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SOCIETA’
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SOCIETY FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL
SCIENCES
SSFAoggi
Notiziario di Medicina Farmaceutica
Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate
Aprile 2016
numero
Fondata nel 1964
54
Frode in ricerca
Sommario:
Editoriale
1
Riunione progetto SMD
2
Convegno AIFA e Farmindustria 4
Sharing clinical trial data
5
Normativa ISO
7
Frode in ricerca
10
Documento SIAR
13
Laennec
15
Indagine Comitati Etici
16
Drugs past expiration date
18
Notizie dai master
19
Libro di oggi
20
BMJ
21
Mauro Moroni
21
Oggi parliamo di….
22
Phase I death
24
Comunicato SSFA Giovani
25
Libro SIAR
26
Uso compassionevole dei
farmaci
27
ADR
29
News on Clinical Trials
31
Nuovi Soci
32
Frode in ricerca. ne parla poco, molto poco, ed è un male. Se ne parla poco,
quasi a voler nascondere un fenomeno fastidioso, un cancro di cui non si vuole
prendere coscienza. Ma questo non va bene, perché chi compie le frodi in ricerca
se ne sta approfittando e, con la tacita complicità di chi non ne parla, alimenta un
settore che sta assumendo dimensioni molto pericolose. Gli stessi editori delle
maggiori riviste scientifiche hanno riconosciuto di non avere mezzi adeguati per
combattere questo malattia, che sta seriamente minando la credibilità della maggioranza dei ricercatori che si comportano correttamente.
Abbiamo tutti a mente la vicenda della correlazione fra vaccinazione contro il
morbillo ed autismo: una ricerca inventata dal medico inglese Andrew Wakefield,
che nel 1998 ottenne addirittura la pubblicazione del suo falso sulla prestigiosa
rivista The Lancet. E ci vollero quasi 10 anni per smentire le sue ricerche, dopo
che un giornalista scoprì che un avvocato, specializzato in cause contro
l’industria farmaceutica, gli aveva regalato ben 500.000 sterline. La ricerca venne
cancellata dalla rivista, ed Andrew Wakefield fu infine espulso dall’ordine dei medici: ma la notizia delle sue falsità è rimasta poco nota, tanto è vero che molti
genitori continuano a rifiutare le vaccinazioni ai figli, in particolare quella contro il
morbillo. Pensate che, grazie al vaccino, si è passati da 545.000 decessi di bambini contagiati dal virus del morbillo nel 1990, a 96.000 decessi nel 2013: eppure
il morbillo resta la malattia prevenibile con un vaccino che causa il maggior numero di morti.
Frode in ricerca. Finalmente ne parlano apertamente le maggiori riviste scientifiche internazionali, ed anche noi, con la nostra piccola voce , ci associamo al coro
di chi non può accettare che l’integrità della maggioranza dei ricercatori sia messa a repentaglio da pochi soggetti senza scrupoli.
Nelle pagine 10 - 12 abbiamo raccolto alcune recenti pubblicazioni: la loro lettura
lascia un profondo senso di sconforto, al quale dobbiamo reagire con fermezza.
Domenico Criscuolo
XXV CONGRESSO GIQAR
Parma
18 - 20 maggio 2016
SEZIONE POSTER:
CONCORSO CON PREMIO AL VINCITORE
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO
Anno X numero 54
Pagina 2
PRIMA RIUNIONE DEL NATIONAL PHARMATRAIN CERTIFICATION BOARD (nPCB)
sul progetto SMD (Specialist in Medicines Development)
Roma, 15 febbraio 2016, presso AIFA
Come è noto, SSFA è impegnata nel
progetto SMD patrocinato ed organizzato dalla Pharmatrain Federation. Una descrizione del progetto è
stata preparata da Domenico Criscuolo ed è riportata nel numero 52
di SSFA Oggi. All’Italia è stato assegnato il ruolo di apripista in Europa
(mentre il Giappone lo sta facendo
per il resto del mondo), e la SSFA
sta quindi operando per avviare il
progetto coinvolgendo tutte le istituzioni che possono essere interessate (AIFA, Ministero della Salute, Università, SIF, Farmindustria). Alla
riunione di Roma erano presenti Domenico Criscuolo, Francesco De
Tomasi, Luciano M. Fuccella e Marco Romano, che rappresentano la
SSFA nel nPCB, Elena Bresciani
(Master Università di Milano Bicocca), Ranieri Guerra (Ministero della
Salute), Sandra Petraglia (AIFA),
Luca Steardo (SIF), Roberto Verna
(Università di Roma La Sapienza).
Sergio Bonini (EMA) ha partecipato
in teleconferenza da Londra.
Dopo la presentazione del progetto
SMD da parte di D. Criscuolo e
l’illustrazione del ruolo di SSFA nel
progetto da parte di M. Romano,
Presidente di SSFA, R. Guerra ha
sottolineato come il progetto SMD
possa essere utile per definire le
competenze di chi si occupa di sviluppo di nuovi farmaci. In particolare
ha focalizzato l’esposizione sulle
patologie neglette (“unmet needs”)
quali ad esempio:
lo sviluppo di preparazioni farmaceutiche che facilitino
l’aderenza alle terapie, in
considerazione del crescente numero di anziani che
devono praticare la politerapia;
il problema della crescente antibiotico-resistenza sia in
campo umano che veterinario.
Altra iniziativa interessante, da non
trascurare e per la quale è importante un’adeguata formazione del personale coinvolto, è rappresentata
dallo sviluppo della medicina tradizionale cinese, in considerazione
anche dei finanziamenti che la Cina
mette a disposizione. Come già è
comparso su SSFA Oggi, SSFA collabora con l’Università di Milano Bicocca per sviluppare iniziative con
università cinesi nei settori degli
scambi di laureati e di organizzazione di corsi di formazione.
Concludendo, il Dr. Guerra ha espresso un parere favorevole sul
progetto SMD e sul suo sviluppo
internazionale.
L. Steardo ha illustrato i
cambiamenti che, da diversi anni,
stanno caratterizzando la SIF, che
da associazione di natura accademi-
ca principalmente dedita agli studi di
farmacocinetica e farmacodinamica
e sugli eventi avversi, va sempre più
dedicandosi alla sperimentazione
clinica, agli aspetti regolatorii, alla
farmacovigilanza, agli aspetti del
post-marketing ed alle medicine alternative. I testi di farmacologia attuali sono profondamente cambiati
rispetto a quelli di 20-30 anni fa ed
oggi presentano sezioni o capitoli
dedicati alla sperimentazione clinica.
La SIF è quindi pronta a collaborare
per l’attuazione del progetto SMD.
S. Petraglia ha ricordato che
la formazione è una delle mission
più importanti di AIFA, che già partecipa, con suoi docenti, a numerosi
corsi sulla sperimentazione clinica. A
livello europeo AIFA sta collaborando alla definizione dei CV di competenza in vari settori della sperimentazione clinica dei farmaci.
Pertanto assicura la collaborazione
di AIFA anche al progetto SMD, auspicando una maggiore presenza
dell’Italia nel contesto delle università del gruppo Nazioni Unite.
S. Bonini, in collegamento
telefonico da Londra, ha confermato
che EMA nutre un forte interesse per
le iniziative di formazione, indirizzate
ad accrescere la cultura scientifica
nello sviluppo dei nuovi farmaci destinati sia all’uomo che all’animale. I
nuovi farmaci ed i trattamenti innovativi richiedono infatti non solo il possesso delle conoscenze tradizionali
ma anche, causa la rapida evoluzione delle nuove conoscenze, stretti
contatti con l’accademia e con gli
ambienti ove si fa ricerca avanzata.
EMA avverte anche la necessità di
stimolare la formazione del personale interno che si occupa di affari regolatorii ma anche delle persone che
ne rappresentano gli interlocutori abituali. Per questi motivi EMA ha costituito lo EU Network Training Centre,
iniziativa congiunta di EMA e HMA
(Heads of Medicines Agencies),
network dei Responsabili delle Agenzie nazionali responsabili della regolamentazione dei prodotti medicinali
per uso umano e veterinario. E’ inoltre in formazione un nuovo Frame(Continua a pagina 3)
Anno X numero 54
Pagina 3
Il gruppo internazionale del progetto SMD all’ultima riunione di Bruxelles
work Program per stabilire un’efficace collaborazione nello sviluppo,
nella valutazione e nel monitoraggio
dei farmaci, che anche comprenda
programmi congiunti di formazione e
manifestazioni scientifiche. S. Bonini
ha ricordato l’approccio registrativo
attualmente in sviluppo: a fronte del
tradizionale sistema di licensing “Si/
No”, anche allo scopo di potere disporre tempestivamente di nuovi
farmaci salvavita, si sta adottando
frequentemente
il
sistema
di
“adaptive licensing”, cioè di autorizzazioni progressive mano a mano
che procedono gli studi sul farmaco.
Al contrario di quanto avviene col
sistema tradizionale, nel quale dopo
l’AIC il numero di pazienti trattati aumenta molto rapidamente, con il sistema “adaptive licensing” il numero
aumenta più lentamente ed i pazienti
meglio corrispondono alle indicazioni
del farmaco, consentendo di raccogliere più corrette informazioni ed
anche meglio garantendo la sicurezza dei pazienti. Concludendo, S. Bonini ha affermato che il settore farmaceutico richiede una esperienza
multidisciplinare e curricula formativi
specifici. Ciò significa una maggiore
collaborazione tra tutte le parti interessate per raggiungere l’armonizzazione degli strumenti formativi e
delle certificazioni. Si tratta di una
disciplina emergente, ancora bisognosa di un generale consenso ma
indispensabile per formare il futuro
personale sia nell’accademia che
nella sanità, nell’industria e nella
strutture regolatorie.
E. Bresciani (Università di
Milano Bicocca) ha illustrato l’attività
del Master in Ricerca Preclinica e
Clinica dei Farmaci che si svolge
presso questa università, giunto alla
8° edizione. Il Master ha adottato il
Syllabus Pharma Train ed ha ricevuto il riconoscimento di Centro di Eccellenza. Il Master si svolge su 267
ore di lezioni frontali e su 650 ore di
stage, con dissertazione finale di una
tesi. Per la verifica dell’apprendimento, al termine di ogni lezione i
partecipanti debbono rispondere a 6
domande; sono poi previsti 3 esami
in itinere ed uno a fine corso con un
questionario a risposte multiple. Il
50% circa delle lezioni sono tenute in
lingua inglese e tutte sono registrate
ed inserite con le proiezioni sul sito
del Master: i docenti sono 62, 14
provenienti dall’università e 48
dall’industria, da CRO e da società
scientifiche. Dopo ogni lezione i partecipanti debbono esprimere la valutazione del docente; è prevista anche la valutazione complessiva del
modulo. A questo scopo, da
quest’anno è stato introdotto l’uso di
un tablet che consente la valutazione
immediata. Con il passare delle edizioni si è assistito ad un importante
aumento del numero delle domande
di partecipazione: da 30 alla prima
edizione (con 16 iscritti) a 105
nell’ultima edizione. Si è tuttavia
mantenuto il limite di 30 iscrizioni, sia
per consentire una soddisfacente
partecipazione alle discussioni durante le lezioni sia soprattutto per
assicurare il reperimento delle strutture ove attuare lo stage che rappresenta l’elemento critico fondamentale. Sinora vi è stata comunque buona
collaborazione da parte di aziende
farmaceutiche, CRO e centri di ricerca di ospedali. Per l’ammissione,
vengono valutati i titoli del candidato,
il quale deve superare una prova di
comprensione della lingua inglese:
infine ha luogo un colloquio di selezione. Un risultato molto importante
è rappresentato dai dati di job placement, cioè dal numero di persone
che hanno trovato lavoro dopo il conseguimento del Master. A questo
scopo, la segreteria del Master ha
continuato a raccogliere ogni anno i
dati dei partecipanti ed i risultati mostrano che il 100% di essi è occupato, e che una percentuale intorno al
25% ha avuto il contratto di impiego
al termine dello stage.
R. Verna (Università La Sapienza, Roma) ha portato la sua esperienza relativa al master da lui
diretto, iniziato nel 2002 con 12-18
partecipanti su 20-30 posti disponibili. In quest’ultimo anno, tuttavia, le
iscrizioni si sono ridotte a 5. La percentuale di job placement è stata del
70% circa. Il suo problema è che
l’anno prossimo andrà in pensione e
sinora non si è reperito nessun candidato disposto a prendere il suo
posto.
In conclusione, tutti gli intervenuti hanno espresso interesse a
partecipare al progetto che ritengono
importante ed utile. La raccomandazione unanime è stata che, in considerazione delle numerose iniziative
formative nel settore dello sviluppo
dei farmaci già esistenti e che mostrano di aumentare ulteriormente, si
cerchino collaborazioni con altri analoghi programmi e, soprattutto, che
si dia a SMD una impronta internazionale possibilmente anche attraverso una certificazione da parte di
organismi universitari e regolatorii.
Luciano M. Fuccella e
Francesco De Tomasi
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Pagina 4
CONVEGNO AIFA E FARMINDUSTRIA
Lo scorso 21 gennaio, a Roma EUR,
si sono dati appuntamento molti attori della sperimentazione clinica
italiana, in un convegno promosso
congiuntamente da AIFA e Farmindustria.
L’evento ha avuto molta eco nella
stampa, per cui non riteniamo utile
farvene una sintesi.
Riportiamo qui di seguito le parole
del dr Mario Melazzini, nuovo presidente AIFA.
“E’ fondamentale costruire sinergie
tra tutti i soggetti coinvolti e mettere
in campo un lavoro di squadra. La
ricerca rappresenta infatti un poderoso strumento di valore ed innovazione, in particolare quella clinica e
biomedica. In questo senso l’Italia
detiene un capitale umano senza
eguali, ma nonostante le eccellenze
non mancano ostacoli e difficoltà a
causa di procedure disomogenee e
di normative frammentate. E’ perciò
preziosissimo il lavoro profuso da
AIFA, impegnata a ottimizzare la
filiera e a recepire gli aspetti innovativi introdotti dal Regolamento europeo. Il cambiamento in atto investirà
tantissimi attori, ma in particolare i
pazienti: i processi saranno complessi ma apporteranno una radicale
semplificazione. Le novità possono
essere racchiuse in tre concetti chiave: correttezza, trasparenza e sicurezza. Al termine di questo percorso
l’Italia dovrà confermare il proprio
ruolo di leader della sperimentazione
clinica”.
Il dr Massimo Scaccabarozzi, Presi-
dente Farmindustria, ha aggiunto: “Il
contesto richiede necessariamente
interventi coordinati- All’interno di
questo panorama l’Italia deve riuscire a valorizzare aree di ricerca nelle
quali, allo stato attuale, si colloca al
top. Siamo infatti l’hub farmaceutico
europeo e dobbiamo riuscire a diventarlo
anche
nella
ricerca.
L’importante è adottare una strategia che non punti esclusivamente
all’innovazione clinica e tecnologica,
ma anche a quella regolatoria. Ed è
proprio qui che dobbiamo anticipare
e vincere la sfida con l’Europa, per
farci trovare pronti quando si prenderanno decisioni che gestiranno il
cambiamento, senza attendere il
2018, altrimenti sarà troppo tardi. In
sostanza, l’Italia deve mostrare la
capacità di muoversi lungo tre binari:
migliorare le sinergie esistenti, assicurare competitività e rimuovere pregiudizi e steccati, costruendo alleanze tra pubblico e privato”.
Ed ecco l’intervento di Marco Romano: “L’inizio di un nuovo anno mi
porta ad esprimere un augurio a tutti
noi. La SSFA che rappresento qui
oggi si occupa prevalentemente di
formazione e di ricerca clinica finalizzata allo sviluppo di nuove molecole
per la prevenzione e la terapia delle
malattie fisiche e psichiche. A vario
titolo e nei rispettivi ruoli, tutti gli attori qui presenti, Ministero della Salute e ISS, Autorità Regolatorie, Comitati Etici, Aziende Farmaceutiche
e CRO, Società Scientifiche, Clinici
e Ricercatori, Associazioni di Pazienti, condividono la stessa finalità
cioè il miglioramento della qualità di
vita di tutti noi e della nostra sopravvivenza. L’augurio e insieme il mio
auspicio per questo nuovo anno è
che si realizzi una sempre maggiore
collaborazione tra tutti coloro che si
occupano di salute con grande rispetto e aiuto reciproco; vorrei che vi
fossero meno “ismi”, meno individualismi, egoismi, campanilismi a
favore di una maggiore solidarietà,
rispetto, collaborazione; in altre parole dovremmo evitare talvolta di
innalzare barriere ma al contrario
costruire ponti tra noi per lasciare a
chi prenderà il nostro posto sulla
terra un futuro migliore del presente,
con più amore, più solidarietà, più
amicizia, più generosità e meno
guerre, meno rivalità, meno gelosie,
meno particolarismi, meno protagonismi, meno “ismi” appunto.
E’ certo infatti che uniti si lavora meglio e si ottengono risultati straordinari. Dobbiamo pensare al bene comune e ai nostri discendenti, non
solo a noi stessi. Probabilmente
qualcuno tra voi penserà che sono
un ingenuo e un utopista; può darsi
ma francamente sono felice di esserlo. La vita è breve e dovremmo
non soltanto godere ogni giorno come un dono di Dio ma lasciare una
traccia positiva del nostro passaggio
a chi verrà dopo di noi.
Grazie per la vostra attenzione”
VII CONGRESSO BIAS
Verona
30 giugno - 1 luglio 2016
Anno X numero 54
Pagina 5
Sharing clinical trial data
A proposal from the International Committee of Medical Journal Editors
BMJ 2016;352:i255
The International Committee of Medical Journal Editors (ICMJE) believes that there is an ethical obligation to responsibly share data generated by interventional clinical trials because participants have put themselves at risk. In a
growing consensus, many funders around the world—foundations, government agencies, and industry—now mandate data sharing. Here we outline ICMJE’s proposed requirements to help meet this obligation. We encourage feedback on the proposed requirements. Anyone can provide feedback at www.icmje.org by 18 April 2016.
ICMJE defines a clinical trial as any research project that prospectively assigns people or a group of people to an
intervention, with or without concurrent comparison or control groups, to study the cause and effect relationship between a health related intervention and a health outcome.
Further details may be found in theRecommendations for the Conduct, Reporting, Editing and Publication of Scholarly Work in Medical Journals atwww.icmje.org.
As a condition of consideration for publication of a clinical trial report in our member journals, ICMJE proposes to
require authors to share with others the deidentified individual patient data (IPD) underlying the results presented in
the article (including tables, figures, and appendices or supplementary material) no later than six months after publication. The data underlying the results are defined as the IPD required to reproduce the article’s findings, including
necessary metadata. This requirement will go into effect for clinical trials that begin to enroll participants beginning
one year after ICMJE adopts its data sharing requirements.
Enabling responsible data sharing is a major endeavor that will affect the fabric of how clinical trials are planned and
conducted and how their data are used.
By changing the requirements of the manuscripts we will consider for publication in our journals, editors can help
foster this endeavor. As editors, our direct influence is logically, and practically, limited to those data underpinning
the results and analyses we publish in our journals.
ICMJE also proposes to require that authors include a plan for data sharing as a component of clinical trial registration.
This plan must include where the researchers will house the data and, if not in a public repository, the mechanism by
which they will provide others access to the data, as well as other elements outlined in the 2015 Institute of Medicine
report on data sharing (for example, whether data will be freely available to anyone upon request or only after application to and approval by a learned intermediary, whether a data use agreement will be required).1 ClinicalTrials.gov
has added an element to its registration platform to collect data sharing plans. We encourage other trial registries to
similarly incorporate mechanisms for the registration of data sharing plans. Trialists who want to publish in ICMJE
member journals (or non-member journals that choose to follow these recommendations) should choose a registry
that includes a data sharing plan as a specified registry item or allows for its entry as a free text statement in a miscellaneous registry field. As a condition of consideration for publication in our member journals, authors will be required to include a description of the data sharing plan in the submitted manuscript. Authors may choose to share
the deidentified IPD underlying the results presented in the article under less restrictive, but not more restrictive, conditions than were indicated in the registered data sharing plan.
ICMJE already requires the prospective registration of all clinical trials before enrollment of the first participant.
This requirement aims, in part, to prevent selective publication and selective reporting of research outcomes, and to
prevent unnecessary duplication of research effort. Including a commitment to a data sharing plan is a logical addition to trial registration that will further each of these goals.
Prospective trial registration currently includes documenting the planned primary and major secondary endpoints to
be assessed, which enables identification of incomplete reporting as well as post hoc analyses.
Declaring the plan for sharing data prior to their collection will further enhance transparency in the conduct and reporting of clinical trials by exposing when data availability following trial completion differs from prior commitments.
Sharing clinical trial data, including deidentified IPD, requires planning to ensure appropriate ethics committee or institutional review board approval and the informed consent of study participants. Accordingly, we will defer these requirements for one year to allow investigators, trial sponsors, and regulatory bodies time to plan for their implementation.
Just as the confidentiality of trial participants must be protected (through the deidentification of IPD), and the needs
of those reasonably requesting data met (through the provision of useable data), the reasonable rights of investigators and trial sponsors must also be protected. ICMJE proposes the following to safeguard these rights. First, ICMJE
editors will not consider the deposition of data in a registry to constitute prior publication. Second, authors of secondary analyses using these shared data must attest that their use was in accordance with the terms (if any) agreed to
upon their receipt.
Third, they must reference the source of the data using a unique identifier of a clinical trial’s data set to provide appropriate credit to those who generated it and allow searching for the studies it has supported. Fourth, authors of
secondary analyses must explain completely how theirs differ from previous analyses. In addition, those who gener(Continua a pagina 6)
Anno X numero 54
Pagina 6
(Continua da pagina 5)
ate and then share clinical trial data sets deserve substantial credit for their efforts. Those using data collected by
others should seek collaboration with those who collected the data. However, because collaboration will not always
be possible, practical, or desired, an alternative means of providing appropriate credit needs to be developed and
recognized in the academic community. We welcome ideas about how to provide such credit.
Data sharing is a shared responsibility. Editors of individual journals can help foster data sharing by changing the
requirements of the manuscripts they will consider for publication in their journals. Funders and sponsors of clinical
trials are in a position to support and ensure adherence to IPD sharing obligations. If journal editors become aware
that IPD sharing obligations are not being met, they may choose to request additional information; to publish an expression of concern; to notify the sponsors, funders, or institutions; or in certain cases, to retract the publication.
In the rare situation in which compliance with these requirements is impossible, editors may consider authors’ requests for exceptions. If an exception is made, the reason(s) must be explained in the publication.
Sharing data will increase confidence and trust in the conclusions drawn from clinical trials. It will enable the independent confirmation of results, an essential tenet of the scientific process. It will foster the development and testing
of new hypotheses. Done well, sharing clinical trial data should also make progress more efficient by making the
most of what may be learned from each trial and by avoiding unwarranted repetition. It will help to fulfill our moral
obligation to study participants, and we believe it will benefit patients, investigators, sponsors, and society.
This editorial is being published simultaneously in Annals of Internal Medicine, The BMJ, Canadian Medical Association Journal, Chinese Medical Journal, Deutsches Ärzteblatt (German Medical Journal), Ethiopian Journal of Health
Sciences, JAMA (Journal of the American Medical Association), Nederlands Tijdschrift voor Geneeskunde (Dutch
Medical Journal), New England Journal of Medicine, New Zealand Medical Journal, PLoS Medicine, Revista Médica
de Chile, The Lancet, and Ugeskrift for Laeger (Danish Medical Journal).
COMUNICATO EMA SU PRIORITY MEDICINES
The European Medicines Agency would like to inform you that the new PRIME (PRIority MEdicines) scheme to
strengthen support to medicines that target an unmet medical need has been launched today. The scheme focuses on medicines that may offer a major therapeutic advantage over existing treatments, or benefit patients
with no treatment options. Through PRIME, the Agency offers early, proactive and enhanced support to medicine
developers to optimise the generation of robust data on a medicine’s benefits and risks and enable accelerated
assessment of marketing applications.
A press release on PRIME and further information have been published on the EMA website, including details on
how to apply. In the event of queries, a dedicated e-mail has been set up ([email protected]).
1
2
Drug Discovery:
Contract Research Organization:
THERAMetrics is an international,
full-service, technology-driven
Contract Research & Development
Organization providing services and
solutions throughout the entire drug
discovery & development cycle –
from Preclinical to Market Access.
THERAMetrics S.p.A.
Via Alberto Falck, 15
20099 Sesto San Giovanni (MI), Italy
Tel.: +39 02 2413 491
Fax: +39 02 2486 2961
[email protected]
www.therametrics.com
§
Hypothesis generating software tool
§
International project management
§
Drug repurposing and repositioning
§
Regulatory support & submissions
§
Pre-screening of any selected project
§
Study activation and monitoring
§
Improving of sustainability of
§
Data management & statistics
current R&D system
§
Medical coding & medical review
§
Pharmacovigilance
§
Medical writing
4
3
Early Clinical Services:
Clinical Supply Services:
§
Manufacturing and packaging
§
Logistics and distribution
§
Return and destruction
§
IMPD preparation
§
Multilingual labelling and QR codes
§
Two own PŚase I research units
§
Testing compounds and devices
in healthy volunteers, patients,
children and special populations
§
High recruitment potential
§
ICH-GCP trained staff
Anno X numero 54
Pagina 7
IMPATTO DELLA NUOVA NORMATIVA ISO 9001:2015
Introduzione
Come le precedenti versioni, la norma ISO 9001:2015 specifica i requisiti per l’implementazione di un modello di un sistema di gestione per la
qualità (QMS: Quality Management
System) per tutte le organizzazioni,
indipendentemente dal tipo e dimensione delle stesse e dai prodotti forniti. L’ultima edizione di tale norma è
stata pubblicata a settembre 2015,
ed annulla e sostituisce la precedente edizione ISO 9001:2008. Il presente articolo si propone di fornire
una sintesi essenziale dei cambiamenti principali della ISO rispetto
alla precedente edizione. Le organizzazioni che possiedono già una
certificazione ISO 9001:2008 avranno tre anni di tempo a partire dalla
pubblicazione della ISO 9001:2015
per adeguarsi alla nuova versione di
questo standard; il periodo di transi-
zione terminerà pertanto nel settembre 2018.
Struttura e terminologia
Uno dei cambiamenti più significativi
della nuova ISO riguarda la struttura
e la terminologia adottata. La figura
1 illustra la struttura della nuova norma, rendendo esplicito anche il collegamento con le fasi del ciclo
PDCA (Plan-Do-Check-Act). Tale
ciclo era utilizzato anche nella precedente versione della ISO, ma nella
nuova versione vi è una migliore
distribuzione del testo in capitoli secondo la medesima logica, mettendo
in evidenza in modo più chiaro gli
elementi salienti di un Management
System. Nella figura 1 sono inoltre
evidenziati i punti della norma in cui
sono descritti i nuovi requisiti introdotti che verranno dettagliati nei
prossimi paragrafi.
La ISO 9001:2015 adotta la struttura
delle clausole specificate nell’annesso SL della direttiva ISO -vedi
ISO/IEC Directives, Part 1 and Consolidated ISO supplement- Annex
SL (Proposal for management system standards)–Appendix 2 (High
level structure, identical core text,
common terms and core definitions). L’annesso SL definisce l’indice, la terminologia ed i contenuti
generali standard delle norme che
disciplinano i Management System.
Attraverso la struttura dell'annesso
SL, le organizzazioni sono in grado
di allineare o integrare i loro QMS
con i requisiti degli altri sistemi di
gestione.
Per quanto riguarda la terminologia,
la tabella 1 mostra le principali differenze tra la nuova ISO e la preceFigura 1 Sezioni della ISO 9001:2015
(Continua a pagina 8)
Pagina 8
Anno X numero 54
(Continua da pagina 7)
dente edizione: come si può vedere
dalla tabella, il temine “Prodotti” è
stato sostituito nella nuova ISO con
il termine “Prodotti e servizi” per includere ulteriori categorie di output
del processo (hardware, servizi, software e materiali processati) e per
evidenziare le differenze tra di loro
nell’applicazione di alcuni requisiti.
Inoltre non viene più utilizzata nella
dell’organizzazione viene recepita a
pieno titolo nel nuovo modello di
QMS.
Pur
non
richiedendo
l’adozione di un sistema strutturato
di risk management, la norma promuove l’adozione di un approccio
olistico (risk based thinking) basato
sulla gestione dei rischi nelle diverse
po di applicazione deve essere documentato e aggiornato (Figura 1sezione 4.1, 4.2, 4.3 della norma). I
dirigenti devono dimostrare un maggior coinvolgimento diretto nel QMS
dell'organizzazione: l’alta direzione
deve dar prova di leadership verso il
sistema di gestione, anziché limitarsi
Tabella 1 Le principali differenze nella terminologia tra la ISO 9001:2008
e la ISO 9001:2015
ISO 9001:2008
ISO 9001:2015
Products
Products and services
Exclusions
Not used
Management representative
Not used
Documentation, quality manual, documented procedures,
records
Documented information
Work environment
Environment for the operation of processes
Monitoring and measuring equipment
Monitoring and measuring resources
Purchased products
Externally provided products and services
Supplier
External provider
nuova ISO una sezione relativa alle
“esclusioni”; ma viene chiarita
l’applicabilità della norma in sezioni
dedicate. Tra le principali variazioni
apportate, non viene più richiesta
nella nuova norma la figura del rappresentante di direzione di qualità e
l’espressione “informazioni documentate” sostituisce le precedenti:
“procedura
documentata”
e
“documentazione”.
Nonostante le modifiche apportate, è
importante notare che alle organizzazioni che hanno già un QMS conforme alla ISO 9001 non viene richiesto di modificare la terminologia
utilizzata nei documenti esistenti per
riflettere quelle specificate nella ISO
9001:2015. Pertanto le organizzazioni possono scegliere di utilizzare i
termini più consoni alle loro attività/
processi.
Approccio risk based
La considerazione del rischio nei
processi decisionali e nella gestione
strategica
e
operativa
fasi di pianificazione, implementazione, applicazione e miglioramento del
QMS (Figura 1- sezione 6.1 e 9.2
della norma). L’approccio risk based
ingloba anche la gestione delle azioni preventive, per le quali non sono
più previsti requisiti specifici.
Contesto organizzativo e leadership
La nuova norma evidenzia che il
processo di progettazione e implementazione del QMS deve essere
effettuato
in
funzione
dell’organizzazione produttiva coinvolta. La norma richiede alle organizzazione di riflettere in maniera
chiara e logica su quel che può influire internamente e esternamente sui
loro sistemi di gestione e di prepararsi e dimostrare che tali informazioni siano oggetto di monitoraggio e
revisione. Una volta definito il campo
di
applicazione
del
QMS,
l’organizzazione dovrebbe applicare
tutti i requisiti della norma, o fornire
una chiara giustificazione per i requisiti che ritiene non applicabili. Il cam-
a dimostrare il proprio impegno verso di esso (Figura 1- sezione 5.1
della norma).
Gestione della documentazione
I requisiti relativi alla documentazione del QMS sono molto semplificati
e diventano più flessibili, lasciando
all’organizzazione la responsabilità
di documentare quanto ritenuto necessario, definendone i criteri e livelli
di approfondimento (Figura 1- sezione 7.5 della norma). La norma non
obbliga più alla stesura di procedure
documentate,
perché
è
l’organizzazione stessa a decidere
quel che è necessario. Da evidenziare in particolare che nella nuova
norma non viene più richiesta la redazione del manuale qualità. In diverse occasioni, tuttavia, si specifica
l’esigenza di mantenere o conservare informazioni documentate per
concretizzare, chiarire e dimostrare il
fatto che il sistema è aggiornato ed
efficace. Le informazioni documenta(Continua a pagina 9)
Anno X numero 54
(Continua da pagina 8)
te possono essere in qualsiasi formato stabilito dall’organizzazione,
purché forniscano evidenza di conformità; viene pertanto a decadere la
necessità di mantenere ampi archivi
cartacei.
Organizational Knowledge
Nella nuova norma viene introdotto il
concetto di “organizational knowledge” volto a evidenziare la necessità
di identificare e gestire le conoscenze
per
assicurare
che
l’organizzazione possa ottenere la
conformità di prodotti e servizi
(Figura 1- sezione 7.1 della norma).
Requisiti ad hoc sono stati introdotti
con la finalità di
salvaguardare
l’organizzazione dalla eventuali perdita di conoscenza (p.e. attraverso il
turnover dello staff) e incoraggiare
l’organizzazione ad acquisire sempre la conoscenza necessaria.
Controllo dei processi, prodotti e
servizi esterni
Nella nuova norma sono prese in
considerazione tutte le tipologie di
processi, prodotti e servizi esterni
(p.e. outsourcing). I controlli richiesti
possono variare in maniera consistente a seconda della natura dei
processi, prodotti e servizi acquistati.
L’organizzazione dovrà utilizzare un
approccio basato sul rischio per la
definizione di tali controlli (Figura 1sezione 8.4 della norma).
Conclusione
La nuova norma offre grandi opportunità alle organizzazioni che adotteranno il modello di sistema di gestione della qualità: offrendo un approccio meno prescrittivo al quality
management ed un modello più flessibile, il QMS potrebbe finalmente
essere percepito dalle organizzazioni come strumento per creare valore
all’interno dell’organizzazione, in
grado di accrescere la soddisfazione
del cliente e dimostrare che il
prodotto/servizio fornito sia effettivamente conforme ai requisiti normativi
applicabili. L’uso di una struttura e di
un linguaggio comune per i diversi
Pagina 9
modelli di management system possono consentire alle organizzazioni
una più facile implementazione del
QMS ed una migliore integrazione
con la gestione strategica e operativa dell’organizzazione stessa. Per
contro però la semplificazione dei
requisiti prescrittivi potrebbe portare
ad applicazioni discrezionali e riduttive da parte delle organizzazioni. Le
organizzazioni che decidono di adottare un QMS in accordo al modello
ISO richiedono in genere la certificazione da parte di organismi di certificazione predisposti. Viene pertanto
lecito interrogarsi anche sulle potenziali difficoltà nel processo di
auditing e sulla omogeneità di comportamento da parte di tali organismi. Per poter condurre audit efficaci
e con valore aggiunto, tali organismi
dovranno possedere elevate competenze professionali. D’altro canto
solo attraverso i cambiamenti definiti
nella nuova ISO, le organizzazioni
potrebbero implementare il QMS in
maniera più “sostanziale” e meno
“formale” garantendo finalmente
l’effettivo utilizzo da parte di tutte le
persone coinvolte. Per quanto riguarda il mondo farmaceutico,
l’implementazione del QMS in accordo alle ISO è ancora più facile per-
ché la nuova norma prende in carico
i precetti (p.e. risk based approach)
del QMS pharma dettati dagli enti
regolatori (p.e. ICH Q9 e ICH Q10).
Essendo meno prescrittiva in termini
formali/terminologici, la nuova norma
permette di evitare la creazione di
ulteriori strutture procedurali in aggiunta al QMS pharma per raggiungere la conformità ISO.
Marianna Esposito
Laureata in Fisica, consulente dal 2000
presso la PQE dove ha avuto modo di
maturare una vasta esperienza nella
convalida dei sistemi computerizzati e
nella gestione dei Sistemi di Qualità.
Dal 2004 ricopre il ruolo di PQE Senior
Project Manager ed ha coordinato
diversi progetti internazionali di convalida. Come QA Auditor ha svolto diverse ispezioni GCP, di farmacovigilanza e
valutazioni di conformità per monitor.
Ha inoltre supportato diverse aziende
farmaceutiche nell’implementazione
dei Sistemi di Qualità in ambito GCP,
GMP e di farmacovigilanza.
Anno X numero 54
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La frode in ricerca è purtroppo molto più diffusa di quanti si pensi, anche perché è spesso difficile
da identificare. Ecco alcuni recenti episodi denunciati da riviste internazionali.
Retraction—Effect of vitamin and trace-element supplementation on immune responses and infection in elderly subject
DOI: http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(16)00166-5
On Oct 6, 2015, we asked the Dean of Medicine of Memorial University, St John's, Newfoundland and Labrador, Canada, to conduct a formal investigation into the research by Dr Ranjit Kumar Chandra that culminated in his publication in The Lancet in 1992.1 Chandra gives Memorial University as his address in the 1992 paper, and Memorial
University is also acknowledged as supporting the research through a University Research Professorship Award. We
reopened our investigations into this paper because of documentation released into the public domain during a libel
trial in Canada involving Chandra and the Canadian Broadcasting Corporation (CBC), which Chandra lost in July,
2015. Chandra has informed us that he is appealing against the judgment. The libel trial was about three programmes made by the CBC which raised concerns about Chandra's research, including the 1992 paper. Previous concerns about the 1992 publication were raised by Kenneth J Carpenter, Seth Roberts, and Saul Sternberg as documented in Correspondence in The Lancet in 2003,2 with a reply by Chandra;3 and when Nutrition retracted a paper
by Chandra in 2005,4 which involved the same subjects as the 1992 Lancet paper. On Nov 27, 2015, Memorial
University sent us a report by Dr William Pryse-Phillips, dated Oct 23, 2009, with supplementary comments dated
Nov 3, 2015.5 The Pryse-Phillips report into a paper by Chandra that was submitted to the BMJ in 2000, published
in Nutrition in 2001, and retracted in 2005, concluded that this paper “was not in full compliance with the scientific,
ethical and/or integrity standards of Memorial University at the time”. On Dec 11, 2015, after further correspondence
with Memorial University, we received a letter from Dr Gary Kachanoski, President and Vice-Chancellor of Memorial
University, stating that it is “our view that the concerns documented by the Pryse-Phillips report in relation to
‘subjects and methods’ in combination with concerns identified by other commentators, provide confirmation that there are serious problems with the veracity of the 1992Lancet publication”. In view of the concerns raised, together with
the conclusions drawn by Memorial University, which was Chandra's institution in 1992, the balance of probabilities
in our judgment is that the reliability of the 1992 Lancet paper by Chandra can no longer be assured. Chandra disputes these concerns and Memorial's conclusions, and does not agree with the need to retract the 1992 paper. Nevertheless, we retract the 1992 Lancet paper from the scientific record.
References
Chandra, RK. Effect of vitamin and trace-element supplementation on immune responses and infection in elderly subjects. Lancet. 1992; 340: 1124–1127
Carpenter, KJ, Roberts, S, and Sternberg, S. Nutrition and immune function: a 1992 report. Lancet.2003; 361: 2247
Chandra, RK. Author's reply. Lancet. 2003; 361: 2247–2248
Meguid, MM. Retraction. Nutrition. 2005; 21: 286
Pryse-Phillips, W. Inquiry into Dr RK Chandra's submitted paper to the BMJ: #00/5797. Revised version of my report of January 2009, after examination of discovered material. Oct 23, 2009. U/GK/PRYSE-PHILLIPS REPORT1126. PDF (2015).
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Pagina 11
Le ricerche scientifiche fatte con Photoshop
Inseguire per mesi un risultato. Esperimenti, prove, calcoli. Ma la ricerca costata fatica e soldi non produce gli esiti
sperati. O addirittura non porta a nulla. È a questo punto che al ricercatore viene in aiuto Photoshop. «Il fenomeno
della falsificazione delle ricerche accademiche è molto più diffuso di quanto si creda. Almeno il 10 % dell’intera produzione scientifica mondiale è viziata da plagi, dati “aggiustati”, immagini corrette al computer o addirittura fabbricate
ad arte. Si tratta di milioni di truffe accademiche in tutto il mondo. Ed il dato è certamente sottostimato». A parlare
è Enrico Bucci, a sua volta ricercatore, ma ormai di professione segugio degli errori e soprattutto delle mistificazioni
altrui. Formatosi a Napoli, ora vive in Piemonte, dove ha fondato una società, la BiodigitalValley, che su commissione analizza i dati degli studi scientifici. Ha raccontato la sua esperienza, e il fenomeno globale della manipolazione
dei dati, in un libro di recente pubblicazione, «Cattivi scienziati», Add Editori.
Recentemente si è tornato a parlare di
«research integrity», l’etica nell’attività
scientifica, per la sanzione comminata
dall’Università di Napoli al gruppo di studio capeggiato da Federico Infascelli,
ordinario di Nutrizione nel dipartimento
di Veterinaria della Federico II. Il docente e dieci suoi collaboratori, professori
associati e ricercatori, hanno ricevuto un
richiamo formale dal proprio ateneo per
tre articoli pubblicati su riviste scientifiche
internazionali
sui
danni
all’organismo provocati dagli OGM. Ricerche che contenevano dati alterati. E
anche dietro questa indagine interna,
partita dalle contestazioni fatte dalla senatrice a vita Elena Cattaneo durante un’audizione parlamentare, c’è lo zampino del nostro segugio. «Il nostro sistema ha rilevato diverse manipolazioni», commenta Bucci. Del caso si è occupata anche Nature, che riporta una dichiarazione della Cattaneo: «Si tratta di una vicenda molto seria, perché riguarda un tema molto dibattuto». L’uso di organismi geneticamente modificati in agricoltura è da sempre oggetto di laceranti polemiche, soprattutto in Italia. E Infascelli è considerato uno dei più autorevoli studiosi del fronte del No-OGM.
Le selezioni accademiche si basano sulla quantità e sulla qualità di ciò che si è pubblicato. Gli stessi fondi per la ricerca vengono assegnati sulla base dei risultati scientifici ottenuti. Sfornare pubblicazioni è dunque un’esigenza vitale per ogni ricercatore. «La pubblicazione è la moneta sonante dell’accademia italiana, lo strumento per fare carriera
e ottenere finanziamenti. Ma purtroppo mancano controlli rigorosi», continua Bucci. I ricercatori nel mondo sono 9
milioni. Ci si aspetta che ciascuno di loro firmi più di una ricerca all’anno per ottenere una progressione di carriera.
«Come vedete si tratta di una quantità enorme di ricerche e di dati che ormai nessuno, neppure le più prestigiose
riviste scientifiche, è in grado di controllare attentamente», aggiunge l’autore del libro denuncia. In campo biomedico,
dove gli interessi sono enormi, spesso la falsificazione si limita all’alterazione di immagini ottenute al microscopio
che sintetizzano l’esito di esperimenti. Si va dal banale copia e incolla, al ritocco vero e proprio. «Molto spesso si
tratta di manipolazioni che ad occhio nudo è impossibile rilevare - conclude Bucci -. Noi riusciamo a scoprirle grazie
al nostro software». Imagecheck, il programma della BioDigitalValley, è in grado di processare fino a un milione di
immagini, segnalando immediatamente le figure riutilizzate più volte, i fotomontaggi, le sovrapposizioni fraudolente:
«In meno di due anni, abbiamo già individuato almeno 500 articoli manipolati in Italia». Ma quanti sono i falsi accademici? Nel tentativo di stabilire un numero statisticamente accettabile, «Cattivi scienziati» avanza una serie di stime
deduttive. La prima prende spunto da un’indagine della rivista Nature su quasi 8000 ricercatori. Un terzo dei quali
(protetto dall’anonimato) ha ammesso pratiche scorrette e fraudolente nella propria attività. Uno studio del ricercatore Daniele Fanelli ha invece fissato al 2% il tasso di frode scientifica. Dato certamente sottostimato, dal momento
che si basa su dichiarazioni volontarie (e questa volta non anonime) degli autori. Un’analisi condotta dall’Università
di San Diego rivela invece che non meno dell’81% degli interpellati sarebbe disponibile ad alterare un risultato sperimentale per ottenere un finanziamento o una pubblicazione. Tirando le somme, Bucci giunge ad una forbice minima
che va dal 3% al 13% delle pubblicazioni in tutto il mondo. Considerando che nei soli Stati Uniti ogni anno viene inviata per la revisione una media di 30 milioni di articoli scientifici, è facile immaginare che al momento sono in circolo
diversi milioni di dati scientifici manomessi. Anche le ricerche serie e corrette possono esserne inquinate, «l’intero
edificio scientifico - conclude Bucci - che si basa su quanto altri hanno scoperto prima di noi, rischia di essere minato
alle fondamenta».
Anno X numero 54
Pagina 12
Paolo Macchiarini - science in conflict
The Lancet DOI: http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(16)00341-X
The resignation of Anders Hamsten as Vice-Chancellor of the Karolinska Institute has accelerated a growing sense
of emergency within the Swedish biomedical science community. His departure comes during the same week that
the Royal Swedish Academy of Sciences issued an unprecedented statement accusing Paolo Macchiarini of
“ethically indefensible working methods”.
The Academy is the body that awards annual Nobel Prizes in Physics, Chemistry, and Economics (the Nobel Prize in
Physiology or Medicine is awarded by the Karolinska Institute, hence the likely acute embarrassment at the tarnished
reputation of one of the world's most respected scientific centres).
The Academy concludes that there is a “crisis of confidence in Swedish medical research” and they demand that the
inquiry into Macchiarini's work be reopened and transferred from the Karolinska to an independent ethical review
board.
The Academy also finds “it deeply unfortunate that the well-publicised report about the first operation with an artificial
trachea, published in The Lancet in 2011, remains unchanged on the journal's website”.
The reason it remains unchanged, of course, is that the most recent investigation into Macchiarini's work, conducted
by the Karolinska, found that he was not guilty of scientific misconduct. And here lies the reason for the crisis—the
escalating and angry debate about Macchiarini's work has, the Academy believes, seriously damaged public trust in
the Karolinska and the integrity of Swedish science. For a country that takes its contribution
to global science so seriously, this situation is simply unacceptable.
We take all allegations of scientific misconduct extremely seriously. The Lancet's view has
been, and remains, that the normal standards of justice should apply to Paolo Macchiarini.
Being innocent until proven guilty is a difficult principle to hold on to when calls for action
now to assuage the crisis are so vociferous. Indeed, for many of the protagonists in this conflict, it would be helpful if some drastic action could be taken immediately to dissipate the
crisis or even make it disappear. Retraction of the paper might be one such action. Pierre
Delaere, a professor of ear, nose, throat, head, and neck surgery in Leuven, Belgium, has
written that, “The sooner the publications on the engineered windpipe and gullet are withdrawn, the sooner there will come an end to what may be the biggest lie in medical history.” We have contacted Macchiarini to seek his views about the latest accusations. He
tells us that he will “be looking into all the allegations” once again. A new inquiry will now
take place. It should be transparent and decisive. The inquiry should ideally be conducted
by an international team of experts, including members who have no direct connection with either the Karolinska or
Swedish science. We must wait for that investigation to complete its task and reach a new verdict. The first inquiry
initiated by the Karolinska found Macchiarini guilty of research fraud. The second found him not guilty. We will respond quickly to the verdict of the new investigation. That inquiry must be allowed to take its course. Pre-emptive
judgments about Macchiarini's work would only worsen the reputation of science in the public sphere.
In Anders Hamsten's resignation statement, he writes that the Karolinska has “received new information which definitely gives a modified picture of the charges of irregularity against Paolo Macchiarini”. He concludes that, “it seems
very likely that my decision in this case was wrong”. And, “there is much to indicate that the judgment reached by KI
last summer should be amended to scientific misconduct, which in plain language means research fraud”.
Hamsten also reflects on the appointment of Macchiarini to Karolinska—”I can see that
I completely misjudged Paolo Macchiarini and that he and KI should have gone their
separate ways far earlier. It was in all probability wrong to employ him in 2010.” And he
responds to criticism of the Karolinska itself: “in the recent discussion Karolinska Institutet has also been criticised for a culture of self-sufficiency, unhealthy elitism and prestige thinking. This may be true, I don't know…Now we must examine ourselves and
get to the bottom of the question of whether an unhealthy academic culture prevails
here.”
Hamsten writes painfully about the “media storm”, together with the “multifarious and
strident” calls for his resignation. What are needed now are cool heads and impartial
hearts.
This crisis will be resolved.
But time must be allowed for due process to be done and seen to be done.
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Timely access to therapies for severe diseases
with unmet medical need: a proposal for the
European Countries
Timely access to therapies for severe diseases with unmet medical need.
Introduction
In many European Countries patients have to wait a long period of time before the medicines, approved by the European Commission on the basis of the EMA/CHMP positive opinion, are really available in a democratic way. Many
efforts have been done to improve the situation and in some particular cases national legislation, like the French
ATU and the Italian 648 Law, have addressed this issue although with a certain degree of variability among treatments. However for many severe diseases and in many Member States the situation is far from being satisfactory.
The European legislation has provided many tools to favor the early availability of therapies, when a severe disease
is concerned and there is an unmet medical need. In fact the Orphan Medicinal Product status (according to Regulation 141/2000), the conditional approval (according to Regulation 507/2006) and the accelerated procedure
(according to Regulation 726/2004) have been conceived to favor the early availability of therapy for severe diseases
with an unmet medical need. The recent “Reflection paper on a proposal to enhance early dialogue to facilitate accelerated assessment of priority medicines (PRIME)” expresses the same objective. However in many cases these
admirable intentions are frustrated by the time requested by the national procedures for the reimbursement, which
are mandatory for a real democratic availability of the therapy to the patients. One interesting exception is the German Act on Reform of the Market for Medical Products (AMNOG). According to this law, right after the European
Marketing Authorization, a medicine can be reimbursed at a price defined by the owner of the MA. At the same time
a procedure for the negotiation starts. At the end of the negotiation the price will be modified accordingly. However
this German procedure cannot be proposed for all the European Countries, because most of them have not the resources to bear the connected economic impact or have different political agenda with lower willingness to invest on
pharmaceuticals / healthcare.
Patient need
The priority for patients with a severe disease, life threatening or strongly debilitating, is the availability of the best
therapy as soon as the positive benefit / risk ratio has been established. This is particularly true if the new therapy
addresses an unmet medical need or has demonstrated a significant clinical benefit compared with the available
treatments.
Rational for a new proposal for the real timely availability for “priority treatments”
Presently the evaluation of the severity of the disease and the unmet medical need, at European level, is already
done in the following cases:
For Orphan Medicinal Products by COMP, according to Regulation 141/2000
For the extension of indication by CHMP (on the basis of a request by the applicant) (Article 14(11) of the Regulation 726/2004)
For the Conditional MA by CHMP, according to Regulation 507/2006
For the Accelerated procedure by SAWG/CHMP, according to Regulation 726/2004
In the future also the “PRIME” procedure will include this evaluation according to the “Reflection paper on a proposal
to enhance early dialogue to facilitate accelerated assessment of priority medicines (PRIME)”
In conclusion in these cases the centralized procedure for the marketing authorization includes an assessment,
made by CHMP or COMP, regarding the severity of the disease and the unmet medical need or the significant benefit. It is worth reminding that, in case of Orphan Medicinal Products, Regulation 847/2000 article 3 clarifies that
“significant benefit” means a “clinically relevant advantage or a major contribution to patient care” .
New Proposal : additional administrative “Special Timely Procedure” for the reimbursement of therapies
forsevere diseases having an unmet medical need or a significant benefit in comparison with the existing therapies.
For therapies for severe diseases and an unmet medical need or a “significant benefit” as evaluated recently* by
CHMP or by COMP, Member States, on a voluntary basis, trigger an administrative mechanism of immediate reimbursement and so of immediate availability for all the patients in need. Because also the compatibility with the economic resources has to be respected, a special national procedure has to be studied in the details, taking into account sustainability.
With the aim of making this administrative national procedures sustainable, the following limitations are suggested:
The national administrative “special timely procedure” will be used just for therapies for severe diseases,
which means life threatening or chronically debilitating conditions, according to a recent* CHMP or COMP
evaluation. The definition of “severe diseases” is already defined in the European Regulation for OMPs
(Regulation 141/2000, article 3).
(Continua a pagina 14)
Pagina 14
Anno X numero 54
(Continua da pagina 13)
The national administrative “special timely procedure” will be used just for therapies recently* recognized by
the CHMP or by COMP to address an unmet medical need or to have a significant benefit in comparison
with the current therapies for the same condition (as in the European Regulation 847/2000, article 3).
The national administrative “special timely procedure” will be restricted to the following cases:
Orphan Medicinal Products according to Regulation 141/2000
Extension of indication with significant benefit according to Article 14(11) of Regulation 726/2004
Conditional MA according to Regulation 507/2006
MA approved through the accelerated procedure according to Regulation 726/2004
The national administrative “special timely procedure” will be used just for Marketing Authorization or extension
of indication following a positive opinion by CHMP by consensus.
The national administrative “special timely procedure” allows the immediate reimbursement by the NHS: no
additional assessment by the NHS is necessary
The initial price is decided by the sponsor, and it is equal to the lowest price for the same medicine available in
the European Union. This price could be immediately aligned in case other lower prices would be agreed, at
the end of the usual procedure for price and reimbursement, in Countries sharing this special national timely
procedure
Possible 100% payback by the sponsor, when the usual National procedure of negotiation will be finished, equal
to the difference between the used free price and the price established at the end of the procedure.
A national “Register” for the new treatment, if requested by the National Authority, could be placed effective from
the initial drug availability
A maximum turnover (ceiling), in the first 12 months could be fixed: for example 0.5% of the total national expenditure for medicines reimbursed by the NHS. In case the expected expenditure is higher, the sponsor has
two alternatives:
Renounce this national timely procedure
Supply the medicine as free of charge after the fixed ceiling during the first 12 months.
Failure of the usual P&R negotiation: a failure of the usual national negotiation is quite unlikely in case of therapies for unmet need or with additional clinical benefit for severe diseases. In any case, if a failure occurs, the
applicant will be obliged to payback a certain percentage of the turnover (for example 20%) and the medicine
will be classified in class C (this outcome is valid for Italy: for other Countries a specific clause has to be studied, Country by Country, depending on the National legislation).
This administrative “special timely procedure” does not substitute but is in addition to the usual national procedure for P&R negotiation. It has the objective of reducing the time between the European Marketing Authorization and the real availability in the Country for therapies with an additional significant benefit and for severe
diseases.
This administrative “special timely procedure” does not substitute but is in addition and could be synergetic to
the procedure under evaluation by EMA and EUnetHTA for a “first European HTA at the time of the MA”. It has
the limited objective to reduce at a minimum the gap in time between the MA and the real availability of the
medicine in many Member States.
*In this proposal “recent” and “recently” mean no more than 6 months before the Marketing Authorization
COMMENTO A CURA DEL GRUPPO DI LAVORO SSFA
Farmacoeconomia e Market Access
La proposta SIAR di un early access /fast track per alcune tipologie di farmaci è molto interessante. É utile chiarire e
condividere le regole con tutti gli attori interessati: AIFA, industria e pazienti. Il documento è un ottimo punto di confronto con chi, a vario livello, ha interesse al benessere del paziente ed a garantire un’opzione terapeutica a chi una
cura non ha.
Il gruppo Farmacoeconomia e Market Access della SSFA ha però evidenziato alcune criticità che sarebbe bene affrontare, da subito, con le Istituzioni nazionali e regionali, al fine di rendere realmente disponibile, nel minor tempo
possibile, l’innovazione terapeutica salvavita.
Nel testo SIAR non si fa riferimento, purtroppo, ai Prontuari Terapeutici Ospedalieri Regionali (PTOR) che, come è
noto, sono il tallone d’Achille del “fast track”. Le commissioni preposte alla valutazione impiegano diversi mesi per l’
inserimento di un farmaco nel PTOR ; risulta dunque critico questo passaggio, al fine di garantire velocemente una
strategia terapeutica salvavita al paziente. Quindi suggeriamo che, ottenuto il “fast track” nazionale, non ci sia alcuna necessità di recepimento o valutazione regionale/locale per l’inserimento in Prontuario, garantendo di fatto le
condizioni di un accesso veloce al mercato.
A nostro avviso la posizione sulla possibilità di rimborsare il farmaco con il prezzo “più basso” europeo necessiterebbe inoltre di alcuni approfondimenti. Lo stesso direttore AIFA, il dott. Luca Pani, in audizione in Parlamento ha
(Continua a pagina 15)
Anno X numero 54
Pagina 15
(Continua da pagina 14)
sottolineato che i prezzi di rimborso delle specialità medicinali in Italia sono mediamente più bassi rispetto agli altri
Paesi Europei. Il prezzo di cessione va letto insieme alle altre condizioni di rimborsabilità. Piani terapeutici, tetti di
spesa, PbR (pay by result), pay back, sconti non trasparenti ed altre metodologie rendono i confronti ardui e talvolta
molto difficili. Il processo di rimborsabilità, con le regole del prezzo europeo più basso, risulterebbe ancora più difficile (forse impossibile) qualora fosse richiesta un’estensione delle indicazioni per una specialità medicinale già registrata in Italia, ed a cui siano stati attribuiti un prezzo di rimborso, accordi negoziali, tagli e sconti più o meno trasparenti. Bisognerebbe inoltre valutare l’effetto del “prezzo più basso” sulle dinamiche di acquisto: si potrebbero generare meccanismi di esportazione parallela di farmaci dall’Italia verso altri paesi dell’Unione Europea. Il GdL SSFA avanza infine una proposta: lasciare la possibilità all’azienda di fissare il prezzo in prima istanza, e pensare a meccanismi compensativi (pay back), per rimborsare allo Stato la differenza tra il prezzo proposto e quello negoziato con
AIFA. In ogni caso è utile il dibattito ed il focus su questo tema. Rimane aperta la questione "risorse" o meglio
“risorse adeguate” dedicate alla innovazione per la cura di patologie gravi. Senza questa attenzione tutte le proposte
ragionevoli possono subire uno stop. In questo senso le associazioni dei pazienti, a livello europeo e nazionale, dovrebbero avere ruolo e voce.
Rene Laennec: How fear of women's chests led a doctor to invent
the stethoscope
The stethoscope is the most recognisable of all pieces of medical equipment, and is identifiable by even the smallest
children as being representative of a doctor. Its inventor René Théophile Hyacinthe Laënnec would have turned 235
on February 17, and has been honoured with a Google Doodle. Laennec was born in 1781 in France, and studied
medicine under his physician uncle in Nantes until he was called to serve as a medical cadet in the French Revolution. He was revered as an excellent student after he resumed his studies in Paris in 1801, and began working in the
Necker Hospital once the French monarchy had been reestablished in 1815. In 1816, shyness led Laennec to invent
the stethoscope. He was examining a young woman complaining of heart problems. At that time, doctors generally
listened to patients' heartbeats by resting an ear against the patient's chest, but the conservative Laennec thought
this improper under the circumstances, especially as she was overweight. He rolled a piece of paper into a tube and
pressed it to her chest, allowing
him to hear the sounds of her
heart. Some believe he was inspired by the flute, which he used
to play.
"I happened to recollect a simple
and well-known fact in acoustics,
... the great distinctness with
which we hear the scratch of a
pin at one end of a piece of wood
on applying our ear to the other,"
he wrote in the preface to his
seminal research paper De l'Auscultation
Médiate
in
1819. "Immediately, on this suggestion, I rolled a quire of paper
into a kind of cylinder and applied
one end of it to the region of the
heart and the other to my ear,
and was not a little surprised and
pleased to find that I could
thereby perceive the action of the heart in a manner much more clear and distinct than I had ever been able to do by
the immediate application of my ear." Inspired by his paper experiment, he built several hollow wooden prototype
instruments attached to a single microphone at one end and earpiece at the other, and named it the stethoscope. The term is derived from the Greek words 'stethos' for chest, and 'scopos' for examination.
The instrument was swiftly adopted across France and wider Europe, before spreading to the US. Laennec died of
tuberculosis aged just 45 in 1826, but was aware of the importance of his discovery, calling it "the greatest legacy of
my life." In 1851 Irish physician Arthur Leared invented a binaural stethoscope, which fitted into both ears, made of a
durable plastic called gutta-percha. The first commercially available instrument, made of India rubber and wood, was
patented the same year by Doctor Nathan Marsh of Cincinnati. Unfortunately it was too fragile to be used properly.
The next year New York-based doctor George Cammann successfully adapted the design for wider commercial production, made of ivory earpieces connected to a metal tube held together by a hinge. Known as Cammann's Stethoscope, variations of the design have remained in use ever since. Cammann never patented his design because he
believed it should be freely available to all doctors.
Anno X numero 54
Pagina 16
Indagine presso i comitati etici da parte del gruppo di
medicina complementare
Cerchiamo di conoscere e capire meglio l’iniziativa intrapresa da Lucia Beinat e da Alfredo Vannacci (gruppo medicina complementare), che hanno svolto un’indagine conoscitiva presso i Comitati Etici sullo stato della ricerca clinica
nel settore della medicina complementare.
Gentilissimi, qual è stato il motivo che vi ha spinto come SSFA, in collaborazione con SIF, ad avviare un’indagine
conoscitiva presso tutti i Comitati Etici sullo stato della ricerca clinica nel settore della medicina complementare?
Il mercato degli integratori è in continua crescita: stando alle fonti Federsalus (l’associazione che rappresenta le aziende del settore), in Italia abbiamo + 8,9% a valore nel 2015. La ragione? Alla prescrizione medica si affianca sempre di più l’acquisto diretto del consumatore in farmacia, parafarmacia o presso la grande distribuzione, a dimostrazione che siamo sempre più attenti a tutto ciò che può favorire il nostro benessere. Negli anni abbiamo visto svilupparsi diverse tipologie di prodotti: a partire dai prodotti dietetici (iposodici, privi di glutine) e dagli alimenti destinati ai
lattanti e prima infanzia, via via si sono sviluppati alimenti addizionati di vitamine e sali, alimenti fortificati con aggiunta di calcio, omega-tre, alimenti specifici per gli sportivi o destinati a fini medici speciali, nutraceutici, probiotici. Sono
comparsi nuovi ingredienti e alimenti complessi per lo più di origine vegetale non presenti nella nostra alimentazione
tradizionale (es. succo di noni).
Studi epidemiologici, suffragati da ricerche sul piano biologico riguardanti i meccanismi coinvolti, hanno sempre di
più evidenziato come il consumo di alcuni ingredienti presenti in certi alimenti della nostra dieta comune possano
determinare favorevoli benefici per la nostra salute (es. il resveratrolo). In questo scenario di prodotti così variegato
e sempre più ampio, diventa fondamentale la corretta informazione sulle “caratteristiche” e i “benefici” che tali prodotti possiedono che indirizzi prescrittori e utilizzatori ad un loro uso corretto e ben finalizzato nelle circostanze dovute. Questo vale soprattutto per i prodotti che vantano “claims” salutistici. La necessità di evidenze scientifiche adeguate che sostengano tali “claims” è diventata pressante in virtù anche dell’entrata in vigore del Regolamento Europeo 1924/2006, che demanda all’EFSA la valutazione di tutta la documentazione a supporto. Gli studi clinici, in questo contesto, giocano un ruolo fondamentale e primario.
Non è facile pianificare uno studio con prodotti indirizzati ad una popolazione complessivamente “sana”: esistono
indiscutibili difficoltà metodologiche e concettuali. L’inquadramento normativo attuale fornisce linee di indirizzo generale, anche se esistono linee guida dell’EFSA, ma solo per alcune specifiche categorie di prodotti. In ragione di ciò,
come gruppo di lavoro SSFA, in collaborazione con SIF, abbiamo attivato un’indagine presso i Comitati Etici italiani
volta a fotografare lo stato della ricerca in questo settore, conoscere le criticità e le necessità e promuovere iniziative
adeguate.
Nella prima fase d’indagine quanti Comitati Etici hanno risposto? E quali?
L’indagine è partita con una prima fase conoscitiva di fattibilità. Abbiamo predisposto un questionario generale per
capire se si facessero studi in questo settore e se fosse possibile approfondire certi aspetti, messo su una piattaforma on-line e lanciata l’iniziativa con una lettera di presentazione indirizzata a 84 Comitati Etici dislocati sul territorio.
La partecipazione era assolutamente volontaria: 22 hanno risposto compilando il questionario on-line (tra questi
molti CE tra i più grossi e rappresentativi).
Quali sono state le risposte che avete ottenuto.
Abbiamo avuto la conferma che si fanno studi in questo settore: il 77% dei CE riceve richieste in tal senso; il 36% li
considera una categoria a se stante separata; il 18% ha predisposto una specifica catalogazione interna per differenziarli da altri studi, il 18% ha predisposto una specifica documentazione/modulistica per la richiesta.
Il dato più importante, manifestato dal 73% dei CE è l’esigenza di una regolamentazione specifica per questa categoria di studi.
Dai dati ricevuti abbiamo altresì avuto conferma della possibilità di passare ad una seconda fase più conoscitiva:
l’82% dei CE ha dichiarato infatti di essere in grado di indicare il numero di studi attualmente valutati e il 68% di
quanti in passato.
Per meglio conoscere la realtà della ricerca clinica in questo settore dopo la prima fase avete avviato o attivato una
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seconda fase d’indagine “atta a fotografare più nel dettaglio il panorama degli studi nel campo della Medicina Complementare”. A chi vi siete rivolti in questa seconda fase?
E’ già partita la seconda fase, molto più approfondita, che vuole conoscere meglio e in dettaglio le aree in cui si fanno questi studi, le loro caratteristiche, le difficoltà che i CE hanno nella loro valutazione, le problematiche riscontrate.
E’ stata indirizzata a tutti gli 84 CE coinvolti nella prima fase, indipendentemente dalla loro partecipazione iniziale.
Tutti sono stati informati dell’esito della prima indagine ed inviatati a partecipare a questa seconda, compilando il
questionario on-line. La partecipazione, ricordo, è sempre su base volontaria.
Cosa vi aspettate?
La seconda fase dell’indagine è molto diretta e finalizzata. L’intento ben dichiarato nella lettera di presentazione è d’
interesse comune. Ci aspettiamo una buona risposta.
E soprattutto alla fine di questo importante lavoro come e cosa pensate di fare?
Esamineremo attentamente i dati ottenuti e in funzione di essi, oltre a divulgarli opportunamente, ci renderemo promotori d’iniziative atte a promuovere e sostenere le attività di ricerca clinica nel settore della Medicina Complementare.
A cura di Giovanni Abramo
Lucia Beinat ha una pluridecennale esperienza nel mondo farmaceutico e CRO in diversi
ruoli e gradi di responsabilità nel settore della ricerca clinica, medical & scientific affairs,
business development, dove ha operato attivamente nella pianificazione e gestione di
importanti progetti a livello internazionale.
I suoi interessi vanno dallo studio della sicurezza dei farmaci, dei vaccini e dei fitoterapici (Farmacovigilanza e Fitovigilanza) alle medicine non convenzionali, con particolare riferimento alla ricerca preclinica e clinica e alla valutazione di efficacia e sicurezza di
queste discipline.
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Drugs past their expiration date
JAMA February 2 Volume 315, Number 5 : 510
Healthcare providers are often asked if drugs can be used past the expiration date. Because of legal restrictions and
liability concerns, manufacturers do not sanction such use and usually do not even comment on the safety or effectiveness of their products beyond the date on the label. Since our last publication on the subject, more data have
become available.
Safety
There are no published reports of human toxicity due to ingestion, injection or topical application of a current drug
formulation after its expiration date. Renal tubular damage has been reported with use of degraded tetracycline in a
formulation that is no longer available.
Stability
Data from the US department of Defense/FDA Shelf Life Extension Program, which tests the stability of drug products past their expiration date, have shown that 2650 of 3005 lots (88%) of 122 different product stored in their unopened original containers remained stable for an average of 66 months after their expiration date. On these, 312
lots (12%) remained stable for >4 years, after the expiration date. Failure on the basis of potency, pH, water content,
dissolution, physical appearance or presence of impurities occurred in 749 lots (18%) but none failed within 1 year.
Potassium iodide, which has extensively stockpiled for use in a radiation emergency, has shown no significant degradation over many years.
Heat, Humidity and Long Term Storage
Storage in high heat and/or humidity can accelerate the degradation of some drug formulations, but in one study,
captopril tablets, theophylline tablets (Theo-Dur, and others) and cefoxitin sodium powder for injection (Mefoxin and
others) stored at 40°C and 75% relative humidity, remained stable for 1.5-9 years beyond their expiration dates. In
another study, theophylline retained 90% of its potency 30 years past its expiration date. A study of eight products
that had been stored in their unopened original containers for 28-40 years past expiration found that 12 of 14 active
ingredients had retained > 90% of their original potency: aspirin retained < 5% of its potency and amphetamine <
60%.
Liquid drugs
Solutions and suspensions are generally less stable than solid dosage forms, but in one report, four outdated samples of atropine solution (three up to 12 years past expiration and one >50 years past expiration) were all found to
contain significant amounts of the drug. Drugs in solution that have become cloudy or discolored or shown sign of
precipitation, particularly injectables, should not be used. Suspensions are especially susceptible to freezing. Limiting
factors with ophthalmic drugs include evaporation of the solvent and the continued ability of the preservative to inhibit
microbial growth.
Epinephrine solutions in EpiPen®(epinephrine injection) auto-injectors may lose potency after the expiration date. In
a study of 34 pens that had expired 1-90 months previously, the decrease in epinephrine content was proportional to
the number of months past the expiration date. One study found that pens 3-36 months past their expiration dates
contained 84.2-101.5 % of the labeled dose, but a study of pens stored in EMS vehicles (Emergency Vehicles) that
had expired 1-11 years previously found that only 12.6% -31.3% of the labeled dose remained.
No data are available on other epinephrine auto-injectors such as Auvi-Q®(epinephrine injection, USP).
Conclusions
When no suitable alternative is available, outdated drugs may be effective. How much potency they retain varies with
the drug, the lot, the preservatives (if any). And the storage conditions, especially heat and humidity; many solid dosage formulations stored under reasonable conditions in their original unopened containers retain > 90% of their potency for at least 5 years after the expiration date on the label, and sometimes much longer. Solutions and suspensions are generally less stable. There are no reports of toxicity from degradation products of currently available
drugs.
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NOTIZIE DAI MASTER
Master di Camerino
Lo scorso 12 febbraio si è svolta, presso l’abituale sede di Ataena ad Ancona, la giornata delle discussioni delle tesi
degli studenti del master dell’Università di Camerino, a conclusione del loro ciclo di lezioni svolte nel corso del 2015.
Una delegazione SSFA, rappresentata da Anna Piccolboni, da Giuseppina Corvasce e dal sottoscritto, tutti cooptati
come relatori delle tesi, ha trascorso un’intensa mattina, ascoltando le presentazioni degli studenti, e commentando
le loro affermazioni.
Le tesi erano molto ben fatte, e spaziavano, solo per fare qualche esempio, dai biosimilari alle terapie personalizzate, dalla gestione del farmaco sperimentale agli studi adattativi, dall’uso in dermatologia del plasma ricco in piastrine
alla raccolta dati sulla qualità della vita negli studi in oncologia.
Al termine della sessione, la commissione esaminatrice, coordinata dal prof Fiorenzo Mignini, ha assegnato i voti agli
studenti: la valutazione era basata sulla frequenza alle lezioni, sull’argomento della tesi, e sulla qualità della presentazione.
Tutti i voti sono stati superiori a 100, ed uno studente molto bravo ha ottenuto, con giudizio unanime, il voto di 110 e
lode. Si è quindi concluso il primo capitolo del master di Camerino, ma il secondo è già iniziato, con i nuovi studenti
che frequentano le lezioni, concentrate una volta al mese, da gennaio a settembre, dal giovedì pomeriggio al sabato
mattina.
Domenico Criscuolo
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Il libro di oggi….
Ricordo che spesso, quando l’amico Paolo Lucchelli mi invitava a fare un
seminario al mitico corso di Varenna sulla sperimentazione clinica, mi
fermavo a parlare con lui di varie cose. Ed inevitabilmente Paolo finiva
per citarmi il libro di cui vi parlo
oggi, il breve saggio “ Allegro ma
non troppo” di Carlo Cipolla.
Si tratta di un testo molto breve,
circa 80 pagine in un formato
tascabile: se andate da Milano a
Roma in treno, a Firenze lo avete
già finito. In verità, il libro è poi
composto da due brevi saggi.
Il primo, basato sulle formidabili
conoscenze storiche dell’autore,
si intitola “Il ruolo del pepe nello
sviluppo economico del Medioevo”, ed è un’ avvincente storia
semiseria di come il pepe sia
stato il protagonista centrale dell’economia Europea medioevale.
Ma la vera perla è il secondo saggio, che si intitola “Le leggi fondamentali
della stupidità umana”. L’autore ci delizia con le cinque leggi della stupidità
umana: non voglio anticiparvi il piacere della lettura, ma non posso fare a
meno di citare la terza legge, chiamata anche aurea, che recita così: “Una
persona stupida è una persona che causa un danno ad altri senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita”.
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Domenico Criscuolo
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Siamo abituati a leggere molte notizie, di cui spesso non abbiamo informazioni sulle esatte dimensioni. Ecco qualche
numero che dovrebbe farci riflettere.
Medicine by numbers
BMJ 2015;351:h5228
What’s the evidence that any of the 150ௗ000 health apps available in Europe actually work? Not much, says Stephen
Armstrong (doi:10.1136/bmj.h4597). Health professionals and lay people use them to monitor, manage, and even
treat conditions. But apps are not heavily regulated. Compliance focuses on data protection and honest advertising,
with few apps categorised as “medical devices” that need regulation by such organisations as the UK Medicines and
Healthcare Products Regulatory Agency or the US Food and Drug Administration. The NHS Choices Health Apps
Library lists apps found to be clinically safe and legally compliant. Meanwhile the Royal College of Physicians advises its members to use only apps that have a CE certificate. The UK government proposes a four stage assessment of apps, ranging from a crowdsourced initial stage to robust independent assessment, possibly involving the
National Institute for Health and Care Excellence. But it’s unclear whether this assessment will have legal force; and
it might process at most 10ௗ000 apps a year.
Also without good evidence are calcium supplements or increased dietary calcium for reducing fracture risk in older
people. Two research articles by Mark Bolland and colleagues published this week (doi:10.1136/bmj.h4580,
doi:10.1136/bmj.h4183) make it plain that dozens of clinical trials with tens of thousands of participants have shown
only a tiny effect on bone density in people who otherwise have a normal varied diet and no clinically relevant effect
on fracture risk. Why then, asks Karl Michaëlsson in a linked editorial (doi:10.1136/bmj.h4825), do so many organisations continue to recommend intake of high levels of calcium and vitamin D that cannot be achieved by diet alone?
The profitability of the global supplements industry might play a part, he speculates, noting how difficult it is to identify the influence of industry on people who write dietary recommendations.
Such interests are, of course, rife across healthcare. Timothy Anderson and colleagues (doi:10.1136/bmj.h4826)
have quantified the links between academic leaders and US healthcare companies, including those producing medical equipment and biotechnology as well as drugs. In 446 publicly traded companies, they identified 279 directors
affiliated with 85 non-profit academic institutions who collectively received nearly $55m (£36m; €50m) in individual
payments (median individual compensation $193ௗ000) alongside tens of thousands of company shares. Although
some academic institutions place limits on the amounts their staff can receive from companies, David Rothman asks
in a linked editorial (doi:10.1136/bmj.h5065), “Why is $5000 a day acceptable but not $50ௗ000?” He recommends just
saying no: non-profit medical leaders should be excluded from directorships of healthcare companies.
It may seem obvious that explosives and chemical weapons used in conflicts such as the current one in Syria affect
civilian men, women, and children as well as combatants. Not so clear are how large the effects and how disproportionately they affect different populations. Debarati Guha-Sapir and colleagues (doi:10.1136/bmj.h4736) use the registries of violent deaths produced by human rights groups and non-governmental organisations to reveal the numbers behind the devastating effects of aerial bombardment and ground level explosives that have killed tens of thousands of Syrian civilians. As Hamit Dardagan notes in his linked editorial (doi:10.1136/bmj.h5041), these data underline the urgent need to ban the use of indiscriminate weapons in populated areas. We must hope these numbers
prove persuasive.
Mauro Moroni è morto:
era membro della commissione Aids
Dopo una breve malattia si è spento nella sua casa a Pedemonte, frazione di Gravellona Toce, Mauro Moroni, infettivologo di fama internazionale. Aveva 79 anni ed era conosciuto per il suo lavoro, come scienziato, ma anche per l’impegno umano, nella lotta alle malattie infettive e
all’Aids in particolare.
Moltissime le testimonianze di stima e affetto giunte alla famiglia da parte del mondo scientifico, ed in particolare quella del ministro della Sanità
Beatrice Lorenzin che ha definito Mauro Moroni «una mente eccezionale».
Dal 1981 al 2010 ha ricoperto l’incarico di direttore del Dipartimento di
Malattie Infettive presso l’ospedale L. Sacco di Milano.
Attualmente era presidente del Comitato etico dell’Istituto di ricovero e
cura a carattere scientifico (Irccs) Lazzaro Spallanzani di Roma. «Con lui
- afferma il direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito - finisce una generazione di grandi maestri delle malattie infettive che hanno
scritto la storia recente della disciplina».
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Oggi parliamo di….
Marmota monax, modello animale per ricerche sulla patogenesi,
sull’evoluzione e sulle terapie dell’epatite B
Marmota monax (Famiglia: Sciuridae, Ordine: Rodentia) vive negli
Appalachi, catena montuosa parallela alla costa atlantica nord americana, dal golfo del San Lorenzo fino
all'Alabama, e nell’isola di Terranova. Il suo soprannome più comune,
woodchuck, è di origine incerta e di
oscuro significato, nulla avendo a
che fare con wood e chucking wood. Molto probabilmente, ha
un’etimologia popolare che deriva
da wuchak, termine con il quale i
Narragansett, indiani di lingua algonchina stanziati nel Rhode Island
e nel New England, chiamavano
questa marmotta, poi “tradotto” dai
coloni inglesi, per allitterazione, in
woodchuck, termine che forse ricordava loro, in qualche modo, l’habitat
tipico di questa marmotta. Marmota
monax può essere allevata in cattività e, nonostante la sua naturale
aggressività, è usata come modello
animale in numerosi settori della
ricerca biomedica. L’ambito nel
quale Marmota monax ha trovato, e
tuttora trova, l’impiego più rilevante,
è la ricerca sull’epatite cronica B
umana: infettata, in natura o sperimentalmente, con il woodchuck hepatitis virus (WHV), sviluppa quasi
nel 100% dei casi, una patologia
molto simile all’epatite B umana
che, come quest’ultima, tende ad
evolvere in carcinoma epatocellulare (HCC). WHV, scoperto e descritto per la prima volta nel 1977, in
una colonia di woodchuck con
un’elevata incidenza di individui
affetti da epatite cronica e da HCC,
è stato il primo hepadnavirus di
mammifero (famiglia Hepadnaviridae, genere Orthohepadnavirus) e
di uccello (Avihepadnavirus), ad
essere descritto, dopo la scoperta
del virus dell’epatite B umana
(HBV) fatta da Baruch S. Blumberg
(1925-2011) nel 1965 (Nobel per la
medicina 1976): sono virus a DNA,
con specifico tropismo per il fegato
(Hepa-DNA-virus), piccolo capside
sferico (40-48 nm) contenente circular double-stranded DNA, con
una regione single-stranded. Quasi
tutti i woodchock che diventano
carrier cronici di WHV, dopo inoculo
sperimentale del virus in età neonatale, sviluppano una grave epatite
che esita in un HCC entro i primi 24 anni di vita, con ciclo replicativo
virale e lesioni epatiche incredibilmente simili a quelle riscontrate
nell’infezione da HBV nell’uomo.
L’aspettativa mediana di vita HCCfree di questi woodchuck è di 24
mesi, mentre l’aspettativa mediana
di vita è di 30-32 mesi. La prova
che WHV evolve in HCC in Marmota monax, rafforza conclusioni basate su studi epidemiologici e di
virologia molecolare, per i quali
HBV è un fattore eziologico importante nell’epatocarcinogenesi umana. Woodchuck di allevamento, infettati in età neonatale con inoculi
standardizzati di WHV, diventano al
100% carrier cronici di WHV e forniscono dati farmacocinetici e farmacodinamici nella R&D di nuove molecole anti-HBV, in un modello animale di patologia umana ben carat-
terizzato, affidabile e robusto. Inoltre, il quadro tossicologico e delle
lesioni epatiche presenti nei woodchuck malati trattati con pirimidine
fluorurate, è sovrapponibile a quello
osservato nel paziente affetto da
HBV e curato con gli stessi farmaci,
dimostrando tutto il potenziale di
questo modello animale nella valutazione preclinica della tossicità e
tollerabilità di nuovi farmaci antivirali. Per ridurre i gravi side-effect extraepatici indotti dalle terapie di
lungo termine dell’epatite cronica B,
farmaci anti-HBV sono stati coniugati con albumine galattosilate che
ne assicurano il trasporto selettivo
agli/e il rilascio controllato negli epatociti. La selettività del target è
assicurata dall’interazione dei residui galattosidici del carrier con il
recettore di membrana
dell’asialoglicoproteina presente,
con alta densità e affinità, solo sugli
epatociti, dove media l’endocitosi
del complesso farmaco-albumine
galattosilate. Entrati negli epatociti, i
farmaci complessati sono indirizzati
ai lisosomi, dove enzimi scindono il
legame del complesso, liberando il
principio attivo, che viene così a
trovarsi, con elevata biodisponibilità, praticamente solo negli epatociti.
Analoghi nucleosidici della pirimidina, studiati in trial clinici per il trattamento dell’infezione cronica di HBV,
sono stati testati contro la replicazione di WHV in woodchuck infettati
cronicamente, per confrontarne
l’efficacia anti-HBV nell’uomo con
quella
anti-WHB
nella
marmotta.
Vidarabina, ribavirina, lamivudina e
famciclovir hanno
inibito, nel woodchuck, viremia e
replicazione intraepatica del WHVDNA in modo consistente con la rispettiva
efficacia
clinica in pazientiHBV;
zitovudina
(AZT), inattiva nei
pazienti, lo è stata
anche contro la replicazione di
WHV nei woodchuck. Una singola
somministrazione orale/die, per 4
settimane, di clevudina, analogo
nucleosidico della pirimidina, a woodchuck carrier cronici di WHV ha
abbattuto significativamente, e in
modo dose-correlato, viremia, antigenemia, replicazione intraepatica
di WHV ed espressione intraepatica
di WHcAg (antigene del core di
WHV). Alla dose maggiore somministrata (10 mg/kg/die) sono state
(Continua a pagina 23)
Anno X numero 54
(Continua da pagina 22)
osservate anche riduzioni significative dei livelli di WHV-RNA e di (ccc)
WHV-DNA (covalently closed circular WHV-DNA). L’abbattimento dose
-dipendente della viremia è stato
marcatamente rapido ai dosaggi
maggiori di clevudina, con riduzioni
dei livelli serici di WHV-DNA di oltre
3 log, già dopo solo 2-3 giorni di terapia. Nel 50% almeno degli animali
trattati con la dose maggiore, la viremia è rimasta soppressa significativamente per 10-12 settimane, dopo
la sospensione della terapia, mentre
nei diversi gruppi sperimentali trattati
col farmaco si è osservato un ritardo
dose-correlato del rimbalzo della
viremia. Non sono state rilevate evidenze di tossicità dose-dipendenti
riferibili al trattamento. Trial clinici di
breve termine hanno confermato, in
pazienti affetti da epatite B, la potente e sostenuta attività antivirale di
clevudina contro HBV, senza effetti
tossici riconducibili alla terapia, la
cui assenza/scarsità veniva spiegata
con l’assenza di citotossicità e di
alterazioni della funzione mitocondriale. Purtroppo, solo in seguito si
scoprì che la terapia a lungo termine
con clevudina può indurre, in alcuni
pazienti con epatite cronica B, la
deplezione del DNA mitocondriale,
con conseguente miopatia mitocondriale associata a mionecrosi. Tra gli
aspetti clinici e patologici della grave
sindrome rabdomiolitica diagnosticata in 7 pazienti curati per 8-13 mesi
con clevudina, la sintomatologia più
grave era una debolezza muscolare
prossimale lentamente progressiva
nell’arco di parecchi mesi. Inoltre,
elevati livelli ematici di creatinachinasi (marker di danneggiamento/
sofferenza delle fibre muscolari) ed il
quadro miopatico, risultante
dall’elettromiografia, indicavano in
una grave forma di miopatia scheletrica la causa della ingravescente
debolezza muscolare denunciata da
questi soggetti, diagnosi confermata
da biopsie muscolari, che evidenziavano una forma severa di mionecrosi associata a numerose fibre muscolari rosse sfilacciate, fibre negative alla citocromo-C ossidasi ed una
predominante atrofia delle fibre muscolari di tipo II. La PCR quantitativa
su biopsie della muscolatura di questi pazienti indicava una massiccia
deplezione di DNA mitocondriale nei
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miociti scheletrici. Fialuridina, altro
analogo nucleosidico della pirimidina, è stata somministrata per 4 settimane a woodchuck carrier cronici di
WHV. Un’efficacia significativa antiHBV, alla dose di 1.5 mg/kg/die i.p.,
non era accompagnata da effetti
tossici, durante le 4 settimane di
trattamento e nel follow-up posttrattamento. In un secondo esperimento, fialuridina è stata somministrata (1.5 mg/kg/die os) per 12 settimane a woodchuck carrier di WHV.
Dopo 4 settimane, la concentrazione
serica di WHV-DNA era inferiore di 2
-3 log a quella dei controlli e non era
più rilevabile, con dot-blot convenzionale, dopo 12 settimane. Inoltre,
gli intermedi replicativi del WHVDNA epatico erano diminuiti di 100
volte e l’espressione epatica di
WHcAg era marcatamente ridotta.
Nessun segno di tossicità è stato
osservato dopo 4 settimane di trattamento ma, dopo 6-7 settimane, è
stato registrato un calo
dell’assunzione di cibo e, dopo 8
settimane, il peso corporeo delle
marmotte trattate era significativamente inferiore al peso dei controlli.
Anoressia, perdita di peso, deperimento organico, devastazione della
muscolatura scheletrica e letargia si
sono progressivamente aggravati,
tanto che tutte le marmotte trattate
con fialuridina sono morte, o sono
state eutanasiate, tra il 78° ed il 111°
giorno dall’inizio della terapia. Insufficienza epatica (iperbilirubinemia,
calo del fibrinogeno nel siero, elevato tempo di protrombina), acidosi
lattica e steatosi epatica erano i sintomi caratteristici degli stadi finali
della tossicità indotta da fialuridina.
La tossicità epatica ritardata in Marmota monax, era molto simile, a
quella precedentemente osservata
in pazienti in terapia con questo farmaco, quand’era ancora in fase sperimentale, e con molecole della stessa classe chimica (clevudina, lamivudina). Eppure, fialuridina era stata
ampiamente studiata, durante il processo di R&D preclinico, in ben 4
specie animali, seguendo i protocolli
e le richieste regolatore, allora vigenti, emanate dall’FDA, senza che
comparissero sintomi di tossicità
epatica. Inoltre, ben due sperimentazioni cliniche di breve termine con
fialuridina non avevano evidenziato
effetti tossici. In base a questi risul-
tati preclinici e clinici favorevoli,
l’NIH ha programmato e avviato
(1992-’93) questa sperimentazione
di Fase II con fialuridina, in pazienti
con epatite cronica B, della durata di
6 mesi. Purtroppo, durante questo
trial clinico si registrarono esiti letali
in 5 pazienti/15 trattati, mentre altri 2
sopravvissero solo grazie al trapianto di fegato. La causa di questi esiti
drammatici fu individuata in una grave e rara forma di tossicità ritardata e inattesa, perché non evidenziata
durante la sperimentazione preclinica, mancando un appropriato modello animale, (il modello WHVwoodchuck risale al 1998, 5 anni
dopo questo studio clinico) - causata
da insufficienza epatica fulminante
associata ad insufficienza renale e
acidosi lattica. Il meccanismo
d’azione di questa grave tossicità
ritardata fu poi individuato e caratterizzato su epatoblasti in coltura: fialuridina, ed i suoi metaboliti, inibiscono la Ȗ-DNA polimerasi, danneggiando la replicazione del DNA mitocondriale. L’incorporazione di analoghi multipli, probabilmente adiacenti
a posizioni di sequenze adenosiniche, ostacola l’allungamento della
catena del DNA, con conseguente
perdita di DNA mitocondriale, comparsa di difetti ultrastrutturali nei mitocondri e accumulo di goccioline
lipidiche nel citoplasma. Questo tragico incidente, lungi da rappresentare una sconfitta della sperimentazione animale, ne ribadisce, anzi, validità e indispensabilità. E ciò è tanto
più vero se riferito al modello WHVwoodchuck che, messo a punto solo
5 anni dopo il grave incidente di cui
si è detto, è risultato 1) predittivo di
efficacia terapeutica contro
l’infezione da WHV/HBV, 2) in grado
di riprodurre fedelmente, in un modello animale, gli effetti tossici dei
farmaci anti-HBV che possono insorgere durante terapie di lungo termine con derivati nucleosidici della
pirimidina e 3) adatto allo studio dei
meccanismi molecolari che mediano
la tossicità ritardata di questa classe
di farmaci. Studi appropriati, disegnati per evidenziare una tossicità
ritardata, sono ormai diventati parte
integrante dell’R&D preclinico regolatorio previsto per molecole candidate alla ricerca clinica.
Domenico Barone
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Phase I study in France
The fault for the death of one patient and the serious injuries to 5 others in a French drug trial is down to the medicine itself, rather than the CRO and pharma company conducting the study. This is according to a new report by the
French National Agency for Drug Safety, which said the compound being tested--BIA 10-2474--produced an
"astonishing and unprecedented" reaction in the brain of a small number of patients, which could not have been
foreseen. In all, 90 patients had taken the drug, but in January, 6 trial participants took a higher-dose form of the
treatment (10 times greater than required), with one becoming brain dead and later dying. Five others were seriously ill, but reports suggest that they are now recovering.
The Phase I trial was being undertaken by the French CRO Biotrial on behalf of Portuguese drugmaker Bial for BIA
10-2474, a medicine that blocks the enzyme FAAH to treat anxiety. Dominique Martin, director general of the
agency, said of the report: "It is clearly the molecule that is the cause. The common element between the victims is
indeed that molecule." He added, as reported by French newspaper Le Monde: "There was no warning [of toxicity]
from the first volunteers. It is as if a dam had burst somewhere."
The initial report ruled out any manufacturing problems and said there was no shared genetic weakness among the
victims, who suffered similar damage to the same part of the brain. But questions still remain. French Health Minister Marisol Touraine said a month ago that Biotrial "should have halted the tests" after the first person was hospitalized. This didn't happen, however, and 5 more people were given the medicine the next day.
And several weeks ago, new evidence came to light that Biotrial may have ignored preclinical warning signs of neurological damage. This allegation came when Le Figaro reported it had seen information that an early-stage animal
study of the drug had left "a number" of dogs dead and other animals suffering with serious side effects similar to
those seen in the fatal human study. The agency's experts have in fact questioned why so much animal testing had
preceded the human trials. They said it was "surprising to see that rats, mice, dogs and monkeys were all used"-raising the question as to whether there were concerns over side effects. But in general, the agency wants to learn
from the trial. "What matters now is what action can be taken: there is a before and after," said Martin. He added
that the regulator has now forwarded all the scientific documents relating to the study on to other health agencies,
including the FDA and EMA, although Bial is reported by Le Monde to have raised concerns about others seeing the
IP around the study.
A number of Big Pharma companies, including Pfizer and Sanofi, tested similar molecules before, but their studies
failed to find efficacy. No serious neurological side effects were ever noted in these companies' tests.
Phase I Death in France: Update
The French national drug safety agency (ANSM), released the timeline of events for the Phase I clinical trial of BIA
10-2474, and it confirms what had been speculated, that the eight healthy volunteers received the fifth of the highest
dose escalation (50 mg) of the investigational drug at the same time. This goes against EMA recommendations released in 2007, to address failures of a 2006 Phase I trial conducted in the UK, that specifically stated that trials be
designed with “sequence and interval between dosing of subjects within the same cohort,” among other ways to
help mitigate risk.
The Phase I trial contracted by Portuguese pharma company Bial to CRO Biotrial was conducted in Rennes,
France. The ANSM document outlines that after the eight received their doses, one was hospitalized that evening.
The remaining seven then received the sixth dose the next morning. The eighth man succumbed to a coma that
day. Biotrial and Bial then discontinued the trial and notified ANSM, three days later. In the interim, five additional
participants were hospitalized and now MRIs are indicating brain injuries to four of them.
On January 22, the FDA announced it would work with the EMA and ASNM to learn more about the safety issues
around BIA 10-2474, a fatty acid amide hydrolase (FAAH) enzyme inhibitor. Additionally, the regulatory authority is
in the process of collecting and reviewing safety information pertinent to FAAH inhibitors under investigation in the
United States.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la seguente dichiarazione
FRANCIA : STUDIO DI FASE I
Venerdì 15 gennaio 2016 l’autorità sanitaria francese ANSM (Agence nationale de sécurité du médicament et des
produits de santé) ha riferito che durante l'esecuzione di uno studio clinico di Fase I, 6 volontari sono stati colpiti da
reazione avversa grave, con conseguente ospedalizzazione in terapia intensiva. Purtroppo le cure intensive non
sono state sufficienti a salvare la vita di uno di questi soggetti, che ha perso la vita a causa di danni cerebrali irreversibili. Mentre il mondo scientifico, regolatorio e giuridico sta ancora interrogandosi su come una simile tragedia possa essere avvenuta, cercando di identificare eventuali errori, omissioni e responsabilità, qualcuno punta il dito sulla
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sperimentazione animale additandola senza esitazioni come causa dell’accaduto. L’Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani, Research4Life e l’Associazione Luca Coscioni a riguardo rilevano però che:
1) è stato chiarito dalle istituzioni sanitarie francesi che il farmaco sperimentale non è né un derivato della cannabis,
né a base di cannabis;
2) nessuno ha ancora rilasciato delle informazioni utili a definire i contorni della questione, tanto è vero che, in
un editoriale, la rivista Nature ha espresso un condivisibile risentimento per la mancanza di informazioni, visto che
l’ANSM, ma nemmeno Biotrial o Bial (l’istituto presso cui si è svolta la sperimentazione e l’azienda farmaceutica
sponsor, rispettivamente) hanno ancora rilasciato pubblicamente indicazioni né sul composto, né sulle dinamiche
dell’incidente;
3) non è corretto affermare che la legge italiana, a partire dal 2017, vieterà l’utilizzo del modello animale per lo studio delle sostanze d’abuso. Questa, oltre ad essere un’affermazione non veritiera (il D.Lgs. 26/2014 ha volutamente
lasciato aperta la questione), è anche confondente in quanto gli studi nel modello animale per determinare
l’eventuale tossicità dei farmaci, indipendentemente dal principio attivo, sono e resteranno obbligatori in tutto il mondo (Italia compresa).
Alla luce di queste considerazioni, l’incidente al momento è ben lungi dall’essere spiegato: appare improbabile una
tossicità classe-specifica, in quanto altri composti simili (inibitori FAAH) sono già stati oggetto di sperimentazione
senza evidenziare alcun effetto di questo tipo. Rimane una sola certezza: ad oggi non è possibile identificare le cause di questa tragedia, e la comunità scientifica attende ancora i dati necessari per ricostruire l’accaduto ed elaborare
delle ipotesi plausibili. Riteniamo che sia moralmente scorretto sfruttare mediaticamente questo caso, per sostenere
battaglie che nulla hanno a che vedere con esso. Per rispetto delle persone colpite dall’incidente, il nostro consiglio
è di attendere fatti concreti su cui ragionare e nel frattempo di rifarsi al celebre detto di Iacopo Badoer “un bel tacer,
mai fu scritto”.
Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani
Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica
Research4life
Comunicato formazione SSFA Giovani - SSFAOggi
Cari colleghi,
in seguito alla riunione del Consiglio Direttivo di SSFA (CD), svoltasi a Milano nel mese di febbraio, siamo lieti di
annunciare la nascita di SSFA Giovani! Questo nuovo gruppo, frutto di un lavoro di collaborazione tra quattro exstudenti del Master in “Ricerca e Sviluppo Pre-Clinico e Clinico dei Farmaci” ed il CD, deriva dalla necessità di creare
un tramite tra il mondo universitario e quello del lavoro oltre a consentire il confronto e lo scambio di opinioni tra
colleghi. SSFA giovani ha lo scopo principale di promuovere la formazione, l’aggiornamento e lo sviluppo di un
network relazionale. I giovani under 35 interessati al mondo del farmaco, della nutraceutica e dei dispositivi medici,
avranno la possibilità di essere accolti in uno spazio a loro dedicato, all’interno del quale potranno confrontarsi con
colleghi di diversa età ed esperienza lavorativa e proporre idee e tematiche che andranno ad integrare le attività
dei vari gruppi di lavoro (GdL). I più giovani potranno trovare supporto nell’orientamento verso il mondo del lavoro
e della formazione post-laurea. Inoltre, vogliamo incrementare l’utilizzo dei social network per diffondere le notizie
e coinvolgere maggiormente i soci SSFA. Cercheremo di collaborare con le sezioni Giovani di altre Società Scientifiche.
Insieme poi proveremo a dare forma ad altre proposte che potranno entrare a far parte dei programmi di lavoro.
Vi invitiamo già da ora a partecipare ad un incontro GRATUITO di mezza giornata che si terrà a Milano presumibilmente nel mese di Settembre, durante il quale si parlerà di “Job in Pharma”. Informazioni più dettagliate saranno
fornite nei prossimi numeri di SSFAOggi, sul sito internet e tutti i canali di comunicazione della società. Sarà questa
anche l’occasione per presentarci, conoscerci e iniziare a confrontarci. Vi aspettiamo!
Michela, Rossella, Valeria e Mario
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Un manuale pratico di sperimentazione clinica: perché?
La normativa per la sperimentazione
clinica dei medicinali ha subito profondi cambiamenti negli ultimi anni:
essi hanno avuto un impatto principalmente sulle procedure da seguire
per la richiesta delle autorizzazioni
necessarie allo svolgimento di una
sperimentazione in Italia. Ma non
sono solo le procedure per il rilascio
dell’autorizzazione a essere cambiate: in seguito all’entrata in vigore
della legge 189/2012, la meglio conosciuta Legge Balduzzi, i processi,
le regole e gli attori sono radicalmente trasformati. AIFA è l’unica
Autorità Competente in materia di
sperimentazione clinica dei medicinali ed ha iniziato a partecipare al
processo di valutazione VHP
(Voluntary Harmonisation Procedure); l’Osservatorio Nazionale per la
Sperimentazione Clinica (OsSC) è
rinato dalle proprie ceneri, dopo la
chiusura improvvisa nel dicembre
2012, con una funzionalità completamente nuova (da mero contenitore e
raccoglitore di dati a strumento necessario e indispensabile per la richiesta di autorizzazione ad AIFA ed
ai Comitati Etici) ed i CE si sono visti
ridurre nel loro numero totale, con
una riorganizzazione su base regionale legata alla popolazione residente. Ma ulteriori cambiamenti, se non
meglio stravolgimenti, sono già previsti nel prossimo futuro con l’entrata
in vigore del Regolamento Europeo
sulla sperimentazione clinica, atteso
per l’autunno 2018, ed il progetto di
valutazione coordinata - tra AIFA e
CE del centro coordinatore -di una
richiesta di autorizzazione ad una
sperimentazione clinica in accordo
alla VHP. Parlare di sperimentazione
clinica vuol dire parlare di svariati
aspetti legati a questo mondo: dalle
norme principali di riferimento quali
la Good Clinical Practice (GCP) agli
aspetti etici e metodologici; dai metodi statistici - che sono alla base
per la pianificazione e per l’analisi
dei dati - alla sperimentazione clinica
in ambito pediatrico; dalla sicurezza
nelle sperimentazioni alle terapie
innovative fino all’uso compassionevole, alle malattie rare ed ai farmaci
orfani. Questo manuale nasce dalla
volontà di avere a disposizione un
testo il cui scopo sia di affrontare
questi aspetti e dalla necessità di
coprire un vuoto editoriale in materia
(la prima edizione del manuale risale
al 2002) mettendo a disposizione un
testo di riferimento, che sia utile a
chi si affaccia al mondo della sperimentazione clinica per la prima volta, ed a chi invece avverta l’esigenza
di rivedere oppure approfondire tematiche e concetti già noti, prefiggendosi l’obiettivo di trattare gli aspetti della sperimentazione clinica
per diverse tipologie di prodotto
(medicinale ad uso umano, dispositivo medico, medicinale veterinario,
cosmetici, nutraceutici, …) senza
tralasciare gli aspetti normativi fondamentali e le conoscenze teoriche
necessarie (metodologia ed etica,
sicurezza, metodi statistici).
Un capitolo dettagliato è stato dedicato alla GCP, un tema complesso
ma fondamentale nella gestione ed
esecuzione delle sperimentazioni
cliniche. Di attualità, visto il crescente numero degli studi in pediatria
richiesti dalla normativa europea, è
il capitolo dedicato alle sperimentazioni sui bambini che rappresentano
un campo di ricerca fondamentale
per il progresso medico-scientifico,
oggi che nuove molecole potenzialmente efficaci si affacciano nel trattamento di patologie metaboliche
infantili e spesso rare. L’uso compassionevole dei farmaci viene spiegato in dettaglio, non solo rispetto
alla normativa italiana ma inqua-
drandolo nel contesto legislativo europeo. Una sezione è stata dedicata
alla nuova frontiera delle terapie: le
terapie innovative, quali la terapia
genica, la terapia cellulare somatica
e l’ingegneria tissutale. Una parte
importante è rappresentata dal capitolo sulla sperimentazione clinica
interventistica, dove si è cercato di
dare spazio alle procedure necessarie per operare con l’OsSC, anche
se il processo è in chiara evoluzione
ed ha già subito alcuni recenti cambiamenti. Al capitolo sulla sicurezza
legata all’utilizzo dei farmaci il compito non facile di spiegare come e
perché il monitoraggio della safety di
un farmaco rivesta grande importanza nel corso di uno studio clinico. Il
testo è stato redatto a più mani grazie al coinvolgimento ed alla collaborazione di autori esperti nelle singole
aree tematiche, che hanno utilizzato
la propria conoscenza ed esperienza
professionale quotidiana, e che ha
portato ad una impostazione pratica,
e non solo teorica, del manuale. La
preziosa prefazione del prof. Adriano
Chiò, ricercatore dell’Università di
Torino e responsabile del “Centro
Regionale Esperto per la Sclerosi
Laterale Amiotrofica” dell’Ospedale
Molinette della Città della Salute di
Torino, conferisce infine una prestigiosa introduzione.
Gianluca Botta
per conto della SIAR
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Uso compassionevole del Farmaco
Il 28 gennaio scorso si è tenuto a Roma, nella storica cornice dell’Università degli Studi “La Sapienza”, un seminario
di aggiornamento sull’uso compassionevole organizzato dal Gruppo di
Medicina Farmaceutica. Il sottotitolo del seminario, “Il punto di vista
degli attori”, chiarisce subito lo scopo dell’incontro ovvero di mettere a
confronto tutti coloro che sono coinvolti nell’importante e delicato meccanismo di fornitura precoce di un farmaco innovativo attraverso l’uso
compassionevole. In questo modo AIFA, un’azienda sanitaria ed il
relativo Comitato Etico, un medico, un’ associazione di pazienti e
un’azienda farmaceutica hanno potuto illustrare il loro punto di vista,
riassumendo la loro esperienza ed evidenziando le criticità ancora
esistenti. L’interessante
e fertile dibattito che ne
è scaturito dimostra ancora una volta che, rendendo possibile ai pazienti l’accesso precoce
a farmaci innovativi attraverso la collaborazioDr.ssa Maria Federica Barchetti
ne tra le parti, si rende
un servizio in primis al paziente e al tempo stesso all’intero settore.
Le presentazioni del seminario sono disponibili al seguente link:
http://www.ssfa.it/Page.asp?
SitoID=1&PaginaID=1489&Path=0:x1147:x1231:x1488:x1489
Riccardo Ascone
Dr.ssa Lisa Salvatore
Are prolific authors too much of a good thing?
Dominant authors can lead to an imbalance of power within an evidence base
BMJ 2015;351:h2782
According to a linked article by Holleman and colleagues,1 diabetes research is dominated by a few dozen prolific
researchers, a handful so productive that they were designated “supertrialists.” Holleman and colleagues examined
randomised controlled trials of glucose lowering drugs published in the 20 years up to 2013, and found that roughly
a third (32.4%) of reports were published by less than 1% (110 of 13ௗ592) of authors. The most prolific individuals
were named on seven trial reports, on average, every year for the last 10 years. Holleman and colleagues’ study did
not determine how many separate trials were reported by these articles, but even assuming that large trials generate
several publications, they found that some authors had an extraordinary output. In a similar study of prolific authors,2 the 10 most productive in each of four medical specialties were named on at least one publication per 10
working days each year, showing that the issue is not restricted to diabetes research.
Making a meaningful contribution to both the research and publication processes, as required by authorship criteria
from the International Committee of Medical Journal Editors (ICMJE),3 involves a serious investment of time. Is it
possible to fulfil a strict interpretation of the ICMJE authorship criteria and report findings from a trial every other
month? This might be possible for certain contributions that are not particularly time consuming but are intellectually
critical to the research and therefore deserving of authorship, for example, providing statistical expertise for a study
design and analysis plan. Holleman and colleagues did not investigate the precise contribution of authors, but this
would be an interesting area for further study. Furthermore, interpretation of the ICMJE criteria varies. Indeed, we
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already know that some researchers consider the criteria overly stringent or even unethical.4
Why should we worry about how authorship guidelines are interpreted and applied? As the Council of Sciences
Editors’ Taskforce noted in 2000, “a healthy biomedical research ecosystem absolutely requires a healthy system of
authorship.”5 The ICMJE criteria were introduced in an attempt to achieve and maintain such a system, and disagreements about how they are interpreted undermine authorship. This has implications for who takes credit and responsibility for research findings.6 Inconsistent application of authorship guidelines could mislead readers about who actually did the work and can obscure the role of organisations, institutions, and employers (for example, if drug
company employees are omitted).
Holleman and colleagues’ study highlights the potential for distortion in the evidence base for diabetes drugs. Having 0.8% of authors responsible for one in three articles describing randomised controlled trials—and therefore providing the main evidence on a class of drugs—suggests a serious imbalance of power. More than four fifths of the
most prolific authors came from just four countries, and 91% of their publications were sponsored by commercial
companies. Therefore, the needs of patients outside those countries may be under-represented, along with the
views of independent researchers without commercial interests.
One possible reason for the dominance of commercial research is that investigators working with pharmaceutical
companies receive more technical and financial support in developing publications than independent researchers.
The involvement of properly acknowledged professional medical writers is not, in itself, a bad thing. In fact, a recent
study showed that support from professional writers could improve the reporting of trials.7 However, a lack of support—owing to lack of resources, lack of awareness of the benefits of involving professional medical writers, or academic prejudice against seeking such assistance—could create a form of publication bias. With greater support and
therefore greater productivity, the views of industry funded trialists will have a larger share of voice than those of
independent clinicians and researchers.
The dominance of a minority of prolific authors might also be exacerbated by pharmaceutical companies’ traditional
cultivation of “key opinion leaders.” Critics of this practice have suggested that key opinion leaders can become
“experts acting as the marketing arm of the drug industry” and that they help companies “take control of . . . reporting investigations.”8 However, Holleman and colleagues did not explore the relationships of prolific authors with the
pharmaceutical or medical device industry, and furthermore, the cultivation of opinion leaders by industry may be
decreasing. For example, GlaxoSmithKline has announced it will stop paying doctors to speak on its behalf,9and
many companies now follow good publication practice,10 which forbids payment for guest authorship. Still, the phenomenon of prolific authorship clearly persists and deserves further investigation.
Academia also needs to consider its role in this phenomenon. Research institutions should ask whether their culture
encourages academics to seek publication above all else by judging them on research output rather than, for example, teaching, peer review, or leadership. It is still common to see announcements from universities boasting that
newly appointed academics have authored many hundreds of publications. Inflexible and narrowly focused academic reward systems in many countries, which seem to value the quantity over the quality of a researcher’s publications, may be as much a part of the problem as the pharmaceutical industry. We need a change of institutional culture so that, instead of being rewarded, unfeasibly lengthy CVs are discouraged. This could be done by shifting the
focus of reward from crude measures of quantity to a deeper consideration of research quality and impact.11 We
should also consider a radical overhaul of authorship guidelines (and rewards) to produce a new system that reflects
current research practices, is regarded as equitable by all parties, trusted by the public, and uniformly interpreted
and implemented.
References
Holleman F, Uijldert M, Donswijk LF, Gale EAM. Productivity of authors in the field of diabetes: bibliographic analysis of trial publications. BMJ2015;351:h2638.
Wager E, Singhvi S, Kleinert S. Too much of a good thing? A study of prolific authors. 2013.
International Committee of Medical Journal Editors. Recommendations for the conduct, reporting, editing, and publication of scholarly
work in medical journals. Updated 2014.
Shaw D. The ICMJE’s definition of authorship is illogical and unethical. BMJ2011;343:d7192.
Davidoff F. Who’s the author? Problems with biomedical authorship, and some possible solutions. 2000.
Wager E. Recognition, reward and responsibility: why the authorship of scientific papers matters. Maturitas2009;62:109
Gattrell W, Hopewell S, Young K, et al. Professional medical writing support improves the quality of reporting of randomized controlled
trials. Presented at the 11th Annual Meeting of the International Society of Medical Publication Professionals, 27-29 April 2015
[poster 36].
Fava GA. Should the drug industry work with key opinion leaders? No. BMJ2008;336:1405.
Kmietowicz Z. GSK is to employ doctors to speak about its drugs. BMJ2014;348:g2241.
Graf C, Battisti WP, Bridges D, et al. Good publication practice for communicating company sponsored medical research: the GPP2 guidelines. BMJ2009;339:b4330.
Editorial. Rewarding true inquiry and diligence in research. Lancet2015;385:2121.
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SEXUAL DYSFUNCTION ASSOCIATED WITH SECOND-GENERATION ANTIDEPRESSANTS IN PATIENTS WITH MAJOR DEPRESSIVE DISORDER: RESULTS FROM A SYSTEMATIC
REVIEW
WITH
NETWORK
META-ANALYSIS
Reichenpfader U, Gartlehner G, Morgan LC et al., Drug Safety 2014; 37:19-31
La disfunzione sessuale, che può coinvolgere una qualsiasi o tutte le fasi del ciclo sessuale (libido, eccitazione, orgasmo, eiaculazione), è associata al trattamento farmacologico di depressione maggiore, e può
interessare fino al 50 % di pazienti depressi non trattati. Sono stati condotti 63 studi, con più di 26.000
pazienti trattati con farmaci antidepressivi di seconda generazione. Basandosi sulla metanalisi, la maggior parte dei risultati hanno mostrato un rischio di disfunzione sessuale simile tra i farmaci antidepressivi coinvolti.
INTRODUZIONE La disfunzione sessuale (SD) è prevalente nei pazienti con disturbo depressivo maggiore (MDD)
ed è anche associata al trattamento con i farmaci antidepressivi di seconda generazione (second-generation antidepressants, SGAD) che vengono comunemente utilizzati per trattare la condizione patologica. Evidenze dagli studi di
efficacia indicano la sotto-segnalazione di SD. La SD associata al trattamento antidepressivo è un effetto indesiderato grave che può portare alla risoluzione anticipata di un trattamento e al peggioramento della qualità della vita.
OBIETTIVI Scopo dello studio era di valutare sistematicamente i rischi di SD associati con l’uso di SGAD in pazienti
adulti con MDD.
METODI Sono stati ricercati abstract in lingua inglese da PubMed, EMBASE, Cochrane Library, PsycINFO e International Pharmaceutical Abstracts dal 1980 a ottobre 2012, ma anche dalle liste di referenze di articoli rilevanti e da
ricerche nell’ambito della letteratura grigia o non convenzionale. Due revisori indipendenti hanno identificato studi
randomizzati e controllati (RCT) della durata di almeno 6 settimane e studi osservazionali con almeno 1.000 partecipanti.
SELEZIONE DEGLI STUDI I revisori hanno riassunto i dati sul disegno dello studio, la conduzione, i partecipanti, gli
interventi, i risultati e i metodi di accertamento della SD di hanno quantificato il rischio di bias. Un revisore senior ha
verificato e confermato i dati estratti e la valutazione del rischio di bias.
ANALISI Network metanalisi a effetti random che utilizza metodi Bayesiani per i trial di non inferiorità e confronti vs
placebo; analisi descrittive per calcolare i tassi medi pesati dai singoli trial e studi osservazionali.
RISULTATI Sono stati inclusi i dati provenienti da 63 studi con basso e moderato rischio di bias (58 RCT, 5 studi
osservazionali), con più di 26.000 pazienti trattati con SGAD. Basandosi sulla network metanalisi di 66 confronti a
coppie provenienti da 37 RCT, la maggior parte delle comparazioni hanno mostrato un rischio di SD simile tra gli
SGAD coinvolti. Tuttavia, gli intervalli di confidenza erano ampi e includevano differenze clinicamente rilevanti. Sono
stati osservati tre pattern principali: bupropione aveva un rischio significativamente inferiore di SD rispetto ad alcuni
altri SGAD, mentre escitalopram e paroxetina hanno mostrato un rischio significativamente più alto di SD. In alcuni
studi sono state trovate segnalazioni di danni relativi a SD incoerenti e insufficienti.
LIMITI La maggior parte degli studi sono stati condotti in popolazioni altamente selezionate. La ricerca è stata limitata alla sola lingua inglese.
CONCLUSIONI A causa della natura indiretta dei confronti, degli intervalli di confidenza spesso ampi e dell'elevata
variazione nell’entità del risultato, la forza complessiva delle evidenze è stata valutata dagli stessi autori come bassa, non consentendo una stima precisa del rischio comparativo di SD associato a un antidepressivo specifico. In
mancanza di tale evidenza, i medici devono essere consapevoli che la SD è un evento avverso comune e che è
importante discutere con il paziente sulle sue preferenze prima di iniziare la terapia antidepressiva.
A cura di Raimondo Russo
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PREVALENCE, NATURE AND POTENTIAL PREVENTABILITY OF ADVERSE DRUG
EVENTS - A POPULATION-BASED MEDICAL RECORD STUDY OF 4970 ADULTS
Hakkarainen KM, Gyllensten H, Jönsson AK, et al., Br J Clin Pharmacol, pubblicato on line il 25 dicembre
2013
Lo studio mostra che la prevalenza di ADE era considerevole in tutto l’ambito dell’assistenza sanitaria, con più di un
terzo di eventi potenzialmente prevenibili. I farmaci solitamente dispensati erano comunemente associati con ADE
ed eventi prevenibili, ma i farmaci coinvolti e gli organi colpiti differivano per categoria di ADE.
RIASSUNTO
OBIETTIVI Determinare la prevalenza in 3 mesi di eventi avversi da farmaci (adverse drug events, ADE), le categorie di ADE e di ADE prevenibili e stimare la prevenibilità degli eventi avversi da farmaco tra gli adulti in Svezia. Inoltre, individuare le classi di farmaci e i sistemi di organi associati agli ADE e stimarne la gravità.
METODI E’ stato estratto dal Total Population Register un campione casuale di 5.025 adulti nello Swedish county
council nel 2008. Tutte le cartelle cliniche dei pazienti selezionati, presso 29 dipartimenti di assistenza ospedaliera
in 3 ospedali, 110 ambulatori specializzati e 51 unità di cure primarie sono state esaminate retrospettivamente in
modo graduale e integrate con i dati registrati sui farmaci dispensati. Gli ADE, comprese le reazioni avverse da farmaci (ADR), gli effetti sub-terapeutici della terapia farmacologica (sub-therapeutic effects, STE), la tossicodipendenza e l'abuso, le intossicazioni da farmaco causate da overdose e le morbosità dovute da indicazioni legate la farmaco non trattate, sono stati rilevati nel corso di un periodo di studio di 3 mesi, e valutati per prevenibilità.
RISULTATI Tra i 4970 individui inclusi, la prevalenza degli ADE era del 12,0% (IC al 95% 11,1-12,9%) e degli ADE
prevenibili del 5,6% (5,0-6,2%). Le ADR (6,9%; 6,2-7,6%) e gli STE (6,4%; 5,8-7,1%) erano più frequenti rispetto
agli altri ADE. Degli eventi avversi da farmaco, il 38,8% (35,8-41,9%) era evitabile, variando a seconda della categoria e della serietà. Gli ADE erano associati spesso con i farmaci cardiovascolari e per il sistema nervoso, ma anche i
farmaci responsabili e gli organi colpiti variavano in base alla categoria dell’ADE.
CONCLUSIONI Le conseguenze rilevanti a livello individuale e della società degli ADE e degli ADE prevenibili indotti da farmaci comunemente usati in tutti gli ambiti di cura richiede iniziative su larga scala per ridisegnare sistemi
sanitari sicuri e di qualità superiore. Nella pratica clinica e nella ricerca si dovrebbe tenere in considerazione la natura eterogenea delle categorie di ADE al fine di prevenire, individuare e mitigare gli eventi avversi da farmaci.
A cura di Raimondo Russo
TOSSE E STATINE
ESTABILISHING THE CORRELATION BETWEEN STATINS AND
COUGH: CASE SERIES REPORT AND ANALYSIS OF ADVERSE DRUG REACTIONS IN THE
INTERNATIONAL DATABASES
Carnovale C, Pellegrino P, Perrone V, et al. Eur J ClinPharmacol 2014; 70: 1529-1531
Il presente studio dimostra il coinvolgimento delle statine nell’occorrenza di tosse secca, anche senza danno polmonare.
RIASSUNTO
CONTESTO Le statine sono generalmente ben tollerate, anche se possono verificarsi tossicità muscolare e malattia
polmonare interstiziale (interstitiallungdisease, ILD). L'associazione tra tosse e statine in assenza di danno polmonare è stata riportata solo due volte in letteratura.
METODI Per definire meglio questa associazione, è stata condotta un'analisi dal 2004 al 2012 utilizzando il
database australiano di segnalazione degli eventi avversi (Australian database of Adverse Event Notifications, DAEN), il database canadese online Vigilance Adverse Reaction e il database dell’FDA (Adverse Event Reporting
System, AERS). Sono state esaminate le segnalazioni in cui la statina era il solo farmaco sospetto; le segnalazioni
sospette di 'tosse' sono state rilevate utilizzando il livello Preferred Term (PT) del MedDRA (Medical Dictionary for
Regulatory
Activities).
RISULTATI Sono state analizzate 995 segnalazioni spontanee di tosse indotta da statine (rosuvastatina, atorvastatina, simvastatina, pravastatina, fluvastatina, lovastatina e pitavastatina). La ILD indotta da statine è un effetto collaterale noto di questa terapia, che può presentarsi come tosse secca persistente. Mentre la possibile associazione di
tosse senza danno polmonare non è presente nel database AERS, il database canadese e quello australiano mostrano che l’88% dei casi di tosse indotta da statine avviene in assenza di danno polmonare, come stabilito mediante l’analisi della sezione relativa alle reazioni avverse concomitanti e alle altre terapie sospette, presente nei
database. La tosse era associata essenzialmente ad atorvastatina, rosuvastatina, simvastatina, che rappresentano
il 77% della quota di mercato negli Stati Uniti e rispettivamenteil 58,8%, il 16,8% e il 14,4% in Canada. Con la stessa metodologia, sono stati recuperati e analizzati tre case report di tosse senza danno polmonare in associazione a
statina, recuperati dal database italiano dell’AIFA – un paziente cardiopatico in terapia con atorvastatina e altri due
pazienti ipercolesteroleamici che hanno sperimentato tosse secca dopo 40 o 10 mg/die di atorvastatina: l’analisi con
l'algoritmo di Naranjo indicava un rapporto “probabile” nel primo caso e "possibile" negli altri due.
L’analisi della letteratura ha evidenziato inoltre due plausibili meccanismi d’azione che potrebbero spiegare la tosse
indotta da statine: 1) induzione della sintesi di prostanoidi che a loro volta aumentano la sensibilità del riflesso della
tosse; 2) stabilizzazione dell'mRNA dell’enzima NO-sintasi con aumento della produzione di NO che agisce nel circuito riflesso della tosse.
CONCLUSIONI Si conclude che le statine sono coinvolte nell'insorgenza della tosse iatrogena secca indicandola
come un effetto di tutta la classe.
A cura di Raimondo Russo
Anno X numero 54
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NEWS ON CLINICAL TRIALS
Cardiorentis' Ularitide Receives FDA Fast Track Designation for the Treatment of Acute Decompensated Heart Failure
Cardiorentis, a privately held biopharmaceutical company, today announced that the U.S.
FDA has granted Fast Track status to Ularitide, an investigational therapy for the treatment
of acute decompensated heart failure (ADHF). The FDA's Fast Track process is intended to
facilitate the development and expedite the review of drugs for the treatment of serious conditions addressing an unmet medical need. Cardiorentis anticipates top-line results from the
TRUE-AHF Phase III trial in Spring 2016 and expects to file a NDA and European Marketing
Authorization Application in the second half of 2016. The treatment of ADHF remained the
same for decades, with poor short term and long term prognoses for patients that are significantly worse than for many types of cancer. Ularitide is a natriuretic peptide in Phase III development for the treatment of ADHF. The trial has fully enrolled 2,157 patients in over 200 centers across the U.S., Europe, Canada and
Latin America. TRUE-AHF is a randomized, double-blind, placebo-controlled event driven trial with two co-primary
endpoints. The first is a composite endpoint for ADHF, which assesses a patient's symptoms and persistent or worsening heart failure within the first 48 hours after initiation of treatment. The second co-primary endpoint is cardiovascular mortality.
About ADHF
Heart failure occurs when the heart loses its ability to pump blood efficiently through the body and vital organs. It is a
growing problem worldwide, affecting more than 26 million people worldwide. In 2011, there were nearly 3 million
hospital admissions with heart failure as the primary diagnosis in countries across the globe. It is a life-threatening
condition, which requires immediate medical attention. Signs and symptoms of ADHF include extreme fatigue and
shortness of breath worsening kidney function, severe swelling, sudden weight gain and a distended jugular vein
along the side of the neck. The American Heart Association estimated the total cost of this chronic disease approached $39.2 billion in 2010.
About Ularitide
Ularitide is in Phase III development as an intravenous (IV) infusion treatment for ADHF. Ularitide is the chemically
synthesized form of urodilatin - a human, natriuretic peptide that is produced in the kidneys and induces excretion of
sodium into the urine (natriuresis) and increased urine production (diuresis) to regulate fluid balance and sodium
haemostasis. Ularitide induces natriuresis and diuresis by binding to specific natriuretic peptide receptors (NPR-A,
NPR-B and other natriuretic peptide receptors), thereby increasing intracellular cyclic guanosine monophosphate
(cGMP) helping to relax smooth muscle tissues, leading to vasodilation and increased blood flow.
MediciNova Announces Positive Findings From a Clinical Trial of MN-166 (ibudilast) in Alcohol Use Disorder
MediciNova, a biopharmaceutical company, announced that Dr. Daniel Roche presented results based on the completed study which evaluated the safety and efficacy of MN-166 (ibudilast) in alcohol use disorder at the American
College of Neuropsychopharmacology (ACNP)’s 54th Annual Meeting. Major highlights from the presentation,
“Ibudilast, a Novel Neuroimmune Modulator, Decreases Alcohol Craving and Increases Positive Mood in an AUD
Population,” include the following:
Ibudilast, but not placebo, significantly decreased basal, daily alcohol craving over the course of the study (P<0.05);
Ibudilast did not affect cue- and stress-induced alcohol craving; however, ibudilast increased positive mood during
both the cue reactivity and stress procedures (P<0.05);
Ibudilast was safe and well-tolerated during the study.
About the Clinical Trial
This randomized, double-blind, placebo-controlled study enrolled 24 non-treatment seeking individuals with either
alcohol abuse or dependence in a UCLA research unit. Participants were randomly assigned to a 7-day treatment
period involving repeat oral administration of either MN-166 (ibudilast) escalated up to 100 mg/day or placebo. During the treatment period, participants were administered the study medication, completed an IV alcohol challenge,
and took part in laboratory tests of alcohol craving as well as mood surveys and standard safety tests. Following a 710 day study break, trial participants re-enrolled for another 7-day period wherein they crossed over to the other
treatment condition. The key study outcomes included safety, tolerability and preliminary efficacy as indicated by
whether MN-166 (ibudilast) reduced alcohol craving under controlled conditions.
A cura di Domenico Barone
Anno X numero 54
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NUOVI SOCI
BAGGIO MARIA CARLA
LIBERO PROFESSIONISTA
BRAGLIA ANTONELLA
LIBERO PROFESSIONISTA
COLOMBO DANIELE
ZAMBON
COMANDUCCI DEBORA
ABIOGEN PHARMA
DI MANZANO CARLO
ISTIT.BIOCHIMICO ITALIANO
FORNACIARI GIACOMO
CHILTERN ITALY
FRIGERIO FRANCESCO
CELGENE
GRAZIANO SABINA ANGELA
RECORDATI
GRIMALDI CLAUDIA
ABBVIE
LEONARDO ROSALIA
JANSSEN-CILAG
MANFRONI ROBERTA
GRUNENTHAL
MARASTONI LAURA
LOFARMA
MENNINI CHIARA
OSPEDALE BAMBIN GESU’
MORETTI DENIS
CELGENE
MUSA ROSSELLA
CHIESI FARMACEUTICI
NICOLETTI MILENA
HIGH RESEARCH
PANTELLINI FEDERICO
CELGENE
PETROLO ORSOLA
CONSULENTE
PICCOLO ELENA
CELGENE
PORCU MARCO
JANSSEN-CILAG
RAVANELLI KATIA
JANSSEN-CILAG
SALMASO ALESSANDRA
CELGENE
SAPORITI MATTIA
CONSULENTE
SASSO FRANCESCO
MC CANN
SUBINO SIBILLA
ABBVIE
TAGLIAVACCA LUIGINA
PHARM
VACCARINI BARBARA
APTUIT
VARETTI EMANUELA
ISTIT.BIOCHIMICO ITALIANO
VERGURA RAFFAELLA
MEDICAL TRIALS ANALYSIS
VILLECCO SIMONE
CHILTEN
HANNO COLLABORATO
A QUESTO NUMERO:
Giovanni Abramo
Riccardo Ascone
Domenico Barone
Salvatore Bianco
Gianluca Botta
Domenico Criscuolo
Franceco De Tomasi
Marianna Esposito
Luciano M. Fuccella
Raimondo G. Russo
CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente: Marco Romano
Vice—presidente: Anna Piccolboni
Segretario: Salvatore Bianco
Tesoriere: Luigi Godi
Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio
Caroli, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo, Paolo Primiero.
Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni
Abramo, Salvatore Bianco, Sergio Caroli, Domenico Criscuolo, Luciano M.
Fuccella, Marco Romano
Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni
Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 0229536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected]
SSFA oggi
Stampa: MEDIA
PRINT, Livorno
Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007
“Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% DCB PRATO” Numero progressivo 54 Periodicità: bimestrale
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