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Massimo Romagnoli Le tre caravelle in un mare di guai Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è puramente casuale. www.giunti.it © 2016 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia Piazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia Prima edizione: febbraio 2016 Ristampa Anno 6 5 4 3 2 1 0 2020 2019 2018 2017 2016 Roma 1 È stato il cielo a mandarlo per mettermi alla prova. Non c’è dubbio. Alla prima telefonata di Valduzzi avevo subito pensato a uno scherzo. Sai quante volte ci avevano provato Nando o Dome nico con le loro storielle del cavolo? Avevo finito con le pulizie del locale e mi apprestavo a fare una bella partitella a scacchi on line. Quando aveva squillato il telefono avevo immediatamente pensato a un operatore dell’energia elettrica o della compagnia telefonica che mi assillavano tutti i giorni. Alzai la cornetta con l’intenzione di interrompere subito la conversazione, ma una voce autoritaria, profonda e decisa, si presentò come «Valduz zi» e chiese di parlare con il proprietario del pub. Sembrava la voce di un dirigente più che di un operatore qualsiasi. «Sono io» dissi un po’ allarmato. «Mi scusi il disturbo, la chiamo perché mia nipote dice di averla conosciuta nel suo pub e di aver affrontato con lei un discorso… molto interessante per me.» Perplesso, appiccicai la cornetta all’orecchio. «Mia nipote sostiene che lei è in grado di risolvere qualsiasi mistero con l’astrologia e mi ha consigliato vivamente di con tattarla, perché… vede… io ho bisogno di risolvere proprio un mistero.» 7 Ecco, il solito scherzo di Domenico o di Nando: un sacco di volte ci avevano provato al telefono. «’A Nando, ma perché non vai a provare sulla metropoli tana?» urlai. Dopo un attimo di esitazione, dall’altra parte del filo la voce si fece ancor più decisa, assolutamente differente da quella di Nando o di Domenico, e neanche lontanamente riconducibile a un loro qualsiasi tentativo di imitazione: «Non ho capito be ne. Cosa c’entra la metropolitana? È lei il proprietario del pub esperto in astrologia?». «Mi sa che non è uno scherzo» mormorai. «Ehm… sì, sì, sono io. Mi scusi ce l’avevo con… con il cane di un mio amico che pretende sempre qualche croccantino. Ha bisogno di un astrologo quindi?» continuai, cercando di prendere seriamente il colloquio. «No, io ho bisogno di un detective, poi lei può usare tutti i metodi che vuole, l’importante è che trovi mio figlio. Dietro un lauto compenso ovviamente.» Valduzzi concluse la telefonata ordinandomi, quasi, di fare un salto nel suo studio, dove mi avrebbe illustrato tutti i detta gli della faccenda. Entro la settimana però, perché non poteva aspettare di più. Mi lasciò l’indirizzo e il numero di telefono e si congedò con l’augurio di vedermi al più presto. Riattaccai e subito andai ad affacciarmi fuori dal locale, sicuro di sorpren dere uno dei miei due amici col telefonino in mano. Non ero ancora convinto. Nessuno. E se veramente non fosse stato uno scherzo? Co minciai a fare delle supposizioni. La nipote, aveva detto il tipo. Con chi avevo parlato al locale di astrologia, ultimamente? Mah! Doveva essere un’avventrice 8 occasionale, capitata per caso durante una delle mie “conferen ze” improvvisate. Forse quella splendida ragazza, insieme all’altro tipo, a cui avevo attaccato una pippa micidiale che li aveva così entusia smati? Volevano persino organizzare una pièce teatrale con me protagonista, dicevano. Oppure chi? Spesso, a causa del mio Giove natale in prima casa, tendo ad allargarmi parecchio e mi vanto di essere capace di ricostruire l’intera vita di una persona studiandone con attenzione il suo tema natale. Si può risalire a tutto, sono solito affermare, perché tutta la vita è già scritta nel tema natale. Sapete quante volte l’ho raccontata questa storia, davanti agli occhi affascinati soprattutto delle ragazze? È andata sicu ramente così. Una cliente avrà creduto alle mie parole e sarà andata a raccontarlo al tipo che dice di aver bisogno di un detective. Io, comunque, all’appuntamento ci vado. Magari ci faccio qualche soldo, e poi sono convinto di quello che dico. Potrebbe essere una buona occasione per mettermi alla prova e dimo strare che non sono tutte panzane quelle che dico. Ci vado, sì, sì. Magari è l’inizio di una nuova professione. Magari! Sono venticinque anni che tengo in piedi ’sto pub e comincio a perdere i colpi. È sempre più dura andare avanti, non sono più un ragazzetto e sento il bisogno di godermi finalmente la campagna in cui sono andato a vivere. Quasi tutti i giorni, con la macchina, tra andata e ritorno, faccio più di sessanta chilometri per venire al Pigmalione, nel quartiere di San Lorenzo, e fare sempre le tre di notte comincia a pesarmi. L’ ho già detto, non ho più l’età. In campagna sto 9 bene e mi sento in pace con me stesso. Ho comprato il terreno accanto a quello di Claudia e adesso siamo vicini di casa. Ave vamo aperto il Pigmalione insieme nel 1990; allora lo volevamo chiamare Il punto G, ma poi ci abbiamo ripensato. Troppa fatica a dover spiegare il significato. Così abbiamo deciso per Pigmalione, che contiene comunque le lettere P e G. Claudia ha retto per qualche anno e poi non ce l’ha fatta più. L’ Urano sull’ascendente, nel suo tema natale, quadrato al sole, purtroppo non l’ha dotata della pazienza necessaria a gestire un locale pubblico. Ha mollato il pub e dopo diverse peripezie ha trovato la strada dei prodotti biologici. Ha aperto anche un sito, Le Medichesse di Clo, così fa la francesina. È stata una buona cosa per me, dal momento che litigavamo spesso di fronte agli sguardi divertiti o sconcertati dei clienti. Non che adesso non litighiamo più, però lo facciamo solamente davanti ai nostri cani o a qualche gallina. Il fatto è che Claudia e io siamo completamente diversi, e chiunque, a digiuno di astrologia, non capirebbe il motivo del nostro rapporto. Abbiamo la croce dei segni zodiacali. Io sono un Acquario ascendente Scorpione e lei è un Toro ascendente Leone. L’ aggiunta di diversi pianeti posti strategicamente in punti comuni a tutti e due spiega perfettamente le varie dina miche. Insomma, nonostante le nostre consistenti differenze, che continuano a creare numerose incomprensioni, siamo attaccati come Gesù Cristo alla croce. Certi astrologi lo chia mano legame karmico, io invece propendo per sfiga karmica. Ma, a parte gli scherzi, ho imparato ad accettare quello che c’è scritto nelle nostre carte natali, altrimenti non avrei deciso di andare ad abitare vicino a lei. Comunque, ognuno ha i suoi spazi. Il lavoro al locale adesso lo gestisco a modo mio, come 10 faccio con gli strampalati clienti. Eh sì, non so per quale moti vo, ma ho l’incredibile capacità di attirare gente strana. Gente che è possibile trovare solo qui. Il giovedì, per esempio, il giorno del torneo di biliardino, la fauna di prima serata è sempre la stessa: c’è Pancrazio, il mio nuovo compagno di squadra, un pugile con due bicipiti grossi come tutto il biliardino, che ho abituato a mangiare uova sode prima delle partite, come Rocky. Igo, Riccardo e Franchino che si sfidano a scacchi; Fabietto che volteggia nella sala co me Fred Astaire, per poi finire, a conclusione di serata, per assomigliare al vecchietto danzante in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Gianpietro arriva invece quando il livello dell’alcol supera quello della ragione, se ne sta seduto al bancone con una birra doppio malto e un gin, e schernisce a turno tutti gli altri avventori, che ormai neanche rispondono più sapendo che la guerra è persa in partenza. Come scimmie urlatrici berciano soliloqui incomprensibili, capeggiati dalle sontuose tette di Sara che incita Fabietto nella danza. Claudio Pane e Gianluca abbandonano di tanto in tanto la conversazione e guardano costernati la scena. Entrambi all’unisono scuotono la testa come i cagnolini che una volta si mettevano davanti al lunotto posteriore delle macchine. Bruno il sassofonista beve la sua birra dall’altra parte del bancone, ben distante da Gianpietro, e mormora il solito mantra: «Un disastro, è un disastro». «I miei occhiali!» Questo giovedì Franchino non trovava i suoi occhiali. «Ce li avevo qua sul tavolo, che fine hanno fatto?» «Hai guardato bene? Magari sono caduti» dissi. «Niente da fare, non ci sono.» «Facciamo mente locale: chi c’era con voi?» 11 «C’eravamo noi a giocare a scacchi e poi Peppe che guarda va, magari li ha presi lui quando se ne è andato scambiandoli per i suoi.» «Sicuramente è andata così, li avrà inforcati senza render sene conto e ora se ne sta tornando a casa traballante e con la vista annebbiata, convinto di aver bevuto un bicchierino di troppo. Stasera non se ne accorge di certo.» Alle tre di notte tornai a casa accolto dalle feste di Ginetto junior e dai mugolii di piacere di Inuit, i miei adorati cani. Prima di entrare rivolsi il solito saluto a Orione e alle Pleiadi e questa volta anche alla luna che spuntava dal bosco. «Fermati, fermati! Non correre così che non vedo niente.» Avevo fatto l’errore di proporre di accompagnare Claudia nella ricerca di erbe officinali per il suo laboratorio di creme bio. Le avevano dato una vaga informazione su un oliveto in cui prosperavano dei fiori mitici, dalle proprietà portentose, e pretendeva che io, mentre camminavo, individuassi il luogo magico; ma ormai aveva già dimenticato l’oliveto e scrutava concentrata i colori della campagna per scovare i preziosi fio ri. Che non abbiamo trovato, come l’oliveto. Questo succede a mettersi nelle mani di dilettanti. Però cucinava per me e le dovevo della gratitudine. Claudia si è sempre occupata della cucina, mentre io mi sono dedicato ai lavori agricoli. Sul suo terreno ho recupe rato una vigna dall’abbandono facendomi un mazzo non in differente. In cambio lei ha restituito quello che poteva, cioè un vino bianco di nove gradi, dal sapore incerto e dalla vita brevissima. Le tre caravelle mi vengono dietro a ogni passo. Oggi ol 12 tre al grano avevo anche un po’ di pane secco sminuzzato per benino. Claudia le chiama le tre caravelle pure se sono quattro, per via del fatto che camminano una dietro l’altra, come vengono di solito raffigurate le caravelle di Colombo. Depongono quattro belle uova fresche tutte le mattine. A dire il vero la dose si è dimezzata da quando quelle impunite han no fatto un accordo con i miei due cani. L’ accordo si basa su uno scambio equo e solidale: le caravelle depositano due uova tutte le mattine accanto alle cucce e i cani permettono loro di beccare il riso soffiato mischiato ai croccantini che preparo tutte le mattine. Della telefonata del giorno prima, a Claudia lo dissi a tavola. «Mi pare una stronzata» commentò. «Pure a me…» confermai. «Però ha detto che mi paga!» Ritrovai lo spirito. «Quasi quasi ci provo, io gli telefono.» «Fai come ti pare» aveva sentenziato lei. Così era andata. Sembra assurdo ma è la prova che tutto è possibile. Anche trasformarsi dal giorno alla notte in un astro detective. Quando lo incontrai per la prima volta ero in uno stato un po’ alterato. Forse mi ero fatto prendere dalla tensione, ma sul punto di entrare nel suo studio la pancia aveva cominciato a ribollire come una pentola a pressione. La dieta vegana che mi stava imponendo Claudia forse non andava bene. «Mi dicono che lei sia molto bravo nel suo mestiere» mi disse Valduzzi. «Ho avuto buoni risultati, è vero.» «Fino a ora la polizia e le agenzie a cui mi sono rivolto 13 non hanno cavato un ragno dal buco: non sanno più cosa fare. Sparito nel nulla, senza alcuna traccia. Sembra impossibile.» Chissà a quale impossibilità si riferiva, ma non avevo molta voglia di indagare. Il movimento nella pancia iniziato prima dell’incontro cominciava a essere fastidioso, e l’inattuabilità del desiderio di liberarmi di un po’ d’aria mi stava leggermente irritando. «Chi è sparito signor Valduzzi?» tagliai corto. «Mio figlio Ernesto» rispose di getto. Proprio come sarebbe piaciuto fare a me con l’aria che mi opprimeva la pancia. «Sono due mesi ormai e nessuno ha scoperto cosa sia successo; non so più a che santo votarmi.» Ovvio, altrimenti non sarebbe arrivato a me. «Signor Valduzzi, lei conosce i miei metodi? Cioè… quello di cui ho bisogno per poter iniziare?» «Me ne hanno accennato e sinceramente non è che ci abbia capito molto, però mi hanno rassicurato sui risultati e tanto mi basta.» Ragionamento chiaro e liscio, nulla da dire. «Senta signor Ginevra, se accetta l’incarico ci sono qui per lei, subito, cinquantamila euro per le prime spese di gestione.» Mi sono sempre piaciute le proposte che arrivano al dunque e chi riesce a farmi spalancare gli occhi. «Se porterà dei ri sultati, ed eventualmente avrà bisogno di altro denaro, sarò a disposizione.» Non era poi così freddo come sembrava. «Infine, se mi riporterà mio figlio, per lei ci sarà una ricom pensa di centomila euro.» È sempre una sorpresa constatare come certe offerte creino un silenzio pieno di suspense. Ma il vecchio e caro silenzio 14 significa anche che so tenere ancora, come ho imparato da piccolo, gli sfinteri ben chiusi. Avrebbe potuto essere una de gna nota di giubilo, ma forse anche la fine della storia che sto per raccontarvi. 15 2 «Sai quanto mi ha offerto, Clà? Cinquantamila cocuzze subito e centomila alla fine, quando avrò trovato il figlio.» Claudia aveva sgranato gli occhi. «Ammazza!» «Mmm, mmm» avevo mugugnato muovendo la testa su e giù. «Bel colpo no?» L’ avrei incontrato di nuovo. La prima volta gli avevo chie sto di procurarsi data e ora di nascita di tutti i familiari ed ero scappato via inventandomi un impegno improrogabile. «Ecco quello che mi ha chiesto.» I certificati di nascita sul ta volo erano tre. Quello di Valduzzi, della moglie e del figlio Ernesto. «Tutta qui la sua famiglia?» «Quella che era la mia famiglia… Mia moglie è morta sette anni fa, e adesso, la scomparsa di mio figlio…» Mi guardò negli occhi e non seppi interpretare il suo sguardo. Riuscii solo a dire: «Possiamo stampare i temi natali, adesso?». «Certo, il computer è a sua disposizione.» «Ci vuole solo un attimo.» Mi spostai su un’altra sedia per inserire i dati. «Nel frattempo se vuole spiegarmi a cosa servono…» «Questi dati mi servono per capire le motivazioni di fondo 16 e gli intrecci personali. Poi, con il suo aiuto, farò un quadro generale che mi permetta di formulare delle ipotesi.» «Mmm… e come?» «È inutile che le spieghi tutto il meccanismo. È un sistema che risale alla notte dei tempi e a me è stato sempre di grande utilità.» Mi fece compassione lo sguardo smarrito di Valduzzi, o for se il contrasto tra la fragilità di quello sguardo e la sua figura austera mi spinse a dargli qualche altra spiegazione. «Questo sistema deriva dall’astrologia, ampliato e perfezio nato nel corso dei millenni. Ancora adesso risulta incomple to… ma lasciamo stare. Quello che è chiaro, invece, è che si basa su dodici paradigmi, cioè dodici idee originarie, ognuna delle quali rappresenta una tappa del ciclo naturale della vita. I dodici paradigmi presumibilmente derivano dai dodici me si dell’anno e specificatamente riguardano ciò che succede in natura ogni mese. Chi nasce in un dato periodo dell’anno ha in sé la qualità di quel periodo e un determinato sfondo psico logico. Questi dodici periodi sono stati chiamati segni zodiacali perché sono quasi tutti simboli di animali.» «Quindi lei dal segno zodiacale riesce a comprendere la psicologia delle persone.» «Magari… La faccenda è un po’ più complessa.» «Gradisce un caffè, signor Ginevra?» La classica pausa pri ma dell’approfondimento. «Sì, grazie.» Valduzzi premette il tasto dell’interfono. «Signorina Ada, ci può portare due caffè per favore?» Notai che nello studio non c’erano fotografie di famiglia. Solo foto di automobili di lusso e di Valduzzi con altri uomini. 17 Sembravano immagini legate alla carriera. Mi colpì la man canza di colori nell’ambiente: neanche un fiore o una pianta. Il pavimento era di marmo bianco con venature giallastre. Le pareti erano di un candore immacolato e il mobilio, compresa la scrivania, di un misto di nero con diverse sfumature di grigio metallizzato; poi tanto vetro per dare luce, aria e spazio. «Pensavo che i segni zodiacali fossero poco più di un gioco.» «Volendo ci si può giocare, certo.» Aprì un cassetto e tirò fuori un pacchetto di sigarette. «Lei fuma?» «Sì purtroppo.» Me ne passò una. «Grazie.» Ormai me ne sono fatto una ragione, non riuscirò mai a smettere e poi con una sigaretta accesa si pensa e si discute meglio. Si aprì una porta ed entrò una signora con un vassoio. «La signorina Ada» fece Valduzzi presentandomela. Lei mi si avvicinò porgendomi il vassoio e con un sorriso giovanile mi dette il buongiorno, che ricambiai volentieri. Una signora dell’età di Valduzzi e cioè ben al di sopra dei sessanta, con lo sguardo e il sorriso fresco di una ventenne. Le guardai pure il culo quando si girò verso Valduzzi. Bella signora. Molto particolare e attraente. «Grazie Ada» fece lui. Professionale ma non distaccato. Un grazie caloroso direi. Lei si voltò e se ne andò camminando come sull’acqua senza dire una parola. Cercai di capire come facesse a camminare in quel modo, ma la gonna arrivava fino al pavimento e non riuscivo a vederle i piedi. Valduzzi si sporse per accendermi la sigaretta, poi accese la sua. Bevve un sorso di caffè e io lo imitai seguendo il suo ritmo in silenzio. 18 «Posso dare un’occhiata a quelle stampe?» «Certo! Questa è la sua, questa di sua moglie e questa di suo figlio.» «Se non sbaglio i simboli intorno al cerchio sono i segni zodiacali.» «Sì, esatto.» «E questi all’interno del cerchio cosa sono?» «I pianeti, cioè i corpi celesti del sistema solare. Questo è il simbolo di Mercurio, qui c’è la Luna, Venere, Giove.» Il mio dito scorreva su ognuno. «Questi sono il Sole e Plutone… perfettamente congiunti.» Si accorse della mia esitazione. «Che vuol dire congiunti?» «Significa che quando lei è nato, il Sole e Plutone si trovavano in prospettiva nello stesso punto del cielo.» «E cosa comporta?» «Lei è del segno del Leone, perché nel giorno in cui è nato il Sole sorgeva in questo segno, e così sarà sempre nel giorno del suo compleanno. In quella data il Sole si ritroverà ogni volta nello stesso punto del cielo. Però quando è nato, in quel punto del cielo c’era anche Plutone.» «E quindi?» «Quindi lei è un Leone con forti valenze dello Scorpione. Detto così significa poco; non si può spiegare la chimica dell’a strologia in due parole.» «Capisco.» E ti credo che capisse: con quel Plutone sapeva bene cosa sono i segreti. I pensieri cominciarono a volare nella mia testa, ma non era ancora tempo di liberarli. 19 «Partiamo dalle cose semplici. Lei ha il Sole in nona casa e perciò dovrebbe essere una persona che viaggia molto e che ha a che fare con paesi stranieri.» Valduzzi sorrise prima con la bocca e poi con gli occhi. Infine esclamò: «È vero!». Primo punto palla a terra. Mi galvanizzai. «In un tema natale possiamo vederci tutta la nostra vita, il nostro passato e il nostro futuro.» «Mi sta dicendo che in questo disegno riesce a vedere il mio passato e il mio futuro?» «Be’, in teoria sì.» Valduzzi non ribatté e ne approfittai per concludere in fretta il discorso. «Tutti questi simboli sono tracce: bisogna solo saperle se guire.» Mi guardò: dentro stavolta. Non riesco mai a valutare l’intensità degli occhi azzurri, è un colore poco denso, inadatto a sedimentare nelle profondità. Virai sulla sua postura immo bile, perfettamente in sintonia con l’atmosfera dello studio; feci l’ultimo tiro e spensi la sigaretta nel posacenere. «È solo un modo per farsi un’idea generale, niente di più. Mi dia una settimana che mi studio un po’ meglio queste carte» e scappai. Una volta tornato a casa mi spogliai e mi infilai sotto le lenzuola. Allora, vediamo che Luna ha Valduzzi. Gemelli, settima casa. Mmm… fammi vedere la moglie. Tirai fuori dalla car tella il tema natale. Dunque: Hélène, 11 Maggio 1956. Senza ora di nascita, mannaggia. E va be’, ce lo dovremo far bastare. Hélène, che nome è? Italiano no di sicuro. Nata a Saigon. Sai 20 gon? Sarà stata la figlia di qualche europeo. Chi c’era in Viet nam nel ’56? I francesi mi pare; gli americani sono venuti do po. Hélène può essere un nome francese, perché no? Dunque, Sole a venti gradi del Toro… brava! Pari pari sul discendente e sul Giove di Valduzzi, il marito. Ovvio che si sono sposati. La mattina dopo, appena alzato, andai a custodire i miei ani mali. Iniziai con Ginetto e Inuit che mi aspettavano fuori dalla porta. Inuit mi accoglieva sempre con dei grugniti di piacere e pesticciava con le zampe, sapendo che la precedenza era di Ginetto, che a sua volta ripeteva il rito del sorriso e del muso infilato tra le mie gambe. Il rumore dei croccantini che ca devano nelle ciotole risvegliò l’interesse delle caravelle, che cominciarono a chiocciolare. Poi passai nel territorio della mia vicina che, come al solito, era attaccata al computer a smanetta re sul suo blog di diavolerie biologiche. Qui c’erano altri quattro cani: Poldo era l’ultimo trovatello che viveva semi separato dagli altri per via della lotta di supremazia con l’altro maschio, Ernesto, un bel cagnetto di borgata, piccolo e tozzo, ma forte, con lo spiacevole difetto di volermi continuamente scopare una gamba. Onda era piccolina, buona e dolce, avendo preso tutto dal padre, Fidel, ormai sottoterra a ingrassare le radici del melograno nano, dopo una felice vita anarchica. Infine l’amore mio, Cuba, che mi veniva incontro per abbracciarmi come se fosse una persona. Mi si strusciava addosso scodinzolando e muovendo il culo alla ricerca di quelle carezze con cui era stata abbondantemente viziata. Andai in giro per l’appezzamento, controllai le varie piante come a salutarle e infine mi diressi verso il nuovo posto scovato dalle galline per deporre le uova. 21 «Ginooo!» L’ urlo di Claudia, la mia vicina, mi avvertiva che il pranzo era pronto. «Arrivooo, ho fattooo!» Dopo il caffè mi stravaccai sul divano e accesi il computer portatile. Prima di tutto le notizie del giorno, poi sotto con Facebook, e infine il tema natale di Ernesto, il figlio di Valduzzi. 9 Novembre 1976, ore 17.05, Saigon. «Ah, Saigon!» Quindi molto probabilmente Valduzzi viveva a Saigon in quel periodo. Dopo molti mmm tirai le somme. Sia il padre che il figlio avevano Giove, cioè la giovialità, e Saturno, la severità, coin volti. Era un bel dilemma che si sarebbe potuto chiarire solo con una ulteriore chiacchierata con il signor Valduzzi. Pure Mercurio era sollecitato, però. Problemi con i figli o i fratelli. Mica lo sapevo se Ernesto aveva dei figli. Dovevo ricordarmi di chiederlo al prossimo incontro. 22