Responsabilità genitori 2048
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Responsabilità genitori 2048
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA INCONTRO DI STUDIO L’illecito civile e la famiglia Roma 10-12 ottobre 2011 Relazione Casistica giurisprudenziale in tema di responsabilità dei genitori: in particolare, lo sviluppo intellettivo del minore ai fini della sua capacità di commettere fatti civilmente illeciti Dott. Federico Lume Tribunale di Napoli 1 Indice sommario 1. Generalità. L’illecito del minore. 2. La tutela risarcitoria per danni derivanti da fatti commessi dal minore. I rapporti tra l’art. 2047 e l’art. 2048 c.c. 3. L’accertamento della capacità del minore nella giurisprudenza. 3.1. Alcune considerazioni. 4. Il requisito della coabitazione nella fattispecie dell’art. 2048 c.c. 5. La prova liberatoria dei genitori nella giurisprudenza. 5.1. La prova liberatoria dei genitori del minore incapace. 5.2. La prova liberatoria dei genitori del minore capace. 6. Conclusioni. 2 Dite: é faticoso frequentare i bambini. Avete ragione. Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli. Ora avete torto. Non è questo che più stanca. E’ piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli 1. 1 Generalità. L’illecito del minore. Si afferma da tempo che le norme che regolano l’illecito civile del minore (artt. 2047 e 2048 c.c. nonché indirettamente l’art. 2046 c.c.) operano oggi in una realtà profondamente mutata rispetto a quella in cui furono elaborate 2. E ciò con riferimento sia alla realtà normativa che alla realtà sociale. Janusz Korczak (Varsavia, 22 luglio 1878 – Treblinka, 6 agosto 1942) è stato un pedagogo e scrittore polacco. Korczak, nome d'arte di Henryk Goldszmit, nacque a Varsavia dove negli anni 1898-1904 studiò medicina e scrisse anche per diversi quotidiani polacchi. Dopo il conseguimento della laurea, divenne un pediatra. Nel corso della Guerra Russo-Giapponese nel 1905–1906 egli fu impiegato come medico militare. Nel frattempo il suo libro Child of the Drawing Room gli fece ottenere qualche riconoscimento letterario. Fu deportato a Treblinka insieme a tutti i bambini ospiti dell'orfanotrofio del ghetto di Varsavia e lì morì. 1 Questa disciplina è stata analizzata dalla prevalente dottrina nell’ambito più ampio delle problematiche sottese alla responsabilità civile: cfr., per tutti, De Cupis, Dei fatti illeciti, in Commentario del codice civile Scialoja e Branca, (sub art. 2048), Bologna-Roma, 1994, 37; Alpa -Bessone-Zeno Zencovich, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 14, Torino, 1995, 336 e ss.; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano (artt. 2043-2059), ed. Zanichelli e soc. ed. Foro it., Bologna – Roma, 1994, 346 e ss.; Alpa, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1991, 135 e ss.. Meno frequenti le opere di carattere generale dedicate specificamente all’argomento, v. per tutte Ferrante, La responsabilità civile dell’insegnante, del genitore e del tutore, Milano, 2008, 104; Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984; Venchiarutti, La protezione civilistica dell’incapace, in Il diritto privato oggi, a cura di Cendon, Milano, 1995; ma v. altresì De Cristofaro, La responsabilità dei genitori per il danno cagionato a terzi dal minore, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, Filiazione, II, Milano, 2002, 1213 e ss. Numerosi invece si presentano gli articoli o i commenti ispirati da singole pronunce: cfr. Chianale, Responsabilità dei genitori (sintesi di informazione), in Riv. dir. civ., 1988, II, 277; Fischetti, La responsabilità extracontrattuale dei genitori, in Arch. civ., 1996, 773; Ferri, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., in Giur. it., 2000, 1409; Di Ciommo, Figli, discepoli e discoli in una giurisprudenza «bacchettona»?, in Danno e resp., 2001, 257; Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procura da sè: verso il ridimensionamento dell’art. 2048, in Foro it., 2003, I, 2635; Fantetti, L’illecito del minore e la responsabilità dei genitori, in Famiglia, persone e successioni, n. 2/2009, 104 e ss.; Mastrangelo, La responsabilità dei genitori tra educazione e vigilanza della prole minore, in 2 3 Nel codice del 1865 e in quello del 1942, nella sua versione originaria, il rapporto tra i genitori e la prole era infatti caratterizzato da una posizione di soggezione dei figli rispetto al pater 3. In altri termini, la legislazione rifletteva una concezione gerarchica ed autoritaria della famiglia4 e la prole aveva l’obbligo di «onorare e rispettare» il padre e la madre. I tempi ed i luoghi dedicati ai minori erano fortemente limitati (abitazione familiare, scuola, parentado); i loro spazi di autonomia erano sottoposti alla rigida disciplina del padre; i mezzi di comunicazione e le strutture educative, sia scolastiche che sportive, non avevano il ruolo odierno. Pertanto, l’illecito commesso dal minore poteva essere considerato come direttamente ascrivibile all’inosservanza, da parte dei genitori (o meglio, del padre), dei doveri di educazione e di controllo dei figli. Ai vasti poteri genitoriali non poteva non corrispondere la responsabilità per il fatto illecito del minore considerato come conseguenza del mancato esercizio dei medesimi. L’entrata in vigore della Carta Costituzionale, prima, e della riforma del diritto di famiglia, poi, hanno fortemente mutato il quadro normativo: i figli sono considerati dei soggetti a pieno titolo, ai quali il legislatore riconosce spazi di autonomia e di libertà5 al fine di uno sviluppo completo ed armonico della personalità. I genitori, a loro volta, hanno l’obbligo di istruirli ed educarli secondo le loro inclinazioni e le loro capacità naturali (art. 147 c.c.). In altri termini la responsabilità genitoriale è un munus strettamente connesso ai diritti dei figli; i poteri limitativi attribuiti ai genitori si giustificano in quanto volti alla corretta educazione dei figli, a loro volta non meri recettori Resp. civ. e prev., 2010, 3, 548; Cocchi, Art. 2048 c.c.: orientamenti giurisprudenziali sulla responsabilità da illecito cagionato da minore “capace”, Resp. civ. e prev., 2010, 10, 1969. Infatti, nella visione ottocentesca della famiglia, nella quale non è lasciato alcuno spazio di libertà d’azione al minore, essendo imposta una severa ed “implacabile” sorveglianza da parte del padre, dell’eventuale commissione di un illecito da parte del minore ne doveva rispondere inevitabilmente il genitore stesso. V. sul punto Rossi Carleo, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., in Riv. Dir. Civ., II, 1979, 125. 3 Cfr. Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, 130. Secondo l’A. «per il genitore, la responsabilità per il fatto dei figli minori si giustificava perfettamente nel quadro dell’autorità familiare: questa lo investiva di un potere collegato a una funzione di protezione degli interessi patrimoniali del minore incapace, e dunque di garanzia nei confronti dei terzi per l’attività dannosa del figlio. Questo significato della responsabilità dei genitori discendeva direttamente dal Code Napoléon. In particolare, in sede di presentazione all’Assemblea Legislativa dei motivi ispiratori del Code Napoléon si sostenne che la commissione dell’atto illecito da parte del minore era da attribuire ad un «rilasciamento della disciplina domestica» da rimproverare ai genitori in quanto dotati, appunto, del potere e dell’autorità sufficienti ad imporre ai figli l’assoluto rispetto della proprietà altrui». 4 Ferrando, voce Filiazione (rapporto di), in Enc. giur., XIV, Roma, 1989; v. anche Dogliotti – Figone – Mazza Galanti, Codice dei minori, Torino, 1999. 5 4 passivi ma portatori di diritti, facoltà e abilità propri, da promuovere e comunque rispettare 6. In particolare l’art. 147 c.c. novellato dalla riforma del diritto di famiglia è l’architrave dei nuovi rapporti familiari; esso pone l’obbligo di educare tenendo conto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni del minore; di conseguenza il potere discrezionale dei genitori sui figli va progressivamente riducendosi in rapporto al progressivo accrescersi della loro autonomia e del peso della loro volontà7. Pertanto, dopo l’entrata in vigore della Costituzione e della riforma del diritto di famiglia, appare evidente la necessità di interpretare più “elasticamente” l’art. 2048 c.c. e più in generale di attualizzare l’interpretazione delle previsioni in tema di illecito del minore. Si sono rivelate a tal proposito non esatte le previsioni di pur autorevole dottrina che riteneva che l’abbassamento della minore età a diciotto anni avrebbe drasticamente diminuito la portata dell’art. 20488. Il contenzioso esistente in materia di illeciti dei minori è invece notevolmente diffuso e ha assunto connotazioni ed occasioni nuove in conseguenza di fenomeni nuovi (si pensi ai casi di bullismo scolastico e non, all’uso di internet e dei cellulari, all’uso e alla diffusione dei social networks). Proprio tale diffusione rende importante l’esame della (non sempre univoca) giurisprudenza in materia. Un ampio quadro relativo alle norme interne ed internazionali poste a tutela del minore è contenuto in Cass., 16.10.2009, n. 22080, che riconosce come “a fronte di un ordinamento precostituzionale ricco di riferimenti alla peculiarità, alla specificità della questione minorile (si pensi in particolare alle leggi assistenziali e all'incredibile numero di enti ... a tutela dei minori, suddivisi in categorie e sottocategorie, talora apportatrici di ulteriore emarginazione, oggi fortunatamente per gran parte soppressi o in via di soppressione) è scelta ben condivisibile quella della Costituzione repubblicana di porre il minore sul medesimo piano di ogni altro cittadino. Tale prospettiva è rettamente evidenziata dall'analisi degli artt. 2 e 3 Cost., che costituiscono veramente il fondamento di tutto l'edificio costituzionale. Da un lato, è il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, dall'altro l'impegno pubblico a rimuovere gli ostacoli che - limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini - impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Significativamente, nell'una e nell'altra norma è presente il riferimento alla personalità e al suo sviluppo; un'indicazione siffatta, se appare diretta a tutti i cittadini o, ancor di più, a tutti gli individui, pure, come si è detto, si attaglia particolarmente al fanciullo, per il quale lo sviluppo della personalità costituisce un dato fisiologico. Dunque, tutela dei diritti fondamentali del minore (come di ogni individuo) anche nelle formazioni sociali in cui egli è inserito (si pensi alla famiglia, alla scuola, all'organizzazione del lavoro, all'istituto di assistenza ecc.) ed impegno (che è dello Stato: il legislatore, innanzitutto, ma pure di tutta l'organizzazione pubblica, amministrativa e giudiziaria - e, specificatamente della magistratura minorile - e più in generale dell'intera società) a garantire (e rimuovere in tal senso ogni ostacolo ad) un compiuto ed armonico sviluppo della sua personalità”. 7 Come riconosciuto anche da Corte Cost., 6.10.1988, n. 957. 8 Ci si riferisce a Jemolo, La responsabilità per gi atti illeciti commessi dai minori, in Riv. Dir. Civ., 1980, II, 244. 6 5 2. La tutela risarcitoria per danni derivanti da fatti commessi dal minore. I rapporti tra l’art. 2047 e l’art. 2048 c.c. Il sistema di tutela giurisdizionale risarcitoria per danni recati da un minore di età9 è alquanto complesso e dipende da molteplici variabili. In linea di prima approssimazione, essendo la relazione destinata ad approfondire soprattutto la casistica giurisprudenziale, è sufficiente limitarsi ad osservare quanto segue. La prima variabile fondamentale è data dall’imputabilità o meno del minore autore del fatto10. Infatti, a differenza di quanto prevede in materia il codice penale, che sancisce l’incapacità legale del minore che non abbia compiuto i 14 anni (art. 97 c.p.), il codice civile non prevede un’esenzione legale d’imputabilità per i mi nori al di sotto di una certa età; si applica cioè la previsione generale dell’art. 2046 c.c. che prevede che <<Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa>>11. Si deve peraltro evidenziare che la legge, quando parla di minori, fa riferimento a coloro che non hanno raggiunto la maggiore età, e nessun rilievo hanno le disposizioni che prevedono capacità speciali, che hanno una sfera limitata ai rapporti da esse regolati (Cass., 4.12.1971, n. 3490, in Rep. Foro It., 1971, voce “Responsabilità civile”, n. 183). Prima dell’abbassamento della maggiore età a 18 anni, la suprema Corte aveva escluso che il conseguimento dell’abilitazione alla guida potesse avere dei riflessi sull’art. 2048 c.c., non esonerando, quindi, il genitore dal dovere di vigilanza e dalla conseguente responsabilità (Cass., 27.11.1984, n. 6144, in Rep. Foro It., 1984, voce cit., nn. 85 e 90). La stessa regola vale oggi per gli ultrasedicenni che conseguono la patente per la guida di motoveicoli (Cass., 20.10.2005, n. 20322, in Nuova Giur. Comm., 2006, I, 990 e segg.). 9 Il codice del 1865 non contemplava tale differenza: l’art. 1153 c.c. allora in vigore regolava infatti in un’unica previsione i casi di responsabilità dei genitori, tutori, ecc., prescindendo, ai fini dell’affermazione di responsabilità, dal profilo della capacità naturale dell’autore del da nno. Nel commentare l’articolo la dottrina così si esprimeva: “Ai genitori primamente si rivolge la severa ammonizione; educate i vostri figli, porgete loro esempi di virtù domestiche, vegliate sulla loro condotta. Se i vostri figli saranno bene educati, non faranno delle brutte cose; la legge lo crede e giova il crederlo”; così Borsari, Commentario del codice civile italiano, III, 2, Torino, 1877, 342. 10 L’art. 2046 c.c. è una norma introdotta per la prima volta con il codice civile del 1942, la cui disposizione è identica all'art. 85, 2° co., c.p.; più in generale nei due sistemi i criteri per accertare l'incapacità di intendere e di volere sono differenti: mentre gli artt. 88, 95 e, appunto, 97 c.p. dettano un elenco (ritenuto non tassativo) delle cause di incapacità, in sede civile spetta al giudice accertare caso per caso se l'autore sia capace di valutare adeguatamente il valore sociale dell'atto concreto compiuto, determinandosi di conseguenza (Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 2043-2059, Bologna-Roma, 1993, 317). Pertanto, può accadere che un soggetto ritenuto non imputabile per il diritto penale, lo sia per il diritto civile e correlativamente che lo stesso fatto dannoso possa essere ritenuto fonte di responsabilità solo civile e non anche penale. Quindi anche gli altri incapaci legali, come gli interdetti, sono astrattamente imputabili ed il giudice di merito deve accertare l'incapacità attraverso l'esame del caso concreto, anche se il danno è stato cagionato dall'interdetto o dall'inabilitato: si prescinde quindi sia da una precedente dichiarazione di incapacità legale sia da qualsiasi automatismo normativo 11 6 In altri termini anche i minori di età sono considerati astrattamente imputabili12, laddove siano ritenuti in concreto capaci di intendere e di volere. Nel caso in cui il minore sia ritenuto incapace di intendere e di volere, del danno cagionato dal fatto illecito dallo stesso commesso risponderà colui che è “tenuto alla sua sorveglianza” secondo il paradigma dell’art. 2047 c.c. Ovviamente, in caso di minori incapaci, i primi soggetti tenuti alla loro sorveglianza sono i genitori; successivamente, durante l’orario scolastico, gli insegnanti. Genitori ed insegnanti non potranno essere entrambi tenuti al risarcimento del danno in quanto la sorveglianza dell’incapace spetterà o all’uno o all’altro. Ove invece il minore sia ritenuto capace di intendere e di volere, in primo luogo, egli stesso risponderà ex art. 2043 c.c. e sarà obbligato al risarcimento del danno; alla sua responsabilità diretta il codice aggiunge, ex art. 2048 c.c., quella dei genitori e tutori, oltre che dei precettori, alla condizione che i primi “coabitino” con il minore medesimo13. Le due responsabilità, ex art. 2047 e 2048 c.c., configurano forme di responsabilità presunta, almeno per l’opinione della maggioranza della dottrina, e ammettono la prova contraria, che dovrà quindi essere offerta dai convenuti, di “non aver potuto impedire il fatto”. Secondo quanto detto quindi le due forme di responsabilità di cui agli artt. 2047 e 2048 c.c. sono in rapporto di alternatività tra loro; nel senso che o sussiste l’una o sussiste l’altra e la scelta dipende dall’accertamento della capacità di intendere e di volere del minore14. (Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, 268). Occorre accertare se il fatto si è verificato in un intervallo di lucidità mentale (Visintini, I fatti illeciti, I, Padova, 1987, 480), momento in cui anche l'incapace legale può rendersi conto delle proprie azioni e quindi essere tenuto a risarcire il danno (Bruscuglia, L'interdizione giudiziale per l’infermità di mente, Milano, 1983, 26). 12 Si deve appena segnalare che per molto tempo l’imputabilità è stata considerata come un’attitudine alla colpa: si affermava che non vi potesse essere colpevolezza se il soggetto non fosse in grado, al momento del fatto, di rappresentarsi e rapportarsi volitivamente alla realtà esteriore; in tale ottica l’imputabilità era un presupposto della colpevolezza. Tale schema tende, tuttora, ad essere abbandonato con la conseguenza che la colpevolezza e l’imputabilità si pongono come requisiti autonomi dell’illecito ed il secondo non sempre condiziona il giudizio di responsabilità. La colpa si riduce, quindi, alla deviazione del comportamento produttivo di un certo evento lesivo dai principi e dalle regole di convivenza poste dall’ordinamento giuridico. L’imputabilità, invece, riguarda la possibilità di escludere la responsabilità del soggetto, a causa di un suo eventuale turbamento psichico: ciò che rileva è la componente psichica del soggetto dalla quale eventualmente risulti la coscienza e volontà, propria della capacità naturale. 13 Cass. 26.6.2001, n. 8740, in Giust. Civ., 2002, I, 710 e in Danno e Resp., 2002, 283; Trib. Frosinone, 12.6.2002, in Gius, 2002, 2365. 14 Cfr. Cass. 25.3.1997, n. 2606 secondo cui <<la responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere e volere al momento del fatto, rispettivamente nell'art. 2048 cod. civ., in relazione ad una presunzione "iuris tantum" di difetto di educazione ovvero nell' art. 2047 cod. civ., in relazione ad una presunzione "iuris tantum" di difetto di sorveglianza e di vigilanza. Le indicate ipotesi di responsabilità presunta pertanto, sono alternative - e non concorrenti - tra loro, in dipendenza dell' accertamento, in concreto, dell' esistenza di quella capacità>>. Nel caso in esame si verificava un sinistro stradale nel quale riportava lesioni F.A., trasportato sulla Fiat Uno condotta da C.C., all'epoca dei fatti minorenne (appena 7 Il differente ambito applicativo tra le due disposizioni emerge anche dalla diversa formulazione delle medesime; l’art. 2047 si espr ime in termini di “danno cagionato dall’incapace” non qualificando come “illecito” il comportamento di chi al momento del fatto non era capace di intendere e di volere; l’art. 2048 invece utilizza la diversa espressione “danno cagionato dal fatto illecito” dei figli minori presupponendo la capacità dei medesimi15. Trattandosi di domande diverse, ove in sede di gravame la parte appellante circoscriva l’impugnazione alla questione della responsabilità dei genitori ex art. 2048, non sussiste vizio di omessa pronuncia del giudice di appello che non abbia riesaminato anche la questione della responsabilità ex art. 204716. Ciò premesso, l’obbligazione risarcitoria dei genitori ex art. 2047 è ovviamente di natura esclusiva. Risultando assente l’imputabilità non vi sarà responsabilità dei minori incapaci, salva l’ipotesi dell’indennizzo di cui all’u.c. dell’art. 2047. Si è detto che la responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei figli minori ai sensi dell'art. 2048 c.c. concorre con quella degli stessi minori fondata sull'art. 2043 c.c. se capaci di intendere e di volere 17. Ovviamente la vocatio in ius dei minori in proprio è alquanto rara, non disponendo normalmente i medesimi di un patrimonio sul quale agire in executivis e la ratio dell’art. 2048 viene tradizionalmente individuata proprio nella necessità di offrire una garanzia ai terzi danneggiati. Il rapporto tra le due forme di responsabilità (responsabilità dei genitori e del minore) è quindi quello della solidarietà secondo la regola generale dell’art. 2055 c.c. Occorre subito evidenziare che ove siano citati in giudizio solo i genitori (o solo il minore rappresentato dai medesimi), si produce una situazione di litisconsorzio facoltativo, nella quale, pur nell'unicità del fatto storico, permane l'autonomia dei rispettivi titoli del rapporto giuridico e della "causa petendi18. Qualora poi il minore sia stato chiamato in giudizio, rappresentato dai genitori, e divenga maggiorenne in corso di causa, cessa la capacità del genitore quattordicenne), e che era ritenuta capace di intendere e di volere sia in considerazione dell’età che del carattere. Sempre in tal senso Cass. 10.4.1970, n.1008 (nella specie, un bambino aveva lanciato un pugno di calce sul viso di altro bambino, che aveva riportato in conseguenza, completa causticazione di un occhio e perdita della vista). Ed ancora Cass. 4.10.1979, n. 5122. Nella giurisprudenza di merito Trib. Chieti, 15.1.2007, in DVD Platinum Utet; e anche Trib. Milano, 18.12.2001, in Gius, 2002, 2365, che precisa che in tema di responsabilità civile per fatto illecito, affinchè si applichi la disciplina sulla responsabilità aggravata a carico di chi è tenuto a sorvegliare l'incapace (art. 2047 c.c.) è necessario che vi sia la conoscenza dell'incapacità della persona che ha commesso il fatto. Pertanto, nell'ipotesi in cui i genitori non conoscano lo stato di incapacità di intendere e di volere del figlio, trova applicazione unicamente l'art. 2048 c.c. 15 Mantovani, Responsabilità dei genitori, tutori, precettori e maestri d’arte, in La responsabilità civile, a cura di Alpa e Bessone, in Giur. sist. civile e commerciale, III, Torino, 1987, 5. 16 Cass. 5.2.1979, n. 776. 17 Cass. 13.9.1996, n. 8623. 18 Cass, 5.6.1996, n. 5268; Cass. 28.2.1983, n. 1512. 8 di stare in giudizio, in rappresentanza del figlio minore, con necessità di interruzione del processo19. La diretta conseguenza della ritenuta solidarietà esistente tra minore e genitori dovrebbe comportare che i genitori che abbiano risarcito il danno per fatto illecito del minore possano esperire l’azione di regresso nei suoi confronti; è stato però evidenziato che il pacifico accoglimento di tale teoria finirebbe quasi sempre per far slittare l’onere risarcitorio sulle spalle del minore, mediante un’azione di rivalsa che finirebbe per liberare i vicari da seri incentivi a prevenire la sua condotta dannosa20. Occorrerebbe quindi, secondo tale dottrina, una regola che, pur sancendo la responsabilità del minore, non permetta comunque ai vicari di scaricare in toto il loro fardello risarcitorio sulle spalle dello stesso minore21. Del pari, il vincolo di solidarietà sussiste anche tra la responsabilità dei genitori da un lato e quella eventuale dei precettori dall'altro, ove l’illecito sia stato posto in essere dal minore capace durante l’or ario scolastico; si tratta di responsabilità fondate rispettivamente sulla "culpa in educando" e sulla "culpa in vigilando", quando sia stata accertata una inadeguata educazione del minore alla vita di relazione. Ciò detto, occorre esaminare in particolare i due presupposti della responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., ai quali è stata data particolare attenzione in giurisprudenza, e cioè a) la capacità di intendere e di volere del minore autore del fatto; b) la coabitazione del genitore con il minore. 3. L’accertamento della capacità del minore di commettere fatti illeciti. Si è già evidenziato che la distinzione tra le due fattispecie degli artt. 2047 e 2048 c.c. passa attraverso l’accertamento della capacità di intendere e di volere del minore. Cass. 26.11.1984, n. 6116. Monateri, Trattato di diritto privato. Illecito e responsabilità civile, Torino, 2008, 133. La questione coinvolge il tema teorico della natura della responsabilità ex art. 2048, se responsabilità diretta per fatto proprio colposo, affermata normalmente dalla giurisprudenza (vedi per tutte Cass. 28.3.2011, n. 4481; Cass. 10.5.2000, n. 5957) oppure responsabilità indiretta per fatto altrui o ancora responsabilità oggettiva, questione la cui trattazione pertiene all’altra relazione prevista. 21 La Corte Suprema si è esplicitamente espressa solo a proposito della rivalsa esercitabile da parte del precettore: Cass. 22.10.1965, n. 2202 ha affermato che è inammissibile una azione di rivalsa totale del precettore che lo mandi indenne da ogni onere di risarcimento. Secondo l’orientamento della S.C., in tema di responsabilità vicaria per il fatto illecito commesso dal minore, il danno risulta sempre essere la risultante di due violazioni che hanno concorso a determinarlo: quella ascrivibile al minore che ha materialmente commesso il fatto, e quella imputabile all’omissione del vicario che quel fatto aveva l’obbligo di impedire e non lo ha impedito. Perciò il vicario, così come fu partecipe nella produzione dell’evento, deve necessariamente essere partecipe all’onere del risarcimento del danno: la ripartizione andrà effettuata in ragione della gravità delle rispettive colpe. 19 20 9 Sul punto si segnala che nel campo civile opera un sistema diverso ed autonomo rispetto a quello previsto dal legislatore per l'imputabilità in campo penale, nel quale è la legge stessa che fissa le cause che la escludono; per il minore la soglia dell’imputabilità penale, come già accennato, è predeterminata a quattordici anni, sempre che egli sia capace di intendere e di volere; mentre, a norma dell'art. 2046, compete al giudice civile accertare caso per caso se il minore sia da ritenere capace di intendere e di volere a prescindere dall’età22. In realtà tale affermazione di principio, propria della giurisprudenza, dovrebbe essere parzialmente corretta; ed infatti la differenza tra diritto civile e diritto penale sussiste sono fino al compimento dei 14 anni, perché raggiunta tale età, in entrambi i casi la capacità di intendere e di volere deve essere oggetto di specifico accertamento. Ciò premesso, è evidente che il codice è avaro di indicazioni a tal fine. In primo luogo esso non reca alcuna definizione della capacità di intendere e di volere. In secondo luogo, il codice non distingue, nell’ambito della categoria degli incapaci, tra i minori e i sofferenti psichici; né, con riferimento ai primi, prevede alcuna rilevanza legale dell’età (cioè non prevede alcuna età come limite della responsabilità o meno del minore). Infatti l’art. 2048 c.c. non contempla alcuna distinzione fra la posizione dei minori a seconda della loro età, sicché il regime di responsabilità che deriva dall’illecito di un diciassettenne è formalmente identico a quello che consegue dal medesimo fatto di un dodicenne. Manca, cioè, una graduazione della responsabilità che tenga conto della figura del c.d. grande minore. In assenza di definizione normativa, occorre premettere allora che la capacità di intendere e volere viene generalmente identificata con quel minimo di attitudine psichica ad agire e valutare le conseguenze del proprio operato, necessario affinché, secondo la comune coscienza, sia possibile ritenere che il fatto dannoso è conseguenza di una libera scelta dell'autore, con riferimento sia alla sfera intellettiva che a quella volitiva23. Sostanzialmente è su posizioni analoghe la giurisprudenza24. Tale capacità, non necessariamente subordinata ad uno stato di infermità, più compiutamente viene definita dalla letteratura specializzata come una categoria unitaria ma composita; infatti, comprende: - l’intendere, ovvero la capacità di capire il disvalore sociale e giuridico dell’azione deviante messa in atto; si riferisce alla modalità di utilizzazione delle funzioni cognitive al momento dei fatti, in cui incidono anche gli aspetti emozionali, come possibilità di anticipare gli effetti connessi all’azione comprendendone il significato; Cass. 15.1.1980, n. 369; Cass. 18.6.1975, n. 2425. Salvi, La responsabilità civile, in Tratt. Iudica, Zatti, Milano, 1998, 105. Autorevole dottrina (Bianca, Diritto civile. La responsabilità, V, Milano, 1994, 657), definisce l’incapacità come “inidoneità psichica della persona a comprendere la rilevanza sociale negativa delle proprie azioni e a decidere autonomamente il proprio comportamento”. 24 Cass. 4.4.1959, n. 1006. 22 23 10 - il volere, ossia la capacità di autoregolarsi e autodeterminarsi di fronte all’agito; è strettamente correlata alla volontà, consente di gestire e di dominare le pulsioni, di guidare la persona attraverso modalità che inibiscono l’acting, con il concetto di responsabilità attivo e presente in relazione al fatto deviante. Spesso per i minori si usa l’analoga nozione di “capacità di discernimento”, per la quale attenta dottrina ha fornito anche una nozione non giuridica nel senso di “adeguato sviluppo del minore da un punto di vista cognitivo, emotivo e relazionale” 25. I criteri di accertamento della capacità non potranno però che essere diversi in relazione ai sofferenti psichici26 e ai minori27. Scardaccione, La capacità di discernimento del minore, in Dir. Fam. Pers., 2006, 1319. In realtà tale nozione ha una storia lunga che solo in parte si sovrappone a quella di capacità di intendere e di volere; cfr. Dell’Utri, Il minore tra ''democrazia familiare'' e capacità di agire, in Giur. it., 2008, 6: secondo il quale: “L’uso ufficiale più antico della nozione del discernimento — che il linguaggio comune traduce come l’attitudine a conoscere, “distinguere” e, in breve, a giudicare tra alternative di ordine giuridico-morale — risale alle previsioni del codice penale dell’età liberale (il c.d. codice Zanardelli) del 1889, che su quell’idea aveva costruito l’intero sistema dell’imputabilità dell’illecito criminale. Sulla scelta (recepita da anticipazioni presenti nel codice penale del Regno delle due Sicilie) faceva premio la condizionante incidenza della cultura di ispirazione positivista, incline a privilegiare — sul presupposto della preminente funzione di “difesa sociale” del sistema penale — piuttosto la sufficienza del momento “cognitivo” del “colpevole” (ossia, l’attitudine a conoscere e “distinguere”, da quelli riprovati, i fatti socialmente o eticamente meritevoli), rispetto alla dimensione volitiva dell’azione. Al di là delle critiche, che pure incontrarono le opzioni del legislatore liberale, il requisito del discernimento rimase a fondamento del sistema dell’imputabilità fino alla riforma degli anni ’30, allorché la nozione del discernimento lasciò il posto, nelle norme del codice Rocco, alla formula della capacità «di intendere e di volere». Con la regola del nuovo codice, il legislatore fascista realizzava il ritorno del sistema della repressione penale al principio dell’autodeterminazione e, in ultima analisi, della libertà del volere come necessario presupposto della punibilità del colpevole, secondo i canoni della Scuola classica. In forza di una scelta variamente accolta — ora nei termini dell’equilibrio, talora dell’ambiguità —, il codice degli anni ’30 andava compiendo (attraverso il c.d. “sistema del doppio binario” tra pene e misure di sicurezza) quel compromissorio incontro tra liberalismo e positivismo, tra libero arbitrio e determinismo (o, se si vuole, tra Scuola positiva e Scuola classica) su cui ancora si esercita la riflessione del giurista penalista contemporaneo. Sul piano dei rapporti civili — se si prescinde da occasionali interventi normativi, più spesso ispirati allo stile o al linguaggio di accordi internazionali, in cui la capacità di discernimento è specificamente richiesta al fine di esprimere un “consenso” —, il legislatore italiano appare viceversa incline a legare l’indagine sul requisito del discernimento del minore alla vicenda dell’ascolto giudiziale”. 25 Il tema della capacità dell’infermo di mente è oggetto di ampia dottrina; vedi per tutti Salvi, La responsabilità civile dell'infermo di mente, in Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione, a cura di Cendon, Napoli, 1988. Il tema risulta inciso significativamente dall’introduzione, ad opera della l. 6/2004, del nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno. 27 E’ da notare come le due categorie di soggetti siano spesso accomunate e non solo dalla previsione dell’art. 2047; “è un dato comune che anche i bambini, i pazzi, gli ubriachi hanno sentimenti, coscienze, volizioni: subiscono patimenti, ordiscono trame, hanno il sen so del tuo e del mio. Ciò che loro manca è una visione ordinata e completa delle cose, una capacità di reazione equilibrata e costante, l’idoneità a scegliere l’azione più appropriata alle circostanze” (vedi Moschella, Fatto giuridico, Eng. Giur., XIV, Roma 1989). 26 11 In relazione alla capacità di intendere e di volere di un minore tale valutazione dovrà essere compiuta quindi, lo si ribadisce, non tenendo conto esclusivamente dell'età ma considerando questi ultimi unitamente allo sviluppo psico-fisico del minore, alle modalità del fatto e a ogni altro eventuale elemento rilevante. Tale affermazione appare pacifica anche nella giurisprudenza di legittimità che esclude di conseguenza che possa farsi esclusivo riferimento all’età28. Appare quindi sicuramente superata una giurisprudenza di merito piuttosto remota che aveva inve ce automaticamente reputato i minori di quattordici anni, ai fini dell’applicazione dell’art. 2047 c.c., incapaci di intendere e di volere, indipendentemente da qualsiasi accertamento di fatto29. Il principio espresso dalla Suprema Corte, invece, comporta la necessità di valorizzare il dato concreto e superare il mero fattore statistico, peraltro destinato a cambiare con il mutare delle generazioni e il passare degli anni. La giurisprudenza di legittimità suggerisce in buona sostanza un approccio case by case che viene ritenuto analogo al modus operandi della giurisprudenza nordamericana che valuta la condotta del minore non solo in relazione a ciò che avrebbe fatto un suo coetaneo bensì a quello che ci si sarebbe potuti aspettare da un individuo con la sua stessa età, esperienza e intelligenza e che si trovasse nelle sue circostanze. Una prima diretta conseguenza di tale impostazione è che l'accertamento del giudice del merito della capacità di intendere e di volere del minore si risolve in una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivata30. L’approccio suggerito dalla giurisprudenza di legittimità rende difficile, ma non meno interessante, tentare di trarre indicazioni di massima circa l’individuazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione sulla capacità e come in concreto essi vengano valutati, attraverso un’analisi casistica; comprendere su chi inoltre gravi l’onere di provare l’incapacità del minore; infine segnalare quali siano i mezzi di prova attraverso i quali introdurre detti elementi nel processo. Il primo elemento da considerare e punto di riferimento obbligato appare comunque essere l’età. Cass. 19.11.1990, n. 11163; Cass. 21.2.1980, n. 1259; Cass. 18.6.1975, n. 2425; Cass. 17.10.1969, n. 3403; Cass. 4.4.1959, n. 1006. Nella giurisprudenza di merito App. Lecce, 22.12.1969, in Giust. Civ., 1970, I, 1480; App. Firenze, 13.3.1964, in Giur. Toscana, 1964, 598. 29 Trib. Reggio Emilia, 18.3.1982, in Foro it., Rep. 1983, voce Istruzione pubblica, n. 520. 30 In tema di responsabilità da fatto illecito, l'accertamento del giudice del merito della capacità di intendere e di volere del minore (art. 2046 c.c.), cioè della sua idoneità alla autodeterminazione, nella consapevolezza dell'incidenza del proprio operare sul mondo esterno, si risolve in una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata: così Cass., 27.3.1984, n. 2027; Cass. 21.2.1980, n. 1259. 28 12 La dottrina31 ha segnalato che dall’analisi delle pronunce in materia si rileva una tendenza degli organi giudicanti ad applicare, in sede di accertamento dell’imputabilità, uno schema in base al quale, di fronte ad un minore in tenera età, la prova dell’incapacità viene considerata in re ipsa, mentre, negli altri casi (minori medi e «grandi minori») l’indagine sull’imputabilità porta ad una verdetto positivo tanto più il danneggiante sia vicino al raggiungimento della maggiore età. Più compiutamente in base alle varie decisioni giurisprudenziali sarebbe possibile delineare tre grandi categorie. Una prima categoria è quella rappresentata dai minori prossimi al raggiungimento della maggiore età; in queste ipotesi la maturità psicofisica e le doti intellettive dei minori sono equiparate a quelle di un adulto. Una seconda categoria individuabile è quella dei minori di età compresa tra i dodici e i sedici anni. In questi casi particolare attenzione dovrà essere rivolta al fatto che il minore dimostri, in base a caratteristiche soggettive concrete, di essere in grado di badare a se stesso e, se ciò nonostante infranga le regole di diligenza e prudenza, sarà passibile di condanna. Ultima categoria è rappresentata da quei minori che, pur capaci di intendere e di volere, versino in quella che è stata definita “tenera età”. Sul punto però non si può non evidenziare come l’elasticità dei criteri conduca a risultati non univoci. Una remota giurisprudenza presume l’incapacità nei minori infanti ritenendo tali i minori di sette anni32; d’altro canto risulta applicato l’art. 2048 a bambini che frequentavano la prima elementare 33 o di 7 anni34; ed ancora, sono stati considerati civilmente capaci di intendere e di volere un bambino di anni 935 ed uno di anni 1136 ma non uno di anni 1037; ancora, è stato considerato capace un minore di 4 anni38. Un dodicenne è stato considerato capace 39 o meno40 a seconda delle circostanze del caso. Venchiarutti, La responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte, in AA.VV., La responsabilità extracontrattuale. Le nuove figure di risarcimento del danno nella giurisprudenza, a cura di Cendon, Il diritto privato oggi, Milano, 1994, 402. 32 Cass. 7.7.1958, n. 2435; Trib. Piacenza. 4.3.1961, in Arch. Civ., 1961, 869; vedi anche App. Cagliari, 22.6.1963, in Rass. Giur. Sarda, 1963, 373, secondo cui “Trattandosi di danno provocato da minore di sette anni il genitore risponde in base all'art. 2047 c.c., e non 2048, per cui la prova liberatoria non può comprendere la dimostrazione, da parte dei genitori, di aver dato al minore una buona educazione” 33 Cass. 20.9.1979, n. 4835; Cass. 4.3.1977, n. 894. 34 Nel caso esaminato da Cass. 20.1.2005, n. 1148, si fa riferimento ad un minore colpito all’occhio da un ceppo di legno scagliato da minore di sette anni; la Corte di Appello aveva ritenuto che in base all’età il minore fosse da ritenere incapace e la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione non essendo oggetto di ricorso. 35 Cass. 4.4.1959, n. 1006, in Giur. it., 1959, I, 1, 619. 36 Cass. 10.2.1999, n. 135, in Giur. it., 2000, I, 1, 507 37 Cass. 9.7.1998, n. 6687. 38 Cass. 3.10.1966, n. 2367. Cocchi, Art. 2048 c.c.: orientamenti giurisprudenziali sulla responsabilità da illecito cagionato da minore “capace”, in Resp. civ. e prev., 2010, 10, 1969 cita anche, in tal senso, Trib. Palermo, 19.5.2010, in www.edscuola.it/archivio/norme/varie/senttribpa2665_10.pdf. 39 Cass. 26.6.2001, n. 8740. 40 Cass. 24.10.1988, n. 5751. 31 13 Alcune decisioni di merito hanno considerato, oltre l’età, anche il sesso41 Talvolta, unitamente all’età, risulta essere preso in considerazione lo scarso rendimento scolastico riferito dai testimoni42 o la tipologia di studi frequentati43. Molto spesso il riferimento decisivo appare essere quello delle modalità del fatto. Sulla rilevanza di tale elemento però in realtà non vi è chiarezza né univocità delle interpretazioni. Per esempio in un caso la Suprema Corte ha ritenuto, sulla base delle modalità del fatto, capace di intendere e di volere un bambino di sei anni44. Si trattava di un minore che aveva lanciato un sasso contro un coetaneo cagionando la ferita perforante del bulbo oculare con conseguente perdita del visus. Egli, benché seienne all'epoca dei fatti, fu ritenuto avere la capacità di comprendere la pericolosità del gesto che compiva, ed avere altresì la volontà di arrecare danno al coetaneo, ciò desumendo, oltre che dal suo normale sviluppo fisico-psichico (confermato anche dal suo buon inserimento nella vita scolastica), dalle modalità del fatto, emerse dalle deposizioni dei testi escussi, e dalla determinazione dimostrata nel lancio consecutivo di tre sassi contro il coetaneo. Appare però evidente che la determinazione nel voler lanciare la pietra contro un altro bambino se certo può essere indicativa di una sicura volontà di cagionare l’evento, non appare altrettanto decisiva a proposito della capacità del minore di comprendere la portata del proprio gesto. Tanto che sempre a proposito di bambini che lanciano sassi, altra giurisprudenza ha ritenuto capace un minore di 4 anni45 e incapace un minore di 1046. Un punto di riferimento obbligato, in quest’esame, è costituito da altra giurisprudenza, molto citata nei re pertori4 7 . App. Firenze, 13.3.1964, in Giur. tosc., 1964, 598, ha considerato capace la minore infraquattordicenne, motivando sulla circostanza che la donna con lo sviluppo fisiologico raggiunge di solito più precocemente e prima dell’uomo anche la capacità di intendere e di volere. 42 Cass. 19.6.1997, n. 5485. 43 Trib. Trani, 20.5.2007, in Fam. e dir., 4, 2008, 379, anche sulla base delle modalità del fatto e della particolare aggressività dimostrata dai minori tutti ultraquattordicenni. 44 Cass. 19.11.1990, n. 11163. 45 Cass. 3.10.1966, n. 2367 cit. 46 Cass. 9.7.1998, n. 6687. 47 Cass. 26.6.2001, n. 8740, leggibile su Foro it. 2001, I, 3098, con nota redazionale e commento di Di Ciommo, L’illiceità (o antigiuridicità) del fatto del minore (o dell’incapace )come presupposto per l’applicazione dell’art. 2048 (o 2047) c.c. La sentenza si segnala altresì per numerose altre affermazioni di principio tra cui: l’affermazione della natura diretta della responsabilità dei sorveglianti di cui all’art. 2047 c.c. e dei genitori ex art. 2048 nel senso che essa postula non solo la commissione dell’illecito da parte del minore/incapace ma anche la condotta (commissiva o più spesso omissiva) direttamente ascrivibile ai medesimi e che si caratterizzi per la violazione dei doveri della sorveglianza e dell’educazione; l’affermazione della necessaria illiceità del fato posto in essere dal minore e della necessaria antigiuridicità del fato commesso dall’incapace. 41 14 La sentenza concerne il caso di un infortunio occorso ad una minore mentre giocava a “ruba bandiera” nel cortile di una parrocchia ed era travolta da un avversario dodicenne; cadendo a terra ella riportava la frattura del polso. La Corte, nel caso di specie, ha espressamente negato che la sola circostanza dell’età di 12 anni (e più in generale il fatto di essere di età inferiore a 14 anni) determini di per sé incapacità di intendere e di volere; analogamente ha negato che una valutazione sulla capacità possa ricavarsi esclusivamente dalle modalità del fatto e ha ritenuto necessario che il giudice valuti anche lo sviluppo intellettivo del soggetto, quello fisico, l'assenza (eventuale) di malattie, la forza del carattere , la capacità del minore di rendersi conto della illiceità della sua azione, la capacità del volere con riferimento all'attitudine ad autodeterminarsi. La Corte ha precisato che la legge non indica i criteri in base ai quali effettuare quest’accertamento ma lo affida al giudice che dovrà compierlo seguendo criteri di comune esperienza e nozioni della scienza. Passando poi ai criteri di valutazione, occorre subito evidenziare che un riferimento spesso contenuto nelle decisioni di legittimità è quello che gli elementi acquisiti al processo debbano essere valutati secondo le massime di comune esperienza e le nozioni della scienza, con la precisazione che questi criteri sono implicitamente assunti dalla norma, per cui il giudice è tenuto a rispettarli e la mancata applicazione degli stessi si risolve in una violazione di legge 48. Ciò premesso, occorre fornire una breve considerazione che potrebbe aiutare a comprendere quelle che appaiono posizioni contraddittorie della giurisprudenza. Occorre infatti segnalare, cogliendo gli spunti di una dottrina che si è occupata del tema49, che spesso nelle decisioni in materia non vi è una espressa presa di posizione su quale sia il presupposto di partenza in casi siffatti. In altri termini, in presenza di un minore, si parte da una presunzione di capacità o di incapacità? Chi deve provare cosa? In linea di principio non si dovrebbe dubitare che il riparto dell’onere della prova appare dipendere dalla concreta vicenda processuale; qualora l’attore agisca contro il sorvegliante assumendo, quindi anche implicitamente, l’incapacità del minore, l’onere di provare tale incapacità graverà sull’attore medesimo; così si è espressa la S.C.50. In dottrina si rinviene del resto l’opinione che la prova della non imputabilità deve essere fornita dal soggetto che la invoca51. Nessun problema sussiste quindi per esempio ove l’attore citi i genitori in giudizio espressamente (o anche implicitamente) facendo riferimento alla previsione dell’art. 2047 e quindi anche alla condizione di incapacità del minore e all’obbligo di sorve glianza dei genitori. Cass. 28.4.1975, n. 1642. Ferrante, La responsabilità civile dell’insegnante, del genitore e del tutore, Milano, 2008, 104. 50 Cass. 26.6.2001 n. 8740. 51 Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965, 73. 48 49 15 Sennonché nella stragrande maggioranza dei casi concreti un’esplicita presa di posizione dell’attore in tal senso non vi sarà e i genitori saranno citati nella loro generica qualità o magari facendo riferimento cumulativamente alle due disposizioni. In casi siffatti, allora, chi dovrà allegare e provare lo stato di capacità/incapacità? E cioè, in altri termini, il minore si presume capace o incapace civilmente? Su tale questione non si registrano esplicite prese di posizione della giurisprudenza ma vi sono numerosi passaggi motivazionali in talune decisioni che lasciano comprendere che la giurisprudenza parta molto spesso da una presunzione di capacità del minore. Si faccia riferimento per esempio alla già citata Cass. 8740/2001 la quale afferma: <<nella fattispecie la sentenza impugnata non ha mai ritenuto che il ragazzo antagonista fosse un incapace di intendere e di volere, per cui fosse applicabile necessariamente la disciplina dell’art. 2047 c.c. ma sempre qualificato lo stesso (soltanto, n.d.r.) come minore. Né come si è detto la sola età di dodicenne ne faceva pacificamente un incapace…>>. E da questo presupposto, pur in assenza di alcun accertamento nel giudizio di merito circa l’effettiva capacità o meno, la S.C. fa discendere l’applicabilità dell’art. 2048 c.c. Ciò probabilmente spiega come mai i risultati interpretativi cui si perviene non siano sempre univoci52. Quanto ai mezzi di prova utilizzabili per accertare la capacità di intendere e di volere del minore si rileva quanto segue. In primo luogo non può non rilevarsi come in molti casi l’accertamento sulla capacità sia compiuto dal giudice civile mediante l’utilizzazione delle risultanze della perizia svolta nel corso del procedimento penale davanti al Tribunale per i minorenni. Così è avvenuto in diversi casi esaminati sia dai giudici di legittimità53 che dai giudici di merito54. Ovviamente ciò è possibile solo ove si tratti di illeciti tanto gravi da condurre ad un procedimento penale e sempre che riguardino minori di età tra i 14 e i 18 anni. In senso critico nei confronti di tale impostazione giurisprudenziale vedi Ferrante, La responsabilità civile dell’insegnante, del genitore e del tutore, Milano, 2008, 113, che propone una soluzione interpretativa esattamente opposta; l’A., partendo dall’assunto che la legge prevede la capacità di agire in capo al minore al compimento del 18° anno di età (art. 2 c.c.) e dalla considerazione che la capacità di intendere e di volere non possa che essere un presupposto logico della capacità di agire, perviene alla conclusione che per i minori, anche ai fini dell’applicazione degli artt. 2047 e 2048, si debba partire dalla presunzione di incapacità di intendere e di volere. In altri termini in assenza di esplicita allegazione e prova si applicherà l’art. 2047 e non l’art. 2048, con conseguente alleggerimento dell’onere probatorio in capo ai genitori; sul quale vedi peraltro i successivi paragrafi. 53 Cass. 12.12.2003 n. 19060. 54 Trib. Chieti cit., che riguarda il caso di una persona ferita volontariamente dal minore con un coltello da cucina, avente un manico di cm. 14 ed una lama di cm . 19; cfr. anche Trib. Venezia, 14.7.1999, in Foro Padano, 2000, I, 428 e App. Genova, 13.10.2006, in DVD Platinum Utet. 52 16 Le indagini da compiere in questo tipo di perizie, rispetto la capacità di intendere e di volere di un minore sia in relazione alla psicopatologia, sia in relazione alla sua eventuale maturità o immaturità, sono molto estese e riguardano concetti prevalentemente sociologici e psicologici, anche se questi ultimi hanno sempre avuto difficoltà nell’essere validamente studiati e definiti, a vantaggio del modello medico-biologico, maggiormente preso in considerazione per la sua maggiore chiarezza e apparente semplicità. D’altronde, l’opinione concorde di norma, dottrina e giurisprudenza, fa riferimento specifico all'ambiente, alle condizioni culturali, familiari e sociali, ma anche ad aspetti più prettamente psicologici – letti alle volte in chiave medica - come sviluppo psichico globale sia intellettuale che volitivo-motivazionale, istintivo-affettivo, etico-morale. L'interpretazione dell'art. 98 c.p. ha condotto al concetto di immaturità che non emerge da nessuna disposizione legislativa in quanto conseguenza di elaborazione giurisprudenziale55; l’immaturità, se accertata, consente di escludere la capacità di intendere e di volere anche in assenza di infermità e dunque l’imputabilità del minore è legata anche al concetto di maturità evolutiva. Con tale concetto la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha indicato in modo concorde vari parametri, fra i quali il livello di maturazione individuale sotto il profilo fisiologico, psicologico e sociale, che presuppone la consapevolezza dell’antigiuridicità e del disvalore sociale dell’atto deviante e di conseguenza la capacità di determinare il proprio comportamento, ma anche uno sviluppo armonico della personalità e intellettivo adeguato all’età, la capacità di valutare in modo adeguato i motivi degli stimoli a delinquere, la capacità di comprendere il valore morale della propria condotta, la capacità di valutare le conseguenze dannose del proprio operato per sé e per gli altri, la forza del carattere, l’attitudine a distinguere il bene dal male, l'onesto dal disonesto, il lecito dall'illecito, la volontà rispetto il proprio agito come risultato di una scelta consapevole Laddove la perizia non vi sia stata in sede penale, nulla vieta di disporre una C.T.U in sede civile, anche se nella prassi giurispr udenziale il ricorso a tale incombente istruttorio in casi siffatti appare piuttosto infrequente. Tale prassi ha ricevuto un avallo autorevole da un recente intervento della Suprema Corte 56 che ha escluso la necessità di svolgere indagini tecniche di carattere psicologico per affermare o escludere la capacità di intendere e di volere di un minore “quando le modalità del fatto e l’età del minore siano tali da autorizzare una conclusione in un senso o nell’altro”. Il caso concerneva il seguente fatto: durante il viaggio su uno scuolabus un bambino della terza elementare era aggredito da un bambino della quinta (di dieci anni), a seguito di una lite sul posto da occupare; il bambino di quinta lo colpiva alla schiena ripetutamente con la cartella provocandogli la lesione di quattro vertebre. I giudici di merito avevano ritenuto l’aggressore incapace di intendere e di volere in base 55 56 all’età (dieci anni) e alle modalità del fatto (argomentando soprattutto Cass. pen., 14.7.1982, n. 6979. Cass. 19.11.2010, n. 23464. 17 sull’imprevedibilità della conseguenza lesiva grave rispetto al mezzo di offesa adoperato) ed escludendo la necessità di indagini tecniche; la S.C. ha confermato tale decisione ritenendo che ben potesse il giudizio fondarsi su massime di comune esperienza unicamente tenendo conto dell’età e delle modalità del fatto. In realtà ciò che appare estremamente frequente è il ricorso alle presunzioni57. 3.1. Alcune considerazioni. La non univocità degli orientamenti giurisprudenziali in materia dipende evidentemente anche dalla scelta del nostro ordinamento di non indi care alcun limite di età oltre/al di sotto del quale ritenere la capacità/incapacità al fine di essere considerati civilmente responsabili58. Appare utile rammentare però che esistono diverse disposizioni interne e internazionali che variamente considerano i minori come capaci di discernimento o dotati di una maturità adeguata a porre in essere atti rilevanti giuridicamente. A 16 anni infatti il minore: - può contrarre matrimonio (art. 84 c.c.) ed eventualmente riconoscere il figlio (art. 244 c.c.); - può proporre mediante curatore speciale azione di disconoscimento della paternità, ex art. 244 c.c.; - acquista la capacità di compiere gli atti giuridici relativi alle opere dell’ingegno da lui create (art. 108 della l. 633/1941); - deve essere sentito in caso di nomina del tutore (art. 348 c.c.); - può essere sentito in caso di disaccordo tra genitori (art. 145 c.c.). A 15 anni il minore: - acquista la capacità di lavoro sempre che abbia concluso l’istruzione obbligatoria (art. 3 della l. 977/1967). A 14 anni il minore: Vedi Cass. 30.1.1985, n. 565, secondo cui “In tema di responsabilità civile da fatto illecito, la capacità d'intendere e di volere del minore, la quale esclude l'applicabilità dell'art. 2047 cod. civ., può essere accertata dal giudice del merito, con valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, anche mediante presunzioni, quali il riferimento alla stessa età del minore e al tipo di studi da lui frequentati”. 57 Negli USA diversi Stati, almeno dieci, hanno codificato in materia di responsabilità civile la cd. rule of sevens, principio in virtù del quale i bambini sotto i sette anni sono sempre considerati incapaci di intendere e di volere mentre quelli più grandi sono in forza di una presunzione iuris tantum considerati pienamente capaci. Negli altri Stati dove manca una regola precisa sono normalmente considerati incapaci solo i bambini di quattro o cinque anni. Così F. Di Ciommo, Figli, discepoli e discoli in una giurisprudenza bacchettona?, in Danno e resp., 2001, 257, che rinvia per ulteriori approfondimenti a Dobbs, The Law of torts, St. Paul, 2000, 293. 58 18 - deve essere sentito dal giudice in caso di decisioni inerenti all’esercizio contrastante della potestà genitoriale (art. 316 comma 5 c.c.); - può condurre un ciclomotore (art. 116 c.d.s.); - può decidere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (art. 1 della l. 281/1986). A 12 anni il minore: - deve essere sentito nella procedura di adozione (art. 35 comma 4 della l. 184/1983); - deve essere sentito ogni qualvolta si debba decidere in ordine all’affidamento (art. 155 sexies c.c.); è una delle grandi novità introdotte dalla l. 54/2006, in materia di affidamento condiviso; tale audizione può essere disposta anche per il minore di dodici anni “se capace di discernimento”. Da ultimo è stato segnalata l’esistenza di una “norma antica ma non antiquata” 59 e cioè l’art. 9 della l. 24.10.1942. n. 1415 sull’impianto ed esercizio di ascensori e montacarichi secondo cui è vietato l’uso degli ascensori ai minori ai anni 12 non accompagnati da persone di età più elevata. Sulla base di tali previsioni, una parte della dottrina ritiene che l’età di dodici anni sia un’adeguata età limite che possa adeguatamente differenziare i minorenni per fasce di età60; o almeno, si deve aggiungere, rappresentare lo spartiacque, salva sempre la valutazione del caso concreto, tra i casi di minori presuntivamente incapaci e presuntivamente capaci. 4. Il requisito della coabitazione nella fattispecie dell’art. 2048. Per espresso disposto dell’art. 2048, comma 1, c.c., affinché la regola della responsabilità dei genitori possa operare, è necessario che il minore coabiti con gli stessi. Il requisito della coabitazione nasce dall’esigenza di imputare la responsabilità a quei soggetti che non solo hanno la potestà sul minore ma, appunto perché coabitano con lui, sono effettivamente in grado di esercitarla61. La previsione si spiega però anche in considerazione del fatto che “secondo la valutazione legale tipica del legislatore, la convivenza rivela sia l'assenza di un patrimonio del minore idoneo a garantire il risarcimento degli eventuali danni da lui arrecati a terzi, sia l’esistenza di condizioni ambientali minime perché i genitori possano proficuamente esercitare i doveri di educazione e vigilanza” 62. Ferrante, op. cit., 711. Ferrante, op. cit., 714, che cita anche Scardaccione, op. cit. 1327. L’A. richiama anche, a sostegno di ciò le tesi dello psicologo Jean Piaget per il quale all’età di 12 anni si verifica il passaggio di sviluppo cognitivo dalla fase del pensiero operatorio concreto alla fase del pensiero operatorio formale. 61 Cass. 13.04.1979, n. 2195. 62 Cass. 10.07.1998, n. 6741, GI, 1998, I, 1809 59 60 19 Da un esame della dottrina circa il concetto di coabitazione, si può rilevare come esso non abbia avuto una lettura univoca ma sia stato variamente interpretato, a volte, in senso molto formale e rigoroso come «rapporto di stabile convivenza», altre volte, come «consuetudine di vita comune» fino a pervenire ad accezioni assolutamente atecniche quale quella per cui «coabitazione» è anche la semplice convivenza occasionale63. Opinione ormai comune nella giurisprudenza ritiene che la coabitazione non vada intesa in senso materiale e restrittivo, come presenza costante e continuativa del genitore, bensì quale consuetudine di vita comune. La temporanea assenza del minore dalla residenza familiare, infatti, non è stata considerata dalla giurisprudenza come causa interruttiva della coabitazione ai fini dell’applicazione dell’art. 2048 c.c.64. Pertanto, qualora il minore temporaneamente assente da casa cagioni un danno - si pensi al minore «che trascorre, lontano da casa il fine settimana in compagnia di amici, ovvero partecipa ad un soggiorno in montagna organizzato dall’isti tuto scolastico (...) o l’ipotesi in cui il minore lasci la famiglia per motivi di lavoro o per seguire un corso di studio» 65 o viceversa sia a casa in regime di licenza dal servizio militare, qualunque sia la durata della licenza 66 i genitori potranno essere ugualmente chiamati a rispondere ex art. 2048. In realtà, nella giurisprudenza vi è una chiara tendenza alla elasticizzazione del concetto di coabitazione tanto da ritenere che la stessa sussista anche quando il figlio si era trasferito a vivere dal fratello da due anni per ragioni di lavoro67. Nella fattispecie esaminata, la responsabilità dei genitori deriva da un incidente provocato dal figlio sedicenne nella conduzione di un motorino: a seguito di una negligente ed irresponsabile condotta alla guida dello stesso, risultano provocati danni ad un altro minorenne conducente anch’egli un ciclomotore. Il Tribunale di primo grado, accertata la responsabilità di uno solo dei minorenni, aveva condannato i genitori al risarcimento dei danni in applicazione dell’art. 2048 c.c. La Corte d’appello riformava la sentenza di primo grado, escludendo la responsabilità dei genitori in base alla considerazione che, alla data dell’incidente, la loro coabitazione con il figlio era cessata ormai da due anni, per essersi questi trasferito a vivere con il fratello per ragioni lavorative. La Corte di cassazione, 63 Morozzo della Rocca, op. cit., 139. 64 Cass. 20.4.1978, n. 1895; Cass. 9.6.1976, n. 2115. 65 Venchiarutti op. cit., 408. Cass. 14.5.1963, n. 66 Cass. 14.3.2008, n. 7050, in Giur. it., 2008, 10 (con nota di Esposito, Responsabilità dei genitori e “convivenza” col minore) ha ritenuto che il temporaneo allontanamento del minore dalla casa dei genitori, per motivi di lavoro, non esima costoro da responsabilità, essendo ascrivibile a oggettive carenze educative l'illecito comportamento manifestatosi nella inosservanza delle norme sulla circolazione stradale. 67 20 ribaltando la decisione di merito, ritiene che «la responsabilità dei genitori non può ritenersi esclusa per il solo fatto del temporaneo allontanamento del minore dalla casa familiare, qualora l’illecito da lui commesso consista nel mancato rispetto delle regole vigenti nel contesto sociale, in termini tali da manifestare oggettive carenze dell’attività educativa. In particolare, la condanna dei genitori «per il venir meno al dovere di vigilanza, sarà pronunciabile allorquando le circostanze del caso concreto attestino che costoro hanno autorizzato il minore, del tutto impreparato a restare lontano dalla famiglia, ad assentarsi senza affidarlo a persone competenti a sorvegliarlo in modo adeguato. Invece, allorché emerga che in considerazione dell'età e della maturità del minore l'esercizio della vigilanza poteva allentarsi, il fatto dannoso commesso dal figlio mentre non si trovava in compagnia dei genitori sarà ascrivibile a costoro ex art. 2048, 1° co., c.c. per un difetto nell'opera di educazione» 68. Conformemente, in giurisprudenza si legge che «la responsabilità del genitore per il fatto illecito del minore, a norma dell'art. 2048 c.c., non è esclusa da un impedimento del genitore stesso (lontananza o altro) all'esercizio della potestà, traducendosi la relativa propria liberatoria, di cui all'ultimo comma dell'art. 2048, nella dimostrazione, non del mero fatto materiale della lontananza, bensì di avere in adempimento dell'obbligo imposto ad entrambi i coniugi dall'art. 147 c.c. ed indipendentemente, pertanto dall'esercizio della potestà - impartito al minore l'educazione e l'istruzione consone alle proprie condizioni familiari e sociali, vigilando, altresì, sulla sua condotta in misura adeguata all'ambiente, alle abitudini ed al carattere del soggetto. Perciò, non basta che il genitore dimostri di non avere potuto materialmente impedire il fatto, occorrendo che egli provi di avere svolto, nei riguardi del minore, una vigilanza, in genere, adeguata alla sua età, al suo carattere ed alla sua indole e di avergli impartito un'educazione normalmente idonea, in relazione al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità, ad avviarlo ad una corretta vita di relazione e, quindi, a prevenire un suo comportamento illecito, nonché, in particolare, a correggere quei difetti (come l'imprudenza e la leggerezza) che il fatto dal minore ha rilevato» 69. Diversamente, qualora il requisito della coabitazione manchi, non per ragioni contingenti, i genitori non risponderanno del fatto illecito del figlio, sempre che il minore abbia lasciato la residenza familiare per fatto non imputabile ai genitori e che questi, nel caso che l’allontanamento del figlio non fosse autorizzato, abbiano fatto il possibile per farlo tornare a casa 70. Al riguardo, infatti, si sottolinea come sia preferibile una lettura non eccessivamente formale del presupposto in esame, in quanto, escludere la responsabilità dei genitori, per mancanza di coabitazione, anche nelle ipotesi in cui la non coabitazione sia ascrivibile ad una colpa dei genitori (ad es. a seguito di un comportamento in violazione dei doveri derivanti dall’art. 147 c.c.) non sarebbe coerente con la ratio dell’art. 2048 c.c. 68 69 70 Venchiarutti, op. cit., 408. Cass. 18.12.1992, n. 13424. Cass. 11.7.1978, n. 3491. 21 Solo dove esista e sia verificato un « passaggio di consegne » i genitori non dovranno incorrere nella responsabi lità di cui all'art. 2048. Viceversa, i genitori che abbiano reciso il legame di convivenza con il figlio minore d'età, o abbiano tollerato l'allontanamento dalla casa familiare del giovane, senza assicurarsi che altri potessero adeguatamente sostituirli nelle loro funzioni, dovranno essere considerati responsabili ai sensi dell'art. 2048 c.c. in quanto obbligati a realizzare quella coabitazione con i figli che pure è venuta meno71. In sintesi, quindi, possiamo dire che, qualora il minore viva da solo, cade un presupposto fondamentale per l’operatività dell’art. 2048 c.c., sempre che il minore stesso abbia stabilmente lasciato la casa familiare per fatto non imputabile ai genitori. Problemi peculiari pone la questione dei genitori separati o divorziati, oggetto di altra relazione. Si pone, infine, il problema dell’onere della prova della coabitazione. Poiché si tratta di un elemento costitutivo della responsabilità di cui all’art. 2048 c.c., in base ai principi di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provare il requisito della coabitazione incombe sull’attore, cioè sul danneggiato. Quest’ultimo, pertanto, non potrà limitarsi solamente a fornire la prova di avere subito un danno e che tale danno è stato causato dal minore capace, ma dovrà anche dimostrare che il danneggiante convive con coloro i quali sono chiamati dall’art. 2048 c.c. a rispondere (magari anche solo in solido) del danno, pur se non è da escludere il ricorso a presunzioni semplici. 5. La prova liberatoria nella concreta applicazione giurisprudenziale. L’accertamento della capacità del minore rileva anche in riferimento al contenuto della prova liberatoria dei genitori che assume connotazioni diverse a seconda che trattasi di minori capaci o incapaci. Sia l’art. 2047 che l’art. 2048 contemplano la possibilità da parte dei sorveglianti-genitori di dare la prova liberatoria, consistente nel “non aver potuto impedire il fatto”. E’ nota l’interpretazione molto rigorosa offerta dalla giurisprudenza a tale prova liberatoria e sulla quale si tornerà nei paragrafi successivi. Sinteticamente si deve in questa sede osservare che secondo la giurisprudenza, nella fattispecie di cui all’art. 2047 c.c., il genitore risponde per l’omessa o cattiva sorveglianza del minore incapace, intendendosi detta sorveglianza come vigilanza anche fisica dello stesso. Quanto invece alla responsabilità dei genitori ex art 2048 c.c., anche in tal caso la prova liberatoria è stata al centro di diffusa interpretazione giurisprudenziale. Morozzo della Rocca, op. cit., 143. Così, nella vigenza dell’art. 1153 del codice civile del 1865, Cass. 10.12.1930, n. 3533. 71 22 L'impedire il verificarsi dell'evento di danno è stato trasformato nella dimostrazione di aver vigilato il minore e di averlo ben educato72. La prova richiesta ai genitori non ha alcun riferimento diretto ed immediato al fatto illecito commesso dal minore ed alla concreta possibilità per i genitori stessi di impedirlo, ma si estende alla valutazione dell'intero sistema educativo da questi posto in essere. La prova liberatoria si traduce nella dimostrazione di aver impartito l'educazione e l'istruzione consone alle condizioni sociali e familiari e di aver vigilato sulla condotta in misura adeguata all'ambiente, alle abitudini ed al carattere. Appare quindi molto importante l’accertamento della capacità di intendere e di volere del minore, in quanto se è vero che sono sempre i genitori a rispondere sia come sorveglianti ex art. 2047 che ex art. 2048, ove ricorra la prima fattispecie, la prova liberatoria avrà ad oggetto esclusivamente l’assolvimento dell’obbligo di sorveglianza; mentre nel caso dell’art. 2048 il genitore, per andare esente da responsabilità, dovrà dimostrare di aver assolto sia l’obbligo di vigilanza sia l’obbligo di educazione. In altri termini il contenuto della prova liberatoria per il genitore convenuto in giudizio dal danneggiato cambia a seconda che il figlio sia capace di intendere e di volere o meno (e ciò pur essendo la formula del legislatore identica per entrambi i casi)73. E’ vero che la nozione di sorveglianza è più ampia di quella di educazione; l'ampiezza dell'obbligo di sorveglianza dei soggetti incapaci di intendere o volere è da rapportare infatti alle circostanze di tempo, luogo, ambiente, pericolo, che, considerando altresì la natura e il grado di incapacità del soggetto sorvegliato, possono consentire o facilitare il compimento di atti lesivi da parte del medesimo74. Ma è anche vero che la posizione del genitore convenuto quale “cattivo sorvegliante” appare più leggera di quella del genitore “cattivo vigilante e cattivo educatore”, soprattutto alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, di cui si dirà meglio successivamente, che in caso di fatti gravi presume l’omessa buona educazione direttamente dalle modalità del fatto. 5.1. La prova liberatoria dei genitori del minore incapace Ove il figlio minore sia ritenuto incapace di intendere e di volere i genitori risponderanno del suo comportamento e del danno da esso cagionato come “sorveglianti” secondo il canone dell’art. 2047 c.c. Gentile, La prova liberatoria nella responsabilità del genitore e del precettore, in Responsabilità civile , a cura di Spinelli, II, Bari, s.d., 599. 73 Cass. 10.4.1970, n. 1008. 74 Cass. 24.5.1997, n. 4633. 72 23 In linea generale (si rammenti che la disposizione dell’art. 2047 concerne infatti tutti gli incapaci e non solo i minori75) si è osservato76 che il testo letterale della norma codicistica è interpretato in giurisprudenza nel senso per cui il vicario, al fine di essere sollevato per il fatto dell’incapace, deve provare di aver adottato tutte le misure che in concreto apparissero idonee a scongiurare il danno 77. Questa posizione interpretativa si raffina nella giurisprudenza di legittimità, con l’adozione della teorica del pericolo o del rischio creato o tollerato. In questo modo la Corte Suprema ha delineato una massima giurisprudenziale secondo cui il vicario deve dimostrare di non aver creato o lasciato permanere situazioni di pericolo, tali da permettere o da agevolare il compimento di atti lesivi78. Il sorvegliante deve, quindi, tenere conto, a tal fine, della natura e del grado di incapacità del soggetto vigilato, nonché del «contorno esteriore» in cui avvengono i suoi atti. La valutazi one di queste circostanze è formalmente rimessa all’insindacabile apprezzamento del giudice di merito. Il sorvegliante viene scagionato in quattro occasioni: a) qualora riesca a dimostrare di non essere stato nella condizione di impedire l’evento, malgrado il diligente esercizio della vigilanza materiale; b) ovvero quando risulti che l’omissione è stata dovuta ad una causa non imputabile al sorvegliante stesso79; c) ovvero quando l’incapace abbia realizzato il fatto repentinamente, in modo tale da non attirare in alcun modo l’attenzione del vicario, a meno che l’evento non sia preceduto da evidenti segnali di irrequietezza80; d) ovvero ancora quando si possa dimostrare che il danno si sarebbe ugualmente verificato nonostante l’esercizio della sorveglianza e, quindi, che non vi sia nesso di causalità tra l’omissione e il fato dannoso81. La norma inerisce anche alla (molto) problematica questione della sorveglianza dell’infermo di mente: vedi per es. Cass., 16.6.2005 n. 12963, secondo cui “Nei confronti di persona ospite di reparto psichiatrico, non interdetta nè sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio ai sensi della legge 13 maggio 1978, n. 180, la configurabilità di un dovere di sorveglianza a carico del personale sanitario addetto al reparto e della conseguente responsabilità risarcitoria ai sensi dell'art. 2047 primo comma cod. civ. per i danni cagionati dal ricoverato presuppone soltanto la prova concreta della incapacità di intendere e di volere del medesimo”. In generale, sul rapporto tra la responsabilità (soprattutto penale) dello psichiatra e la imputabilità del paziente vedi Venturini, Casagrande, Toresini, Il folle reato, Milano, 2010. 75 Monateri, Trattato di diritto privato. Illecito e responsabilità civile, Torino, 2008. Così App. Messina 7.6.1958, in Rep. Giur. it., 1956. 78 Cass. 14.9.1967, n. 2157; Cass. 10.8.1964, n. 2291. 79 Cfr. Cass., 10.3.1980, n. 1601, in Dir. Fam., 1981, I, 415. 80 Cfr. Cass., 15.12.1980, n. 6503, in Giur. it., 1981, I, 1, 1453, in cui la Suprema Corte afferma che: «La fuga di un bambino di 5 anni dalla finestra di un istituto di assistenza non è evento imprevedibile se preceduto da segni di irrequietezza e da un altro tentativo di fuga”. 76 77 Cfr. Cass., 19.6.1997, n. 5485, in Dir. ed economia assicuraz., 1998, 287; nel caso di specie un minore era stato colpito all'occhio sinistro, con gravi conseguenze lesive, da una palla di fango e calce lanciata dal minore. Tale decisione è molto importante anche un 81 24 Tali soluzioni giurisprudenziali sono condivise da autorevole dottrina che considera la formula legislativa del tutto insoddisfacente 82. Il riferimento al “non aver potuto impedire il fatto” necessitava, secondo tale opinione, di un chiarimento generale e si propone l’esempio dell’insegnante che si volta verso la lavagna e, quindi, non può in quel momento impedire che il minore, caduto in stato temporaneo di incapacità, conficchi il proprio pennino nell’occhio del compagno. La formula della legge è così insoddisfacente che non riesce a far comprendere se l’insegnante in quel caso debba essere responsabile (perché non doveva voltarsi) o non responsabile (perché in quel momento non poteva umanamente impedire il fatto accorrendo sul luogo dell’illecito). La formula legislativa necessitava pertanto essenzialmente di una riscrittura giurisprudenziale . In riferimento alla giurisprudenza in materia di obblighi dei genitori non si segnalano peculiarità. Occorre solo fare tre precisazioni. In primo luogo, premesso che l’obbligo di sorveglianza del minore incapace è molto più intenso di quello di vigilanza di cui si dirà appresso, esso è sempre rapportato alle concrete circostanze del fatto: “il contenuto dell'obbligo di vigilanza di un minore non può essere predeterminato in assoluto, ma deve essere valutato relativamente all'età e al grado di maturità del medesimo” 83. In secondo luogo si deve evidenziare che la clausola dell’evento repentino può scomparire ove si ritenga che è esperienza quotidiana quella per cui nella condotta dei fanciulli non è affatto imprevedibile che avvengano movimenti inconsulti ed improvvisi. In terzo luogo, sempre in riferimento ai minori, la giurisprudenza ha avuto modo di esaminare la questione della traditio del minore ad un altro soggetto. Alcune decisioni di merito piuttosto remote hanno, correttamente, stabilito che non solleva la responsabilità del vicario l’affidamento del minore incapace ad un coetaneo, pur in mancanza di altre persone adulte responsabili cui affidarne la custodia84. Al vicario gioverà comunque la già esposta applicazione dei principi della causalità alternativa ipotetica, per cui la sua responsabilità non sussisterà tutte le volte in cui riesca a dimostrare (azione improvvisa e subitanea) che il danno non avrebbe potuto essere evitato neppure se il vicario stesso fosse stato presente e vigilante. altro aspetto; i genitori del minore autore del fatto avevano dedotto che per le abitudini "sociali" dell'epoca non era affatto necessario che alcuno dei genitori presenziasse in modo continuo al gioco, che si svolgeva normalmente tra bambini della medesima età, e che per mera fatalità la palla conteneva calce viva. La Corte evidenziava che “Le abitudini sociali non valgono ad escludere o a mitigare l'obbligo di sorveglianza in relazione al carattere cogente dello stesso, per cui la sorveglianza deve essere esercitata, quali che siano tali abitudini, ed il mancato esercizio genera responsabilità per i fatti dannosi dell'incapace”. 82 83 84 Monateri, op. cit. 135, al quale è dovuto anche l’esempio che segue nel testo. Cass. 15.12.1980, n. 6503. Cass. 7.6.1977, n. 2342; App. Roma 14.11.1988, in Temi Rom., 88, II, 411. 25 La S.C.85 di recente ha affrontato la questione dell’affidamento come fatto traslativo della vigilanza e ha espressamente affermato, in primo luogo, che “incombe sul genitore del danneggiante la prova dell'affidamento ad altro soggetto della sorveglianza dell'incapace”; poi, che “detta prova è particolarmente rigorosa, dovendo egli provare di non aver potuto impedire il fatto e quindi dimostrare un fatto impeditivo assoluto”. In particolare nel caso di specie, relativo ad un infortunio occorso ad un minore colpito con un ceppo di legno da altro fanciullo di sette anni che giocava con lui, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dei genitori del danneggiante, essendo presente al gioco il padre del danneggiato, assumendo che la madre del primo, allontanatasi, aveva ritenuto tacitamente delegata all'altro adulto rimasto la sorveglianza del proprio figlio minore. La Corte di merito aveva ritenuto che la presenza del padre e l’allontanamento della madre costituissero tacito trasferimento dell’obbligo di sorveglianza ma i giudici di legittimità hanno ritenuto che questa fosse una semplice congettura fondata sulla normalità degli eventi tra persone dotate di buona educazione, insufficiente però a fondare la prova liberatoria. Ciò premesso, l’obbligo di sorveglianza dei genitori è stato oggetto di specifica attenzione della S.C. in una decisione riguardante un fatto decisamente grave e peculiare 86. Tre cuginetti di rispettivi tre, quattro e otto anni giocano, nelle immediate vicinanze delle proprie abitazioni, nello spazio sottostante ad un balcone dove si trova una coppia di ragazzi di ventuno e diciassette anni, entrambi successivamente dichiarati incapaci di intendere e di volere; costoro, calando dal balcone uno spago a cappio, strappano dalle mani di uno dei tre cuginetti un pezzo di ferro col quale questi stava giocando e, sempre servendosi dello stesso spago, calano al bambino “una cosa ovale di color rosso e nero”; il bambino, ritenendo che sia un giocattolo, incomincia a maneggiarlo nel tentativo di aprirlo ma, trattandosi di una bomba a mano, ne provoca l’esplosione riportando insieme ai cugini ingenti lesioni personali con esiti permanenti. Di qui nasce l’azione risarcitoria promossa dai genitori dei bambini feriti nei confronti dei rispettivi genitori dei due incapaci, in forza dell’art. 2047 c.c.; la Corte d’appello ribalta l’esito del giudizio di primo grado e ritiene sussistente la responsabilità dei genitori di uno dei ragazzi incapaci, nella doppia qualità di custodi dell’immobile ove i due si trovavano e dove era presente l’ordigno bellico, nonché di soggetti tenuti alla sorveglianza degli incapaci; esclude la responsabilità dei genitori dell’altro ragazzo incapace, avendo questi affidato il proprio figlio ai proprietari dell’abitazione. La Suprema Corte conferma la sentenza di secondo grado accogliendo 85 Cass. 20.1.2005, n. 1148. Cass. 12.12.2003, n. 19060, in Giur. it., 2004, 12, con nota di Girimonte, La presunzione di responsabilità dei genitori addetti alla sorveglianza ai sensi dell’art. 2047 c.c. 86 26 integralmente il ragionamento effettuato dalla Corte d’appello, rilevando che la presenza dell’ordigno, in un buco del muro esterno dell’abitazione in cui la madre conservava le mollette necessarie per stendere la biancheria lavata, denota una cattiva sorveglianza degli incapaci, sia che la bomba sia stata trasportata in casa dai genitori sia, ed a maggior ragione, che essa sia stata portata nell’abitazione e conservata dal figlio incapace nell’ignoranza degli stessi. Secondariamente la Corte ha osservato che la condotta dei genitori, pur prescindendo dalla conoscenza dell'esistenza della bomba, risultava imprudente per avere gli stessi "lasciato da soli i due incapaci nel balcone, con il concreto pericolo che essi procurassero danno a se stessi o ad altri, sporgendosi dalla ringhiera fino a cadere, o buttando oggetti sui passanti". Tale valutazione va collegata con l'osservazione, in precedenza espressa, secondo cui i due incapaci richiedevano "l'esercizio di sorveglianza continua ed immediata", non corrispondente al tipo di vigilanza, "saltuaria e a distanza", esercitata invece dai genitori. Assume quindi specificazione concreta il principio giurisprudenziale secondo cui il contenuto e le modalità della sorveglianza vanno adeguate al caso concreto, che nella specie richiedeva ai genitori un’attenzione continua e immediata. 5.2. La prova liberatoria dei genitori del minore capace La formulazione letterale dell’art. 2048 comma 3 c.c. prevede la possibilità per i genitori di fornire la prova liberatoria dalla presunzione di colpa in esame; tale prova, secondo il dettato normativo, deve (o meglio dovrebbe) avere ad oggetto il “non aver potuto impedire il fatto”. Tale nozione ha assunto un significato diverso a seguito dell’opera della giurisprudenza, che ha trasformato il contenuto della medesima da negativo in positivo: l’impedire il verificarsi dell’evento è stato mutato nella dimostrazione di aver vigilato il minore e di averlo ben educato. In questo modo, la prova liberatoria si traduce nella dimostrazione di aver impartito l’educazione e l’istruzione consone alle condizioni sociali e familiari e di aver vigilato sulla condotta in misura adeguata all’ambiente, alle attitudini e al carattere87. L’obbligo di impedire il fatto si intende quindi in realtà come obbligo di educazione e obbligo di vigilanza. La prova richiesta ai genitori finisce per non avere alcun riferimento diretto ed immediato alla concreta possibilità per i medesimi di impedire il fatto illecito ma si estende alla valutazione dell’intero sistema educativo da questi posto in essere. Tale orientamento è stato posto in stretta relazione con l’odierno ruolo dei genitori derivante dagli artt. 147, 315 c.c. nonché 30 e 31 Cost.; si afferma così Tale operazione per molti aspetti appare necessaria in quanto la formula dell’art. 2048 è stata conside rata dalla dottrina “vuota ed inutilizzabile”: vedi Monateri, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 1998, 970. 87 27 l’idea che il dovere dei genitori di impedire il compimento di fatti illeciti da parte dei minori ha fondamento nei compiti che la legge impone ai genitori medesimi, in via primaria nell’interesse dei figli ma anche a salvaguardia dei terzi. Quanto all’obbligo di educazione, esso trova diretto fondamento normativo nell’art. 147 c.c. (peraltro con copertura costituzionale, vedi artt. 29 e ss. Cost.); i genitori dovranno dimostrare di aver correttamente assolto l’obbligo educativo che in linea teorica è definito da molta giurisprudenza come “l’obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari” 88. La dottrina ha segnalato come l’opera educativa oggi non possa ritenersi unidirezionale ma richieda la considerazione della personalità del figlio minore e quanto più si accresce la maturazione di questi tanto più si restringe l’aspetto gerarchico della potestà ge nitoriale, in quanto “il potere discrezionale dei genitori sui figli va progressivamente riducendosi in rapporto al progressivo accrescersi dell’autonomia e del peso della volontà del minore”89. Quanto all’obbligo di vigilanza, in linea di principio si ritiene che esso ha ad oggetto una vigilanza adeguata all’età, al carattere e all’indole del medesimo, finalizzata a correggere comportamenti bisognosi di un’ulteriore o diversa opera educativa. La dottrina evidenzia che l’autonomia di vita che nel costume sociale il figlio consegue con il superamento della fanciullezza esclude che possa farsi carico ai genitori di vigilare sempre e fisicamente il figlio90; in altri termini il grado di autonomia aumenta con l’approssimarsi della maggiore età e la vigilanza consiste piuttosto nel controllare ed eventualmente vietare che il figlio intraprenda attività illecite. Anche la giurisprudenza, in linea di principio, afferma che «non occorre che i genitori dimostrino la propria costante ed ininterrotta presenza fisica accan to al figlio, quando per l’educazione impartita, per l’ambiente in cui viene lasciato libero di esprimersi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con la realtà extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericolo per sé e per altri» 91. In realtà, come è stato giustamente evidenziato in dottrina, non si può non sottolineare il carattere alquanto sfuggente della nozione, di esclusiva creazione giurisprudenziale; ed infatti il dovere di sorveglianza dell’incapace è espressamente previsto dall’art. 2047 mentre il dovere di vigilanza non trova alcun esplicito riferimento normativo, non essendo inserito nell’ambito dei doveri dei genitori di cui all’art. 147 c.c. (a differenza del dovere di e ducazione)92. Cass. 14.3.2008, n. 7050. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, 291. 90 Bianca, Diritto civile. V. La Responsabilità, Milano, 1994, 693. 91 Cass., 11.8.1997, n. 7459; Cass., 24.5.1994, n. 5063. 92 Così Patti, Responsabilità dei genitori: una sentenza in linea con l’evoluzione europea, in Familia, 2001, 4, 1175. 88 89 28 Tale dovere di vigilanza dei genitori è da ritenersi sospeso nel caso di affidamento dei minori agli insegnanti che sono tenuti, in forza della medesima disposizione dell’art. 2048, anche essi alla sorveglianza. Occorre però subito precisare che l’eventuale responsabilità degli insegnanti, sotto la cui sorveglianza il minore abbia commesso il fatto, non esclude quella dei genitori per eventuale violazione dell’assolvimento dell’ulteriore e diverso obbligo su di loro gravante, l’obbligo di educazione93; in altri termini il fatto illecito commesso dal minore durante l’orario scolastico potrà ben essere la conseguenza sia del mancato controllo dell’insegnante che della non corretta educazione da parte del genitore. Le due responsabilità (dei genitori e degli insegnanti) in tal caso sono tra loro in rapporto di solidarietà ex art. 2055 c.c. come già accennato. Quanto ai rapporti tra i due obblighi, il passaggio dall’infanzia alla maggiore età ovviamente è graduale e pertanto l’aspetto della sorveglianza dovrebbe recedere per fare spazio all’educazione o almeno così dovrebbe essere in un’opera educativa correttamente impostata94. Ciò premesso in termini teorici, da un esame non superficiale della giurisprudenza in materia, nonostante le formule di rito che vengono di solito utilizzate, appaiono evidenti le difficoltà sia di individuare il concreto contenuto dell’obbligo di educare e di quello di vigilare sia la correlazione esistente tra i due doveri. Quanto al contenuto dell’obbligo di educazione, è evidente che non esiste una definizione normativa di “educazione”; dalle pronunce giurisprudenziali emerge che: - l’educazione cui il padre è tenuto nei confronti del figlio minore non si esaurisce con la semplice istruzione che ne è solo una parte, ma comprende anche “l’ammaestramento al vivere civile e specialmente l’ammaestramento morale, mediante il quale si insegna a La responsabilità del genitore (ex art. 2048, comma 1, c.c.) e quella del precettore (ex art. 2048, comma 2, c.c.) - per il fatto commesso da un minore capace di intendere e volere mentre è affidato a persona idonea a vigilarlo e controllarlo - non sono tra loro alternative, giacché l'affidamento del minore alla custodia di terzi solleva il genitore dalla presunzione di colpa "in vigilando" (dal momento che dell'adeguatezza della vigilanza esercitata sul minore risponde il precettore cui lo stesso è affidato), ma non anche da quella di colpa "in educando", rimanendo comunque i genitori tenuti a dimostrare, per liberarsi da responsabilità per il fatto compiuto dal minore in un momento in cui lo stesso si trovava soggetto alla vigilanza di terzi, di avere impartito al minore stesso un'educazione adeguata a prevenirne comportamenti illeciti: così Cass. 21.9.2000, n. 12501; vedi anche Cass. 6.2.1970, n. 263; Cass. 19.10.1965, n. 2132 nonché Trib. Monza, 12.6.2006, in DVD Platinum Utet, che fa conseguire a tale affermazione la regola che i l coniuge separato non affidatario non può per ciò solo liberarsi dalla responsabilità per culpa in educando, soprattutto allorquando le modalità dello stesso fatto illecito rivelino un grado di maturità e di educazione del minore (irresponsabilità, assoluta mancanza di capacità di controllo e di giudizio critico sulle possibili conseguenze del proprio operato) palesemente conseguente al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori ai sensi dell'art. 147 c.c. 94 Mastrangelo, Violenza sessuale di gruppo e responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.; il risarcimento del danno non patrimoniale come internalizzazione del rischio educativo, in Resp. civ. e prev., 2010, 7-8, 1614. 93 29 operare il bene, a fuggire il male e a rispettare la vita e gli altri diritti dei consociati” 95 ; - il dovere educativo non può ritenersi assolto nel far impartire al figlio l’educazione scolastica obbligatoria perché “va al di là della cultura elementare per abbracciare l’intera personalità in formazione” 96 ; - violazione dell’obbligo educativo è stata ritenuta la circostanza di non avere indotto il figlio a completare la scuola dell’obbligo, anche se lo stesso era stato inserito nell’azienda di famiglia; tale comportamento ha infatti “privato il giovane dell’apporto di socializzazione, amicizie, ampliamento dei riferimenti culturali oltre il contesto familiare e di paese che, bene o male, la scuola favorisce” 97 ; - contrasti vi sono in ordine ai risultati scolastici , considerati irrilevanti da parte della giurisprudenza (“non sempre i voti delle pagelle sono rivelatori del carattere e dell’indole del minore stesso” 98 ) e rilevanti da altra99 ; - l’educazione deve avere ad oggetto anche le regole della circolazione stradale, identificandosi la violazione del medesimo nella guida senza assicurazione 100 ; - l’educazione dovrà avere ad oggetto i rapporti del minore con l’ambiente extrafamiliare , facendo sì che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli per sé e per i terzi 101 ; - il dovere educativo ha un carattere relativo, in quanto l’educazione dovrà essere adeguata, da un lato, alle “condizioni sociali, ambientali, familiari”, e, dall’altro, alla “personalità e all’indole del minore” 102 ; il riferimento alla personalità e all’indole del minore, ove questi si presenti “violento” o manifesti “cattive inclinazioni” comporta un aggravamento dell’obbligo educativo e di vigilanza dovendo questi essere assolti con maggiore “severità” 103 o maggiore “adeguatezza”104 ; - l’educazione è concetto relativo anche perché “va riempito di contenuti che certamente variano nel tempo...”; essa, alla luce del nuovo modo di intendere i rapporti familiari e del riformato assetto della famiglia, non consiste solo nella “indicazione di regole, conoscenze, modelli di comportamento, ma anche nel più ampio compito destinato a Cass. pen., 13.5.1955, in Rass. Cass. Pen., 1956, 396. Cass. 10.11.1970, 2329. 97 Cass. 28.8.2009, n. 18804, in Danno e resp., 4, 2010, 358, con nota di Arnone, Responsabilità civile dei genitori per fatto illecito del quasi maggiorenne. 98 App. Lecce, 13.3.1958, in Rep. Giur. it., 1959, voce Responsabilità civile, 183. 99 Cass. 24.10.1988, n. 5751. In tal senso anche Trib. Verona, 18.2.2000, in Giur. it., 2000, 1407. 100 Trib. Torino, 2.4.1966, in Dir. Prat. Ass., 1966, 296. 101 Cass. 28.3.2001, n. 4481 102 Tra le tante Cass. 24.10.1988, n. 5751; Cass. 19.11.1969, n. 3764. 103 La severità dell’opera educatrice è ovviamente riferimento contenuto in sentenze più remote: vedi Cass. 26.5.1950, n. 1618; App. Roma, 24.11.1972, in Foro Pad., 1973, I, 144. 104 Cass., 29.5.1992, n. 6484. 95 96 30 consentire la crescita dei figli, a favorire la migliore realizzazione della loro personalità .. nel contesto relazionale e sociale”; in questa prospettiva assumono rilievo “pure quelle indicazioni che forniscono ai figli gli strumenti indispensabili da utilizzare nelle relazioni, anche di sentimento e di sesso, con l’altra e con l’altro. L’educazione sessuale di un bambino e di un ragazzo non si esaurisce nelle spiegazioni tecniche, prima, e nelle indicazioni precauzionali, dopo, ma deve connotarsi, innanzi tutto, come educazione al rispetto dell’altra/o, come educazione alla relazione non con altro corpo ma con altra persona” 105 … “occorre mettere in contatto il cuore con la mente e la mente con il comportamento” 106 . Quanto al contenuto dell’obbligo di vigilanza, si rileva che la giurisprudenza ha in genere ritenuto che: - la vigilanza deve essere intesa in senso non assoluto ma relativo, così che “non occorre dimostrare la ininterrotta presenza fisica del genitore accanto al figlio minore qualora, avuto riguardo all’età in rapporto al grado di educazione impartita e al livello di maturi tà raggiunto, nonché alle caratteristiche dell’ambiente in cu viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore stesso con la vita extrafamiliare” 107 ; - anche la vigilanza deve quindi essere intesa in senso relativo, tenendo conto “della inclinazione e dell’indole del minore” 108 oltre che della sua età; - l’età del minore assume infatti un notevole rilievo al fine di valutare l’intensità della vigilanza alla quale è tenuto il genitore e quindi il contenuto della sua prova liberatoria; le difficoltà connesse alla mancanza di alcuna indicazione di un’età limite quale criterio distintivo tra minori capaci e minori incapaci si riverberano a proposito dell’individuazione del contenuto dell’obbligo di vigilanza perché la giurisprudenza cerca di rimediare a detta assenza affermando solitamente che vigilanza e capacità del minore sono inversamente proporzionali e che la vigilanza va rallentata all’approssimarsi della maggiore età109 . In realtà tale affermazione appare spesso posta in Trib. Milano, 16.12.2009, in Danno e resp., 4, 2010, 360, che evidenzia l’assoluta inattualità della nozione di educazione indicata nella Relazione del Guardasigilli al Libro delle Obbligazioni che faceva riferimento alla “necessità di indirizzare l’educazione verso una rigida considerazione dei doveri di soggezione alla potestà familiare”. La sentenza di riferisce ad una vicenda di violenza sessuale reiteratamente compiuta da un gruppo di minorenni nei confronti di una dodicenne, sulla quale vedi anche in seguito. 106 La sentenza cita esplicitamente U. Galimberti, L’ospite inquietante, Milano, 2007. 107 Cass., 24.10.1988, n. 5751. 108 Cass. 9.4.1997, n. 3088; Cass. 10.2.1987, n. 1427. In tempi più lontani Cass. 5.3.1954, n. 640. 109 Cass. 13.2.1970, n. 348; Cass. 4.3.1967, n. 519; App. Venezia, 30.3.1974, in Arch. Resp. civ., 1974, 263; App. Milano, 3.6.1975, in Rep. Giur. it., 1955, voce Responsabilità civile. 105 31 linea di principio perché poi dalla pericolosità del minore, desunta dalle circostanze e dalle gravi modalità del fatto commesso, si ricava l’obbligo di un onere di maggiore e più adeguata vigilanza; esplicitamente la S.C. ha recentemente affermato che “proprio con l’avvicinarsi della maggiore età – allorchè acquista la capacità di fare del male tanto quanto un adulto, serbando però l’inettitudine a dominare i propri istinti e le altrui offese, che caratterizza l’età immatura – il minore ha particolare bisogno di essere sostenuto, rasserenato e anche controllato” 110 . Mentre poi in casi di minore gravità, e di illeciti connessi ad attività normalmente concesse ai minori (l’uso della bicicletta), il fatto che la minore fosse prossima alla maggiore età induce ad escludere la responsabilità dei genitori111 . Cass. 28.8.2009, n. 18804, in Danno e resp., 2010, 4, 358. L’episodio riguardava una richiesta risarcitoria avanzata dai genitori del ragazzo ucciso, a seguito di una lite, da un diciassettenne ripetutamente infastidi to e provocato dalla vittima. Quest’ultima, venticinquenne omosessuale, aveva rivolto diverse attenzioni al minore, costantemente respinte; lo aveva allora minacciato di diffondere notizie false e scabrose sul suo orientamento sessuale, in particolare alla sua fidanzata, il tutto nel contesto di un piccolo paese. All’ennesima lite, il diciassettenne aveva reagito uccidendo con un’arma da fuoco l’altra persona. La Corte rilevava che, se era vero che il minore aveva quasi raggiunto diciotto anni, ciò non escludeva che il suo comportamento evidenziasse il fallimento educativo quanto alla capacità di frenare i proprio istinti, reazioni che peraltro trovavano origine anche nel comportamento dei genitori, e in particolare del padre, che di fronte alle dicerie sulle sue frequentazioni omosessuali con la vittima, non aveva mai chiarito la propria situazione con il figlio lasciandolo in balia delle maldicenze; e qui la Corte ribadiva il principio già ricordato in precedenza che “l’educazione è fatta non solo di parole ma di presenza accanto ai figli a fronte di circostanze che essi non sono in grado di affrontare da soli”, anche con la maggiore età, ove ancora più incisivamente il minore “ha bisogno di essere sostenuto, rasserenato e controllato”. La tematica dell’ille cito del quasi maggiorenne è oggetto di ampia attenzione in dottrina: vedi Arnone, Responsabilità civile dei genitori per fatto illecito del figlio quasi maggiorenne, in Danno e resp., 4, 2010, 363; Maschio, Responsabilità ex art. 2048 c.c. e “grandi minori”, in Dir. Fam., 1988, pag. 885. In diversi paesi vi è un alleggerimento della posizione dei genitori nei casi di illeciti commessi da minori prossimi alla maggiore età; per un riferimento agli orientamenti della giurisprudenza tedesca, vedi Patti , L’illecito del quasi maggiorenne e la responsabilità dei genitori: il recente indirizzo del Bundesgerichtshof, in Riv. Dir. Comm., 1984, I, 27 ss. che evidenzia come essa muova dalla considerazione che le reali possibilità di controllo dei genitori nei confronti dei minori prossimi alla maggiore età siano ormai ridotte e ciò ha condotto ad affermare il principio per cui il genitore non può considerarsi responsabile dei danni causati dal figlio ormai prossimo al raggiungimento della maggiore età. Secondo autorevole dottrina (cfr. Morozzo Della Rocca, Responsabilità civile e minore età, cit., pag. 148), tale tendenza giurisprudenziale valida anche in Italia «è pressoché coeva alla norma stessa». Infatti l’A. evidenzia che in una decisione della Corte d’Appello di Bologna del 1872 (Cfr. App. Bologna, 18 novembre 1872, in Ann. Giur. it., 1873, pag. 91) si afferma che per quanto concerne «la impossibilità di impedire il fatto dannoso (...) non importa che sia una impossibilità materiale e di fatto, ma basta che sia puramente morale. Così se un figlio minore, ma prossimo alla maggiore età, cacciando, munito della opportuna licenza del porto d’armi, abbia inavvertitamente ferito un suo compagno, e non resulti alcun giusto motivo per cui il padre avesse dovuto inibirgli l’esercizio della caccia, non v’ha ragione per far ricadere sul padre la responsabilità civile del danno». Sul punto v. anche Tabet, Questioni in tema di fatti illeciti dei minori, in Foro it., 1953, 1432, il quale, nel caso di un incidente stradale provocato dopo cena da un quasi maggiorenne si chiede: «Devono i genitori impedire al figlio ventenne di uscire la sera?». Si ricorda che all’epoca in cui fu scritto tale articolo la maggiore età veniva acquisita a 21 anni. 111 Cass. 10.4.1997, n. 3119. 110 32 Ciò detto a proposito del contenuto concreto degli obblighi di educazione e vigilanza, si deve poi evidenziare come l’intensità dell’onere probatorio a carico dei genitori venga intesa diversamente a seconda dell’impostazione teorica e dell’inquadramento di detta responsabilità, se come responsabilità per colpa o responsabilità oggettiva; in linea di massima però si deve evidenziare che in moltissimi casi, soprattutto ove si tratti di fatti particolarmente gravi, la giurisprudenza desume l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata dalle stesse modalità del fatto; ciò, con tutta evidenza, nonostante il continuo richiamo in giurisprudenza alla teoria della responsabilità diretta per colpa propria, rende la prova liberatoria estremamente rigorosa, al limite dell’impraticabile. L’inadeguatezza dell’educazione ricevuta dai genitori è stata ritenuta ricavabile direttamente dalle modalità del fatto in moltissimi casi. Appare utile fornire un loro, assolutamente non esaustivo, elenco. a) Un diciassettenne a scuola, nel corso di una lezione di disegno, scaglia contro un compagno una gomma per cancellare, colpendolo ad un occhio e procurandogli gravi lesioni112 ; nella decisione in particolare si evi denzia che non è contraddittoria la motivazione della sentenza di merito che, pur ammettendo l'intento scherzoso con cui l’alunno ha scagliato la gomma, abbia ravvisato nell'autore di tale gesto un'immatura sconsideratezza e una non ancora acquisita coscienza dell’irrilevanza delle intenzioni sui risultati di un gesto comunque oggettivamente violento. In ragione di ciò non è censurabile l'affermazione della responsabilità dei genitori per culpa in educando in quanto l'educazione da essi impartita deve tendere a fare acquisire al minore una maturità anche nelle attività di gioco e di scherzo. b) Un minore con un accendino provoca una fiammata che arreca danni ad altro minore, sul giubbotto del quale poco prima si era versata accidentalmente della benzina 113 . c) Un minore di 17 anni colpisce il quasi coetaneo dapprima con un pugno al volto e poi, dopo che questi era caduto a terra, con calci al corpo 114 . d) Un minore, alla guida di un ciclomotore non assicurato, investe un pedone cagionandogli lesioni 115 . e) Cass., 21.9.2000, n. 12501, in Resp. civ. e prev., 2001, 73, con nota di Settesoldi, Fatto illecito del minore e responsabilità civile: inutile l’accertamento della culpa in vigilando dell’insegnate se la condotta del minore rileva un’educazione inadeguata. 113 Cass. 10.7.1998, n. 6741, in Danno e resp., 1998, 1087, con nota di Di Ciommo, Minore maleducato e responsabilità dei genitori. 114 Cass., 4.6.1997, n. 4971, in Danno e resp., 1998, 252, con nota di Montaguti, Genitori sempre responsabili per le condotte illecite del i figli minori. 115 Cass., 20.1.1997, n. 540 112 33 Un minore, pur frequentante la scuola ed avviato ad un mestiere, commette atti di libidine ai danni di un altro minore 116 . f) Un giovane, quasi diciottenne, mentre era alla guida del ciclomotore senza casco, si scontra con altro ciclomotore, cagionando la morte del ragazzo che ne era alla guida 117 ; in particolare in tal caso la Suprema Corte ricava dalla circostanza che il ragazzo non avesse il casco, unitamente all’altro elemento che egli avesse dimestichezza con i veicoli avendo lavorato presso un’autocarrozzeria, la prova della cattiva educazione 118 . g) Un minore, prossimo alla maggiore età, uccide due persone con colpi di pistola esplosi alle spalle, a mezzo di un’arma clandestina e per motivi riconducibili a pregressa, profonda intolleranza fra gruppi familiari; nel caso di specie gli elementi probatori avevano evidenziato “il temperamento irruente ed astioso del giovane, la sua mancanza di valori morali e la sostituzione degli stessi con valori negativi (quali l’attaccamento esagerato ai beni materiali, l’odio e la vendetta)” e in definitiva “un quadro caratteriale e comportamentale del giovane” che non avrebbe potuto considerarsi “frutto di una corretta educazione e che avrebbe dovuto quanto meno imporre ai genitori una ben diversa vigilanza” 119 . h) Un minore, a bordo di un ciclomotore sul quale trasporta un altro minore, provoca il sollevamento della ruota anteriore del mezzo (“impenna”), facendo urtare il ciclomotore contro un'autovettura in sosta con conseguenti lesioni al trasportato 120 . i) Un minore lancia una tegola in testa ad un altro minore 121 . l) Un minore lancia un pugno di calce viva nell’occhio di un coetaneo122 . Anche nella giurisprudenza di merito si rinvengono casi in cui sulla base delle modalità del fatto è ritenuta provata la violazione degli obblighi e ducativi dei genitori. m) Cass., 11.8.1997, n. 7459. Cass. 22.4.2009, n. 9556, in Giust. civ., 2010, 4, 965, con nota di Cocuccio, Sulla responsabilità civile dei genitori per il fatto illecito commesso dal figlio minore; ed in Resp. civ. e prev., 2010, 3, 548, con nota di Mastrangelo, La responsabilità dei genitori tra educazione e vigilanza della prole minore. 118 In realtà questo caso ben si presta anche ad una diversa interpretazione, del tutto opposta: premesso che si tratta di un ragazzo quasi diciottenne, nel quale il processo decisionale deve considerarsi frutto di maggiore maturità, e proprio in considerazione che egli avesse particolare dimestichezza con i motori, ben si sarebbe potuto considerare la circostanza di non indossare il casco come frutto di una sua scelta e non diretta conseguenza della sua cattiva educazione: in altri termini quanto avrebbe potuto una corretta educazione evitare che egli non usasse il casco, pur essendo quasi maggiorenne e avendo dimestichezza con i motori. 119 Cass., 30.5.2001, n. 7387, in Danno e Resp., 2001, 12, 1211. 120 Cass. 8.2.2005, n. 2518. 121 Cass. 7.8.2000, n. 10357. 122 Cass. 16.5.1984, n. 2995. 116 117 34 Il nipote, mentre la nonna si allontana dalla casa del figlio scendendo le scale, si precipita per le medesime e la urta violentemente, travolgendola e facendola rotolare per una rampa, cagionandole lesioni 123 . n) Un giovane, alla guida di un ciclomotore, nel tentativo illecito di sottrarre la borsa di mano ad una donna, la spintona violentemente facendola cadere in terra ove, dopo avere battuto la testa, perde conoscenza. In realtà nel caso di specie dall’istruttoria era anche emerso che il minore era solito transitare nel centro abitato su un ciclomotore, impennando e senza casco; d’estate ciò avveniva anche dopo la mezzanotte. Poco prima dell’episodio per cui era causa, poi, il minore si era reso autore della sottrazione di altro portafoglio; si affermava che i genitori, pertanto, in presenza di una personalità del figlio così autonoma e poco sensibile alle norme di legge, quanto meno non avrebbero dovuto consentirgli l’uso del ciclomotore, oltre ad esercitare tutti i loro poteri affinché ogni condotta illecita del minore non potesse essere posta in essere 124 . o) Sei minori, uno dei quali anche infraquattordicenne all’epoca del fatto, commettono violenza sessuale nei confronti di una minore, anch’essa infraquattordicenne, costringendola con minacce (prospettandole di mostrare ai genitori delle foto che la ritraggono in situazioni compromettenti) e violenze (strattonandola e trattenendola per le braccia) a subire atti sessuali 125 . In tal caso la decisione esamina le diverse posizioni della giurisprudenza in merito alla prova liberatoria dei genitori, aderendo esplicitamente all’orientamento più rigoroso; evidenzia che il rigoroso onere probatorio posto a carico dei genitori si giustifica in base alla ratio della norma, poiché se essa considera che “sia possibile per un genitore impedire il fatto illecito del figlio minore, ciò è proprio in virtù dei compiti connessi alla sua funzione genitoriale, compiti agiti attraverso la possibilità di vigilare sui figli e di educarli, sicchè non è estraneo alla logica della previsione normativa che la prova liberatoria abbia riguardo al positivo esercizio di quei compiti”, secondo un metodo di “internalizzazione dei rischi connessi con le attività del minore”: i genitori sono quindi in tale decisione esplicitamente considerati dei garanti. Nel caso di specie i genitori avevano dedotto il corretto assolvimento dei propri doveri educativi, indicando il regolare comportamento dei figli nel contesto scolastico ed amicale, i risultati scolastici mai insufficienti e per taluni buoni, l’educazione impartita nel rispetto delle persone e dei valori cristiani, la frequentazione di lezioni di educazione sessuale, le pregresse relazioni sentimentali, la mancanza di particolare interesse verso le ragazze mostrata da alcuni dei minori prima di tali fatti, il rispetto delle regole familiari, ma il Tribunale considera tutte tali circostanze generiche e non idonee a contrastare l’evidente inefficacia dell’educazione dei sentimenti e delle emozioni e dell’insegnamento “al rispetto dell’altro come educazione alla relazione non con altro corpo ma con altra persona”. In buona sostanza secondo il Tribunale le modalità del fatto dimostrano che, anche se App. Napoli, 12.12.2005, in DVD Platinum Utet. Trib. Benevento, 16.1.2008, in DVD Platinum Utet. 125 Trib. Milano, 16.12.2009, in Resp. civ. e prev., 2010, 7-8, 1614, con nota di Mastrangelo, Violenza sessuale di gruppo e responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.: il risarcimento del danno non patrimoniale come “internalizzazione del rischio educativo”? 123 124 35 messaggi educativi vi sono stati, essi non stati recepiti e assimilati e che i genitori non hanno fatto attenzione a tale mancato recepimento sicchè la responsabilità consegue alla culpa in educando 126 . p) Tre minorenni, all’interno di un lido balneare, hanno un colluttazione e due di loro riportano, rispettivamente, un trauma cranio facciale al ginocchio destro e la rottura degli incisivi; in particolare Tizio proferiva frasi offensive nei confronti di Sempronio a causa del suo aspetto fisico e gli lanciava contro una sedia di plastica; Sempronio prendeva una sedia e la sbatteva a terra, rompendola; i pezzi rimbalzavano su Tizio rompendogli un dente; a questo punto il fratello di Tizio picchiava Sempronio con ripetuti pugni sul volto, rompendogli gli occhiali 127 . Anche in tal caso il Tribunale ha ritenuto l’inadeguatezza della educazione dalle modalità del fatto, e dall’aggressività mostrata, che rivelavano il basso grado di maturità e di educazione dei minori, conseguenti al mancato adempimento dei doveri dei genitori . Alla luce di tale panoramica appare in realtà evidente come l’orientamento giurisprudenziale che ricava direttamente dalle modalità del fatto illecito la violazione degli obblighi genitoriali, finisca per accomunare, ai fini della responsabilità dei genitori, comportamenti di gravità assolutamente diversa, dall’incidente stradale alla violenza sessuale di gruppo, passando attraverso comportamenti immaturi ma scherzosi, da un lato, e omicidi, dall’altro. Peraltro occorre anche evidenziare che, nonostante la differente opinione della dottrina128, secondo la giurisprudenza prevalente non è vero il contrario; e cioè non è vero che dalle modalità del fatto si possa ricavare la prova della corretta educazione del minore e ciò per evidente incompatibilità logica129. La ratio di tale impostazione così rigorosa è peraltro chiara e consiste nell’assicurare la miglior tutela al danneggiato, mediante la garanzia costituita dal Circostanza rilevante perché tre minori erano figli di genitori separati e domiciliati con la madre; su tale base il Tribunale ritiene responsabili anche i padri. 127 Trib. Trani, 28.5.2007, in Fam. e dir., 4, 2008, 379. 128 Bianca, cit., 695, che fa il caso di danni arrecati accidentalmente nel normale svolgimento di un’attività che costituisce libera e lecita esplicazione della personalità, per esempio in caso di incidenti verificatisi per imprudenza o per mera distrazione durate la pratica sportiva; l’A. cita a sostegno di ciò Cass. 6.5.1986, n. 3031, riferita al caso di un ventenne, minore all’epoca dei fatti, che aveva investito una persona, sciando, e i genitori avevano dato la prova di averlo correttamente avviato alla pratica sportiva e adeguatamente vigilato in relazione all’età; e Cass. 24.10.1988, n. 5751, che si riferisce al caso di un minore che era inciampato su una persona sdraiata sotto l’ombrellone causandole la lussazione della spalla; i genitori avevano dato la prova della corretta condotta scolastica e del buon carattere del minore e del suo carattere tranquillo e maturo: in tal caso si deve evidenziare quindi che in realtà la prova dell’assolvimento dell’obbligo di educazione non è tratta (solo) dalle modalità del fatto. 129 Cass. 20.10.2005, n. 20322 in relazione ad un incidente stradale determinato da minore alla guida di ciclomotore; in tal senso anche Cass. 10.8.2004, n. 15419; ma in senso contrario Cass. 13.1.1975, n. 126, nel caso di un minore che durante una gita in barca aveva colpito ad un occhio un compagno, con il remo maldestramente maneggiato durante la voga. 126 36 patrimonio dei genitori del minore autore dell’illecito130, il quale il più delle volte non dispone di un patrimonio proprio. Il rigore di tale orientamento della giurisprudenza che porta a far rispondere sempre i genitori, anche a prescindere da un reale addebito a loro imputabile, dovrebbe essere interpretato, insomma, alla luce della funzione riparatoria della responsabilità civile. Sono note le critiche e le perplessità manifestate dalla dottrina nei confronti di tale orientamento giurisprudenziale. Si evidenzia infatti che così opinando si delinea una responsabilità di natura oggettiva dal momento che il criterio di imputazione per l’illecito commesso dal figlio è direttamente ascrivibile al genitore unicamente in considerazione del suo status131 ovvero di una «relazione qualificata» che lo lega ai figli132. Si ritiene ancora che in tal modo si trasforma il dovere dei genitori di educare e sorvegliare il figlio da obbligazione di mezzi (prova di un’obbligazione di aver educato) in obbligazione di risultato (obbligazione avente ad oggetto la dimostrazione del risultato educativo) 133. Si è quindi anche evidenziato che tale giurisprudenza crea una sorta di «circolo vizioso» tra sorveglianza ed educazione134. Ciò in quanto anche se risulti assolto l’obbligo di sorveglianza o comunque l’assenza di colpa sotto tale profilo, in quanto si è posta in essere una vigilanza adeguata all’età del minore, lo stesso compimento dell’illecito finisce per assurgere a prova insuperabile dell’inadempimento all’obbligo educativo. Oppure, quando si fornisce la prova di aver fornito una sufficiente educazione ed istruzione, si dice che l’indole del minore, dimostrata dallo stesso fatto, avrebbe imposto una maggiore sorveglianza. Proprio in ragione di ciò, la dottrina più attenta da tempo tende a ricercare un diverso fondamento della responsabilità dei genitori, che prescinda dalla colpa, preferendo, in materia, riferirsi allo schema della responsabilità oggettiva per rischio tipico. Ancora, si è individuata nell’art. 2048 c.c., più che L’idea affonda le radici nel principio della cd. deep pocket, la tasca profonda, ovvero nella necessità che il conflitto di interessi tra danneggiante e danneggiato si a risolto collocando il costo del danno a carico di soggetti più solvibili rispetto all’autore materiale dell’illecito: su tali punti Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile. Analisi economico-giuridica, Milano, 1975, 65. 131 Facci, La prova liberatoria dei genitori per l’illecito del figlio minore dipende dalle modalità con cui è avvenuto il fatto, in Resp. civ. e prev., 2001, 4-5, 1003. 132 Cfr. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, 693 e segg.; Scognamiglio, voce “Responsabilità per fatto altrui”, in Noviss. Dig. It., Torino, 1968, XV, 693 e segg. 133 Figone, Atto illecito e responsabilità civile, in Trattato di Diritto Privato, Torino, 2005, 247. Parla esplicitamente di “responsabilità da risultato” anche Pardolesi, Genitori e illecito dei minori: una responsabilità da risultato?, in Danno e resp., 4, 2010, 368. 134 Patti, L’illecito del quasi maggiorenne e la responsabilità dei genitori: il recente indirizzo del Bundesgerichtshof, in Riv. Dir. Comm., 1984, I, 31: «se i genitori provano di aver sorvegliato adeguatamente il minore, o giustificano la loro assenza al momento del fatto, si afferma che per l’esenzione dalla responsabilità è inoltre necessaria la prova di aver fornito al minore una buona educazione; e se anche quest’ultima viene fornita si dice che lo stesso compimento del fatto rivela un’indole particolarmente sfrenata del minore, per cui la sorveglianza avrebbe dovuto essere più severa». 130 37 una presunzione di colpa, la fonte di «una serie di autentici doveri legali di garanzia verso i terzi esposti al rischio di un illecito del minore» 135. Sempre in senso critico nei confronti di tale giurisprudenza si è evidenziata la criticità della permanenza dell’art. 2048, così interpretato, in una realtà profondamente mutata rispetto a quella in cui la norma fu pensata e redatta. Il rigore dimostrato dalla giurisprudenza, infatti, meglio poteva giustificarsi con la concezione gerarchica della famiglia sottoposta all’autorità del pater. In tale contesto, i genitori erano tenuti ad educare la prole secondo i principi della morale, mentre i figli avevano l’obbligo di “rispettare” i genitori. L’illecito posto in essere dal minore ben poteva far pensare, allora, ad un’omissione, da parte dei genitori, degli obblighi educativi e di vigilanza, di spiccato contenuto autoritario. Ma si è già visto come l’entrata in vigore della Carta costituzionale, prima, e della riforma del diritto di famiglia, poi, hanno profondamente modificato il quadro normativo: se i genitori sono oggi tenuti ad adempiere ai loro obblighi educativi secondo le inclinazioni e le capacità naturali dei figli (art. 147 c.c., quale novellato), questi, in applicazione del principio dell’art. 30 Cost., sono divenuti da oggetto di poteri, i veri protagonisti dell’esperienza familiare, cui l’ordinamento riconosce spazi di autonomia e libertà, capaci, come sono, di compiere scelte consapevoli e da rispettare 136. L’autonomia e la libertà del minore, inoltre, tendono sempre più ad espandersi man mano che il minore si avvicina alla maggiore età, in corrispondenza della maturazione della loro naturale capacità di intendere e di volere. Vi è in definitiva l’esigenza di un mutamento dei tradizionali orientamenti giurisprudenziali137 soprattutto per tutte quelle attività normali, lecite, non pericolose che i giovani solitamente svolgono liberamente, senza eccessivi controlli, e che sono utilissime per favorire la formazione e lo sviluppo personale e relazionale del minore: si pensi ai normali giochi, alle solite attività di svago, intrattenimento (ad esempio gite, attività sportive, guida di ciclomotori), le quali, anche se svolte correttamente ed in modo diligente, possono comportare inevitabili rischi e produrre anche alcuni danni. In tale contesto la sorveglianza sembra del tutto avulsa dalla realtà attuale e dai corretti modelli comportamentali e sociali richiesti ed in uso e ci si chiede allora se sia ammissibile imputare al Così Bessone, Fatto illecito del minore e regime della responsabilità per mancata sorveglianza, in Dir. Fam., 1982, 1011. Cfr., di recente, Quadri, in Bocchini -Quadri, Diritto privato, Torino, 2008, 978, il quale evidenzia l’esigenza che si tende a giustificare, nella prospettiva tradizionale, attraverso l’espediente della culpa in educando: e cioè che il danneggiato possa rivalersi anche nei confronti di chi, prevedibilmente, sia più in grado di rispondere per il danno cagionato dal minore (capace di intendere e di volere); Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1967, 158. 135 136 Esposito, Responsabilità dei genitori e “convivenza” col minore, in Giur. it., 2008, 2167. 137 V. sul punto Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1994, pag. 769. 38 genitore la colpa di avere dato al minore il proprio consenso a svolgere le suddette attività. Alla luce degli attuali modelli sociali, risulta impensabile che i genitori, durante lo svolgimento di tali attività, debbano vigilare sui propri figli, soprattutto se vicini alla maggiore età. Anche pedagoghi e psicologi dell’età evolutiva sconsigliano in ogni caso simili interventi, in quanto si devono garantire ai minori adeguati spazi di libertà, importanti per una loro corretta maturazione e per la loro indipendenza di vita. Atteso che, come si è detto, non è possibile ed opportuna, durante lo svolgimento di attività normali e lecite, una vigilanza effettiva da parte del genitore e che partecipare a tali attività non può essere considerato indice di carenze educative, l’unica strada da seguire per imputare una responsabilità al genitore sarebbe quella di far carico allo stesso di non aver impedito al minore quelle attività. Anche questa via non è accettabile, soprattutto alla luce del modello di famiglia vigente nella società attuale. E forse proprio il mutare dei tempi con il tramonto del principio autoritario nei rapporti tra genitori e figli e il riconoscimento del loro diritto a veder rispettate le loro scelte e le loro inclinazioni (art. 147 c.c.), hanno concorso all’affermarsi di decisioni che appaiono discostarsi dai predetti orientamenti, e che considerano i doveri d’educazione e di vigilanza facenti capo ai genitori in senso relativo, da commisurare a parametri quali l’età e le caratteristiche dell’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi con un certo margine di autonomia. Le più rilevanti appaiono essere le seguenti. a) In un primo caso 138 un gruppo di ragazzi di un paese di montagna aveva organizzato una partita a tennis utilizzando come campo uno spiazzo aperto al traffico. Ad un certo punto, una pallina era andata a finire in un terreno privato, dove uno dei giovani si introduceva per recuperarla, provocando l’inconsulta reazione del proprietario, che se la prendeva con un altro ragazzo al quale danneggiava la racchetta. Precipitata la situazione, anche colui che aveva raccolto la pallina perde il controllo e infrangendo la racchetta contro un muretto, fa volare delle schegge di legno, una delle quali feriva all’occhio un altro compagno di gioco. Il danneggiato agiva in giudizio contro l’adulto “provocatore” e contro il danneggiante e i suoi genitori. Il Tribunale (e così anche i successivi gradi di giudizio) condannava solo il minore ex art. 2043, ravvisando nel suo comportamento gli estremi della colpa ed escludeva la responsabilità dei genitori del minore sul presupposto che il fatto che questi si fosse recato a giocare a tennis in una piazza di un piccolo paese non rappresentava, in termini di normale ragionevolezza, una situazione tale da dover essere seguita o impedita dai genitori al fine di evitare danni. b) 138 Cass., 9.4.1997, n. 3088. 39 In un altro caso 139 si è esclusa la responsabilità dei genitori di un ragazzo, ormai prossimo alla maggiore età, che aveva aggredito nell'oratorio parrocchiale durante una festa di carnevale un altro minore con un manganello di plastica (ma riempito di cemento). I genitori non sono stati ritenuti responsabili del danno provocato dal figlio minore avendo dato la positiva dimostrazione di avergli impartito una corretta educazione, affermando che la stessa può essere desunta dal curriculum scolastico, militare e lavorativo del ragazzo, oltre che dal contesto familiare in cui è cresciuto. Nel caso di specie, secondo la Suprema Corte, la conclusione, cui sono giunti i giudici di appello, secondo la quale i genitori avevano assolto l’onere probatorio, era supportata da un apparato argomentativo idoneo a sorreggerla, avendo essa appunto fatto riferimento al curriculum scolastico, militare e lavorativo del soggetto nonchè al contesto familiare, il tutto ritenuto dimostrativo del fatto che al minore fosse stata impartita un'adeguata educazione. Ancora la Corte evidenziava che non erano in contrasto con tale conclusione le modalità del fatto: se è vero che anche solo da esse il giudice del merito può trarre la prova della violazione dell'art. 147 c.c., tuttavia, nella specie la Corte territoriale aveva evidenziato che l'evento dannoso doveva essere ricondotto ad una serie causale accidentale, riferita da un lato alla sovreccitazione determinata dal desiderio di celebrare il carnevale e, dall'altro, all’inconsapevolezza della potenziale lesività delle modifiche, per di più indimostrate, apportate ai bastoni di plastica utilizzati, di per sè innocui. c) Altra decisione dei giudici di legittimità molto citata e commentata 140 è riferita al caso di un minore che, alla guida di un motociclo, aveva investito un uomo provocandogli gravi danni alla persona; anche in tal caso i genitori sono stati ritenuti non responsabili avendo fornito la prova di aver fatto tutto il possibile per educare adeguatamente il figlio e prepararlo alla necessaria autonomia, in particolare, per ciò che rilevava nella fattispecie, avviandolo al lavoro e facendogli conseguire la patente A. Tale ultima sentenza è effettivamente molto rilevante perché pone tre principi: Cass., 18.1.2006, n. 831; per un commento Gavazzi, Più leggero l’onere della prova per i genitori, nell’ipotesi di danni cagionati dai figli minori, in Resp. civ. e prev., 2006, 6, 1073. 139 Cass., 28.3.2001, n. 4481, con nota di Patti, Responsabilità dei genitori; una sentenza in linea con l’evoluzione europea, in Familia, 2001. L’A. commenta favorevolmente la decisione evidenziando come essa attribuisce “un effettivo significato alla (mancanza) di colpa, evita il ricorso alle finzioni ma nel contempo consente alla imputazione per colpa di svolgere il tradizionale ruolo di prevenzione e di responsabilità per fatti realmente addebitabili alla mancanza di diligenza dei soggetti chiamati a rispondere”. L’A. rileva ancora come tale orientamento giurisprudenziale si avvicini alle regole vigenti in altri ordinamento europei; segnala in particolare che anche la dottrina francese abbia sottolineato che l’unica ragione che può spingere alla condanna dei genitori a risarcire il danno causato dai figli minori sia l’esigenza di indennizzare il danneggiato ma che così facendo talvolta si impone ad una famiglia una tragedia finanziaria assolutamente immeritata; pertanto vi sono state proposte nel senso di distinguere tra la responsabilità oggettiva per i danni recati da figli più piccoli e la responsabi lità pienamente colposa per i danni cagionati da figli prossimi alla maggiore età, accompagnandola a forme di assicurazione obbligatoria. 140 40 - la Corte afferma che la prova liberatoria richiesta ai genitori dall'art. 2048 c.c. di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore capace di intendere e di volere si concreta, normalmente, nella dimostrazione, oltre che di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sullo stesso una vigilanza adeguata all'età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un'ulteriore o diversa opera educativa; - la vigilanza non va tuttavia intesa come costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio - ricadendosi, altrimenti, nell'obbligo di sorveglianza che l'art. 2047 c.c. impone ai genitori di minore incapace - quando per l'educazione impartita, per l'età del figlio e per l'ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l'ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli per sè e per i terzi; quindi la S.C. ha precisato che il dovere di sorveglianza dell'incapace ha un contenuto molto più ampio di quello di sola vigilanza del minore capace e che quest'ultima consiste infatti nella “verifica del corretto apprendimento dell'educazione impartita” , poiché l'educazione deve ricevere i necessari adeguamenti ed aggiustamenti tenendo conto della personalità del minore e del suo grado di calare nella pratica quanto gli viene impartito. In altri termini l'obbligo di vigilanza per i genitori del minore capace non si pone come autonomo rispetto all'obbligo di educazione, ma va correlato a quest'ultimo, nel senso che i genitori devono vigilare che l'educazione impartita sia consona ed idonea al carattere ed alle attitudini del minore e che quest'ultimo ne abbia "tratto profitto", ponendola in atto, in modo da avviarsi a vivere autonomamente, ma correttamente. - infine appare rilevante l’affermazione per cui <<il solo fatto dell'illecito non può costituire di per sé motivo per escludere l'adeguatezza dell'educazione impartita dai genitori, in quanto in questo caso la prova liberatoria non opererebbe mai, poiché essa presuppone proprio che un illecito sia stato posto in essere dal figlio minore>>. La valutazione del giudice sull'adeguatezza della educazione impartita e sulla vigilanza esercitata, nei termini suddetti, va, quindi, effettuata ex ante e non ex post. In tali decisioni viene in sostanza ritenuta sufficiente, ai fini della prova liberatoria dei genitori, la dimostrazione dell’impegno profuso per assicurare ai figli un appropriato inserimento nella vita di relazione. Solo cosí, pur accertata la responsabilità del minore in base ai dati di fatto, l’illecito non si trasmette automaticamente in capo ai genitori. Anche nella giurisprudenza di merito si sono segnalate decisioni in tal senso. Per esempio sono noti diversi casi in cui i genitori sono stati ritenuti non responsabili: a) 41 - prendendo atto delle condizioni dello stato mentale della ragazza, e del fatto che ella, persona di origine sudamericana, è stata adottata all'età di 5 anni da genitori anziani, che sono stati in grado di darle la possibilità di seguire regolari corsi di studio e una formazione di tipo professionale, nonché di essere seguita dalla psicologa dei servizi sociali; tali risultanze costituiscono certamente prova liberatoria della responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c. in quanto è dimostrato che essi hanno impartito alla minore una sana educazione e hanno svolto nei suoi confronti una vigilanza adeguata all'età, al carattere e all'indole della stessa; a tal fine si evidenziava in particolare che, alla luce della comune esperienza e in relazione alla sorveglianza cui sono tenuti i genitori, di fatto impossibile si riveli il controllo da parte di quest'ultimi su persona in età adolescenziale avanzata, come la minore era all'epoca del fatto, la quale esca di casa con i coetanei e con essi trascorra qualche ora di tempo fuori della propria abitazione, ove non si voglia ritenere che i genitori abbiano l'obbligo di seguire ovunque gli spostamenti del minore per non vedersi addebitata l'omessa sua custodia 141 b) - un minore di diciassette anni colpisce al volto con un pugno un frequentatore di una discoteca in una serata in cui c’era confusione e “la gente si spintonava e volavano pugni” 142 ; in tal caso viene escluso di potersi rifare solo alla gravità del fatto e viene evidenziato che da un lato non occorre che il genitore provi la sua costante ed ininterrotta presenza accanto al figlio, quando per l’educazione, desunta anche dal curriculum scolastico, impartita, per l’età e per la caratteristiche dell’ambiente in cui viene lasciato libero di muoversi, risultano correttamente impostati i rapporti extrafamiliari . Laddove si ritenga in qualche modo concretamente possibile la dimostrazione da parte dei genitori di aver correttamente assolto i propri obblighi educativi, si pone poi l’ulteriore questione di individuare quali siano gli elementi di fatto utili a dare tale prova. Generalmente in tale tipo di causa gli indici offerti dai genitori per dare prova del corretto assolvimento dei loro doveri sono: il comportamento del minore nei suoi ambiti di vita familiari, amicali, scolastici; la frequentazione della scuola e lo stesso curriculum scolastico; la frequentazione delle lezioni di educazione sessuale; l’aver intrapreso un’attività lavorativa143. In casi di illeciti più specifici, per esempio connessi alla circolazione stradale, si usa far riferimento alla dimestichezza con auto e motoveicoli o alla circostanza che il minore sia abilitato alla guida del motoveicolo avendo conseguito la patente; ma anche ciò in molti casi è ritenuto non sufficiente a esonerare i genitori, tenuti comunque a vigilare il minore 144. App. Genova, 13.10.2006 in Resp. civ., 2007, 8-9, 761. Trib. Verona, 18.2.2000, in Giur. it., 2000, 1409 ss. con nota di Ferri, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c. 143 Ritenuta però insufficiente da Cass., 11.8.1997, n. 7459, che evidenzia che lo svolgimento di un mestiere può incidere sull’obbligo di vigilare ma non su quello di educare. 144 Cass., 20.10.2005, n. 20322; il caso si riferisce ad incidente cagionato da una minore alla guida di un motorino; la Corte rilevava che essa stessa già in passato aveva escluso che il conseguimento della patente di guida, che aveva effetti solo amministrativi, potesse 141 142 42 In realtà, anche volendo prescindere da tali, allo stato isolati e minoritari interventi giurisprudenziali, è stato correttamente e diffusamente osservato che la severità e rigorosità dell’orientamento si attenuano notevolmente nel caso in cui l’illecito commesso dal minore non sia di particolare gravità. Alla luce di queste osservazioni emerge che il concetto di colpa in educando e in vigilando viene ad essere adattato a seconda delle circostanze con cui si è verificato l’illecito, potendosi al limite individuare una duplice natura della responsabilità in esame derivante dalle modalità con cui avviene l’illecito. Nelle ipotesi di particolare gravità, nei casi in cui il giudice desume l’inadeguatezza dell’educazione impartita dalle circostanze stesse del fatto, siamo, di fatto, in presenza di una responsabilità oggettiva e indiretta. Tale responsabilità è oggettiva dal momento che la prova liberatoria di avere educato si è trasformata nella dimostrazione di raggiungimento del risultato educativo: se il minore ha commesso un grave illecito, il risultato educativo non è stato raggiunto; in questo modo la prova liberatoria è impossibile e la responsabilità è anche indiretta per il fatto che i genitori sono chiamati a rispondere esclusivamente in virtù del loro status. Invece nel caso in cui l’illecito compiuto dal minore non sia particolarmente grave e riprovevole, l’eventuale responsabilità dei genitori è una responsabilità per colpa, diretta, per non aver impartito un’educazione conforme alle condizioni familiari e per non aver esercitato una vigilanza adeguata all’età e al carattere del minore. Attenta dottrina ha evidenziato che in realtà le due regole esposte potrebbero essere ricondotte ad un’unica ratio decidendi se si applicasse la prima (quella più dura per i genitori) allorquando l’attività del minore sia di natura intrinsecamente pericolosa, od anormale, o riprovevole, e si applicasse la seconda (quella più favorevole ai genitori) allorquando l’attività stessa sia normale od usuale, come per esempio “il praticare lo sci” 145. 6. Conclusioni. Per i danni cagionati dai figli minori i genitori rispondono sia come sorveglianti ex art. 2047 c.c., ove i figli siano incapaci di intendere e di volere, sia ex art. 2048 c.c. in caso di ritenuta loro capacità. Solo nel secondo caso alla responsabilità dei genitori si aggiunge quella diretta del minore ex art. 2043 c.c. avere dei riflessi sulla responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., non esonerando quindi il genitore dal dovere di vigilanza e dalla conseguente responsabilità (sono richiamate Cass. 3725/1976; Cass. 6144/1984). Lo stesso principio vale attualmente per i soggetti minori, abilitati alla guida di motocicli o motoveicoli. Il solo fatto che la legge autorizzi i minori alla guida di tali veicoli (previa abilitazione amministrativa) non esonera i genitori, che con loro coabitino, dai loro doveri di vigilanza. 145 Chianale , Responsabilità dei genitori (art. 2048 c.c.), in Riv. Dir. Civ., 1988, II, 283. 43 In entrambi i casi i genitori possono liberarsi dalla responsabilità provando di non aver potuto impedire il fatto, prova liberatoria alla quale la giurisprudenza ha conferito un particolare significato; nel primo caso dovranno provare di aver effettivamente vigilato il figlio minore adottando le necessarie cautele, adeguate alla sua età; nel secondo caso dovranno però provare, unitamente a ciò, anche di aver fornito al minore l’educazione consona alle proprie condizioni economiche e sociali nonché adeguata alle sue inclinazioni e al suo carattere. Nel nostro ordinamento l’accertamento della capacità del minore, che distingue quindi tra i due diversi regimi di responsabilità e corrisponde anche ad un minore o maggiore onere probatorio dei genitori, è rimesso all’apprezzamento del giudice caso per caso, in assenza di alcun indice normativo. L’impossibilità della prova liberatoria è spesso ritenuta dalla giurisprudenza direttamente in base alla modalità del fatto illecito del minore, la cui gravità è indice automatico di mancato o inadeguato assolvimento dell’obbligo educativo. Tale principio risulta però applicato, secondo la dottrina, a casi di gravità e disvalore oggettivamente diversificati. Una parte della dottrina manifesta critiche nei confronti dei predetti arresti evidenziando che alla luce dei medesimi non risulta possibile comprendere quale sia la condotta educativa attesa dei genitori e se esistano degli standards comportamentali sui quali misurare se la loro condotta sia rispettosa del dettato dell’art. 147 c.c.146; altra parte della dottrina preferisce impostare la responsabilità in esame come responsabilità oggettiva, individuando la finalità della disposizione esclusivamente in un’esigenza di garanzia. Infine oggetto di particolare attenzione critica è il tema dell’illecito del figlio maggiorenne e se in casi siffatti il dovere di sorveglianza dei genitori, nell’odierna società e secondo gli attuali costumi di vita, si attenui; le risposte della giurisprudenza sul punto appaiono diverse a seconda della gravità del fatto compiuto e delle sue conseguenze. Ma la risposta a tali domande appare difficile non solo per il giurista, come è esperienza quotidi ana di molti. 146 44