Il turn-around Fiat - Università degli Studi di Cassino
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Il turn-around Fiat - Università degli Studi di Cassino
IL TURN-AROUND FIAT: DIRITTI, TEMPI, LUOGHI DEL LAVORO Andrea Pontiggia1 e Francesco Virili2 Abbiamo agito in tempi molto rapidi, ridefinendo in poco più di un mese l’organizzazione di Fiat Auto, dando vita ad una struttura più snella, più efficiente e più competitiva.[…] Sono convinto che questo team, composto da manager giovani e motivati, abbia competenze, personalità ed entusiasmo per confrontarsi con la migliore competizione internazionale e far compiere alla Fiat Auto il salto di qualità (Sergio Marchionne, Torino, 1 settembre 2004). Il turn-around Fiat Quando si parla di turn-around, Fiat è il caso di eccellenza. Questa vera e propria istituzione italiana, che governa la produzione di Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Ferrari e Maserati, camion, trattori, macchine da costruzione e componenti automobilistici, perdeva 1 miliardo di dollari nel 2000. Confrontatela con il 2006, che ha registrato un aumento del 35% del fatturato annuo e un utile operativo di 384 milioni di dollari – lontanissimo dalla perdita di 332 milioni del 2005. Oggi la capitalizzazione di mercato di Fiat è superiore a quella di General Motors e Ford Europa messe insieme: 32 miliardi di dollari. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat Group, è l'uomo che ha guidato l'operazione. […] Questa storia ci suonerà probabilmente familiare: "L'impresa disponeva del talento, della conoscenza e delle competenze, ma mancava di una leadership appropriata." Era "un problema di cultura – grandi uffici, grandi sprechi, e nessuno responsabile di nulla." Troppi sconti sui prezzi di vendita. Troppe 1 Prof. Ordinario di Organizzazione Aziendale – Dipartimento Impresa Ambiente e Management – Facoltà di Economia – Università degli Studi di Cassino 2 Ricercatore di Organizzazione Aziendale – Dipartimento Impresa Ambiente e Management – Facoltà di Economia – Università degli Studi di Cassino piattaforme diverse. Troppe persone con funzioni simili in marchi diversi. I modelli non venivano rinnovati abbastanza, le macchine non si vendevano. Per porre rimedio a tutto ciò, Marchionne […] ha eliminato livelli di management, ha semplificato i processi, razionalizzato le piattaforme, ampliato la produzione, negoziato costruttivamente con le rappresentanze sindacali, avviato partnership in Cina, India, Russia e Turchia, riuscendo infine ad uscire con successo dall'accordo con GM, con un incasso di 2 miliardi di dollari. Ma quel che più conta è che ha scelto le persone giuste per le funzioni chiave, offrendo loro la possibilità di decidere liberamente, a patto di ottenere i risultati promessi. Ha rilanciato il marchio Fiat, assicurandosi che i modelli della Fiat fossero in linea con ciò che la Fiat è in essenza: un produttore di auto economiche e Italian style. (fonte: CNN 2007, tradotto dall'inglese) L'intervento del 2004 sulla Fiat ha avuto risonanza internazionale e appare oggi destinato a passare alla storia come un caso da manuale. Una prima lettura dimostra come un intervento organizzativo di successo debba agire contemporaneamente su più dimensioni dell'assetto organizzativo: la struttura organizzativa, che è stata riprogettata secondo un modello funzionale multidimensionale; i nuovi ruoli manageriali, denominati "4D" (drive, develop, decide, deliver); il sistema di gestione del personale, con la revisione dei criteri di selezione e valutazione manageriale; il sistema di programmazione e controllo, che ha consentito l'impiego operativo di "risultati misurabili" nella valutazione manageriale. Ma non è questo tipo di analisi che si vuole proporre qui e che lasciamo piuttosto ad altri colleghi e a sedi più appropriate. Del resto l'applicazione di efficaci soluzioni organizzative è precondizione a volte necessaria, ma quasi mai sufficiente a determinare un turn-around, un cambiamento radicale come quello osservato in Fiat. Che si tratti di "Vincere" come Welch alla General Motors, o di "Far ballare gli elefanti", come Gertstner in IBM, non sono infatti soltanto le indicazioni manualistiche o le ricette da guru del management che determinano il successo in casi come questo. Piuttosto, per usare le parole dello stesso Marchionne, risultano invece determinanti la capacità, la forza e il coraggio di proporre esempi, azioni e fatti che "hanno lasciato un segno indelebile sulla formazione e sulla crescita dei leader", tali che essi ormai "sono cambiati per sempre" (Marchionne, Convegno di Economia e Politica Industriale, Foggia 23/9/2007). Quando azioni e progetti così incisivi e totalizzanti sono concretamente messi in atto, il sapere organizzativo, con le sue tecniche, analisi e soluzioni è soltanto uno strumento, quasi una scusa e non il fine dell'agire. Ad esempio: il passaggio ad una diversa struttura è stato determinante in termini organizzativi, con notevoli razionalizzazioni, semplificazioni, riduzioni di costo, ecc. Ma non era l'unica soluzione possibile. Paradossalmente, gli stessi risultati si sarebbero potuti ottenere (e sono davvero stati ottenuti in altri casi) anche con un passaggio di segno opposto. Il gioco combinatorio delle variabili umane e tecniche che concorrono al risultato finale è talmente vertiginoso e complesso che non esiste quasi mai una soluzione unica. Anzi: se si potesse resettare la storia e tornare al punto di partenza, probabilmente le misure richieste strada facendo sarebbero diverse e diversamente andrebbero attuate. In questa ottica il sapere organizzativo rappresenta, più che una semplice ricetta, la tecnica e l'esperienza dello chef, che dovrà selezionare e cucinare secondo la sua sensibilità e inventiva gli ingredienti che la storia renderà concretamente disponibili. Per rendere chiaro tutto questo, come cioè le trasformazioni organizzative siano multiformi e complesse e tendano a sfuggire agli schemi di riferimento, proveremo dunque a rileggere alcuni episodi fondamentali di quanto avvenuto in Fiat nel 2004, (così come riportati dalla stampa), accennando soltanto alle tradizionali variabili della "scolastica" organizzativa, per poi aprire il quadro della discussione secondo uno sguardo più ampio. Più che alle pur importanti caratteristiche del nuovo assetto organizzativo, ci interesseremo alla trasformazione nella Fiat del 2004 in modo meno convenzionale, per scoprire come nuove formulazioni di diritti (e obblighi: di azione, di decisione, di proprietà…) abbiano spostato la gestione dalle azioni alle competenze e conoscenze e come tutto ciò abbia contribuito a trasformare i tempi e i luoghi del lavoro. Il contributo si compone di un'introduzione all'impiego organizzativo di questi concetti, di un resoconto dei fatti in Fiat 2004 e di un'analisi critica. Introduzione Non di rado nel descrivere i nuovi modelli di organizzazione del lavoro ci dimentichiamo o diamo per scontate alcune profonde trasformazioni che incidono sulle forme assunte dal lavoro organizzato. Il concetto di lavoro organizzato si riferisce alle prestazioni complessive svolte in un assetto organizzativo, dove vigono alcune condizioni di base, quali ad esempio: una relazione di lavoro formalizzata e regolata da un forma contrattuale, un insieme di obblighi e doveri, una sistema di regole che guidano il comportamento individuale e collettivo. La natura organizzata del lavoro costituisce un tratto peculiare. La prestazione di lavoro è erogata all’interno di un sistema di relazioni variamente codificate, prescritte e normate nei tempi, nei luoghi di lavoro, nelle azioni concrete e nei diritti e obblighi pertinenti a ciascun attore organizzativo. È perciò utile considerare le forme del lavoro attraverso i diritti e gli obblighi ad esse connessi, e le caratteristiche di tempo, di luogo e di azione che ne derivano. Diritti e obblighi. La determinazione chiara e condivisa di diritti e doveri è alla base di tutti i rapporti umani; questo vale sia a livello sociale (diritti e doveri universali, costituzionali) sia a livello organizzativo, dove assumono particolare rilievo aspetti più specifici e puntuali, come diritti e obblighi di azione, informazione, decisione, controllo, ricompensa e proprietà. Alcuni sostengono che sia possibile descrivere l'intero universo di strutture di governance e di forme organizzative come una combinazione di tali diritti e obblighi, che si aggregano in forme via via più complesse per dar luogo ai meccanismi di coordinamento, agli strumenti di governance e quindi alle varie componenti delle strutture e dell'assetto organizzativo e d'impresa. Se nella teoria organizzativa questa è una posizione legittima, fra le tante presenti nel dibattito in corso, possiamo allora su questa base "scavalcare" gli schemi classici della teoria organizzativa: invece di chiederci "che tipo di struttura organizzativa è stata adottata in Fiat? Quali ruoli manageriali? Quali sistemi di valutazione?" possiamo innalzare lo sguardo ai cambiamenti apportati ai diritti/obblighi di azione, a quelli di controllo e di ricompensa, e così via fino a scoprire se la gestione dei diritti di proprietà abbia anch'essa avuto un ruolo nell'operazione complessiva. Azioni. Organizzare vuol dire intervenire sulle azioni. Uno dei paradigmi classici è che l'organizzazione sia essenzialmente coordinamento, cioè gestione delle dipendenze tra attività. Quindi le azioni sono importanti, sono all'essenza dell'organizzare. Nei fatti, però, le formule che predefiniscono tempi, luoghi e meccanismi di coordinamento possono essere utilizzate come leva di cambiamento, e nello stesso tempo superate, per costruire nuove modalità di lavoro. Si tratta dunque non solo di gestire le dipendenze tra attività predefinite, ma di rendere possibili, di inventare nuove attività, prodotto dinamico e fertile di un apprendimento continuo e flessibile e dell'utilizzo creativo delle competenze e conoscenze disponibili. Si passa dunque dalla gestione delle attività all'organizzazione dinamica e creativa delle competenze che producono continuamente nuove attività. Un aspetto non privo di difficoltà e ostacoli, come evidenziato più oltre. Applicare competenze e conoscenze. Parafrasando una celebre affermazione si potrebbe dire che le persone sanno molto di più di quello che è richiesto per svolgere i compiti loro attribuiti. Concentrare la ricerca di efficienza solo sulla gestione delle attività esistenti senza valutare i possibili vantaggi derivanti dalla corretta applicazione di competenze e conoscenze può offrire un differenziale competitivo solo nel breve termine. Ma il patrimonio conoscitivo delle aziende è difficile da valutare e valorizzare. Uno stesso dubbio accomuna numerosi responsabili aziendali: "quando si svuotano gli uffici e si spengono le luci dove finiscono le competenze della mia azienda?" Le stesse persone che si trovano a loro agio nel giudicare investimenti e nel valutare la redditività sono disarmate e sconcertate dalle difficoltà di guardare alla propria azienda in termini di competenze e di conoscenze. In estrema sintesi, la corretta applicazione delle competenze/conoscenze disponibili comprende due componenti essenziali: una componente dinamica, definita dalle capacità combinatorie e quindi dalle possibilità di costruire delle connessioni tra set di competenze e conoscenze; una componente statica, espressione dei vincoli di contesto posti dai limiti di comunicazione, dai tempi e dal livello delle competenze. Tempi. Importanti e decisive appaiono a prima vista le recenti trasformazioni del tempo di lavoro, si pensi al dibattito europeo sull’orario di lavoro e sui modi coi quali perseguire obiettivi di flessibilità operando sul calendario. Eppure non pochi sono gli ancoraggi ad un passato dove il lavoro era organizzato proprio per mezzo di una definizione puntuale del tempo. Molto di una storia non recente rimane oggi nella contrattazione sindacale, un insieme di consuetudini che l’eredità della produzione fordista ci ha lasciato. Nonostante il dibattito sul superamento di queste logiche di organizzazione del lavoro poi le ritroviamo applicate. Il modello tradizionale di fabbrica, con procedure standard e cadenze temporali sempre uguali, viene periodicamente assunto come superato e obsoleto, per poi ritrovarsi spesso impiegato in contesti di settore magari nuovi ma che nell’applicazione non si discostano molto da quanto già osservato. Il modello tradizionale della burocrazia in fondo resta ancora ampiamente presente e segnato da strutturazione e divisione del lavoro, da ripartizione per specializzazioni e responsabilità lontana da quanto suggerito dai modelli costruiti intorno alla flessibilità e alla innovazione. I dilemmi posti dagli obiettivi di efficienza, di flessibilità e d’innovazione, dall’equilibrio instabile tra consolidamento e cambiamento sono evidenti anche agli occhi di un distratto osservatore. Il dibattito è a volte segnato da toni anche fortemente ideologici e politici che potrebbero portare a dimenticare o più semplicemente a celare le notevoli implicazioni sull'organizzazione del lavoro aziendale. Luoghi. Ma il tempo è solo una delle coordinate del progettare l’organizzazione. Sul luogo ci sono trasformazioni da tempo riconosciute che coinvolgono direttamente le potenzialità delle tecnologie di informazione e di comunicazione. La possibilità di attivare delle soluzioni organizzative fortemente decentrate e di realizzare degli assetti informativi che connettono numerosi nodi di reti disperse apre nuovi spazi per la progettazione organizzativa. Gli esempi di lavoratori “remoti” e di telelavoro sono solo la punta di un iceberg che tende ad espandersi con l'evoluzione tecnologica. Dunque, un intervento organizzativo può andare oltre la pura applicazione di modelli e formule precostituite in termini di assetto organizzativo. E' possibile infatti impiegare gli strumenti dell'analisi organizzativa come leve per intervenire sui diritti e gli obblighi, creando occasioni di ridefinizione dinamica e partecipata dei tempi, dei luoghi, e delle attività di ciascuno singolarmente e del collettivo nel suo insieme, attraverso la valorizzazione e la corretta applicazione di conoscenze e competenze. In questi termini si proverà a rileggere, nella prossima sezione, l'intervento Marchionne/Fiat 2004. Nel riquadro che segue viene brevemente illustrato l'intervento di Sergio Marchionne sull'assetto organizzativo del gruppo Fiat, avviato dopo la sua nomina ad amministratore delegato del gruppo nel 2004, secondo alcuni resoconti della stampa. L'intervento di Sergio Marchionne sull'assetto organizzativo Fiat Il nuovo organigramma Fiat Il mese di agosto è servito all'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, per riempire le caselle del nuovo organigramma della Fiat auto. E la giornata di ieri, interamente trascorsa in riunioni e incontri con singoli manager, ha dato la possibilità di verificare le ultime scelte, sciogliere gli ultimi dubbi. Cosi, rispettando la tabella di marcia stabilita prima dell'estate, il vertice del gruppo si appresta ad annunciare domani i nuovi uomini e le nuove funzioni a cui viene affidato il compito di cambiare pelle alla divisione auto archiviando il modello delle business unit su cui aveva puntato l'allora amministratore delegato Giancarlo Boschetti. Quel tipo di organizzazione non ha dato i risultati sperati e Marchionne, che di modelli organizzativi è un esperto, ha deciso di voltare pagina d'intesa con l'amministratore delegato di Fiat auto, Herbert Demel. La nuova Fiat auto raccoglierà sotto lo stesso tetto i marchi del gruppo, che verranno seguiti dalla progettazione alla produzione fino alla commercializzazione. Questo significa che Fiat, Alfa Romeo, Lancia, veicoli commerciali e ricambi sono stati riorganizzati abolendo le divisioni e secondo la logica di ricercare funzioni comuni. Restano, in sostanza, cinque attività commerciali separate per ognuna delle cinque aree ma senza l'autonomia totale che caratterizzava le business unit e accentrando un buon numero di funzioni. L'obiettivo è dare vita ad una struttura più snella, realizzando risparmi significativi sui costi e concentrando le risorse nelle aree più promettenti o bisognose d'interventi rapidi. Prima di mettere nero su bianco le scelte in arrivo Marchionne ha voluto rendersi conto personalmente delle qualità e delle personalità dei manager coinvolti e, nelle ultime settimane, ha organizzato un piano d'incontri serrato. La struttura che verrà annunciata punta alla valorizzazione di leadership manageriali a cui è affidato il compito di rilanciare i diversi settori di Fiat auto. Fondamentale sarà la tendenza alla riduzione del numero delle piattaforme attuali, da cui nascono i singoli modelli. Meno piattaforme significa meno costi e il tentativo è di provvedere con la tempestività necessaria. (fonte: Il Sole 24 ore, 31 agosto 2004) Fiat Auto torna all’antico: addio alle Business Unit La Fiat Auto ha cancellato con un colpo di spugna l’esperienza organizzativa delle business unit, voluta da Giancarlo Boschetti, ed è tornata all’antico, con una matrice tridimensionale e ben 28 top manager che riportano direttamente all’amministratore delegato e direttore generale Herbert Demel. Per capire la ragione di questo nuovo cambiamento, il secondo epocale nel giro di 30 mesi, bisogna partire dal perché delle business unit. Il 10 dicembre 2001 Roberto Testore lascia la posizione di amministratore delegato della Fiat Auto perché i conti precipitano. Nel 1997 la Fiat Auto è tornata all’utile netto, guadagnando 384 milioni, ma nel 1998 perde di nuovo, 258 milioni, che quasi raddoppiano nel 1999, quando il rosso tocca 493 milioni, poi 599 milioni nel 2000 e 1.442 milioni nel 2001. Paolo Cantarella, che dopo aver guidato la Fiat Auto è al vertice del Gruppo Fiat, silura il suo delfino, Testore, e chiama all’Auto Giancarlo Boschetti, che ha portato a termine con successo la ristrutturazione dell’Iveco. Boschetti porta alla Fiat Auto anche l’organizzazione per business units che tanto successo ha avuto all’Iveco. Annunciate nel dicembre 2001, le BU diventano operative da febbraio 2002. L’idea alla base della rivoluzione era relativamente semplice: la Fiat Auto era una società che perdeva una valanga di quattrini, ma la sua struttura verticale non chiariva come, dove e perché si perdessero questi soldi. Con le business units, che diventano vere aziende nell’azienda, con una propria contabilità, dovrebbe essere più facile e più trasparente capire dove si guadagna e dove si perde. Il primo a capire che le business units vanno "registrate" è proprio Boschetti, che già all’inizio di luglio 2003 annuncia all’interno dell’azienda la chiusura della BU delle attività internazionali e il trasferimento delle sue competenze a quella Fiat-Lancia che, nel frattempo, si libererà dei veicoli commerciali, destinati a diventare una BU autonoma. Boschetti non porta però a termine i propri piani: scoprendo che l’amministratore delegato del Gruppo Fiat Giuseppe Morchio sta trattando per sostituirlo con Martin Leach, da poco cacciato dalla guida di Ford Europa, blocca qualunque ristrutturazione interna. Non ha infatti senso cambiare l’organizzazione quando sta per arrivare un nuovo amministratore delegato, al quale spetterà la revisione della struttura. La trattativa con Leach si arena sulla clausola di non concorrenza con la Ford e alla Fiat Auto da metà novembre 2003 arriva Herbert Demel. I cambi organizzativi ipotizzati da Boschetti avvengono poi all’inizio di quest’anno: si chiudono le attività internazionali, che confluiscono in Fiat-Lancia, i veicoli commerciali diventano una BU autonoma, mentre per la marca Lancia viene creato lo status di sub-business unit, che però riporta ancora a Gianni Coda e non direttamente all’amministratore delegato. La situazione a inizio 2004 è quindi quella di cinque business unit, Fiat-Lancia, Alfa Romeo, veicoli commerciali, after sales e servizi finanziari, ma Demel lavora in silenzio a una ristrutturazione molto più radicale. Prima delle BU, la Fiat Auto era una grande piramide, con troppe decisioni prese al vertice e troppe poche deleghe ai livelli inferiori. Lo "spacchettamento" in business unit non ha offerto i risultati sperati: a fianco della piramide principale, le funzioni centrali della Fiat Auto, si sono aggiunte altre cinque piramidi più piccole, le business unit, con lo stesso processo decisionale verticistico ma, soprattutto, anche con un livello insufficiente di sinergie. In altre parole, nell’ottica di difendere le caratteristiche peculiari della marca, ogni BU faceva troppo per conto proprio, aumentando i costi e diminuendo le economie di scala. L’arrivo di Sergio Marchionne come nuovo amministratore delegato del Gruppo Fiat dà l’accelerazione al cambiamento cui Demel stava lavorando da mesi e sul quale aveva avuto più di un contrasto con Morchio. Il 26 luglio, nel primo incontro con la comunità finanziaria, Marchionne decreta la fine delle business unit e il ritorno a una struttura funzionale molto simile a quella dell’epoca Cantarella-Testore. In gergo tecnico si parla di una matrice tridimensionale: a sinistra le cinque marche (Fiat, Lancia, Alfa Romeo, veicoli commerciali, after sales), al centro le cinque piattaforme, a destra le nove funzioni chiave (progettazione, produzione, logistica, sviluppo rete, flotte, qualità, servizi finanziari, acquisti, motori e cambi) sotto le nove direzioni di staff (finanza, personale, sviluppo aziendale, pianificazione prodotti, comunicazione, sistemi informativi, legale, controllo interno, promozione delle marche). Le marche hanno ora solo una responsabilità diretta sulla definizione dei nuovi prodotti, sulle strategie di marca, di marketing e commerciali. Rispetto alle BU, non sono più un’azienda nell’azienda, ma una semplice divisione operativa. Anche rispetto all’epoca Cantarella-Testore, le marche sono più deboli come competenze: non hanno infatti più alle dirette dipendenze il proprio centro stile, che ora riporta funzionalmente alla direzione tecnica e anche sullo sviluppo e la gestione della rete sono meno indipendenti. Già a inizio 2004 Demel aveva creato una posizione centrale di network development and coordination, che aveva assunto ad interim, in attesa di trovare il responsabile adeguato. Chiamato dall’Autogerma Johann Wohlfarter, la posizione è ora coperta, ma avrà non poche interferenze con la gestione della rete con le marche, anche perché due mercati importanti, come Germania e Francia, riporteranno direttamente a Wohlfarter, quando prenderà servizio il 1 ottobre, mentre ora dipendono ancora ad interim da Demel. Le marche, che sono comunque responsabili del proprio conto di profitti e perdite, saranno in competizione economica anche con due altre funzioni aziendali: le flotte e le piattaforme. Sulle flotte, si è tornati a quanto quattro anni fa aveva imposto Juan Jose Diaz Ruiz nelle sua breve parabola alla Fiat Auto. Trattandosi di una funzione strategica, poiché rappresenta un buon terzo delle vendite totali in Europa, non è possibile che ogni singola marca si presenti da sola da un’azienda o da un autonoleggio, ma si deve presentare qualcuno titolato a operare per conto di tutta la Fiat Auto. Il conflitto con le marche nasce dal fatto che anche la direzione flotte tiene un proprio conto economico e così coniugare volumi e margini volendo realizzare un profitto a due livelli, di marca e di direzione flotte, sarà una bella battaglia. Allo stesso modo, le marche saranno in conflitto con le piattaforme, che non si occupano solo della progettazione dei nuovi modelli, ma lavorano con le marche in un rapporto di cliente/fornitore, poiché pure le piattaforme hanno un proprio conto di profitti e perdite. (fonte: InterautoNews, ottobre 2004) Le "quattro D" di Marchionne Il Marchionne pensiero sul management è alla base delle scelte degli uomini che occuperanno le 28 caselle determinanti del nuovo organigramma di Fiat auto. Due i parametri fondamentali utilizzati nella valutazione dei manager: le performance ottenute e la capacità di leadership. Per valutarli l'amministratore delegato del gruppo Fiat, Sergio Marchionne, ha speso buona parte delle ultime settimane incontrando uno per uno i dirigenti in carica (da confermare o sostituire) e i candidati alla successione. Lunghi incontri, che nei corridoi di Fiat auto sono stati subito definiti <radiografie impressionanti>, in cui Marchionne si è dimostrato molto alla mano ma anche molto determinato nel far capire che la situazione richiede terapie d'emergenza, che l'azienda deve cambiare. E in fretta. Per questo le verifiche saranno quotidiane e soltanto chi darà risultati resterà al suo posto. Punto di partenza è il rovesciamento della logica che caratterizza l'organizzazione al vertice di molte grandi aziende italiane: il passaggio dal sistema tradizionale gerarchico dell'ordine e dei controlli a quello delle deleghe e del fare. L'ordine di scuderia è che i problemi non vanno soltanto individuati ma devono essere risolti assumendo le responsabilità del caso e responsabilizzando i collaboratori. La conseguenza è che i 28 uomini chiave avranno piena libertà d'azione perché sono chiamati a vincere quella che è stata definita da Marchionne <una vera sfida>. La semplificazione dei processi, attuata archiviando il modello delle business unit, contribuirà a responsabilizzare i manager e a misurarne i risultati. La scelta iniziale è stata di valorizzare le risorse interne al gruppo, come risulta evidente considerando che 22 caselle su 28 sono state occupate da dirigenti interni al gruppo, soltanto due da manager reclutati all'esterno a cui si aggiungeranno quattro nomi tenuti finora riservati. Ma nell'arco di 6-12 mesi altre verifiche verranno portate a termine. I leader di Fiat auto, come ha chiarito Marchionne, dovranno dimostrare di possedere alcuni requisiti fondamentali, sintetizzati nello slogan delle <quattro D>. Drive sta per capacità di guidare, di dare spinta. Develop significa sviluppare business e valorizzare le persone. Decide è la determinazione nel prendere decisioni, anche dure e rischiose. Deliver indica la capacità di portare a casa risultati. Non basta essere competenti, insomma, ma occorre tirare in porta e fare goal. La richiesta esplicita è di lavorare in team, puntare sulla squadra. <Building only the best teams>, <costruire soltanto i team migliori>, è una delle regole base indicate ai manager. Ma anche <acting quickly and decisively>, <agire rapidamente e in modo incisivo>. Certo l'obiettivo della semplificazione richiederà ancora qualche intervento, perchè un organigramma con 28 funzioni resta piuttosto pesante. Cosi come appaiono assai impegnativi i compiti affidati a Herbert Demel, impegnato su tre fronti: l'incarico di amministratore delegato, la direzione generale e, sia pure ad interim, la responsabilità del brand più importante, quello Fiat. (fonte: Il Sole 24 ore, 2 settembre 2004) Spunti di analisi organizzativa classica In termini di analisi organizzativa classica, l'intervento di Marchionne ha agito su: Struttura. Abbandonando il precedente modello organizzativo delle unità di business (struttura divisionale: vedi sezione 2.1), è stata riprogettata la macrostruttura organizzativa, ridisegnandone l'organigramma secondo un modello funzionale (su più dimensioni). Ruoli e mansioni. il sistema delle "4 D" (drive, develop, decide, deliver) si è rivelato un modo efficace per comunicare un nuovo modello di ruolo per i manager. Sistema di gestione del personale: selezione. I criteri di selezione del personale a livello manageriale sono stati profondamente rivisti, apportando nel contempo un decisivo ricambio manageriale; valutazione: il nuovo sistema di valutazione manageriale è bastato su criteri molto chiari, premiando la capacità di leadership e quella di conseguire risultati misurabili Sistema di programmazione e controllo, sistema informativo: in un'ottica di delega e responsabilizzazione, ma anche di verifiche e controllo quotidiano, il budget e il sistema informativo assumono ulteriore importanza; essi sono gli strumenti concreti per la determinazione dei "risultati misurabili" su cui si basano non solo le decisioni manageriali sulla gestione aziendale ma anche la valutazione dei manager e dei loro collaboratori. Una prospettiva più ampia: dai diritti ai luoghi del lavoro Anche se gli schemi e i concetti organizzativi classici ci dicono molto, essi non dicono tutto. Proviamo ora a rileggere l'accaduto in termini di diritti, attività, tempi e luoghi del lavoro. Vediamo innanzi tutto i diritti. L'atteggiamento e la posizione sul tema generale dei diritti che emerge dai discorsi e dai tratti dell'azione di Marchionne è nell'alveo della tradizione culturale e sociale europea: "L'Europa può e deve distinguersi nella creazione e nella gestione di mercati liberi, riconoscendo e trattando in modo efficace le conseguenze delle loro attività sui propri membri" (Marchionne, Convegno di Economia e Politica Industriale, Foggia 23/9/2007). E' possibile riconoscere questo tratto valoriale di fondamentale rispetto e attenzione per "le conseguenze" delle attività dei liberi mercati anche nei rapporti contrattuali con i lavoratori: "In Fiat abbiamo ottenuto risultati importanti sulla via del dialogo. Dopo dieci anni – e senza un'ora di sciopero, caso più unico che raro per l'Italia – è stato rinnovato il contratto integrativo aziendale" (ibidem). L'enfasi sul "dialogo costruttivo" è perfettamente in sintonia con alcuni dei tratti fondamentali della trasformazione operata: operare con trasparenza, integrità e fiducia sul piano dei diritti, verificando puntualmente l'adempimento dei corrispondenti obblighi in un'ottica di valutazione aperta e meritocratica. Tra i valori-guida comunicati in azienda ci sono infatti "siamo una meritocrazia" e "manteniamo le promesse". Nuovi diritti e obblighi di azione e decisione hanno permesso l'attuazione concreta del principio meritocratico, in particolare nei nuovi sistemi di valutazione e ricompensa manageriale. Al dovere di decidere e ottenere risultati (Decide, Deliver) fa da contrappunto la ricerca dell'eccellenza "Miriamo a performance best in class" e il corrispondente premio dei risultati ottenuti da chi mantiene le promesse. L'ampliamento dei diritti di azione e delle connessa autonomia e responsabilità si è esteso anche dai livelli manageriali a quelli operativi, dando maggior enfasi al lavoro e agli obiettivi di gruppo: il campo dei diritti di azione passa così dalla semplice applicazione di regole standard al conseguimento di obiettivi comuni; parallelemente i campo dei diritti e obblighi di controllo si sposta dalla corretta esecuzione di procedure alla appropriatezza delle azioni da eseguire per raggiungere l'obiettivo. Questo naturalmente richiede maggiore flessibilità e coraggio: di qui l'enfasi sui giovani, che sono stati immessi a tutti i livelli gerarchici, contribuendo anche a spingere e facilitare il rinnovamento. Quanto ai diritti di proprietà, a parte il successo non secondario nel risolvere la controversia con GM facendo valere pienamente i propri diritti contrattuali e patrimoniali e riaffermando una posizione di pieno controllo dell'azienda, sono emerse recentemente alcune tendenze degne di nota nel nuovo corso Fiat: mentre da un lato si riafferma con orgoglio la proprietà e l'italianità dei marchi dei brevetti e delle soluzioni tecnologiche, dall'altro ci si apre alla consultazione delle masse, alla sperimentazione di forme di partecipazione on line al design e alla progettazione che hanno avuto un grande successo, ad esempio, per la nuova 500, con numerose idee originali che sono passate in produzione. E' un modello che ricorda da vicino quello delle comunità Open Source, in cui una parte del valore viene prodotto insieme e reso disponibile a tutti, proteggendolo attraverso forme di licenza "aperta". La condivisione e la ricombinazione creativa delle competenze è dunque collegata alla possibilità di proteggerne i risultati con nuove forme di diritti di proprietà, che riconoscano il contributo del collettivo e lo proteggano dall'appropriazione esclusiva di terzi. Su questo punto qualche passo è già stato fatto, ma molta strada resta ancora da compiere. L'intervento sulle attività è forse il più rilevante. Coerentemente con quanto già osservato, non è la definizione di una mappa delle attività-tipo da applicare e congelare che ha avuto rilievo, ma altresì l'introduzione di ruoli manageriali e modelli di comportamento coraggiosi e innovativi rispetto al passato. Sviluppare il business e le persone (Develop); Guidare e spingere attivamente al cambiamento (Drive); Decidere e assumere rischi e responsabilità in prima persona (Decide); Perseguire e ottenere risultati concreti e misurabili (Deliver) sono le indicazioni di comportamento manageriale e di leadership che, supportate dalla presenza attiva e dall'esempio quotidiano hanno permesso di trasferire autonomia, senso di responsabilità e "empowerment" anche ai livelli operativi, rendendo possibile in pratica una valorizzazione attiva e dinamica del patrimonio umano e di competenze e conoscenze esistente in azienda. Il resoconto dei media nel riquadro di apertura coglie bene questo aspetto: "l'impresa disponeva del talento, della conoscenza e delle competenze", ma non era in grado di sfruttarle a fondo. Si è detto di come per un adeguato sfruttamento di questo patrimonio sia importante da un lato individuare e superare i vincoli contestuali, dall'altro attivare e stimolare l'incontro di problemi e soluzioni e la combinazione creativa dei talenti e delle competenze. Ascoltare, dare fiducia, lavorare insieme, premiare l'eccellenza sono strumenti apparentemente semplici e scontati ma che possono essere trasferiti ai livelli operativi solo se adeguatamente assorbiti e messi in atto innanzi tutto a livello manageriale. In questo senso il difficile equilibrio tra eliminazione dei "rami secchi" e valorizzazione delle persone in house si è ottenuto con una iniezione di nuovi manager accompagnata ad una attenta opera di empowerment, valorizzazione e incentivazione di chi rimaneva. L'effetto complessivo sulle attività è una spinta verso l'adattamento dinamico, verso la ricerca della soluzione e dell'azione più adatta, piuttosto che verso la semplice indicazione di modelli di azione precostituiti e standardizzati da applicare sempre uguali. Il tempo assume un duplice rilievo nell'intervento: in primo luogo la velocità con cui si è agito ha contribuito a diffondere nell'organizzazione quel senso di urgenza che è caratteristico dei turn-around storici, come quello di IBM. Non a caso il comunicato stampa ufficiale di Marchionne del 1 settembre 2004 sulla riorganizzazione comincia proprio con questa frase: "Abbiamo agito in tempi molto rapidi, ridefinendo in poco più di un mese l’organizzazione di Fiat Auto". In secondo luogo, la diffusione del senso di urgenza si è accompagnata ad un diffuso esercizio della responsabilizzazione e dell'autonomia manageriale, che ha contributo a far sì che i ritmi e i tempi del lavoro si "scongelassero" per ridefinirsi in modo più flessibile in base agli obiettivi e alla situazione corrente. Più che la standardizzazione dei tempi e delle procedure, i nuovi ruoli manageriali hanno contribuito a perseguire l'allineamento dei ritmi del lavoro agli obiettivi e di questi ultimi alle situazioni contingenti. L'intervento sui luoghi di lavoro non è direttamente leggibile nei resoconti della stampa qui riportati, ma non per questo meno rilevante. Innanzi tutto la presenza fisica di Marchionne accanto ai suoi uomini: la necessità di "rendersi conto personalmente" delle doti dei manager prescelti; la cura dei dettagli e dell'insieme esercitata personalmente, giungendo persino a sperimentare sul luogo una giornata di vendita presso una concessionaria. Poi la forte spinta ad accentrare e semplificare le funzioni e i processi di lavoro, riunendo insieme "sotto lo stesso tetto" funzioni prima decentrate e lontane. Infine l'enfasi sul lavoro di squadra fino ai livelli operativi, sulla collaborazione, nonché sull'esempio e le norme ferree di integrità e trasparenza che costruiscono e rafforzano la fiducia di chi condivide, insieme ai luoghi e tempi di lavoro, un traguardo comune. In conclusione, dunque, gli strumenti organizzativi sono appunto soltanto strumenti in mano agli uomini, che possono usarli per trasformare i diritti, le attività, i tempi e i luoghi del lavoro. Come questa storia recente mostra chiaramente, i risultati sono a volte stupefacenti, ma non certo garantiti da nessuna teoria o schema di riferimento: l'Organizzazione, in fondo, è scienza umana. "Come dice Mel Gibson nel film Braveheart: «Gli uomini non seguono gli uomini. Gli uomini seguono il coraggio»" (Marchionne, Convegno di Economia e Politica Industriale, Foggia 23/9/2007).