J Class - SoloVela.net

Transcript

J Class - SoloVela.net
www.solovela.net
Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
A lato, le linee del J Class Endeavour.
Sotto, uno dei più grandi yacht designer
della storia, Nat Herreshoff, disegnatore di sei
defender statunitensi. Big Class accomunate da
un’unica caratteristica: erano progetti vincenti
volta il contendere non avveniva però sulla terra ferma, bensì tra le onde dell’oceano. Quell’oceano che contemporaneamente accomunava e
separava il Nuovo dal Vecchio Continente. Pragmatismo nordamericano contro tradizione inglese. Il centenario scontro nautico tra due
concezioni così spiccatamente e volutamente
antitetiche, diede vita a un qualcosa di assai
più profondo e articolato, di una semplice sfida
velica. Visioni tanto distanti della stessa realtà,
non poterono che enfatizzare il marcato dualismo tipico degli yacht che rappresentarono i
contendenti. Distanze politiche e forme pratiche volutamente differenti, identificabili e orgogliosamente nazionalistiche. Schooner contro
Cutter, largo e piatto contro stretto e profondo,
in sintesi America contro Inghilterra. Le linee
d’acqua nazionali vennero ostentate sfacciatamente, punte di un iceberg che traeva origine
da posizioni diametralmente opposte e il “national rig”, l’armo più diffuso in ogni continente, divenne la bandiera nazionale dell’immane
confronto.
Il “luogo” della contesa, neanche a dirlo, la
storica Coppa America. Viste le motivazioni e
l’entità della posta in palio, nel breve volgere
di un trentennio, gli yacht che presero parte
alle selezioni per l’ambita “Coppa”, crebbero
progressivamente di dimensioni. Come d’altronde crebbe sia l’interesse, che l’importanza
del contendere. La “Coppa” in fondo era la
scusa: in ballo c’era ben altro, l’orgoglio stesso di una nazione.
J Class
Il gigante
solitario
Alberi alti 50 metri, quaranta
uomini d’equipaggio e rande pesanti
una tonnellata: i J Class colpirono
così profondamente l’immaginifico
collettivo, da entrare nella leggenda
110 Settembre 2004
di Pietro Fiammenghi
UBI MAIOR, MINOR CESSAT
ue secoli fa, lo storico braccio di ferro tra “Vecchia Europa” e
“Nuovo Mondo”, cessate le ostilità prettamente belliche, venne trasferito dai campi di battaglia all’aristocratico, e allora
nazionalista, mondo dello yachting. Due filosofie di vita non solo
geograficamente lontane, tornarono a confrontarsi aspramente. Sta-
D
Tra il 1886 e il 1958 nessuna barca che prese parte, anche alle sole selezioni di Coppa America, misurò meno di 100 piedi (oltre
trenta metri). In quegli anni, le lunghezze degli yacht aumentarono costantemente per raggiungere, in un entusiasmante crescendo, il loro apice proprio a ridosso del secondo conflitto mondiale.
Dai primi del ‘900 al pieno degli anni trenta, una nuova classe di
splendidi racer divenne protagonista indiscussa dello yachting
mondiale. Una classe unica - di barche bellissime, essenziali e costosissime - palese manifestazione della potenza economica dei
paesi che rappresentava e contrapponeva. Barche, che erano l’orgoglio di un’intera nazione e che diedero agli yachting club d’appartenenza, ai loro armatori e ai timonieri, una notorietà senza
eguali. Queste splendide macchine da regata - racer assoluti dalle ciclopiche dimensioni, dagl’inquietanti piani velici e dagli smisurati slanci - avevano profondamente coinvolto l’immaginifico
collettivo e materializzato l’ambizione di un intero popolo, suscitando un interesse senza precedenti.
Questi super-yacht, vennero sinteticamente identificati con la decima lettera dell’alfabeto, la J: una classe di sloop che di- Settembre 2004 111
www.solovela.net
Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
Armati con un unico albero metallico alto
quasi 50 metri, questi eleganti dinosauri
da competizione, erano dotati di piani velici semplicemente assurdi. Rande dal peso di una tonnellata, venivano issate assieme a ciclopici spinnaker di 1500 metri
quadrati.
Spinti da oltre 2000 metri quadrati di tela, i “J Class” sfioravano i 20 nodi non appena il vento diventava teso, ma la loro
struttura e il loro albero - che da solo pesava oltre due tonnellate - erano sottoposti a carichi mostruosi. La compressione
esercitata da quest’ultimo sullo scafo superava, infatti, le 200 tonnellate; il tutto,
per sostenere l’enorme pressione esercitata dal piano velico.
Questi dinosauri del mare, nacquero formalmente nel 1903, sotto l’egida della
formula di stazza “Universal Rule”, caldeggiata dal geniale progettista statunitense Nat Herreshoff, che correlava sapientemente la lunghezza al galleggiamento al dislocamento, e questo alla superficie velica. In breve, più s’ingrandiva
il piano velico, più la barca doveva necessariamente essere corta. Dotati di oltre
40 uomini d’equipaggio, i “J Class” dovevano rientrare in un “rating”, pari a una
misura lineare di 76 piedi, definito da pochi essenziali parametri. Emerse ben presto che più una barca era
lunga e dislocante, più era dannatamente costosa, ma anche veloce.
I primi “J Class” varati, erano proporzionalmente più piccoli, ma
l’esperienza proveniente direttamente dai campi di regata, ben
presto dimostrò che il gigantismo era nettamente favorito. Dalla
metà degli anni trenta, tutti i nuovi “J“ dislocarono ben oltre 140
tonnellate e vennero progettati in modo da raggiungere la massi-
Endeavour e Ranger due
splendidi J Class di 135
piedi disegnati
rispettivamente
dall’inglese Charles
Nicholson e
dall’americano Starling
Burgess. per la Coppa
America del1937.
Vincerà lo scafo
statunitense 4 a 0
venne protagonista di quella leggendaria epopea dello yachting,
oggi ricordata come la “Belle Epoque”.
LA MITICA “J CLASS”
Di questi enormi America’s Cuppers, ne vennero complessivamente varati dieci. Lunghi oltre 135 piedi (circa 40 metri), rappresentarono quanto di meglio la tecnologia mondiale potesse produrre.
La sezione di
Ranger.
Uno yacht
disegnato con
l’ausilio dello
Stevens
Institute da
Starlin Burgess
e Olin Stephens
112 Settembre 2004
Sopra, il mitico boma Park Avenue del J Class
Enterprise, il vincente Defender statunitense
della Coppa del 1930. A lato il J Class Ranger
precede Endeavour II nelle regate dell’edizione
del ‘37 della Coppa America. Le vincerà tutte
ma lunghezza al galleggiamento consentita, ovvero 87 piedi (26,5
metri).
Larghi poco più di sei metri, lunghi oltre quaranta, bassi di bordo libero e dotati di quindici metri di slanci: i “J“ erano indubbiamente yacht senza compromessi. Protagonisti perfetti di questa infinita sfida internazionale.
LA COPPA DEI “J”
Solo tre edizioni di Coppa America, furono realmente disputate
con i mitici “J Class”. L’edizione del 1930, quella del 1934 e infine l’ultima, nel 1937. Poi, il secondo conflitto mondiale - come il
meteorite che estinse i dinosauri - fece sprofondare l’intero mondo in un decennio buio in cui non vi era spazio per l’arte, la bellezza e lo yachting. Da quell’incubo l’umanità riuscì faticosamente a risorgere; ma i “J Class”, come molte altre splendide forme
d’arte tipiche di quegli anni, non sopravvissero.
Gli yacht designer che firmarono i progetti di questi purosangue
del mare, sono i nomi che hanno letteralmente plasmato la storia
dello yachting mondiale. Da un lato dell’Atlantico gli americani
Starling Burgess, Nat Herreshoff e Olin Stephens; dall’altro l’inglese Charles Nicholson. Nomi epici, che si basavano più sul colpo d’occhio e l’esperienza personale che sui nuovi sperimentali
studi in vasca navale, per la realizzazione i loro sofisticati e delicati prototipi.
“Un moderno racer di Coppa America, non ha nessuna seppur piccola rassomiglianza con qualsiasi imbarcazione utile al mondo, e
non contribuisce neppure allo sviluppo dello yachting come sport
puro, a parte un’illogica vanità nazionale. Pur condannandoli, de-
vo confessare un profondo interesse ai problemi posti da questi
scafi straordinari. Essi, hanno infatti un qualcosa di magico e perverso, credo.... sia il fascino del peccato.” Così Burgess descriveva quello che provava quando analizzava le prestazioni dei “J
Class”, cercando di dare una motivazione a tutto questo folle gigantismo.
Ma sicuramente i “J” rimangono le barche che hanno reso celebre
la Coppa America e che, con la loro esasperata tecnologia, hanno
anticipato il corso della storia stessa, chiarendo senza equivoci
quale sarebbe stata la nuova nazione dominante: gli Stati Uniti
d’America.
I FANTASTICI DIECI
Seppure alcuni yacht costruiti tra il 1880 ed il 1925 sono concettualmente simili per dimensioni e superficie velica ai mitici “J
Class” - tanto da far ricadere, per alcune considerazioni, l’edizione del 1920 nell’epopea appartenente a questa era - i puristi ritengono che solo dieci yacht al mondo possano essere definiti
realmente appartenenti alla storica “J Class”. Questa apparentemente severa selezione, appare giustificata dalla profonda sofisticazione a cui solo i “J “ assursero.
Tutto su questi scafi era innovativo. Il piano velico con la randa
ad armamento Marconi, la realizzazione composita degli scafi con
l’utilizzo di legno e acciaio, le rivoluzionarie vele di prua sovrapponibili alla randa (denominate Genoa), passando infine per gli
alberi in duralluminio da mezzo metro di diametro e i ciclopici boma modello “Park Avenue”.
Ma ad accomunare i “magnifici dieci”, universalmente rico- Settembre 2004 113
www.solovela.net
Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
la spiaggia, come era stato sempre fatto. L’evoluzione tecnologica pretendeva standard realizzativi
ben diversi e decisamente più rigorosi. I “J Class”
inglesi sono, nell’ordine: “Velsheda”, “Shamrock
V”, “Endeavour” ed “Endeavour II” tutti usciti
sconfitti, anche se per motivi molto diversi, dalle
sfortunate ragate di Coppa America. Ammutinamenti degli equipaggi, penalizzanti cavilli regolamentari (che, per esempio, imponevano allo sfidante di dover attraversare coi suoi mezzi l’Atlantico), proteste e semplice sfortuna, hanno fatto sì
che i “J” statunitensi abbiano apparentemente
surclassato i corrispettivi inglesi. Una più attenta
analisi delle reali circostanze in cui si sono disputate le varie sfide, denunciano invece una situazione molto più bilanciata, se non addirittura favorevole agli inglesi. Un quadro variegato, che
rende giustizia alla grande scuola progettuale britannica e alla genialità di Charles Nicholson.
A lato, Endeavour in
bolina. Il J Class
inglese è stato
integralmente
ristrutturato sul
finire degli anni
‘90. Ha
partecipato nel
2001
all’America’s
Cup Yubilée
nelle
acque di
Cowes
NON TUTTO È PERDUTO
Sopra, Ranger, l’ultimo J Class a vincere la Coppa.
Sotto, il varo dello splendido scafo bianco, costruito in
acciaio dal cantiere Bath nel Maine. La sola zavorra
pesava 110 tonnellate su un dislocamento totale di 166
114 Settembre 2004
nosciuti quali originali “J Class”, era fondamentalmente la loro
estrazione. Questi racer di 140 piedi, erano nati espressamente
per soddisfare la “Universal Rule” del 1903 e non solo successivamente adattati a questa, come accadde a numerose altre “Big
Boat” dell’epoca.
Sei sono americani: “Weetamoe”, “Yankee”, “Whirlwind”, “Enterprise”, “Rainbow” e “Ranger” con questi ultimi tre rispettivamente vincitori, in veste di defender, delle tre storiche edizioni della
Coppa, quelle del ‘30, ‘34 e ‘37.
I restanti quattro “J”, sono invece tutti inglesi. Disegnati dal
grande Charles Nicholson, vennero tutti costruiti e varati a Gosport, in un cantiere coperto e splendidamente attrezzato. Infatti, non era più possibile realizzare questi yacht direttamente sul-
Dei dieci esemplari varati, alcuni vennero quasi immediatamente demoliti poiché troppo
fragili. Erano sostanzialmente incapaci di
resistere ai feroci carichi di lavoro che l’esagerato piano velico imponeva. Altri,
durarono il breve volgere di un’edizione
di Coppa, una manciata di anni, per
poi essere abbandonati e soccombere sotto l’insostenibile peso dei
folli costi di gestione, che queste enormi macchine da regata
pretendevano.
Pochi, tre per la precisione,
sono giunti sino ai giorni
nostri dopo abbandoni,
letarghi forzati e insperate
resurrezioni. Suggestive cattedrali
naviganti, depositarie di una vela romantica quanto affascinante, questi yacht tutt’oggi suscitano
emozioni intense. Figlie di una vela leggendaria queste barche si
sono storicamente estinte nel 1937, curiosamente, proprio lo
stesso anno della morte di Re Giorgio V, il cui yacht, il “Britannia”, venne volutamente fatto colare a picco con una carica di
esplosivo nel Solent. L’affondamento dello yacht reale inglese,
l’antesignano delle “Big Boat” da cui hanno tratto origine i “J
Class”, rappresentò non solo figuratamente la fine di un’ intera
epoca.
In quello storico autunno, tramontava il gigantismo di questo ya-
chting dai piedi d’argilla;
un gigantismo che, a sessant’anni
di distanza, vediamo però nuovamente risorgere nella nouvelle vague della “Course au large” internazionale.
Maxi sloop, ciclopiche golette, maxi multiscafi, sono oggi gli indiscussi protagonisti di questo neo-ciclopismo moderno. Una sfida globale, come i tempi in cui viviamo, una caccia altrettanto
spietata anche se non più focalizzata su un singolo avversario, ma
sui record di velocità. Una sfida tecnologica, che ha come palcoscenico il mondo intero. Il tutto, mentre in un remoto cantiere siberiano si sta ultimando la fedele replica del mitico “Britannia”.
Bizzarrie dei corsi e dei ricorsi storici.
Settembre 2004 115