Plurali all`italiana

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Plurali all`italiana
SETTIMANA 19-2012 v88:Layout 1 08/05/2012 12.56 Pagina 12
problemi
MODI, SPAZI, PROTAGONISTI DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO / 2
Plurali all’italiana
A bbiamo visto, nella prima pun-
settimana 13 maggio 2012 | n° 19
tata del nostro percorso (cf. Sett. n.
18, p. 12), che le esperienze di dialogo interreligioso non mancano
nel nostro paese: anche se spesso
restano sottotraccia, nell’informazione e nella percezione comune,
per molti motivi. Il primo dei
quali, probabilmente, è il sentimento generalizzato di preoccupazione, se non di vera e propria
paura, diffusosi negli ultimi due
decenni in relazione al processo di
progressiva pluralizzazione dei riferimenti religiosi che ha caratterizzato – al pari di parecchi altri
stati europei – il panorama italiano.
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Preoccupati o attratti? Il sociologo Franco Garelli, nel suo ultimo
libro Religione all’italiana,1 sostiene che, alla domanda se l’Italia
sia ormai una nazione religiosamente differenziata, si debba rispondere con cautela, dato che il
cattolicesimo continua a rappresentare il riferimento più diffuso
nella popolazione, pur in un orizzonte che si sta sensibilmente modificando: sia per il flusso crescente di immigrati stranieri (portatori di culture e di tradizioni religiose diverse), sia per il fenomeno di individualizzazione delle
credenze che intacca le forme tradizionali di religiosità.
La stessa indagine, in merito
alla percezione da parte degli italiani del pluralismo religioso, rileva che per il 46,4% esso viene
letto come una minaccia per la nostra identità, mentre il 57,7% lo
giudica fonte di arricchimento culturale e ben il 69% (era possibile
fornire più di una risposta) una
causa diretta di conflitti. In definitiva, di fronte al pluralismo gli
animi si dividono e non di rado,
s’infiammano.
È plausibile immaginare che
una parte della popolazione (in
particolare i giovani) sia attratta
dalle nuove fedi, più in termini
culturali che religiosi o spirituali;
che molti stiano abbandonando
l’idea di una fede esclusiva, unica
depositaria della verità o della salvezza, prefigurando che la ricerca
spirituale si articoli in itinerari diversi, tutti legittimi, tendenti verso
una sola direzione.
Tale apertura culturale tende
invece a ridursi drasticamente
quando si è di fronte a fenomeni
religiosi considerati dagli esiti imprevedibili, che manifestano una
vitalità in grado di scompaginare
gli equilibri prevalenti: sembra
questo, ad esempio, il sentimento
più comune nei confronti di un
islam in continua crescita (fino a
vivere la sindrome del fortino assediato, allorché il nuovo che
avanza pare minacciare le proprie
appartenenze di fondo e le conquiste acquisite).
In sintesi, secondo Garelli, in
maggioranza gli italiani – in linea
con quanto succede in altre nazioni europee misuratesi prima di
noi con il pluralismo religioso ed
etnico – sono favorevoli a un confronto con le nuove religioni: a
condizione che non modifichi
troppo i loro riferimenti di fondo e
non produca eccessive tensioni sul
territorio, resti confinato cioè più
nella sfera privata che in quella
pubblica.
Il quadro trova di fatto conferma nell’indagine condotta per
Il Regno, nel 2010, da Paolo Segatti, docente di sociologia politica
all’università di Milano, secondo
cui il processo di secolarizzazione
in Italia non si è fermato, ma ha
prodotto un’accentuata varietà nei
modi di vivere il rapporto con la
religione, nel quadro di un paese
che, da cattolico, sarebbe divenuto
genericamente cristiano.2
L’Italia delle religioni. In ogni
caso, il pluralismo religioso è oggi
un dato acquisito del nostro paesaggio sociale e culturale: dalla religione degli italiani, si è detto con
uno slogan accattivante, all’Italia
delle religioni (cf. riquadro). Un
mutamento non ancora ben metabolizzato che, per certi versi, non è
recente, e ha radici lontane, riconducibili a tendenze lunghe delle
società occidentali; mentre, per altri, è connesso a fenomeni innescatisi dopo la seconda guerra
mondiale e acceleratisi dalla metà
degli anni 60. In ogni caso, l’at-
tuale Italia delle religioni era persino impensabile, sino a poco fa…
Ed ecco che appare scontata la
constatazione secondo cui l’islam
costituisce la seconda religione fra
quelle praticate, comprese alcune
decine di migliaia di connazionali
convertiti; o il fatto che i centri
islamici stiano spuntando come
funghi nei quartieri popolari delle
grandi città e in paesi di provincia.
Rappresenterebbe poi la logica
conclusione di un percorso di reciproca conoscenza l’approvazione
definitiva dell’Intesa fra l’Unione
buddista italiana e il parlamento,
volta a tutelare il crescente numero di seguaci del BuddhaDharma nella penisola, che invece
non è avvenuta ed è ancora, assieme ad altre, in stand by. In aumento sono centri buddisti e singoli affascinati dalla spiritualità
orientale, ma anche i neobuddisti
della giapponese Soka Gakkai. Lo
stesso dicasi per gli hinduisti d’Italia, forti di un ashram, nei pressi
di Savona, considerato uno dei
maggiori del vecchio continente. E
per i sikh, che vantano un centro
nazionale in un ex capannone industriale trasformato in gurdwara
nella campagna reggiana presso
Novellara; mentre lo scorso agosto
c’erano oltre tremila persone a festeggiare la creazione del più
grande tempio sikh d’Italia, a Pessina Cremonese.
È sotto gli occhi di tutti il boom
d’interesse per l’ebraismo e la cultura ebraica nelle sue varie sfaccettature, nonostante la relativa
incidenza numerica degli ebrei
italiani iscritti alle appena ventuno comunità sparse nella penisola (nessuna a Sud di Napoli): si
pensi, ad esempio, ai festival di
folklore, musica e cucina, o alla ce-
Il “mosaico delle fedi” in cifre
Le cifre del mosaico delle fedi in salsa italiana sono difficili da
definire con precisione. In primis, non esistono dati ufficiali ricavabili da censimenti; inoltre, in un paese di solida tradizione cattolica, l’appartenenza religiosa tende naturalmente a collocarsi
in tale contesto anche quando vi corrisponda una pratica modesta
o nulla, o ci si consideri di fatto esterni alla comunità ecclesiale.
Un terzo problema deriva dal fatto che un contributo forte al mosaico viene dall’immigrazione, che solo in tempi recenti si è andata stabilizzando, favorendo ricerche meno contingenti e locali,
in grado di offrire un quadro plausibile delle appartenenze confessionali. Con cautela, dunque, mi limito a proporre qualche
stima, almeno indicativa: ebrei 35.000, protestanti storici 57.000,
pentecostali 250.000, altri evangelici 50.000, evangelici raccolti
in chiese etniche 200.000, ortodossi 1.400.000, testimoni di
Geova 400.000, mormoni 25.000, musulmani 1.500.000, buddisti 100.000, hinduisti 105.000, religioni tradizionali africane
46.000, sikh 25.000, Baha’i 3.000. (B. Salvarani)
lebrazione della Giornata della
memoria, ogni 27 gennaio a partire dal 2001, e delle Giornate europee della cultura ebraica, a inizio settembre.
Una casa comune. Non va sottovalutata l’incidenza del rinnovato protagonismo di compagini
ecclesiali che accompagnano da
molti secoli (sia pure in condizioni
di minoranza, sul piano numerico)
l’evoluzione della storia nazionale,
quali la chiesa valdese, cuore e radici nelle omonime valli nel Pinerolese e una buona popolarità; e la
chiesa ortodossa, in cui gli arrivi
recenti degli immigrati dall’Europa orientale si mescolano ad una
presenza tanto antica quanto discreta.
Quasi tutte le chiese storiche
del protestantesimo (valdesi, luterani, metodisti, battisti, Esercito
della salvezza, con alcune chiese libere e pentecostali) fanno parte
della Federazione delle chiese
evangeliche in Italia (FCEI), sorta
nel 1967. A questi si aggiungono
gli Avventisti del Settimo Giorno,
i Fratelli, gli Apostolici e alcune denominazioni minori. Numericamente, però, il grosso della comunità evangelica è riconducibile alla
galassia pentecostale: dalle Assemblee di Dio in Italia (ADI) alla
Federazione delle chiese pentecostali (FCP). Il patchwork è peraltro
ben più articolato: basti pensare
alla rilevanza delle tessere costituite dai Testimoni di Geova con
le Sale del Regno sparse a macchia
di leopardo, i (cosiddetti) Mormoni, i Baha’i… sino ai nuovi movimenti religiosi, che meriterebbero un’analisi a sé.
In sintesi: se gli italiani sono ancora in maggioranza cattolici, per
storia e deposito culturale, occorrerà attrezzarsi per affrontare un
simile panorama eccezionalmente
in progress, destinato a convivere
col processo di secolarizzazione
tuttora in atto. Verso la realizzazione di una casa comune delle
fedi, e impossibile da edificare se
non accettando a pieno titolo la
sfida faticosa di una laicità inclusiva e del pieno riconoscimento reciproco.
Brunetto Salvarani
1 Garelli F., Religione all’italiana, Il Mulino, Bologna 2011.
2 Segatti P. - Brunelli G., “Da cattolica a generalmente cristiana”, in Il Regno-Attualità n.
10 (2010), pp. 337-351. Cf. anche i più recenti
Cartocci R., Geografia dell’Italia cattolica, Il
Mulino, Bologna 2011; Pace E., Vecchi e
nuovi dei. La geografia religiosa dell’Italia che
cambia, Paoline, Cinisello B. 2011.