la natura pluralistica dello Stato

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la natura pluralistica dello Stato
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ARISTOTELE
PLURALISMO
(Politica, II, 1260b-1261b)
1. E siccome ci proponiamo di fare un esame intorno alla comunità politica, quale sia
la migliore tra tutte per quanti possono vivere nel modo più corrispondente ai loro voti,
bisogna studiare anche le altre costituzioni, sia quelle vigenti in alcuni stati, di cui si dice che
sono ben governati, sia talune altre esposte da certi pensatori e che hanno fama di essere
buone, affinché si scorga quel che v'è di giusto e di utile e insieme non sembri dovuta solo a
desiderio di cavillare a ogni costo la ricerca di qualche altra forma diversa da quelle, ma
risulti anzi che abbiamo intrapreso questa indagine proprio perché quelle ora esistenti non
vanno bene. Bisogna innanzi tutto prendere l'inizio da quel che è l'inizio naturale di tale
esame, cioè è necessario che o tutti i cittadini abbiano in comune tutto, o niente o alcune cose
si, altre no. Che non abbiano niente in comune e manifestamente impossibile (infatti il regime
d'uno stato è una forma di comunità, e per prima cosa bisogna che sia comune il territorio
perché è uno il territorio di uno stato e i cittadini hanno in comune un unico stato). Ma di
quante cose si possono avere in comune, lo stato che deve essere bene amministrato, è meglio
che le abbia tutte in comune o è meglio che alcune si, altre no? Perché è possibile che i
cittadini abbiano tra loro in comune e figli e donne e averi, come nella Repubblica di Platone:
ivi, infatti, Socrate dice che dev'esserci comunanza di figli, di donne, di beni. Ordunque, è
meglio un ordinamento come quello ora vigente o tino conforme alla legislazione descritta
nella Repubblica?
2 Certo, la comunanza delle donne i comporta molte difficoltà, di varia natura, e il
motivo per cui Socrate dice doversi dare forza di legge a siffatta norma non sembra
discendere dai suoi argomenti: inoltre, rispetto al fine ch'egli dice doversi assegnare allo
stato, il suo piano com'egli in realtà lo descrive, è impossibile e non è precisato in che modo
si deve interpretare: intendo cioè l'unità che lo stato intero deve raggiungere, come il suo
bene supremo, la più completa unità: il che Socrate pone quale principio fondamentale.
Eppure è chiaro che se uno stato nel suo processo di unificazione diventa sempre più uno,
non sarà più neppure uno stato, perché lo stato è per sua natura pluralità e diventando sempre
più uno si ridurrà a famiglia da stato e a uomo da famiglia: in realtà dobbiamo ammettere che
la famiglia è più una dello stato e l'individuo della famiglia: di conseguenza chi fosse in
grado di realizzare tale unità non dovrebbe farlo, perché distruggerebbe lo stato.
D'altronde uno stato non consiste solo d'una massa di uomini, bensì di uomini
specificamente diversi, perché non si costituisce uno stato di elementi uguali. Altro è
un'alleanza militare, altro uno stato: l'una è utile per la sua quantità, pur se c'è identità di
specie (perché lo scopo naturale dell'alleanza è di prestare aiuto) come un peso fa inclinare di
più la bilancia (e per una differenza di questo genere anche lo stato differirà da un popolo,
quando la massa dei suoi abitanti non sia dispersa per i villaggi, ma sia raccolta come gli
Arcadi). Gli elementi, dunque, da cui deve risultare l'unità, sono specificamente diversi. E per
questo l'uguaglianza per reciprocità conserva gli stati, come s'è già detto nei trattati di etica: e
questo si deve necessariamente verificare anche tra persone libere ed eguali, giacché non
possono avere il comando tutti nello stesso tempo, ma o per un anno o per un altro periodo di
tempo. In tal modo avviene che tutti arrivano al governo, come se i calzolai e i muratori si
alternassero nel mestiere o non fossero calzolai e muratori sempre gli stessi. Ma poiché
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compiere le stesse funzioni è meglio anche per gli affari della comunità politica,
evidentemente è preferibile, se si può, che sempre gli stessi siano al governo: negli stati, poi,
dove ciò non è (1261) possibile, giacché sono tutti uguali per natura e insieme è anche giusto
che, sia il governare un bene o sia un male, tutti ne partecipino, se ne ha un'imitazione
quando quelli uguali si cedono a turno il potere e sono come uguali, una volta fuori di carica:
quindi questi governano, quelli sono governati, a turno come se fossero diventati degli altri.
Allo stesso modo tra quelli che governano, gli uni coprono una carica, gli altri un'altra. È
evidente, dunque, da queste considerazioni, che lo stato per sua natura non deve avere
quell'unità di cui parlano alcuni e che quel che sì vanta come il più grande bene degli stati, in
realtà li distrugge: e invero è il bene di ciascuna cosa che conserva ciascuna cosa. Pure in un
altro modo si dimostra che il cercare un’eccessiva unità per lo stato non è il meglio. Infatti la
famiglia è più autosufficiente dell'individuo, lo stato più della famiglia e uno stato vuol essere
veramente tale quando la comunità dei suoi componenti arriva ad essere ormai
autosufficiente: se quindi è preferibile una maggiore autosufficienza sarà preferibile pure
un'unità meno stretta a una più stretta.
Analizza il testo e rispondi alle domande:
1. Quale domanda pone Aristotele e quale problema solleva?
2. Che cosa cerca Aristotele mediante l’analisi delle costituzioni
costituzioni esistenti?
3. Qual è la sua opinione rispetto alle costituzioni esistenti?
4. Che cosa hanno in comune i cittadini di uno stato?
5. E’ d’accordo Aristotele con il comunismo platonico?
6. Secondo lui è realizzabile il modello platonico?
7. Qual è il limite maggiore
maggiore dello stato platonico secondo Aristotele?
8. Quale dei due filosofi ha ragione secondo la tua opinione, e per quale motivo?
9. In che cosa consiste uno stato per Aristotele?
10. Che relazioni hanno fra loro gli individui di uno stato?
11. A che tipo di stato si riferisce
riferisce Aristotele quando parla di rotazione delle cariche di governo?
12. Qual è la forma di governo migliore per Aristotele?
13. Considera questa riflessione aristotelica sulle caratteristiche delle comunità politiche umane in relazione al suo
pensiero politico.
14. Ritieni ancora attuale la posizione d Aristotele, per quale motivo?