La banalità del male

Transcript

La banalità del male
La banalità del male
25 gennaio 2001
Centro Asteria di Milano
Esercizi di pensiero degli studenti che hanno assistito
allo spettacolo
Liceo scientifico “Alessandro Volta” di Milano
classi 5C e 5H
Prof. Carlo Sala, docente di Storia e Filosofia
Andrea Piazza.
27/1, la Giornata della Memoria. Il momento del ricordo, dell’analisi delle colpe e delle omissioni,
l’analisi stessa su cosa sia il male. La mia esperienza di quest’anno riflette vari incontri, diversi
punti di vista, un’unica esigenza: ricordare.
Ma che cosa ricordiamo, di fatto? E’ quel minuto di silenzio, è quel pensiero di un momento, che ci
rende dei buoni cittadini? Anzi, degli esseri umani? È quell’unico istante che dedichiamo (in 365
giorni) a questo pensiero, alla Shoah, a valorizzare la memoria e il ricordo di quello che è successo?
No. Non lo è. Non basta. La giornata della memoria, nel suo diventare “istituzionale”, una
ricorrenza come tante, perde il suo scopo. La guerra, qui, è lontana. La morte, anche. La
persecuzione, pure. Le sporadiche testimonianze che provengono dal mondo ci lasciano sgomenti,
impotenti, ma comunque e sempre lontani.
C’è una nuova generazione, e una nuova ancora si prepara. E nessuna di queste ha conosciuto la
guerra, lo sterminio dei massa, e tra un po’ non resterà nemmeno un testimone che ci possa
raccontare come andarono le cose. Saremo una generazione senza memoria, noi come i nostri figli, i
nipoti, e così via. La Shoah, mi chiedo, è forse stata il male assoluto? È forse qualcosa di disumano?
La mia risposta è no: la Shoah c’è stata, e per questo può ricapitare. La violenza fa parte dell’uomo:
inutile negarlo. Tornerà la guerra, la persecuzione. Il valore della memoria non può essere uno
statico ricordo del passato. Dev’essere un incitamento continuo a stare in allerta, attenti, pronti ad
accorgersi dei sintomi, dei segnali dell’odio e della brutalità umana, che serpeggiano sempre tra di
noi. Il mondo è pieno di testimonianze di genocidi: il Darfur, la Somalia, l’Armenia, il Ruanda.
Tragedie recenti e poco conosciute, o tragedie passate e mai rinnegate, come il massacro degli
armeni. Il cittadino, l’uomo del ventunesimo secolo, deve sapere cos’è la guerra. Deve conoscere
l’odio, per poterlo evitare. Perché ricapiterà, se non prestiamo attenzione. E che capiti a noi o ad
altri, poco importa: l’odio della Shoah non è l’odio verso gli ebrei, e l’odio verso tutta l’umanità,
verso l’Uomo stesso. È il masochismo rivoltante della nostra specie, che si dilania da sé, che si
impone dei supplizi. L’uomo di oggi deve sapere che la giornata della memoria ha un nuovo scopo:
mettere in guardia, parlare delle tragedie di oggi, dei genocidi, della guerra.
Solo gli uomini, nella loro follia, possono sperare che la guerra risolva qualcosa: solo gli uomini
possono concepire il progetto di massacrarsi sistematicamente. Per questo la Shoah è stata, è e sarà
sempre qualcosa di umano, da cui difenderci, da cui allontanarci.
Mi domandavo come sarebbe se nessuno fosse sopravvissuto. Se non ci fosse nessuno a raccontarci
dello sterminio, se non avessimo nemmeno le testimonianza. Ma in fondo, in un Paese che si
considera sempre “buono” ed estraneo ai mali del Novecento, che esalta la Resistenza e dimentica il
disastro della guerra civile e del fascismo, il valore della memoria è un miraggio. Non per questo
bisogna
smettere
di
combattere,
di
informare.
esercizio di pensiero dopo hannah arendt
Banalita' del male. Tre parole e quattordici sillabe per esprimere un concetto difficile da capire e
allo stesso tempo terribile da accettare. Ormai non ci sono piu' segni, indizi che possano farci
individuare immediatamente chi e' malvagio e chi non lo e'. Siamo gia' da tempo in una societa'
enigmatica dove la distinzione tra bene e male non e' piu' cosi' netta, e forse non lo e' mai stata.
Siamo in una societa' dove il tornaconto personale supera tutto, dove esso ha maggior importanza
sui valori ormai perduti o dimenticati che caratterizzano l' uomo dal semplice essere esistente. Ma
perche' diamo tanta importanza all'uomo? Solo perche' noi tutti siamo uomini? E che significato ha
oggi l'essere uomo? Significa forse calpestare il piu' debole, schiacciarlo fino a farlo esplodere, per
annientare non solo il suo corpo ma anche la sua dignita'? Non credo proprio. Eppure e' cosi', sono
stati uomini a provocare quella che oggi chiamiamo shoah, uomini e nessun'altro. Il genere umano
si e' macchiato dell'uccisione della propria gente, gente diversa si', ma tuttavia nel cuore uguali,
popoli di tradizioni diverse ma di caratteri e ideali che coincidono. Eppure che cosa ha spinto gente
comunissima a commettere simili atrocita'? Che cosa ha impedito loro di rifiutarsi, di ribellarsi a un
ordine e di proteggere innocenti? Trovo solo una risposta a tutti questi interrogativi. La paura. Essa
ha un potere straordinario capace di far fare cose inaspettate e crudeli, il timore ha la singolare
capacita' di offuscare il giudizio e di fare un lavaggio del cervello facendo dimenticare quali sono
gli ideali e i valori che caratterizzavano l'uomo in passato. Ripensando agli eventi passati e' facile
dire: " Perche' non si sono ribellati, perche' non hanno reagito, perche' non si sono opposti se ne
avevano la possibilita'?" E' troppo facile pensarla cosi' quando gli eventi di cui si parla ormai sono
gia' passati, non voglio con questo giustificare il comportamento di coloro che hanno collaborato
all'esecuzione di un simile progetto, affatto. Voglio solamente ribadire che non dobbiamo sentirci
superiori a quelli che furono complici perche', noi avremmo davvero avuto il coraggio di andare in
prima linea, difendere e opporci a qualcosa che non ci sembrava giusto? Non lo so. La mia vuole
essere una riflessione che vuole fare capire che potremmo essere noi i prossimi carnefici, noi gli
esecutori di una follia senza fine, solo noi coloro che potrebbero essere i protagonisti della prossima
strage. Il male non ha una faccia sola, esso e' dapertutto, ci perseguita in un viaggio senza soste e
senza fine. ci si volta ed e' li', scappiamo e si trova alla meta, ci fermiamo un momento ed e' li' che
ci aspetta. Esso si intrufola nelle persone impensabili che non pensano e non fanno pensare di essere
cattive ma che in verita' tengono sopito in loro il germe di tale malattia che consuma e corrode il
corpo e la mente dall'interno. Il male si nasconde ed e'in ogni persona, ma puo' svegliarsi subito
oppure restare addormentato per sempre. esso secondo me dipende dall'educazione e dalle
situazioni che ci troviamo ad affrontare ogni giorno, sfide complesse in grado di farci tirare fuori
cio' che normalmente resterebbe nascosto. La malvagita' non si manifesta solo attraverso azioni ma
anche attraverso il pensiero, infatti si puo' dire che e' dal pensiero che parte il tutto, e' dalla mente
che scaturiscono i gesti, il comportamento che mette in moto un processo piu' complesso. E'
necessario dunque capire e essere consapevoli di cio' affinche' si possano evitare le circostanze che
hanno reso (rendono) possibile la realizzazione di qualcosa di cui poi ci potremmo
pentire,imparando dagli errori commessi, cominciando a fare dell'umilta' una caratteristica non
trascurabile.
4.2.2011
Il 27 gennaio è il giorno in cui ogni anno a scuola si ricorda lo sterminio degli ebrei nella seconda
guerra mondiale. Ho sempre cercato di evitare queste discussioni: forse non ne coglievo tutta
l’importanza, e in parte mi facevano impressione, in parte trovavo ingiusto ricordare solamente
questo genocidio e non quello di altre popolazioni.
Quest’anno, però, ho sentito un cambiamento. Forse perché, per la prima volta, ho approfondito
questo tema, mi sono lasciata coinvolgere dall’argomento.
Innanzi tutto, credo di aver capito la differenza essenziale fra questo genocidio e gli altri: nei
confronti degli ebrei c’è stata la sistematica ricerca di annullamento della persona e la violenza
gratuita. Detto in modo diretto: se si vuole sterminare un popolo, perché torturarlo e annullarlo
psicologicamente? Come riporta Primo Levi nel libro “Sommersi e salvati”, lo scopo dei lager era
annientare la dignità umana: ogni uomo non aveva più un nome per riconoscerlo, ma un numero
tatuato sul braccio. Il primo ordine che veniva dato dalle SS quando si entrava nel lager era di
togliersi i vestiti e le scarpe, benché fuori ci fosse la neve e fosse pieno inverno; sia uomini che
donne venivano rasati; coloro che non conoscevano il tedesco non potevano capire gli ordini e, di
conseguenza, venivano picchiati; alcuni uomini venivano usati come “cavie” per esperimenti
scientifici; a volte per riuscire a sopravvivere, dovevano agire contro altri; ecc..
Mi domando: perche tutto ciò? Per quale motivo si doveva sottoporre uomini a torture e condizioni
tali da farli sembrare animali? Perché volere umiliarli in questo modo?
La seconda cosa su cui credo sia fondamentale porre attenzione è che la “Soluzione Finale” è stata
pensata e attuata in modo sistematico da un popolo economicamente e culturalmente evoluto, la
culla dei più importanti filosofi e pensatori dell’ ‘8oo. Nonostante ciò, non ci sono state persone (a
eccezione di pochi) che hanno contestato il progetto di sterminio. Quando Eichmann, per esempio,
ha annunciato ai ministri alti funzionari dello stato in cosa consisteva questa “Soluzione finale”,
nessuno ha sentito il dovere o la necessità di contrastarla.
Credo, dunque, che sia fondamentale ricordare ciò che è accaduto nella seconda guerra mondiale
per evitare che riaccada. Così come è successo che un paese come la Germania si sia trovato
coinvolto in un orrore simile, qualsiasi altra nazione può trovarsi nel ruolo della “Germania” o in
quello degli “ebrei”. Bisogna celebrare questa giornata in modo da evitare di ripetere gli stessi
errori.
Laura Cubeddu
ERICA SOLDATI 5C 7.02.2011 RICORDARE NON BASTA: forgiare un mondo nuovo dalle ceneri del passato. Sono già trascorsi 66 anni da quando i cancelli di Auschiwitz vennero finalmente aperti, non verso la morte ma verso la vita, nonostante una vita intera non avrebbe mai potuto far dimenticare quella morte irrazionale. A breve non rimarrà più nessuno dei già pochi sopravvissuti in grado di raccontarci la propria testimonianza diretta. Ed allora, come avviene nella staffetta, sarà nostro compito portare avanti il “testimone” e consegnarlo nelle mani delle generazioni future affinché ciò che è stato non si dimentichi. Oggigiorno quasi tutti sanno come e quando si sia verificato lo sterminio degli ebrei, ed esclusi i negazionisti, l’opinione pubblica lo considera giustamente uno degli episodi più terribili mai verificatosi nella storia umana. Ma manca è la vera consapevolezza che, data la ciclicità della storia, non è da escludere che ciò che è avvenuto una volta, non si possa ripetere. È per questo motivo che ricordare non basta. Il classico “minuto di silenzio” che si osserva il 27 gennaio non deve, non può, diventare un cliché, una convenzione. Il nostro passato determina ciò che siamo ma è pur sempre morto a meno che non venga usato per prevenire errori futuri. Come da piccoli, dopo esserci scottati col fuoco, capiamo che provoca sofferenza, così dovremmo aver ben radicata in noi stessi la concezione che non c’è una vita che vale più di un’altra. Perché come disse la scrittrice Hanna Arendt, c’è una sorta di banalità nel male. I soldati tedeschi non si domandavano neanche se ciò che stavano facendo fosse umano, spesso eseguivano semplicemente gli ordini. Ma dobbiamo considerare che vivevano sotto un regime totalitario, dove non esisteva il singolo ma solo la massa. Informarsi non è semplice, le vere notizie vanno cercate, bisogna cercare fonti diverse. Non è sufficiente vedere il telegiornale, la cosa migliore sarebbe leggere dei quotidiani, mettere a confronto le notizie e crearsi una propria opinione. L’omologazione ad una moda, ad una linea di pensiero, ad un modo di essere, determinano la mancanza di idee proprie. Se ciò che ci differenzia dagli animali è la coscienza, allora forse dovremmo usarla. Perché c’è più orrore nella parola disumano che in quelle bestiale. Non dovremmo trovare somiglianza tra le leggi di Norimberga e il divieto per i neri di usare lo stesso autobus dei cittadini americani. La storia non insegna? Eppure negli anni ’50-­‐’60 la seconda guerra mondiale e i suoi orrori erano ancora freschi nella mente di tutti. Se l’umanità avesse davvero fatti propri tutti i racconti e gli ammonimenti contenuti nei libri sulla Shoah, credo che non si sarebbero verificatosi i massacri tra serbi e croati, tra hutu e tutzi, tra israeliani e palestinesi. Partecipare a cerimonie come quella del 27 gennaio e poi restare indifferenti a queste vicende è un insulto anche a tutti gli ebrei morti nei campi di concentramento. Il progresso della società non si può basare solo su un crescente benessere economico, fisico o materiale. Deve verificarsi parallelamente ad un progresso morale. Ad esempio, sotto il terzo Reich ci furono importanti scoperte scientifiche, ma tutto il mondo inorridì quando apprese che per i suoi esperimenti di eugenetica, il dottor Mengele utilizzava bambini ebrei considerandoli meno che cavie da laboratorio. Non dovrebbe accadere allora che ancora oggi ci siano case farmaceutiche che testano i proprio prodotti su una popolazione inconsapevole. La scoperta nel 2004 che i bambini di un orfanotrofio di New York erano stati utilizzati per un test sull’AIDS, è segno che c’è ancora molta strada da percorrere per l’affermazione universale dei diritti umani. Insomma, ricordare non basta. Partecipare solo fisicamente ad incontri commemorativi, se pur bellissimi, come quello con Segre, non basta. Bisogna formare un mondo nuovo dalla cenere del passato e per farlo, dobbiamo diventare cittadini attivi e consapevoli. Il primo passo potrebbe essere quello di emarginare certi partiti con spiccate tendenze razziste, il secondo, chiedere che ovunque siano garantiti i diritti fondamentali dell’uomo. E poi chissà, forse un giorno riusciremo a trasformare il nostro pianeta in un mondo migliore ed allora tutti gli ebrei morti nei lager potranno finalmente riposare in pace. ESERCIZIO DI PENSIERO SU “LA BANALITA' DEL MALE”
02/02/2011
Chi può essere definito normale? Che cosa è normale? Uno dei numerosi spunti di
riflessione offerti dallo spettacolo in scena al Centro Asteria tratto dal libro di Hannah
Arendt è proprio questa domanda, semplicissima in apparenza. Tuttavia, ripensando a
quanto successo nella Germania hitleriana, ci si rende conto di quanto la “normalità” sia un
concetto assolutamente relativo e soggettivo. Un essere pensante, in grado di riflettere senza
troppi condizionamenti, considera normali le proprie azioni, le proprie idee e sulla base di
queste è portato a confrontarsi con quelle degli altri, per poi magari arrivare a modificarle
grazie alla sua capacità critica.
Tutto questo non poteva accadere a quell'epoca in Germania, dove la normalità stessa
consisteva nell'incapacità di avere idee, di pensare. La strategia e l'assurdità dell'ideologia
nazista consistettero nel presentare come inevitabili e normali i peggiori crimini. In una
società in cui tutti considerano lecito l'omicidio e non vi è alcuna legge a vietarlo, la
coscienza dei singoli viene soffocata senza troppe difficoltà. I nazisti riuscirono a inculcare
nella popolazione, così come nei capi, ad esempio nel caso di Eichmann, il concetto che il
cittadino modello è colui che segue ciecamente la legge e gli ordini impartiti dai superiori,
senza pensare, senza preoccuparsi di distinguere bene e male.
Da qui il senso di grande stupore che suscitò in Hannah Arendt la vista di Eichmann, uno
dei massimi responsabili dello sterminio degli ebrei. L'idea che l'autrice si era fatta di
quell'uomo, e che in fondo noi tutti abbiamo riguardo ai nazisti, era di un essere sadico,
spietato, psicopatico. Le si presentò invece un uomo “normale”, che semplicemente non
aveva voluto o non era stato in grado di distinguere la differenza tra bene e male, che era
sempre stato convinto che il bene fosse rispettare gli ordini, senza farsi domande. Il fatto
drammatico è che egli, ancora durante il processo, non era in grado di comprendere la
gravità di ciò che aveva fatto: egli continuava a proclamare la propria innocenza.
Appare quindi evidente l'importanza di studiare, di informarsi, di sforzarsi di capire la realtà
come è veramente, senza preconcetti, di fare tutto ciò che è necessario per sviluppare le
proprie idee ed il proprio senso critico, per saper distinguere tra giusto e sbagliato senza che
qualcun altro lo faccia per noi. Oltre che al fine di evitare che si ripeta uno sterminio come
quello perpetrato contro gli ebrei, bisogna fare tutto questo anche per essere in grado di
sapersi opporre a coloro che vorrebbero convincerci che la guerra, la pena di morte e altre
simili atrocità siano assolutamente “normali”.
Federico Feudatari
Tea Marenghi Classe VC Il 27 gennaio, anniversario della liberazione dei campi di Auschwitz, è la giornata della memoria, riconosciuta e celebrata in Italia ormai da undici anni ed è un evento che non dovrebbe appartenere solo ad una memoria storica di facciata, ma anche ad un’autentica coscienza civile. Quest’anno abbiamo assistito presso il centro Asteria all’adattamento teatrale di Paola Bigatto della “Banalità del male” di Hannah Arendt. In questa rappresentazione viene descritto il processo di Eichmann nel 1961 a Gerusalemme attraverso gli occhi della filosofa, la quale vi ha partecipato in prima persona come inviata del The New Yorker. Eichmann è colui che nel corso della “soluzione finale” organizzò il traffico ferroviario di ebrei ai vari campi di concentramento. La Arendt dal processo ricavò l’idea che il male perpetrato da Eichamann e da tutti i responsabili della Shoah fosse dovuto non solo ad un’indole maligna ben radicata nell’animo, quanto piuttosto ad una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni e al non cogliere pienamente le conseguenze dei gesti compiuti. Eichmann infatti, nel corso del processo non dimostrava una particolare intelligenza e la Arendt notò nel suo atteggiamento una totale assenza di capacità di riflessione, e correlazione fra pensiero, vita interiore, azione, sentimenti, il tutto accompagnato da una certa facilità all’osservanza di norme e codici precostituiti in maniera del tutto acritica. Da ciò la filosofa trasse l’ironica conclusione che il volto del male è il volto della banalità, cioè dal permettere passivamente che la propria vita sia manipolata, dall’alibi morale della mediocrità. Quindi la capacità di giudizio che ci sottrae dal commettere il male viene dalla capacità di pensare propria dell’uomo e chi se ne priva, va contro la dignità umana. Di conseguenza il genocidio non è solo un crimine contro il popolo ebraico, ma contro l’umanità stessa. Durante il processo di Gerusalemme sono state mosse quindici accuse contro Eichmann ad ognuna delle quali l’imputato ha risposto “Non mi ritengo colpevole nel senso dell’atto di accusa”. Posso immaginare la sensazione di gelo provata dalla Arendt nel sentire queste parole, ma né il suo essere ebrea, né il suo essere tedesca, né il trovarsi di fronte a uno dei responsabili degli assassinii di sei milioni di persone ha alterato la sua capacità di analisi. Mi ha colpito particolarmente il discorso inerente alla dignità, o meglio alla non dignità, dell’uomo nazista. Come si fa infatti a superare l’innata ripugnanza per il crimine? Come si fa a soffocare quella naturale e umana pietà suscitata assistendo a sofferenze altrui? A questi assassini veniva chiesto infatti di essere sovrumani e gli veniva inculcata in testa l’idea che le cose orribili che dovevano compiere erano necessarie all’adempimento del processo storico. Tutte queste menzogne facevano parte di un grande meccanismo psicologico volto a salvaguardare l’apparente “coscienza“ dei nazisti, i quali ammettono di non aver provato nessun senso di colpa nell’eseguire gli ordini . Ciò perchè la giustificazione che presentavano era che avevano semplicemente obbedito agli ordini, ma “obbedire” in questo caso significa “appoggiare”. La normalità è la più spaventosa delle atrocità, questo tipo di criminale agisce senza ascoltare, senza la capacità di criticare. Infatti il crimine era legale, era la regola. E’ stato un male compiuto da chi non possiamo ritenere capace di voler compiere il male per il male. Eichmann non ha commesso nessun tipo di reato, non ha mai trasgredito. Davanti a queste atrocità, al negazionismo bisogna ricordare. Il Giorno della Memoria è una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo è stato capace di questo. Non è la pietà per i morti ad animarlo, ma la consapevolezza di quel che è accaduto, che non deve più accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi milioni di persone hanno permesso che accadesse. E a noi non resta davvero che ricordare. Come si fa infatti a gemere di un dolore che non ti ha toccato sulla pelle viva? Come facciamo ad immaginarci anche solo lontanamente gli orrori provati? A questo proposito mi ha toccato particolarmente il discorso che ha fatto quest’anno Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, la quale alla commemorazione della deportazione degli ebrei dalla Stazione Centrale di Milano, ha ricordato con affetto e nostalgia l’amica e compagna di prigionia nei lager Luciana Sacerdote, morta un anno fa. Le parole della Segre esprimevano il vuoto provato nel constatare che una delle poche persone sopravvissute che hanno condiviso con lei il vero orrore, se n’era andata, e la consolazione provata nel ricordare, o semplicemente nel sapere di poter ricordare, gli stessi odori, le stesse voci e le stesse grida, sentiti insieme durante quel periodo infernale. La consolazione provata nel condividere l’orrore, il ricordo del male con qualcuno che lo ha provato davvero sulla propria pelle. Noi non possiamo comprendere tutto ciò, ma l’uomo di fronte a questo crimine autorizzato deve a maggior ragione fare appello alla sua innata capacità di giudizio, alla capacità di distinguere fra il bene e il male e come ha scritto Primo Levi “Capire non è possibile, ma conoscere è doveroso”. Montinaro Beatrice È inutile fare finta di capire: non capiremo mai cos’è stato l’Olocausto. E non sarà il disinteresse, non sarà l’indolenza, non sarà l’ignoranza a fermarci; a farlo saranno sempre e solo le nostre coscienze razionali. Per quei sopraccitati motivi si può non conoscere, ma capire richiede tutt’altro sforzo, questa volta il senso della parola è proprio questo, uno sforzo sovrumano. Con sovrumano voglio dire che la Shoah non è stata il frutto di un calcolo sociologico, o economico, o politico: il progetto iniziale non prevedeva lo sterminio totale di milioni di vite. Il genocidio ebraico è piuttosto stato un morbo, che, come una cancrena in risalita dal foro della pallottola in direzione del cuore, ha marcito tutto il tessuto sociale tedesco ed europeo a partire da un pregiudizio, provocandone il delirio, e il conseguente collasso, e l’inevitabile morte. Come un uomo sia stato il cervello di un fenomeno di tale portata, e a tal punto irrazionale, è una domanda che si sono posti in tanti attraverso i decenni, e che tanti di questi hanno assunto come proprio quesito esistenziale. Imbraccio il pessimismo e ricarico il disprezzo. Non si tratta di comprendere: richiederebbe una forma mentis per me impensabile. Si può però tentare di conoscere, e vale la pena anche solo di provare a farlo, senza inoltrarsi nei vicoletti più oscuri. Ogni piccolo frammento di conoscenza che riusciamo ad appiccicare sulla nostra pelle (che siano parole, che siano immagini, che siano odori o suoni) non sarà mai passato di lì per caso né invano; avrà invece lasciato un segno più o meno incidente nella nostra coscienza, e, se siamo fortunati, le avrà dato una bella scalpellata. Colpo dopo colpo, dopo anni di ricerca e di esercizio, potremo forse dire di conoscere: e nel farlo siamo e saremo aiutati da chi ripone in noi la speranza che nessun sapere del mondo vada perso. Non si può dire che questo sistema sia infallibile, e basti pensare a quante notizie e insegnamenti sono andati perduti di generazione in generazione nel corso della storia; si può però dire che all’ultimo anno di liceo sia eccezionale ricevere in dono, e a distanza ravvicinatissima, i ricordi di Bruno Segre e la recitazione di Paola Bigatto, nutrita delle parole di Hannah Arendt. Dimenticare di conoscere l’Olocausto non è solo dimenticare quello che è stato; se così fosse, cancellarne il ricordo sarebbe un sollievo. Purtroppo si tratta invece di rendersi incapaci di prevedere (per provvedere: e così, il positivismo va in cavalleria) le analoghe stragi future. La Arendt saggiamente si era fatta profetessa di cosa sarebbe accaduto nel mondo dopo seconda guerra mondiale: i genocidi esisteranno finché esisteranno le minoranze. Ciò è stato dimostrato platealmente dai genocidi della seconda metà del ‘900. Possiamo allora dire che, tolte le minoranze, non esisteranno più le discriminazioni? No, perché in fondo, noi umani siamo tutti ominicchi. Quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, che mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Il contesto e l’argomento de “Il Giorno della civetta” di Sciascia non sono gli stessi di “Shoah” di Segre, ma quante e quali cose ritroviamo in questo passo, scritto nel 1961: quanto passato, quanto presente, quanto futuro… Si fa presto a dire umanità. L’umanità: un privilegio destinato a pochi eccezionali, sotto il Reich. L’umanità che ancora oggi, come mezzo secolo fa, è solo una “bella parola piena di vento”, e povera d’uomini. 6.2.2011 non sono molto bravo a tramutare i miei pensieri in parole. Ma ci proverò. Rossignolo Gregorio Innanzitutto Le debbo dire che la frase che mi ha impressionato maggiormente durante questi ultimi giorni è stata: "la Shoah si può raccontare ma non si può spiegare". Dovrà scusare la mia rozzezza e probabilmente anche il mio poco tatto, ma credo che questa frase non sia per niente vera. E Le spiego perchè: lo sterminio di un popolo o di una stirpe è un processo antropologico. E non si può negare che sia così. Ce lo dice la Storia dell'umanità. A questo punto, si possono ricercare le cause di questi stermini (Iloti a Sparta, Cristiani a Roma, Ebrei in Spagna nel Medioevo e in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale). Ritengo che la causa principale sia il bisogno insito nell'uomo di cercare delle risposte. E di ottenerle. Anche se non sono vere. Lo era nell'antica Grecia quando si scacciava dai villaggi un capro espiatorio (il cosiddetto pharmakos), cioè una persona che si riteneva portasse rogna. Tuttavia questo bisogno proprio dell'uomo, è provocato dal problema del disagio sociale, cioè di un sentimento provato dai cittadini di angoscia e di paura di non sopravvivere. Provocato da cosa? Dal denaro. E' sempre la mancanza di denaro che spaventa l'uomo. Quindi in quel periodo storico (anni '30 e '40) si verificò la più grande catastrofe economico e (per la prima volta) finanziaria della Storia umana che provocò un disagio sociale. Accentuato da due fattori fondamentali: 1) i debiti di guerra che la Germania doveva pagare alle potenze vincitrici; 2) la violenza dilagante, propria del regime nazista. Credo che questo secondo punto sia stato fondamentale per il passaggio dall'antisemitismo allo sterminio. Io ritengo che il rischio sia ancora molto acceso proprio perchè le premesse sono le stesse: crisi economica e disagio tra i cittadini. Non mi fraintenda, il Professore di Storia è Lei e sicuramente sa analizzare i fenomeni sociologici molto più efficacemente di me. Ma il mio era solo un tentativo di spiegazione. Perchè penso che sia troppo facile far rientrare la Shoah nella sfera dei fenomeni "inspiegabili". E' troppo semplice. E' troppo banale. Ma soprattutto, è troppo pericoloso. Qualsiasi tipo di fenomeno che non si possa spiegare rientra nella sfera del sovrannaturale. Nell'antica Grecia i fulmini erano provocati da Zeus (oggi da una differenza di potenziale tra suolo e atmosfera), i terremoti dal fatto che gli dei erano arrabbiati con la popolazione (oggi per un movimento delle falle); le piogge erano provocate dal pianto degli dei (oggi da un fenomeno atmosferico). Ciò che sto tentando di tradurre in parole è che tutto ciò che non si può spiegare, non si può combattere. Come si faceva a combattere il vaiolo 200 anni fa? Si moriva. Come si faceva a combattere la malaria? Si moriva. Come si fa a fermare Berlusconi? O muore, oppure bisogna capire come diavolo ha fatto a imbambolare milioni di persone. Il pericolo è proprio qui (non in Berlusconi...). Tutto ciò che è sovrannaturale non si può combattare, perchè tutto ciò che è sovrannaturale non fa parte dell'uomo. Ma lo sterminio degli ebrei chi lo ha provocato? L'uomo. Quindi è un fenomeno umano. Quindi si può spiegare. Quindi si può combattere. Naturalmente, sono stato anche molto turbato dal fatto che i gerarchi nazisti fossero persone qualsiasi, quindi potevo esserlo anchio. D'altronde allora essere nazisti e disprezzare gli ebrei era normale. Quindi grazie a questa esperienza, e grazie a Lei che mi ha permesso di parteciparci, ho capito veramente che normale non significa giusto. E che molto spesso, questi due termini nell'uso quotidiano si confondono. La banalità del male" è uno spettacolo che mi ha fatto, mi fa e sicuramente mi farà riflettere su
quanto è stato. Il 02 02 2011 resterà nei miei pensieri ed è un ricordo che si aggiunge a tutti quelli
che ho per poter non dimenticare quanto ho appreso. Non dimenticherò facilmente, e spero di non
dimenticarmi mai, di questa rappresentazione perché sono rimasto colpito dalla storia del processo
di Eikemann. Non riesco a capacitarmi del fatto che lui, quando gli hanno chiesto perché avesse
fatto ciò che ha fatto, abbia risposto semplicemente che gli era stato ordinato e non si sentiva
responsabile. Come ha potuto non rendersi conto delle atrocità che stava commettendo? Come ha
potuto cercare di annullare la propria colpa con una scusa così banale come l'eseguire degli ordini?
Se fossi stato lì presente gli avrei voluto chiedere se si sarebbe buttato dalla finestra se glielo
avessero ordinato... chissà cosa avrebbe risposto. Sono rimasto colpito anche dalla parte finale in
cui sono state dette le condanne di tre tedeschi: uno è stato condannato a 10 anni di lavori forzati,
uno a cinque e l'ultimo a tre. Insieme sono 18 anni di condanna... Ma tutte quelle persone che hanno
sterminato valgono solo 18 anni? Non riesco proprio a capire come abbiano fatto a non condannarli
a vita... Questa è un'altra questione che mi fa riflettere e che terrà viva la mia memoria, perché il
mio scopo, così come deve essere quello della mia generazione e delle generazioni future, è quello
di non dimenticare e di combattere attraverso i ricordi e le testimonianze quanti cercano di negare
quanto è stato.
Seebocus Christna
3.2.2011 La Dissidenza rumena La dissidenza può essere definita come una lotta per i diritti inalienabili della persona umana, una lotta condotta nel rispetto dei seguenti principi: quello della legalità, della nonviolenza e della trasparenza; dei principi che la distinguono da tutti i moti di opposizione esistiti precedentemente. Quello che segue è solo un esempio della Romania comunista. La lettera "A Pavel Kohout e i suoi compagni"di Paul Goma è un testo di solidarietà verso persone che si trovano sotto lo stesso Male:"Mi dichiaro solidale con la vostra azione. La vostra situazione è anche la mia, la situazione della Cecoslovacchia è – con differenze non fondamentali-­‐ anche quella della Romania.Viviamo, anzi, sopraviviamo all'interno dello stesso Lager . Sono vicino a voi, cechi, slovacchi, ungheresi, polacchi, tedeschi..." Il fatto che la dissidenza cominci sempre con una presa di posizione pubblica (il testo scritto è stato letto alla radio il 9 febbraio 1977), essendo un gesto di solidarizzazione con gli altri, è, in sè, pieno di conseguenze. Perchè non può esistere una difesa della propria libertà senza la difesa della libertà degli altri, così come non si può sostenere la libertà senza difendere concretamente coloro che ne sono privati. Usando i termini di Paul Goma :"La stessa mancanza dei diritti fondamentali, la stessa derisione della persona umana, la stessa indecenza delle menzogne-­‐dovunque. Dappertutto: povertà, caos economico, demagogia, insicurezza, terrore." Questo ricorda la scritta dei dissidenti cechi "Per la libertà vostra, e per la nostra" dei manifestanti della Piazza Rossa nel 1968 contro l'invasione sovietica. La dissidenza dunque utilizza mezzi non violenti – come la protesta o la lettera aperta-­‐ in aperto contrasto con i mezzi terroristi del regime comunista. Nella sua lettera ai dissidenti cechi Paul Goma descrive molto bene ciò che è il regime comunista: "Forse per il minuscolo, insignificativo motivo che un'ideologia, che da una parte, pretende di essere al servizio dell'uomo, ma dall'altra, taglia la testa all'uomo, non ha alcun legame nè con l'idea nè con l'uomo. Il regime comunista è dunque, come quello nazista, un regime ideologico, essendo tanto più efficace nella repressione dei propri cittadini, quanto più si nasconde sotto il mantello dell'umanesimo."