Roma - dal 17 al 24 settembre 2005 Shunga: le immagini erotiche

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Roma - dal 17 al 24 settembre 2005 Shunga: le immagini erotiche
Roma - dal 17 al 24 settembre 2005
Shunga: le immagini erotiche del mondo fluttuante
ATELIER GLORIA GOBBI
Via Di Monserrato 43b (00186)
+39 0668135876 (info)
[email protected]
Vesti morbide e corpi che si incastrano nel più raffinato gusto iconografico del Sol Levante
orario: tutti i giorni 10,30-13,30 e 16,00-20,00 (chiuso lunedì mattina)
(possono variare, verificare sempre via telefono)
biglietti: ingresso libero
vernissage: 17 settembre 2005. ore 20-02
curatori: Gloria Gobbi
genere: arte antica, collettiva
Vesti morbide e corpi che si incastrano nel più raffinato gusto iconografico del Sol Levante. Le 12
tavole a colori che Gloria Gobbi espone nel suo Atelier in occasione della “Notte Bianca 2005” Shunga: le immagini erotiche del mondo fluttuante - fanno parte di un unico album degli anni ’50
che riproduce shunga del 1910-20 ca. Non è stato facile trovare questo album sugli scaffali di un
libraio di Tokyo: è sempre più raro, infatti, acquistare liberamente shunga originali o libri che le
riproducono. Al contrario presso i collezionisti occidentali, soprattutto a partire dal XIX secolo,
queste stampe erotiche sono state oggetto di grande attenzione. Più facile, forse, trovare manga
erotici, i loro eredi in chiave “cartoon” o rintracciarne le influenze in film come “L’impero dei
sensi” (Nagisa Oshima, 1976): certo le implicazioni artistiche, culturali e sociali sono molto
diverse.
Dietro il paravento di pudore e di perbenismo dilagante nel Giappone moderno e contemporaneo
c’è la censura. Anche in passato, talvolta erano gli stessi artisti ad autocensurarsi coprendo le parti
intime con raggi di luce, vapori, fazzoletti o cartigli in cui scrivevano annotazioni o poesie.
Benché, poi, le shunga abbiano una storia lontana di quattro secoli e siano opera di artisti famosi nel lungo elenco compaiono anche i nomi di Moronobu (1618 c.-1694), Kiyonobu (1664-1729),
Settei (1710-1786), Masanobu (1761-1816) e, soprattutto, degli innovatori Utamaro (1753-1806) e
Hokusai (1760-1849) - è assolutamente impensabile trovarle esposte in un museo nipponico.
Il genere shunga (letteralmente “immagini della primavera”) si inserisce all’interno della tradizione
dell’ukiyoe (“immagini del mondo fluttuante”), la stampa xilografica diffusa tra il XVII e il XIX
secolo. Il patrimonio iconografico trattato dall’ukiyoe, e di conseguenza dalle shunga, ruota intorno
ai protagonisti del teatro popolare Kabuki e al quartiere del piacere che a Kyoto era Shimbara, ad
Osaka Shimmachi e a Edo (più tardi conosciuta come Tokyo) Yoshiwara. Fu proprio l’ascesa del
ceto della borghesia mercantile nella scala sociale fino al XVII secolo rigidamente feudale a dare
una nuova impronta culturale, non solo dal punto di vista architettonico-urbanistico con la
creazione appunto dei quartieri dedicati alle arti amatorie, ma dando un’impronta determinante al
gusto e alle tendenze artistiche.
Protagonisti delle stampe erotiche sono - secondo codici iconografici tradizionali - ricchi mercanti e
cortigiane che si intrattengono piacevolmente per lo più negli interni domestici o negli angoli
appartati dei giardini. L’abbondanza di dettagli decorativi - dalle acconciature al pattern dei tessuti
e dei tatuaggi sui corpi maschili, inclusi oggetti d’arredo, strumenti musicali (soprattutto il samisen,
simile al liuto), specchi, ventagli, cuscini, libri, fazzoletti, ombrellini parasole, porcellane… evidenziano la profonda differenza tra la figura della cocotte occidentale e la geisha giapponese.
Acutamente Edmond de Goncourt (1822-1896), insieme al fratello Jules fra i massimi diffusori a
Parigi del “Giapponismo”, seppe riconoscere che se in occidente la prostituzione era appannaggio
di povere ragazze prive di cultura, in Giappone le geishe erano giovani donne appositamente
educate alla raffinatezza. Il sesso rientrava in una sfera di piaceri che includevano anche l’abilità
della cortigiana nelle arti canore, nell’allietare il suo signore con il suono degli strumenti musicali,
nel preparare il tè, conoscere la calligrafia, declamare e scrivere poesie in versi.
E’ proprio questa l’atmosfera elegante e colta che si respira nelle immagini shunga, insieme ad una
libertà sessuale che ha le sue origini ancora più in là nel tempo, negli antichi culti shintoisti che
consideravano il fallo oggetto di venerazione. Le stesse isole del Giappone, come è narrato nel
“Kojiki”, il più antico testo sulle origini mitologiche della divina terra di Yamato (Giappone),opera
di Yasumaro (712), sarebbero nate dallo sperma eiaculato dal dio Izanagi durante un amplesso
incestuoso con la sorella Izanami. Ecco spiegata, nelle shunga, la rappresentazione smisurata
rispetto alla realtà - talvolta persino grottesca - degli organi genitali soprattutto maschili, ma anche
femminili.
“Rodin, qui est en pleine faunerie, me demande à voir mes érotiques japonais, et ce sont des
admirations devant ces dévalements de têtes de femmes en bas, ces cassements de cou, ces
extensions nerveuses des bras, ces contractures des pieds, toute cette voluptueuse et frénétique
réalité du coït, tous ces sculpturaux enlacements de corps fondus et emboîtés dans le spasme du
plaisir” (Edmond de Goncourt, Journal, 3 gennaio 1887).
Il piacere sessuale, insomma, non era vissuto con l’interferenza del peccato e dei sensi di colpa.
Solleticare l’eros era solo una delle finalità di queste stampe, che mostravano anche una
connotazione didascalica e didattica, in quanto venivano impiegate per l’educazione sessuale sia
dei giovani che delle loro future spose.
Nelle shunga, infine, l’esuberante risveglio dei sensi cela una forte volontà di scotomizzare la
morte. Il sesso come massima espressione vitale: un raggio di luce - fugace ma intenso - da
contrapporre al buio della fine.
“In fondo al boudoir, quanto sentimento poetico./ Una canzone davanti ai fiori mossi dal vento, la
purezza di questo fragrante banchetto. A letto facendo l’amore, una sensazione di fiume e di mare./
Trascorrere il resto della nostra vita come anatre mandarine, a loro agio nell’acqua” (Ikkyu, poeta e
monaco zen vissuto nel XV secolo).