiente lavorativo cooperativo e di miglior qualità assistenziale in area di Emergenza. Bibliografia 1. CROZZOLI A. Il travaglio del lutto, 2002, http://digilander.libero.it/mariabianchi/pr eparazione/morte_morire/travagliolutto.ht m ultimo accesso 6 Luglio 2010. 2. MELE C. La morte capovolta: analisi sulla morte e sul morire in ospedale. Nursing Oggi 2005; 3: 6-9. 3. SAINES JC. Phenomenon of sudden death: Part I. Accident and emergency nursing 2007; 5(3): 164-171. 4. PAYNE SA, DEAN SJ, KALUS C. 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Aniarti 3404045124 Corso di Laurea in Infermieristica Tel. 0422328196 - [email protected] DRIGO ELIO Via del pozzo 19 – 33100 Udine Tel. 0432501461 Cell. Aniarti 3404045327 [email protected] BECATTINI GIOVANNI Direzione Dipartimento Infermieristico Ostetrico USL 7 Siena Cell. 3395619602 - Cell. Aniarti 3404045447 [email protected] D’ERRICO ANTONELLA Assistenza Dipartimentale.Dipartimento CardioNefroPolmonare – Az. Osp. Univ. Parma Cell. 3346077982 - [email protected] GIUSTI GIAN DOMENICO Cell. Aniarti 3495961171 - Tel. 0755783329 Rianimazione A.C.U.T.I A.O. “S.M. della Misericordia” (PG) [email protected] MARCHINO PAOLA Azienda S.S. 1 Triestina - Struttura Semplice Tutela Salute Bambini Adolescenti, Distretto 2 Cell. Aniarti 3404045129 [email protected] CONSIGLIO NAZIONALE ANIARTI - TRIENNIO 2011-2013 ABRUZZO STORNELLI MUZIO - [email protected] Via Dante Alighieri 22 – 67050 Pescocanale di Capistrello (AQ) Tel. 0863531230 - Cell. 3479477797 T.I. Casa di Cura Di Lorenzo - Avezzano - Tel. 0863428274 CALABRIA - BASILICATA GIGLIOTTI PIERGIORGIO - [email protected] Cell. 3204792428 Servizio infermieristico ospedaliero - Tel. 0981485261 CAMPANIA DE CRESCENZO TONIA - [email protected] AORN A. Cardarelli Napoli – Radiologia Interventistica Vascolare REA TERESA - [email protected] Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” Napoli Dipartimento di Igiene - Tel. 0817463022 - Fax 0817463022 STABILE CARMELINA - [email protected] [email protected] - Cell. 3498532852 Via S. Salvatore 48 – 82030 Puglianello (BN) Terapia Intensiva Neonatale - A.O. “G. Rummo” (BN) EMILIA ROMAGNA MARSEGLIA MARCO [email protected] - [email protected] Rianimazione CCH Osp. “S.Orsola-Malpighi” Tel. 0516363405-678 - Fax 0516363058 SEBASTIANI STEFANO - Cell. 3473548637 Ricerca e Innovazione, Governo Clinico e Valutazione della Performance Sanitaria – Settore Formazione e aggiornamento professionale- Policlinico S.Orsola-Malpighi - Az. Osp. Univ.Bologna [email protected] - [email protected] SOLOMITA GRAZIELLA - [email protected] CCH Osp. “S.Orsola-Malpighi” Tel. 0516364761 - Cell. 3386769039 FRIULI – VENEZIA GIULIA CESAR DEBORA - [email protected] Rianimazione pediatrica - IRCCS Burlo Garofano Tel. 0403785455 - Cell. 3333101116 PERESSONI LUCA - [email protected] Via Val Saisera 4/A – 33100 Udine - Cell. 3290547118 AOU di Udine Staff DAI Anestesia e Rianimazione LAZIO COSSU ILARIA - [email protected] - [email protected] TI Postoperatoria Policlinico “A. Gemelli” Tel. 0630155299 - Cell. 3392343130 DEGLI ESPOSTI RACHELE - [email protected] T.I. Cardiochirurgica - Barts and The London NHS Trust/The London Chest Hospital - Cell 3491615820 FEDELI CLAUDIO [email protected] - [email protected] ASL Roma C Presidio Ospedaliero CTO A. Alesini - Seconda Ortopedia/Traumatologia - Cell. 3389689945 MARCHETTI ROSSELLA - [email protected] Viale Giulio Cesare 237 – 00192 Roma TI Postoperatoria Policlinico “A.Gemelli” - Roma Tel. 0630155299 - Cell. 3392977270 LIGURIA BIGLIERI ALBA - [email protected] - [email protected] Day Surgery - E.O. Galliera - Tel. 0105634882 Cell. 3281503252 LOMBARDIA DILETTOSO GIANLUCA [email protected] - [email protected] Via Brescia 2 – 20051 Limbiate (MB) - Cell. 3333669491 Centrale Operativa AAT 118 - Az.Osp. Niguarda (MI) LUCCHINI ALBERTO - [email protected] Via S. Francesco 2/D – 20040 Busnago (MB) - Cell. 3346325670 T.I. Generale Az. Osp. S. Gerardo – Monza Tel. 0392339824 - Fax 0392333287 GIACOVELLI MATTEO - [email protected] - Cell. 3484026096 T.I. Generale Az. Osp. S. Gerardo – Monza - Tel.0392339095 MARCHE BOCCALINI SARA - [email protected] AA.OO.UU Ospedali Riuniti Umberto I – Lancisi – Salesi (AN) Clinica di anestesia e rianimazione Tel. 0715964642 - Fax 0715963828 MOLISE CALLEO MARIO - [email protected] [email protected] - Cell. 338 9005614 via Quinto Orazio Flacco c/o Colella Elisa - Venafro (Isernia) Neuromed - Neurologia - Tel. 08659291 - Fax 0865925351 PIEMONTE e VALLE D’AOSTA DEIANA CECILIA - [email protected] Corso Piemonte, 13 - 10036 Settimo Torinese (TO) Cell. 3482266890 Pronto Soccorso Gradenico - Tel. 0118151283 - Fax 0118151320 PUGLIA LATTARULO PIO - [email protected] - [email protected] Centrale 118 ASL Taranto Tel. 0994723929 - Cell. 3395871389 SARDEGNA BECCA MARIA ANTONIETTA - [email protected] Via s. Giuseppe 21 – 07010 Tula (SS) - Cell. 3406858920 Pronto soccorso - ASL 2 Olbia SICILIA BARONE GIOVANNI - [email protected] Via Torquato Tasso 76 - 91011 Alcamo (TP) Tel.0924500073 - Cell. 3476250300 Azienda Ospedaliera Trapani - PTA Salemi (TP) - Tel. 0924990300 TOSCANA BUONCOMPAGNI MORENA - [email protected] Loc. S. Polo 35/L - 52100 Arezzo - Cell. 3404056212 Neurologia Stroke Unit - Azienda USL 8 Arezzo - Tel. 0575254561 LOPEZ POLLAN RODRIGO - [email protected] Anestesia e T.I.Neurochirurgica – Az. Osp. Universitaria Senese Tel. 0577585228 - Cell. 3470831027 MOSTARDINI MARCO - [email protected] Azienda Osp. Univ. Careggi – T.I. emergenza TRENTINO ALTO ADIGE CALLIARI OLIVO - [email protected] Via Biasi 102/A – 38010 S. Michele Alto Adige (TN) Endoscopia digestiva – APSS Trento UMBRIA DOTTORI FRANCESCO - [email protected] Cell. 3933754661 - Pronto soccorso – Az. Osp. Perugia ZUCCONI MARCO - [email protected] Via Pian di S. Martino Castello 40 – 06059 Todi (PG) Dipartimento Professioni Sanitarie - Az. Osp. di Perugia Tel. 3407114681 - Cell. 3391345044 VENETO BELLAN SOFIA - [email protected] - Cell. 3483651462 Poliambulatori - Casa di Cura Madonna della Salute Porto Viro(RO) CORTELLO CRISTIANO - [email protected] - Cell. 3482528376 Via Cao Mozzo 23 – 30026 Lugugnana di Portogruaro (VE) FAVERO VALTER - [email protected] Via Volpin 66/A – 30030 S. Maria di Sala (VE) T.I.P.O. Cardiochirurgia Policlinico Padova Tel. 0498212418 - Cell. 3346834486 - Fax 049-8212423 REVISORI DEI CONTI - TRIENNIO 2011-2013 CALLIARI OLIVO - Trentino Alto Adige FAVERO VALTER - Veneto SOLOMITA GRAZIELLA - Emilia Romagna