LA FISCALITÀ DELLA FAMIGLIA

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LA FISCALITÀ DELLA FAMIGLIA
LA FISCALITÀ DELLA FAMIGLIA
1. La centralità della famiglia nel disegno costituzionale. 2. La famiglia come centro di
riparto e come entità da favorire nell'assetto del sistema tributario. 3. La famiglia
nell'imposta sul reddito. 4. La famiglia nelle imposte indirette. 5. Considerazioni di sintesi.
1. Lo centralità della famiglia nel disegno costituzionale
Ricordo che, nel settembre 2012, il corso di formazione sui Valori Giuridici Fondamentali ospitò
una relazione sul potere tributario dello Stato, che tenne di persona il Prof. D'Agostino.
L'argomento monografico di cui l'edizione di quell'anno del corso si occupava era il concetto di
Stato e i rapporti di esso con la dimensione antropologica. Abituato allo scarso rilievo che, in
generale, viene assegnato al diritto tributario nei consessi non strettamente specialistici, fui
piacevolmente sorpreso che la materia, di cui mi occupavo, avesse trovato posto - e un posto di
rilievo - in un contesto di così ampio ed alto respiro. Ne parlai con il Professore, il quale ebbe
modo di dirmi che quella del diritto tributario è una prospettiva privilegiata per misurare le
dimensioni più importanti dei rapporti che in una certa collettività organizzata intercorrono tra i
membri della collettività e le strutture statuali.
Organizzando le idee per impostare questa relazione, ho potuto apprezzare ancor più nitidamente
quanto quella sua intuizione di quel giorno fosse corretta.
Per comprendere le ragioni di fondo per le quali uno Stato possa - e lo Stato italiano debba - tener
conto dell'istituto familiare nella costruzione del sistema tributario occorre, infatti, scendere alle
radici delle finalità dell'organizzazione statuale, in generale, e al peculiare modo di atteggiarsi di
tali radici nei singoli contesti identitari nazionali, in particolare.
(A) Sul piano generale, può dirsi con un ragionevole margine di approssimazione che la finalità
dello Stato è quella di dare una veste strutturalmente stabile a una collettività che decide di
organizzarsi per conseguire la miglior possibile soddisfazione alle esigenze di vita e di piena
realizzazione della persona umana e il miglior possibile contemperamento tra le esigenze e gli
interessi, talora concorrenti, talora contrastanti, di cui sono latori i componenti della collettività
stessa.
(B) Sul piano particolare, appare evidente come l'individuazione delle modalità di soddisfazione di
tali propositi possa essere diversa a seconda delle attitudini e delle propensioni delle diverse
collettività di riferimento. Ciò è alla base del fenomeno per cui ciascuna collettività stabilisce una
serie di regole del vivere comune, le più importanti delle quali vengono generalmente registrate
per iscritto identificando il patto costituzionale.
Queste soluzioni per la soddisfazione e il contemperamento delle esigenze dei componenti della
collettività si caratterizzano anzitutto sotto il profilo del riparto di competenze nella presa in carico
dei compiti di soddisfazione delle esigenze stesse. In relazione a ciascuna tipologia di esigenza,
infatti, possono a seconda dei casi essere considerate maggiormente efficaci soluzioni che ne
1 affidino la cura all'individuo ovvero a forme di aggregazione superindividuale le quali, a loro volta
e a seconda dei casi, possono essere più o meno complesse. In particolare, essendovi esigenze che
per loro natura sono più efficacemente soddisfatte a livello collettivo (si pensi all'esigenza della
protezione da attacchi esterni o all'esigenza di organizzare mezzi semplificati di scambio
economico), è fisiologico che alcune delle forme di aggregazione superindividuali tendano a
istituzionalizzarsi in modo complesso fino a trasformarsi in veri e propri apparati burocratici.
Inoltre, come tutti ben sappiamo, nelle imperfette società umane la soddisfazione di molte delle
esigenze personali ha un costo poiché implica una assegnazione di risorse scarse. E se il
reperimento delle risorse necessarie a far fronte direttamente alle proprie esigenze può in linea di
principio ben essere lasciato all'iniziativa individuale, appare evidente come il reperimento delle
risorse necessarie al funzionamento delle aggregazioni superindividuali alle quali viene assegnato
il compito di soddisfare alcuni bisogni personali richiede la fissazione di regole che disciplinino la
ripartizione tra i membri della collettività delle risorse e dei costi necessari per farvi fronte. Come
naturale, detta ripartizione non può non tener conto al contempo sia del fatto - a dire il vero
intuitivo - che le persone o le aggregazioni che istituzionalmente curano le proprie esigenze
gravando meno rispetto ad altre sulla collettività devono in linea di principio concorrere meno di
altri alle spese da sostenere per il funzionamento delle predette organizzazioni collettive, sia del
fatto che all'interno di una comunità razionale le esigenze minime essenziali dei membri che non
possono provvedere autonomamente alla propria cura vengono tendenzialmente a integrare un
interesse di tutela propria della collettività stessa (1). Corollario dei due predetti presupposti è che,
laddove taluni individui o talune aggregazioni superindividuali si accollino con una stabilità
riconosciuta dalla società stessa la gestione a livello autonomo di esigenze che altrimenti
dovrebbero essere gestite da organizzazioni collettive con conseguenti oneri sull'intera comunità,
tali soggetti devono, anzitutto, essere considerati rilevanti in sede di riparto delle risorse scarse e
degli oneri connessi all'appartenenza alla collettività e, poi, essere sostenuti nella propria opera.
Il riparto degli oneri della gestione collettiva delle esigenze personali, in altre parole, assume
strutturalmente il carattere di una "contabilità collettiva" che tenga conto delle funzioni sociali dei
diversi soggetti che compongono la comunità.
Calando le predette considerazioni generali nel contesto italiano, è accertato che essa abbia
storicamente e da sempre adottato soluzioni nelle quali il punto di equilibrio, in termini di
competenza al soddisfacimento delle esigenze personali, è risultato marcatamente collocato al
livello più prossimo possibile alla sfera individuale, confidando molto su corpi sociali intermedi di
dimensioni ridotte e tendenzialmente autogestiti e autonormati (2). Si tratta, come ben sappiamo,
di un approccio che trova nel cattolicesimo, da San Tommaso alla Quadragesimo Anno di Pio XI,
la propria matrice fondamentale (3).
Tra i corpi sociali intermedi cui la nazione italiana ha da sempre riservato un posto centrale nel
sistema di soddisfacimento delle esigenze personali è compresa - prima fra tutte - la famiglia
1
Ciò in ragione della naturale spinta umana alla solidarietà nei confronti dei bisognosi e dei sofferenti, che costituisce
insegnamento evangelico fondamentale e dato antropologico strutturale della persona umana a prescindere dalle
possibili diversità di contesti culturali.
2
Si pensi, ad esempio, all'esperienza dei Comuni, tipica e caratteristica della realtà italiana.
3
Cfr., in particolare e limitando i riferimenti al più chiaro magistero pontificio, LEONE XIII, Rerum Novarum, par. 28;
PIO XI, Quadragesimo Anno, parr. 79-81; GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra, 40; GIOVANNI PAOLO II, Centesimus
Annus, 15 e 48.
2 naturale fondata sul matrimonio (4). Da sempre essa è stata, in Italia, istituzionalmente deputata a
rispondere alla parte prevalente dei bisogni connaturali e fondamentali della persona umana,
traducendosi così davvero in quel principium urbis et quasi seminarium rei publicae di cui già
ebbe modo di parlare Cicerone (5).
La tendenza a questa valorizzazione delle iniziative spontanee del corpo sociale per la
soddisfazione delle esigenze delle persone, che potrebbe avvicinarsi a quella logica che, con
linguaggio moderno, viene indicata come "sussidiarietà orizzontale", ha assurto a vero e proprio
dato identificativo della stessa identità nazionale italiana, che ha distinto e caratterizzato la stessa
rispetto ad altri possibili approcci contrassegnati dallo spostamento del baricentro nella direzione
della organizzazione collettiva della gestione delle esigenze personali (6).
La Costituzione del 1947 recepisce la predetta tendenza e, nel tracciare in modo stabile i canoni
fondamentali per ordinare il vivere comune della società italiana ( 7 ), pone al centro
4
GIACOBBE E., Il matrimonio e la famiglia, in Trattato di diritto civile diretto da Rodolfo Sacco, Le persone e la
famiglia, vol. III Il matrimonio, t. I a cura di Giacobbe E., L’atto e il rapporto, Torino 2011, 1 ss. Sotto il profilo
storico e sociologico, cfr. per tutti D'AGOSTINO F. (a cura di), Famiglia, diritto e diritto di famiglia, Milano 1985;
CAMPANINI G (a cura di), Le stagioni della famiglia. La vita quotidiana nella storia d'Italia dall'unità agli anni
Settanta, Milano 1994; DONATI P. – ROSSI G., Le associazioni familiari in Italia. Cultura, organizzazioni e funzioni
sociali, Milano 1996; DONATI P. (a cura di), Famiglia e capitale sociale nella società italiana. Ottavo Rapporto CISF
sulla famiglia in Italia, Milano 2003; DONATI P. (a cura di), Ri-conoscere la famiglia. Quale valore aggiunto per la
società? Decimo Rapporto CISF sulla famiglia in Italia, Milano 2007; DONATI P. - TRONCA L., Il capitale sociale
degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismo, Milano 2008; ROSSI G., La famiglia come
capitale sociale, in Scabini E. - Rossi G., La ricchezza delle famiglie, Milano 2010, 113 ss.; DONATI P. (a cura di),
Famiglia risorsa della società, Bologna 2012; DONATI P., Il genoma che fa vivere la società, Soveria Mannelli 2013.
5
CICERONE M.T., De officiis, Lib. I, cap. XVII, 54.
6
Come noto, nel corso della storia sono stati molteplici i momenti in cui la soluzione al problema della soddisfazione
delle esigenze personali è stata individuata in una spersonalizzazione e pubblicizzazione dei sistemi meccanismi volti
a soddisfarli. A ben vedere, essi sono emersi fin dai tempi di Platone, il quale nella Repubblica individua come
ottimale soluzione quella dell’affidamento dell’educazione dei giovani (Libro II, 376e ss.). In Europa, la
pubblicizzazione del sistema e la diffidenza verso i corpi intermedi ha caratterizzato l’evo cd. “moderno” in tutti i
Paesi di area di influenza francese e in quelli di influenza tedesca, venendo a rappresentare una delle più
caratteristiche e perniciose tra le "mitologie giuridiche della modernità" (GROSSI P., Mitologie giuridiche della
modernità, Milano 2007, 43 ss.. Per i primi, la furia rivoluzionaria e il sostegno filosofico di Rousseau ha portato alla
diffidenza e alla riduzione per quanto più possibile del ruolo dei corpi intermedi (MANNORI L. – SORDI B., Storia del
diritto amministrativo, Roma - Bari 2004, 182 ss.; più nello specifico, anche con riferimento alla famigerata legge Le
Chapelier del 1791, cfr. per tutti, DUMONT J., I falsi miti della rivoluzione francese, trad. it. Milano 1991; in generale
sull’argomento GROSSI P., Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano 1998); per i secondi, ha rappresentato un
modello lo schema del Polizeistaat di prussiana memoria e di hegeliana matrice, che trovò nel Reich bismarckiano il
proprio compimento (MANNORI L. – SORDI B., op. cit., 154 ss.). In Italia, i tentativi di esautorazione dei corpi
intermedi, sul modello francese, vi furono certamente (si pensi alle leggi Crispi di pubblicizzazione delle IPAB), ma il
radicamento dell’approccio autorganizzativo, unito alla relativa debolezza dello Stato centrale, ha fatto sì che mai la
Nazione abbia davvero abbandonato l’abitudine ad esso (cfr., ad esempio, ACQUARONE A., L’Italia giolittiana,
Bologna 1981, 59 ss.) e che ciò abbia avuto un rilievo fondamentale anche dal punto di vista giuridico (si pensi alla
teoria degli ordinamenti di Santi Romano la quale, pur figlia del suo tempo e quindi necessariamente permeata da
elementi di statalismo, risulta indubbiamente indicativa delle caratteristiche nazionali suddette). Sul punto cfr., in
generale, ANTONINI L., Sussidiarietà fiscale, Milano 2005, 70 ss., il quale parla evocativamente e anche in chiave
prospettiva di una Welfare Society in sostituzione di un Welfare State il cui modello, specialmente in Italia, si mostra
in una situazione di cronica crisi, fisiologicamente acuita dall’apertura globale dell’ordinamento; STAMMATI S.,
Declinazioni del principio di sussidiarietà nella disciplina costituzionale della famiglia, in Dir. e soc., 2003, 262-266;
per gli aspetti relativi alla realtà familiare cfr. SCALINCI C., La famiglia 'community care' nell'imposizione sul reddito,
in Dir. prat. trib., 2004, II, 878 e 880; DONATI P., Sociologia della famiglia, Bologna 1978; ROSSI G. - DONATI P.,
Welfare State. Problemi e alternative, Milano 1982. In generale, la sicura auspicabilità di un sempre maggior recupero
della prospettiva autorganizzativa della società civile è il valore che si pone al centro dell'opera giuridica di Paolo
Grossi e che emerge in tutte le sue opere principali, a cominciare dal già citato volume relativo alle Mitologie
giuridiche della modernità.
7
Per usare le parole di CARTABIA M., Principi inviolabili e integrazione europea, Milano 1995, 5, la Costituzione
repubblicana può in questa prospettiva definirsi correttamente come "patto fondamentale sui valori che orientano e
3 dell'ordinamento le esigenze personalistiche e la valorizzazione del metodo autorganizzativo della
società civile per soddisfarle (8), individuando come strumenti necessari per realizzare questo
progetto la centralità dei principii democratico, pluralistico e solidaristico (9), quella del diritto al
lavoro come forma di autosostentamento e quella della tutela particolare di quelle forme
aggregative superindividuali che hanno caratterizzato nel senso anzidetto l'identità nazionale (10).
Tra queste ultime, insieme alle confessioni religiose, alle istituzioni di assistenza, alle scuole, ai
sindacati e alle cooperative, vi è anche e per prima la famiglia naturale fondata sul matrimonio
(11). A ciascuno di tali corpi sociali, del resto, la Costituzione ha dedicato apposite previsioni di
unificano l'intero ordinamento e quindi ne determinano la fisionomia". L'Autrice sottolinea, al riguardo, che è un
tratto specifico e caratterizzante delle democrazie contemporanee quello di sentire "l'esigenza dell'inviolabilità di
alcuni valori" (ivi, 164), a differenza di quanto avveniva negli ordinamenti precedenti.
8
La circostanza che i Padri Costituenti abbiano inteso valorizzare e promuovere la spontaneità delle iniziative della
società civile come metodo di soddisfazione delle esigenze delle persone e, quindi, di perseguimento dei fini per i
quali la Repubblica Italiana veniva costituita emerge con chiarezza dall'impalcatura che sorregge l'intera Parte Prima
della Costituzione, dalla lettura della trama delle disposizioni della Carta fondamentale e dall'esame dei lavori
preparatori. Sotto quest'ultimo profilo, possono vedersi le chiare considerazioni di GRASSI S., Il contributo di Giorgio
La Pira ai lavori della Assemblea Costituente, in De Siervo U. (a cura di), Scelte della Costituente e cultura giuridica,
Bologna 1980, 179 ss., specie 192, ove si ricondano le parole pronunciate da La Pira secondo il quale alla base del
costituendo Stato Italiano non poteva che porsi il principio del "pluralismo degli ordinamenti sociali", poiché "la
realtà di questo corpo sociale non è costituita soltanto di singole persone; le persone sono naturalmente raggruppate
in tanti organismi che sono elementi essenziali e perciò ineliminabili del corpo sociale: la comunità familiare, quella
religiosa, quella professionale - che sono altrettanti elementi costituzionali della società". Per una considerazione di
sintesi, da parte dello stesso, relativa alla misura in cui la Costituzione approvata abbia effettivamente accolto
l'impianto organicista prospettato come necessario nei lavori preparatori cfr. LA PIRA G., Il valore della Costituzione
italiana, in Id., La casa comune: una Costituzione per l'uomo, rist. a cura di De Siervo U., Firenze 1979, 277.
Considerata la sostanziale corrispondenza tra questo fondamentale principio autorganizzativo della società civile e il
corrispondente disegno del ruolo dei pubblici poteri come sussidiario e supplente, può quindi ben condividersi la
posizione di chi ha affermato che "i costituenti italiani, pur non facendo uso della parola 'sussidiarietà', hanno
adottato una serie di disposizioni ispirate al principio corrispondente. Il quale, quindi, in relazione ad una pluralità
di discipline, si presenta come un principio costituzionale non scritto" e, per le ragioni già dette, assolutamente
centrale e fondamentale (così D’ATENA A., Lezioni di diritto costituzionale, Torino 2012, 119; cfr. altresì BALDINI V.,
Sussidiarietà e principio personalista, in Id., a cura di, Sussidiarietà e diritti, Napoli 2007, 71 ss.; PIZZOLATO F.,
Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, Milano 1999, 54 ss.; TOSATO E., Sul principio di
sussidiarietà dell'intervento statale, in Nuova antologia, 1959, 451 ss.).
9
L’imprescindibile collegamento fra principio autonomista e principio democratico è evidenziata, tra i molti, da
BERTI G., Art. 5, in Branca G. (diretto da), Commentario alla Costituzione, Bologna 1975, 286, il quale osserva come
il principio autonomista costituisca una vera e propria "faccia interna" della sovranità popolare; BALDINI V.,
Sussidiarietà e principio personalista, cit., 67 ss.; ANTONINI L., Sussidiarietà fiscale, cit., 51 ss. Quanto al
collegamento con il principio pluralista, si rinvia alle considerazioni svolte nella nota precedente relativamente al
chiaro pensiero in tal senso di Giorgio La Pira.
10
Le ricostruzioni più complete sono quelle di ONIDA V., voce Costituzione italiana, in Dig. IV, Disc. pubbl., IV,
Torino 1989, 329-331, il quale chiarisce in modo esplicito che "i principi fondamentali della Costituzione non sono
espressi, né per intero, né soltanto nei primi dodici articoli, pure ad essi intitolati. Essi si ricavano piuttosto
dall'intero testo", fermo restando che non tutti i diritti previsti in Costituzione e riconducibili all'art. 2 Cost. devono
per ciò solo qualificarsi come inviolabili e supremi (arg. ex Corte Cost., sent. n. 109 del 1971); BALDASSARRE A.,
voce Diritti inviolabili, in Enc. giur., XI, Roma 1989, 27; STAMMATI S., Declinazioni del principio di sussidiarietà
nella disciplina costituzionale della famiglia, cit., 272 ss..
11
Cfr. specificamente sul punto MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova 1976, 1165; VARI F., Il
soliloquio del giudice a Babele ovvero il tentativo della Cassazione di equiparare il regime costituzionale di famiglia,
convivenze more uxorio e unioni omosessuali, in Aa.Vv., Scritti in onore di Antonio D’Atena, t. IV, Milano 2015,
3135 ss., par. 1; STAMMATI S., Declinazioni del principio di sussidiarietà nella disciplina costituzionale della
famiglia, cit., 257 ss., specie 258; DALLA TORRE G., Famiglia e Costituzione. Riflessioni su una rivoluzione permessa,
in Iustitia, 1999, 221 ss.; BERTI G., La famiglia nella Costituzione, in Iustitia, 1999, 284 ss.; D'ATENA A., Il principio
della sussidiarietà nella Costituzione italiana, in Riv. dir. pubbl. com., 1997, 603 ss.; BENVENUTI F., L’ordinamento
repubblicano, Padova 1996, 28 e 84; SANTORO PASSARELLI F., Criteri per la riforma del diritto di famiglia, in
Aa.Vv., Scritti in onore di Gioacchino Scaduto, III, Padova 1970, 174; Id., Il governo della famiglia, in Iustitia, 1953,
4 riconoscimento e tutela che vengono a costituire, nel proprio nucleo essenziale e insieme ai
principi predetti, l'ossatura fondamentale che integra i principi supremi dell'ordinamento (12).
Dalle considerazioni svolte emerge che il riparto delle risorse scarse e degli oneri connessi
all'appartenenza alla collettività deve necessariamente tener conto di queste forme aggregative che
la Costituzione repubblicana riconosce come ad essa preesistenti e cui conferisce uno specifico
valore da tradurre in speciali forme di tutela. Trattandosi di aggregazioni superindividuali che si
accollano con una strutturale preordinazione alla stabilità riconosciuta dal patto fondamentale la
gestione a livello autonomo di esigenze che altrimenti dovrebbero essere gestite da organizzazione
collettive con conseguenti oneri sull'intera comunità, i soggetti sopra indicati (associazioni
benefiche, scuole, confessioni religiose, sindacati, cooperative, famiglie matrimoniali) devono
essere considerati rilevanti in sede di riparto dei carichi pubblici, in quella ottica di fiscalità
compensativa di cui ha parlato il Prof. Perrone, ed essere sostenuti nella propria opera mediante
una tutela maggiore e differenziata rispetto ad altre forme aggregative (13).
Di ciò deve esser tenuto conto in sede di interpretazione e applicazione dell'articolo 53 della
Costituzione repubblicana (14). Infatti, l'articolo 53 della Costituzione delinea quel fondamentale
aspetto della soddisfazione delle esigenze delle persone costituito dalla necessità di ripartire, tra i
componenti della collettività stesse, le spese e gli oneri necessari a far fronte a tale soddisfazione:
è in questo, infatti, che secondo la Corte Costituzionale si sostanzia la dimensione fondamentale
del principio di capacità contributiva (15). E, per le ragioni dette, questo riparto dei carichi pubblici
non può limitarsi alla contabilità della pubblica amministrazione, ma deve necessariamente
guardare e valorizzare il ruolo di quei corpi che il patto fondamentale ha riconosciuto come
stabilmente funzionali alla gestione a livello autonomo di esigenze fondamentali della persona, tra
ora in Id., Saggi di diritto civile, Napoli 1961, 401; GRASSETTI C., I principi costituzionali relativi al diritto familiare,
in Calamandrei P. - Levi A. (diretto da), Commentario sistematico alla Costituzione italiana, II, Firenze 1948, 285 ss.
12
La correlazione tra principi costituzionali supremi e identità nazionale è stata originariamente ben posta in evidenza
da MORTATI C., La costituzione materiale, Milano 1940, 141 ss., ove si è affermato che una delle funzioni
fondamentali di quella che l'Autore qualifica come "costituzione materiale" (ossia del nucleo inviolabile
dell'ordinamento costituzionale di uno Stato) è rappresentato dal conferimento di una fisionomia e di una identità
propria all'ordinamento, la quale non potrebbe essere cambiata se non istituendo un nuovo ordinamento, ossia
operando una "rivoluzione" in senso tecnico (si veda, al riguardo, le conclusioni che della teoria di Mortati traggono
CARTABIA M., op. cit., 155 e 157, ove si afferma che "i valori immodificabili variano ... da Stato a Stato, da
ordinamento a ordinamento, proprio perché costituiscono elementi della identità di ciascuno di essi", e PIZZORUSSO
A., Art. 138, in Branca G., a cura di, Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma 1981, 703 ss.). Come
correttamente osservato dalla dottrina più moderna (cfr., per tutti, CARTABIA M., op. cit., 158-175, 212-213),
l'intuizione del pensiero di Mortati che è stata recepita dalla Corte Costituzionale e che è divenuta patrimonio
condiviso dell'ordinamento in chiave assiologica sta nella "idea della immodificabilità di un insieme di valori
essenziali per l'ordinamento", che prescinde dall'azione delle forze politiche e sociali dominanti e il cui nucleo
fondamentale è rimesso alla diretta custodia della Corte Costituzionale.
13
Sono altamente condivisibili, in questa prospettiva, le considerazioni di SCALINCI C., La famiglia 'community care'
nell'imposizione sul reddito, cit., 864 ss.
14
La necessità di interpretare il principio di capacità contributiva alla luce del disegno personalistico della
Costituzione Repubblicana è stata magistralmente posta in evidenza da MOSCHETTI F., Il principio di capacità
contributiva, espressione di un sistema di valori che informa il rapporto tra singolo e comunità, in Perrone L. –
Berliri C. (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli 2006, 39 ss. L’Autore sottolinea come il
fondamento personalistico delinei l’identità basilare dell’ordinamento italiano e venga a costituire il vero nucleo di
quello che HABERMAS J., La rivoluzione in corso, Milano 1990, 147 definirebbe “patriottismo costituzionale”. Quanto
ad autonomia e sussidiarietà, senza considerare in questa sede le problematiche del federalismo fiscale, la necessità di
valorizzare adeguatamente tali aspetti nel quadro della declinazione del principio della capacità contributiva in Italia è
stata posta in evidenza nel modo più chiaro da ANTONINI L., Sussidiarietà fiscale, cit., passim.
15
Questa è, infatti, la nozione fatta propria dalla Corte Costituzionale ed esplicitata soprattutto con la sentenza n.
156/2001 in materia di IRAP. Simile concezione, del resto, è stata preparata da sentenze precedenti (54/1980,42/1992,
315/1994, 410/1995) ed è stata confermata nelle letture successive (sent. n. 356/2008, ord. 36/2009).
5 cui emerge come centrale (art. 29 Cost.) proprio la "famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio" (16).
2. La famiglia come centro di riparto e come entità da favorire nell'assetto del sistema
tributario
La necessità di tener conto della centralità delle forme di aggregazione superindividuale tutelate
dalla Costituzione nella struttura del sistema tributario può trovare attuazione essenzialmente
secondo due modalità:
(i) la prima consiste nel far sì che tali corpi sociali siano considerati come centri unitari di riparto
delle pubbliche spese;
(ii) la seconda consiste nel far sì che essi siano particolarmente favoriti in relazione alle scelte di
autogestione che effettuano.
Questa seconda modalità di valorizzazione può in linea di principio trovare applicazione per ogni
tipologia di pubblica entrata: sebbene la concreta misura di agevolazioni di questo tipo debbano
essere in concreto definite il legislatore nella sua discrezionalità politica, esse devono essere
specificamente previste anche in ottemperanza al disposto dell'art. 31 Cost., il quale richiede che
la Repubblica agevoli "con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e
l'adempiento dei compiti relativi": e tra queste misure e provvidenze devono senz'altro
comprendersi anche quelle fiscali.
La prima modalità di valorizzazione (ossia la considerazione del corpo sociale considerato come
centro unitario di riparto), invece, può essere attuata soltanto laddove strutturalmente lo permetta
la configurazione del presupposto dello specifico contributo alle pubbliche spese (imposta, tassa,
corrispettivo di diritto pubblico) che viene caso per caso considerato.
In particolare, con specifico riferimento a quel corpo sociale costituito dalla famiglia, è possibile
affermare che, se tutti gli istituti giuridici di concorso alle pubbliche spese permettono di
valorizzare la realtà familiare con agevolazioni fiscali ad hoc, non tutti invece strutturalmente
permettono la considerazione della famiglia come unitario centro di riparto delle pubbliche spese.
Procedendo in ordine, e non potendo per ragioni di tempo esaminare in questa sede il versante di
tributi locali, tasse e prestazioni pubbliche, è possibile verificare come ciò debba avvenire nelle
16
La necessità costituzionale di valorizzare la famiglia nel settore tributario è emersa già in sede di lavori preparatori
della Costituzione, in occasione dei quali uno dei firmatari degli emendamenti che hanno condotto all’introduzione
dell’art. 53, On.le Salvatore Scoca, ebbe modo di affermare che dalla necessità di rispettare il principio di capacità
contributiva e il divieto di imposizione del minimo vitale, che ad esso si correla, deriva “pure che debbono essere
tenuti in opportuna considerazione i carichi di famiglia del contribuente. Sono, questi, aspetti caratteristici di quella
capacità contributiva, che la formulazione concordata dell’articolo aggiuntivo pone a base della imposizione” (il
testo è riportato da FALSITTA G., Il principio della capacità contributiva, Milano 2014, 114). Sul fatto che il principio
di capacità contributiva richieda la valorizzazione ai fini fiscali della famiglia cfr. MOSCHETTI F., Il principio di
capacità contributiva, espressione di un sistema di valori che informa il rapporto tra singolo e comunità, cit., 49. Più
in generale, ANTONINI L., Sussidiarietà fiscale, cit., nonché la dense pagine di SCALINCI C., La famiglia 'community
care' nell'imposizione sul reddito, cit., specie 873-878, il quale evidenzia la essenzialità della famiglia "nella sua
funzione, non solo naturale-demografica, ma anche e soprattutto di concorso solidaristico al benessere comune,
esplicata per il tramite di servizi alla persona (primo fra tutti, quello della sua iniziale e naturale formazione). Una
famiglia per la collettività, quindi, giustifica, se non esige, una collettività per la famiglia: mi pare che sia tutto qui il
senso del recupero, per la verità ancora molto annunciato, della famiglia, che non può, invece, risolversi in una
continuità sostanziale con la sua accezione quale società «privata» per i bisogni dell’individuo". Valorizzano questi
aspetti anche TURCHI A., La famiglia nell'ordinamento tributario, I, Torino 2012, 5; Id., La famiglia nell'ordinamento
tributario, II, Torino 2015, 452; STAMMATI S., Declinazioni del principio di sussidiarietà nella disciplina
costituzionale della famiglia, cit., 300.
6 imposte sui redditi, mentre ciò non possa avvenire nelle imposte indirette e come ciò possa,
invece, avvenire in.
3. La famiglia nell'imposta sul reddito
Come è stato esattamente osservato in dottrina, il reddito "esprime potere di disporre di beni e
servizi sia, in forma immediata, con l'acquisto e il consumo, sia in forma mediata, tramite il
risparmio e la destinazione a nuovi investimenti" (17): ed è indubbio che la posizione in cui si trovi
l'entità individuata come possessore di un reddito superiore al minimo vitale denoti un'attitudine a
concorrere anche a quegli oneri della collettività che non siano strettamente e direttamente
attinenti alla soddisfazione delle esigenze proprie di essa e, quindi, un'attitudine a divenire
soggetto passivo di una imposta in senso tecnico.
Con riferimento alla questione oggetto di esame, si tratta adesso di verificare se tale entità
soggettiva debba essere individuata nella famiglia oppure nei singoli membri di essi.
Ora, la poliedricità e vastità dei poteri dispositivi denotati dal possesso di un reddito (e che
contraddistinguono questo presupposto impositivo rispetto ad altri, di cui si dirà nei paragrafi che
seguono), combinata con la considerazione per cui la Costituzione italiana espressamente
configura la famiglia come centro unitario di soddisfazione di esigenze personali che altrimenti
dovrebbero essere soddisfatte a carico della collettività, rende evidente che è la famiglia (e non i
singoli membri di essa) a dover essere considerata come centro unitario di disposizione di beni e
servizi nella prospettiva complessiva degli acquisti, consumi, risparmi e investimenti necessari al
soddisfacimento delle esigenze personali. Conseguentemente, appare costituzionalmente evidente
come la famiglia debba essere valorizzata in Italia in termini di centro unitario di riparto rilevante
ai fini dell'imposta sul reddito.
Invero, accanto a già di per sé assorbenti considerazioni di carattere sociologico (18), è il dato
giuridico che conferma l'unitarietà della famiglia nelle vicende che costituiscono il presupposto
del tributo sul reddito. L'articolo 144 del codice civile, invero, afferma che "i coniugi concordano
tra loro l'indirizzo della vita familiare" e l'art. 143 dello stesso codice afferma che "entrambi i
coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro
professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia", oltre che specificamente a
"mantenere, istruire ed educare la prole" (artt. 147 e 148 c.c.). Appare, quindi, giuridicamente
incontestabile, oltre che sociologicamente evidente, che per le persone che compongono una
famiglia sia la famiglia stessa, e non tanto i singoli, a rappresentare il centro cui si riferisce il
potere di disporre di beni e servizi in una prospettiva complessiva di acquisti, consumi, risparmi e
investimenti. E quanto appena detto non vale soltanto per quel minimo essenziale per la
sopravvivenza del nucleo stesso, ma anche tutta una complessiva valutazione che riguarda il
17
FEDELE A., "Possesso" di redditi, capacità contributiva ed incostituzionalità del cumulo, in Giur. cost., 1976, I,
2178. Generalmente questo profilo viene dato per assodato dalla dottrina, che non avendo quasi mai messo in
discussione la legittima del tributo sul reddito, neppure si è soffermata a valutare le ragioni per la quali l'assunzione
dello stesso come presupposto di un'imposta possa considerarsi ragionevole.
18
Cfr., per la particolare chiarezza, FEDELE A., "Possesso" di redditi, capacità contributiva ed incostituzionalità del
cumulo, cit., 2179; DE MITA E., La illegittimità costituzionale del c.d. "cumulo", in Dir. prat. trib., II, 1976, 340. Gli
assunti in questione, inoltre, sono da sempre considerati pacifici da parte degli scienziati delle finanze (per tutti,
STEFANI G., Imposta personale, cumulo dei redditi e capacità contributiva, in Boll. trib., 1976, 1637 ss.; STEVE G.,
Lezioni di scienza delle finanze, Padova 1976, 321 ss.).
7 tenore di vita anche potenziale del centro di aggregazione considerato (19), ciò che ulteriormente
corrobora la conclusione per cui sono i tratti essenziali (e non solo quelli minimi indispensabili)
della situazione fattuale che costituisce il presupposto del tributo sul reddito a manifestarsi come
unitari in presenza dell'aggregazione familiare (20). Ciò richiede come necessaria e fisiologica la
19
La giurisprudenza è pacifica sul punto: cfr., fra le motlissime, Cass., sentt. nn. 7437/1994, 3490/1998, 17537/2003,
25019/2007 e giurisprudenza successiva, ove si afferma che "l'obbligo di contribuire, a misura dei propri mezzi
economici, alle esigenze globali della coppia (e dei figli se ce ne sono)" si traduce per ciascun coniuge nell'assicurare
"un tenore di vita corrispondente a quello che ragionevolmente potrebbe permettere a sè e alla famiglia", con la
conseguenza che il "tenore di vita che il coniuge separato ha diritto di mantenere a quello goduto prima della
separazione non è quello di fatto consentitogli dall'altro coniuge in tale periodo, bensì quello che l'altro coniuge
avrebbe avuto il dovere di consentirgli in base alla sue sostanze" (Cass., n. 7437/1994) e, correlativamente, quello che
il coniuge "aveva diritto di aspettarsi in conseguenza del matrimonio" in base "alle potenzialità economiche
complessive dei coniugi" (Cass., n. 3490/1998).
20
Non possono, quindi, essere condivise le osservazioni di BRACCINI R., Osservazioni sulla rilevanza tributaria dei
doveri economici familiari, in Dir. prat. trib., 1977, I, 1239-1245 e TOSI L., Considerazioni sul regime fiscale della
famiglia: discriminazioni ai danni delle famiglie monoreddito, prospettive di riforma e problematiche di ordine
costituzionale, in Rass. trib., 1988, I, 351 ss., i quali ritengono che il regime civilistico della famiglia (in particolar
modo, l'estraneità dei proventi lavorativi dal regime di comunione legale), per un verso, impedisca di sostenere la tesi
per cui i coniugi hanno la reciproca disponibilità dei redditi dell'altro rappresenti e, in conseguenza di ciò e per altri
verso, rappresenti un sostrato tale da impedire l'individuazione nella famiglia di un nucleo unitario ai fini dell'imposta
sui redditi. Entrambi questi assunti, infatti, sono infondati. (i) Sotto il primo profilo, gli autori, infatti, non
conferiscono il debito rilievo agli obblighi di cui agli articoli 143 e 144 del codice civile, che configurano come
obbligatoria la formazione di una "cassa comune" familiare non soltanto ai fini della soddisfazione dei bisogni
essenziali ma anche, come chiarito dalla giurisprudenza, ai fini della soddisfazione dei bisogni connessi al tenore di
vita potenzialmente ricollegabile al complessivo reddito della famiglia unitariamente considerata: da ciò consegue,
anche sotto il profilo strettamente civilistico, che la realtà civilistica è configurata in modo tale da rendere concreta la
situazione di reciproca disponibilità dei redditi familiari (conforme la dottrina civilistica, la quale osserva che "anche
nei rapporti patrimoniali, la famiglia si rivela idonea ad essere vista dalla legge come 'centro di imputazione di
interessi' che sono dell’intera comunità familiare": così, per tutti, RESCIGNO P., Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni
del diritto italiano, Torino 2000, 359), seppur tramite una doverosa collaborazione degli altri membri (coercibile
giudizialmente) che non rappresenta certo un elemento irrilevante ai fini della normale sistematica delle imposte sui
redditi (si pensi a tutti i redditi tassati per competenza, la cui effettiva disponibilità in capo al contribuente è sempre
mediata da un obbligo di collaborazione da parte di un altro soggetto). Come osserva FEDELE A., "Possesso" di
redditi, capacità contributiva ed incostituzionalità del cumulo, cit., 2164-2165, infatti, la circostanza che il reddito
non possa che essere riferito "alla persona i cui interessi e bisogni sono apprezzati o soddisfatti nella scelta fra le
diverse possibili destinazioni del reddito" non impone che sia "comunque necessario che i poteri attinenti alla
destinazione del reddito spettino al titolare dell'interesse in funzione del quale essi sono esercitati, in quanto ciò che
assume rilievo è l'unitaria considerazione dei bisogni e degli interessi del soggetto in ordine alle scelte circa la
destinazione del reddito", inquadrate nell'ambito di un vincolo giuridico a effettuare tale destinazione che nel contesto
familiare, per le ragioni già dette, sussiste certamente. Sotto il secondo, poi e comunque, va altresì tenuto conto
accanto ai criteri della "libera disponibilità" in questo senso intesi, "ne concorrono altri, fondati sul concreto
atteggiarsi, in fatto ed in determinate circostanze, delle scelte circa la destinazione di taluni redditi" (FEDELE A., op.
ult. cit., 2166). Invero, se "nella maggioranza dei casi tali facoltà decisionali spettano al titolare delle situazioni
giuridiche soggettive", "non si può certo escludere che, sia pure in ipotesi limitate, la facoltà di disporre del reddito
spetti, in fatto, a persone diverse" e che tale situazione debba essere valorizzata ai fini delle imposte sui redditi quando
assistita da una valutazione "di larga probabilità" e ancor più quando sostenuta da specifiche norme giuridiche come
avviene per la situazione della famiglia (FEDELE A., op. ult. cit., 2174-2177, ove ulteriori esempi in tal senso). In tali
casi, "i criteri di individuazione dei soggetti passivi nella imposta personale sul reddito diverso da quello fondato
sulla 'titolarità giuridica' del reddito medesimo possono porsi, in ordine alla ratio delle norme relative, sul medesimo
piano di quest'ultimo": se ciò possa avvenire o meno, in altre parole, dipende dalla concreta configurazione della ratio
del singolo tributo considerato, la quale viene ad essere concretizzata nella dogmatica della fattispecie in quello che
viene indicato come presupposto (FEDELE A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino 2005, 34 e 145).
Invero, mentre diverse considerazioni devono essere fatte per le imposte sui trasferimenti (cfr. il successivo par. 4) e
più in generale per i tributi reali, per le imposte sul reddito "il legislatore tributario apprezza le norme che
disciplinano la produzione e la circolazione della ricchezza come un dato di fatto: non è dunque irrazionale che egli
ritenga prevalente, in ordine all'effettiva attribuzione della potenzialità economica espressa dal reddito, la
constatazione che, di fatto, in determinate circostanze e situazione, i poteri di destinazione del reddito sono
generalmente esercitati nell'interesse di (o anche di) persone diverse da quelle designate dai criteri in questione. Si
tratta, infatti, di identificare i soggetti che manifestano una determinata specifica capacità contributiva, non i titolari
8 considerazione unitaria della famiglia nell'imposta sui redditi, ferma restando la possibilità di
concedere ai coniugi la possibilità di optare per una imposizione separata qualora intendano
valorizzare eventuali peculiarità della loro situazione rispetto allo schema ordinamentale (21). Né si
pone in contrasto con la conclusione appena tratta la giurisprudenza della Corte Costituzionale: è
bensì vero, infatti, che con la sentenza n. 179 del 1976 essa ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale del cumulo, ma è altresì vero che - secondo la lettura più corretta - ciò è avvenuto
più per problemi legati al principio di uguaglianza che non per problemi riconducibili al principio
di capacità contributiva, come modernamente inteso (22). Non a caso, infatti, nelle occasioni più
recenti in cui ha avuto modo di confrontarsi con la questione, la Corte non ha affatto escluso la
compatibilità costituzionale di misure volte a considerare la famiglia come nucleo unitario senza
con ciò aggravare il prelievo secondo quanto avveniva in precedenza nella vigenza del cumulo e si
è limitata a far presente che la possibilità di una tassazione separata deve comunque sempre essere
accordata come diritto facente capo a ciascuno dei due coniugi (23).
Confermata la perfetta razionalità della configurazione della famiglia come centro unitario di
riparto nell'economia del presupposto dell'imposta sul reddito alla luce del versante estrinseco
della capacità contributiva oggi correttamente valorizzato anche dalla Corte Costituzionale, vanno
adesso illustrati i presupposti giuridici e le possibili modalità tecniche mediante le quali ciò può
essere realizzato.
(A) Quanto ai presupposti giuridici, è bene anzitutto evidenziare che la necessità di considerazione
unitaria della famiglia come centro di riparto ai fini delle imposte sui redditi non impone
necessariamente una entificazione della stessa ai fini fiscali (24), ossia il collegamento direttamente
di determinati rapporti giuridici" (FEDELE A., "Possesso" di redditi, capacità contributiva ed incostituzionalità del
cumulo, cit., 2164-2166). E ciò è quanto esattamente deve ritenersi necessario avvenire, per le ragioni esposte nel
testo, in materia di imposizione sui redditi familiari.
21
Ad esempio, laddove alla considerazione unitaria della famiglia si accompagni il mantenimento della soggettività
passiva in capo ai singoli coniugi e laddove a tale configurazioni si accompagnino forme di reciproche responsabilità
d'imposta in capo ai coniugi (cfr. FEDELE A., op. ult. cit., 2171), è necessaria anche alla luce dell'art. 24 Cost. la
previsione di un regime opzionale che permetta anche a uno solo dei due coniugi di chiedere che la determinazione
delle imposte sul reddito dovute sia calcolata individualmente e senza considerazione unitaria della famiglia. Pertanto,
in tal caso, è necessario prevedere come opzionale il trattamento individuale a fronte della fisiologicità del trattamento
unitario, non già viceversa come invece prospettato dalla Corte Costituzionale nel 1976, per le ragioni che si stanno
per dire nel testo.
22
In altre parole, il reale tenore della sentenza della Corte del 1976 deve individuarsi nella declaratoria di
incostituzionalità, non tanto del sistema del cumulo in sé e per sé considerato, ma nella previsione di un sistema di
cumulo che aggrava l'imposizione della famiglia rispetto ai membri che ne fanno parte. Ciò emerge chiaramente dalla
motivazione, sia nella parte in cui concentra la motivazione sul trattamento deteriore, sia nella misura in cui mostra di
legare il principio di capacità contributiva necessariamente all'individuo e di non disporre degli strumenti necessari a
favorire la famiglia, ed è ulteriormente chiarito dalla giurisprudenza successiva (cfr., al riguardo, Corte Cost., n.
358/1995). Questo aspetto è evidenziato anche in dottrina (TOSI L., op. cit., 346; FEDELE A., op. ult. cit., 2180; GALLO
F., Regime fiscale della famiglia e principio di capacità contributiva, in Riv. dir. fin., 1977, I, 94). Esplicite, in tal
senso, sono poi le considerazioni di PALADIN L., Il principio di eguaglianza tributaria nella giurisprudenza
costituzionale italiana, in Riv. dir. trib., 1997, I, 306-307.
23
Corte Cost., sent. n. 76/1983, ove si è affermato che, dai "principi costituzionali che sono a base della precedente
pronuncia", deriva che dal "sistema della separata tassazione ... il legislatore non può prescindere, dovendo
riconoscere ai coniugi, in ogni caso, il diritto di chiederne l'applicazione". In altre parole, con la sentenza in
questione la Corte non solo non ha escluso misure volte a valorizzare la famiglia come nucleo unitario, che anzi ha
continuato ad auspicare, ma non ha neppure escluso che tali misure siano considerate applicabili in modo
generalizzato, ben potendo il diritto a ottenere una imposizione separata essere soddisfatto mediante predisposizione
di uno specifico meccanismo opzionale in tal senso. Non contraddicono quanto appena affermato le sentenze
successive n. 266 del 1983 e n. 85 del 1985.
24
Ritengono, peraltro, che la famiglia debba essere considerata come un ente dotato di autonoma capacità giuridica
anche insigni giuristi come, ad esempio, BARILE P., Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova 1953, 14;
9 a essa di obblighi strumentali (come la presentazione della dichiarazione) o pecuniari e di diritti di
credito, ma può agevolmente essere soddisfatta con opportuni accorgimenti in punto di
commisurazione del debito d'imposta in capo ai singoli membri di essa: costoro, infatti, possono
ben mantenere la propria identità fiscale (25), eventualmente accompagnata a possibili forme di
responsabilità d'imposta alla configurazione delle quali deve congiungersi, come richiesto dalla
Corte Costituzionale, la possibilità per i coniugi di optare per un regime di tassazione strettamente
individuale.
(B) In secondo luogo, è necessario tener presente che il meccanismo di valorizzazione unitaria
della famiglia ai fini del tributo sul reddito deve garantire il rispetto di tutti gli altri principi
costituzionali, oltre a quello di capacità contributiva: fra tutti, il primo principio da garantire è
quello di uguaglianza di cui all'articolo 3 Cost. Ciò determina, per un primo profilo, la necessità
che la considerazione unitaria della famiglia non determini un carico impositivo maggiore rispetto
a quello che i membri di essa avrebbero sopportato se non fossero stati parte della famiglia stessa:
proprio per la violazione di tale aspetto del principio di uguaglianza, come si è visto, la Corte
Costituzionale ha dichiarato illegittimo il regime di cumulo dei redditi familiari previsto fino al
1976 (26). Per un secondo profilo, inolte, la necessità di rispetto del principio di uguaglianza
MAJELLO U., Profili costituzionali della filiazione legittima e naturale, Napoli 1965, 14. Inoltre, anche se non dovesse
condividersi questa posizione, sarebbe teoricamente possibile concepire la famiglia come vera e propria entità
soggettiva ai fini fiscali, vista la autonoma rilevanza del concetto di capacità giuridica tributaria rispetto a quella di
diritto privato: cfr., per tutti e fra i moltissimi, GALLO F., La soggettività tributaria nel pensiero di G.A. Micheli, in
Rass. trib., 2009, 611 ss.; SCHIAVOLIN R., La capacità contributiva. Il collegamento soggettivo, in Amatucci A.
(diretto da), Trattato di diritto tributario, cit., I, t. 1, 1 ss., par. 1; AMATUCCI A., Teoria dell’oggetto e del soggetto nel
diritto tributario, in Dir. prat. trib., 1983, I, 1987 ss.; MICHELI G.A., Soggettività tributaria e categorie civilistiche, in
Riv. dir. fin. sc. fin., 1977, I, 419 ss.
25
FEDELE A., op. ult. cit., 2172 e 2173 evidenzia che, assumendo come corretto presupposto quello per cui la famiglia
è centro unitario "di consumo e di erogazione", "la capacità contributiva non può che essere riferita a tutti i
componenti il gruppo" (e non a uno solo di essi) e in modo commisurato "alla somma dei redditi unitariamente
disponibili in ambito familiare, la cui destinazione è effettuata in considerazione dei bisogni e degli interessi di tutti i
componenti la famiglia medesima, cosicché al limite l'intera somma potrebbe essere erogata in funzione delle
necessità di uno solo di essi". Coerentemente, lo stesso FEDELE A., op. ult. cit., 2180 conclude che "l'obiezione che il
cumulo ... determinerebbe in certo qual modo il riconoscimento della soggettività passiva della famiglia in quanto
tale e ciò in contrasto con la natura dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, può essere superata laddove si
riconosca che l'esigenza di assumere tutti i redditi della famiglia ad imponibile può anche essere soddisfatta col
meccanismo dell'imputazione ad una o più persone fisiche dell'unico presupposto dalla somma di tali redditi
costituito". In senso analogo, GALLO F., Regime fiscale della famiglia e principio di capacità contributiva, cit., 94-95,
il quale osserva che "l'obbligo tributario" in capo al coniuge "deve sussistere indipendentemente dal fatto che la
capacità contributiva sia desunta avendo di mira il suo solo reddito o il reddito congiunto suo e di altro soggetto
passivo ... Nessun passo dell'art. 53 autorizza a riferire il carattere 'personale' dell'imposizione alla 'capacità
contributiva' che, in costanza di elementi rilevanti come l'esistenza di un nucleo familiare, può desumersi anche da
circostanze non imputabili separatamente ai soggetti passivi bensì ad essi comuni".
26
A tal fine, è bene rilevare che un argomento sovente utilizzato - specie in passato (per tutti, PERRONE L., Il cumulo
dei redditi familiari: costituzionalmente illegittimo o soltanto iniquo?, in Giur. cost., I, 1976, 2188 ss.) - a preteso
contrasto dell'affermazione appena effettuata nel testo è stato quello incentrato sul fatto che, in famiglia, le persone
realizzano economie di scala che da soli non realizzerebbero e che, pertanto, giustificherebbe la ricognizione in capo a
essa di una forza reddituale maggiore di quella sussistente in capo ai membri singolarmente presi. Siffatta
argomentazione è stata analizzata e rigettata anche dalla Corte Costituzionale nel 1976, sebbene in base ad
argomentazioni non soddisfacenti. In realtà, il vero motivo per cui la predetta osservazione non merita alcuna
condivisione consiste in ciò che tali economie di scala, laddove presenti, sono del tutto irrilevanti ed estranee rispetto
al presupposto IRPEF (così anche FEDELE A., "Possesso" di redditi, cit., 2184 nota 65; MOSCHETTI F., voce Capacità
contributiva, in Enc. giur., Roma 1988, par. 6.3, 12, il quale valorizza a tal fine anche l'art. 47 Cost.; TURCHI A., La
famiglia nell'ordinamento tributario, I, cit., 134). Nelle imposte sui redditi, le economie di scala possono al più
determinare un aumento della base imponibile quando il tributo sia applicato sugli utili netti (come avviene per
l'IRES), ma il rilievo può essere solo sul piano fattuale e quantitativo (maggiori sono le economie di scala, maggiore è
in punto di fatto la dimensione della base imponibile) e non su altri piani. Ciò fermo restando che tutto il discorso
10 richiede che i centri di riparto rappresentati dalle famiglie non siano trattati diversamente tra loro
quando non manifestino profili di diversità giuridicamente rilevanti ai fini del presupposto del
tributo reddituale (27). Volendo esemplificare, tra i profili di possibile diversificazione rilevanti ai
fini del presupposto dell’IRPEF vi può essere la diversa composizione categoriale dei redditi (28).
Per converso, tra i profili di possibile diversificazione che non sono rilevanti ai fini del
presupposto dell’imposta, una volta riconosciuta l’unitarietà della famiglia come centro di
imputazione di rapporti tributari, deve riconoscersi con sicurezza rientrare l’allocazione del
reddito in capo ai membri della famiglia stessa (29).
Il punto in questione appare particolarmente importante, poiché l’attuale sistema impositivo
italiano sul reddito si manifesta evidentemente inidoneo a soddisfare l’esigenza di non trattare
diversamente famiglie con composizione complessiva del reddito diversificata soltanto sotto il
profilo da ultimo menzionato (30), come evidenziato anche in modo piuttosto perentorio dalla
Corte Costituzionale (31).
(C) Date queste due premesse, i meccanismi tecnici mediante i quali può essere realizzata la
necessità di valorizzare la famiglia come centro unitario ai fini delle imposta sui redditi sono
essenzialmente tre, coma ha già avuto modo di evidenziare la stessa Corte Costituzionale:
(i) un adeguato sistema di detrazioni per carichi di famiglia;
(ii) un sistema di quoziente familiare;
(iii) un sistema di splitting familiare combinato con detrazioni (32).
portato avanti da chi sostiene la rilevanza delle economie di scala si basa su una nozione estremamente riduttiva e
patrimonialistica della capacità contributiva, che non tiene alcun conto della dimensione di "contabilità sociale" che,
invece, si è visto essere centrale ai fini della corretta soluzione dei problemi in questione.
27
Ciò in quanto, per un verso, l’alleggerimento dei compiti della collettività in chiave di autorganizzazione della
soddisfazione delle esigenze dei suoi membri che tali famiglie producono è considerato, in prospettiva costituzionale,
identico e, per altro verso, coincidono le situazioni fattuali concrete in relazione alle quali sorge l’obbligo di trasferire
risorse scarse a un altro soggetto a prescindere da una vicenda di specifica gestione di esigenze del primo da parte del
secondo.
28
Diversa modalità di computo della base imponibile o addirittura discriminazione come in caso di ILOR.
29
In altre parole, se la famiglia deve essere riconosciuta come centro tributario unitario, non può non considerarsi
identica ai fini dell’imposta sul reddito la situazione di una famiglia i cui due membri produttori di reddito producano
un reddito imponibile di cinquanta a testa, rispetto alla situazione di una famiglia i cui due membri produttori di
reddito producano l’uno un reddito imponibile di trenta e l’altra di settanta o viceversa, ovvero rispetto alla situazione
di una famiglia in cui il reddito imponibile di cento sia prodotto soltanto da un membro. Infatti, una volta riconosciuta
per i motivi suddetti la necessità di considerare unitariamente la famiglia come centro di rapporti tributari nell’imposta
sul reddito non si rinvengono ragioni razionalmente rilevanti che permettano di giustificare, nella prospettiva del
presupposto del tributo sul reddito, una diversificazione di trattamento nei casi predetti.
30
A questo riguardo, si osserva come la considerazione di SCHIAVOLIN R., op. cit., par. 2 (“l’idea che i componenti
delle famiglie monoreddito debbano essere agevolate sembra dunque, in realtà, determinata da un’affrettata
identificazione di esse con quelle più povere e con dalla mancata considerazione dei maggiori costi sopportati,
proprio per adempiere ai doveri familiari, da coniugi che lavorano entrambi”) appaia capovolta rispetto alla
concezione di capacità contributiva adottata e ritenuta corretta in questa sede: al contrario, sarebbe semmai lecito
ritenere che le famiglie monoreddito realizzino con maggior pregnanza il principio di autorganizzazione e gravino
meno delle altre sulla collettività per il soddisfacimento delle esigenze dei propri membri.
31
Cfr., in particolare, la sent. n. 358/1995.
32
Per quoziente familiare deve intendersi un meccanismo in cui vengono cumulati i redditi familiari, vengono
sottratte dal cumulo le spese per la produzione del reddito, viene suddiviso il totale netto così ottenuto per un divisore
risultante dalla sommatoria dei coefficienti attribuiti a ciascun membro della famiglia valorizzato ai fini del cumulo
(viene generalmente attribuito il coefficiente 1 a ciascun genitore e un coefficiente inferiore a 1 a ciascuno dei figli, se
del caso aumentando il coefficiente per i figli successivi al secondo o al terzo) e ciascuna delle quote così ottenute
viene tassata separatamente (applicando sul quoziente così ottenuto le relative aliquote e moltiplicando l'ammontare
così ottenuto per il numero che precedentemente ha rappresentato il divisore), con successivo scomputo di eventuali
detrazioni e crediti d'imposta (per alcune esemplificazioni di possibili declinazioni dei meccanismi di quoziente
familiare cfr. TURCHI A., La famiglia nell'ordinamento tributario, II, cit., 486 e 494). Lo splitting si distingue da
11 Il primo sistema è quello che il legislatore italiano sembra aver voluto adottare con l'art. 12 del
TUIR. Sennonché, il carattere incredilmente esiguo di tali detrazioni (33) rende lo strumento
attualmente disponibile del tutto inidoneo a raggiungere il fine al quale è preordinato. Infatti, nel
contesto di una imposta sul reddito progressiva e non semplicemente proporzionale come è
l’IRPEF italiana, il riequilibrio delle posizioni familiari mediante lo strumento delle detrazioni per
carichi di famiglia richiede un raffinamento dei meccanismi di flessibilità del quantum delle
detrazioni stesse che l'attuale legislazione, pur cercando di impostare, sicuramente non realizza.
Il secondo sistema (quoziente familiare) è un meccanismo in cui vengono cumulati i redditi
familiari, vengono sottratte dal cumulo le spese per la produzione del reddito, viene suddiviso il
totale netto così ottenuto per un divisore risultante dalla sommatoria dei coefficienti attribuiti a
ciascun membro della famiglia valorizzato ai fini del cumulo (viene generalmente attribuito il
coefficiente 1 a ciascun genitore e un coefficiente inferiore a 1 a ciascuno dei figli, se del caso
aumentando il coefficiente per i figli successivi al secondo o al terzo) e ciascuna delle quote così
ottenute viene tassata separatamente (applicando sul quoziente così ottenuto le relative aliquote e
moltiplicando l'ammontare così ottenuto per il numero che precedentemente ha rappresentato il
divisore), con successivo scomputo di eventuali detrazioni e crediti d'imposta.
Il terzo sistema (splitting familiare) si distingue dal quoziente essenzialmente per il terzo
passaggio, che risulta più semplificato per il fatto che vengono valorizzati ai fini del cumulo
soltanto i coniugi e, quindi, il divisore del reddito netto complessivo è sempre pari a due.
La scelta del quoziente o dello splitting deve preferirsi nella misura in cui rende strutturalmente
più stabile la valorizzazione unitaria della famiglia, rendendo più complessi eventuali interventi
del legislatore dettati da contingenti esigenze di cassa che invece sono particolarmente agevoli
(34).
Tra i due, inoltre, si manifesta maggiormente coerente con il sistema impositivo italiano il
meccanismo dello splitting. Infatti, il presupposto dell’imposta sul reddito italiana è
questo meccanismo essenzialmente per il terzo passaggio, che risulta più semplificato per il fatto che vengono
valorizzati ai fini del cumulo soltanto i coniugi e, quindi, il divisore del reddito netto complessivo è sempre pari a due.
La pari praticabilità in linea di principio di queste soluzioni è confermata anche da Corte Cost., sent. n. 76/1983, par.
7. Sul punto cfr. altresì TURCHI A., La famiglia nell'ordinamento tributario, II, cit., 452-472 (specie 452-454).
33
La palese insufficienza delle detrazioni previste dal TUIR è comunemente riconosciuta: per tutti cfr. MOSCHETTI F.,
La capacità contributiva. Profili generali, cit.; TOSI L., op. cit., 379; ANTONINI L., Sussidiarietà fiscale, cit., 137-140,
ove si dimostra come le misure attuali risultino radicalmente insufficienti anche in una prospettiva di salvaguardia del
minimo vitale e come la relativa insufficienza abbia avuto “non poca incidenza nel determinare una curva
estremamente regressiva nell’andamento demografico”, con conseguente “freno alla produttività e allo sviluppo” (ivi,
132). Sulla radicale insufficienza delle misure intraprese dall’ordinamento a favore della famiglia cfr. Corte Cost.,
sentt. nn. 76/1983, 276/1983, 85/1985. Un accurato esame storico dell'evoluzione della disciplina delle detrazioni per
carichi di famiglia è condotta da TURCHI A., La famiglia nell'ordinamento tributario, I, cit., 76 ss. e II, cit., 9-80.
34
In questo senso anche GALLO F., Regime fiscale della famiglia e principio di capacità contributiva, cit., 104, che si
è pronunciato inizialmente a favore di istituti quali il quoziente familiare o lo splitting, ritenendo tuttavia più di
recente – in chiave di politica fiscale e di salvaguardia delle esigenze di bilancio – il sistema della negative income tax
(cfr. Id., Ancora in tema di uguaglianza tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, 321 ss., nota 38); FANTOZZI A.,
Regime tributario, in Bianca C.M. (a cura di), La comunione legale, Milano 1989, II, 1091; SCALINCI C., La famiglia
'community care' nell'imposizione sul reddito, cit., 884. Evidenzia la strutturale instabilità delle detrazioni anche
TURCHI A., La famiglia nell'ordinamento tributario, II, cit., 50, il quale ricorda come la Corte Costituzionale abbia
peraltro considerato para-agevolativo, anziché strutturale, il sistema stesso (Corte Cost., n. 6/1998, esaminata
criticamente ivi, 477 e dalla restante parte della dottrina fra cui cfr. DE MITA E., Il minimo vitale e la tassazione della
famiglia, in Id., Fisco e Costituzione, III, Milano 2003, 590; ANTONINI L., La tutela costituzionale del minimo esente,
personale e familiare, in Riv. dir. trib., 1999, I, 867) ed evidenzia (ivi, 473-485) molteplici dubbi di costituzionalità
(per violazione degli artt. 3, 30, 31, 36 e 53 Cost., con particolare riguardo alla violazione del principio di
salvaguardia del minimo vitale familiare e ai mancati coordinamenti interni della normativa) del sistema delle
detrazioni e delle deduzioni attualmente previste dall'ordinamento italiano.
12 tendenzialmente spostato nella direzione del reddito prodotto piuttosto che in quella del reddito
entrata o ancor più evidentemente del reddito spesa: conseguentemente, guardando al versante
passivo del rapporto tributario, i membri della famiglia considerabili strutturalmente idonei al
concorso al sostenimento degli oneri collettivi in relazione al presupposto impositivo sono
necessariamente i coniugi. Quanto ai figli, per un certo periodo della propria vita essi sono per
natura inidonei a tale concorso e, sovente, lo sono anche in un periodo successivo in relazione a
possibili scelte di soddisfazione di esigenze personali (come ad esempio quella di proseguire negli
studi): in tali frangenti, il ruolo della famiglia come centro di soddisfazione di esigenze di persone
(i figli) che altrimenti dovrebbero essere soddisfatte con oneri a carico della collettività si presta
effettivamente ad essere valorizzato nel modo migliore con strumenti ulteriori come deduzioni,
detrazioni e crediti d'imposta, mentre eventuali redditi dei figli dovrebbero essere imputati in pari
quota ai genitori che hanno l'usufrutto legale dei cespiti che li producono (come del resto già fa
l'art. 4 del TUIR) (35).
In sintesi, pertanto, può dirsi che i principi fondamentali del patto costituzionale italiano
richiedono che, nell'imposta sul reddito, la famiglia sia considerata come centro unitario di riparto,
mediante strumenti come detrazioni per carichi familiari o quoziente familiare o, preferibilmente,
medianto lo strumento dello splitting congiunto con le detrazioni per i figli a carico. Oltre a ciò,
anche nella prospettiva dell'art. 31 Cost., la famiglia deve essere agevolata con apposite misure
fiscali di favore.
4. La famiglia nelle imposte indirette
Spostando l'attenzione sulla galassia dei tributi indiretti, e nell'impossibilità di svolgere in questa
sede un discorso che li riguardi tutti, bisogna evidenziare che la considerazione unitaria della
famiglia in tale ambito è resa complessa e difficoltosa dalla caratterizzazione del presupposto degli
stessi. I più rilevanti di essi, infatti, hanno alla base una vicenda civilistica di trasferimento di beni
la quale, potendo avvenire anche tra membri di una stessa famiglia con effetti giuridicamente
compiuti sul piano civilistico, impedisce di considerare la famiglia sempre come centro unitario e
indistinto ai fini del presupposto dei tributi indiretti. Quanto, poi, ai rapporti con terzi, il problema
della valorizzazione unitaria della famiglia ai fini del presupposto delle imposte in questione
appare tendenzialmente sterilizzato visto il carattere non progressivo di esse (36).
La necessità costituzionale di valorizzazione della famiglia, pertanto, dovrà tradursi in questo
ambito impositivo in misure agevolative e di favore, come sono ad esempio quelle che, in materia
di imposta sulle donazioni e successioni, prevedono esenzioni (come avviene ad esempio per il
passaggio interfamiliare gratuito dell'azienda ex art. 3, comma 4-ter del d.lgs. n. 346/1990) o
35
Per alcune considerazioni macroeconomiche circa gli effetti di un meccanismo similare a quello indicato nel testo,
che ricorda molto da vicino quello vigente in Polonia, cfr. VERNIZZI A. - MONTI M. - KOŚNY M, An overall inequality
reducing and horizontally equitable tax system with application to Polish data, in Aa.Vv., Towards quality of life
improvement, Wrocław 2006, 33-90.
36
A parte il bollo, nel qual caso tuttavia conta strutturalmente la cointestazione del deposito titoli, che individua il
centro di imputazione dei rapporti tributari in modo indipendente dal legame familiare che astringa i soggetti
contitolari. Sotto questo profilo, pertanto, la tutela e la promozione della famiglia dovrebbe essere attuata mediante
riduzione delle aliquote nel caso in cui i contitolari siano familiari, piuttosto che mediante valorizzazione della
famiglia come centro di imputazione dei rapporti tributari. Per quanto attiene all'imposta sulle successioni o donazioni
valgono le considerazioni svolte nel testo.
13 stabiliscono franchige e aliquote più generose i trasferimenti di beni fra membri della stessa
famiglia.
Prima di concludere sul punto, merita tuttavia effettuare un'ulteriore considerazione circa il fatto
che dovrebbe apparire evidente, alla luce delle riflessioni appena esposte, come l'ordinamento
costituzionale impedisca l'introduzione di strumenti giuridici che agevolino fiscalmente lo
scioglimento della famiglia. Ebbene, una situazione del genere è quella che si verifica allo stato
attuale in Italia: invero, nelle pieghe della legislazione si rinviene una norma la quale testualmente
afferma che "tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento
di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonchè ai
procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli
assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di
bollo, di registro e da ogni altra tassa" (art. 19 della legge n. 74 del 1987). Ora, alla luce delle
considerazioni che precedono appare evidente che una norma di questo tipo risulta palesemente
contraria al patto fondamentale alla base dell'ordinamento repubblicano (37). Anzitutto, tale norma
è contraria agli articoli 3 e 53 della Costituzione per intrinseca irrazionalità: invero, se
l'ordinamento costituzionale ha considerato la famiglia alla stregua di un soggetto nel quale riporre
affidamento al fine dell'alleggerimento degli oneri altrimenti ricadenti sulla collettività, non si
comprende per quale ragione dovrebbe essere favorita fiscalmente l'interruzione di tale
aggregazione superindividuale. In secondo luogo, e correlativamente, tale norma è contraria
all'articolo 3 della Costituzione nella misura in cui apre la strada a un trattamento fiscale
differenziato dei medesimi trasferimenti di cespiti in dipendenza della ricorrenza o meno di un
fatto (la sospensione o lo scioglimento dei vincoli familiari) che a tutto concedere non manifesta
alcuna rilevanza differenziale ai fini del presupposto del tributo indiretto (ma che, in realtà e come
visto, manifesta in realtà una rilevanza differenziale in senso opposto a quello previsto dal
legislatore, ossia in termini di necessità di aggravio del prelievo, piuttosto che di riduzione dello
stesso). Infine, la norma in questione si pone in palese contrasto con l'articolo 31 della
Costituzione, che richiede all'ordinamento di agevolare "con misure economiche e altre
provvidenze la formazione della famiglia" di cui all'articolo 29, e non lo scioglimento della stessa
(38). Peraltro, trattandosi di disposizione favorevole ai soggetti che ne fanno utilizzo, la questione
di costituzionalità della norma stessa risulta processualmente difficile da sottoporre all'esame della
Corte, considerata la prassi che vuole le pubbliche amministrazioni non impegnate nell'eccepire
l'incostituzionalità di norme dell'ordinamento ad esse sfavorevoli ( 39 ): tale difficoltà ha
37
Sul contesto complessivo della riforma entro la quale la norma in questione si colloca cfr. TRABUCCHI A., Un nuovo
divorzio: il contenuto e il senso della riforma, in Riv. dir. civ., 1987, II, 129 ss.
38
TURCHI A., La famiglia nell'ordinamento tributario, II, cit., 3 sottolinea al riguardo la necessità che il legislatore
introduca misure di favore per la costituzione della famiglia anche nel settore delle imposte indirette. In proposito,
l'agevolazione per l'acquisto della prima casa di abitazione può essere considerato solo indirettamente come una
misura di sostegno alla famiglia, risultando applicabile anche a contribuenti non sposati: gli unici aspetti per i quali la
famiglia viene tecnicamente in rilievo consistono nella verifica della presenza di altre abitazioni di proprietà nel
Comune e di altre abitazioni che hanno beneficiato dell'agevolazione, per un verso, e nella verifica dello stabilimento
della residenza nel Comune stesso, per altro verso. Tali aspetti, come evidente, si contrappuntano (determinando, il
primo, un trattamento più restrittivo per i coniugi in comunione legale o convenzionale a seconda delle ipotesi e, il
secondo, un trattamento estensivo prospettato dalla giurisprudenza nel riferire il concetto di "propria residenza" anche
ai familiari: su punto cfr. TURCHI A., op. ult. cit., 93-107), non potendosi quindi considerare la fattispecie in esame
una misura tecnicamente a sostegno della famiglia, ma della sola esigenza abitativa di cui all'art. 47, comma 2 Cost.
39
Esclusa, per queste ragioni, la possibilità che la questione di costituzionalità venga incidentalmente sollevata dal
giudice tributario, l'eventualità che essa venga sollevata anche d'ufficio da altri giudici appare assai remota, poiché
difficilmente la questione assumerà quel carattere di rilevanza ai fini della decisione di un giudizio civile o
14 determinato, addirittura, l'estensione dell'ambito applicativo della norma da parte della Corte
Costituzionale ( 40 ), oltre a un approccio interpretativo insolitamente estensivo da parte di
giurisprudenza e prassi. Operativamente, pertanto, l'unica via per sollevare la questione di
costituzionalità con riferimento alla norma in questione appare quella di invocarla come tertium
comparationis nel caso di impugnazione di atti impositivi relativi a operazioni che sarebbero state
esenti nel caso in cui compiute nel contesto di vicende di sospensione o scioglimento della
famiglia.
5. Considerazioni di sintesi
Tirando le fila del discorso, emerge come il patto fondamentale che la nazione italiana ha deciso di
darsi, fondandosi sulla centralità delle esigenze della persona umana e sulla valorizzazione del
principio di autorganizzazione e sussidiarietà orizzontale per soddisfarle, ed avendo posto al
centro di tali principi la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, richieda come
necessaria la valorizzazione della famiglia nel quadro del riparto delle risorse e degli oneri della
collettività.
Le concrete modalità attraverso le quali tale valorizzazione deve realizzarsi si diversifcano a
seconda dei profili di riparto che sono oggetto di considerazione e, nel sistema tributario erariale,
devono tradursi nella necessità - laddove tecnicamente possibile - di considerare la famiglia
costituzionale come nucleo unitario di imputazione di posizioni tributarie, nonché e comunque
nella necessità di introdurre specifiche misure di promozione di essa.
Si tratta di punti fermi che l'attuale sistema tributario è molto lontano dal realizzare in modo
costituzionalmente adeguato. Al contrario, il sistema tributario italiano presenta oggi, accanto ad
alcuni istituti debolmente favorevoli alla famiglia, molteplici istituti che, anziché favorire la
famiglia e la sua formazione, favoriscono in realtà le vicende legate allo scioglimento di essa: il
riferimento è, in particolare, alla mancata attuazione di forme di splitting o quoziente familiare
(che continua a indurre i contribuenti a ottenere la seperazione legale al fine di "ripartire"
surretiziamente con il coniuge la materia imponibile godendo di deduzioni ed esclusioni
dall'imponibile che possono ampiamente superare le detrazioni per il coniuge non formalmente
separato che risulti a carico) e alle vere e proprie agevolazioni fiscali su separazione e divorzio che
vigono in materia di imposte indirette.
amministrativo che costituisce uno dei due presupposti per la rimessione degli atti al giudizio di palazzo della
Consulta.
40
Le sentenze della Corte Costituzionale n. 176 del 1992 e n. 154 del 1999, infatti, sono state formalmente delimitate
alla questione della estensione delle agevolazioni previste dalla legge per il divorzio anche alla procedura di
separazione e non hanno in alcun modo preso in esame la problematica della razionalità del fondamento della norma,
con riferimento alla quale viene fugacemente soltanto affermato che alla base vi è una generica "esigenza di agevolare
l'accesso alla tutela giurisdizionale" e che tale esigenza si manifesterebbe con "ancor più accentuata evidenza
presente nel giudizio di separazione, ove la situazione di contrasto ..., cui occorre dare uno sbocco, esibisce, di
regola, toni di ben maggiore asprezza e drammaticità di quelli che essa manifesta nella fase già stabilizzata
dell'epilogo divorzile". Appare fin troppo l'inconsistenza di tale motivazione, poiché l'esigenza di agevolare l'accesso
alla tutela giurisdizionale e l'asprezza e drammaticità delle situazioni sottese all'accesso al giudice sussiste in una
infinità di altre situazioni che, invece, non godono di alcune previsione di favore da parte del legislatore tributario.
Quanto alla sent. n. 202/2003 valgono considerazioni analoghe, mentre nelle ordd. nn. 298/2005 e 303/2006 la Corte
non ha espresso valutazioni di merito essendosi arrestata al livello della manifesta inammissibilità in rito delle
questionni sollevate.
15 Guardato nel prisma della famiglia, quindi, l'attuale sistema tributario italiano presenta profili di
irrazionalità e squilibri particolarmente gravi e meritevoli di rimozione. Ciò non solo nella
prospettiva del ristabilimento della legalità costituzionale, ma anche e ancor prima nella
prospettiva della rivitalizzazione di una cultura identitaria che è da sempre vissuta valorizzando
l'autorganizzazione della società civile e che più di ogni altra ha esportato nel mondo tale modello
di sussidiarietà.
Una valutazione complessiva delle dinamiche delle "contabilità sociale", inoltre, rende quanto mai
opportuna una simile rivitalizzazione nell'attuale contesto di crisi finanziaria degli enti pubblici e
di crescente affanno degli stessi nel reperire risorse per far fronte alla soddisfazione di esigenze
personali che, in molti casi, non sarebbero sugli stessi scaricati laddove le famiglie fossero
adeguatamente sostenute nella propria formazione e funzione. Il sostegno anche fiscale della
famiglia, infatti, se nel breve periodo può comportare la riduzione di una parte del gettito tributario
(riduzione comunque sotto alcuni profili già immediatamente compensabile con l'eliminazione
delle agevolazioni fiscali allo scioglimento della famiglia), in una prospettiva di più ampio respiro
si manifesta come uno degli istituti maggiormente efficaci a realizzare il progetto costituzionale, a
liberare risorse e spazi per la creatività economica e a riequilibrare la stessa contabilità degli enti
pubblici.
FRANCESCO FARRI
16