Il sogno d`una notte di mezza estate

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Il sogno d`una notte di mezza estate
^ William ^
Il sogno
d’una notte di
mez za estate
Sempre la guerra,
la morte o l’infermità han cinto
d’assedio l’amore, e l’han reso
breve quanto un sogno.
CD
Cura e introduzione
di Gabriele Baldini
Con un testo
di Harold Bloom
Estratto della pubblicazione
^ William ^
Opere
Estratto della pubblicazione
Gabriele Baldini (Roma, 1919-1969), saggista, traduttore, critico
letterario e cinematografico, è stato direttore dell’Istituto Italiano di
Cultura a Londra e docente di Letteratura inglese a Roma.
La sua fama, in Italia e all’estero, è legata ai suoi meriti accademici
in anglistica e americanistica: dai suoi studi sono nati saggi di rilievo, come Poeti Americani 1662-1945, Melville o le ambiguità, John
Webster e il linguaggio della tragedia. È stato il primo curatore di
una rigorosa edizione dell’intero corpo degli scritti di Shakespeare,
in tre volumi: Opere Complete nuovamente tradotte e annotate
(Classici Rizzoli, 1963). Fanno ancora scuola la sua storia del teatro
inglese – Teatro inglese della Restaurazione e del ’700, La tradizione letteraria dell’Inghilterra medioevale, Il dramma elisabettiano –,
le sue lezioni su Le tragedie di Shakespeare e il fortunatissimo Manualetto shakespeariano.
Estratto della pubblicazione
^ William ^
Il sogno
d’una notte di
mez za estate
CD
Cura e introduzione
di Gabriele Baldini
Con un testo
di Harold Bloom
Estratto della pubblicazione
WILLIAM SHAKESPEARE - OPERE
7 – Il sogno d’una notte di mezza estate
Edizione speciale su licenza per Corriere della Sera
© 2012 RCS MediaGroup S.p.A. Divisione Quotidiani, Milano
via Solferino 28, 20121 Milano
Sede Legale via Rizzoli 8, 20132 Milano
Direttore responsabile Ferruccio de Bortoli
ISBN 9788861261440
Proprietà letteraria riservata
© 1950-2012 RCS Libri S.p.A., Milano
Titolo originale dell’opera:
A Midsummer Night’s Dream
Traduzione di Gabriele Baldini
Per il testo di Harold Bloom tratto da Shakespeare. L’invenzione dell’uomo
© 2001 RCS Libri S.p.A.
Titolo originale dell’opera:
Shakespeare: the Invention of the Human
© 1998 by Harold Bloom
Traduzione di Roberta Zuppet
Prima edizione digitale 2012 da edizione WILLIAM SHAKESPEARE - OPERE 2012
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Estratto della pubblicazione
PRESENTAZIONE
di Harold Bloom
Nell’inverno del 1595-1596, Shakespeare immaginò un’estate ideale e scrisse Il sogno d’una notte di mezza estate, forse in
occasione di un matrimonio aristocratico durante il quale il
dramma fu recitato per la prima volta. Nel 1595 aveva composto Riccardo II e Romeo e Giulietta; poco dopo sarebbero arrivati Il mercante di Venezia e l’esordio di Falstaff nella
prima parte di Enrico IV. Nessuna delle precedenti opere di
Shakespeare regge il confronto con Il sogno d’una notte di
mezza estate e, per molti aspetti, nessuno dei testi successivi
riesce a surclassarlo. È il primo capolavoro incontestato del
drammaturgo e una delle sue circa dieci opere teatrali caratterizzate da una forza e da un’originalità travolgenti. Purtroppo tutte le rappresentazioni cui ho assistito sono state
un vero scempio, fatta eccezione per il film di Peter Hall del
1968, disponibile in videocassetta. Nelle recenti rappresentazioni, soltanto La tempesta è stata distorta quanto lo è stato
e probabilmente continuerà a esserlo Il sogno d’una notte di
mezza estate. Le peggiori versioni che ricordi sono quelle di
Peter Brook (1970) e Alvin Epstein (una bravata di Yale risalente al 1975), ma non sono certo l’unico amante del Sogno
a respingere la tesi, peraltro molto diffusa, secondo cui la bestialità e la violenza sessuale sono al centro di questo dramma
saggio e delicato.
Secondo me, la politica sessuale è troppo in voga per
limitarsi a scrollare le spalle e passare oltre; in un’epoca migliore della nostra, Il sogno d’una notte di mezza estate tornerà
ad affermarsi, ma ho molto da dire a nome di Bottom, il
Estratto della pubblicazione
personaggio shakespeariano più intrigante prima di Falstaff.
Come il testo della commedia sottolinea in tono scherzoso,
Bottom nutre verso Titania un interesse sessuale molto meno
intenso di quanto lo sia quello della regina delle fate verso di
lui, o quello di molti critici e registi moderni verso di lei. Qui
e altrove, Shakespeare è volgare ma non osceno; Bottom è
caratterizzato da una tenera innocenza e non può essere definito lascivo. Agli esaltatori del sesso e della violenza consiglio
pertanto di cercare altrove; Tito Andronico potrebbe essere un
buon inizio. Se Shakespeare avesse voluto scrivere un rituale
orgiastico, con Bottom nella veste del «somaro bacchico dei
saturnali e del carnevale» (Jan Kott), avremmo un dramma
del tutto diverso. Quel che abbiamo è invece un personaggio
mite, gentile e benevolo, che preferisce la compagnia degli
elfi (Fior di Pisello, Ragnatela, Bruscolo e Gran di Senape) a
quella dell’infatuata Titania. In un’epoca di assurdità critica
e teatrale, non mi stupirei se sentissi dire che l’interesse di
Bottom per questi piccoli esseri simboleggia la pedofilia, il
che non sarebbe più insensato delle attuali interpretazioni del
Sogno d’una notte di mezza estate.
La tempesta, Pene d’amor perdute e Il sogno d’una notte di
mezza estate sono accomunate da una curiosa coincidenza:
fra i trentanove drammi shakespeariani, queste sono le uniche tre opere in cui l’autore non segue una fonte primaria.
Persino Le allegre comari di Windsor, che non ha una fonte
ben precisa, si ispira chiaramente a Ovidio. La tempesta
è pressoché priva di trama, e in Pene d’amor perdute non
accade quasi nulla, ma Shakespeare si sforzò di creare un
intreccio elaborato e irriverente per Il sogno d’una notte di
mezza estate. La capacità di inventare trame non era una
delle doti del drammaturgo; era l’unico talento drammatico
che la natura gli avesse negato. Credo che nel Sogno Shakespeare abbia voluto dimostrare la propria abilità nel creare
e intrecciare i quattro diversi mondi del personaggio. Teseo
e Ippolita appartengono alla dimensione dei miti e delle
Estratto della pubblicazione
leggende antiche. Gli innamorati (Ermia, Elena, Lisandro e
Demetrio) non agiscono in un tempo o in un luogo precisi,
poiché, come tutti sanno, i giovani amanti si muovono in
un elemento comune. Le fate (Titania, Oberon, Puck e le
quattro figure al seguito di Bottom) emergono dal folklore
letterario e dalla sua magia. I personaggi «meccanici» (il
sublime Bottom il cui nome italiano è Nicolino Rocchetto,
Pietro Zeppa, Cecco Zufolo, Maso Beccuccio, Incastro e
Berto Agonia) sono artigiani inglesi e provengono anch’essi
dall’ambiente agreste in cui crebbe Shakespeare.
Si tratta di una miscela così varia che la sua difesa rievoca
il riferimento nascosto dei meravigliosi e assurdi scambi di
battute tra Teseo e Ippolita a proposito dei latrati dei cani
da caccia nell’atto IV, scena i, versi 103-127, che esaminerò
più avanti. «Mai ho udito più musical discordo. Mai un
toneggiar più dolce» viene spesso considerata, non a torto, la
descrizione che la commedia dà di se stessa. Chesterton, che
più volte giudicò Il sogno il più grande tra i drammi shakespeariani, riteneva che il suo «supremo merito letterario»
fosse «un merito di progettazione».
In quanto epitalamio, Il sogno si conclude con tre matrimoni e la riconciliazione tra Oberon e Titania. Se gli studiosi
non ce lo dicessero, non sapremmo tuttavia che si tratta di
un lungo e complesso canto nuziale, e solo grazie al titolo apprendiamo che l’opera è, almeno in parte, un sogno. Il sogno
di chi? Una possibile risposta è: il sogno di Bottom o una sua
creazione, perché è lui il protagonista (e il fiore all’occhiello)
del dramma. Nell’Epilogo, Puck afferma però che si tratta
del sogno del pubblico, e noi non sappiamo con esattezza come interpretare l’apologia dell’elfo. Come il Leopold Bloom
o l’Earwicker di Joyce, Bottom ha un carattere abbastanza
universale da intessere un unico sogno per tutti noi, a meno
che non siamo dei Puck anziché dei Bottom. Come dobbiamo interpretare il titolo dell’opera? C.L. Barber sottolinea
l’errore del dottor Johnson, secondo cui «i riti di maggio» si
Estratto della pubblicazione
devono svolgere per forza a calendimaggio, poiché i giovani
festeggiavano quando ne sentivano l’impulso. I fatti non
hanno luogo il primo maggio né nel giorno del solstizio
d’estate, quindi il titolo allude probabilmente a una qualsiasi
notte estiva. Dal titolo emerge un tono casuale, noncurante:
potrebbe trattarsi del sogno di chiunque o di una qualsiasi
notte di mezza estate, quando il mondo raggiunge le sue
massime dimensioni.
Bottom è l’Ognuno di Shakespeare, un autentico originale, un clown più che un matto o un buffone. È un clown
saggio, sebbene neghi con un sorriso la propria palese saggezza, come se la sua innocente vanità non volesse arrivare a
tanta presunzione. Il lettore si diverte con Falstaff (a meno
che non sia un moralista accademico), ma si affeziona a
Bottom, benché quest’ultimo sia, tra i due, il personaggio di
minor spessore. Nella produzione shakespeariana, nessuno,
nemmeno Amleto, Rosalinda, Iago ed Edmund, è più intelligente di Falstaff. Bottom non si lascia mai cogliere alla
sprovvista, la sua reazione è sempre ammirevole, è astuto e
cortese ma non è arguto, mentre Falstaff è il re dell’arguzia.
La metamorfosi provocata da Puck è un semplice fatto
esterno: il Bottom interiore è immutabile e imperturbabile.
Shakespeare usa il foregrounding per dimostrarci che è il suo
preferito tra gli artigiani: questi ultimi lo acclamano come
«il caro, bravo Bottom», e noi impariamo a condividere la
loro opinione.
Come Dogberry dopo di lui, Bottom è l’antenato della
signora Malaprop di Sheridan e utilizza alcune parole senza
conoscerne il significato. Sebbene a volte sia, dunque, poco
preciso alla periferia, è sempre solido al centro, caratteristica che si rispecchia nel suo nome: il «rocchetto» a cui il
termine inglese bottom allude, è infatti il cilindro usato in
tessitura per avvolgervi il filato. Esistono associazioni magiche e folkloristiche legate al mestiere di tessitore, alla luce
delle quali il fatto che Puck scelga Bottom come vittima
Estratto della pubblicazione
dell’incantesimo non è arbitrario come appare a prima vista.
Shakespeare non rivela se questi diventi o meno l’amante
carnale della regina delle fate, forse perché questo dubbio
è poco importante rispetto all’unicità del personaggio nel
Sogno: soltanto lui vede le fate e parla con loro. Gli infantili
Fior di Pisello, Bruscolo, Ragnatela e Gran di Senape sono
affascinati da Bottom quanto lui da loro. Si riconoscono
nel simpatico tessitore, e lui scorge in loro gran parte delle
proprie caratteristiche. Il Bottom inteso come uomo in carne e ossa è anche quello trascendentale, che si trova a suo
agio tanto con Ragnatela e Fior di Pisello quanto con Berto
Agonia e Pietro Zeppa. Per lui, non vi è alcuna confusione
o discordo musicale nelle dimensioni sovrapposte del Sogno.
È assurdo assumere un atteggiamento condiscendente nei
suoi confronti: Bottom è insieme un sublime clown e un
grande visionario.
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Bottom non presenta lati oscuri, nemmeno quando rimane intrappolato in un incantesimo. Puck, la sua antitesi,
è una figura ambigua, un seminatore di zizzania e forse
qualcosa di ancor più sinistro, anche se il dramma (e Oberon) lo rendono innocuo e lasciano intravedere una certa
benevolenza nella sua follia. Sia nel dramma sia nel folklore popolare, l’altro nome di Puck è Robin Goodfellow
(in italiano Robertino Buonalana). Questo personaggio è
più un burlone che uno spirito maligno, sebbene il fatto
che si chiami Goodfellow («persona cordiale») indichi la
necessità di rabbonirlo. In inglese, la parola puck o pook si
riferiva in origine a un demone cattivo o a un uomo perfido, e un tempo Robin Goodfellow era il nome popolare
del demonio. Per tutto Il sogno, questo personaggio svolge
tuttavia per Oberon il ruolo che Ariel svolge per Prospero
ed è pertanto controllato da un potere benevolo. Al termine
Estratto della pubblicazione
della commedia, Bottom riassume le proprie sembianze,
gli innamorati si distribuiscono in coppie ben assortite, e
Oberon e Titania si rappacificano. «Ma noi siamo spiriti di
natura diversa» osserva Oberon, e quindi nell’opera persino
Puck ha connotazioni positive.
Il contrasto tra Puck e Bottom ci aiuta a definire il mondo del Sogno. Bottom, il migliore tra gli uomini naturali, è
soggetto alle burle di Puck, è incapace di evitarle e non riesce
a sottrarsi alla loro influenza prima che Oberon ordini al
folletto di liberarlo. Sebbene Il sogno sia una commedia romantica e non un’allegoria, la sua forza deriva in parte dalla
dimostrazione che Puck e Bottom sono componenti invariabili dell’umano. Uno dei significati etimologici di bottom
è «terra». Forse è quindi possibile suddividere gli individui
tra terreni e demoniaci, e tale suddivisione si ritrova anche
all’interno di ciascuno di loro. Eppure, Bottom è umano,
Puck no; non avendo sentimenti umani, Puck non ha infatti
alcuno specifico significato umano.
Bottom è uno dei primi esempi shakespeariani del modo
in cui il significato deve essere avviato anziché semplicemente ripetuto: come avviene nel caso del grande Falstaff,
il significato shakespeariano sgorga dall’eccesso, dall’esagerazione, dalla sovrabbondanza. A differenza di quella di
Falstaff o di Amleto, la coscienza di Bottom non è infinita;
ne vediamo i limiti, alcuni dei quali sono davvero banali. Il
tessitore appare tuttavia integro, se non addirittura eroico,
nella sua bontà, nel suo coraggio, nella sua capacità di essere se stesso in ogni circostanza, nel suo rifiuto di lasciarsi
prendere dal panico o addirittura di farsi cogliere di sorpresa.
Come Launce e Faulconbridge il Bastardo, Bottom è uno dei
primi fulgidi esempi di invenzione dell’umano da parte di
Shakespeare. Si trovano tutti lungo la strada che conduce a
Falstaff, che li surclasserà persino nell’esuberanza dell’essere e
li supererà in quanto fonte di significato. Falstaff, l’anarchico
supremo, è tanto pericoloso quanto affascinante, tanto vitale
Estratto della pubblicazione
quanto distruttivo. Bottom è un comico eccellente, un’ottima persona, benevola come tutti gli altri personaggi positivi
di Shakespeare.
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Senza dubbio Shakespeare ricordava che, nella Regina delle
fate di Edmund Spenser, Oberon era l’affettuoso padre di
Gloriana, la quale, nell’allegoria della grande epica spenseriana, rappresentava la regina Elisabetta. Secondo gli studiosi,
è probabile che quest’ultima sia stata presente alla prima
rappresentazione del Sogno in veste di ospite d’onore della
cerimonia nuziale. Come Pene d’amor perdute, La tempesta
ed Enrico VIII, Il sogno d’una notte di mezza estate è ricco
di elementi tipici dello spettacolo sfarzoso. Questo aspetto
del dramma viene mirabilmente analizzato in Shakespeare’s
Festive Comedy di C.L. Barber ma non ha molto a che vedere
con il mio interesse primario per l’invenzione shakespeariana
del personaggio e della personalità. In quanto intrattenimento aristocratico, Il sogno non si sforza di trasformare Teseo,
Ippolita, Oberon, Titania e i quattro giovani innamorati
smarriti nel bosco in personaggi unici e singolari. I protagonisti sono Bottom e il misterioso Puck, che vengono descritti
con precisione. Tutti gli altri, persino gli altri vivaci artigiani,
sono assoggettati al carattere emblematico che lo spettacolo
sfarzoso tende a imporre. Eppure, pare che Shakespeare abbia guardato oltre l’occasione per cui la commedia era stata
scritta e abbia tenuto conto della sua funzione di dramma
teatrale. Nel testo scorgiamo infatti piccoli, a volte sottilissimi, tocchi di caratterizzazione che trascendono la funzione
di epitalamio aristocratico. Ermia ha molta più personalità
di Elena, mentre Lisandro e Demetrio sono interscambiabili,
un’ironia shakespeariana che indica l’arbitrarietà dell’amore
giovanile dal punto di vista di chiunque fuorché dell’innamorato. Nel Sogno, l’amore è però ironico in tutte le sue
Estratto della pubblicazione
forme: benché appaia rassegnata, Ippolita è una sposa in
gabbia, un’Amazzone domata solo in parte, mentre Oberon
e Titania sono così abituati ai tradimenti sessuali reciproci
che il loro screzio non ha nulla a che vedere con la passione e
riguarda la custodia di un bambino trafugato, un bimbo per
ora affidato alle cure della regina. Benché la grandezza del
Sogno inizi e finisca in Bottom, che fa la sua prima comparsa
nella seconda scena, e in Puck, che apre l’atto II, non ci lasciamo trasportare dal sublime linguaggio tipico del dramma
fino al primo dialogo tra Oberon e Titania:
Oberon. Pessimo incontro, al chiar di luna,
Titania superbiosa.
Titania. Cosa, il geloso Oberon? Fate, andiamocene via.
Di costui ho ripudiato letto e compagnia.
Oberon. Aspetta, sfrontata impudente. Non sono io il tuo
Re?
Titania. E allora io sarei la tua sposa. Ma so
che furtivo te ne andasti dal regno delle Fate
e, in spoglie di Corinio, passasti un giorno intero
a zufolar nei calami d’avena e a verseggiar d’amore
per Fillide amorosa. E com’è che sei di ritorno
dalle terre più remote dell’India
se non perché la tua arrogante Amazzone,
la tua coturnata amante, il tuo amor guerriero,
va sposa a Teseo, e tu al loro talamo nuziale
vuoi elargire gioia e prosperità?
Oberon. Come puoi, tu – vergognati – Titania
alludere alla simpatia d’Ippolita per me
quando sai che ben conosco la tua passione per Teseo?
Non fosti tu a condurlo, nel chiarore della notte,
lungi da Perigune, poi che l’avea violata?
Non l’inducesti tu a mancar di fede
ad Egle bella, ad Arianna, ad Antiòpe?
[II.i.60-80]
Nella Vita di Teseo scritta da Plutarco, che Shakespeare lesse
nella traduzione di Sir Thomas North, a Teseo vengono attribuiti molti «stupri», qui allegramente elencati da Oberon,
Estratto della pubblicazione
il quale assegna a Titania il ruolo di prostituta che guida
l’eroe ateniese nelle sue conquiste, compresa, senza dubbio,
quella del suo corpo. Sebbene Titania replichi dicendo che
«queste son fantasie d’una mente gelosa», tali fantasie sono
convincenti quanto le sue visioni di Oberon che verseggia
«d’amore per Fillide amorosa» e passa il tempo in compagnia di Ippolita, l’«arrogante Amazzone». Il Teseo del Sogno
sembra aver perso le sue abitudini da dongiovanni per assumere una razionale rispettabilità, accompagnata da una certa
ottusità morale. Benché i critici di impostazione femminista
la difendano descrivendola come una vittima, Ippolita non
sembra infastidita dal corteggiamento del guerriero e, dopo il
battibecco con Oberon, pare contenta di ritirarsi nella tranquillità ateniese pur conservando, come vedremo, una visione tutta sua. Quel che Titania ci dice nel seguito del dialogo
è che la discordia tra lei e Oberon rappresenta una catastrofe
sia per la dimensione naturale sia per quella umana:
Titania. Queste son fantasie d’una mente gelosa!
Fin dall’inizio di questa piena estate,
mai ci adunammo su colli e vallette, nelle foreste e sugli
ameni prati,
presso fonti ghiaiose o rivuli giuncosi
o bianca costa marina,
a danzare in cerchio al fischiettìo del vento,
che non giungessi tu, coi tuoi schiamazzi, a disturbare i
nostri svaghi.
E i venti, stanchi di zufolare invan per noi,
per vendetta succhiarono dal mare
mefitici vapori, che rovesciandosi poi sopra la terra
han gonfiato ogni modesto rivo di cotanto orgoglio
da romper gli argini ed inondare i campi.
Così che il bove tira il giogo invano,
il contadino spreca il suo sudore, e il verde germoglio
del granturco
marcisce prima che alla sua gioventù cresca la barba.
Gli ovili ora son vuoti nei campi melmosi,
i corvi s’ingrassan con le carogne degli armenti,
lo spiazzo dei nostri giochi è pien di fango,
e gli ingegnosi tracciati, ora in disuso,
son cancellati dall’erbe rigogliose. Ai miseri mortali
son negate le gioie dell’inverno, e mancano,
ad allietar le notti, inni e carole.
Onde la luna, che governa i flutti,
pallente d’ira tutta l’aria inzuppa,
e di reumi s’ammalano le genti.
E per tali intemperie son le quattro stagioni
sovvertite, i canuti geli
calan nel giovane grembo della rosa cremisi,
e sulla gelida zucca spelacchiata del vegliardo Inverno
posa, come per scherno, un olezzante serto di soavi bocci
estivi.
La primavera, l’estate ed il fecondo autunno,
e l’iracondo inverno, si sono scambiate
le livree; e il mondo sbalordito
non più dai lor prodotti distingue le stagioni.
E questa progenie di malanni
nasce dal nostro conflitto, dal nostro dissenso.
Noi l’abbiamo generata, ne siamo noi la causa.
[II.i.81-117]
Nessuno dei precedenti componimenti poetici di Shakespeare presenta questa straordinaria qualità; qui l’autore
trova una delle sue numerose voci autentiche, il peana del
lamento naturale. Nel Sogno, il potere è più magico che
politico; Teseo si dimostra ignorante quando affida il potere alla figura paterna o alla sessualità maschile. Gli eredi
contemporanei della metafisica materialista di Iago, Tersite
ed Edmund considerano Oberon solo come una delle tante
affermazioni dell’autorità maschile, ma farebbero bene a riflettere sul lamento di Titania. Oberon è superiore a tutti in
termini di astuzia, perché controlla Puck e riporterà Titania
a quella che giudica essere una relazione amichevole. Ma si
tratta di una riconferma del dominio maschile o di qualcosa
di più sottile? L’oggetto della discussione tra la regina delle
fate e il re è un problema di custodia: «Altro non reclamo
che il giovinetto trafugato per farne un mio scudiero», vale
Estratto della pubblicazione
a dire il paggio d’onore di Oberon alla sua corte. Anziché la
sconfinata lascivia su cui insistono molti critici, nel capriccio
di Oberon e nel pungente e bellissimo rifiuto di Titania io
non vedo altro che un’innocente affermazione di sovranità:
Metti l’animo in pace.
A pagarlo non basta l’intero regno delle Fate.
Sua madre era devota all’ordine mio
e a sera, nel profumato aere dell’India,
tante volte m’è stata compagna, con me assisa
sulle dorate sabbie di Nettuno ad osservare
le navi dei mercanti che solcavano il mare.
E abbiamo riso insieme a guardare le vele
impregnate dal vento lascivo;
e lei (già in grembo portava il carico prezioso del mio paggio)
ad imitarle con passo aggraziato e rollante.
E poi fingeva di far vela a terra, per me
a raccogliere inezie, e ritornava,
ricca di mercanzie, come da lungo viaggio.
Ma lei, mortale, morì di questo suo bambino;
che per amor suo voglio allevare, e mai,
appunto per amor suo, separarlo da me.
[II.i.121-137]
Ruth Nevo osserva giustamente che Titania si è legata ai suoi
fedeli in misura tale da percepire il bimbo trafugato come proprio, creando un rapporto che esclude Oberon. Come l’atteggiamento iniziale di Prospero verso Caliban, la trasformazione
del bambino in uno scudiero equivarrebbe a un’adozione, e
Oberon intende servirsi di Puck per raggiungere il proprio
scopo. Ma perché Oberon, che non è geloso di Teseo ed è disposto a sopportare il tradimento di Titania, dovrebbe tenere
così tanto alla custodia del piccolo? Poiché Shakespeare non ce
lo dice, siamo costretti a interpretare da soli l’ellissi.
Occorre ricordare che Oberon e Titania non hanno figli
maschi; essendo immortale, il primo non deve preoccuparsi
di avere un erede, ma, com’è evidente, ha aspirazioni paterne
che lo scudiero Puck non riesce a soddisfare. Forse è interes-
Estratto della pubblicazione
sante notare anche che il padre del bimbo era un re indiano
e che la tradizione fa risalire il lignaggio reale di Oberon a
un imperatore indiano. L’elemento più importante sembra
essere il rifiuto da parte di Titania di consentire a Oberon di
prendere parte all’adozione del neonato. Forse David Wiles
ha ragione quando afferma che questi desidera conformarsi
al modello dei matrimoni aristocratici elisabettiani, in cui
l’obiettivo principale era la generazione di un erede maschio,
sebbene Elisabetta, in quanto regina vergine, infranga la tradizione e sia la suprema protettrice del Sogno.
A mio avviso, il bisticcio tra Titania e Oberon ha sfumature più sottili e si impernia sulla questione dei rapporti
tra mortali e immortali all’interno del dramma. Le storie
d’amore di Teseo e Ippolita con le fate appartengono ormai
al passato, e, per quanto lontani l’uno dall’altra, Oberon e
Titania giungono nel bosco vicino ad Atene per assistere con
gioia alle nozze dei loro ex amanti. Bottom, uno dei mortali
meno verosimili, vivrà per qualche tempo tra le fate, ma la
sua metamorfosi, quando avverrà, sarà solo esterna. Il bimbo
indiano è davvero un bambino trafugato; passerà infatti la
sua vita tra gli immortali. Ciò è tutt’altro che irrilevante per
Oberon: lui e i suoi sudditi hanno i loro segreti, gelosamente
nascosti ai mortali. Escludere Oberon dalla compagnia del
bambino non è pertanto solo una sfida all’autorità maschile;
è un torto vero e proprio, che il re delle fate deve rovesciare
e vendicare in nome del potere legittimo condiviso con Titania. Come dice Oberon, si tratta di un «affronto».
Per convincere la regina a cambiare idea, egli invoca quella che diventa la più bella visione shakespeariana all’interno
del dramma:
Oberon. Tu certo ben ricordi
quando, dalla cima d’un alto scoglio,
ascoltai una sirena, assisa sul dorso d’un delfino, la quale
effondeva nell’aria tanto soavi ed armoniosi accenti
che il rude mare s’ingentilì al suo canto, e alcune stelle,
impazzite fuori balzaron dalle sfere per ascoltare
la melodia dell’equorea fanciulla.
Puck.
Me lo ricordo.
Oberon. Potei allor vedere – e tu non lo potesti – volar
Cupìdo in arme fra la luna gelida e la terra.
Egli dritto mirò a una bella vestale,
assisa in trono in occidente, e con tal veemenza
scoccò dall’arco il suo dardo d’amore
che parea dovesse centomila cuori trapassare.
Ma vidi invece l’ardente strale del dio fanciullo
spegnersi nei casti raggi della luna, signora dei flutti.
E l’imperiale sacerdotessa passò via indisturbata
in verginali meditazioni, intatta da fantasie d’amore.
Però osservai dove il dardo di Cupìdo finì;
cadde su un picciol fiore d’occidente, allora
candido come il latte ed ora rosso d’amorosa piaga.
Viola del Pensiero lo chiaman le fanciulle.
Trovami quel fiore. Un dì te ne mostrai la pianta.
Il succo suo, stillato su ciglia dormenti,
farà uomo o donna delirar d’amore
per qualsiasi creatura il loro occhio contempli.
Trovami quella pianta, e torna subito qui
prima che il leviatano nuoti una lega.
Puck. Avvolgerò un nastro attorno al mondo
in quaranta minuti.
Oberon.
Quando avrò questo succo,
sorprenderò Titania mentre dorme,
e sulle ciglia sue stillerò l’umore.
Ciò ch’ella vedrà al suo risveglio
(leone, orso, o lupo o toro,
impacciosa bertuccia, o inquieto babbuino)
dovrà corrergli appresso per impulso d’amore.
E prima ch’io disincanti l’occhio suo
(e con erba diversa mi sarà agevole farlo)
ella sarà costretta a cedermi il suo paggio.
[II.i.148-185]
Il fiore che provoca il delirio d’amore è la viola del pensiero;
la «bella vestale, assisa in trono in occidente» è la regina
Elisabetta I, e questa magica visione consente a Shakespeare
di tributare alla sovrana l’omaggio più grande e più diretto
mentre lei è ancora in vita. Lei passa indisturbata e non viene
toccata dalle fantasie d’amore; il dardo di Cupido, incapace
di ferire la Regina vergine, trasforma la viola in un amuleto
universale dell’amore. È come se la castità della sovrana
schiudesse agli altri un intero cosmo di possibilità erotiche,
nel quale la casualità e l’arbitrarietà prendono tuttavia il
posto della sua scelta ragionata. L’amore a prima vista, celebrato in Romeo e Giulietta, viene qui presentato come una
disgrazia. Al potenziale ironico dell’elisir d’amore accenna
per la prima volta Oberon quando, in uno dei passaggi più
deliziosi del dramma, ordisce il tranello per Titania:
Conosco un ciglio dove il timo selvatico fiorisce,
crescon le margherite e reclinano il capo le viole,
coperto da un padiglione di fin troppo rigoglioso caprifoglio,
con dolci rose muschiate e roselline di macchia.
Colà, fra i fiori, Titania dorme talvolta di notte,
cullata da musiche e danze.
E là si spoglia il serpente della sua pelle variegata,
manto bastante a coprire una Fata.
I suoi occhi bagnerò con questo succo,
e la colmerò di turpi fantasie.
[II.i.249-258]
Il contrasto tra i primi sei versi e gli ultimi quattro ci regala
un brivido estetico; quando Oberon passa dal naturalismo
sensuale all’entusiasmo grottesco, assistiamo alla transizione
da Keats e Tennyson a Browning e al giovane T.S. Eliot. In
tal modo, Shakespeare spiana la strada per la svolta decisiva
dell’atto III, scena i, in cui Puck trasforma Bottom, e Titania si sveglia protestando: «Qual angelo mi ridesta dal mio
giaciglio di fiori?». L’angelo è l’imperturbabile Bottom, che
non si scompone quando scopre che il suo simpatico viso si
è tramutato in una testa d’asino.
Questa straordinaria scena comica merita qualche riflessione: chi tra noi potrebbe sopportare una disgrazia tanto
inquietante con animo così sereno? Abbiamo l’impressione
che Bottom accetterebbe il destino del Gregor Samsa di
Kafka senza troppo imbarazzo. Egli entra quasi a comando,
cantando: «Se così io fossi, bella Tisbe, soltanto tuo sarei!»
e disperdendo i suoi amici. Forse scoraggiato dalla propria
incapacità di spaventare Bottom, il frustrato Puck si lancia
all’inseguimento degli artigiani, assumendo molte forme
spaventose. Il nostro bravo Bottom risponde alla frase di Pietro Zeppa («Dio ti benedica, Bottom. Dio ti benedica. Tu
sei trasfigurato!») intonando un’allegra aria sul tradimento
amoroso e preparandoci così a un dialogo comico che nemmeno Shakespeare sarebbe mai riuscito a superare:
Titania. Ti prego, dolce mortale, ripeti il tuo canto.
L’orecchio mio s’è invaghito delle tue note
così come l’occhio è ammaliato dalle tue fattezze.
E la potenza delle tue virtù incomparabili è tale
che, fin dal primo sguardo, devo dire, anzi giurare, che
t’amo tanto!
Bottom. Madama, mi sa che abbiate scarso motivo per tutto
questo. È proprio vero che di questi tempi ragione e
amore si fan poca compagnia. Ed è un peccato che qualche buon vicino non faccia qualcosa per riconciliarli... Al
momento opportuno so parlar fino, eh?
Titania. Saggio tu sei quanto sei bello.
Bottom. Né l’uno né l’altro. Ma se avessi tanto sale nella
zucca da tirarmi fuori da questo bosco, ne avrei quanto
ne basta!
Titania. Non devi desiderare d’uscir da questa selva.
E qui, di fatto, rimarrai – che tu lo voglia o no.
[III.i.132-147]
Persino C.L. Barber sottovaluta in certa misura Bottom
quando afferma che Titania e il tessitore rappresentano «la
fantasia contro la realtà». Sarebbe infatti più esatto dire che i
due simboleggiano «l’incantesimo contro la verità». Bottom è
sempre dolce, gentile, cortese e coraggioso e asseconda la bella
regina che, ne è certo, è in preda alla pazzia. Qui le ironie
sono tutte sotto il suo controllo e vengono tenute a bada dal
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