LA RIFORMA DEL LAVORO Il

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LA RIFORMA DEL LAVORO Il
ISSN 1591-0466
COLF:
AFFITTO
I NUOVI
CON RISCATTO:
CONTRATTICOSI’
- I NUOVI
LA TASSAZIONE
CONTRIBUTI
www.leggiillustrate.it
ANNO XXXVII N. 399 - MARZO 2015 - € 5,00 in Italia - MENSILE
Tariffa R.O.C. - Poste Italiane Spa Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n. 46), art. 1, comma 1, Roma - Aut. n. 134/2007
LA RIFORMA COME PAGARE
DEL LAVORO MENO TASSE
IL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI
IL RIORDINO DEGLI AMMORTIZZATORI
In Gazzetta Ufficiale i primi
due decreti della complessa
“Legge delega” chiamata “Jobs
Act”. Pronto anche il testo
unico con la riforma dei contratti
In vista dell’appuntamento dei prossimi mesi, nell’inserto un ripasso su come risparmiare applicando le leggi vigenti, vecchie e nuove - Particolarmente utile per controllare i Modelli 730
precompilati, che debuttano quest’anno
MAGGIORE TUTELA DEL CONSUMATORE
E CONCORRENZA: IL GOVERNO CI RIPROVA
PREVIDENZA
• Al via da marzo
l’esonerocontributivo
per i nuovi assunti
• Bloccato l’aumento
dei contributi
ai professionisti
“senza cassa”
• I contributi 2015
per colf e badanti
IMMOBILI
SFRATTI:
NUOVA
PROROGA
E’ prevista dalla legge
di conversione del decreto “Milleproroghe”
FISCO
• Torna il regime
dei “nuovi minimi”
• IMU agricola: si paga
fino al 31 marzo
senza sanzioni
• Accertamento
presuntivo:
no in sede penale
ANTICIPI PIU’ RICCHI ALLE IMPRESE
NEGLI APPALTI PUBBLICI DI LAVORI
Marzo 2015
2
SCADENZARIO
LE SCADENZE FISCALI
MARZO
1 Domenica
2 Lunedì
3 Martedì
4 Mercoledì
5 Giovedì
6 Venerdì
7 Sabato
8 Domenica
9 Lunedì
10 Martedì
11 Mercoledì
12 Giovedì
13 Venerdì
14 Sabato
15 Domenica
16 Lunedì
17 Martedì
18 Mercoledì
19 Giovedì
20 Venerdì
21 Sabato
22 Domenica
23 Lunedì
24 Martedì
25 Mercoledì
26 Giovedì
27 Venerdì
28 Sabato
29 Domenica
30 Lunedì
31 Martedì
APRILE
1 Mercoledì
2 Giovedì
3 Venerdì
4 Sabato
5 Domenica
6 Lunedì
7 Martedì
8 Mercoledì
9 Giovedì
10 Venerdì
Lunedì 2 marzo
I termini slittano a questa data poiché la scadenza del 28 febbraio cade di sabato.
CONSEGNA CERTIFICAZIONE UNICA - Ultimo giorno utile per la consegna al lavoratore da parte del datore di lavoro o dell’ente pensionistico
della nuova Certificazione Unica 2015 (ex modello Cud). Entro questa data devono essere consegnate ai percipienti anche le certificazioni dei
compensi corrisposti e delle ritenute effettuate nel 2014.
COMUNICAZIONE DATI IVA - Ultimo giorno per procedere all’invio telematico della Comunicazione Dati IVA relativa all’anno 2014.
REGISTRO - Scade il termine per registrare i nuovi contratti di locazione di immobili stipulati il 1° febbraio 2015 e per pagare l’imposta di registro (2% o 1% per alcune locazioni effettuate da soggetti Iva) sui contratti di locazione nuovi o rinnovati tacitamente. Nessun pagamento, invece, per chi ha optato per la “cedolare secca”. Per il pagamento dell’imposta di registro si deve utilizzare il modello “F24 con elementi identificativi
– Elide”, e i seguenti codici tributo: 1500 - Imposta di registro per prima registrazione; 1501 - Imposta di registro per annualità successive;
1502 - Imposta di registro per cessioni del contratto; 1503 – Imposta di registro per risoluzioni del contratto; 1504 - Imposta di registro per proroghe del contratto.
Lunedì 9 marzo
Scadenza prorogata a questa data poiché il 7 febbraio è sabato e l’8 è domenica.
CERTIFICAZIONE UNICA – INVIO TELEMATICO. Entro questa data i sostituti d’imposta devono trasmettere in via telematica all’Agenzia delle
Entrate le “Certificazioni Uniche” relative ai redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e ai redditi diversi, già consegnate ai percipienti entro il 28 febbraio (la scadenza prevista dalla legge è il 7 marzo, ma viene prorogata perché il 7 e l’8 sono festivi).
Lunedì 16 marzo
IVA MENSILE - Ultimo giorno utile per versare l’IVA relativa al mese di febbraio. Il codice tributo da utilizzare è il 6002 - Versamento IVA mensile
febbraio.
IVA ANNUALE - Scade il termine per effettuare il versamento dell’IVA relativa al 2014 risultante dalla dichiarazione annuale (unica soluzione o
prima rata). Il versamento deve essere effettuato utilizzando il codice tributo 6099. Chi presenta la dichiarazione IVA insieme al modello UNICO
può effettuare il versamento, maggiorato di interessi, entro il prossimo 16 giugno.
TASSA BOLLATURA REGISTRI - Scade il termine per versare la tassa annuale stabilita nella misura forfettaria di € 309,87 (elevata a € 516,46
se il capitale sociale alla data del 1° gennaio supera 516.456,90 euro) dovuta dalle società di capitali per la numerazione e bollatura dei libri sociali. Il codice tributo da utilizzare per il versamento è il 7085.
IRPEF - Scade il termine per effettuare il versamento delle ritenute operate nel mese precedente sui seguenti compensi: 1) retribuzioni, pensioni, trasferte, mensilità aggiuntive e relativo conguaglio e emolumenti arretrati (codici 1001 e 1002). Per il versamento dell’addizionale regionale
Irpef il codice tributo è il 3802, mentre per l’addizionale comunale il codice tributo è il 3848; 2) emolumenti corrisposti per prestazioni stagionali
(codice 1001); 3) redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente: compensi corrisposti da terzi, assegni periodici, indennità per cariche elettive,
rendite vitalizie, borse di studio e simili, rapporti di collaborazione a progetto (codice 1004); 4) indennità per cessazione di rapporto di lavoro
(cod. 1012); 5) indennità per cessazione del rapporto di collaborazione a progetto (codice 1004); 6) provvigioni inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione e di rappresentanza di commercio (cod. 1038); 7) redditi di lavoro autonomo: compensi per l’esercizio di arti e
professioni (cod. 1040); 8) redditi derivanti da utilizzazione di marchi ed opere dell’ingegno e redditi erogati nell’esercizio di attività sportive dilettantistiche (codice 1040); 9) indennità per cessazione di rapporti di agenzia o di collaborazione di cui al punto 6) (codice 1040); 10) compensi per prestazioni di lavoro autonomo corrisposti a soggetti residenti all’estero (codice 1040); 11) ritenute alla fonte su somme liquidate a
seguito di pignoramento presso terzi (codice 1049); 12) compensi per perdita di avviamento commerciale L.19/63 (codice 1040).
CONDOMINIO – Versamento delle ritenute operate dai condomini sui corrispettivi corrisposti nel mese precedente per prestazioni relative a
contratti di appalto di opere o servizi. I codici tributo da indicare nella delega di pagamento F24 sono i seguenti: 1019 - Ritenute del 4% a titolo
di acconto dell’Irpef dovuta dal percipiente; 1020 - Ritenute del 4% a titolo di acconto dell’Ires dovuta dal percipiente.
Mercoledì 18 marzo
RAVVEDIMENTO OPEROSO - Scade il termine per regolarizzare gli adempimenti (omessi, tardivi o insufficienti versamenti di imposte o ritenute) non effettuati entro il 16 febbraio scorso. Per usufruire del ravvedimento i contribuenti devono versare le somme dovute, più la sanzione ridotta al 3%, più gli interessi dello 0,50% annuo dal 17 febbraio fino al giorno del pagamento. I principali codici tributo da utilizzare per il pagamento delle sanzioni e degli interessi sono i seguenti: 8904 - Sanzione pecuniaria IVA; 8906 - Sanzione pecuniaria sostituti d’imposta; 1991 –
Interessi sul ravvedimento IVA.
Per il ravvedimento operoso delle ritenute da parte dei sostituti d’imposta gli interessi vanno sommati e versati insieme al tributo principale.
Mercoledì 25 marzo
INTRASTAT - Entro questa data devono essere presentati per via telematica gli elenchi Intrastat delle cessioni e/o acquisti e prestazioni di servizi
intracomunitari effettuati a febbraio 2015 (operatori mensili).
Martedì 31 marzo
REGISTRO - Scade il termine per registrare i nuovi contratti di locazione di immobili stipulati il 1° marzo 2015 e per pagare l’imposta di registro
(2% o 1% per alcune locazioni effettuate da soggetti Iva) sui contratti di locazione nuovi o rinnovati tacitamente. Nessun pagamento, invece, per
chi ha optato per la “cedolare secca”. Per le modalità di pagamento si rimanda alla scadenza del 2 marzo.
EREDI – E’ l’ultimo giorno a disposizione degli eredi delle persone decedute tra il 1° giugno e il 30 settembre 2014 per la presentazione telematica del Modello Unico 2014 (redditi 2013) per conto del de-cuius.
Marzo 2015
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SCADENZARIO
LE SCADENZE PREVIDENZIALI
MARZO
1 Domenica
2 Lunedì
3 Martedì
4 Mercoledì
5 Giovedì
6 Venerdì
7 Sabato
8 Domenica
9 Lunedì
10 Martedì
11 Mercoledì
12 Giovedì
13 Venerdì
14 Sabato
15 Domenica
16 Lunedì
17 Martedì
18 Mercoledì
19 Giovedì
20 Venerdì
21 Sabato
22 Domenica
23 Lunedì
24 Martedì
25 Mercoledì
26 Giovedì
27 Venerdì
28 Sabato
29 Domenica
30 Lunedì
31 Martedì
APRILE
1 Mercoledì
2 Giovedì
3 Venerdì
4 Sabato
5 Domenica
6 Lunedì
7 Martedì
8 Mercoledì
9 Giovedì
10 Venerdì
Domenica 1° marzo
LAVORI USURANTI – RICHIESTA BENEFICIO PREPENSIONAMENTO - Ultimo giorno per richiedere, all’ente di previdenza presso il quale si è
iscritti, il riconoscimento del beneficio del prepensionamento per attività particolarmente faticose (“usuranti”). Il termine è utile a chi ritenga di
maturare il diritto alla pensione nel corrente anno 2015. L’eventuale ritardo nella presentazione della richiesta comporta lo slittamento in avanti
della decorrenza della pensione.
Martedì 3 marzo
FINANZIAMENTI PER LA SICUREZZA - A partire da questa data si possono precaricare, online, sul sito web dell’Inail, le domande di finanziamento degli interventi migliorativi per la sicurezza sul lavoro. Il pre-caricamento, che resterà possibile fare fino al 7 maggio, serve a verificare il
possesso dei requisiti di partecipazione al bando. L’Inail renderà noto in un secondo momento i termini per l’invio delle domande (Bando ISI
2014).
Lunedì 16 marzo
CONTRIBUTI INPGI E CASAGIT - Scade il termine per la denuncia e il versamento dei contributi relativi al mese di febbraio 2015 da parte delle
aziende giornalisti ed editoriali.
CONTRIBUTI INPS (LAVORATORI DIPENDENTI) - Scade il termine per versare i contributi relativi al mese di febbraio 2015 da parte della generalità dei datori di lavoro. Il versamento va fatto con modello F24.
TFR A FONDO TESORERIA INPS - Scade il termine per versare il contributo al fondo di Tesoreria dell’Inps pari alla quota mensile (integrale o
parziale) del trattamento di fine rapporto lavoro (tfr) maturata nel mese di febbraio 2015 dai lavoratori dipendenti (esclusi i domestici) e non
destinata a fondi pensione. Il versamento interessa le aziende del settore privato con almeno 50 addetti e va fatto con modello F24.
TICKET LICENZIAMENTI - Entro questa data va versato il contributo sui licenziamenti effettuati durante il mese di gennaio 2015 (Inps circolare
n. 44/2013).
CONTRIBUTI GESTIONE SEPARATA INPS (COLLABORATORI E ASSOCIATI IN PARTECIPAZIONE) - Scade il termine per versare i contributi
previdenziali relativi al mese di febbraio 2015 da parte dei committenti. Il pagamento va fatto tramite modello F24.
VERSAMENTI IRPEF - Tutti i datori di lavoro e committenti, sostituti d’imposta, devono versare le ritenute Irpef operate sulle retribuzioni e sui
compensi erogati nel mese di febbraio 2015, incluse eventuali addizionali.
Domenica 29 marzo
VOUCHER (BUONI LAVORO) – Inizio periodo delle “vacanze pasquali” (terminerà il 7 aprile 2015) durante il quale i datori di lavoro di qualsiasi settore produttivo possono far ricorso a prestazioni di lavoro occasionale accessorio, mediante i voucher (buoni lavoro), da parte di giovani con meno
di 25 anni di età regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o istituto scolastico di ogni ordine e grado (circolare Inps n. 49/2013).
Martedì 31 marzo
LIBRO UNICO DEL LAVORO (LUL) - I datori di lavoro, i committenti e i soggetti intermediari (consulenti, ecc.) devono stampare il Lul o, nel caso
di soggetti gestori, consegnarne copia al soggetto obbligato alla tenuta, con riferimento al periodo di paga di febbraio 2015.
DENUNCIA UNIEMENS - I datori di lavoro e i committenti, privati e pubblici (gestione ex Inpdap) devono inoltrare all’Inps, in via telematica, i
dati retributivi (EMens) e contributivi (denuncia mod. Dm/10) relativi a dipendenti e collaboratori per il mese di febbraio 2015.
CERTIFICAZIONE DELLA RETRIBUZIONE (DOMESTICI) – Ai sensi del vigente Ccnl il lavoratore può richiedere, a partire da questo mese, il rilascio da parte de datore di lavoro di una dichiarazione da cui risulti l’ammontare complessivo delle somme erogate nell’anno 2014, ai fini della
propria dichiarazione dei redditi.
DENUNCIA ANNUALE ATTIVITÀ USURANTI - Ultimo giorno per effettuare la denuncia annuale (anno 2014) dei lavoratori impegnati in lavorazioni usuranti. Si utilizza il modello “Lav-Us”, che si trova sul sito del ministero del lavoro, sezione “cliclavoro”, dal quale si effettua anche l’invio
telematico della denuncia. L’omissione è punita con la sanzione da 500 a 1.500 euro, previa diffida ad adempiere (ministero del lavoro, nota
prot. n. 4724/2011).
CONTRIBUTI VOLONTARI - Termine ultimo, per i soggetti autorizzati a proseguire volontariamente il versamento dei contributi al fine di raggiungere il diritto a pensione, per pagare i contributi del trimestre solare ottobre/dicembre 2014 (i versamenti effettuati oltre il termine sono nulli e rimborsabili).
Martedì 7 aprile
VOUCHER (BUONI LAVORO) – Fine del periodo delle “vacanze pasquali” (cominciato il 29 marzo) durante il quale i datori di lavoro di qualsiasi settore produttivo hanno potuto far ricorso a prestazioni di lavoro occasionale accessorio, mediante i voucher (buoni lavoro), da parte di giovani con meno
di 25 anni di età regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o istituto scolastico di ogni ordine e grado (circolare Inps n. 49/2013).
Venerdì 10 aprile
LAVORATORI DOMESTICI - Ultimo giorno per versare i contributi all’Inps, relativi al I trimestre 2015 (gennaio/marzo), in relazione ai lavoratori
addetti ai servizi domestici e familiari.
I CONTRIBUTI ORARI DEL 2015
Tipo assunzione:
Tempo indeterm. (2) (3)
Orario
settimanale
Retribuzione oraria
Sì Cuaf
Fino a 7,88 euro
Fino a 24 ore
Da 7,89 a 9,59euro
Oltre 24 ore
Tempo determ. (1) (2) (3)
No Cuaf
Sì Cuaf
No Cuaf
1,39 (0,35)
1,40 (0,35
1,49 (0,35)
1,50 (0,35)
1,57 (0,39)
1,58 (0,40)
1,68 (0,39)
1,69 (0,40)
Oltre 9,59 euro
1,91 (0,48)
1,93 (0,48)
2,05 (0,48)
2,06 (0,48)
Qualsiasi
1,01 (0,25)
1,02 (0,25)
1,08 (0,25)
1,09 (0,25)
Contributo di assistenza contrattuale (Cas.sa Colf)
Qualsiasi
Qualsiasi
0,03 (0,01)
0,03 (0,01)
0,03 (0,01)
0,03 (0,01)
1) Include il contributo addizionale (1,4% ), restituibile in caso di conversione del rapporto a tempo indeterminato
2) Le cifre tra parentesi indicano la quota a carico del lavoratore/trice
3) Il contributo “No Cuaf” (Cuaf = contributo assegni familiari) si paga solo nei casi in cui il domestico sia coniuge del datore di lavoro oppure parente e affine entro il terzo grado e con lui convivente. In ogni altro caso si paga sempre il contributo “Sì Cuaf”
Marzo 2015
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
PASSO AVANTI CON POLEMICHE
di PAOLO ROSSI
l progetto di riforma del lavoro conosciuto come “Jobs Act”, comincia a dare segni di sé. Sono stati licenziati definitivamente dal Governo i
primi due decreti legislativi attuativi della legge
10 dicembre 2014, n. 183. Il primo introduce il
contratto cosiddetto a tutele crescenti per il quale
non si applicherà più l’articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori; il secondo ristruttura l’ASpI, l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, introdotta dalla riforma Fornero del 2012 in sostituzione della vecchia
indennità di disoccupazione. I due decreti hanno
concluso il 20 febbraio l’ultimo passaggio parlamentare presso le commissioni lavoro di Camera e
Senato deputate al rilascio del parere consultivo
(non vincolante per il Governo), e dunque pronti
per la pubblicazione sul la Gazzetta Ufficiale.
Come bisogna rispondere alla domanda che tutti si pongono: “il Jobs Act porterà nuova occupazione?” E’ evidente che, allo stato dell’arte della
riforma, dare una risposta decisa e definitiva continua ad essere difficile, se non impossibile. Le
buone regole - e qualcuna si ritrova anche in questi provvedimenti - non creano automaticamente
occupazione; al contrario, le pessime regole rischiano concretamente di distruggerla.
I
IL JOBS ACT:
RIFORMA UTILE O NECESSARIA?
Siamo al quarto intervento riformatore in poco
più di due anni, in un settore, quello del mercato
del lavoro, nel quale più che le regole pare manchi
il terreno su cui innestare l’occupazione. Il nostro
tessuto produttivo ha perso gran parte della grande industria (per quel poco che ne avevamo); le
piccole e medie imprese manifatturiere, da sempre
nostro fiore all’occhiello, si sono impoverite del
30% rispetto alla media dei paesi OCSE; la mancanza di una politica protettiva del Made in Italy,
soprattutto sul versante orientale, e il conseguente
impoverimento delle famiglie ha dirottato i consumi interni verso prodotti a basso costo, con i quali
è impossibile competere applicando alla lettera il
nostro regime giuridico. Non si può competere con
paesi dove, sostanzialmente, il lavoro è del tutto
deregolato e privo di tutele di base?
Concorrenza sleale
Già solo se si guarda alle norme sul lavoro minorile
e a quelle sulla sicurezza e igiene dei siti produttivi, il
confronto è impari. Le tutele costano care: chi le ha, le
paga notevolmente sotto il profilo del prezzo; chi non
le ha, può operare sul mercato con notevoli vantaggi di
competitività. Nei confronti dei paesi che non hanno
una legislazione con il livello europeo di tutele come la
nostra, il dazio doganale dovrebbe essere rispolverato
con insistenza e decisione, fuori dai confini UE.
In ogni caso, a prescindere dal pensiero di ciascuno
su questi temi, per essere rilanciata l’occupazione è assodato – pressoché universalmente – che le buone norme devono essere affiancate da corposi interventi sull’economia. D’altronde, è dall’impresa e dal lavoro autonomo che nasce quello subordinato e non viceversa. Gli
operatori economici (datori di lavoro) assumono nuovi
dipendenti solo dopo avere acquisito nuove “commesse” e non viceversa. Con il Jobs ACT si delinea un sistema sempre più incentrato sul rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (che in assoluto è un bene), ma questo va nella direzione opposta alle prospettive di business delle imprese, le quali laddove non hanno aspettative economiche a medio e lungo termine,
non possono essere interessate al contratto a tempo indeterminato, a prescindere dagli estemporanei incentivi
economici che il Legislatore periodicamente introduce
per dare un segno di buona volontà (vedi esonero contributivo totale triennale disposto dalla Legge di Stabilità
2015, valido solo per le assunzioni del 2015). Non a caso, gli incentivi all’occupazione vengono spesso utilizzati
dalle imprese per riorganizzare la forza occupazionale di
cui già dispongono; raramente sono impiegati per creare nuova occupazione.
In definitiva, fin quando stenterà l’economia, non è
ragionevole pensare che i livelli occupazionali possono
salire verso percentuali più insostenibili.
LA STRUTTURA
DELLA LEGGE 183/2014
Il riordino degli
ammortizzatori
sociali
L’ennesimo ritocco agli ammortizzatori sociali ha
come obiettivo quello di garantire tutele uniformi a
tutti i lavoratori, sia dipendenti che parasubordinati
(cococo e cocopro), agganciate in modo più incisivo
alla storia contributiva degli stessi. Quindi maggiore
sarà l’anzianità di contribuzione del lavoratore, migliore e più lungo sarà il trattamento ad integrazione del reddito perduto dal lavoratore.
➡
Marzo 2015
5
NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
Qui la norma distingue due macro categorie: gli
strumenti di sostegno al reddito del lavoratore che
non ha ancora perduto il posto di lavoro (la CIG) da
quelli che intervengono a disoccupazione ormai cronicizzata (ASpI). Con riguardo alla seconda categoria
(ASpI) la legge delega è stata già attuata attraverso
l’emanazione dello specifico decreto delegato (si veda l’approfondimento a pag. 12).
La cassa integrazione
In tema di cassa integrazione guadagni, in base
alla delega del Parlamento al Governo, le maggiori
novità che ci attendono sono:
● non verrà più autorizzata la CIG quando il datore di lavoro è ormai avviato alla chiusura dell’intera
azienda o di un ramo della stessa; quindi, se non vi
è possibilità (o volontà) per il datore di lavoro di riprendere l’attività dopo aver dichiarato la crisi della
sua azienda, nessun sostegno sarà dato allo stesso
in termini di cassa integrazione guadagni;
● dovranno essere semplificate le procedure burocratiche di concessione della CIG; sul punto è interessante la previsione che impone di introdurre
meccanismi standardizzati di concessione, che dunque dovrebbero prediligere procedure istruttorie
preventive più rapide a vantaggio di un maggior potenziamento dei controlli a posteriori;
● la CIG sarà accessibile solo dopo che l’azienda
avrà messo in campo tutte le possibili soluzioni negoziabili in sede di contrattazione collettiva in ordine alla riduzione dell’orario di lavoro dei dipendenti operanti nel settore o reparto colpito dalla crisi tempora-
nea (i c.d. contratti di solidarietà o semplicemente i
piani collettivi di riduzione dell’orario di lavoro);
● le aziende che ricorreranno alla CIG dovranno
aumentare la loro quota di compartecipazione economica alle integrazioni salariali dei lavoratori;
● i contributi che i datori di lavoro versano all’INPS per il finanziamento della CIG non saranno più
uguali per tutte le aziende; gli oneri contributivi saranno rimodulati in funzione dell’effettivo godimento della CIG da parte delle stesse aziende;
● la CIG finanziata dall’INPS sarà affiancata anche
da una compartecipazione di natura negoziale; in altri
termini, l’INPS erogherà solo una fetta della CIG mentre le parti sociali, attraverso i fondi bilaterali di natura sindacale collettiva, ne dovranno erogare una seconda fetta; i datori di lavoro si troveranno così a versare una doppia contribuzione, una all’INPS e una ai
fondi bilaterali.
● canto loro, i lavoratori che beneficeranno di sussistenze al reddito saranno destinatari di più severe sanzioni nel caso in cui non si rendano attivamente disponibili verso una nuova occupazione, programmi di formazione o attività di comunità locali (esempio: servizi
di pubblica utilità). Quest’ultimo punto denota, in particolare, un profondo mutamento dell’approccio culturale del legislatore. Mai prima d’ora si era pensato di
impiegare il lavoratore beneficiario dell’indennità di disoccupazione in attività di pubblica utilità a favore delle comunità locali. Questa soluzione, oltre a mantenere
in attività il lavoratore durante la disoccupazione, consente di contrastare quei fenomeni che oggi disincenti-
➡
LA LEGGE DELEGA ANNUNCIA GLI SCENARI FUTURI
a legge che ha dato il via all’iter di riforma del Jobs ACT
è stata promulgata il 10 dicembre 2014, con il numero
183, e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15 dicembre 2014. Il
progetto legislativo interviene in
diversi ambiti del sistema giuridico del lavoro: dalle tutele a sostegno dei soggetti che hanno perso
il lavoro e sono in cerca di occupazione (ammortizzatori sociali),
alla semplificazione del mercato
del lavoro (riforma dei servizi per
il lavoro, delle politiche attive,
semplificazione delle procedure e
degli adempimenti in materia di
lavoro), fino al rafforzamento delle misure a tutela della genitorialità (misure di sostegno alla maternità e alla conciliazione dei
tempi di vita e di lavoro); temi e
obiettivi non affatto discordanti
da quelli delle riforme, più o meno organiche, che si sono succe-
L
dute negli ultimi quindici anni e
che hanno trovato il loro più recente tassello nella riforma Fornero del 2012.
Per ciascun ambito di intervento, il Governo è stato delegato dal
Parlamento ad emanare uno o
più decreti legislativi di attuazione. Ciò in quanto la legge
183/2014 è una legge “delega”, e
dunque testimonia soltanto l’incarico del Parlamento al Governo
di legiferare per suo conto. La nostra Costituzione, infatti, consente al Governo di esercitare un potere legislativo derivato, cioè su
delega del Parlamento. Tale modalità di esercizio del potere legislativo si presta, particolarmente,
quando la materia da regolamentare è ampia, complessa e richiede livelli di tecnicismo molto elevati, come nel caso del diritto del
lavoro. Ecco, dunque, perché una
riforma di così ampie proporzioni,
come è e sarà il Jobs ACT, passa
per le mani del Governo, il quale,
facendo ricorso alle sue articolazioni ministeriali, può disporre di
un numero di tecnici e specialisti
superiore a quello che è presente
nelle due Camere (deputati e senatori), scelti dal popolo prevalentemente per le loro capacità
politiche piuttosto che tecniche.
La legge delega del Parlamento, in ogni caso, mantiene un ruolo centrale nel processo legislativo, proprio per evitare che venga
snaturata la volontà costituzionale
che, al contrario, è improntata ad
una netta separazione dei poteri
dello Stato (legislativo, esecutivo
e giurisdizionale). È per questo
che la legge delega fissa, con rigore, i principi e criteri direttivi
che vincoleranno il Governo nella
stesura delle norme attuative, pena il rischio di incostituzionalità
del decreto delegato.
Marzo 2015
6
NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
vano la ricerca di un nuovo lavoro, per l’assurdo approccio culturale che porta il lavoratore a preservare a
tutti i costi l’indennità di disoccupazione a svantaggio
di una qualunque nuova occupazione regolare che farebbe perdere il sussidio. Peraltro, la volontà di preservare l’indennità pubblica è ormai straripata nel malcostume di approfittare della carenza dei servizi pubblici
all’impiego – mai efficaci in queste attività ispettive –
al fine di concordare con il datore di lavoro compiacente una proposta di lavoro irregolare, conservando
sia il sussidio che il nuovo reddito da lavoro.
Politiche
attive
del lavoro
Su punto, si interverrà a tutto campo, nella speranza di
riuscire dove si è sempre fallito in passato: rendere i servizi
pubblici all’impiego efficienti nell’attività di collocazione e
ricollocazione dei lavoratori in cerca di lavoro. Si consideri
che oggi solo il 3% dei lavoratori che trovano un’occupazione devono la loro “fortuna” all’opera dei Centri per l’Impiego.
Tra le misure previste vi sono: la razionalizzazione degli
incentivi all’assunzione, da collegare alle situazioni per le
quali si evidenzi minore probabilità di trovare occupazione,
nonché quella degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, anche nella forma dell’acquisizione delle
imprese in crisi da parte dei dipendenti. Dovrebbe essere
poi istituita di un’Agenzia nazionale per l’occupazione, con
competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego,
politiche attive e ASpI.
Semplificazioni
nei rapporti
di lavoro
Anche l’annoso obiettivo di semplificazione e razionalizzazione della burocrazia del lavoro entra nel Jobs Act. L’intento è di semplificare le procedure di costituzione e ge-
stione dei rapporti di lavoro, allo scopo di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese. L’obiettivo che si
propone il disegno di legge è realisticamente ambizioso,
benché se dovessimo utilizzare criteri razionali e ottimali
dovremmo valutarlo addirittura timido rispetto al disperato
bisogno che ne ha il paese: ridurre drasticamente il numero di atti di gestione del rapporto di lavoro di carattere amministrativo, eliminare tutte quelle norme “interessate da
rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi”, unificare le comunicazioni alla PA per i medesimi
eventi e “obbligare” le amministrazioni destinatarie a trasmetterle alle altre amministrazioni competenti, abolire la
tenuta dei documenti cartacei, “introduzione del divieto
per le pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei
quali esse sono in possesso”.
Disabili
e collocamento
obbligatorio
E’ prevista la razionalizzazione e la revisione delle procedure e degli adempimenti per l’inserimento mirato dei disabili e degli altri soggetti con diritto al collocamento obbligatorio, per favorirne l’inclusione sociale, l’inserimento e
l’integrazione nel mercato del lavoro, valorizzando le competenze delle persone
Servizi
ispettivi
del lavoro
La legge delega intende razionalizzare e semplificare
l’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento o l’istituzione di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro,
tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi
ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.
DIMISSIONI E RISOLUZIONE CONSENSUALE DEI RAPPORTI DI LAVORO
erranno introdotte modalità
semplificate per garantire la
data certa e l’autenticità
della manifestazione di volontà
della lavoratrice o del lavoratore
in relazione alle dimissioni o alla
risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto
conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del
rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso
della lavoratrice o del lavoratore.
Attualmente, ai fini dell’efficacia
delle dimissioni del lavoratore, i
V
datori di lavoro devono attivarsi
per sollecitare il dimissionario a
convalidare l’atto di recesso presso una sede c.d. assistita (presso
la Direzione territoriale del lavoro, le commissioni di conciliazione o i Centri per l’Impiego), nell’impossibilità, a volte, di reperire
il lavoratore ormai uscito dall’azienda e senza più l’interesse a
“collaborare” (si pensi al caso
degli extracomunitari che dopo
le dimissioni rientrano nel loro
paese e fanno perdere le loro
tracce). Ricordiamo che senza
l’atto di convalida, le dimissioni
sono considerate mai rassegnate, con decorrenza della retribuzione a favore del lavoratore
stesso. Per evitare che ciò avvenga, la riforma Fornero ha previsto
un complesso meccanismo di
notifiche e decadenze che il micro imprenditore raramente riesce a mettere in atto, esponendolo al concreto rischio di dover
indennizzare il lavoratore dimissionario che si ripresenta in
azienda dopo mesi a reclamare
la continuità del rapporto.
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
LA REVISIONE DELLE FORME CONTRATTUALI
ltro obiettivo ambizioso è quello che intende razionalizzare e semplificare i contratti di lavoro vigenti
attraverso l’adozione di un testo unico semplificato.
Una parte di questo capitolo della legge delega è già
pronta per la Gazzetta Ufficiale e riguarda il nuovo contratto a tutele crescenti di cui si è già detto in apertura e sul
quale abbiamo dedicato alla pagina seguente un ampio
approfondimento. Con riguardo alla parte centrale del testo unico, quella in cui si dovrebbero riordinare i contratti
di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con
le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo
del Paese, il 20 febbraio scorso il Governo ha presentato
alle Camere una ulteriore bozza di decreto legislativo attuativo da passare al vaglio dei pareri consultivi delle rispettive Commissioni Lavoro. Da una prima ricognizione
della bozza di decreto è possibile anticipare alcune novità
di rilievo.
● Il decreto abroga moltissime leggi speciali in materia
di lavoro che negli ultimi 20 anni hanno costituito l’ossatura del diritto dei contratti di lavoro. Si tratta delle norme sul
part-time, sul lavoro intermittente, sul contratto a termine,
sulla somministrazione di lavoro, sull’apprendistato e sul
lavoro accessorio. Contestualmente all’abrogazione delle
singole norme speciali, viene effettuata un opera di coordinamento e riordino di tutte queste tipologie contrattuali in
un testo unico. Senza entrare nel merito dei contenuti,
l’impressione che emerge è quella di un grosso sforzo di
semplificazione e razionalizzazione normativa.
Le modifiche al contratto a tempo determinato stimolano, come sempre, grande curiosità ed interesse. La prima
riguarda il tempo limite in cui un singolo lavoratore può restare in forza presso la stessa azienda con uno o più contratti a termine: la bozza del decreto conferma i 36 mesi
complessivi ma con l’inclusione nel calcolo dei periodi in
cui il lavoratore è impiegato con un contratto di somministrazione a termine. Attualmente, invece, esauriti i 36 mesi,
il datore di lavoro può continuare ad impiegare a termine il
lavoratore con un contratto di somministrazione. Interessante anche l’eliminazione della forma scritta (ai fini della
validità del contratto a termine) per i contratti a termine di
durata non superiore a 12 giorni.
Il lavoro accessorio (voucher lavoro) viene potenziato
con l’innalzamento del tetto annuale di compensi per singolo lavoratore: il limite passa da 5.000 euro a 7.000 euro,
mentre il limite per ciascun singolo committente imprenditore o professionista resta a 2.000 euro annui.
● Viene soppresso il contratto di lavoro ripartito, introdotto normativamente nel 2003 dalla riforma Biagi. Si tratta di una forma contrattuale poco utilizzata in questi anni,
pensata per soddisfare rapporti di lavoro dove due lavoratori si “ripartiscono” un unico posto di lavoro.
● Curiosità e aspettativa trainano anche il superamento
delle disposizioni in tema di lavoro a progetto, di associazione in partecipazione e di mini partite IVA, sulle
quali si era accanita la riforma Fornero del 2012. A partire
dall’entrata in vigore del decreto non si potranno più stipulare nuovi contratti a progetto e per quelli in corso il termine ultimo di vigenza sarà il 31 dicembre 2015. La norma è
impostata per attrarre nel lavoro subordinato tutti i rapporti
di lavoro che si esplicheranno con le attuali modalità a progetto, salvo alcune eccezioni: se i contratti collettivi di lavo-
A
ro decidessero di regolare forme di progetto analoghe a
quella attualmente vigente; le collaborazioni fornite dai
professionisti iscritti agli ordini riconosciuti; i componenti gli
organi di amministrazione e controllo delle società; i collaboratori di associazioni sportive dilettantistiche. Queste deroghe, rispecchiano, più o meno, le esclusioni attualmente
previste nella disciplina del contratto a progetto, ma con un
unico grande assente: il collaboratore coordinato e continuativo pensionato di vecchiaia.
Con riguardo all’associazione in partecipazione, il decreto elimina la forma di associazione in cui è consentita una
prestazione di lavoro. Rimarrà, dunque, solo l’associazione
con apporto di capitale. Sparirà anche tutta la disciplina introdotta dalla riforma Fornero sulle “Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo”, cioè quelle ribattezzate dalla stampa come “mini partite IVA”, con la
conseguenza che se il lavoro autonomo sarà genuino resterà valido, in caso contrario sarà attratto nella sfera del
contratto di lavoro subordinato.
Ricordiamo che la riforma Fornero ha voluto colpire le
collaborazioni rese dai titolari di partita IVA quando queste facciano pensare, per dimensioni e per modalità di
esercizio, ad un rapporto di lavoro autonomo non veritiero. La norma del 2012, infatti, impone il travolgimento
delle mini partite IVA, convertendole in collaborazioni
coordinate e continuative, quando l'incarico al titolare
della partita IVA presenta almeno due dei seguenti caratteri: abbia durata complessivamente superiore a 8 mesi
nell’anno solare; il corrispettivo costituisca più dell'80%
del fatturato complessivo dell’anno; il titolare di partita
IVA disponga di una postazione "fissa" di lavoro presso la
sede del committente.
Considerato la drastica inversione di tendenza sulle collaborazioni a progetto e sulle mini partite IVA, come da tradizione nostrana viene proposto un “condono” per i contratti in corso alla data di entrata in vigore del decreto. Il
condono (definito dal decreto sotto la rubrica “stabilizzazione” di collaboratori a progetto e di persone con partita
IVA) consentirà di convertire i contratti non genuini in un
contratto di lavoro subordinato stabile senza applicazioni di
sanzioni. Nel pacchetto regalo vi è anche la chiusura definitiva di ogni pendenza, attiva o attivabile, nei confronti del
lavoratore stabilizzato.
Sostegno
alla maternità
ed alle famiglie
Anche sui temi del maggior sostegno alla maternità,
alla genitorialità dei lavoratori e alla conciliazione dei
tempi di vita e di lavoro, il Governo ha già presentato la
bozza di decreto legislativo alle Camere per il previsto
parere consultivo.
Sul tema, vengono allargate le maglie della tutela di
maternità in numerosi casi di congedo di maternità,
congedo di paternità, permessi per ricovero del bambino, maternità delle autonome e delle libere professioniste, adozione e affidamento, congedo parentale su base
oraria, limiti al lavoro notturno della lavoratrice madre, e
altre ancora.
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
IL CONTRATTO… A TUTELE CRESCENTI
l contratto a tutele crescenti e le sue regole di “uscita”
sono ormai una realtà giuridica concreta. I primi di febbraio scorso le commissioni lavoro di Camera e Senato
hanno restituito al Governo i loro pareri non vincolati sulla
bozza licenziata a Natale dal Consiglio dei Ministri. Il Governo ha ringraziato, ma non ha inteso recepire, né in tutto né in parte, le opinioni di tipo modificativo delle commissioni parlamentari e dunque il decreto si appresta ad
andare in Gazzetta Ufficiale senza correzioni.
Ricordiamo che la legge delega n. 183/2014, all’art. 1
comma 7 lett. c), fissa i “parametri” entro i quali l’azione
legislativa delegata del Governo si sarebbe dovuta mantenere: “Previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a
tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo
e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto
alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e
a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento”. Quindi, considerando che i pareri delle commissioni parlamentari si concentravano soprattutto sulla richiesta di un doppio regime per i licenziamenti
collettivi (che si configurano quando vengono disposti più
di 4 licenziamenti nell’arco di 120 giorni), il Governo, non
recependoli, quantomeno non ha violato i principi della
delega, dai quali si evince con evidenza che nessuna volontà originaria intendeva diversificare i licenziamenti individuali da quelli collettivi.
I
Applicabilità
a quelli nuovi
ma non solo
Il decreto legislativo dedicato al contratto a tutele crescenti si applicherà ai soli rapporti di lavoro a tempo indeterminato avviati dopo l’entrata in vigore dello stesso decreto e per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai,
impiegati o quadri. Ma poiché non vi è mai regola generale che non abbia eccezioni, il contratto a tutele crescenti si
applicherà anche ad alcuni rapporti di lavoro avviati prima della sua entrata in vigore ossia:
● ai contratti di lavoro a tempo determinato che siano
convertiti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore
del decreto;
● ai contratti di apprendistato che proseguono il rapporto a tempo indeterminato dopo aver terminato il periodo di formazione successivamente all’entrata in vigore del
decreto;
● a tutti i dipendenti del datore di lavoro che, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute
successivamente all’entrata in vigore del decreto, superi la
soglia dei 15 dipendenti (ovvero il requisito occupazionale
di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20
maggio 1970, n. 300); in sostanza, le norme sul licenziamento dei lavoratori con le “tutele crescenti” si estendono
anche ai vecchi assunti; questa norma è intesa a superare
il blocco psicologico delle piccole imprese che vedono nell’art. 18 vecchia maniera un pericolo grave e quindi potrebbero essere disincentivate a crescere; con la riforma,
invece, non rischiano di vedersi applicare il vecchio articolo
18 ai lavoratori già in forza prima dell’entrata in vigore del
decreto, nel momento in cui oltrepassano la soglia dei 15
dipendenti per effetto delle nuove assunzioni a “tutele crescenti”.
E’ opportuno precisare che il decreto trova applicazione
anche per i lavoratori già dipendenti prima dell’entrata in
vigore del decreto e che successivamente a tale data avviino un nuovo e distinto rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Paradossalmente è possibile inoltre, che per lo
stesso lavoratore si possa applicare il doppio regime di tutela (articolo 18 e tutele crescenti): per esempio, nel caso
in cui il lavoratore abbia in essere due rapporti part-time a
tempo indeterminato di cui uno avviato dopo l’entrata in
vigore del decreto con contratto a tutele crescenti.
Restano in ogni caso fuori dal campo di applicazione
del decreto i dirigenti, per i quali continuerà ad applicarsi
la tutela prevista in sede di contrattazione collettiva e l’art.
18 nei casi di licenziamento discriminatorio, e i domestici,
ai quali invece continuerà ad applicarsi il regime del diritto
comune.
Destinatari
tutti i datori
di lavoro
Una segnale importante rispetto al campo di applicazione del decreto viene dall’art. 9, comma 2, che inserisce nel
perimetro dei datori di lavoro destinatari anche i soggetti
non imprenditori, come per esempio quelli che svolgono
senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto (le c.d. organizzazioni di tendenza, escluse dall’applicazione dell’art.
18 dello Statuto dei Lavoratori).
Le nuove
sanzioni
economiche
➡
Il decreto si caratterizza per l’introduzione di un meccanismo sanzionatorio di tipo indennitario crescente in rap-
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
porto all’anzianità del lavoratore licenziato illegittimamente. Ovviamente, è bene precisarlo, siamo sempre nelle ipotesi in cui il lavoratore aziona una causa contro il datore di
lavoro che lo ha licenziato e, a seguito dello svilupparsi
della stessa, il giudice condanna l’azienda per violazione
delle norme in tema di licenziamento. Quindi è necessario
che si inneschi un processo davanti al giudice del lavoro
nonché la vittoria in giudizio del lavoratore; se il datore di
lavoro vince la causa, con dichiarazione di validità del licenziamento, nulla sarà dovuto al lavoratore. Anzi, in caso
di causa temeraria, potrebbe essere condannato anche a
risarcire le spese di giudizio sostenute dal datore di lavoro
convenuto.
Sul punto, il decreto prevede che nei casi in cui, nel corso del processo emergano fatti e circostanze che dimostrano l’illegittimità del licenziamento, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità
non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo
pari a due mensilità dell’ultima retribuzione utile al calcolo
del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque
non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro
mensilità. Queste misure sono dimezzate per i datori di lavoro che non raggiungono i limiti dimensionali per l’applicazione dell’art. 18, cioè con meno di 15 dipendenti, con
un massimo che in ogni caso non può essere superiore a
6 mensilità.
Da notare che ai fini del computo dell’anzianità di servizio, l’anno è frazionabile in mesi e le frazioni di mese
uguali o superiori a quindici giorni si computano come
mese intero.
Questa è la nuova misura della sanzione che si applicherà ai licenziamenti illegittimi di lavoratori con contratto
a tutele crescenti giustificati da un motivo c.d. economico
(in termini giuridici: per giustificato motivo oggettivo). La
modifica della misura della sanzione, tuttavia, non incide
sui presupposti di base che dovrebbero giustificare il licenziamento, che rimangono quelli di sempre: la sussistenza
della ragione produttiva e organizzativa (art. 3, legge n.
604/1966) e il legame causale di tale ragione con la lettera di licenziamento; il c.d. repechage cioè l’obbligo per il
datore di lavoro, prima di disporre il licenziamento, di verificare che non siano altre posizioni di lavoro disponibili in
azienda nelle quali spostare il lavoratore; l’eventuale appli-
cazione dei criteri di scelta, quando richiesti, in caso di licenziamenti individuali plurimi.
Fanno eccezione i licenziamenti illegittimi che, al contrario, hanno alla radice motivi discriminatori o che violano
specifiche disposizioni di legge o che si riferiscono a fatti
comportamentali del lavoratore del tutto inesistenti, insussistenti o creati ad arte dal datore di lavoro.
Vediamoli distintamente.
Licenziamento
discriminatorio
con reintegro
Il licenziamento discriminatorio, quello nullo (es: contiguo al matrimonio, intimato nel periodo di interdizione
per maternità, per motivo illecito, ecc. ), quello intimato
dal datore di lavoro oralmente (senza la forma scritta) e
quello motivato dalla disabilità fisica o psichica del lavoratore, restano sottoposti ad un regime sanzionatorio molto
severo.
In questi casi, indipendentemente dal motivo formalmente addotto, la nuova norma prescrive l’obbligo per il
datore di lavoro di reintegrare il lavoratore illegittimamente
licenziato nel posto di lavoro. La reintegra, come noto, comporta la ricostruzione retroattiva della carriera del lavoratore,
dalla data del licenziamento illegittimo fino alla sentenza di
reintegra, come se il rapporto non fosse mai stato interrotto. In termini economici la ricostruzione della carriera comporterà a suo favore il pagamento di una indennità commisurata all’ultima retribuzione utile al calcolo del TFR maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva
reintegrazione. Da questa somma, tuttavia, sarà decurtato
quanto eventualmente percepito dal lavoratore durante il
periodo di estromissione a seguito dello svolgimento di altre attività lavorative. Resta ferma una misura minima dell’indennità, fissata ad almeno cinque mensilità della retribuzione utile al calcolo del TFR nonché la copertura contributiva dell’intero periodo di estromissione, cui dovrà fare fronte
lo stesso datore di lavoro con un corrispondente versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Il lavoratore che non intendesse riprendere servizio
(perché, ad esempio, ritiene che l’ambiente lavorativo sia
➡
LA MISURA DELLE SANZIONI “CRESCENTI” PER I LICENZIAMENTI INGIUSTIFICATI
Anni di anzianità
del lavoratore licenziato
1
2
3
4
5
6
7
…
12
13
…
Sanzione indennitaria
per le aziende medio-grandi
4 mensilità (minimo)
4 mensilità
6 mensilità
8 mensilità
10 mensilità
12 mensilità
14 mensilità
…
24 mensilità
24 mensilità (massimo)
…
Sanzione indennitaria
per le aziende piccole
2 mensilità (minimo)
2 mensilità
3 mensilità
4 mensilità
5 mensilità
6 mensilità
6 mensilità (massimo)
…
6 mensilità (massimo)
6 mensilità (massimo)
…
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
ormai compromesso in ragione della lite), sarà compensato ulteriormente con una indennità risarcitoria pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione utile al calcolo del
TFR .
Licenziamento
disciplinare
con reintegro
Un’altra ipotesi in cui non sarà applicabile il licenziamento a tutele crescenti, cioè quello in cui sia previsto il
solo indennizzo economico proporzionale all’anzianità, è
quella prevista all’art. 3, co. 2, del decreto in questione. Si
tratta del licenziamento disciplinare (tecnicamente parlando: per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa)
dichiarato illegittimo dal giudice perché “direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore”. Quindi l’idea del legislatore della
riforma è quella di tutelare con la massima sanzione, cioè
la reintegra, anche il caso in cui il lavoratore sia licenziato
per un fatto materiale che nella realtà non è avvenuto,
quindi del tutto inesistente. Diversamente da quanto innovato in materia dalla Riforma Fornero, nel testo della norma in esame non sono stati contemplati i seguenti casi:
● il fatto materiale sussiste ma non è stato commesso o
causato dal lavoratore licenziato, per quanto il caso in questione, per forza di cose, non può restare fuori dall’ambito
della tutela piena, la reintegrazione, perché verrebbe meno il rapporto di soggettività della colpevolezza (lo scambio di persona);
● il fatto materiale sussiste ma la sanzione disciplinare
del licenziamento è sproporzionata (violazioni disciplinari
per le quali il contratto collettivo applicato prevede una
sanzione c.d. conservativa, ovvero il rimprovero, la multa o
la sospensione temporanea dal lavoro e dalla retribuzione); qui, il Governo sceglie una soluzione che contrasta
decisamente le posizioni manifestate dalle organizzazioni
sindacali; la norma infatti è chiara nel determinare che il
giudice deve restare estraneo ad “ogni valutazione circa la
sproporzione del licenziamento”.
Tuttavia, la reintegra prevista per il licenziamento disciplinare illegittimo non è speculare a quella che sanziona il
licenziamento discriminatorio o nullo. In entrambe è presente la ricostituzione del rapporto di lavoro, ma il periodo
tra il licenziamento illegittimo e la sentenza del giudice
non è egualmente indennizzato. L’indennità risarcitoria,
commisurata all’ultima retribuzione utile per il calcolo del
TFR, dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva
reintegrazione, per la reintegra disciplinare non sarà mai
superiore a dodici mensilità; inoltre non è prevista la misura minima della sanzione, mentre nel caso del discriminatorio/nullo, come detto, la misura minima è fissata a cinque mensilità. Ma non solo: da tale indennità va decurtato
sia la retribuzione percepita dal lavoratore nel periodo di
estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative,
sia la retribuzione che lo stesso avrebbe potuto percepire
accettando una congrua offerta di lavoro. In tal modo, mutuando alcuni tratti della Riforma Fornero, si è inteso penalizzare il lavoratore che attende, colpevolmente inerte, l’esito del contenzioso giudiziale, rifiutando irresponsabilmente qualunque proposta di lavoro.
La sanzione accessoria dell’integrale versamento dei
contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione viene
mantenuta anche nel disciplinare (senza applicazione di
sanzioni per omissione contributiva), nonché la facoltà del
lavoratore di rifiutare la reintegra contro il pagamento di
una ulteriore indennità di 15 mensilità della retribuzione
utile al calcolo del TFR.
Tale regime sanzionatorio è applicabile alle sole imprese
rientranti nella soglia dimensionale prevista per l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (più di 15 dipendenti in ambito comunale o più di 59 complessivamente). Per le piccole aziende, invece, il licenziamento disciplinare illegittimo per insussistenza del fatto materiale sconta
la sanzione economica fissata nella misura di una mensilità
della retribuzione utile al calcolo del TFR per ogni anno di
servizio, con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità.
Licenziamento
disciplinare
senza reintegro
Per quanto concerne il licenziamento disciplinare ingiustificato in cui il fatto materiale addotto dal datore di lavoro
esiste ma non è idoneo a sostenere il licenziamento, il legislatore sceglie la strada di privilegiare la tutela indennitaria rispetto a quella reintegratoria. Precisamente, l’art. 3
comma 1 del decreto prevede una tutela esclusivamente
➡
I LICENZIAMENTI COLLETTIVI DENTRO IL JOBS ACT
ltro punto nodale del decreto riguarda l’estensione delle norme
in materia di contratto a tutele
crescenti anche alle ipotesi di licenziamento collettivo (riconducibili alle ipotesi di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223). Sul tema si
è molto dibattuto sia dentro le aule parlamentari che fuori, perché alcune forze
politiche avrebbero preferito non modificare nulla dell’attuale regime sanzionatorio dei licenziamenti collettivi. Il Governo, invece, è andato avanti sulla strada già tracciata in precedenza e non ha
modificato l’impianto del decreto in
A
esame. Peraltro, se il governo avesse recepito le modifiche sui licenziamenti
collettivi si sarebbe posta una questione di incostituzionalità del decreto, considerato che la legge delega non lasciava spazi di manovra in tale direzione.
In particolare la norma estende le
misure sanzionatorie più gravi previste
per il licenziamento discriminatorio o
nullo, ossia la reintegra piena, quando i
licenziamenti collettivi siano intimati
senza l’osservanza della forma scritta.
In tutte le altre ipotesi di violazione,
come per i casi di vizio delle procedure
di informativa e di esame congiunto
con le organizzazioni sindacali o di errata applicazione dei criteri di scelta dei
lavoratori da licenziare, si applicherà solo la sanzione economica progressiva
delle tutele crescenti in ragione dell’anzianità del lavoratore (art. 3, co 1, del
decreto).
Al pari del nuovo regime dei licenziamenti individuali, resta anche qui il
doppio binario: questo nuovo sistema
sanzionatorio si applicherà ai lavoratori
assunti con il contratto a tutele crescenti; mentre ai lavoratori assunti prima
dell’entrata in vigore del decreto continuerà ad applicarsi l’art. 18.
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
risarcitoria nell’ipotesi in cui risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento disciplinare. Conseguentemente, si deve ritenere che vadano ricomprese in
tale ambito quelle ipotesi di licenziamenti che si caratterizzano per una sostanziale sproporzione tra il fatto accertato
(la violazione al codice disciplinare commessa dal lavoratore) e la sanzione applicata (il licenziamento).
Laddove, dunque, il fatto materiale sia accertato, ma la
reazione del datore di lavoro sia ritenuta eccessiva il giudice condannerà il datore di lavoro:
● al pagamento di un’indennita non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilita dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR
per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilita, se il datore di lavoro
rientra nei limiti dimensionali previsti per l’applicazione
dell’art. 18;
● al pagamento di un’indennita non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilita
dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR
per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 6 mensilita, se il datore di lavoro
ha un numero di dipendenti inferiore alle dimensioni previste per l’applicazione dell’art. 18;
La scelta del legislatore raggiunge lo scopo di eliminare
la discrezionalità del giudice rispetto alla quantificazione
del risarcimento, mantenendo, invece, tale discrezionalità
in tutta la sua pienezza circa la proporzionalità o meno del
licenziamento irrogato.
Restando sulla proporzionalità del licenziamento, c’è da
segnalare che la nuova norma elimina totalmente il rimando alle tipizzazioni individuate dalla contrattazione collettiva. In precedenza, infatti, se la contrattazione collettiva prevedeva il licenziamento disciplinare per una o più fattispecie di comportamenti irregolari, la proporzionalità del licenziamento era sempre data per assodata dal giudice
proprio in ragione del fatto che in sede sindacale le parti
avevano già definito la gravità degli illeciti e le corrispondenti sanzioni da applicare.
Desta perplessità, invece, il blocco di questa sanzione
indennitaria per ogni caso di licenziamento disciplinare ingiustificato; si pensi, per esempio, a quelle situazioni nelle
quali, seppur sussistente, il fatto materiale risulti essere comunque di nessuna o di lieve dannosità per il contesto
aziendale. D’ora in avanti, dunque, il rischio è che si passi
da un regime fortemente impostato a vantaggio del lavoratore (esempio: il lavoratore che viene reintegrato dopo
aver derubato l’azienda) ad un altro di segno diametralmente opposto (esempio: lavoratore che viene licenziato e
non reintegrato per essersi presentato al lavoro per un ritardo di 5 minuti).
Il licenziamento
formalmente
viziato
Il datore di lavoro che incappi, nel corso delle attività
burocratiche che portano al licenziamento, in un errore di
tipo formale, subirà solo una sanzione di tipo economico.
E’ il caso del licenziamento che sia intimato senza mettere
in condizione il lavoratore di prendere piena consapevolezza delle ragioni del datore di lavoro o anche del licenziamento disciplinare che sia portato a termine senza il
puntuale rispetto della procedura imposta dall’art. 7 dello
Statuto dei Lavoratori.
In questi casi, il rapporto di lavoro si considera, comunque, regolarmente estinto, con decorrenza dalla data del licenziamento, senza alcuna reintegra nel posto di lavoro. Il
datore di lavoro che rientra nei limiti dimensionali dell’art.
18 è condannato al solo pagamento di un’indennità, non
assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari
a una mensilità dell’ultima retribuzione utile al calcolo del
TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità. Per i datori di lavoro piccoli, le misure si riducono a mezza mensilità
per ogni anno di servizio, con un minimo di una e un massimo di 6 mensilità.
Datore di lavoro
che ritira
il licenziamento
Nel decreto in esame viene anche previsto una sorta di
ravvedimento operoso per il datore di lavoro che revoca il
licenziamento precedentemente intimato. Nessuno dei regimi sanzionatori sopra analizzati sarà applicabile nel caso
in cui il datore di lavoro revochi il licenziamento entro il
termine di quindici giorni dalla data in cui il lavoratore ha
impugnato il medesimo, fermo restando il ripristino del
rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, con diritto
del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca.
UNA NUOVA CONCILIAZIONE VOLONTARIA
art. 6 del decreto prevede una
nuova ipotesi di conciliazione volontaria per risolvere fuori dai tribunali le controversie sui licenziamenti ai
quali si applicano le tutele crescenti.
Il datore di lavoro può offrire al lavoratore entro 60 giorni dalla ricezione della
lettera di licenziamento un importo pari
a una mensilità dell’ultima retribuzione
di riferimento per il calcolo del TFR per
ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a
18 mensilità. Nelle aziende piccole, invece, l’importo che può offrire il datore di
lavoro è pari a mezza mensilità per ogni
L’
anno di servizio, in misura comunque
non inferiore a una e non superiore a 6
mensilità (art. 9, comma 1, del decreto).
Sulle somme ricevute a tale titolo non
si pagano tasse e nemmeno i contributi,
ma il pagamento deve avvenire mediante “consegna” al lavoratore di un assegno circolare al momento della conciliazione.
L’avvenuta conciliazione comporta
l’automatica estinzione del rapporto alla
data del licenziamento e la rinunzia alla
impugnazione del licenziamento anche
se il lavoratore l’ha già proposta. Naturalmente - salvo che non vi rinunzi espres-
samente - rimane viva la possibilità per il
lavoratore di far valere ogni altra pretesa
nei confronti del datore di lavoro (ad es.,
differenze retributive, inquadramento, risarcimento danni, etc.). Se invece il lavoratore accetta di rinunciare a tutto, dovrà
essere compensato con una ulteriore
somma a titolo transattivo che, tra l’altro,
non godrà dell’esenzione fiscale e contributiva.
La conciliazione è valida solo se sottoscritta in una delle sedi c.d. “assistite” individuate per legge, quindi alla presenza
di un funzionario pubblico e/o delle parti
sociali.
Marzo 2015
12
NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
RIORDINO DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI
ontestualmente al decreto legislativo sul contratto a
tutele crescenti, il Governo ha definitivamente licenziato anche un secondo decreto richiamato nella legge delega del Jobs ACT (legge 10 dicembre 2014, n. 183):
quello relativo al riordino degli ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati. Si tratta del decreto che rimodella la
pur giovane ASpI introdotta dalla Riforma Fornero nel 2012
in sostituzione dell’indennità di disoccupazione: il nuovo
ammortizzatore è denominato “Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego” ovvero “NASpI”.
La NASpI entrerà a regime a decorrere dal 1° maggio
2015 con l’obiettivo di rinforzare la tutela di sostegno al
reddito ai lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente il posto di lavoro. Pertanto, con la medesima
decorrenza, la NASpI sostituirà le attuali prestazioni di ASpI
e mini-ASpI, con riferimento agli eventi di disoccupazione
verificatisi dal 1° maggio 2015.
Il decreto regolamenta anche un incentivo all’autoimprenditorialità, introduce l’indennità di disoccupazione per i
lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS-COLL), un assegno speciale di disoccupazione (ASDI) e, infine, detta le disposizioni per il contratto di ricollocazione.
C
LA NUOVA ASSICURAZIONE
SOCIALE: NASPI
Requisiti
per accedervi
La NASpI riguarderà tutti i dipendenti del settore privato
e i soli dipendenti a tempo determinato della Pubblica Amministrazione.
I lavoratori possono accedere alla NASpI solo se possiedono, congiuntamente, i seguenti requisiti:
a) siano in stato di disoccupazione;
b) possano far valere, nei 4 anni precedenti l’inizio del
periodo di disoccupazione, almeno 13 settimane di contribuzione;
c) possano far valere 30 giornate di lavoro effettivo nei
12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.
La NASpI è riconosciuta anche ai lavoratori che hanno
rassegnato le dimissioni per giusta causa (quindi quando il
lavoratore imputa al datore di lavoro un grave comportamento che lo ha indotto alle dimissioni) e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Con riguardo alla
risoluzione consensuale (cioè quando il lavoratore e il datore di lavoro sciolgono il rapporto di lavoro di comune accordo), l’accesso alla NASpI sarà possibile solo per i rapporti di
lavoro in essere al momento di entrata in vigore della nuova normativa sulle tutele crescenti, e solanto se l’atto di recesso del rapporto di lavoro è sottoscritto davanti alle direzioni territoriali del Ministero del lavoro a seguito di un
preavviso di licenziamento (si tratta della procedura di cui
all’art. 7, legge 604/1966, che devono attivare i datori di lavoro con più di 15 dipendenti nel momento in cui decidono di licenziare un lavoratore per ragioni economiche.
La misura
della nuova assicurazione
La misura massima dell’assicurazione sociale, per il
2015, non potrà in ogni caso essere superiore a 1.300
euro mensili. Per gli anni successivi questo massimale
sarà via via rivalutato.
L’assegno di disoccupazione avrà come parametro di
riferimento la retribuzione del lavoratore percepita negli
ultimi 4 anni divisa per il numero di settimane coperte
da contributi e moltiplicata per il numero 4,33. Questo
parametro costituirà la retribuzione mensile sulla quale
applicare i correttivi percentuali dell’assegno.
ESEMPIO
Lavoratore che negli ultimi 4 anni ha percepito
52.000 euro di retribuzione complessiva con copertura
totale delle settimane di contribuzione pari a 208 totali.
La retribuzione di riferimento sarà così calcolata:
52.000 : 208 x 4,33 = 1.082 euro (retribuzione
mensile di riferimento)
La norma prevede, come accennato, dei correttivi
percentuali rispetto alla retribuzione mensile del lavoratore così calcolata. Quando tale retribuzione mensile è
pari o inferiore all’importo di 1.195 euro (importo applicabile per il 2015, che sarà poi rivalutato annualmente), la NASpI sarà pari al 75% della stessa retribuzione
mensile.
ESEMPIO
La retribuzione mensile di riferimento del lavoratore
in questione è pari 1.082, dunque inferiore al minimale
applicabile nel 2015 di 1.195 euro. Di conseguenza si
applicherà il correttivo del 75% come segue:
1.082 x 75 : 100 = 811 euro (importo dell’assegno mensile)
Nei casi in cui la retribuzione mensile di riferimento,
invece, sia superiore al minimale di 1.195, l’importo
dell’indennità sarà pari al 75% del minimale incrementato di una somma pari al 25% della differenza tra la
retribuzione mensile e il minimale.
ESEMPIO
Lavoratore che negli ultimi 4 anni ha percepito
60.000 euro di retribuzione complessiva con copertura
totale delle settimane di contribuzione pari a 208 totali.
La retribuzione di riferimento sarà così calcolata:
60.000 : 208 x 4,33 = 1.249 euro (retribuzione
mensile di riferimento)
La retribuzione mensile di riferimento in questo caso
è pari 1.249, dunque superiore al minimale applicabile
nel 2015 di 1.195 euro. Di conseguenza i correttivi percentuali si applicheranno come segue:
➡
Marzo 2015
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
INCENTIVO ALL’AUTOIMPRENDITORIALITA’
l lavoratore avente diritto alla
corresponsione della NASpI potrà richiedere la liquidazione anticipata, in un’unica soluzione, dell’importo complessivo del trattamento che gli spetta e che non gli è
stato ancora erogato. La domanda
dovrà essere motivata da un progetto d’impresa, che potrà configurarsi o dall’avvio di un’attività lavorativa autonoma, di impresa individuale o per la sottoscrizione di una
quota di capitale sociale di una
I
cooperativa di produzione e lavoro.
I termini per presentare la domanda saranno perentori, a pena
di decadenza dal diritto: il lavoratore dovrà presentarla all’INPS, in via
telematica, entro trenta giorni dalla
data di inizio dell’attività lavorativa
autonoma o di impresa individuale
o dalla data di sottoscrizione di una
quota di capitale sociale della cooperativa.
Dopo aver ottenuto il pagamento dall’INPS, il lavoratore dovrà fare
1.195 x 75 : 100 = 896 euro (quota base dell’assegno)
(1.249 – 1.195) x 25 : 100 = 13 euro (quota aggiuntiva dell’assegno)
896 + 13 = 909 euro (importo dell’assegno mensile)
In ogni caso, la NASpI non potrà mai superare l’importo
mensile di 1.300 euro (valido per il 2015, da rivalutare
annualmente). Ciò determina, pertanto, una soglia di
sbarramento che penalizzerà soprattutto i lavoratori con
retribuzioni annue lorde superiori a 34.000 euro.
L’importo dell’assegno, infine, non rimarrà inalterato
per tutta la durata del sussidio. La norma prevede una riduzione del 3% per ogni mese a decorrere dal primo
giorno del quarto mese di fruizione.
Durata
del sussidio
Fino al 2016 compreso, la NASpI sarà corrisposta per
un numero di settimane pari alla metà delle settimane di
contribuzione degli ultimi quattro anni, dalle quali bisognerà sottrarre però i periodi che hanno già dato luogo ad
erogazione di prestazioni di disoccupazione. Quindi, in caso di 208 settimane piene (4 anni x 52 settimane anno),
il sussidio sarà pagato per 104 settimane, cioè per circa
24 mesi.
A partire dagli eventi di disoccupazione verificatisi dal
1° gennaio 2017, l’assegno sarà corrisposto per un massimo di 78 settimane (circa 18 mesi). Da alcune dichiarazioni rilasciate dall’attuale ministro del lavoro, il passaggio da 24 a 18 mesi di tutela è giustificato da mere
ragioni di bilancio di previsione e l’impegno del Governo
in carica (per quanto possa concretamente valere) è di
riportare il parametro a 24 mesi prima del 2017. Il periodo di godimento del sussidio è coperto da contribuzione figurativa.
Termini
per la domanda
E’ importante ricordare le scadenze che il lavoratore disoccupato non deve mai dimenticare.
La prima riguarda il termine ultimo per presentare la
domanda di NASpI all’INPS per via telematica, (avvalendosi dell’aiuto dei patronati, Caf, consulenti del lavoro,
attenzione a mantenere in piedi
l’attività incentivata per tutto il periodo che sarebbe stato coperto dal
sussidio nel caso non fosse stata
presentata domanda di liquidazione in un’unica soluzione e non instaurare in questo periodo un nuovo rapporto di lavoro subordinato.
In tal caso si configurerebbe una situazione che il Legislatore, per fini
antielusivi, sanziona con l’obbligo di
restituire per intero l’anticipazione
ottenuta.
ecc.), scaduto il quale si perde il diritto al sussidio: entro
68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. In ogni
caso, è sempre sconveniente presentare la domanda di
NASpI oltre l’ottavo giorno successivo alla cessazione del
rapporto di lavoro, in quanto per ogni giorno di ritardo
successivo all’ottavo si perde un pezzetto di assegno fino
ad arrivare al sessantanovesimo giorno dove si perde, come detto, definitivamente il diritto al sussidio.
La regola infatti è:
● che per i primi 8 giorni successivi alla cessazione del
rapporto di lavoro, la NASpI non spetta;
● le domande presentate successivamente all’ottavo
giorno fanno scattare l’assegno a partire dal primo giorno
successivo alla data di presentazione della domanda.
In definitiva, se non si vuole perdere nemmeno un
giorno di NASpI, la domanda all’INPS deve essere presentata entro l’ottavo giorno successivo alla cessazione del
rapporto di lavoro.
Obblighi
del lavoratore
Il lavoratore fruitore della NASpI, se vorrà conservare il
sussidio fino alla sua naturale scadenza o fino a nuova occupazione, dovrà rispettare condizioni più severe rispetto
allo scenario attuale.
Benché il decreto in esame non regolamenti nello specifico il tema della politica attiva del lavoro, destinato a
trovare spazio in un apposito decreto, l’articolo 7 richiama
i criteri della legge delega che dovranno tradursi in condizioni obbligatorie per il lavoratore in disoccupazione tutelata che intende mantenere il sussidio.
In linea generale, dovrebbero essere introdotti i seguenti limiti:
● il lavoratore dovrà rendersi disponibile, anche in caso
di chiamata da parte delle Agenzie del lavoro convenzionate con i servizi pubblici per l’impiego, a partecipare a
programmi di ricollocazione sul mercato del lavoro;
● dovrà rendersi disponibile a partecipare a percorsi
personalizzati di istruzione, formazione professionale e lavoro;
● e dovrà soprattutto prestarsi in attività di pubblica utilità a favore delle comunità locali.
Le sanzioni per il lavoratore inottemperante saranno
definite con successivo decreto ministeriale.
➡
Marzo 2015
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
NASpI
e rioccupazione
In alcuni casi, il lavoratore fruitore della NASpI mantiene
il diritto al sussidio anche instaurando un nuovo rapporto di
lavoro dipendente. Si tratta del caso in cui il nuovo rapporto
di lavoro subordinato non produce un reddito annuale superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale
(circa 8.100 euro lordi). Al contrario, il lavoratore rioccupato
con un reddito superiore a tale limite decade automaticamente dalla prestazione.
Nel primo caso, il lavoratore dovrà comunque comunicare all’INPS, entro trenta giorni dall’inizio del nuovo impiego,
il valore stimato della retribuzione annua che prevede di
percepire nonché alcune informazioni sul nuovo datore di
lavoro. Questa informazione è richiesta per evitare azioni
triangolari fraudolente, per esempio, in caso di datore di lavoro che licenzia e poi riassume lo stesso lavoratore attraverso un contratto di somministrazione oppure utilizza altro
soggetto giuridico con assetti proprietari sostanzialmente
coincidenti al fine di appropriarsi di un sussidio pubblico
non spettante.
Nel periodo in cui resta in piedi il nuovo rapporto di lavoro, la NASpI è ridotta di un importo pari all’80% del reddito
previsto per la nuova attività, con dei correttivi agganciati al
periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità.
Viene previsto anche il caso di sospensione del sussidio.
Ciò sarà possibile quando, pur superando il limite di reddito non assoggettato ad imposizione fiscale, la durata del
nuovo rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi. In tale caso, quindi, al lavoratore viene temporaneamente sospesa la prestazione e, al termine del contratto di lavoro
temporaneo, riattivata nella stessa misura precedente.
LA DISOCCUPAZIONE
DEI LAVORATORI A PROGETTO
La nuova prestazione:
DIS-COLL
superato (sulla base di quanto anticipato dal Governo) a
partire dal 1° gennaio 2016. Tuttavia, in via sperimentale
per il 2015, il decreto in esame introduce un nuovo sussidio di disoccupazione per i collaboratori coordinati e
continuativi, anche a progetto, iscritti in via esclusiva alla
Gestione separata presso l’INPS, purché non siano pensionati, possessori di partita IVA, amministratori o sindaci
di società. Il requisito di base richiesto è, ovviamente, che
abbiano perduto involontariamente la propria occupazione nel periodo tra il 1° gennaio 2015 (quindi retroattivamente) e il 31 dicembre 2015.
Tale prestazione mensile di disoccupazione sarà chiamata “DIS-COLL”.
Nel dettaglio, la DIS-COLL è riconosciuta ai lavoratori
suddetti che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:
a) siano, al momento della domanda di prestazione,
in stato di disoccupazione certificabile dai Centri per l’Impiego;
b) possano far valere almeno tre mesi di contribuzione
nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno solare
precedente l’evento di cessazione dal lavoro alla data di
cessazione medesima;
c) possano far valere, nell’anno solare in cui si verifica
l’evento di cessazione dal lavoro, un mese di contribuzione oppure un rapporto di collaborazione di durata pari almeno ad un mese e che abbia dato luogo a un reddito
almeno pari alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione (1.295 : 2 = 647 euro).
Misura
della prestazione
La DIS-COLL è rapportata al reddito del collaboratore
risultante dai versamenti contributivi effettuati, relativo all’anno in cui si è verificato l’evento di cessazione dal lavoro e all’anno solare precedente, diviso per il numero di
mesi di contribuzione, o frazione di essi.
ESEMPIO
Collaboratore che nell’anno della cessazione e in quello precedente ha percepito 8.100 euro di compensi com-
➡
Il contratto di lavoro a progetto sarà definitivamente
L’ASSEGNO SPECIALE DI DISOCCUPAZIONE
Requisiti per ottenerlo
A decorrere dal 1° maggio 2015
viene istituito altresì, benché in via
sperimentale per il solo anno 2015,
uno speciale sussidio di disoccupazione denominato “Assegno speciale di disoccupazione (ASDI)”. Questa ulteriore tutela ha la funzione di
implementare il periodo di copertura della NASpI, ma limitatamente al
2015, quindi con un risvolto sociale
piuttosto marginale.
In particolare, l’ASDI è accessibile
dai lavoratori beneficiari della NASpI
che abbiano fruito di questa per l’intera sua durata entro il 31 dicembre
2015 e che siano ancora privi di occupazione e si trovino in una condizione
economica di bisogno.
Misura della prestazione
L’ASDI è erogato mensilmente
per una durata massima di sei mesi
ed è pari al 75% dell’ultima indennità NASpI percepita, e, comunque,
in misura non superiore all’ammontare dell’assegno sociale.
L’importo dell’ASDI può essere
incrementato in ragione dei carichi
familiari del lavoratore nella misura e secondo le modalità che saranno stabilite con il decreto mini-
steriale.
Progetto di reimpiego
La corresponsione dell’ASDI è
condizionata all’adesione ad un progetto personalizzato redatto dai
competenti servizi per l’impiego,
contenente specifici impegni in termini di ricerca attiva di lavoro, disponibilità a partecipare ad iniziative
di orientamento e formazione, accettazione di adeguate proposte di
lavoro.
La partecipazione alle iniziative di
attivazione proposte è obbligatoria,
pena la perdita del beneficio.
Marzo 2015
15
NOVITA’ LEGISLATIVE
LA RIFORMA DEL LAVORO
plessivi. I mesi di contribuzione cadenti nei due anni sono complessivamente 9. La retribuzione di riferimento
sarà così calcolata:
8.100 : 9 = 900 euro (retribuzione mensile di riferimento)
La misura dell’assegno di DIS-COLL è pari al 75% del
reddito medio mensile come sopra calcolato, nel caso in
cui il reddito mensile sia pari o inferiore nel 2015 all’importo di 1.195 euro.
Il reddito medio mensile del collaboratore in questione, come esemplificato sopra, è pari 900 euro, dunque
inferiore al minimale applicabile nel 2015 di 1.195 euro.
Di conseguenza si applicherà il correttivo del 75% come
segue:
900 x 75 : 100 = 675 euro (importo dell’assegno
mensile)
Nel caso in cui il reddito medio mensile sia invece superiore a 1.195 euro la DIS-COLL sarà pari al 75% di
1.195 euro incrementata di una somma pari al 25 per
cento della differenza tra il reddito medio mensile e
1.195 euro.
Come per la NASpI, anche la DIS-COLL non può in
ogni caso superare l’importo massimo mensile di 1.300
euro nel 2015.
Infine, la DIS-COLL si riduce del 3% ogni mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione.
Durata
della prestazione
La DIS-COLL è corrisposta mensilmente per un numero
di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione accreditati
nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno solare precedente l’evento di cessazione del lavoro alla data della
stessa cessazione. La DIS-COLL non potrà in ogni caso superare la durata massima di sei mesi.
Per i periodi di fruizione della DIS-COLL non sono riconosciuti i contributi figurativi.
Domanda
della prestazione
La domanda di DIS-COLL dovrà essere presentata all’INPS, in via telematica, entro il termine di decadenza di sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Anche in questo caso, analogamente alla NASpI, la DIS-COLL
spetta a decorrere dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o, qualora la domanda sia presentata successivamente a tale data, dal primo giorno successivo alla data di presentazione della domanda. E’ sempre consigliabile, pertanto, presentare la domanda entro gli
8 giorni in modo da non perdere nemmeno una giornata
di indennità.
Anche per i collaboratori che fruiranno della DIS-COLL
sussiste il vincolo del mantenimento dello stato di disoccupazione, nonché l’obbligo di partecipare alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi pubblici per l’impiego.
Sono previste norme per il mantenimento parziale o per
la sospensione temporanea dell’indennità in caso di nuovo
impiego durante il periodo di tutela. Sono analoghe a quelle previste per i lavoratori dipendenti.
IL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE SPONSORIZZATO DALLE REGIONI
l decreto in esame stimola le
Regioni ad attuare e finanziare
il cosiddetto contratto di ricollocazione, regolato all’art. 17. La
norma sancisce in concreto una
“facoltà” per le Regioni di accompagnare il soggetto in stato di disoccupazione verso una ricollocazione sul mercato del lavoro,
nell’ambito della programmazione delle politiche attive del lavoro. Pertanto, almeno in questa
prima fase di attuazione dello
Jobs ACT, necessita una certa cautela nel commentare un istituto
che dovrà essere finanziato dalle
Regioni già sofferenti sotto il profilo degli equilibri di bilancio.
In ogni caso, la norma prevede
che iI soggetto in stato di disoccupazione abbia diritto di ricevere
assistenza per il lavoro da soggetti
pubblici o dai soggetti privati accreditati.
Come ciò avverrà in concreto
non è dato per ora sapere. Sicura-
I
mente le Regioni procederanno in
ordine sparso. Possiamo immaginare, riferendoci alla precedente
(fallita) esperienza della “Legge
garanzia giovani”, da noi già commentata in passato, che il disoccupato debba registrarsi presso un
portale predisposto dalla Regione
in cui descriverà il cosiddetto “profilo professionale di occupabilità”,
in modo che, chi dovrà occuparsi
della sua ricollocazione, sia messo
nelle condizioni di valutare la possibilità di reimpiego. A questo
punto l’interessato dovrebbe essere chiamato a stipulare un vero e
proprio contratto di ricollocazione
col soggetto accreditato dalla Regione a questo scopo.
A seguito della definizione del
profilo personale di occupabilità,
al disoccupato viene riconosciuta
una somma denominata “dote individuale di ricollocazione” spendibile presso i soggetti accreditati.
Una sorta di voucher di ricolloca-
zione, che potrà essere incassato
dal soggetto accreditato soltanto
a risultato occupazionale ottenuto.
Il contratto di ricollocazione deve prevedere:
a) il diritto del disoccupato a
una assistenza appropriata nella
ricerca della nuova occupazione,
programmata, strutturata e gestita
secondo le migliori tecniche del
settore, da parte del soggetto accreditato;
b) il dovere del disoccupato di
rendersi parte attiva rispetto alle
iniziative proposte dal soggetto
accreditato;
c) il diritto-dovere del disoccupato a partecipare alle iniziative di
ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a
sbocchi occupazionali coerenti
con il fabbisogno espresso dal
mercato del lavoro, organizzate e
predisposte dal soggetto accreditato.
Marzo 2015
16
NOVITA’ LEGISLATIVE
LE NOVITA’ DEL MILLEPROROGHE
TORNA IL REGIME DEI NUOVI MINIMI
di ANNALISA D’ANTONIO
uest’anno, il tradizionale decreto legge di fine
anno, il cosiddetto “Milleproroghe”, nella fase
conclusiva del suo iter parlamentare per la conversione in legge, ha imbarcato alcune misure particolarmente importanti. Su tutte, spicca la “riesumazione” a vantaggio di tutti i potenziali beneficiari, anche se limitata al solo anno d’imposta 2015, del regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità (c.d. “nuovi minimi”), in deroga a
quanto stabilito dall’ultima legge di stabilità. Questa,
infatti, ne aveva sancito l’abrogazione, con la sola
possibilità, riconosciuta a chi fosse già in quel regime
nel 2014, di continuarne l’applicazione fino alla scadenza “naturale”, vale a dire fino al completamento
del quinquennio dall’inizio dell’attività ovvero, se
successivo, fino al raggiungimento del trentacinquesimo anno di età.
Nel provvedimento convertito in legge la settimana
scorsa, degni di segnalazione, sempre in ambito fiscale, sono anche: lo slittamento di un anno delle novità in materia di dichiarazione IVA annuale (per la
presentazione del modello in via autonoma entro il
mese di febbraio, con contemporanea soppressione
dell’obbligo di trasmettere anche la comunicazione
annuale dei dati, se ne riparlerà nel 2016); la riapertura dei termini per ottenere la rateazione delle cartelle di Equitalia, ora possibile anche per i contribuenti decaduti dal beneficio della dilazione entro il
31 dicembre 2014; la proroga fino a tutto il 2017 delle
agevolazioni per il rientro in Italia dei ricercatori
esteri; il rinvio al 2016 dell’introduzione dell’IMUS
(imposta municipale secondaria), chiamata ad assorbire in un’unica voce una serie di tributi locali (Tosap/Cosap, pubblicità, pubbliche affissioni).
Q
ANCORA UN ANNO
PER IL REGIME DEI MINIMI
Anche chi avvia una nuova attività nel 2015 può optare
per il regime dei “nuovi minimi” che, prevedendo l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 5% in luogo della tassazione ordinaria IRPEF, consente di fruire di un livello di imposizione fiscale decisamente favorevole.
La decisione è stata presa nel rush finale del decreto
“milleproroghe”, per rimediare alla poco felice scelta operata nella legge di stabilità 2015. In quella sede, infatti, era
stata sancita l’abrogazione:
● del regime delle nuove iniziative produttive (c.d. “forfettino”, che era utilizzabile per il primo triennio di attività,
con tassazione sostitutiva al 10%);
● del regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile
(c.d. “nuovi minimi”, che era applicabile per i primi cinque
anni dall’inizio dell’attività o anche oltre, fino ai 35 anni di
età, con tassazione sostitutiva al 5%);
● del regime contabile agevolato per gli “ex minimi”
(con una serie di semplificazioni contabili, ma tassazione
ordinaria).
Al loro posto, per professionisti e imprenditori di dimensioni ridotte, è stato introdotto un nuovo regime forfetario, semplice nelle sue regole (per calcolare il quantum
dovuto, basta moltiplicare i ricavi/compensi
conseguiti/percepiti per un determinato coefficiente di
redditività, diverso a seconda dell’attività svolta (vedi tabella a destra), ed applicare al risultato ottenuto l’imposta sostitutiva del 15%), ma decisamente meno allettante rispetto a quello dei “nuovi minimi”.
Il nuovo
regime forfetario
Questi i motivi:
● l’aliquota di tassazione è del 15%, il triplo di quella
scontata dai “nuovi minimi”;
● è molto basso il tetto massimo di ricavi/compensi per
accedervi, con conseguente riduzione della platea degli
ammessi (ad esempio, è fissata a soli 15.000 euro – contro i 30.000, validi per tutti, previsti dal regime dei “nuovi
minimi” – la soglia di ingresso per i professionisti, gli intermediari del commercio e chi opera nell’ambito delle costruzioni e delle attività immobiliari);
● per alcuni settori, il coefficiente di redditività da applicare ai ricavi/compensi per quantificare l’imponibile appare troppo alto (su tutti, spiccano l’86% per “costruzioni e
attività immobiliari” e il 78% per “attività professionali,
scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari ed assicurativi”).
➡
LIMITI DI RICAVI/COMPENSI E COEFFICIENTI DI REDDITIVITA’
(regime forfetario introdotto dalla “Stabilità 2015”)
Limite ricavi
o compensi
Coefficiente
di redditività
Industrie alimentari e delle bevande
Commercio all’ingrosso e al dettaglio
Commercio ambulante di prodotti alimentari e bevande
Commercio ambulante di altri prodotti
Costruzioni e attività immobiliari
Intermediari del commercio
Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione
35.000
40.000
30.000
20.000
15.000
15.000
40.000
40%
40%
40%
54%
86%
62%
40%
Attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari ed assicurativi
15.000
78%
Altre attività economiche
20.000
67%
Attività esercitata
Marzo 2015
17
NOVITA’ LEGISLATIVE
LE NOVITA’ DEL MILLEPROROGHE
I DUE REGIMI A CONFRONTO
REGIME DEI NUOVI MINIMI
REGIME FORFETARIO
Requisiti di accesso
Requisiti di accesso
- Nell’anno precedente: ricavi o compensi, ragguagliati ad anno, non Ricavi o compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a determinati
superiori a 30.000 euro; niente cessioni all’esportazione; niente limiti, compresi tra 15.000 e 40.000 euro a seconda dell’attività
spese per lavoratori dipendenti o collaboratori non occasionali; esercitata (vedi tabella in basso).
niente somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli as- - Spese per lavoro accessorio, lavoro dipendente, collaborazioni e
sociati che apportano solo lavoro.
somme erogate agli associati sotto forma di utili da partecipazione
- Nel triennio solare precedente: acquisti di beni strumentali per un (in caso di apporto di solo lavoro) di importo complessivo non supeammontare complessivo non superiore a 15.000 euro, compreso riore a 5.000 euro lordi.
l’affitto di immobili.
- A fine esercizio, costo complessivo dei beni strumentali, al lordo de- Non aver esercitato, nei tre anni precedenti, attività professionale, gli ammortamenti, non superiore a 20.000 euro. Nel conteggio non
artistica o d’impresa, anche in forma associata o familiare.
vanno considerati i beni di costo unitario non superiore a 516,46 eu- L’attività da esercitare non deve costituire mera prosecuzione di al- ro e gli immobili, in qualsiasi modo acquisiti, utilizzati nell’attività.
tra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente - Se si percepiscono anche redditi di lavoro dipendente (incluse le
o autonomo, ad eccezione della pratica obbligatoria (tirocinio) per pensioni) e/o assimilati, questi non devono essere prevalenti rispetto
l’esercizio di arti o professioni.
ai redditi d’impresa, arte o professione; il raffronto non è richiesto, se
- In caso di prosecuzione di attività d’impresa svolta in precedenza il rapporto di lavoro è cessato o se la somma degli uni e degli altri
da altro soggetto, i ricavi realizzati nel periodo d’imposta precedente redditi non supera complessivamente l’importo di 20.000 euro.
non devono superare 30.000 euro.
Determinazione del reddito
Determinazione del reddito
Differenza tra ricavi/compensi incassati nel periodo d’imposta e le Applicazione ai ricavi/compensi incassati (“principio di cassa”) di un
spese sostenute nello stesso anno, secondo il “principio di cassa”, coefficiente di redditività, in base all’attività esercitata (vedi tabella),
con deduzione dei contributi previdenziali e assistenziali.
con deduzione dei contributi previdenziali e assistenziali
Imposta sostitutiva: 5%
Imposta sostitutiva: 15%
Ritenute
Ritenute
I ricavi/compensi non sono assoggettati a ritenuta d’acconto. A tale I ricavi/compensi non subiscono ritenute: va resa dichiarazione, a
scopo, va rilasciata a chi eroga le somme una dichiarazione per atte- chi paga, che si tratta di redditi con tassazione sostitutiva. Esonero
stare che si tratta di redditi soggetti ad imposta sostitutiva.
dall’obbligo di operare ritenute sui redditi erogati.
Altri vantaggi
- Esclusione da IVA, IRAP, studi di settore e parametri.
- Esonero da tutti gli obblighi in materia di IVA (compresi lo “spesometro” e la comunicazione delle operazioni con Paesi black list, cioè a
fiscalità privilegiata), tranne la numerazione e la conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, la certificazione dei corrispettivi e la conservazione dei relativi documenti.
- Esonero, ai fini delle imposte dirette, dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili, esclusa la conservazione dei documenti ricevuti ed emessi.
Durata
Durata
Cinque anni dall’inizio dell’attività o, se successivo, fino al raggiungi- Illimitata, in presenza dei necessari requisiti.
mento del trentacinquesimo anno di età.
Uscita dal regime
Uscita dal regime
Dall’anno successivo ovvero, se si superano i 45.000 euro di ricavi, Dall’anno successivo.
dall’anno in corso.
L’unica eccezione alla rivoluzione operata dalla Stabilità 2015 era riconosciuta ai contribuenti già “nuovi minimi” nel 2014, i quali avrebbero potuto continuare ad
applicare quel regime fino alla scadenza naturale (ossia,
come già ricordato, per cinque anni o anche oltre, fino
ai 35 anni di età). Circostanza che ha determinato, nell’ultima parte dell’anno passato, un vero e proprio boom
di aperture di partita IVA, allo scopo di acquisire l’inquadramento da “nuovo minimo” già nel 2014 e poter proseguire con quel regime, decisamente più favorevole,
ancora per qualche anno.
Nel “milleproroghe”, dunque, l’inversione di rotta.
L’applicazione del regime dei “nuovi minimi” nel 2015
non sarà più riservata a chi vi era già dentro (così come
aveva stabilito la legge di stabilità), ma potranno fruirne
anche coloro che lo sceglieranno avviando una nuova
attività nell’anno in corso. Quella adottata, come affermato dai parlamentari che hanno sostenuto l’emendamento, è una soluzione momentanea, per tamponare
l’emergenza 2015; la questione, infatti, dovrebbe essere
riaffrontata a breve attraverso i decreti attuativi delle delega fiscale, nell’ambito della quale è previsto il riordino
complessivo dei regimi agevolati.
Coesistenza
dei due regimi
Quest’anno, pertanto, le strade percorribili da piccoli imprenditori e lavoratori autonomi – oltre ovviamente alla
possibile adozione del regime ordinario – sono due: il regime forfetario introdotto dalla Stabilità 2015 (con imposta
sostitutiva al 15% e soglie di ricavi/compensi da 15.000 a
40.000 euro, differenziate a seconda dell’attività esercitata),
e quello dei “nuovi minimi” riesumato dal decreto milleproroghe (con imposta sostitutiva al 5% e soglia di ricavi/compensi a 30.000 euro, unica per tutte le attività).
Entrambi sono considerati regimi “naturali”, nel senso
che, in presenza dei necessari presupposti, sono applicabili
direttamente. Ciò che conta è assumere da subito un
“comportamento concludente”, ad esempio non addebitando l’IVA in fattura (vale per entrambi i regimi) oppure
non applicando le ritenute d’acconto in caso di corresponsione di compensi a terzi soggetti (vale per il regime forfetario) e, soprattutto, riportando nelle fatture emesse il giusto riferimento normativo che dà titolo all’esclusione dall’imposta (legge n. 190/2014, articolo 1, comma 58, per i
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Marzo 2015
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LE NOVITA’ DEL MILLEPROROGHE
forfetari; legge n. 244/2007, articolo 1, comma 100, per i
“nuovi minimi”).
Per chi avvierà l’attività nel corso del 2015, dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del “milleproroghe”,
non si prospetta alcun problema nell’adozione dell’uno o
dell’altro regime: potrà orientare la scelta in base alla propria convenienza, optando per quello che gli appare maggiormente vantaggioso. L’appeal del resuscitato regime dei
“nuovi minimi” appare decisamente più forte, non fosse
altro che per il livello di tassazione decisamente inferiore
(5% contro il 15% del regime a forfait). Inoltre, la soglia
unica di accesso a 30.000 euro di ricavi/compensi sicuramente richiamerà l’attenzione dei tanti che erano stati penalizzati dai livelli di sbarramento più bassi imposti dal
nuovo regime.
Potrebbe anche trovare giovamento dal ritorno del regime dei “nuovi minimi” chi è titolare anche di redditi di lavoro dipendente (comprese le pensioni) o assimilato; in
tale circostanza, infatti, si potrebbe avere difficoltà ad accedere al regime forfetario, in virtù delle limitazioni imposte
da quella disciplina: è infatti richiesto che i redditi di lavoro
d’autonomo o d’impresa devono essere prevalenti rispetto
a quelli di lavoro dipendente ovvero anche inferiori, ma
solo se la somma di tutti i redditi non supera 20.000 euro.
Al contrario, potrebbe risultare più vantaggioso adottare
il regime a forfait per le start-up, cioè per chi inizia nuove
attività d’impresa: è infatti previsto che, nei primi tre anni
di attività, la base imponibile è ridotta di un terzo e, per
commercianti e artigiani, è possibile ottenere uno sconto
anche sulla contribuzione, richiedendo all’INPS che i contributi vengano calcolati sul reddito forfetario, senza applicare il minimale fisso.
Qualche difficoltà operativa nell’accedere al riesumato
regime dei “nuovi minimi” potrebbe averla chi era già in
attività ed essendosi indirizzato verso il regime forfetario,
se non addirittura verso il regime ordinario, ha già emesso
documenti fiscali. Nel primo caso, in realtà, potrebbe essere sufficiente sostituire il documento originario con un altro che attesta il nuovo titolo di esclusione dall’applicazione dell’IVA. Qualche problema in più per chi è entrato nel
regime ordinario ed ora ha l’opportunità (e vuole sfruttarla) di optare retroattivamente per i “nuovi minimi”. In tale
circostanza, infatti, nelle fatture emesse, ha ordinariamente
addebitato l’IVA, “in contrasto” con la disciplina che intende ora abbracciare. Per questo motivo, dovrebbe stornare
l’imposta fatturata, emettere una nota di accredito a favore
del cliente e rilasciare una nuova fattura senza applicazione dell’IVA e con indicazione del titolo di esclusione. È auspicabile che l’Amministrazione finanziaria fornisca quanto
prima le opportune indicazioni sul corretto comportamento da tenere.
CARTELLE DI PAGAMENTO:
NUOVA DILAZIONE
Chi ha debiti fiscali e contributivi ed entro il 31 dicembre
2014 è decaduto dal beneficio del pagamento rateizzato
(la circostanza si verifica quando si salta il pagamento di otto rate), può richiedere un nuovo piano di dilazione entro il
prossimo 31 luglio. Questo potrà prevedere fino ad un
massimo di settantadue rate mensili (non è ammessa la dilazione straordinaria in centoventi rate), senza possibilità di
proroga, nemmeno in caso di peggioramento dello stato di
difficoltà finanziaria (contrariamente a quanto previsto per
gli ordinari piani di rateazione), e viene meno in caso di
mancato pagamento di due rate (non otto, come stabilito
per i “normali” piani di rateazione), anche non consecutive.
A seguito della presentazione della richiesta di rateazione, l’Agente della riscossione non può avviare nuove azioni
esecutive (ad esempio, i pignoramenti già disposti e le ipoteche già iscritte conservano i loro effetti, ma la procedura
espropriativa non può proseguire né iniziare).
Inoltre, la dilazione non può essere concessa, limitatamente agli importi oggetto della segnalazione, in caso di
contribuente che è anche creditore della PA per cifre superiori a 10.000 euro e per il quale l’ente debitore ha comunicato ad Equitalia di aver riscontrato che lo stesso ha ricevuto una o più cartelle esattoriali per un totale pari almeno a
quell’ammontare e non l’ha pagate.
SALVE LE DELIBERE TARDIVE
SULLA TARI
Ancora una ciambella di salvataggio per le amministrazioni comunali che non rispettano i termini di legge per l’espletamento dei loro compiti istituzionali. Questa vota si
tratta di una vera e propria sanatoria per le decisioni, assunte tardivamente, sulla TARI relativa all’anno 2014.
La disposizione inserita nel “milleproroghe”, infatti, fa salve – in deroga alla norma contenuta nella Finanziaria 2007,
che impone agli enti locali di fissare tariffe e aliquote relative ai tributi di propria competenza entro il termine per l’approvazione del bilancio di previsione, pena la riconferma
degli stessi parametri utilizzati nell’anno precedente – le
delibere regolamentari e tariffarie in materia di rifiuti solidi
urbani adottate dai Comuni lo scorso anno fino al 30 novembre, ben oltre, quindi, il già pluri-prorogato termine del
30 settembre fissato per il via libera al bilancio di previsione
2014 (l’ordinaria scadenza del 31 dicembre dell’anno precedente - nel caso di specie, quindi, del 31 dicembre 2013
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POSTICIPATA AL 2016 L’IMPOSTA MUNICIPALE SECONDARIA
opo l’IMU, l’IMUS. Non dal 2015,
ma dall’anno prossimo. È slittata
di un altro anno (dopo il primo
differimento sancito dalla legge di stabilità per il 2014) l’introduzione dell’imposta municipale secondaria, già prevista per il 2014 dal decreto legislativo n.
23/2011, attuativo del federalismo fiscale municipale. Sempre che, ovviamente, venga emanato il necessario re-
D
golamento statale, senza il quale i Comuni non possono istituire autonomamente l’IMUS e sempre che, nel frattempo, non venga deciso di inglobare
l’istituenda nuova sigla, ancor prima
che venga alla luce, nell’annunciata local tax.
Per il momento, ciò che conta è che
restano operativi anche nel 2015 (cioè,
i Comuni possono continuare ad appli-
care ed esigere) i tributi destinati a
scomparire, perché accorpati e sostituiti
dall’IMUS: la tassa e il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche
(TOSAP e COSAP), l’imposta comunale
sulla pubblicità (ICP) e i diritti sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP),
l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.
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NOVITA’ LEGISLATIVE
LE NOVITA’ DEL MILLEPROROGHE
- è stata fatta slittare prima al 28 febbraio 2014 e, successivamente, al 30 aprile, al 31 luglio e, infine, al 30 settembre
2014; evidentemente, però, in alcune realtà, le attività degli
amministratori locali sono state talmente impegnative da
non consentire a sindaci & co. – nonostante l’esagerata dilatazione del tempo loro concesso – di ritagliarsi lo spazio
per decidere tempestivamente sulla monnezza).
Inoltre, viene espressamente specificato che le amministrazioni del tutto inadempienti, cioè che non hanno provveduto a deliberare neanche entro il 30 novembre, possono riscuotere il tributo sui rifiuti sulla base delle tariffe applicate per il 2013. Le eventuali differenze tra il gettito acquisito applicando le vecchie tariffe e il costo del servizio saranno recuperate nell’anno successivo.
Insomma, la toppa messa dal “milleproroghe” alle inefficienze degli enti locali ha una duplice finalità: da un lato
rendere valide le delibere comunali tardive, che avrebbero
potuto essere considerate inefficaci perché assunte oltre il
termine per l’approvazione del bilancio di previsione, dall’altro rendere incontestabile la scelta di aver applicato le tariffe in vigore nel 2013, che facevano riferimento ad un diverso tributo (Tares o Tarsu).
Infine, sempre a favore dei Comuni, ritorna al 100%, fino
al 2017, la quota di gettito a loro destinata per la partecipazione alla lotta all’evasione. Tale remunerazione – introdotta nel 2005 nella misura del 33%, fissata poi ordinariamente dal decreto sul federalismo fiscale nella misura del 50%
e innalzata al 100% per il solo triennio 2012-2014 – era
stata ritoccata al 55%, dall’ultima legge di stabilità, per gli
anni dal 2015 al 2017. Adesso, invece, per incentivare ulteriormente la partecipazione dei Comuni alle attività di accertamento fiscale e contributivo, è stato deciso di assegnare agli stessi enti locali, per l’anno in corso e i prossimi due,
le intere maggiori somme, relative a tributi statali, riscosse a
titolo definitivo, grazie al loro contributo all’accertamento.
DICHIARAZIONE IVA:
NUOVE SCADENZE RINVIATE
Stop (o, meglio, slittamento di un anno) per la decisione
assunta, non più tardi di due mesi fa, nella legge di stabilità:
le nuove modalità e la nuova tempistica per la presentazione della dichiarazione annuale IVA si applicheranno a partire da quella dovuta nel 2017 per l’anno 2016, non più da
quella del 2016 per l’anno 2015.
In pratica, cancellato l’obbligo della dichiarazione unificata (redditi + IVA), il modello relativo all’imposta sul valore
aggiunto dovrà viaggiare esclusivamente da solo e in grosso anticipo rispetto all’attuale scadenza del 30 settembre:
l’adempimento andrà effettuato entro il mese di febbraio.
La presentazione “accelerata” della dichiarazione annuale
comporterà l’effetto positivo di rendere inutile (e, quindi, di
eliminare) l’obbligo della comunicazione dati IVA che attualmente, in ossequio a disposizioni comunitarie, viene
trasmessa ogni anno, entro lo stesso mese di febbraio, per
consentire il calcolo delle “risorse proprie” che ciascun Stato membro deve versare al bilancio dell’Unione europea
(l’adempimento, quindi, l’anno prossimo andrà eseguito
per l’ultima volta).
PROROGATI GLI INCENTIVI
PER IL RIENTRO DEI CERVELLI
Prorogate fino al 31 dicembre 2017 le agevolazioni fiscali per favorire il rientro in Italia dei ricercatori esteri. Destinatari sono coloro che, nati dopo il 1° gennaio 1969 e con titolo di laurea conseguito alla data del 20 gennaio 2009,
hanno avuto residenza continua per almeno 24 mesi in Italia, hanno svolto ininterrottamente un’attività di lavoro dipendente, autonomo, o di impresa o un’attività di studio
conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream, fuori dal proprio Paese e dall’Italia per lo meno
negli ultimi 24 mesi, e che intendono avviare un’attività
d’impresa o di lavoro autonomo o dipendente, trasferendo
il proprio domicilio e la propria residenza in Italia entro tre
mesi dall’assunzione o dall’avvio dell’attività.
Il beneficio consiste nella riduzione, al 20% per le lavoratrici e al 30% per i lavoratori, della base imponibile ai fini
IRPEF riferita al reddito di lavoro dipendente, d’impresa o di
lavoro autonomo. Si decade dall’agevolazione se si trasferisce nuovamente la residenza o il domicilio fuori dall’Italia
prima che siano passati cinque anni dalla data della prima
fruizione del beneficio.
PRODUZIONE DI ENERGIA:
TASSAZIONE SOFT
Rinvio di un altro anno per l’operatività della norma in
base alla quale, già dal 2014, sarebbe dovuto cambiare il
regime di tassazione delle attività di produzione e cessione
di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonché di carburanti prodotti da coltivazioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate da
imprenditori agricoli, persone fisiche e società semplici. Secondo le nuove disposizioni, tali attività non si considerano
più “attività agricole connesse”, pertanto produttive di reddito agrario, definito su base catastale (rientrante cioè nel
reddito agrario attribuito al terreno, senza dar luogo ad un
onere fiscale aggiuntivo); l’imponibile va invece calcolato
applicando un coefficiente di redditività del 25% all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione ai fini Iva.
In pratica anche nel 2015 deve essere applicata la disciplina transitoria, più favorevole, dettata per il 2014. Prevale
ancora il concetto di attività agricole connesse, produttive di
reddito agrario (il regime catastale vale anche per carburanti e prodotti chimici derivanti prevalentemente dal fondo);
oltre quel limite, scatta l’applicazione del coefficiente di redditività del 25%.
SISMA IN EMILIA: RINVIATA LA RESTITUZIONE DEI FINAZIAMENTI
top automatico per dodici
mesi alla restituzione del
debito per quota capitale
da parte di coloro che hanno
contratto finanziamenti agevolati
S
per versare le imposte, i contributi previdenziali e assicurativi, i
premi per l’assicurazione contro
gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il cui pagamen-
to era stato sospeso nel periodo
dal 1° dicembre 2012 al 15 novembre 2013, in seguito al sisma
verificatosi nel 2012 in Emilia
Romagna.
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NOVITA’ LEGISLATIVE
ANTICIPI PIU’ RICCHI ALLE IMPRESE
NEGLI APPALTI PUBBLICI DI LAVORI
di ANDREA PICARDI
i sono buone notizie in arrivo per le aziende di
costruzione. La legge di conversione del cosiddetto decreto milleproroghe, il decreto numero
192 del 2014, introduce una novità che consentirà a
molti appaltatori di tirare un respiro di sollievo ed
avere più certezze sui pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. L’anticipazione del prezzo
degli appalti di lavori a favore delle imprese, sarà più
ricca e durerà più a lungo, grazie alle modifiche introdotte alla cosiddetta “legge del Fare”, la numero 98
del 2013.
Ma andiamo con ordine.
C
Cosa prevedeva
la “legge del fare”
Nell’estate del 2013, nella fase di conversione in legge
del “decreto del fare”, venne reintrodotta nel nostro ordinamento giuridico l’anticipazione contrattuale dell’importo
spettante agli appaltatori. Una disposizione accolta con entusiasmo dai rappresentanti del mondo imprenditoriale.
L’articolo 26 ter comma 1 della legge prevedeva che nel
caso di appalti di lavori aggiudicati con gara – esclusi dunque i contratti di servizi e forniture – le imprese avessero
diritto all’anticipazione del 10% del valore del contratto da
parte della stazione appaltante. Tale opportunità per le
aziende – secondo quanto previsto dalla legge numero 98
del 2013 – sussisteva però solo per un lasso di tempo predefinito, ossia per i contratti di appalto stipulati nell’arco
temporale intercorrente tra la data di entrata in vigore della legge (il 21 agosto 2013) e la data del 31 dicembre
2014.
Cosa cambia
con il “Milleproroghe”
La legge di conversione del decreto milleproroghe interviene sull’anticipazione del valore degli appalti con una
novità di sicuro favore per le imprese, andando a modificare quanto previsto dall’articolo 26 ter della legge numero
98 del 2013. Rimane confermata la limitazione ai soli appalti di lavori aggiudicati con gara.
Quindi, non c’è possibilità di alcuna anticipazione per
servizi e forniture, ma il “Milleproroghe” aggiunge al citato
articolo 26 ter della legge del Fare il nuovo comma 3 bis.
La modifica introdotta si riferisce sia ai tempi entro i quali
le imprese appaltatrici hanno diritto di ottenere l’anticipazione del contratto d’appalto, sia la percentuale della stessa anticipazione.
Cominciamo dal secondo punto, quello di maggiore interesse perché aumenterà l’importo effettivo che gli imprenditori potranno ottenere a titolo di anticipazione. Da
questo punto di vista, il nuovo comma 3 bis dell’articolo
26 ter della legge numero 98 del 2013 – come modificato
dalla legge di conversione del decreto milleproroghe – stabilisce che il valore dell’anticipazione è aumentato al 20%.
Dunque, le imprese appaltatrici di appalti di lavori potranno ottenere anticipatamente una cifra pari al 20% del va-
lore del contratto. Questo diritto però sarà limitato nel
tempo. Le aziende appaltatrici, infatti, potranno ottenere
tale anticipazione pari al 20% del valore dell’appalto di lavori, salvo ulteriori proroghe, soltanto per i contratti stipulati fino al 31 dicembre di quest’anno.
Peraltro, la legge di conversione del decreto milleproroghe non si limita a introdurre il nuovo comma 3 bis
dell’articolo 26 ter della legge del Fare ma ne modifica
pure il comma 1 (che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, ha previsto il diritto all’anticipazione
del 10% del valore del contratto, per gli appalti affidati
con gara entro il 31 dicembre 2014). Ebbene, da questo
punto di vista il milleproroghe modifica la data del 31
dicembre 2014, sostituendola con quella del 31 dicembre 2016. Da questa ulteriore riforma emerge dunque
come le imprese appaltatrici di appalti di lavori aggiudicati con gara abbiano diritto fino al 31 dicembre di quest’anno a un’anticipazione pari al 20% del prezzo del
contratto mentre fino al 31 dicembre del 2016 a un’anticipazione di valore più basso, pari al 10% dell’importo
del contratto medesimo.
Regole generali
e benefici per le imprese
Con l’incremento dell’importo dell’anticipazione, Governo e Parlamento hanno deciso di andare incontro alle esigenze di liquidità delle imprese, particolarmente
forti in questo periodo di crisi economica. D’altro canto
queste misure serviranno pure a compensare le nuove
regole fiscali previste dalla legge di stabilità del 2015,
con l’impossibilità di dedurre l’IVA sulle vendite.
L’anticipazione del prezzo dell’appalto a favore delle
imprese (come detto, prima introdotta dalla legge del Fare e ora estesa per tempi e valore dalla legge di conversione del decreto milleproroghe) sancisce il ritorno ma
solo in via temporanea, ad un sistema in vigore fino ad
una quindicina di anni fa, che poi è stato abbandonato in
quanto a volte fonte di distorsioni ed arricchimenti illegittimi da parte delle imprese, o di alcune di esse.
La norma prevede che venga concessa alle imprese
appaltatrici l’anticipazione non appena sia stato sottoscritto il contratto e siano iniziati effettivamente i lavori
, ma a prescindere dall’effettiva esecuzione di una parte dei lavori stessi. Ricordiamo, per comprendere meglio cosa cambi effettivamente con l’anticipazione, che
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NOVITA’ LEGISLATIVE
ANTICIPI PIU’ RICCHI ALLE IMPRESE
il sistema normale degli appalti prevede che il prezzo
sia pagato tramite acconti sul corrispettivo stabilito,
versati secondo gli stati di avanzamento periodico dei
lavori, certificati dall’ente appaltante, mentre il saldo
viene corrisposto alla fine dei lavori e dopo la redazione dello stato finale. Questa regola generale viene ora
derogata in quanto una parte del prezzo, il 20% come
dicevamo, viene versata ad inizio lavori, permettendo
quindi all’impresa di finanziarsi in anticipo e di “soffrire” di meno per far partire il lavoro, e poi nel caso che
ci siano ritardi nei pagamenti nella fase successiva in
corso d’opera.
Occorre precisare che la regola dell’anticipazione non
è rimessa alla facoltà discrezionale dell’ente che appalta, come inizialmente si voleva prevedere. Costituisce,
invece, un preciso obbligo e deve essere applicata sempre, ma solo per gli appalti che siano stati affidati a seguito di gare bandite dopo l’entrata in vigore della legge numero 98 del 2013, la legge di conversione del decreto del Fare, vale a dire a partire dal 21 agosto del
2013.
Quindi, nessuna anticipazione per i contratti già
stipulati, neppure se i lavori non sono ancora iniziati,
né per i bandi di gara pubblicati prima del 21 agosto, né infine, com’è naturale, per tutti i lavori già iniziati.
La legge fa obbligo di prevedere e pubblicizzare nei
bandi stessi la corresponsione in favore dell’appaltatore
dell’anticipazione. Questa previsione ha vigore, lo ripetiamo, per i bandi pubblicati dal 21 agosto 2013 al 31 dicembre 2015, salvo proroghe successive.
Dobbiamo anche precisare che, trattandosi di un anticipo, occorre poi scalarlo dai successivi pagamenti per
consentire all’amministrazione di recuperare quanto
versato in anticipo sui successivi pagamenti. A questo
proposito, nella legge del Fare, sono state inserite due
previsioni specifiche.
La prima prevede che nel caso di contratti di appalto
relativi a lavori di durata pluriennale, l’anticipazione va
compensata fino alla concorrenza dell’importo sui pagamenti effettuati nel corso del primo anno contabile.
Recupero
dell’anticipazione
L’anticipazione deve essere recuperata non su tutto
l’arco di durata del contratto, che può essere anche di
diversi anni, ma nel corso del primo anno, riducendo i
successivi pagamenti previsti nell’anno stesso di una
quota che alla fine dei dodici mesi deve consentire all’amministrazione di essere rientrata dell’anticipo effettuato e poi di proseguire con il normale ritmo dei pagamenti secondo la progressione dei lavori. E’ evidente
che questa previsione, inserita per esigenze di bilancio
soprattutto dei Comuni, limita notevolmente il vantaggio delle imprese di poter fruire dell’anticipo, tenuto
conto che vengono diminuiti i tempi di restituzione.
Dello stesso tenore è anche la seconda prescrizione
sul recupero dell’anticipazione, la quale prevede che
nel caso di contratti sottoscritti nel corso dell’ultimo trimestre dell’anno, l’anticipazione è effettuata nel primo
mese dell’anno successivo ed è compensata nel corso
del medesimo anno contabile. Anche in questa caso le
esigenze di bilancio hanno indotto il Parlamento a temperare i vantaggi per le imprese, che comunque riteniamo siano ugualmente interessanti in questo periodo di
crisi finanziaria.
PROROGA DEGLI SFRATTI, MA FINO A QUANDO?
rriva un nuovo rinvio per gli
sfratti. A prevederlo è un emendamento del Parlamento in sede di conversione in legge del decreto legge cosiddetto “Milleproroghe”
del dicembre scorso (D.L. 192/2014).
Vengono concessi quattro mesi di
tempo ai soggetti destinatari di un
provvedimento di rilascio per finita locazione che occupano immobili abitativi di rivolgersi al giudice per chiedere un differimento dell’esecuzione.
(Cioè i quattro mesi non si riferiscono
ai termini di proroga).
Destinatari del provvedimento sono quei conduttori con contratti scaduti e con un reddito annuo lordo
complessivo familiare inferiore a
27.000 euro, che siano o abbiano nel
proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali
o portatori di handicap con invalidità
superiore al 66 per cento. Ciò, sempreché non siano in possesso di altra
abitazione adeguata al nucleo familiare nella Regione di residenza.
Alle stesse condizioni di reddito e
A
di possidenza la proroga si applica
anche a quegli inquilini che hanno,
nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico.
Per beneficiare di questa sospensione è necessario che gli interessati
risiedano nei Comuni capoluogo di
provincia, nei Comuni con questi confinanti con popolazione superiore a
10.000 abitanti e nei Comuni ad alta
tensione abitativa (gli elenchi completi sono presenti sul sito www.confedilizia.it)
La sospensione non dovrebbe
operare, comunque, in danno del locatore che dimostrasse di trovarsi nelle condizioni richieste al conduttore
per beneficiare della sospensione
stessa ovvero nelle condizioni di necessità sopraggiunta dell’abitazione.
Così come non dovrebbe applicarsi ai
provvedimenti esecutivi disposti a seguito di disdetta del contratto da parte del locatore ai sensi dell’art. 3 della
legge 431/’98 (in pratica, alle locazioni che il locatore ha disdettato alla
prima scadenza per ragioni perlopiù
consistenti nell’intenzione di utilizzare
in proprio l’immobile).
Non si comprende poi se per il periodo di sospensione disposto dal
giudice – periodo in relazione al quale, peraltro, l’autorità giudiziaria si
può regolare come meglio crede, dato che la legge non fissa alcun limite
di durata massima del differimento –
permanga l’obbligo per il conduttore,
pena la decadenza dal beneficio, di
corrispondere al locatore – oltre all’Istat e agli oneri accessori - il canone
di locazione pattuito maggiorato del
20%. Dovrebbe ritenersi di sì in applicazione della regola generale di cui
art. 6, comma 6, legge 9.12.1998, n.
431. Mentre attraverso un parziale rimando alla vecchia normativa sul
blocco sfratti sembra possibile affermare che i locatori i quali, a causa
della sospensione, non possano procedere esecutivamente per il rilascio
del proprio immobile, abbiano la possibilità di escludere dall’imponibile, ai
fini Irpef, il reddito prodotto dal fabbricato.
Marzo 2015
22
NOVITA’ LEGISLATIVE
PROFESSIONISTI SENZA CASSA
BLOCCATO L’AUMENTO CONTRIBUTIVO
di DANIELE CIRIOLI
professionisti senza cassa la spuntano sull’Inps:
per ancora un anno, il 2015, non subiranno l’incremento dell’aliquota contributiva pagata alla Gestione Separata. L’ha deciso lo stesso Governo che,
nella conversione in legge dl c.d. Decreto Mille-proroghe (dl n. 192/2014), ha introdotto una norma che
conferma per il 2015 la stessa aliquota contributiva
del 27,72% pagata per il 2014 (anno per il quale, si ricorda, la stessa categoria dei senza cassa aveva già
ottenuto una deroga sull’aliquota contributiva nella
legge Stabilità) e riformulato le tappe di allineamento
al 33%. Si tratta di freelance, terapisti della riabilitazione, consulenti aziendali, tecnici informatici…; cioè
di tante e diverse categorie di professionisti con Partita Iva che, non avendo una Cassa di previdenza professionale di riferimento, sono obbligati a iscriversi e
a contribuire alla Gestione Separata dell’Inps.
I
La novità interessa soltanto i lavoratori “esclusivi” (o
“scoperti), quelli cioè che non svolgono già un’altra attività
di lavoro e per questo tenuti al versamento di contributi
previdenziali (per esempio come dipendenti, commercianti, artigiani, ecc.), e che non sono neppure già pensionati.
In sintesi, questi professionisti:
● per l’anno 2015 pagheranno ancora l’aliquota del
27,72% (la stessa dell’anno 2014);
● per l’anno 2016 pagheranno l’aliquota del 28,72%;
● per l’anno 2017 pagheranno l’aliquota del 29,72%;
● a partire dall’anno 2018 dovrebbero pagare l’aliquota
del 33,72%, la stessa degli altri iscritti alla Gestione separata, con un aumento di ben 4 punti percentuali (ma la scadenza è lontana e ci sarà tempo per pensare a nuove battaglie!).
Nessuna novità per gli altri lavoratori “esclusivi”, per i
quali dal 1° gennaio 2015 il contributo è salito di 2 punti
percentuali, né per gli altri lavoratori “non esclusivi”, per i
quali il rincaro è stato di un punto e mezzo percentuale:
nel primo caso l’aliquota contributiva è passata al 30,72
per cento e nel secondo caso al 23,5 per cento. L’Inps ha
illustrato le novità con la circolare n. 27/2015 ed è possibile, dunque, riassumere la disciplina e le regole di contribuzione valide per l’anno in corso e per quelli futuri (salvo
nuove deroghe).
Gli obbligati
al contributo
I lavoratori atipici per i quali ricorre l’obbligo assicurativo
nella cosiddetta gestione separata sono:
● i lavoratori autonomi (i cosiddetti professionisti senza
cassa) che esercitano la professione in modo abituale anche se non esclusiva;
● i collaboratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa sia come rapporto tipico che atipico;
➡
LA MARCIA VERSO IL 33%
Tipologia
lavoratori iscritti (1)
Professionisti (P. Iva) esclusivi
Collaboratori esclusivi
Associati e altri esclusivi
Professionisti (P. Iva) NON esclusivi
Collaboratori NON esclusivi
Associati e altri NON esclusivi
2014
27,72%
28,72%
28,72%
Aliquota contributiva, anno per anno
2015
2016
2017
27,72%
28,72%
29,72%
30,72%
31,72%
32,72%
30,72%
31,72%
32,72%
22,00%
23,50%
24,00%
24,00%
Dal 2018
33,72%
33,72%
33,72%
24,00%
1) Alla categoria dei “Professionisti” appartengono i lavoratori autonomi titolari di Partita Iva che svolgono attività professionali per le quali
non esiste una Cassa di previdenza di riferimento
2) E’ “esclusivo” il lavoratore non iscritto a nessun’altra forma di previdenza (per esempio perché dipendente o artigiano, commerciante,
ecc.) e né pensionato
LA RIPARTIZIONE DEL CONTRIBUTO
Periodo
Anno 2015
Elementi
Lavoratori privi
di tutela pensionistica
Lavoratori con altra tutela pensionistica
e lavoratori già in pensione
Aliquota versata
di cui a pensione
30,72% (1)
30,00% (2)
Co.co.pro. e co.co.co.:
Impresa = 20,48%
Lavoratore = 10,24%
Professionista (partita Iva) (1):
Professionista = 23,72%
Cliente = 4% (fattura)
Associazione partecipazione:
Associante = 16,90%
Associato = 13,82%
23,50%
23,50%
Co.co.pro. e co.co.co.:
Impresa = 15,67%
Lavoratore = 7,83%
Professionista (partita Iva):
Professionista = 19,50%
Cliente = 4% (in fattura)
Associazione partecipazione:
Associante = 12,92%
Associato = 10,58%
Ripartizione
dell’onere
contributivo
1) Aliquota 27,72% per i lavoratori autonomi, titolari di posizione fiscale ai fini Iva (c.d. professionisti “senza” cassa)
2) Aliquota 27% per i lavoratori autonomi, titolari di posizione fiscale ai fini Iva (c.d. professionisti “senza” cassa)
Marzo 2015
23
NOVITA’ LEGISLATIVE
PROFESSIONISTI SENZA CASSA
● gli incaricati delle vendite a domicilio;
● a partire dall’anno 2004, gli associati
in partecipazio-
ne.
Il contributo dovuto alla gestione separata Inps è calcolato in misura percentuale sul reddito determinato ai fini
Irpef, risultante dalle dichiarazioni annuali o dagli accertamenti definitivi, entro il tetto massimo contributivo annuo
(per l’anno 2014 è stato pari a fissato in 100.123 euro ed
è salito a 100.324 euro nel 2015, come confermato dall’Inps nella circolare n. 27 del 5 febbraio). L’aliquota di
contribuzione fu fissata, in origine, al 10 per cento; poi si
sono succeduti vari provvedimenti legislativi che ne hanno
modificato la misura ed anche il campo di applicazione.
La disciplina vigente distingue due categorie di soggetti
con diverse aliquote di contribuzione:
a) lavoratori senza altra copertura previdenziale obbligatoria né pensionati (cosiddetti collaboratori “esclusivi” oppure “scoperti”), che nel 2014 hanno pagato l’aliquota del
28,72 per cento, ad eccezione dei professionisti senza cassa che hanno pagato il 27,72%;
b) lavoratori già in possesso di altra copertura previdenziale obbligatoria o pensionati (cosiddetti collaboratori
“non esclusivi” oppure “coperti”), tenuti a pagare l’aliquota
del 22 per cento nell’anno 2014.
Dal 1° gennaio 2015 il contributo è salito di 2 punti alla
prima categoria, fatta eccezione per i professionisti senza
cassa, e di 1,5 punti alla seconda, cosicché si ha:
a) lavoratori “esclusivi” (o “scoperti”) tenuti a pagare l’a-
liquota del 30,72 per cento, fatta eccezione dei professionisti senza cassa che continuano a pagare il 27,72%;
b) lavoratori “non esclusivi” (o “coperti”), tenuti a pagare
l’aliquota del 23,5 per cento.
In ogni caso, una quota del contributo dei lavoratori
“esclusivi” (lo 0,72%) serve a finanziare le prestazioni assistenziali di malattia, maternità e assegni familiari; tutto il
resto è destinato alla pensione. Nel caso dei lavoratori
“non esclusivi”, invece, tutto il contributo è destinato alla
pensione.
La ripartizione
dell’onere
La legge prevede che l’onere contributivo sia sostenuto
non solo dal collaboratore, ma anche dal committente. In
particolare, per le collaborazioni coordinate e continuative
pure e per i venditori porta a porta, sia abituali sia occasionali, è prevista la ripartizione del contributo in misura pari
a 1/3 a carico del collaboratore e di 2/3 a carico del committente, che è obbligato ai versamenti.
Fa eccezione il rapporto di associazione in partecipazione, dove è previsto che il contributo sia ripartito nella misura del 55 per cento a carico dell’associante e del 45 per
cento a carico dell’associato.
I lavoratori autonomi/professionisti titolari di partita Iva,
invece, applicano una rivalsa sul cliente del 4%, caricandosi di tutto il resto dell’onere contributivo.
NUOVO FORFAIT FISCALE: ANCHE AGEVOLAZIONI CONTRIBUTIVE
rtigiani e commercianti che possono utilizzare il nuovo
regime fiscale agevolato introdotto dalla legge di Stabilità
per 2015 (il c.d. “nuovo forfait”) potranno versare i contributi all’Inps senza applicare il “minimale”. (Chi, invece, continuerà ad utilizzare ancora per il 2015 il vecchio regime agevolato dovrà applicarlo).
Tuttavia, chi vorrà utilizzare il vantaggio offerto dall’applicazione del “nuovo forfait” è tenuto a farne apposita richiesta all’Istituto. I soggetti titolari di azienda già attiva al primo gennaio
2015 per ottenere il vantaggio da quest’anno avrebbero dovuto presentare la domanda entro il 28 febbraio scorso. Le domande presentate dopo questa data varranno per l’anno prossimo. Chi invece inizia l’attività quest’anno, dovrà presentare
domanda subito, assieme alla richiesta di iscrizione alla gestione di competenza (artigiani o commercianti).
L’agevolazione previdenziale non è fruibile da tutti coloro
che aderiscono al “nuovo forfait”, ma solo da coloro che sono
tenuti a versare i contributi alla “Gestione artigiani e commercianti” (così è stabilito dal comma 77, nel richiamare l’art. 1,
comma 3, della legge n. 233/1990). I professionisti con cassa,
ad esempio, continueranno ad esser tenuti al pagamento dei
minimali, secondo le regole di ciascuna cassa, mentre i cosiddetti professionisti senza cassa da sempre non sono sottoposti
ad alcun minimale contributivo.
Detto questo, è opportuno tuttavia precisare che, sebbene
venga definita “agevolazione”, la disapplicazione del minimale
contributivo non ha solo pregi, ma pure difetti. Il pregio è quello di consentire di pagare contributi all’Inps sull’effettivo reddito
dichiarato ai fini fiscali, senza rispettare appunto il minimale
che per l’anno 2015 è di 15.548 euro. Il che vuol dire, in pratica, che chi guadagna meno di 15mila euro nel 2015, avvalendosi di questa agevolazione, non sarà tenuto a pagare contributi trimestrali (la c.d. “quota fissa”) calcolati dall’Inps su
15.548 euro reddito (è questo il fine del “minimale”). Il rovescio della medaglia (il difetto) è questo: i contributi versati in
misura inferiore a quella calcolata sul minimale, non danno diritto all’accredito di un anno intero di contributi.
A
COSÌ LA DOMANDA ALL’INPS
All’INPS di …………………………………
Oggetto: Domanda di accesso alle agevolazioni previdenziali previste dall’art. 1 commi 77-84 della L. 23 dicembre 2014, n. 190.
__L__ sottoscritt_______________________________, nat__ a
_________________ il __________, cod. fis. ________________________,
titolare dell’impresa iscritta al N° REA ______________ avente data di
inizio attività ___________________
chiede di avvalersi delle agevolazioni previdenziali previste dall’art. 1,
commi 77-84, della L. 23 dicembre 2014, n. 190.
A tal fine dichiara di essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 1,
comma 54 ss. della citata Legge n. 190/14.
__l__ sottoscritt__ dichiara di essere consapevole:
che l’agevolazione avrà effetto dalla data d’inizio attività, qualora trattasi di nuova iscrizione;
che l’agevolazione avrà effetto dal mese di gennaio dell’anno di presentazione della presente domanda, qualora trattasi di soggetto titolare di azienda già attiva, purché la presente richiesta venga presentata,
a pena di decadenza, entro il 28 febbraio dello stesso anno;
che, qualora la domanda sia presentata oltre il predetto termine, l’agevolazione per l’anno in corso non sarà riconosciuta;
che, ai sensi dell’art. 1 comma 80 e 81 legge n.190/2014, a coloro
che scelgono di usufruire dell’agevolazione non si applicano le disposizioni di cui all’art. 59, comma 15 della legge 27 dicembre 1997, n.
449, né si applica la riduzione contributiva di tre punti percentuali, prevista dall’art. 1, comma 2 della legge 2 agosto 1990, n. 233;
che, qualora venissero meno i requisiti previsti per usufruire dell’agevolazione, dovrà dare immediata comunicazione a codesto Istituto attraverso l’apposito modello;
_L__ sottoscritt__ _______________________________________,
consapevole delle responsabilità penali e degli effetti amministrativi
derivanti dalla falsità in atti e dalle dichiarazioni mendaci (così come
previsto dagli artt. 75 e 76 del D.P.R. n. 445 del 28.12.2000), ai sensi e
per gli effetti di cui agli artt. 46 e 47 del medesimo D.P.R. n. 445 del
28.12.2000
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NOVITA’ LEGISLATIVE
MAGGIORE TUTELA DEL CONSUMATORE
E CONCORRENZA: IL GOVERNO CI RIPROVA
di MARCO BIAGIOTTI
blocca-Italia, Cresci-Italia, DestinazioneItalia… Se ne sente parlare da anni e
ogni tanto i governanti di turno, più o
meno eccitati dal sacro fuoco delle cosiddette
liberalizzazioni (leggi concorrenza), si affannano a varare riforme epocali per favorire l’apertura dei mercati e garantire una migliore
tutela dei consumatori. Dopo quelle varate da
Bersani nel 1996 (le famose lenzuolate), da
Monti nel 2012 e da Letta nel 2013 (in gran
parte ancora da realizzare), tocca ora al governo Renzi tirar fuori dal cilindro un… fazzoletto di liberalizzazioni che promettono un
mercato dei servizi più trasparente e una sicura diminuzione dei costi a carico di cittadini
e imprese.
S
Il disegno di legge, firmato dalla ministra Guidi
e presentato in Consiglio dei Ministri il 20 febbraio scorso, era stato preceduto da un rumoroso
e consapevole battage mediatico che aveva permesso al governo di saggiare le reazioni dei settori
e delle categorie professionali maggiormente interessate alle novità in arrivo. Dopo di che, molte
norme dapprima annunciate in pompa magna, sono state precipitosamente ritirate al momento della presentazione ufficiale del provvedimento. E’ il
caso, ad esempio, della libera vendita dei farmaci
di fascia C (quelle non rimborsabili, ma con ricetta) anche nelle parafarmacie, pure con farmacista
laureato al banco, stralciata all’ultimo momento
per la ferma opposizione del ministro per la Salute e delle lobbies farmaceutiche; o della liberalizzazione dei servizi di taxi, travolta dalle proteste
eclatanti degli attuali possessori di licenze; o del
pacchetto di disposizioni sul riassetto delle attività
portuali, il cui accantonamento è stato suggerito
dallo stesso ministro delle Infrastrutture e dei trasporti per stemperare le forti polemiche divampate nel settore portuale e fra i sindacati di categoria; o delle contestatissime (dai diretti interessati)
norme sui conflitti di interesse nelle fondazioni
bancarie; ecc.
Per dovere di cronaca riferiamo di seguito sulle
principali disposizioni contenute nei 33 articoli
“superstiti” di cui si compone il testo del disegno
di legge trasmesso alle Camere. Occorre tuttavia
sottolineare che siamo in presenza di un progetto
molto complesso, sicuramente poco organico, il
cui cammino parlamentare è ancora tutto da scrivere, oltretutto in una fase che, a livello politico,
non sembra caratterizzata da grande armonia e
unità di intenti. Al netto dei lanci mediatici ad effetto, la verità è che per il momento si tratta di
norme scolpite sulla sabbia prima che arrivi l’alta
marea. Bisognerà vedere come molte di esse resisteranno alle bordate dei rappresentanti delle va-
rie lobbies schierate nelle aule del Parlamento. La
nostra impressione è che il percorso di questo disegno di legge si annuncia lungo e travagliato e
che, in ogni caso, il provvedimento che un giorno
leggeremo (se mai lo leggeremo) sulla Gazzetta
Ufficiale assomiglierà davvero poco a quello che
per adesso conosciamo in forma di prima ipotesi e
fra le cui pieghe proveremo, per singoli temi, ad
addentrarci.
TELEFONIA E SERVIZI POSTALI
Una breve, ma
interessante sezione del disegno di
legge è dedicata
alla modifica di alcune norme in materia di fornitura di
servizi di telefonia,
comunicazioni
elettroniche e audiovisivi. Si stabilisce innanzitutto che le spese relative al recesso o al trasferimento dell’utenza ad altro operatore telefonico devono essere “commisurati al valore del
contratto” e, in ogni caso, resi noti al consumatore al momento della sottoscrizione del contratto stesso, oltre che comunicati all’AGCOM
(Autorità garante per le comunicazioni). Viene
poi fatto obbligo agli operatori di telefonia, di
reti televisive e di comunicazioni elettroniche di
mettere a disposizione dei clienti che intendono recedere dal contratto o cambiare gestore
modalità “semplici e di immediata attivazione”,
nelle stesse forme utilizzabili per l’attivazione.
Con una modifica al decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 (“Attuazione della direttiva
97/67/CE concernente regole comuni per lo
sviluppo del mercato interno dei servizi postali
comunitari e per il miglioramento della qualità
del servizio”) viene abrogata a decorrere dal 10
giugno 2016 la norma che, “per esigenze di ordine pubblico”, affida in esclusiva a Poste Italiane s.p.a. il servizio di notifica degli atti giudiziari e delle multe. Coerentemente con lo spirito di impulso alla concorrenzialità che anima il
disegno di legge, Poste Italiane perderà dunque
l’antico monopolio che rendeva nulle le spedizioni di notifiche e sanzioni della pubblica amministrazione effettuate con servizi postali privati. In questo modo, inoltre, l’Italia potrà finalmente regolarizzare la propria posizione rispetto alle direttive europee in materia di servizi
postali, per effetto delle quali già 25 stati membri su 28 (oltre a noi, mancano all’appello soltanto Portogallo e Ungheria) hanno già provveduto ad effettuare la piena liberalizzazione.
➡
Marzo 2015
25
NOVITA’ LEGISLATIVE
MAGGIORE TUTELA DEL CONSUMATORE
ENERGIA E CARBURANTI
A partire dal 2018
(ma l’intenzione iniziale del governo, poi
accantonata, era di
anticipare la scadenza al 30 giugno
2015) verrà eliminato
il mercato tutelato
dei contratti per la
fornitura domestica di gas. Finirà così la disciplina transitoria della cosiddetta “maggior tutela”, a suo tempo
introdotta con l’avvio delle liberalizzazioni dei mercati
dell’energia elettrica e del gas, che consentiva agli
utenti domestici di gas nonché agli utenti domestici e
alle piccole imprese consumatrici di energia elettrica di
continuare ad essere approvvigionati alle condizioni
stabilite con cadenza trimestrale dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, qualora non
avessero scelto un fornitore sul mercato libero. Resta
ovviamente da verificare l’effettivo vantaggio per gli
utenti che, in nome della libertà di scelta, saranno obbligati ad abbandonare il regime protetto. Come segnalato da alcune associazioni di consumatori e come
(per altri aspetti) insegna l’esperienza italiana, non si
può certo escludere il rischio che l’apparente liberalizzazione finisca per favorire la costituzione di veri e propri trust in grado di controllare l’andamento dei prezzi
delle forniture, con buona pace della concorrenza e del
libero mercato. In ogni caso, il ddl prevede il monitoraggio dei prezzi nella fase precedente e successiva alla cessazione della disciplina transitoria dei prezzi, la
garanzia di adeguata informazione ai consumatori e
misure adeguate per facilitare la mobilità dei clienti.
Sempre in tema di energia, si segnala l’ampliamento
della portata una precedente disposizione introdotta
nel 2012 dal governo Monti, relativa alla liberalizzazione del mercato dei carburanti.
Con la modifica proposta viene rimosso senza condizioni l’obbligo - considerato discriminatorio nei confronti dei nuovi esercizi - di installare più tipologie di
carburanti, incluso il metano, per chi intende aprire un
nuovo impianto di distribuzione. La norma attualmente in vigore prevede che il vincolo di cui sopra possa
essere superato solo in un ristretto numero di casi,
quando cioè l’installazione comporti “ostacoli tecnici o
oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell’obbligo”.
AVVOCATI E NOTAI
Numerose le novità che riguardano
l’esercizio della professione forense.
Verranno estese anche agli avvocati le
norme che consentono la costituzione di
società (di persone,
di capitali o in forma cooperativa, anche con presen-
za di soci di capitale non professionisti) per l’esercizio
di attività professionali. Le società in parola dovranno
risultare iscritte in un’apposita sezione speciale del
relativo albo territoriale dell’ordine. Resta comunque
fermo il principio della personalità della prestazione
professionale e, in ogni caso, gli incarichi potranno
essere conferiti solo a soci professionisti in possesso
dei necessari requisiti professionali. E fra le varie modifiche che il governo conta di introdurre nella legge
che disciplina l’ordinamento della professione forense (legge 31 dicembre 2012, n. 247) mette conto segnalare l’obbligo da parte del professionista di fornire
al cliente – oltre alle informazioni circa il livello di
complessità dell’incarico e gli oneri ipotizzabili dal
momento del conferimento alla sua conclusione - la
“prevedibile misura” del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale (attualmente il preventivo scritto
non è obbligatorio, ma viene fornito solo dietro esplicita richiesta dell’assistito).
Più complesso e variegato appare il ventaglio di
interventi che riguardano l’ampliamento della concorrenza nell’esercizio della professione notarile. Attraverso una serie di modifiche alla legge che disciplina l’ordinamento del notariato (legge 16 febbraio
1913, n. 89) verrà ampliato il numero di notai per
ciascun distretto (l’aggiornamento viene fatto ogni
sette anni con decreto del Ministro della giustizia),
mantenendo inalterato il rapporto con la popolazione residente, ma eliminando il vincolo legato alla soglia minima di onorari professionali conseguiti negli
ultimi tre anni, ora pari a 50.000 euro; verrà estesa a
livello regionale (con possibilità di aprire un ufficio
secondario) la competenza a stipulare da parte dei
singoli notai; sarà consentito anche ai notai – al pari
degli altri professionisti – di attivare forme di pubblicità informativa della propria attività, purché nel rispetto delle indicazioni fornite dal regolamento sulla
riforma degli ordinamenti professionali (art. 4 del
D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137).
Ma la novità più significativa contenuta nel ddl – e
più bersagliata dalle critiche dei notai – è quella che
introduce la possibilità di effettuare con atto privato
le compravendite immobiliari relative a beni immobili a uso non abitativo (come, ad esempio, un box
➡
MODIFICHE AI FONDI PENSIONE
iene esteso l’obbligo per i datori di lavoro di continuare a versare i contributi di propria spettanza nei confronti dei lavoratori che trasferiscono la propria posizione assicurativa da un fondo pensione ad un altro: cosa
che prima poteva avvenire solo nei limiti e con le modalità
eventualmente stabilite dai contratti collettivi di lavoro.
Una conseguenza importante di tale innovazione (peraltro contestata da sindacati e imprenditori) è rappresentata
dalla possibilità per i lavoratori iscritti ai fondi pensione di
spostare la propria posizione da un fondo “chiuso” (istituito dalla contrattazione collettiva e riservato a una specifica
categoria di lavoratori) a un fondo “aperto” (gestito da
banche e assicurazioni) portandosi dietro anche il contributo aziendale.
V
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26
NOVITA’ LEGISLATIVE
MAGGIORE TUTELA DEL CONSUMATORE
auto) di valore catastale non superiore a 100.000
euro. Analoga possibilità, alternativa a quella tradizionale, è prevista per donazioni e per costituzioni o
modificazioni di diritti sui medesimi beni di cui sopra. L’autenticazione potrà essere effettuata da avvocati abilitati al patrocinio, che dovranno però essere
muniti di una polizza assicurativa almeno pari al valore del bene dichiarato nell’atto.
La stipula dell’atto notarile potrà inoltre essere evitata anche per la costituzione di SRL semplificate,
per le quali potrà essere utilizzata la scrittura privata
in alternativa a quella pubblica. Nel caso venga utilizzata la scrittura privata, resta a carico delle imprese il
deposito dell’atto costitutivo presso l’ufficio del registro delle imprese competente per territorio. Vengono infine definite le tipologie di contratti (trasferimento di quote sociali di SRL e costituzione di diritti
parziali sulle stesse) per la cui sottoscrizione sarà
possibile utilizzare alternativamente lo strumento
dell’atto pubblico, quello della scrittura privata e
quello della firma digitale, da trasmettere poi all’ufficio del registro delle imprese utilizzando gli appositi
modelli predisposti dal Ministero dello sviluppo economico. In quest’ultimo caso, il soggetto interessato
potrà avvalersi dell’assistenza di un intermediario accreditato presso la Camera di commercio (professionisti, associazioni datoriali o sindacali, agenzie).
SERVIZI BANCARI
Viene
previsto
l’obbligo per gli istituti bancari e per le
soci e t à di ca rt e di
credito di garantire
l’accesso ai propri
servizi di assistenza
clienti a costi telefonici non superiori rispetto alla tariffa ordinaria urbana. Spetterà all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni vigilare sulla
corretta applicazione di tale disposizione. In attuazione di una specifica direttiva europea, inoltre, si
preannuncia l’emanazione di un decreto interministeriale Economia / Sviluppo economico che individuerà i prodotti bancari di grande diffusione (conti
correnti o altro) rispetto ai quali i clienti potranno
confrontare i costi dei servizi offerti dai diversi istituti
attraverso un apposito sito internet, secondo termini,
modalità e criteri definiti.
Infine, per quanto riguarda la trasparenza nella
vendita di polizze assicurative e nella concessione di
mutui, viene ripresa una norma a suo tempo introdotta nell’ambito del pacchetto liberalizzazioni varato dal governo Monti con la quale era stato previsto
l’obbligo per le banche e per gli istituti finanziari,
qualora subordino l’erogazione di un mutuo immobiliare o di un finanziamento alla stipula di una polizza-vita, di sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili alle stesse banche (o istituti finanziari) erogatori del mutuo o del credito. Ora tale disposizione viene implementata dalla previsione di una sanzione da
parte dell’IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private) a carico delle banche e degli istituti
di credito inadempienti. E comunque, le banche, gli
istituti di credito e gli intermediari finanziari saranno
tenuti ad informare il cliente che richiede un finanziamento della possibilità di reperire sul mercato la
polizza-vita richiesta.
INGEGNERI ASSOCIATI
Il disegno di legge
sulla concorrenza reca l’interpretazione
autentica della norma sull’abrogazione
del divieto (previsto
in una vecchia legge
del 1939) di svolgere
attività professionale
in forma associata,
contenuta nella legge 7 agosto 1997, n. 266. Superando una annosa incertezza applicativa, che ha anche generato un notevole contenzioso giudiziario, si
ribadisce che le società di ingegneria (di capitali o
cooperative) possono assumere commesse da soggetti privati e si riconosce la piena legittimità dei
contratti di fornitura di servizi di progettazione a
committenti privati da parte di società di ingegneria
stipulati a decorrere dall’entrata in vigore della legge
7 agosto 1997, n. 266. Ma si tratta di una scelta che,
ovviamente, non piace ai liberi professionisti, i quali
temono in questo modo di vedersi sottrarre una parte consistente del loro potenziale campo d’azione.
SOCIETA’ DI CAPITALI
ANCHE NELLE FARMACIE
Accantonato almeno per il momento il
tema (politicamente
incandescente) della
libera vendita dei
farmaci di fascia C al
di fuori delle farmacie, il governo promette di estendere
anche alle società di capitali la titolarità dell’esercizio delle farmacie stesse, oggi riservata solo alle
persone fisiche, alle società di persone e alle società cooperative a responsabilità limitata.
Scompare l’obbligo per i soci di essere farmacisti
iscritti all’albo, anche se tale requisito resta confermato per chi assume la direzione della farmacia.
Ma la novità più clamorosa è forse rappresentata
dall’abolizione del limite massimo di farmacie (attualmente 4) di cui può essere titolare ciascuna società. Una liberalizzazione, quest’ultima, che aprirebbe le porte all’ingresso di grosse società, anche
internazionali, nel mercato della distribuzione farmaceutica e spianerebbe la strada per la creazione
di grandi catene di vendita in grado di muovere
enormi capitali.
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NOVITA’ LEGISLATIVE
MAGGIORE TUTELA DEL CONSUMATORE
MOLTE NOVITA’ NEL SETTORE ASSICURATIVO
ampio pacchetto RCA prevede,
innanzitutto, l’obbligo per gli
agenti assicurativi di fornire ai
propri clienti, prima della sottoscrizione di un contratto di assicurazione
obbligatoria, il panorama completo
delle offerte di tutte le imprese di cui
sono mandatari, a cui dovrà fare riscontro (a pena di nullità del contratto) la dichiarazione scritta da parte
del cliente di averne preso visione.
Ma le novità più interessanti, su cui si
sono maggiormente concentrate le
attenzioni dei commentatori, riguardano gli sconti obbligatori sulla polizza RC auto, genericamente
definiti “significativi” (l’effettivo ammontare é lasciato, come vedremo fra poco, alla discrezionalità delle assicurazioni), che le
compagnie applicheranno verso i clienti che, all’atto della stipulazione del contratto o del suo rinnovo, accetteranno una o più
delle seguenti clausole:
a) sottoporre il veicolo a ispezione preventiva;
b) installare una “scatola nera” che registri l’attività del veicolo;
c) installare dispositivi che impediscano l’avvio del motore in
caso di tasso alcolemico del guidatore superiore i limiti di legge
consentiti;
d) rinunciare, in deroga alle previsioni del codice civile, alla
cedibilità dei crediti per risarcimento dei danni derivanti da circolazione stradale senza il consenso dell’assicuratore tenuto al
risarcimento (ipotesi già a suo tempo ventilata nell’ambito del
decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, c.d. “Destinazione Italia”, ma poi stralciata dal testo definitivo del provvedimento per
le forti proteste delle associazioni dei consumatori);
e) accettare, in alternativa al risarcimento in denaro, la riparazione dei danni subiti presso officine e carrozzerie convenzionate con la compagnia, con una garanzia non inferiore a due
anni (misura che, peraltro, ha subito suscitato le vibranti proteste delle associazioni dei carrozzieri);
f) comunicare, in caso di riparazione effettuata presso officine e carrozzerie non convenzionate, le informazioni relative al
soggetto che effettuerà la riparazione e accettare la verifica preliminare della compagnia assicuratrice per la stima dell’ammontare del danni.
All’atto del preventivo, le compagnie assicuratrici quantificheranno l’entità degli sconti per ciascuna delle predette clausole. E’ da notare che il costo dell’installazione della scatola nera e dell’etilometro saranno sostenuti direttamente dai proprietari dei veicoli. Si tratta di una virata a 180 gradi rispetto a
quanto previsto dal decreto-legge “Cresci Italia” n. 1 del 24
gennaio 2012, mai applicato per questo aspetto, secondo cui il
costo della scatola nera avrebbe dovuto gravare sulle compagnie assicuratrici. In compenso, il nuovo ddl prevede che l’assicurazione sarà comunque tenuta a praticare uno sconto superiore alla spesa sostenuta dall’assicurato per l’installazione, sostituzione e funzionamento degli apparecchi di cui sopra. Peraltro, scatole nere ed etilometri costituiranno nei procedimenti
civili “piena prova dei fatti a cui si riferiscono”, a meno che la
controparte non ne dimostri il mancato funzionamento o la
manomissione.
L’
Lotta alle false testimonianze
In tema di trasparenza, va segnalata la disposizione che obbliga le compagnie a richiedere lo stesso premio nei confronti
degli assicurati che presentano le medesime caratteristiche di
rischio nell’ambito della stessa classe di merito, indipendentemente dalla durata del rapporto assicurativo. Nel caso di variazione peggiorativa della classe di merito a seguito di incidenti,
inoltre, gli incrementi del premio assicurativo saranno più leggeri per gli assicurati che hanno a bordo la “scatola nera”.
Interessanti anche le disposizioni mirate a scoraggiare le false testimonianze: nel caso di sinistri con soli danne a cose, l’indicazione dei testimoni presenti sul luogo dell’incidente dovrà
essere comunicata alla compagnia
assicuratrice entro il termine di presentazione della denuncia del sinistro (ossia, entro 3 giorni), pena l’inammissibilità della prova testimoniale e fatte salve le risultanze contenute nei verbali delle autorità di polizia.
Brutte notizie in arrivo anche per i
testimoni di professione: nelle controversie civili le parti potranno infatti
segnalare al giudice (anche utilizzando a tal fine la banca dati già esistente presso l’Istituto di vigilanza sulle
assicurazioni private – IVASS) i nominativi dei testimoni già
chiamati in più di tre cause negli ultimi cinque anni (esclusi ovviamente gli ufficiali e gli agenti di polizia), i quali saranno fatti
oggetto di specifica informativa alla Procura della Repubblica.
E sempre a proposito di trasparenza, si segnala l’introduzione dell’obbligo per le compagnie di consentire – a richiesta
dell’assicurato – la risoluzione dei contratti di assicurazione dei
rischi accessori alle stesse scadenze dell’assicurazione principale per responsabilità civile.
Tabella unica per i risarcimenti
Per quanto riguarda i risarcimenti per lesioni permanenti di
grave entità, la bozza del ddl Guidi prevede che con un apposito decreto, sia predisposta una tabella (unica per tutto il territorio nazionale) delle menomazioni superiori ai 10 punti di invalidità e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto
di invalidità, comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso. Gli importi indicati nella tabella, soggetti a revisione annuale, potranno essere incrementati dal giudice fino al 40% “con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”. Anche per
le lesioni permanenti di lieve entità (fino a un massimo di 9
punti di invalidità) dovrà essere emanato un decreto del Presidente della Repubblica recante la tabella delle menomazioni,
mentre l’importo – da aggiornare annualmente - sarà calcolato
in base ai coefficienti indicati.
Si prevede inoltre l’introduzione di una serie di misure innovative in tema di trasparenza delle procedure di risarcimento.
Ad esempio, in caso di cessione del credito derivante dal diritto
al risarcimento danni, per ottenere il rimborso delle spese di riparazione dei veicoli danneggiati è previsto l’obbligo di presentazione della fattura emessa dall’impresa di autoriparazione.
Inoltre, chi subisce un danno da un assicurato che ha sottoscritto con la propria assicurazione la clausola relativa al “risarcimento in forma specifica” (ossia, riparazione del danno presso
officine convenzionate con la propria compagnia) potrà far riparare il veicolo presso un’officina diversa, ma gli importi a titolo di risarcimento saranno versati direttamente all’autoriparatore che ha svolto l’intervento, previa presentazione di fattura.
In caso di mancata riparazione del veicolo, il risarcimento
sarà corrisposto direttamente al soggetto danneggiato previa
quantificazione dei costi di riparazione effettuata presso le officine convenzionate con la compagnia. In ogni caso, l’entità del
risarcimento non potrà essere superiore al valore di mercato
del veicolo, incrementata delle eventuali spese di demolizione
e immatricolazione di altro veicolo.
Fra gli altri interventi in materia assicurativa contenuti nel disegno di legge, vale la pena di ricordare l’elevazione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dell’importo minimo di copertura dei
danni a persone e cose nei confronti dei veicoli di grosse dimensioni per il trasporto persone: importo che verrà poi ancora
raddoppiato a decorrere dal 1° gennaio 2017.
Infine, vengono attribuiti all’IVASS (Istituto di Vigilanza sulle
assicurazioni private) poteri di vigilanza e di controllo sul rispetto di tutte le nuove disposizioni introdotte, con particolare riguardo a quelle relative alla riduzione dei premi assicurativi e al
rispetto degli obblighi di pubblicità e di comunicazione in fase
di offerta contrattuale.
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NOVITA’ LEGISLATIVE
AFFITTO CON RISCATTO
COSI’ LA TASSAZIONE
di ANNALISA D’ANTONIO
a norma che ha introdotto i cosiddetti contratti
“rent to buy”, cioè affitto con riscatto (articolo 23
del decreto legge n. 133/2014, “Sblocca Italia”)
non contiene le necessarie indicazioni sul trattamento tributario da applicare (vedi “leggi illustrate” di
febbraio 2015, a pag. 14). Per sopperire al silenzio
della legge l’Amministrazione finanziaria ha prodotto
un dettagliato documento (circolare 4/E del 19 febbraio 2015), in cui definisce la disciplina fiscale da
applicare a questi contratti (“contratti di godimento
in funzione della successiva alienazione di immobili”), sia ai fini delle imposte dirette che di quelle indirette.
Il nuovo tipo di contratto - lo ricordiamo - si caratterizza fondamentalmente, per tre aspetti: l’immediata concessione in godimento di un immobile a fronte
del pagamento di canoni (in pratica, una locazione); il
diritto del conduttore di acquistare il bene entro un
certo intervallo di tempo; in caso di esercizio di tale
diritto, l’imputazione di una quota dei canoni pagati espressamente specificata nel contratto - a scomputo
del prezzo fissato per il trasferimento della proprietà
dell’immobile.
Il documento dell’Agenzia delle Entrate parte da un
principio cardine: all’interno del canone corrisposto
dal conduttore/locatore al concedente/proprietario
vanno distinte due diverse quote, una che ha natura
propriamente di canone di locazione (da tassare come tale) e l’altra che ha natura di anticipazione del
corrispettivo pattuito per la futura cessione dell’immobile e che deve essere trattata come un acconto
sul prezzo finale.
L
In particolare, la circolare, distinguendo le ipotesi in cui il
concedente agisce in regime di impresa da quelle nelle
quali concedente è invece un soggetto privato che non
agisce in regime di impresa, chiarisce il trattamento da applicare:
● alla quota di canone corrisposta per il godimento
dell’immobile;
● alla quota di canone corrisposta a titolo di anticipazione del corrispettivo per l’acquisto;
● al successivo trasferimento dell’immobile;
● alle somme restituite, in caso di mancata conclusione
del contratto di compravendita per omesso esercizio del
diritto di acquisto da parte del conduttore ovvero di risoluzione per inadempimento dello stesso conduttore o del
concedente.
Trattamento del canone
se il concedente
è un’impresa
Imposte
sui redditi e IRAP
Quando il soggetto che concede in godimento l’immobile è un’impresa, la stessa, durante il periodo di locazione,
relativamente alla quota di canone pagata per il godimento dell’immobile, deve determinare il reddito d’im-
presa secondo le ordinarie regole in uso per le locazioni.
Pertanto:
● per gli immobili merce (cioè, quelli alla cui realizzazione o vendita è diretta l’attività dell’impresa, ad esempio gli
immobili - costruiti o fabbricati per la vendita - delle società edili di costruzione o ristrutturazione oppure gli immobili acquistati per la rivendita da parte di società di
compravendita immobiliare) e gli immobili strumentali per
natura (cioè quelli – accatastati come A/10 o nei gruppi B,
C, D, E – che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, anche quando sono dati in locazione o comodato), deve fare
riferimento alla data di maturazione dei corrispettivi, risultando irrilevante il fatto che siano stati stabiliti dei corrispettivi periodici o un corrispettivo unico (articolo 109,
comma 2, del TUIR);
● per gli immobili patrimonio (cioè quelli che non rientrano nelle due precedenti categorie in quanto acquisiti dalle imprese a titolo di investimento e non per essere utilizzati quali beni strumentali per l’attività), deve mettere a confronto il canone di locazione, ridotto delle spese di manutenzione ordinaria sostenute, comunque entro il 15% del
canone stesso, e la rendita catastale (articolo 90 del TUIR).
Invece, la parte di canone destinata ad acconto sul
prezzo di vendita non genera reddito: il concedente deve
contabilizzare queste somme come debiti verso il conduttore.
Le stesse considerazioni valgono anche ai fini dell’IRAP.
Le regole
sull’IVA
La quota dei canoni pagati per il godimento dell’immobile va trattata come un normale canone di locazione.
Se si tratta di fabbricati abitativi, la loro locazione, in via
generale, è un’operazione esente dall’imposta sul valore
aggiunto, a meno che il locatore sia un’impresa costruttrice
o di ripristino che, nello stesso contratto di godimento,
eserciti l’opzione per il regime di imponibilità. Anche alla
locazione di fabbricati strumentali si applica il regime di
esenzione; in questo caso, però, la possibilità di optare per
l’imponibilità è riconosciuta a tutti i soggetti passivi, non
soltanto alle imprese di costruzione e di ripristino.
Per quanto riguarda la quota di canone pagata come
acconto sul successivo acquisto del bene, si applica lo
stesso trattamento IVA riservato ai corrispettivi per le cessioni degli immobili abitativi e strumentali. In sostanza:
➡
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NOVITA’ LEGISLATIVE
AFFITTO CON RISCATTO
● per i fabbricati ad uso abitativo, vige in via generale
il regime di esenzione, tranne quando a vendere è l’impresa di costruzione o di ripristino entro cinque anni dalla loro
costruzione o dalla fine degli interventi di recupero (dopo
il quinquennio, l’imponibilità diventa un’opzione);
● anche alle cessioni di fabbricati strumentali si applica l’esenzione quale regime naturale, con imponibilità obbligatoria per quelle effettuate da imprese di costruzione o
di ripristino entro cinque anni dalla fine dei lavori e su opzione anche da parte di altre tipologie di imprese.
Quando l’operazione è imponibile, alla quota di canone
pagata come acconto si applicano le seguenti aliquote:
● 4%, se il futuro acquirente dichiara di poter fruire dei
benefici “prima casa” e l’unità abitativa (anche in corso di
costruzione) è classificata (o classificabile) in una categoria
catastale diversa da A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8
(abitazioni in ville) o A/9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici);
● 10%, se si tratta degli stessi immobili di cui al punto
precedente, ma senza l’applicazione dei benefici “prima
casa”;
● 22%, se si tratta di immobili accatastati nelle categorie
A/1, A/8 e A/9 o di immobili strumentali.
misura proporzionale dell’1%, a prescindere dal regime
IVA di esenzione o di imponibilità (si tratta di una deroga
al principio di alternatività IVA/Registro).
Le quote di canone da imputare a corrispettivo di
vendita, soggette ad IVA, scontano l’imposta di registro
nella misura fissa di 200 euro.
Trattamento del canone
se il concedente
è un privato
Imposte
sui redditi
Per i proprietari/concedenti che non operano in regime
di impresa, soltanto le quote dei canoni previste per il godimento dell’immobile rappresentano redditi di fabbricati
e devono, pertanto, essere assoggettate all’imposta sul
reddito delle persone fisiche (IRPEF) secondo le regole ordinarie dettate per le locazioni dal Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR): il reddito imponibile è rappresentato
dal canone ridotto forfetariamente del 5%, se superiore alla rendita catastale.
In presenza delle condizioni necessarie, è possibile optare per il regime della cedolare secca, in base al quale, in
luogo della tassazione IRPEF ordinaria con aliquote progressive, si applica, sulla cifra pattuita (senza alcun abbattimento), un’imposta sostitutiva con aliquota fissa (del 21%
ovvero del 10%, in caso di contratto a canone concordato
nei comuni ad alta tensione abitativa o nei comuni colpiti
da calamità naturali e per i quali è stato dichiarato lo stato
di emergenza). In caso di opzione per la cedolare secca,
non sono dovute né l’imposta di registro né l’imposta di
bollo.
Registrazione
dei contratti
I contratti di “rent to buy” devono essere registrati nel
termine fisso di 30 giorni dalla data della loro formazione,
in qualsiasi caso, sia se formati per scrittura privata sia se
formati per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Nel periodo precedente l’esercizio del diritto di acquisto
da parte del conduttore, sono rilevanti entrambe le quote
del canone, sia quella per la concessione in godimento
dell’immobile sia quella destinata ad acconti di prezzo per
la vendita dell’immobile.
L’imposta corrisposta sulla quota di canone per il godimento dell’immobile, che può essere assolta anno per
anno sull’ammontare del canone relativo a ciascun anno
ovvero in un’unica soluzione sul corrispettivo pattuito per
l’intera durata del contratto, è assimilata a quella dovuta
per gli ordinari canoni di locazione; pertanto:
● per i fabbricati abitativi, è dovuta nella misura del
2%, se il contratto è esente da IVA; viceversa, in caso di
applicazione dell’IVA, si paga in misura fissa (67 euro i
contratti stipulati per scrittura privata, 200 euro quelli formati per scrittura privata autenticata o redatti in forma
pubblica);
● per gli immobili strumentali, è dovuta sempre nella
Imposta
di registro
Anche per i proprietari/concedenti privati, cioè che non
agiscono in regime di impresa, la quota di canone per il
godimento dell’immobile va trattata come un normale
canone di locazione, quindi, applicando l’imposta di registro nella misura proporzionale del 2%, sia con riferimento
agli immobili strumentali che abitativi (tenendo presente
che non è dovuta, se si applica la cedolare secca), e con la
possibilità di pagare annualmente sull’ammontare del ca-
➡
RENT TO BUY: TRATTAMENTO DEL CANONE
(Concedente che agisce in regime di impresa)
Tipologia di fabbricati
Abitativi
Strumentali
IVA
Esente
Registro
(1)
2%
Imponibile (2)
67 euro (3) o 200 euro (4)
Esente (1)
1%
Imponibile (5)
1%
(1) Regime naturale
(2) Su opzione, soltanto se si tratta di impresa costruttrice o di ripristino
(3) In caso di contratto formato per scrittura privata
(4) In caso di contratto formato per scrittura privata autenticata o pubblico
(5) Su opzione, possibile per qualsiasi soggetto passivo, non solo imprese costruttrici o di ripristino
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NOVITA’ LEGISLATIVE
AFFITTO CON RISCATTO
9% per gli altri fabbricati), più le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna.
Invece, per le cessioni di immobili strumentali, siano esse imponibili IVA o esenti, l’imposta di registro è dovuta
nella misura fissa di 200 euro. In più, per gli atti relativi ad
immobili strumentali, che rientrano nel campo di applicazione dell’IVA, si applicano anche l’imposta ipotecaria al
3% e quella catastale all’1%.
none relativo a ciascun anno oppure tutto insieme per l’intera durata contrattuale.
Invece, sulla quota di canone da imputare a corrispettivo di vendita, va pagata l’imposta proporzionale
del 3%.
La cessione
se il venditore
è un’impresa
La cessione
se il venditore
è un privato
Imposte
sui redditi e IRAP
Se il conduttore esercita il diritto di acquisto e si procede al trasferimento di proprietà del bene, per il concedente titolare di reddito d’impresa si genera un componente
positivo di reddito, ricavo o plusvalenza, a seconda della tipologia di immobile. Pertanto concorrono alla formazione
del reddito:
● il corrispettivo derivante dalla cessione al lordo degli
acconti, in caso di immobili merce (ricavo);
● la differenza tra prezzo di cessione al lordo degli acconti e costo fiscale dell’immobile (plusvalenza), nell’ipotesi di immobili strumentali o di immobili patrimonio.
Le stesse somme valgono per l’IRAP.
Imposte
sui redditi
Il corrispettivo ricevuto dal proprietario che non agisce
in regime d’impresa per la vendita dell’immobile è rilevante ai fini delle imposte dirette soltanto nel caso in cui la
cessione avvenga prima che siano passati cinque anni
dall’acquisto o dalla costruzione. Solo in tale circostanza,
infatti, la plusvalenza realizzata si configura quale “reddito
diverso” (articolo 67 del TUIR) ed è in questo caso che, in
quanto parte del corrispettivo del trasferimento, diventano
imponibili anche le quote del canone imputate ad acconto
prezzo, irrilevanti invece durante tutto il periodo di godimento dell’immobile.
Le regole
IVA
Registro,
ipotecaria e catastale
Se il contratto di “rent to buy” arriva regolarmente a conclusione, ossia il locatore esercita il diritto di acquisto dell’immobile e si provvede al trasferimento di proprietà, la base
imponibile è rappresentata dal prezzo della cessione meno
gli acconti sulla vendita pagati fino a quel momento dal conduttore (non anche i canoni versati per il godimento).
Il trattamento IVA da applicare è quello visto in precedenza per gli acconti sul prezzo.
Al momento della cessione dell’immobile, il relativo atto
di trasferimento è assoggettato all’imposta proporzionale
di registro (2% per la prima casa, 9% per gli altri fabbricati), e alle imposte ipotecaria e catastale nella misura di euro 50 ciascuna.
La base imponibile è rappresentata dal corrispettivo pattuito ovvero, ricorrendone le condizioni (cioè in caso di
cessione: soggetta a imposta di registro e non ad IVA;
avente ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze; in cui l’acquirente è una persona fisica che non
agisce nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o pro-
Registro,
ipotecaria e catastale
➡
Al momento dell’acquisto, per i fabbricati abitativi esenti, si applica l’imposta di registro con le aliquote ordinariamente previste per i trasferimenti (2% per la prima casa,
RENT TO BUY: TRASFERIMENTO DELL’IMMOBILE.
(Venditore che agisce in regime di impresa)
Tipologia
di fabbricati
Prima casa
(1)
Esente
(2)
4%
Fabbricati abitativi di(1)
versi dalla prima casa
Strumentali
IVA
(5)
Esente
10%
(3)
(2)
o 22%
Esente
22%
(2)
(4)
Registro
Ipotecaria
Catastale
2%
50 euro
50 euro
200 euro
200 euro
200 euro
9%
50 euro
50 euro
200 euro
200 euro
200 euro
200 euro
3%
1%
200 euro
3%
1%
(1) L’acquisto di un fabbricato abitativo sconta l’IVA quando si compra dall’impresa di costruzione o di ripristino entro cinque anni dalla fine dei lavori oppure quando, pur avvenendo successivamente, l’impresa opta per l’imponibilità nell’atto di cessione
(2) Regime naturale
(3) Se si tratta di case di abitazione (anche in corso di costruzione) classificate o classificabili in categorie diverse da A/1, A/8 e A/9
(4) Se si tratta di case di abitazione (anche in corso di costruzione) classificate o classificabili in una delle categorie A/1, A/8 e A/9
(5) L’acquisto di un fabbricato strumentale sconta obbligatoriamente l’IVA quando si compra dall’impresa di costruzione o di ripristino
entro cinque anni dalla fine dei lavori oppure su opzione, anche da imprese diverse da quelle di costruzione o di ripristino
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NOVITA’ LEGISLATIVE
AFFITTO CON RISCATTO
RENT TO BUY: TRASFERIMENTO DELL’IMMOBILE
(Venditore che non agisce in regime di impresa)
Tipologia di fabbricati
Prima casa
Fabbricati diversi dalla prima casa
IVA
Fuori campo
Fuori campo
fessionali), dal prezzo-valore, cioè dal valore dell’immobile
in base al catastale.
Dall’imposta di registro dovuta per il contratto definitivo
di trasferimento va scomputata quella pagata in acconto;
se questa dovesse risultare superiore per il contratto definitivo, spetta il rimborso della maggiore imposta versata.
Mancata cessione
definitiva e restituzione
degli acconti
Dal punto di vista civilistico, è previsto che nel contratto
di “rent to buy” le parti devono indicare la quota dei canoni imputata a corrispettivo che deve essere restituita nel
caso in cui il conduttore non eserciti il diritto di acquisto.
Inoltre, è stabilito che:
● in caso di risoluzione per inadempimento del concedente, quest’ultimo deve restituire al conduttore la parte
dei canoni imputata a corrispettivo, maggiorata degli interessi legali;
● in caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell’immobile
e fa definitivamente propri, a titolo di indennità, gli interi
canoni, a meno che nel contratto non venga specificato diversamente.
Trattamento fiscale
per il concedente impresa
Ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, in caso di
mancato esercizio del diritto di acquisto, la proprietà
del bene non si trasferisce e, per il concedente, non si
concretizza alcun ricavo o plusvalenza da far confluire nel
reddito d’impresa. Solo nel caso in cui nel contratto sia
stato stabilito che una quota dei canoni versati in acconto
sul prezzo venga trattenuta dal concedente, per lo stesso
questa somma rappresenta un componente positivo rilevante sia nella determinazione del reddito d’impresa sia
ai fini IRAP.
Anche in caso di risoluzione per inadempimento del
concedente, circostanza che comporta la restituzione al
conduttore della parte dei canoni imputata al prezzo di
acquisto maggiorata degli interessi legali, non si concretizza alcun ricavo o plusvalenza per il concedente; quest’ultimo, inoltre, potrà considerare nella determinazione del
reddito d’impresa, come interessi passivi, gli interessi legali che è tenuto a corrispondere al conduttore.
Infine, nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento
del conduttore, si producono gli stessi effetti fiscali previsti in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto: nessun ricavo o plusvalenza rilevante per il reddito d’impresa
(e ai fini IRAP), se non la quota di acconto versata dal
conduttore durante la locazione, che non deve essere restituita.
Ai fini IVA, in caso di mancato esercizio del diritto di
acquisto e conseguente restituzione al conduttore della
quota versata a titolo di acconto sul prezzo, il proprietario
Registro
2%
9%
Ipotecaria
50 euro
50 euro
Catastale
50 euro
50 euro
deve emettere una nota di variazione con riferimento all’ammontare complessivo versato dal conduttore a titolo
di acconto, cioè sia per la parte che è restituita sia per la
parte che - al contrario - è trattenuta, in quanto, venendo
a mancare la cessione, viene meno anche il presupposto
per l’applicazione dell’IVA sugli acconti versati.
Tuttavia, se una quota dei canoni versati in acconto sul
prezzo è contrattualmente trattenuta dal concedente, la
stessa, nel momento in cui non viene esercitato il diritto
di acquisto, cambia natura, assumendo quella di corrispettivo per l’esercizio del diritto riconosciuto al conduttore (ma di fatto non esercitato); di conseguenza, va ugualmente assoggettata ad IVA, ma con l’aliquota ordinaria
(attualmente, al 22%), come una qualsiasi prestazione di
servizi (articolo 3 del DPR n. 633/1972).
In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, quest’ultimo restituisce la parte dei canoni imputata al corrispettivo (maggiorata degli interessi legali) e
deve emettere una nota di variazione per gli importi restituiti.
Infine, in caso di risoluzione per inadempimento del
conduttore, a seguito della quale i canoni trattenuti dal
concedente perdono la natura di acconto sul prezzo ed
assumono quella di penalità per inadempimento, il concedente deve emettere una nota di variazione ed annotare le somme trattenute come importi esclusi dall’IVA.
Trattamento fiscale
per il concedente privato
Ai fini delle imposte dirette, in caso di mancato
esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore entro il termine prestabilito, la restituzione della
quota dei canoni imputata ad acconto sul prezzo è fiscalmente irrilevante sia per il proprietario che per il
conduttore. Invece, la quota eventualmente trattenuta
dal proprietario è, per lo stesso, interamente imponibile
come “reddito diverso” (assunzione di obblighi di permettere - articolo 67 del TUIR), in quanto rappresenta
la remunerazione per il diritto di acquisto concesso al
conduttore in sede di stipula del contratto di “rent to
buy”.
Anche in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, le quote dei canoni imputate ad acconto prezzo, eventualmente trattenute a
titolo di indennità, costituiscono, per il concedente,
“redditi diversi” derivanti dall’assunzione di obblighi di
fare, non fare e permettere.
Per quanto riguarda infine l’imposta di registro, in
caso di mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore o di risoluzione del contratto per inadempimento (così come ordinariamente previsto per i
contratti preliminari portati alla registrazione, ma non
seguiti dalla stipula dell’atto definitivo), il tributo pagato - con aliquota del 3% - sulla quota di canone assimilata ad acconti sul prezzo di vendita non è rimborsabile, anche se il concedente restituisce tali somme al
conduttore.
32
Marzo 2015
PROBLEM I PREVI DENZIALI
ESONERO CONTRIBUTIVO
PER I NUOVI ASSUNTI NEL 2015
di DANIELE CIRIOLI
l via lo sgravio contributivo sulle assunzioni del 2015. Chi arruola lavoratori disoccupati da almeno sei mesi può contare sulla
riduzione quasi totale dei contributi ordinariamente dovuti all’Inps, per tre anni, entro il limite
di 8.060 euro annui. L’opportunità, offerta dalla
legge di Stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 23
dicembre 2014) a favore di tutti i datori di lavoro, sia imprese sia non imprese (come lo sono,
tra l’altro, gli studi professionali), ha ottenuto il
via libera operativo dal messaggio n. 1144/2015
dell’Inps, dopo che lo stesso ente di previdenza
aveva dettato le istruzioni con la circolare n.
17/2015. Tirate le somme l’incentivo è senz’altro
appetitoso, ma si presenta alquanto complicato
nella gestione a cominciare dalle condizioni da
verificare per averne diritto.
A
Sgravio operativo
solo per il 2015
L’incentivo opera per un anno, cioè sulle assunzioni effettuate dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015, ma
agevola per tre anni. Vale solamente per le assunzioni stabili, cioè quelle con un contratto a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e domestici.
L’esonero spetta a tutti i datori di lavoro privati
(sono escluse le pubbliche amministrazioni), vale a
dire:
a) sia imprenditori, inclusi gli enti pubblici economici (Epe), gli organismi pubblici privatizzati (trasformati in società di capitali), indipendentemente dalla
proprietà pubblica o privata del capitale;
b) che non imprenditori, quali ad esempio associazioni culturali, politiche, sindacali, associazioni di
volontariato, studi professionali.
Assunzioni
incentivate
L’esonero contributivo si applica a tutti i rapporti
di lavoro a tempo indeterminato, anche se a regime
CREDITO
A
D’IMPOST
di part-time, con eccezione dei contratti di apprendistato, di lavoro domestico, di lavoro a chiamata (o
lavoro intermittente).
L’incentivo opera anche in caso di assunzione di
dirigenti; nelle cooperative; alle assunzioni a tempo
indeterminato per somministrazione; a quelle dei dirigenti, quadri e impiegati del settore agricolo (per
gli operai agricoli, invece, è prevista una disciplina
specifica); a quelle di disabili. Quanto ai soggetti (lavoratori) che se assunti danno diritto all’incentivo,
non è previsto alcun requisito se non quello della disoccupazione, ma declinato in tre periodi (come indicato in tabella).
Quanto vale
l’incentivo
L’esonero contributivo (cioè l’incentivo) è pari alla
quota di contributi previdenziali che il datore di lavoro
sarebbe tenuto a versare per il lavoratore assunto, fatta
eccezione dei seguenti contributi:
● premi dovuti all’Inail;
● contributo, se dovuto, al “fondo per l’erogazione ai
lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti
di fine rapporto” (interessa le aziende con oltre 49 addetti le quali sono tenute a devolvere il tfr maturando
dei dipendenti al predetto fondo dell’Inps);
● il contributo, se dovuto, ai Fondi di solidarietà residuale (sono i nuovi Fondi per gestire gli ammortizzatori sociali, introdotti dalla legge n. 92/2012).
➡
CONDIZIONI CHE DEVONO SUSSISTERE ALLA DATA DI ASSUNZIONE
il lavoratore, nel corso dei sei mesi precedenti
1.
l’assunzione, non risulti occupato, presso qualsiasi datore di lavoro, in forza di contratto dipendente a tempo indeterminato;
il lavoratore, nel corso dei tre mesi antecedenti
la data di entrata in vigore della legge di stabilità 2015 (cioè dal 1° ottobre 2014 al 31 dicembre
2014), non abbia avuto rapporti di lavoro a tempo
indeterminato con il datore di lavoro richiedente l’in-
2.
centivo ovvero con società da questi controllate o a
questi collegate (ai sensi dell’art. 2359 del codice civile), nonché facenti capo, ancorché per interposta
persona, al datore di lavoro medesimo;
il lavoratore non deve avere avuto già un precedente rapporto di lavoro agevolato ai sensi della
legge di Stabilità 2015 (cioè per lo stesso esonero
contributivo), con lo stesso datore di lavoro che assume.
3.
Marzo 2015
33
PROBLEM I PREVI DENZIALI
ESONERO CONTRIBUTIVO
Le altre
condizioni
La durata dell’esonero è stabilita in tre anni a decorrere dalla data d’assunzione del lavoratore che
deve intervenire, come detto, nell’arco di tempo
che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015. Quindi
l’assunzione deve avvenire necessariamente quest’anno, mentre lo sgravio potrà essere fruito anche
dopo sempreché perduri il rapporto di lavoro.
Il diritto alla fruizione dell’incentivo è subordinato al rispetto:
a) dei principi stabiliti dalla legge n. 92/2012
(riforma Fornero), validi per tutte le forme di agevolazioni di assunzioni (sono riassunti in tabella in
pagina);
b) dalle norme poste a tutela delle condizioni di
lavoro e dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori che sono:
1) regolarità degli obblighi di contribuzione previdenziale e assenza di violazioni delle norme sulla
sicurezza del lavoro (si evidenzia che si tratta delle
stesse condizioni alle quali è subordinato il rilascio
del documento unico di regolarità contributiva, il
Durc);
2) rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o
aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Non serve domanda,
ma una comunicazione
I datori di lavoro che intendono fruire dell’incentivo, avendone titolo, devono prima di tutto inviare
all’Inps una richiesta di attribuzione del codice di autorizzazione “6Y”, che ha specifico significato di “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014”. La richiesta va inviata
tramite il “cassetto previdenziale aziende” presente
sul siti internet dell’Inps (www.inp.it), indicando
nell’oggetto “esonero contributivo triennale legge n.
190/2014” e utilizzando la seguente locuzione: «Richiedo l’attribuzione del codice di autorizzazione 6Y
ai fini della fruizione dell’esonero contributivo introdotto dalla legge n. 190/2014, art. 1, commi 118 e
seguenti, come da circolare n. 17/2015». Attenzione:
non è previsto un termine per inviare questa richiesta, ma è necessario che l’invio avvenga prima della
trasmissione della denuncia contributiva (Uniemens)
del primo mese in cui s’intende applicare il bonus
perché il codice serve ad esporre lo sgravio sulla denuncia.
Riguardo agli arretrati dei mesi di gennaio e febbraio (ovviamente per i datori di lavoro che hanno
fatto assunzioni in questi mesi e, intanto, hanno versato i contributi in misura piena, cioè senza lo sconto), l’Inps ha stabilito che il recupero dello sgravio
potrà avvenire soltanto con le denunce contributive
(UniEmens) relative:
➡
BONUS PER GLI OPERAI DEL SETTORE AGRICOLO
incentivo, come accennato, si applica anche al settore agricolo. Con questa particolarità:
a) se l’assunzione agevolata riguarda quadri e
impiegati, si applicano le regole previste per la
generalità dei datori di lavoro;
b) se l’assunzione agevolata riguarda operai si
applicano regole specifice.
Preliminarmente, occorre ricordare che per il
settore agricolo il bonus è vincolato alle risorse
pubbliche stanziate dalla legge di Stabilità nei
seguenti importi:
● 2 milioni di euro per il 2015,
● 15 milioni di euro per il biennio 2016-2017,
● 11 milioni di euro per il 2018,
● 2 milioni di euro per il 2019.
Ciò determina che, diversamente dagli altri
settori nei quali il bonus opera automaticamente, (cioè non serve fare domanda all’Inps, salvo
una comunicazione), nel settore agricolo, per gli
operai, l’incentivo è riconosciuto “a domanda”.
L’istituto attribuirà lo sgravio in base all’ordine
cronologico di presentazione delle domande e,
una volta esaurite le risorse, non prenderà più in
considerazione ulteriori domande.
La domanda si può inviare esclusivamente in
via telematica, tramite l’apposito modello di co-
L’
municazione “ASSUNZIONE OTI 2015”, reso disponibile dall’Inps all’interno del “Cassetto previdenziale aziende agricole” (è presente sul sito
internet dell’Inps). Il modulo si compone di due
distinte sezioni:
1) la prima, con cui il datore di lavoro richiede
la prenotazione delle somme a titolo di esonero
contributivo per l’assunzione. Entro tre giorni
dall’invio dell’istanza, l’Inps verifica la disponibilità delle risorse e, in modalità telematica, comunica al datore di lavoro che è stato prenotato in
suo favore l’importo del beneficio per il lavoratore indicato nell’istanza;
2) la seconda, con la quale il datore di lavoro,
una volta avuta la conferma della disponibilità
delle somme, e dopo l’assunzione, fa propriamente domanda definitiva di ammissione allo
sgravio.
Se tutto va bene, l’Inps attribuisce apposito
codice di autorizzazione, denominato E5, e il datore di lavoro, allo scopo di poter usufruire dello
sgravio, dovrà indicare, per il lavoratore agevolato, nella denuncia dei contributi trimestrali
(DMAG). Il primo termine utile per fruire dello
sgravio è fissato al 30 aprile 2015, termine per la
denuncia (DMAG) di competenza del I trimestre
2015.
34
Marzo 2015
PROBLEM I PREVI DENZIALI
ESONERO CONTRIBUTIVO
● al mese di febbraio 2015 (il cui termine di presentazione è fissato al 31 marzo 2015), per lo sgravio arretrato del mese di gennaio,
● oppure al mese di marzo 2015 (il cui termine di
presentazione è fissato al 30 aprile 2015), per lo
sgravio arretrato dei mesi di gennaio e/o di febbraio.
I limiti
dell’incentivo
L’esonero contributivo, come accennato, non può
superare la misura massima di 8.060 euro su base annua. Con riferimento ai rapporti di lavoro a part-time
(di tipo orizzontale, verticale ovvero misto), la misura
della soglia massima va adeguata in diminuzione in
base della durata dello specifico orario ridotto di lavoro in rapporto a quella ordinaria. Per esempio, se un
rapporto di lavoro a part-time è organizzato con una
riduzione del 50% ovvero del 60% dell’orario normale
di lavoro, i limiti dello sgravio risulteranno rispettivamente pari a 4.030 euro ovvero 3.224 euro.
Allo scopo di agevolare l’applicazione dell’incentivo, l’Inps ha riferito la soglia massima annua al periodo di paga mensile fissando la misura a euro 671,66
(cioè euro 8.060/12); inoltre, ha stabilito che, per i
rapporti di lavoro instaurati ovvero risolti nel corso di
un mese, la soglia mensile deve essere riproporzionata alla misura giornaliera, ossia a euro 22,08 (che risulta da euro 8.060,00/365 giorni).
Operativamente, il rispetto del limite comporta che
il datore di lavoro, una volta applicato lo sgravio in
misura pari ai contributi dovuti per l’assunzione agevolata, deve verificare che sia o non sia superata la
soglia mensile:
● se la soglia non è superata, lo sconto è fruito in
pieno (cioè per la misura dei contributi che andavano
versati all’Inps, ma non vengono pagati, per l’assunzione agevolata); l’eccedenza della soglia non è persa
in quanto potrà essere utilizzata successivamente nel
corso di ogni anno solare;
● se la soglia è superata, la riduzione dei contributi
potrà essere applicata fino al limite (euro 671,66) a
meno che il datore di lavoro non abbia “eccedenze di
soglia” dei mesi precedenti.
Ad esempio, qualora nei primi tre mesi dell’assunzione agevolata l’importo dei contributi a carico del
datore di lavoro risulti pari a euro 500 mensili e nel
corso del quarto mese assuma il valore di euro 900
(ad esempio a dicembre con la tredicesima), il datore
di lavoro potrà comunque fruire dell’esonero per l’intero ammontare dei contributi previdenziali del quarto mese, facendo ricorso alle eccedenze dei mesi precedenti (pari a euro 514,98 = 171,66 x 3 mesi, risultante dalla differenza di 671,66 e 500,00) per coprire
lo sgravio oltre la soglia mensile pari a euro 228,34
(= 900,00 – 671,66).
Il cumulo
con altri incentivi
L’esonero contributivo, ha spiegato sempre l’Inps, è
cumulabile con gli incentivi che assumono natura economica, fra i quali:
a) l’incentivo per l’assunzione dei lavoratori disabili
(art. 13 della legge n. 68/1999);
b) l’incentivo per l’assunzione di giovani genitori
(dm 19 novembre 2010), pari a euro 5.000 fruibili,
dal datore di lavoro, in quote mensili non superiori alla misura della retribuzione lorda, per un massimo di
cinque lavoratori (l’Inps ha precisato che, a differenza
dell’esonero contributivo, la fruizione di questo incentivo è subordinata al rispetto della regola cd. “de minimis” e non spetta qualora l’assunzione costituisca attuazione di un obbligo di legge o contratto collettivo);
c) l’incentivo all’assunzione di beneficiari del trattamento Aspi (art. 2, comma 10-bis, della legge n.
92/2012), pari al 50% dell’indennità che sarebbe
spettata al lavoratore se non fosse stato assunto per
la durata residua del trattamento (l’Inps ha precisato
che, a differenza dell’esonero contributivo, la fruizione di questo incentivo è subordinata al rispetto della
regola cd. “de minimis” e non spetta qualora l’assunzione costituisca attuazione di un obbligo di legge o
contratto collettivo);
d)l’incentivo inerente il “Programma Garanzia Giovani”.
QUANDO L’ESONERO CONTRIBUTIVO NON SPETTA
l’assunzione viola il diritto di precedenza, fisa)
sato dalla legge o dal contratto collettivo di lavoro, alla riassunzione di un altro lavoratore licenziato nell’ambito di un rapporto a tempo indeterminato ovvero cessato da un rapporto a termine;
il datore di lavoro sia interessato da sospensioni dal lavoro con interventi di integrazione
salariale straordinaria e/o in deroga, fatti salvi i casi
in cui l’assunzione sia finalizzate ad acquisire professionalità diverse rispetto a quelle in possesso
dei lavoratori interessati dai predetti provvedimenti
di sospensione del lavoro;
l’assunzione riguarda lavoratori licenziati, nei
sei mesi precedenti, da parte di un datore di la-
b)
c)
voro che, alla data del licenziamento, presentava
elementi di relazione con il datore di lavoro che assume, sotto il profilo della sostanziale coincidenza
degli assetti proprietari ovvero della sussistenza di
rapporti di controllo o collegamento:
la comunicazione obbligatoria di assunzione
(la “CO” fatta con il modello Unilav dal sito
internet del ministero del lavoro), inerente il lavoratore agevolato, è effettuata in ritardo rispetto ai
termini di legge (la comunicazione va fatta entro il
giorno precedente la data di assunzione). In tal caso, la perdita dell’incentivo attiene al solo periodo
compreso fra la data di assunzione e quella dell’inoltro, tardivo, della comunicazione obbligatoria.
d)
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Marzo 2015
36
PROBLEM I PREVI DENZIALI
DOMESTICI: MINIMI RETRIBUTIVI
E CONTRIBUTI INVARIATI NEL 2015
di DANIELE CIRIOLI
ermettersi una colf o una badante, quest’anno, costerà poco di più rispetto all’anno passato. I contributi, infatti, sono rimasti letteralmente invariati (salvo un centesimo di euro in
due casi) e anche le retribuzioni minime sono aumentate di poco. Colpa (o merito: dipende dai
punti di vista) del tasso d’inflazione, che prossimo
allo zero, ha inciso poco nell’operazione di adeguamento dei valori di contributi e retribuzioni al
costo della vita Istat.
Nel dettaglio: per ciò che riguarda i contributi,
l’incremento è stato dello 0,2 per cento; lo stesso
per le retribuzioni, come stabilito dal verbale di
accordo sottoscritto il 2 febbraio presso il ministero del lavoro. Molto modesto, dunque, è l’onere in
più – retributivo e contributivo – che peserà sulle
famiglie.
Il solito ritardo dell’aggiornamento dei minimi
retributivi, che dovrebbe avvenire a dicembre/gennaio, potrebbe, comunque, costringere le famiglie
a qualche calcolo in più per determinare e pagare
un eventuale arretrato, anche se i compensi delle
colf e badanti, molto spesso, già si collocano al di
sopra dei minimi contrattuali. I nuovi contributi e i
nuovi minimi di retribuzione si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2015, quindi faranno sentire gli
effetti con il versamento da farsi all’Inps entro il
10 aprile relativamente al primo trimestre di quest’anno su tutti i rapporti di lavoro domestico, sia
a quelli già in corso al 31 dicembre 2014 che a
quelli costituiti dopo tale data.
P
Quanto costa
un’ora di lavoro
Vediamo quanto costa un’ora di lavoro domestico.
La prima cosa da fare è individuare la tabella di riferimento: domestico assunto a tempo indeterminato oppure a termine. Poniamo che sia assunto a tempo indeterminato. Le ipotesi sono due: occupazione per
meno di 25 ore alla settimana ovvero per più di 24 ore
alla settimana.
Nel caso di occupazione per meno di 25 ore alla
settimana, la seconda operazione da fare è quella di
individuare in quale delle tre fasce di retribuzione
oraria rientra; a tal fine bisogna prima calcolare la retribuzione effettiva a cui si arriva sommando alla paga oraria:
a) la quota per la tredicesima;
b) una o più quote per le indennità di vitto e alloggio, per le colf che sono a servizio intero o che
consumano in casa uno o più pasti.
La tredicesima
La tredicesima mensilità corrisponde a un dodicesimo dell’intera retribuzione annua, che i datori di lavoro
devono pagare ai loro collaboratori familiari entro il
mese di dicembre, in occasione delle festività natalizie.
La tredicesima matura anche durante le assenze per
malattia, infortunio sul lavoro e maternità, nei limiti del
periodo di conservazione del posto e per la parte non
liquidata dagli enti preposti. Se il lavoratore domestico
presta servizio per più famiglie ogni datore di lavoro è
tenuto ad effettuare il calcolo della quota di tredicesima sulla base della retribuzione oraria corrisposta.
ESEMPIO
Per un lavoratore che ha lavorato dal 1° aprile al
31 dicembre con una retribuzione mensile di 600
euro il calcolo è questo: 600 euro x 9 (mesi lavorati) : 12 = 450 euro.
Per individuare la fascia di retribuzione oraria, ai
fini della determinazione del contributo orario, la
quota di tredicesima è calcolata dividendo la paga
oraria per 12. Se questa è pari, ad esempio, a 8
euro l’ora, bisogna aggiungere 0,67 euro (8:12 =
0,67). In questo caso la retribuzione oraria effettiva
risulta essere di 8,67 (8 + 0,67) e si colloca nella
seconda fascia alla quale corrisponde un contributo orario di 1,57 euro ovvero 1,58 euro a seconda
che sia o meno dovuto il contributo per gli assegni
familiari (Cuaf). Il contributo Cuaf è sempre dovuto
salvo che nei rapporti di lavoro in cui il domestico
sia coniuge del datore di lavoro oppure parente e
affine entro il terzo grado e con lui convivente.
➡
I VERSAMENTI DEL 2015
Periodo di lavoro
I Trimestre (gennaio/marzo 2015)
II Trimestre (aprile/giugno 2015)
III Trimestre (luglio/settembre 2015)
IV Trimestre (ottobre/dicembre 2015)
Risoluzione del rapporto
Termini per il pagamento dei contributi
Dal 1° al 10 aprile 2015
Dal 1° al 10 luglio 2015
Dal 1° al 10 ottobre 2015
Dal 1° al 10 gennaio 2016
Nei 10 giorni successivi alla data di cessazione
La previsione di un termine (anche) iniziale è dovuta al fatto che il pagamento deve avvenire sempre a trimestre ultimato. Se l’ultimo giorno utile per il pagamento coincide con la domenica o con una festività, esso
è automaticamente prorogato al giorno successivo non festivo.
Febbraio 2015
37
PROBLEM I PREVI DENZIALI
DOMESTICI: MINIMI RETRIBUTIVI
Vitto e alloggio
Per le colf conviventi e per quelle che consumano in
casa uno o più pasti alla retribuzione comprensiva del rateo di tredicesima, bisogna aggiungere anche le indennità convenzionali di vitto e alloggio, il cui valore complessivo nel 2015 è di 5,44 euro al giorno (euro 5,39 nel
2014) di cui 1,90 per ogni pasto (pranzo e cena) 1,64
per l’alloggio (rispettivamente 1,88 euro e 1,63 euro nel
2014). L’importo da caricare sulla retribuzione oraria si
trova moltiplicando il numero delle giornate in cui il lavoratore ha ricevuto le prestazioni in natura nel corso del
mese per il valore del pasto e dividendo il risultato per il
numero di ore lavorate nello stesso periodo.
ESEMPIO
Facciamo il caso di una colf che ha osservato un orario di 20 ore settimanali e per 12 giorni al mese consuma un pasto in casa. La quota da sommare alla retribuzione oraria sarà di 0,29 euro (12 x 1,90 : 80 ore). A parità di orario se la stessa colf dormisse in casa si dovrebbero aggiungere altri 0,53 euro (1,64 x 26 giorni: 80
ore) per l’indennità di pernottamento (alloggio). In que-
sto caso partendo da una paga oraria, comprensiva del
rateo di tredicesima, di 8,67 euro si avrebbe una retribuzione oraria effettiva di 9,49 (8,67 + 0,29 + 0,53) alla
quale corrisponde un contributo orario (terza fascia) di
1,91 euro ovvero 1,93 euro a seconda che sia o meno
dovuto il contributo per gli assegni familiari (Cuaf).
Nel caso di occupazione per più di 24 ore alla settimana (seconda ipotesi), la seconda operazione da fare
per determinare l’importo di contributo orario dovuto all’Inps è molto più semplice. In tal caso, infatti, si prescinde dal valore della retribuzione e il calcolo della cifra da
pagare è ottenuto dal prodotto del contributo orario
(1,01 euro ovvero 1,02 a seconda che sia o meno dovuto il contributo per gli assegni familiari, Cuaf) per il numero di ore lavorate nel trimestre
Come si calcolano
i contributi
➡
Il versamento dei contributi all’Inps avviene a cadenza trimestrale. L’importo dovuto per un trime-
I CONTRIBUTI ORARI DEL 2015
opo la riforma Fornero (legge n. 92/2012 in vigore dal 1° gennaio 2013), con l’introduzione del contributo
addizionale sui rapporti di lavoro a termine (+ 1,4 per cento) si è registrato un piccolo cambiamento nella
tradizionale procedura di calcolo dei contributi da versare per i lavoratori domestici. Il cambiamento che c’è
stato è questo: mentre prima esisteva un’unica tabella di riferimento per le misure dei contributi, adesso ne esistono due: una per i rapporti di lavoro domestico “a tempo indeterminato” (per i quali non si versa l’addizionale);
un’altra per i rapporti di lavoro domestico “a termine” (per i quali, invece, è dovuta l’addizionale).
Quale primo passo per calcolare i contributi da versare è quello di stabilire se operare con la prima o la seconda tabella, cioè quella “SENZA addizionale” (se il domestico è assunto a tempo indeterminato) ovvero quella
“CON addizionale” se il domestico è assunto a termine.
Per il resto si procede come nel passato. Ci sono, come sempre, due tipi di rapporti: a) fino a 24 ore settimanali; b) oltre le 24 ore settimanali. Al primo tipo sono associati tre livelli di contribuzione a seconda della paga oraria
effettiva erogata al lavoratore, che comprende la quota per la tredicesima e quella per le eventuali indennità di vitto e di alloggio per le colf e le badanti che sono a servizio intero o che consumano in casa uno o più pasti (i livelli
retributivi risultano incrementati dal 1° gennaio 2015 dello 0,1 per cento):
● fino a euro 7,88 (euro 7,86 fino al 31 dicembre 2014);
● oltre 7,88 e fino a 9,59 euro (oltre 7,86 e fino a 9,57 euro fino al 31 dicembre 2014);
● oltre 9,59 euro (oltre 9,57 euro fino al 31 dicembre 2014).
D
Orario settimanale
Fino a 24 ore
Oltre 24 ore
Orario settimanale
Fino a 24 ore
Oltre 24 ore
Qualsiasi
CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO (2)
Retribuzione oraria
Sì Cuaf
No Cuaf (3)
Fino a 7,88 euro
1,39 euro (0,35 euro)
1,40 euro (0,35 euro)
Da 7,89 a 9,59euro
1,57 euro (0,39 euro)
1,58 euro (0,40 euro)
Oltre 9,59 euro
1,91 euro (0,48 euro)
1,93 euro (0,48 euro)
Qualsiasi
1,01 euro (0,25 euro)
1,02 euro (0,25 euro)
CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO (A TERMINE) (1)
Retribuzione oraria
Sì Cuaf
No Cuaf (3)
Fino a 7,88 euro
1,49 euro (0,35 euro)
1,50 euro (0,35 euro)
Da 7,89 a 9,59euro
1,68 euro (0,39 euro)
1,69 euro (0,40 euro)
Oltre 9,59 euro
2,05 euro (0,48 euro)
2,06 euro (0,48 euro)
Qualsiasi
1,08 euro (0,25 euro)
1,09 euro (0,25 euro)
Contributo di assistenza contrattuale (Cas.sa Colf) – Per tutti i contratti
Qualsiasi
0,03 euro (0,01 euro)
0,03 euro (0,01 euro)
1) Include il contributo addizionale (1,4% ), restituibile in caso di conversione del rapporto a tempo indeterminato
2) Le cifre tra parentesi indicano la quota a carico del lavoratore/trice
3) Il contributo “No Cuaf” (Cuaf = contributo assegni familiari) si paga solo nei casi in cui il domestico sia coniuge del datore di
lavoro oppure parente e affine entro il terzo grado e con lui convivente. In ogni altro caso si paga sempre il contributo “Sì Cuaf”
38
Marzo 2015
PROBLEM I PREVI DENZIALI
DOMESTICI: MINIMI RETRIBUTIVI
stre si ottiene moltiplicando il “contributo orario”
(A), come prima determinato, per il numero delle
“ore retribuite nel trimestre” (B) al quale si riferisce
il versamento. Per ottenere le ore retribuite nel trimestre (B), occorre moltiplicare le ore retribuite
ogni settimana per le settimane del trimestre in pagamento. Attenzione; la settimana lavorativa di riferimento decorre dalla domenica al sabato, per cui
con ogni pagamento devono essere indicate tutte
le ore retribuite nelle settimane del trimestre che si
concludono con il sabato. Le ore retribuite nei giorni successivi all’ultimo sabato del trimestre considerato, si aggiungono a quelle del trimestre solare
successivo. Se dalla somma delle ore e delle frazioni di ora si ottiene un numero non intero, il numero stesso deve essere arrotondato all’unità superiore. Si tenga conto che ogni trimestre non è sempre
composto da 13 settimane (52 settimane = 1 anno
diviso quattro trimestri = 13 settimane) ma dipende dal numero dei sabato compresi nel trimestre.
Questo numero indica le settimane cui fare riferimento per il versamento dei contributi.
ESEMPIO
Se il collaboratore domestico lavora 24 ore a settimana si ottiene 24 ore x 13 sabato (13 settimane)
= 312 (totale ore lavorate nel trimestre). Le ore retribuite nei giorni successivi all’ultimo sabato del
trimestre considerato vanno aggiunte a quelle del
trimestre solare successivo.
Come si effettuano
i versamenti
I contributi possono essere versati esclusivamente con le seguenti modalità:
Utilizzo bollettino MAV
Utilizzando il bollettino MAV (pagamento mediante avviso). L’Inps, a tal fine, invia al datore di
lavoro domestico due tipologie di comunicazioni
cartacee con allegati i bollettini MAV.
● La comunicazione di accoglimento della richiesta d’iscrizione del rapporto di lavoro, che costituisce la conferma dell’avvenuta attivazione dello stesso, in occasione (evidentemente) dell’instaurazione
del rapporto di lavoro domestico. La comunicazione
contiene in allegato i MAV per il pagamento dei
contributi relativi ai primi trimestri successivi all’iscrizione del rapporto di lavoro. A partire dall’anno
scorso (2014), questa comunicazione di accoglimento contiene in allegato i bollettini Mav in numero variabile fra uno e quattro (a seconda del trimestre d’inizio del rapporto di lavoro), a copertura
del primo anno solare di contribuzione; i MAV sono
già compilati con gli importi dovuti. Nel caso siano
cambiati gli elementi per il calcolo dei contributi
(ad esempio, una variazione dell’orario di lavoro),
dal sito www.inps.it, sezione Servizi online, è possibile effettuare le variazioni e ottenere un altro bollettino MAV con gli importi conformi.
● La comunicazione di rinnovo, che viene inviata
ai datori con rapporti di lavoro attivi ed ha tradizionalmente lo scopo di ricordare le scadenze di paga-
mento quantificando i contributi da versare. Sempre a partire dall’anno scorso (2014), la comunicazione di rinnovo viene inviata una volta l’anno assieme ai bollettini MAV in numero variabile fra uno
e quattro (in relazione alla durata definita per il
rapporto di lavoro: per esempio se è stato sottoscritto a termine), a copertura della contribuzione
dovuta per l’anno in corso.
Il calcolo dei contributi da pagare (indicato sul
MAV inviato) è effettuato dall’Inps sulla base delle
caratteristiche del rapporto di lavoro che sono state
comunicate all’Inps dal datore di lavoro all’atto
dell’assunzione (se non successivamente variate e
comunicate all’Inps e, in tal caso, il calcolo dei contributi tiene conto delle variazioni).
Attenzione: i bollettini MAV inviati dall’Inps, al
proprio domicilio, possono essere utilizzati per il
pagamento dei contributi solo e soltanto se il rapporto di lavoro è stato espletato nell’arco del trimestre senza variazioni nelle caratteristiche originarie
e comunicate all’Inps in sede di iscrizione: ore lavorate nel trimestre, retribuzione, settimane retribuite,
ecc.; nonché qualora il datore di lavoro non si avvalga dell’assistenza contrattuale (Cassacolf), perché l’Inps non tiene conto della relativa contribuzione (si veda box in queste pagine: “CassaColf, pagamenti fai-da-te”).
Si tenga conto che l’Inps ha messo a disposizione
dei datori di lavoro domestico in possesso di PIN (e
anche dei soggetti abilitati che possono agire su incarico di un datore di lavoro domestico: Caf, consulenti, Patronati) una funzionalità che consente di
esprimere la volontà di ricevere o meno i MAV cartacei al proprio domicilio. Tale volontà può essere
espressa in fase d’iscrizione del rapporto di lavoro
(cioè all’assunzione) o successivamente, utilizzando
i servizi online dedicati al lavoro domestico e disponibili sul sito internet dell’Inps: www.inps.it, sezione “SERVIZI ONLINE”.
In particolare, i datori di lavoro che avranno selezionato l’opzione di risposta “si” continueranno a ricevere al recapito indicato i bollettini MAV secondo
le consuete (predette) modalità. I datori di lavoro
che avranno selezionato l’opzione di risposta “no”
non riceveranno al recapito indicato ulteriori comunicazioni, né bollettini MAV. E’ possibile, in ogni
momento, rivedere la scelta e, conseguentemente,
riattivare/disattivare il servizio di invio delle comunicazione e dei bollettini MAV.
Per tutti i datori di lavoro (compresi quelli che
abbiano scelto di non voler ricevere la versione cartacea del MAV precalcolato) è possibile fruire del
servizio “SMS-EMAIL”, da sottoscrivere sempre sul
sito dell’Inps. Chi sottoscrive il servizio riceverà, al
recapito telefonico (cellulare) indicato al momento
della sottoscrizione, nei 10 giorni antecedenti la
scadenza per il versamento dei contributi relativi a
un rapporto di lavoro domestico, un messaggio
SMS di avviso della scadenza con indicazione del
codice del rapporto di lavoro e dell’importo da pagare con riferimento all’ultimo versamento effettuato. E’ possibile anche richiedere, in aggiunta o in alternativa, l’invio dello stesso messaggio a un indirizzo di posta elettronica. Un servizio del genere,
➡
Marzo 2015
39
PROBLEM I PREVI DENZIALI
DOMESTICI: MINIMI RETRIBUTIVI
quanto meno, può tornare utile come “sveglia” per
ricordarsi della scadenza!
Tramite “reti amiche”
Rivolgendosi ai soggetti aderenti al circuito “Reti
Amiche”, dichiarando soltanto il codice fiscale del
datore di lavoro e il codice rapporto di lavoro (questo dato, per esempio, può essere ricevuto tramite
SMS/EMAIL secondo quanto indicato in precedenza). La procedura calcolerà automaticamente l’importo dei contributi in base ai dati comunicati al
➡
L’INQUADRAMENTO DEI LAVORATORI DOMESTICI
un sistema “quattro per due”, quello esistente per l’inquadramento dei lavoratori domestici. In pratica, sono previsti quattro livelli – A, B, C e D – ciascuno dei quali con livello base e uno “Super”. Vediamo i singoli inquadramenti (per i profili si veda tabella in pagina), considerando inoltre che:
1) il lavoratore addetto allo svolgimento di mansioni plurime ha diritto all’inquadramento nel livello corrispondente
alle mansioni prevalenti;
2) per persona autosufficiente s’intende il soggetto in grado di compiere le più importanti attività relative alla cura
della propria persona ed alla vita di relazione;
3) la formazione del personale, laddove prevista per l’attribuzione della qualifica, s’intende conseguita quando il lavoratore sia in possesso di diploma nello specifico campo oggetto della propria mansione, conseguito in Italia o all’estero,
purché equipollente, anche con corsi di formazione aventi la durata minima prevista dalla legislazione regionale e comunque non inferiore a 500 ore.
E’
Livello A
● Collaboratore familiare con
meno di 12 mesi di esperienza professionale, non addetto
all’assistenza di persone. Svolge mansioni di pertinenza dei
collaboratori familiari, a livello
di inserimento al lavoro ed in
fase di prima formazione. Al
compimento dei dodici mesi
di anzianità questo lavoratore
sarà inquadrato nel livello B
con la qualifica di collaboratore generico polifunzionale;
● Addetto alle pulizie. Svolge
esclusivamente mansioni relative alla pulizia della casa;
● Addetto alla lavanderia. Svolge mansioni relative alla lavanderia;
● Aiuto di cucina. Svolge mansioni di supporto al cuoco;
● Stalliere. Svolge mansioni di normale pulizia della stalla e di cura
generica del/dei cavallo/i;
● Assistente ad animali domestici. Svolge mansioni di assistenza ad
animali domestici;
● Addetto alla pulizia e annaffiatura delle aree verdi;
● Operaio comune. Svolge mansioni manuali, di fatica, sia per le grandi pulizie, sia nell’ambito di interventi di piccola manutenzione.
Livello A Super
Addetto alla compagnia. Svolge esclusivamente mansioni di mera
compagnia a persone autosufficienti, senza effettuare alcuna prestazione di lavoro;
● Baby sitter. Svolge mansioni occasionali e/o saltuarie di vigilanza di
bambini in occasione di assenze dei familiari, con esclusione di qualsiasi prestazione di cura.
●
Livello C
● Cuoco. Svolge mansioni di addetto alla preparazione dei pasti
ed ai connessi compiti di cucina,
nonché di approvvigionamento
delle materie prime
Livello C Super
Assistente a persone non autosufficienti (non formato). Svolge mansioni di assistenza a persone non autosufficienti, ivi comprese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e
della pulizia della casa ove vivono gli assistiti.
●
prietà, di custodia;
Livello B
● Collaboratore generico polifunzionale. Svolge le incombenze relative al normale andamento della vita familiare, compiendo, anche congiuntamente, mansioni
di pulizia e riassetto della casa, di addetto alla cucina, di
addetto alla lavanderia, di assistente ad animali domestici, nonché altri compiti nell’ambito del livello di appartenenza;
● Custode di abitazione privata. Svolge mansioni di vigilanza dell’abitazione del datore di lavoro e relative
pertinenze, nonché, se fornito di alloggio nella pro-
● Addetto alla stireria. Svolge mansioni relative alla stiratura;
● Cameriere. Svolge servizio di tavola e di camera;
● Giardiniere. Addetto alla cura delle aree verdi e ai connessi interventi di ma-
nutenzione;
Operaio qualificato. Svolge mansioni manuali nell’ambito di interventi, anche complessi, di manutenzione;
● Autista. Svolge mansioni di conduzione di automezzi adibiti al trasporto di
persone ed effetti familiari, effettuando anche la relativa ordinaria manutenzione e pulizia;
● Addetto al riassetto camere e servizio di prima colazione anche per persone
ospiti del datore di lavoro.
●
Livello B Super
Assistente a persone autosufficienti. Svolge mansioni di assistenza a persone (anziani o bambini) autosufficienti, ivi comprese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa ove vivono gli assistiti.
●
Livello D
● Amministratore dei beni di famiglia. Svolge mansioni
connesse all’amministrazione del patrimonio familiare;
● Maggiordomo. Svolge mansioni di gestione e di coordinamento relative a tutte le esigenze connesse ai servizi rivolti alla vita familiare;
● Governante. Svolge mansioni di coordinamento relative alle attività di cameriere di camera, di stireria, di lavanderia, di guardaroba e simili;
● Capo cuoco. Svolge mansioni di gestione e di coordinamento relative a tutte le esigenze connesse alla preparazione dei cibi ed, in generale, ai compiti della cucina e della dispensa;
● Capo giardiniere. Svolge mansioni di gestione e di coordinamento relative a
tutte le esigenze connesse alla cura delle aree verdi e relativi interventi di manutenzione;
● Istitutore. Svolge mansioni di istruzione e/o educazione dei componenti il
nucleo familiare.
Livello D Super
● Assistente a persone non autosufficienti (formato). Svolge mansioni di assistenza a persone non autosufficienti, ivi comprese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa ove vivono gli assistiti.
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PROBLEM I PREVI DENZIALI
DOMESTICI: MINIMI RETRIBUTIVI
momento dell’assunzione (o successivamente variati). Il pagamento è disponibile presso:
- sportelli postali
- tabaccherie che espongono il logo Servizi Inps
- sportelli bancari Unicredit Spa
- tramite il sito Internet del gruppo Unicredit Spa
per i clienti titolari del servizio di Banca online
Tramite servizio online
Online sul sito Internet www.inps.it nella sezione
Servizi Online – Portale Pagamenti – Lavoratori domestici, utilizzando la carta di credito.
Tramite “contact center”
Telefonando al Contact Center al numero 803164
gratuito da rete fissa o al numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico, utilizzando la carta di credito.
Per ciascuna modalità è prevista la possibilità di
avere la doppia copia della ricevuta in modo da poterne consegnare una anche al lavoratore.
Nel caso di pagamento tramite MAV, che non
consente la doppia quietanza, è prevista un’attestazione situata nella parte superiore del bollettino
che il datore di lavoro dovrà completare con l’inserimento della data e della propria firma. Se si effettua il pagamento al Contact Center, la ricevuta sarà
inviata direttamente dalla banca affidataria, all’indirizzo e-mail del datore di lavoro, il quale successivamente riceverà, all’indirizzo di residenza una doppia copia della ricevuta analitica.
Ritardo
nei versamenti
Può capitare che la famiglia non sia in regola con
il versamento dei contributi previdenziali. In questo
caso, il datore di lavoro farà bene a regolarizzare al
più presto la propria posizione per evitare multe salatissime.
Il datore di lavoro intenzionato a denunciare
spontaneamente una situazione irregolare deve
presentare all’Inps un’apposita richiesta, firmata anche dalla lavoratrice. Dopo di che l’Inps calcolerà
l’importo effettivamente dovuto con le relative sanzioni. Queste sono applicate in misura ridotta, maggiorando del 5,5% l’importo dei debito contributivo
accumulato.
Il tasso del 5,5% non è fisso e varia in base al
Tasso unico di riferimento (Tur) stabilito dalla Banca centrale europea in relazione all’andamento dei
mercati finanziari. Ma per avvalersi di questa facilitazione deve mettersi in regola entro un anno dal
termine entro il quale i contributi dovevano essere
➡
I MINIMI RETRIBUTIVI DAL 1° GENNAIO 2015
Conviventi (mensile)
Non conviventi
(orario)
A
A super
620,25
733,03
4,51
5,32
C
C super
B
789,41
5,64
B super
845,80
5,98
Livello
Conviventi (mensile)
Non conviventi
(orario)
902,20
958,58
6,31
6,64
D
1.127,73 +
ind. 166,76
7,67
D super
1.184,12 +
ind. 166,76
8,00
Livello
Assistenza notturna (mensile) (2)
Autosufficienti
Non autosufficienti
B
563,87
B super
972,67
B super
592,06
C super
1.102,36
C
654,07
D super
1.361,76
Assistenza a persone non autosufficienti (4)
Presenza notturna (3)
Livello
Importo orario
Livello
Importo mensile
C super
7,15
Unico
651,27
D super
8,62
Indennità di vitto e alloggio (importo giornaliero)
Pranzo e prima colazione
1,90
Cena
1,90
Alloggio
1,64
Totale giornaliero
5,44
Livello
Lavoratori studenti (mensile) (1)
Livello
(1) Si tratta di lavoratori di età compresa tra i 16 e i 40 anni che frequentano corsi di studio con titolo finale riconosciuto dallo Stato e dagli enti pubblici con orario collocato interamente tra le ore 6.00 e le ore 14.00 oppure tra le 14.00 e le 22.00.
(2) Personale non infermieristico per discontinue prestazioni notturne di cura all’infanzia, ad anziani, a portatori di handicap
e a persone ammalate. Le prestazioni sono definite discontinue perché durante la notte la lavoratrice può riposare in poltrona nelle ore in cui il soggetto non necessita di assistenza.
(3) Personale che garantisce la presenza notturna tra le 21 e le 8 del mattino successivo senza prestare assistenza.
(4) Prestazioni limitate alla copertura dei giorni di riposo dei lavoratori titolari
Marzo 2015
41
PROBLEM I PREVI DENZIALI
DOMESTICI: MINIMI RETRIBUTIVI
pagati. In caso contrario, scatta una maxi sanzione
pari al 30% fino al raggiungimento di un tetto massimo, pari al 60% del debito.
Una volta accertata la cifra complessivamente dovuta, l’Inps invita il datore di lavoro ad effettuare il
versamento entra 30 giorni, con il modello F24 che
può essere pagato sia in banca che alla posta. Se si
tratta di somme consistenti, il datore di lavoro in
difficoltà (si pensi ad un anziano con una modesta
pensione) può chiedere all’Inps una rateazione fino
a un massimo di 24 mesi.
Rapporto da tempo
determinato
a indeterminato
Una novità che riguarda i lavori domestici proviene dalla legge di Stabilità dello scorso anno (la legge n. 247/2013). La novità è questa: in caso di stabilizzazione di un rapporto di lavoro a termine, cioè
di conversione in assunzione a tempo indeterminato, si ha diritto a ottenere la restituzione del 100
per cento dell’addizionale pagata durante il rapporto di lavoro a termine.
Va bene anche se si tratti di una successiva assunzione a tempo indeterminato, effettuata cioè
dopo la scadenza del rapporto a termine, purché riguardi lo stesso lavoratore e avvenga entro sei mesi
dalla chiusura del precedente rapporto a termine.
In questo caso il rimborso dell’addizionale verrà decurtato di tante mensilità quanti sono i mesi che intercorrono fra il precedente rapporto a termine e la
nuova assunzione.
Retribuzione
del lavoro
straordinario
In base al nuovo Ccnl, in vigore dal 21 febbraio
2014 (ma avente efficacia dal 1° luglio 2013 al
31dicembre 2016) il lavoro straordinario deve essere compensato con una maggiorazione del:
● 25% per le ore di lavoro prestate dalle ore 6,00
alle ore 22,00 (straordinario diurno);
● 50% per le ore di lavoro prestate dalle ore
22,00 alle ore 6,00 (straordinario notturno);
● 60% per le ore di lavoro prestate nel- giorno di
riposo stabilito e nelle festività infrasettimanali;
● 40% per le ore di lavoro prestate nella mezza
giornata di riposo (mancato riposo);
● 10% per le ore eccedenti le ore 40 e fino alle
ore 44 settimanali per i lavoratori non conviventi
purché nella fascia oraria tra le 6.00 e le 22.00.
Le maggiorazioni vanno calcolate sulla quota oraria della retribuzione globale di fatto. Lo straordinario va richiesto con almeno un giorno di preavviso,
salvo casi di emergenza o di particolari necessità
impreviste e non deve pregiudicare il diritto al riposo giornaliero.
Quando
i permessi
retribuiti
Ai sensi del nuovo Ccnl il lavoratore ha diritto a
fruire di permessi retribuiti nei seguenti casi:
● per effettuare visite mediche documentate,
quando l’orario della visita coincide, anche parzialmente, con l’orario di lavoro: fino ad un massimo di
16 ore annue per i lavoratori conviventi (ovvero 12
per i lavoratori assunti in convivenza con orario fino
a 30 ore settimanali) e 12 ore annue per i lavoratori non conviventi con orario non inferiore alle 30
ore settimanali;
● in caso di decesso di un familiare (fino al 2°
grado di parentela): 3 giorni di calendario;
● al lavoratore padre per la nascita di un figlio: 2
giorni di calendario.
Festività
e retribuzione
del domestico
In base al nuovo Ccnl nelle giornate festive il lavoratore ha diritto al completo riposo e alla normale
retribuzione. Quando la festività coincide con la domenica (o nel giorno di riposo stabilito) il lavoratore
ha diritto al recupero del riposo in altra giornata o,
in alternativa, al pagamento di 1/26 della retribuzione globale di fatto; se è lavorata spetta, oltre alla
normale retribuzione giornaliera, il pagamento delle
ore lavorate maggiorate del 60 per cento.
Per i rapporti a ore le festività vanno retribuite
sulla base della normale paga oraria ragguagliata a
un 1/6 dell’orario settimanale.
Indennità
di malattia
e infortunio
In caso di malattia, al lavoratore, convivente o
non convivente, spetta la conservazione del posto
di lavoro per i seguenti periodi:
1) per anzianità di servizio fino a 6 mesi, superato il periodo di prova, 10 giorni di calendario;
2) per anzianità di servizio oltre 6 mesi e fino a 2
anni, 45 giorni di calendario;
3) per anzianità di servizio oltre i 2 anni, 180
giorni di calendario.
I predetti periodi vanno aumentati del 50% per i
lavoratori colpiti da malattia oncologica documentata dalla competente Asl.
Durante il periodo di conservazione del posto di
lavoro, ordinario o maggiorato, il lavoratore ha diritto alla normale retribuzione di fatto (una sorta di
‘indennità di malattia’) nelle seguenti misure:
➡
Marzo 2015
42
PROBLEM I PREVI DENZIALI
DOMESTICI: MINIMI RETRIBUTIVI
● 50 per cento fino al 3° giorno consecutivo di
malattia;
● 100 per cento dal 4° giorno in poi di malattia.
La predetta “indennità di malattia” è riconosciuta
per:
● 8 giorni complessivi nell’anno per le anzianità
fino a 6 mesi superato il periodo di prova;
● 10 giorni complessivi nell’anno per le anzianità
oltre 6 mesi e fino a 2 anni;
● 15 giorni complessivi nell’anno per le anzianità
oltre i 2 anni.
In caso di infortunio l’indennità economica, pari
alla retribuzione globale di tatto, è a carico del datore di lavoro soltanto per il giorno dell’infortunio e
per i successivi 3, mentre successivamente (dal 4°
giorno dopo l’incidente) l’indennità è corrisposta
dall’Inail.
Le ferie
dei domestici:
26 giorni l’anno
Indipendentemente dalla durata dell’orario di lavoro, per ogni anno di servizio presso lo stesso datore di lavoro, il lavoratore domestico ha diritto a
un periodo di ferie della durata complessiva di 26
giorni escluse le domeniche e le festività infra-settimanali.
Durante il periodo di ferie al lavoratore spetta,
per ogni giornata, un ventiseiesimo della retribuzione mensile, comprensiva della eventuale indennità
sostitutiva per il vitto e per l’alloggio. Se il lavoratore è retribuito a ore, occorre prende- re a riferimento il numero di ore effettuate di media in un mese
e dividerle per 26, ottenendo così il numero di ore
equivalente a un giorno di ferie.
CASSACOLF VERSAMENTI “FAI DA TE”
perativa dall’anno 2010, la Cassacolf, la cassa
mutua per colf e badanti assicura ai domestici alcune prestazioni sanitarie. L’iscrizione è
obbligatoria per chi applichi il Ccnl sul lavoro domestico e ha lo scopo di gestire trattamenti assistenziali e assicurativi, integrativi aggiuntivi e/o sostitutivi delle tutele pubbliche, a favore dei collaboratori
familiari. Garantisce la liquidazione di un’indennità
giornaliera in caso di ricovero e convalescenza (20
euro per massimo 20 giorni) nonché il rimborso dei
ticket sanitari (300 euro per anno); ai datori di lavoro assicura, invece, la copertura (fino a 50.000 euro) contro il rischio d’infortunio (dei lavoratori domestici), anche capitati in itinere, di cui possano ritenersi responsabili.
La tutela Cassacolf costa 0,03 euro all’ora (0,01
euro sono a carico dei lavoratori), con versamento
tramite Inps insieme agli altri contributi previdenziali.
Il versamento è a cura del datore di lavoro che
deve provvedervi con la stessa periodicità (trimestrale), entro lo stesso termine e con le stesse modalità dei contributi ordinari compreso il calcolo di
quanto dovuto.
Ai fini del versamento, nella casella “G.ORG.” presente sul bollettino (si trova vicino alla casella “importo”) va indicato il codice “F2”. L’adesione alla
Cassacolf, è obbligatoria per chi applichi il Ccnl (ma
immaginando una vertenza della colf, nessun giudice dimenticherà di aggiungere questa tutela tra le
spettanze richieste a rimborso al datore di lavoro
denunciato), risulta anche conveniente alle famiglie
per la copertura del rischio d’infortunio (la copertura Inail per il lavoratore non copre le eventuali responsabilità del datore di lavoro) e nei lavori di casa, si sa, gli incidenti stanno dietro l’angolo.
Chi decida di aderirvi, però, deve fare i conti con
le difficoltà materiali per effettuare il versamento
O
del contributo perché l’Inps, nonostante sia il gestore unico a cui è affidata la riscossione dei contributi
CassaColf, ha fatto sapere sin dall’avvio della nuova
contribuzione che non avrebbe effettuato né i calcoli del relativo onere a carico delle famiglie e né
che avrebbe indicato alcun importo per la CassaColf
sui bollettini per il versamento. A riprova di questo
disinteressamento l’Inps avverte chiaramente di rivolgersi all’organizzazione sindacale «per qualsiasi
problema relativo al pagamento». Pertanto, a tutto
ciò deve provvedervi autonomamente il singolo datore di lavoro. E a seconda della modalità scelta di
pagamento dovrà seguire questi suggerimenti operativi. Se si pagano i contributi tramite il Mav inviato
dall’Inps, bisogna sapere che non si può farlo per il
contributo aggiuntivo perché in quel Mav non è indicato il contributo CassaColf; pertanto, bisogna
predisporne uno nuovo, on-line, dal sito dell’Inps.
Non è molto diversa la procedura per chi paga i
contributi online dal sito dell’Inps (tramite carta di
credito) oppure tramite un servizio di Home
Bancking (per chi ne dispone uno). In tal caso, nella
sezione “inserisci dati retribuzione” c’è una parte relativa al contributo di assistenza contrattuale: qui
occorre selezionare nel campo “codice organizzazione” il codice “F2” che è quello di CassaColf e inserire nel relativo campo “importo” il valore risultante
dalla moltiplicazione di 0,03 euro per le ore retribuite nel trimestre (già presenti nel campo “ore retribuite”). Al termine, si osserverà che nel campo
“importo totale” ci sarà compresa la quota di contributi CassaColf.
Infine, anche chi effettua il pagamento dei contributi presso un soggetto appartenente al circuito
“Reti amiche” (per esempio una tabaccheria) oppure tramite Call center Inps (con la carta di credito)
deve fornire direttamente i dati relativi ai contributi
CassaColf.
Marzo 2015
43
LE NOSTRE RU BRICH E
IL FISCO SI SPIEGA
a cura di ANNALISA D’ANTONIO
Indagini finanziarie: entro maggio
nell’Anagrafe dei conti correnti
anche i dati relativi a 2013 e 2014
(Agenzia delle entrate, provvedimento del 10 febbraio 2015)
La superanagrafe dei rapporti finanziari riprende a
pieno ritmo la raccolta dati. Dopo lo stop comunicato
dall’Agenzia delle entrate con una nota del 4 aprile
2014 che aveva bloccato l’invio delle informazioni relative al 2013, è stato ora fissato il nuovo calendario a cui
gli operatori finanziari (banche, poste, imprese di investimento, società di gestione del risparmio ed altri intermediari) dovranno attenersi per la cosiddetta “comunicazione integrativa annuale” al Fisco (più precisamente, all’Archivio dei rapporti finanziari dell’Anagrafe tributaria) dei dati su saldi e movimentazioni dei loro clienti.
Allo stato attuale, infatti, relativamente ad ogni rapporto intrattenuto, gli intermediari finanziari sono tenuti
ad effettuare due tipi di comunicazioni: una mensile,
con cui segnalano l’esistenza e la natura dei rapporti intrattenuti, indicando i dati anagrafici (compreso il codice fiscale) dei relativi intestatari; un’altra annuale, con
cui comunicano i dati relativi ai saldi iniziale (al 1° gennaio ovvero, per i rapporti accesi nel corso dell’anno, alla data di apertura) e finale (al 31 dicembre ovvero, per
i rapporti cessati nel corso dell’anno, alla data di chiusura) e ai totali dei movimenti, distinti tra dare e avere,
per ogni tipologia di rapporto; da segnalare anche le
operazioni extraconto. In tal modo, l’Amministrazione
finanziaria viene dotata di un potentissimo strumento
per combattere l’evasione attraverso il ricorso alle indagini finanziarie, potendo avere accesso non solo alle
informazioni su tutte le operazioni che transitano sui
conti correnti, ma anche a: numero di accessi fatti presso le cassette di sicurezza; importo totale degli acquisti
con carta di credito; importo totale degli acquisti (e disinvestimenti) di titoli, fondi, ecc.; importo totale degli
accrediti e degli addebiti su conti deposito, a risparmio
libero o vincolato; importo totale degli acquisti e delle
vendite di oro e metalli preziosi; ecc.
Insomma, un patrimonio enorme di informazioni a
disposizione dell’Agenzia delle entrate, alla quale, tra
l’altro, l’ultima legge di stabilità ha ulteriormente rafforzato i poteri di indagine. Prima, infatti, era previsto che
le informazioni presenti in Anagrafe tributaria venissero
utilizzate per elaborare, tramite procedure centralizzate,
secondo criteri da stabilire con apposito provvedimento, specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione. Ora, invece, gli 007 del Fisco potranno subito utilizzare i dati sui rapporti finanziari per l’analisi del rischio di evasione relativa al singolo soggetto,
senza dover attendere alcun provvedimento attuativo.
Inoltre, le informazioni contenute nell’Archivio dei rapporti saranno utilizzate anche per controllare la veridicità della DSU, la dichiarazione sostitutiva unica che viene resa per determinare l’ISEE, ossia il parametro utilizzato per verificare il diritto alla fruizione di prestazioni
sociali agevolate; a tal fine, gli operatori finanziari dovranno comunicare anche i dati relativi alle giacenze
medie di depositi e conti correnti.
L’operazione di raccolta dati, come si accennava in
precedenza, era stata interrotta nell’aprile scorso, presumibilmente per problemi di privacy, legati alla tutela
dei dati personali, evidentemente ora superati. Tant’è
che il provvedimento delle Entrate imprime una forte
accelerazione: per fine maggio, nel cervellone saranno
convogliati i dati relativi agli anni 2013 e 2014 (i termini di scadenza per la trasmissione sono fissati, rispettivamente, al 2 marzo e al 29 maggio). Dal prossimo anno, poi, cambia la scadenza a regime: non sarà più l’attuale 20 aprile, ma il 15 febbraio dell’anno successivo a
quello cui si riferiscono le informazioni; pertanto, entro
il 15 febbraio 2016, dovranno essere trasmessi i dati relativi al 2015.
Semi-proroga per i modelli CU:
anche dopo il 9 marzo, quelli senza
dati utili per il 730 precompilato
(Agenzia delle entrate, comunicato stampa del 12 febbraio
2015)
I sostituti d’imposta e gli intermediari incaricati (come commercialisti e consulenti del lavoro) potranno
trasmettere le Certificazioni uniche (modello CU, ex
CUD) contenenti soltanto redditi non dichiarabili con il
730 (ad esempio, i compensi derivanti dall’esercizio
abituale di arti o professioni o i ricavi derivanti da attività d’impresa soggetti a ritenuta d’acconto, come quelli
di agenti e rappresentanti di commercio) anche dopo la
scadenza del 9 marzo (in realtà, il termine ordinario è il
7 marzo che, quest’anno, cadendo di sabato, slitta al lunedì successivo), senza incorrere nell’applicazione di
sanzioni (a tal proposito, ricordiamo che, proprio per
far rispettare la scadenza, è prevista, per ogni certificazione omessa, inviata tardivamente o con dati errati,
l’applicazione di una sanzione di 100 euro, senza possibilità, in caso di violazioni plurime, di avvalersi del “cumulo giuridico” né, secondo l’interpretazione fornita
dall’Agenzia delle Entrate, del ravvedimento operoso).
Inoltre, per il primo anno di applicazione del nuovo
adempimento (il 2015), potranno scegliere se compilare o meno la sezione dedicata ai dati assicurativi relativi
all’INAIL (queste informazioni vengono comunicate anche attraverso il modello 770) e se inviare o no le certificazioni contenenti esclusivamente redditi esenti (come borse di studio, assegni di ricerca, retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali o da rappresentanze diplomatiche e consolari), dati che non risultano rilevanti per la precompilazione dei modelli 730.
È quanto ha reso noto l’Amministrazione finanziaria
per venire incontro, almeno in parte, alle richieste degli
Ordini professionali di categoria, che chiedevano una
proroga generalizzata della scadenza per l’invio dei
modelli CU. Si tratta delle nuove certificazioni che, da
quest’anno, sostituiscono non solo il vecchio modello
CUD che veniva rilasciato ai titolari di redditi di lavoro
dipendente (e assimilati), comprese le pensioni, ma
anche le varie certificazioni in forma libera che attestavano i redditi di lavoro autonomo (sia professionali
che occasionali), i redditi diversi e le provvigioni. Tali
modelli, oltre ad essere rilasciati ai diretti interessati
entro la consueta scadenza del 28 febbraio (quest’anno, 2 marzo), devono essere anche trasmessi in via telematica all’Agenzia delle entrate. La novità è strettamente connessa all’introduzione della dichiarazione
precompilata: quei dati, infatti, servono al Fisco per
predisporre e – come previsto dal decreto legislativo n.
➡
Marzo 2015
44
LE NOSTRE RU BRICH E
IL FISCO SI SPIEGA
175/2014 (“semplificazioni tributarie”) – mettere on line, a disposizione dei singoli contribuenti, il modello
730 precompilato entro il successivo 15 aprile.
L’Amministrazione finanziaria, quindi, per non far
slittare l’intera operazione, ha trovato una soluzione di
compromesso, confermando l’inderogabilità della scadenza del 9 marzo soltanto per le certificazioni che impattano sulla compilazione del 730, cioè che attestano
redditi riportabili nella precompilata; quindi, non solo
lavoro dipendente e assimilati, ma anche, ad esempio,
diritti d’autore, partecipazione agli utili di un’associazione con apporto di solo lavoro, attività di lavoro autonomo e commerciale non esercitate abitualmente,
attività sportive dilettantistiche, assunzione degli obblighi di fare, non fare e permettere, ecc. Le altre certificazioni CU potranno essere trasmesse anche successivamente: dal momento che il comunicato stampa non
ha indicato una data precisa entro la quale provvedere,
è consigliabile assumere un comportamento prudenziale e dar seguito alla trasmissione delle certificazioni
il prima possibile.
Solo imposta di registro fissa
nel passaggio da proprietà
superficiaria a proprietà piena
(Agenzia delle entrate, risoluzione n. 17/E del 16 febbraio
2015)
Regime fiscale agevolato, ossia imposta di registro in
misura fissa (attualmente, 200 euro) ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale, quando si “riscatta”
dal Comune l’area – che lo stesso ente locale aveva già
concesso in diritto di superficie – acquisendo, pertanto, la proprietà piena, e non più solo superficiaria,
dell’appartamento. In tale circostanza, infatti, è applicabile il trattamento di favore previsto per gli atti di trasferimento in proprietà delle aree ricomprese nell’ambito dei piani di edilizia economica e popolare (PEEP).
L’importante chiarimento è arrivato dall’Amministrazione finanziaria a seguito dell’istanza di interpello presentata dagli appartenenti a una cooperativa che, oltre
25 anni fa, in attuazione del piano di zona consortile
per l’edilizia economica e popolare, realizzò un fabbricato, assegnando ai soci la proprietà superficiaria degli
alloggi. Il Comune, ancora proprietario dell’area sottostante, ha di recente proposto ai condomini, avvalendosi dell’opportunità concessa dalla Finanziaria 1999
(legge n. 448/1998), di trasformare il diritto di superficie in proprietà, attraverso la sottoscrizione di una convenzione per l’acquisto dell’area su cui insiste l’immobile, proporzionalmente alla quota millesimale spettante in relazione all’alloggio e alle pertinenze possedute. Gli interpellanti, ritenendo di dover applicare l’ordinaria imposta di registro in misura proporzionale (aliquota del 9%) e le imposte ipotecaria e catastale nella
misura fissa di 50 euro ciascuna, hanno richiesto al Fisco se, in presenza dei necessari presupposti, fosse
possibile applicare l’aliquota agevolata del 2% prevista
per l’acquisto della “prima casa”.
L’Agenzia delle entrate, rispondendo al quesito, ha
innanzitutto bocciato tale possibilità, in quanto quell’agevolazione è riservata ai trasferimenti che hanno per
oggetto “case di abitazione, ad eccezione …”: poiché
le norme che recano benefici fiscali – come più volte
chiarito dalla Corte di cassazione – sono di stretta interpretazione e la loro applicazione non può essere
estesa a fattispecie non espressamente contemplate
dalla legge, non è possibile contemplare le agevolazioni “prima casa”, destinate dal legislatore alle “case di
abitazione”, anche per gli atti di trasferimento dell’area
su cui insiste il fabbricato.
Tuttavia, è la stessa Agenzia che fornisce un’alternativa pro contribuente, sostenendo che a tali atti si può
invece applicare il regime agevolato previsto dall’articolo 32 del DPR 601/1973 sull’edilizia economica e
popolare. Tale norma era inizialmente finita nella ta-
➡
IMU AGRICOLA: PAGAMENTO SENZA SANZIONI FINO AL 31 MARZO
tempo ormai abbondantemente scaduto, sta per arrivare una sorta di mini-proroga/sanatoria per il pagamento dell’IMU 2014 sui terreni agricoli. La questione, negli ultimi mesi, ha “travagliato” (e non poco) i diretti interessati (vedi le leggi illustrate del mese scorso, a pag.
37): la scadenza, già programmata per il 16 dicembre 2014,
è stata spostata in un primo momento al 26 gennaio 2015
e, successivamente, al 10 febbraio.
Caos anche per quanto riguarda l’individuazione dei terreni
che possono fruire dell’esenzione dal tributo: abbandonate
le regole in vigore fin dai tempi dell’ICI (si faceva riferimento ad un elenco di aree montane e di collina allegato alla circolare ministeriale n. 9/1993), si è passati prima ad una classificazione dei terreni agricoli in tre categorie (esenti, quelli
situati in comuni il cui centro - cioè la casa comunale - è ad
un’altitudine sopra i 600 metri; esenti solo se posseduti e condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali
iscritti nella previdenza agricola, quelli siti in comuni il cui centro è ad un’altitudine tra 281 e 600 metri; imponibili, tutti gli
altri), per giungere definitivamente a un altro criterio: sono esenti tutti i terreni siti nei comuni classificati totalmente montani secondo l’elenco predisposto dall’ISTAT (è reperibile sul sito
internet dell’Istituto di statistica) nonché, nei comuni par-
A
zialmente montani, i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola. Per il 2014, comunque, sono valide entrambe
le ultime due metodologie.
Come accennato, è ora in arrivo, con un emendamento al
decreto legge n. 4/2015 (si tratta del provvedimento che ha
fissato le ultimissime regole in materia di IMU agricola e che
è ancora in discussione al Parlamento per la sua conversione in legge), una specie di sanatoria per i contribuenti che,
a causa dell’accavallarsi delle disposizioni normative (spesso anche arrivate sul filo di lana), hanno sbagliato i conteggi e versato meno del dovuto entro la scadenza del 10 febbraio. Qualora venisse confermata la novità, che - quando questo giornale viene stampato - ha già ottenuto il via libera dalla Commissione Finanze e Tesoro del Senato e che riteniamo nessuno intenda ostacolare, sarà possibile regolarizzare i pagamenti relativi all’IMU agricola per il 2014 fino al prossimo 31 marzo, senza applicazione di sanzioni ed interessi.
Con un altro emendamento, inoltre, viene riconosciuto il
diritto al rimborso per i contribuenti che hanno pagato il tributo municipale in relazione a terreni agricoli che, inizialmente
soggetti a imposizione, successivamente sono risultati esenti in virtù delle ultime regole dettate dal DL n. 4/2015.
Marzo 2015
45
LE NOSTRE RU BRICH E
IL FISCO SI SPIEGA
gliola del decreto legislativo sul federalismo fiscale
(DLGS n. 23/2011), che ha sancito la soppressione generalizzata, a decorrere dal 1° gennaio 2014, di tutte le
esenzioni ed agevolazioni tributarie, anche se previste
da leggi speciali, per gli atti costitutivi e traslativi di diritti reali a titolo oneroso. Successivamente, però, è
stata riportata in vita dal decreto “Sblocca Italia” (DL n.
133/2014), che ha salvato – tra l’altro – l’applicazione
dell’imposta di registro fissa e l’esenzione dalle imposte ipocatastali per gli atti di trasferimento della proprietà e per gli atti di cessione del diritto di superficie
delle aree di cui al Titolo III della legge 865/1971. Poiché la norma richiamata disciplina anche i piani delle
aree da destinare ad edilizia economica e popolare
(legge 167/1962), ossia le aree acquisite per esproprio
dai Comuni e concesse in diritto di superficie per la costruzione di case di tipo economico e popolare e dei
relativi servizi urbani e sociali, il regime fiscale di favore è legittimamente applicabile anche all’atto con cui il
Comune cede l’area, inclusa nel PEEP, agli assegnatari
della proprietà superficiaria sugli alloggi, in quanto si
tratta di atto attuativo dei piani di edilizia economica e
popolare.
Come recuperare i rimborsi da 730
e i versamenti di ritenute in eccesso:
le istruzioni per i sostituti d’imposta
(Agenzia delle entrate, risoluzione n. 13/E del 10 febbraio
2015)
L’Agenzia delle entrate ha reso noto i codici tributo
per dare concreta attuazione alla norma contenuta nel
“decreto semplificazioni” (articolo 15 del DLGS n.
175/2014), che ha disposto l’utilizzo esclusivo in compensazione tramite modello F24, da parte dei sostituti
d’imposta, sia delle somme rimborsate ai dipendenti/pensionati sulla base dei prospetti di liquidazione
delle dichiarazioni modelli 730 e dei risultati contabili
trasmessi da Caf e professionisti che prestano assistenza fiscale, sia delle eventuali eccedenze di versamento
di ritenute alla fonte e di imposte sostitutive.
In sostanza, da quest’anno, i sostituti d’imposta che
vogliono rientrare degli importi corrisposti a seguito
delle operazioni di conguaglio da 730 e di quelli erroneamente versati in più all’erario a titolo di ritenute e
imposte sostitutive, non possono più farlo attraverso il
meccanismo della “compensazione interna”, cioè
scomputandoli direttamente dalle ritenute da versare,
ma devono necessariamente rendere l’operazione “trasparente”, dandone evidenza nel modello F24. Nel dettaglio, è previsto che quelle cifre vengano compensate:
nel mese successivo a quello di erogazione del rimborso, se si tratta di conguagli da 730; dai successivi pagamenti fatti con F24, in caso di versamenti di ritenute
alla fonte e imposte sostitutive effettuati in misura
maggiore rispetto al dovuto.
Questi i nuovi codici tributo che devono essere riportati nell’F24 per compensare le somme rimborsate a
dipendenti/pensionati in base alle dichiarazioni dei
redditi modello 730 (vanno utilizzati anche dai sostituti
d’imposta tenuti all’utilizzo dell’“F24 Enti pubblici”):
● “1631” (somme rimborsate a titolo di imposte erariali, come Irpef e cedolare secca), da esporre nella sezione “Erario”;
● “3796” (somme rimborsate a titolo di addizionale
regionale all’Irpef), da indicare nella sezione “Regioni”;
● “3797” (somme rimborsate a titolo di addizionale
comunale all’Irpef), da riportare nella sezione “Imu e
altri tributi locali”.
Nel campo “anno di riferimento”, va scritto l’anno
d’imposta cui si riferiscono le somme rimborsate.
Questi, invece, i codici per compensare le eccedenze
di versamento di ritenute e di imposte sostitutive e le
somme restituite in sede di conguaglio di fine anno o
per cessazione del rapporto di lavoro. I primi tre devono essere indicati nella sezione “Erario” del modello
F24, gli altri due nelle sezioni, rispettivamente, “Regioni” e “Imu e altri tributi locali”:
● “1627” (eccedenza di versamenti di ritenute da lavoro dipendente e assimilati);
● “1628” (eccedenza di versamenti di ritenute da lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi);
● “1629” (eccedenza di versamenti di ritenute su
redditi di capitale e di imposte sostitutive su redditi di
capitale e redditi diversi);
● “1669” (eccedenza di versamenti di addizionale
regionale all’Irpef);
● “1671” (eccedenza di versamenti di addizionale
comunale all’Irpef).
Come “anno di riferimento” va indicato l’anno d’imposta cui si riferisce il versamento in eccesso.
Altri tre codici, infine, per consentire ai sostituti d’imposta di compensare, sempre tramite F24, le somme
da loro riconosciute a dipendenti/pensionati a titolo di
credito per famiglie numerose (con più di tre figli) e di
credito per canoni di locazione, nonché il credito d’imposta per le ritenute Irpef sulle retribuzioni e sui compensi corrisposti dalle imprese marittime al proprio
personale:
● “1632” (credito per famiglie numerose, riconosciuto dal sostituto d’imposta);
● “1633” (credito per canoni di locazione, riconosciuto dal sostituto d’imposta);
● “1634” (credito d’imposta per ritenute Irpef su retribuzioni e compensi al personale delle imprese marittime).
Vanno tutti e tre riportati nella sezione “Erario”, indicando nel campo “anno di riferimento” l’anno d’imposta cui si riferisce il credito.
Split payment solo se c’è fattura.
Niente sanzioni per gli errori
commessi prima della circolare
(Ministro dell’economia, decreto 23/1/2015, in G.U. n.
27 del 3/2/2015; Agenzia delle entrate, circ. n. 1/E del
9/2/2015 e ris. n. 15/E del 12/2/2015)
Tutto definito per la concreta attuazione dello “split
payment” (in italiano, scissione dei pagamenti), il meccanismo di riscossione dell’IVA introdotto – dall’ultima
legge di stabilità (articolo 1, comma 629, legge n.
190/2014) – per contrastare i fenomeni di evasione e
le frodi nel settore dell’imposta sul valore aggiunto.
In base alla nuova disciplina, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi (escluse le operazioni già
soggette a reverse charge, detto anche meccanismo
dell’inversione contabile, e le prestazioni professionali assoggettate a ritenuta) effettuate dal 1° gennaio 2015 nei confronti di alcune amministrazioni
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Marzo 2015
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LE NOSTRE RU BRICH E
IL FISCO SI SPIEGA
pubbliche, l’IVA – a differenza di quanto prevedono
le regole ordinarie che disciplinano il tributo, secondo le quali soggetto debitore d’imposta è il cedente/pre statore – è versata dalle stesse PA cessionarie/com mittenti. In pratica, i soggetti pubblici devono
pagare ai fornitori di beni e servizi il corrispettivo al
netto dell’IVA, versando l’imposta direttamente all’erario (vedi le leggi illustrate di febbraio, a pag. 6).
Nel mese di febbraio, nel giro di dieci giorni (dal 3 al
12), per completare il quadro normativo di riferimento
sono stati ufficializzati: il decreto ministeriale attuativo
della disposizione di legge; la circolare delle Entrate
con i primi chiarimenti interpretativi (in particolare,
sull’ambito soggettivo di applicazione); la risoluzione
della stessa Agenzia, con cui sono stati istituiti i codici
tributo per il versamento dell’IVA da parte delle pubbliche amministrazioni.
Queste, in sintesi, le principali puntualizzazioni:
● lo split payment si applica alle sole operazioni documentate mediante fattura, non anche a quelle certificate con scontrino o ricevuta fiscale;
● lo split payment non si applica alle forniture nei
confronti di: enti previdenziali privati o privatizzati;
aziende speciali (incluse quelle delle Camere di commercio); enti pubblici economici che operano con
un’organiz zazione imprenditoriale di tipo privatistico
nel campo della produzione e dello scambio di beni e
servizi; ordini professionali; enti ed istituti di ricerca;
agenzie fiscali; autorità amministrative indipendenti (ad
esempio, l’AGCOM); Agenzie regionali per la protezione
dell’am biente (ARPA); Automobile club provinciali;
Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN); Agenzia per l’Italia digitale; Inail; Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica
(ISPO). In ogni caso, per una più puntuale individuazione
dei soggetti pubblici interessati dalla “scissione dei pagamenti”, la circolare dell’Agenzia delle entrate consiglia di
consultare l’Indice delle pubbliche amministrazioni (http://indicepa.gov.it/documentale/ricerca.php); come estrema ratio, in caso
di dubbi perduranti, si potrà presentare alla stessa Agenzia delle entrate una specifica istanza di interpello;
● per le eventuali violazioni in merito all’applicazione
del nuovo meccanismo commesse prima dell’emanazione della circolare delle Entrate (quindi, fino all’8 febbraio scorso), non saranno applicate sanzioni. Pertanto,
non va operata alcuna variazione se la PA ha pagato al
fornitore anche l’IVA da quello addebitata e se lo stesso,
di conseguenza, in sede di liquidazione, ha conteggiato
ordinariamente l’imposta incassata. Al contrario, il fornitore, che ha emesso fattura con l’annotazione “scissione
dei pagamenti” per un’operazione che invece non doveva essere assoggettata al nuovo meccanismo, dovrà correggersi, esigendo dalla PA anche la relativa imposta;
● le pubbliche amministrazioni titolari di conti presso la Banca d’Italia devono versare l’IVA relativa alle
operazioni soggette alla “scissione dei pagamenti” con
il modello “F24 Enti pubblici”, indicando il codice tributo “620E”;
● le pubbliche amministrazioni autorizzate a detenere un conto corrente presso una banca convenzionata
con l’Agenzia delle entrate o presso Poste italiane devono invece versare tramite il modello F24 ordinario,
riportando il codice tributo “6040”;
● le pubbliche amministrazioni diverse da quelle indicate ai due punti precedenti, infine, devono versare
l’imposta da split payment direttamente all’entrata del
bilancio dello Stato, con imputazione al capo 8, capitolo 1203, articolo 12.
IN SEDE PENALE NO ALL’ACCERTAMENTO PRESUNTIVO
VA SUPPORTATO DA ULTERIORI ELEMENTI
(Corte di cassazione, sentenza n. 6823 del 17 febbraio 2015)
Porte sbarrate, ancora una volta, all’ingresso in sede
penale dell’accertamento presuntivo, ammesso invece
in sede tributaria. La Corte di cassazione ha confermato il suo orientamento, sulla base del quale le presunzioni, spesso sufficienti a condannare il contribuente
dal punto di vista fiscale, non sono parimenti bastanti
a dichiararlo colpevole anche penalmente. Piuttosto,
vanno considerate dei meri indizi, utilizzabili sì anche
in sede penale per giungere ad un verdetto di condanna, ma soltanto se adeguatamente corroborate da ulteriori elementi. In buona sostanza, per confermare il
reato, non è sufficiente l’accettazione “passiva” del
contenuto del processo verbale di constatazione redatto dall’Agenzia delle entrate, occorre che il giudice verifichi la sussistenza della violazione tramite indagini
specifiche volte ad accertare (o meno) la fondatezza
della tesi accusatoria e rappresenti opportunamente i
motivi per i quali ritiene attendibili le risultanze del
controllo fiscale.
Il caso giunto sul tavolo della Corte suprema di cassazione riguardava un contribuente che, accusato di
aver saltato l’adempimento dichiarativo annuale per il
2006, con conseguente evasione di IVA, era stato imputato per omessa presentazione della dichiarazione.
Tale reato è disciplinato dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000 che punisce chi, allo scopo di
evadere le imposte sui redditi o l’IVA, non presenta,
pur essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a quelle imposte. Nella versione vigente
all’epoca dei fatti, perché la violazione fosse penalmente rilevante, occorreva che l’importo dell’imposta
evasa fosse superiore a 77.468,53 euro (dal 17 settembre 2011, la soglia è scesa a 30.000 euro).
Il contribuente, dopo essere stato condannato nei
primi due gradi di giudizio, si è rivolto alla Cassazione
lamentando, tra l’altro, che la Corte di appello non
aveva agito correttamente, in quanto non aveva accertato l’effettivo ammontare dell’imposta evasa e, di
conseguenza, il superamento della soglia di punibilità:
l’entità dell’evasione era stata quantificata in maniera
presuntiva, sulla base dell’accertamento tributario.
I Giudici supremi gli hanno dato ragione, avendo
constatato che le imposte sottratte all’Erario erano state calcolate non in maniera puntuale, ma presuntiva,
accettando in maniera acritica gli esiti dell’accertamento tributario e scaricando sull’imputato l’onere di dimostrare il mancato superamento della soglia di punibilità. È invece compito del giudice penale accertare e
determinare l’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può anche entrare in contrasto con
quella eventualmente fatta dal giudice tributario.
Marzo 2015
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GLI ESPERTI RISPON DONO
QUESITI FISCALI
a cura di PAOLA TRIA
Abitazione principale
parzialmente
data in affitto
Sono un pensionato con difficoltà ad arrivare a fine mese, e
cedo in affitto due camere a due studenti universitari per 10
mesi (da ottobre a luglio), continuando ad abitare io stesso
nell’appartamento di mia proprietà. Nel maggio del 2011, nel
nostro prezioso mensile, avete dato ad un analogo quesito una
risposta chiara ed esauriente che io ho adottato per il mio 730.
L’anno scorso il CAF ha elaborato il mio 730/2013 in modo
difforme, confondendo, forse, il mio caso con altra situazione di
chi affitta la propria abitazione, per esempio per un mese estivo
e senza che lui stesso vi abiti. È cambiata la normativa oppure
ha sbagliato il CAF? Potete fornirmi cortesemente delucidazioni?
Pietro Suma - Bari
Nella dichiarazione dei redditi, in linea generale, deve essere
compilato un solo rigo della sezione riservata ai redditi dei fabbricati (quadro B del modello 730 ovvero quadro RB di UNICO)
quando, nel corso del periodo d’imposta, non ci sono state variazioni, ad esempio, nell’utilizzo dell’immobile o nella quota di
possesso. Se invece durante l’anno, in relazione ad uno stessa
unità immobiliare, si sono verificate situazioni differenti, ognuna di esse deve essere rappresentata in un singolo rigo; in questi casi, va barrata la colonna 8 (“continuazione”) del secondo
rigo compilato, per segnalare che si tratta dello stesso fabbricato del rigo precedente. È il caso del nostro lettore che, per due
mesi (agosto e settembre), utilizza l’appartamento esclusivamente come abitazione principale, mentre nei restanti dieci, oltre ad abitarvi, ne cede una parte in locazione.
Nella situazione appena descritta, per stabilire il reddito del
fabbricato, va effettuato il raffronto tra il totale delle quote di
rendita catastale e il totale delle quote di canone di locazione:
se il primo è maggiore o uguale al secondo, la tassazione avviene in base alla rendita; se invece risulta maggiore il canone di
locazione (come ordinariamente accade), si tassa in base a
quello.
Da ultimo, ricordiamo che nella colonna 2 (“utilizzo”) deve
essere indicato il codice “11”, se si tratta di immobile in parte
utilizzato come abitazione principale e in parte concesso in locazione in regime di libero mercato o “patti in deroga”, oppure
il codice “12”, se l’abitazione principale – situata in uno dei comuni ad alta densità abitativa – è concessa parzialmente in locazione a canone “concordato”.
Spese
condominiali
detraibili
Nelle disposizioni dell’Agenzia delle Entrate, in linea generale, viene affermata la detraibilità delle spese condominiali sostenute per mantenere in efficienza gli impianti di uso comune.
In tale quadro, si desidera conoscere se le spese mensili/trimestrali relative ai contratti di manutenzione, quali quelli per
l’autoclave e/o l’ascensore, rientrino nella fattispecie della detraibilità.
Luigi Rendalino – Palermo
Infatti, secondo l’articolo 16-bis del TUIR, rientrano tra le spese agevolabili con il cosiddetto “bonus ristrutturazioni” anche
quelle sostenute per lavori di manutenzione ordinaria effettuati
sulle parti comuni di edificio residenziale. Come chiarito dalla
risoluzione n. 7/2010 dell’Agenzia delle entrate, la detrazione
IRPEF del 36% (attualmente - e fino al 31 dicembre 2015 “potenziata” al 50%) spetta per gli interventi eseguiti su tutte le
parti comuni condominiali, come definite dall’articolo 1117 del
codice civile, quindi anche quelle individuate dal n. 3 di quella
norma, vale a dire: le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti, le fognature,
i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli
condomini. Riteniamo, pertanto, che al quesito si possa dare risposta affermativa.
Rendite svizzere
e rapporti
con Irpef ed Isee
Mio suocero ex lavoratore dipendente di azienda privata in
Svizzera è rientrato definitivamente in Italia ove ha residenza:
percepisce per effetto contributivo dalla cassa de compensation
Swissemen una rendita mensile AVS, con relativa certificazione
fiscale annuale. Riceve inoltre, dalla Institution De Prevoyance
De Tornos, ulteriore rendita AVS mensile, ad integrazione di
quella precedente. Anche per l’importo di questa rendita viene
rilasciata certificazione fiscale.
Chiedo se queste due rendite dovranno essere tassate in Italia, anche se già tassate alla fonte in Svizzera oppure dovranno
essere dichiarate in Svizzera. In Italia, i predetti redditi percepiti
andranno a formare cumulo ai fini di eventuale dichiarazione
ISEE?
Alfredo Fusco – Napoli
In base alla Convenzione contro le doppie imposizioni tra
Italia e Svizzera, le pensioni pubbliche sono tassate: solo in terra elvetica, se il contribuente possiede la nazionalità svizzera;
solo in Italia, se il contribuente non possiede la nazionalità svizzera. Le pensioni private, invece, sono tassate solo in Italia. Infine, le rendite corrisposte da parte dell’Assicurazione svizzera
per la vecchiaia e per i superstiti (cosiddette “rendite Avs”),
non devono essere dichiarate in Italia, perché assoggettate a ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Queste ultime, tuttavia, rientrano nel calcolo da effettuare
per stabilire l’ISEE (indicatore della situazione economica equivalente), il parametro utilizzato per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate. Infatti, la disciplina in materia, recentemente
riformata, per valutare meglio l’effettiva situazione economica
della famiglia, prevede la rilevanza di una serie di voci, prima
non considerate. Oltre al reddito complessivo IRPEF, nella DSU
(dichiarazione sostitutiva unica), che va presentata per ottenere
l’ISEE, devono essere riportati: i redditi soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo d’imposta; ogni altro reddito esente
da imposta (compresi quelli da lavoro dipendente prestato all’estero); i proventi derivanti da attività agricole, svolte anche in
forma associata, per le quali sussiste l’obbligo di presentare la
dichiarazione IVA; gli assegni per il mantenimento di figli; i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche (se non sono già
stati inclusi nel reddito complessivo IRPEF); redditi fondiari rela-
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Marzo 2015
48
GLI ESPERTI RISPON DONO
QUESITI FISCALI
tivi ai beni non locati assoggettati ad IMU; il reddito figurativo
delle attività finanziarie; il reddito lordo dichiarato nel Paese di
residenza da parte degli appartenenti al nucleo familiare iscritti
nell’AIRE (anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero).
Ristrutturazioni
e spese sostenute
dal condominio
Proprietario al 100% di unità immobiliare concessa in uso
gratuito alla propria figlia la quale, assieme al marito, lo utilizza
come abitazione principale, chiede di sapere se le spese di ristrutturazione edilizia eseguite sulle parti comuni dell’edificio
condominiale, sostenute dal genero (essendo la figlia a carico
di quest’ultimo), possa lo stesso portarle in detrazione nella dichiarazione dei redditi da presentare nel 2015.
Come dovrà essere rilasciata la certificazione dell’amministratore, visto che le spese sono state sostenute dal genero? E inoltre, è necessario redigere un contratto di comodato (ora verbale) registrato per accedere alla detrazione da parte del genero?
Vale anche in ambito condominiale il principio che le spese
sostenute dal comodatario possono essere ammesse all’agevolazione della detrazione fiscale?
A.L. – Siena
Possono usufruire del “bonus ristrutturazioni”, anche per i lavori effettuati su parte comuni condominiali, non solo coloro
che possiedono l’immobile oggetto dell’intervento a titolo di
proprietà, nuda proprietà o altri diritti reali (quali l’usufrutto, l’uso, l’abitazione), ma anche chi lo detiene sulla base di un contratto di locazione o di comodato oppure è familiare convivente
con il possessore intestatario dell’appartamento o è futuro acquirente dell’immobile.
Nel caso descritto, pertanto, sarebbe opportuno registrare un
contratto di comodato d’uso gratuito tra il proprietario della casa e il genero (che vi abita con la moglie). La circostanza consentirebbe a quest’ultimo di detrarre legittimamente quanto
pagato per gli interventi eseguiti sulle parti comuni dell’edificio.
È ovviamente necessario che lo stesso sia in grado di dimostrare, con idonea documentazione (ad esempio, la ricevuta di un
bonifico), di essere stato effettivamente lui a sostenere le spese
in questione, soprattutto nel caso in cui ciò non dovesse risultare dalla certificazione rilasciata dall’amministratore del condominio, perché intestata al proprietario dell’appartamento.
Stipula mutuo
e detrazione
per l’Iva del notaio
La fattura del notaio per la stipula dell’atto di mutuo per acquisto prima casa va detratta compresa l’IVA o al netto dell’imposta. La ringrazio cordialmente.
E.C. – Brescia
Le spese notarili sostenute per la stipula del contratto di mutuo ipotecario, stipulato per l’acquisto dell’unità immobiliare da
destinare ad abitazione principale, rientrano tra gli oneri di natura accessoria connessi all’operazione di finanziamento. In
quanto tali, sono detraibili alla stregua degli interessi passivi (e
cumulate ad essi) entro l’importo massimo di 4.000 euro all’anno. Nel conteggio deve essere considerato l’intero onorario
pagato al notaio, comprensivo dell’IVA addebitata in fattura.
Proroga di locazione
con pagamento
in unica soluzione
Ho stipulato un contratto di locazione a canone agevolato
dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015 ed ho pagato l’imposta di registro, per tutti e tre gli anni. Nel caso di proroga fino al
31 dicembre 2017, quale codice tributo debbo indicare per il
pagamento dell’imposta di registro per tutte e due gli anni?
R.P. – Crotone
La proroga di un contratto di locazione (così come gli altri
possibili eventi successivi alla registrazione di un contratto, ossia
la risoluzione anticipata o la cessione) può essere comunicata al
Fisco o in via telematica o rivolgendosi all’ufficio territoriale
dell’Agenzia delle entrate dove è stata effettuata la registrazione.
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INQUILINO MOROSO E TASSE
nquilino moroso da febbraio
2014. Il 25 novembre il giudice
convalida lo sfratto. Ho chiesto la
risoluzione del contratto, ma è stata
posta la data dal 25 novembre. Debbo dichiarare nel 730/2015 il canone fino a novembre, come se l’avessi
ricevuto?
Angelo Bonaccorso – Roma
I
Quando un inquilino non paga l’affitto, il proprietario è doppiamente
penalizzato: non solo non riscuote i
canoni pattuiti, ma è anche costretto
a pagarvi le tasse, come se quelle
somme fossero invece state incassate. Infatti, in deroga al principio generale (cosiddetto “criterio di cassa”)
secondo il quale i redditi delle persone fisiche (esclusi quelli d’impresa)
devono essere dichiarati e tassati nell’anno in cui sono percepiti, relativamente ai redditi dei fabbricati, l’articolo 26 del TUIR subordina il prelievo
fiscale al semplice possesso (a titolo
di proprietà, usufrutto o ogni altro diritto reale) dell’immobile. Pertanto,
se l’inquilino non paga l’affitto, il locatore deve comunque far concorrere
i canoni pattuiti alla formazione del
proprio reddito complessivo.
Tuttavia, è prevista un’eccezione a
questa regola, anche se limitata alle
sole locazioni a uso abitativo, che si
concretizza quando l’inquilino è moroso e si è concluso il procedimento
giurisdizionale di convalida di sfratto.
In questa circostanza, il proprietario
dell’immobile non è tenuto a dichiarare il reddito relativo ai canoni non
riscossi (il fabbricato va comunque
tassato in base alla rendita catastale), a patto che il provvedimento di
convalida di sfratto giunga – come
nel caso descritto dal lettore – prima
che sia scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione dei
redditi. Ovviamente, i canoni non
vanno tassati a partire dalla data in
cui è cominciata la morosità dell’in-
quilino, come accertata dal giudice.
Inoltre, se questi riscontra che la morosità sussisteva già in precedenti
annualità, al proprietario spetta pure
un credito d’imposta di importo pari
ai tributi versati in quegli anni in relazione ai canoni non percepiti, ma
dichiarati.
Questa eccezione, come già ricordato, è riconosciuta soltanto per le
locazioni abitative. Negli altri casi (affitto di un negozio, un ufficio, un
box, ecc.), i canoni, anche quando
non percepiti, vanno comunque inseriti nella dichiarazione dei redditi,
nella misura in cui risultano dal contratto di locazione, fino a quando
non interviene una causa di risoluzione del contratto stesso, né è concessa l’opportunità di recuperare le
eventuali imposte assolte sui canoni
dichiarati e non riscossi. Principio ribadito anche di recente all’Agenzia
delle entrate, con la circolare n.
11/2014.
Marzo 2015
49
GLI ESPERTI RISPON DONO
QUESITI FISCALI
A seconda della scelta operata, cambiano pure le modalità di
pagamento della relativa imposta di registro (ricordiamo che
l’imposta non è dovuta se, per i canoni locativi, si sceglie l’applicazione del regime sostitutivo della cedolare secca).
Nel primo caso (proroga via web), il tributo è assolto direttamente durante l’operazione on line, con addebito su conto corrente. Se invece la proroga è comunicata mediante presentazione del modello RLI all’ufficio (cosa da fare nei venti giorni
successivi al versamento), l’imposta va pagata tramite modello
“F24 versamenti con elementi identificativi”, indicando il codice
tributo “1504” (da quest’anno non si utilizza più il “vecchio”
F23, con codice tributo “114T”); nel modello vanno indicati anche i dati di locatore e conduttore e gli estremi di registrazione
del contratto.
Ristrutturazione
dell’appartamento
della figlia
Per quanto riguarda le detrazione per la ristrutturazione al
50%, un genitore può usufruire del bonus se sostiene interamente la spesa per la ristrutturazione di un appartamento, intestato alla figlia ivi residente, inoccupata, priva di alcun reddito e
a carico fiscalmente dello stesso genitore?
A.F. – Firenze
Tra i soggetti che possono beneficiare della detrazione per le
spese di recupero del patrimonio edilizio, il cosiddetto “bonus
ristrutturazioni”, rientra anche il familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado) convivente con
il possessore, cioè con il proprietario (o il titolare di un altro diritto reale, come l’usufrutto) dell’immobile oggetto degli interventi, a condizione che sostenga il costo dei lavori, ossia che le
fatture e i bonifici di pagamento siano a lui intestati. L’immobile
sul quale sono effettuati gli interventi agevolati non deve necessariamente essere considerato abitazione principale per il proprietario o il familiare, è sufficiente che si tratti di una delle abitazioni in cui si esplica il rapporto di convivenza; la situazione di
convivenza deve sussistere già al momento in cui vengono avviati i lavori. Pertanto, il genitore del nostro quesito potrà fruire
della detrazione per i lavori di ristrutturazione effettuati sull’appartamento di proprietà della figlia, se tra i due c’è rapporto di
convivenza e i documenti di spesa (fatture e bonifici) risultano
intestati al genitore medesimo.
La circostanza di non possedere redditi e di essere fiscalmente a carico non è rilevante per l’attribuzione del “bonus ristrutturazioni”.
Unico 2015:
criterio di cassa
o di competenza
Per i redditi da inserire nell’UNICO 2015 devo seguire il principio di cassa o di competenza? Mi spiego: il mio inquilino paga
il fitto con un mese di ritardo: la rata di dicembre 2014 la pagherà nel mese di gennaio 2015.
C.D. – Cagliari
In linea generale, per i redditi delle persone fisiche vige il cosiddetto “criterio di cassa”, in base al quale i redditi vanno inseriti nella dichiarazione annuale e, conseguentemente, assoggettati
a tassazione nel periodo d’imposta in cui sono percepiti. A questo principio derogano, oltre che i redditi d’impresa, anche i fondiari (cioè quelli derivanti dal possesso di fabbricati e terreni).
Questi ultimi, infatti, in base all’articolo 26 del TUIR, concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, nel periodo d’imposta in cui si è verificato il possesso. In caso di loca-
zione, pertanto, per determinare il reddito fondiario, sono rilevanti non i canoni effettivamente percepiti, ma quelli risultanti
dal contratto.
Documentazione
risparmio
energetico
Ho intenzione di cambiare il finestrone del mio appartamento e chiedo quali incombenze di carattere burocratico debbo
seguire per ottenere la detrazione del 65% previsto dalla legge.
In particolare, mi interessa anche conoscere il contenuto del
certificato che la ditta installatrice del finestrone mi deve rilasciare e che debbo custodire ed esibire a richiesta dell’Agenzia
delle entrate. Notizie anche della scheda informatica da inviare
telematicamente all’Enea.
P.R. – Parma
La detrazione per le spese di riqualificazione energetica degli
edifici (attualmente riconosciuta nella misura del 65%) spetta
anche per gli interventi finalizzati al miglioramento termico che
riguardano le finestre, comprensive di infissi. A tal proposito, la
circolare n. 26/2007 dell’Agenzia delle entrate ha precisato che
l’edificio interessato deve essere già dotato di impianto di riscaldamento, presente nell’ambiente in cui si realizza l’intervento agevolabile.
Per accedere al beneficio fiscale occorre che i serramenti rispettino un determinato valore limite di trasmittanza termica,
ossia la quantità di calore che l’elemento installato fa passare:
più è basso il valore di trasmittanza, più il serramento è efficace, c’è meno dispersione di calore. Gli attuali valori limite da
non superare, differenziati a seconda della zona climatica in cui
si trova l’edificio, sono stati individuati dal decreto del Ministro
dello sviluppo economico 6 gennaio 2010.
La semplice sostituzione degli infissi in edifici già originariamente conformi agli indici richiesti non è agevolabile; occorre
che dall’intervento consegua un risparmio energetico. Per questo motivo, a seguito dei lavori, la dispersione di calore deve risultare ulteriormente ridotta.
Per quanto riguarda la documentazione necessaria ai fini fiscali, occorre:
● acquisire e conservare l’asseverazione di un tecnico abilitato, che specifichi il valore della trasmittanza termica degli infissi
dismessi e di quelli nuovi, assicurando il non superamento dei
valori limite prescritti dal decreto ministeriale del 6 gennaio
2010. Tale documento può essere sostituito da una certificazione del produttore della finestra, con le stesse specifiche relative
alla trasmittanza degli infissi vecchi e nuovi;
● compilare e inviare via web all’ENEA la scheda informativa
semplificata (o allegato F al “decreto edifici”). Può provvedervi il
diretto interessato, senza dover necessariamente rivolgersi ad
un tecnico abilitato.
IMU
su terreno
in comodato
Sono proprietario di un terreno agricolo che, stando alle ultime novità in materia di IMU, dovrebbe essere tassato (casa comunale a 30 metri sul livello del mare, terreno a 250 sul livello
del mare). Considerato che il terreno da qualche anno è stato
concesso, con contratto registrato, in comodato gratuito ad imprenditore agricolo per la coltivazione,vorrei sapere se il soggetto passivo sono io oppure il titolare del contratto nonché reale
utilizzatore del terreno.
N.P. – Livorno
Al di là dell’evoluzione normativa in materia di IMU sui terreni agricoli (l’ultimo intervento è avvenuto con il DL n. 4/2015
che ha nuovamente modificati i criteri per individuare i terreni
montani o parzialmente montani in relazione ai quali il tributo
non è dovuto – vedi le leggi illustrate di febbraio, a pag. 37), si
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Marzo 2015
50
GLI ESPERTI RISPON DONO
QUESITI FISCALI
considerano soggetti passivi ai fini del pagamento dell’imposta
municipale sugli immobili i proprietari ovvero coloro che detengono gli stessi: in base a un diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, superficie o enfiteusi; in base a un contratto di leasing; in
concessione per le aree demaniali.
Non sono invece soggetti passivi il nudo proprietario e i titolari di diritti personali di godimento, come l’inquilino e il comodatario. Quindi, l’IMU per il terreno agricolo concesso in comodato
gratuito, se effettivamente dovuta, va pagata dal proprietario.
Pensionato
e regime
forfetario
Sono pensionato INPS di anni 66, con rapporto di lavoro dipendente cessato da tempo, titolare di partita IVA libero professionista, con regime fiscale “minimi” fino al 31 dicembre 2014.
Posso usufruire del nuovo regime forfetario 15%?
L.P. – Aosta
Premesso che un emendamento al “decreto milleproroghe”
ha mantenuto in vita, anche per il 2015, il regime dei “minimi”
in vigore lo scorso anno, la risposta al quesito dipende dall’entità della pensione percepita.
Infatti, per accedere al nuovo regime forfetario riservato ai
contribuenti persone fisiche che esercitano attività d’impresa,
arte o professione, è richiesto, tra l’altro, che i ricavi/compensi
conseguiti da tali attività siano prevalenti rispetto ad eventuali
redditi di lavoro dipendente (comprese le pensioni) e assimilati
percepiti (ad esempio, se nel 2014 si è prodotto un reddito di
lavoro autonomo pari a 9.000 euro e un reddito di lavoro dipendente pari a 14.000 euro, nel 2015 non si può optare per il
regime agevolato; accesso consentito, invece, se – al contrario
– il reddito di lavoro autonomo è di 14.000 euro e quello di lavoro dipendente è di 9.000 euro).
La comparazione tra l’entità delle due tipologie di redditi non
va fatta, se il rapporto che ha originato redditi di lavoro dipendente è cessato o se la somma di tutti i redditi non supera i
20.000 euro (ad esempio, se il reddito di lavoro autonomo è
pari a 7.000 euro e quello di lavoro dipendente è pari a 10.000
euro, il regime agevolato si può applicare in quanto, anche se il
reddito di lavoro dipendente è prevalente rispetto a quello di
lavoro autonomo, la loro somma non supera il limite dei
20.000 euro).
In considerazione poi dell’altro limite rappresentato dalle soglie massime (alcune estremamente basse) di ricavi/compensi
percepibili perché si possa adottare il regime forfetizzato, è
molto difficile che un pensionato riesca ad accedervi. In modo
particolare, se si tratta di attività professionali, per le quali il tetto di compensi annui è stato fissato alla risibile quota di 15.000
euro. Basta, pertanto, una pensione anche di importo modesto
per impedire l’accesso al nuovo regime agevolato.
Mutuo
su casa
affittata
Abito in affitto con la famiglia. Io e mia moglie (pensionati ultrasettantenni) siamo comproprietari di un appartamentino,
nello stesso comune di residenza, per il quale paghiamo un
mutuo contratto nel 2011. L’appartamento di proprietà non è
idoneo ad essere abitato da noi, pertanto è dato in affitto.
Desidero sapere se posso scaricare gli interessi del mutuo, dato che, sino ad oggi, dal notaio, dal consulente ed anche da funzionari dell’Agenzia delle entrate, non ho ricevuto risposte certe e
affidabili. Sono pertanto dubbioso e pessimista sulla risposta.
Nella ipotetica risposta positiva (per me), chiedo se è possibile recuperare le quote di interessi pagati e non scaricati.
L.C. – Modena
Le norme tributarie vigenti (articolo 15 del TUIR) consentono di detrarre gli interessi passivi e relativi oneri accessori
pagati in dipendenza di un mutuo ipotecario soltanto quando il finanziamento è finalizzato all’acquisto o alla costruzione di un immobile da destinare ad abitazione principale del
mutuatario stesso o di un suo familiare, tenendo presente
che, ai fini fiscali, è considerata abitazione principale quella
nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente.
La detrazione spetta se l’immobile è destinato ad abitazione principale entro un determinato periodo, che varia a seconda delle situazioni. In particolare:
● in caso di acquisto di una casa non locata e non oggetto
di lavori di ristrutturazione, la destinazione ad abitazione
principale deve avvenire entro un anno dall’acquisto;
● quando l’abitazione acquistata è locata, la detrazione
spetta sin dalla prima rata pagata, a condizione che entro tre
mesi dall’acquisto venga notificato all’inquilino l’atto di intimazione di sfratto e che entro un anno dal rilascio l’immobile sia adibito ad abitazione principale;
● se l’abitazione è oggetto di lavori di ristrutturazione edilizia, gli interessi sono detraibili dalla data in cui l’immobile
viene adibito a dimora abituale, comunque entro due anni
dall’acquisto.
Pertanto, nel caso descritto (appartamento dato in affitto),
non sussistono i presupposti per fruire della detrazione degli
interessi passivi.
Decadenza
accertamento
TARSU
Ho ricevuto dall’Ufficio tributi del Comune, in data 29 dicembre 2014, un avviso di accertamento “Tarsu anno 2009”
per omessa denuncia. Ritengo che il Comune sia incorso in
“decadenza” ex articolo 71 del D.Lgs. n. 507/1993. Chiedo
conferma, o meno, di ciò.
Claudio Onorati - Santa Maria a Vico (CE)
L’operato del Comune non appare censurabile. Infatti, la
disposizione di legge richiamata dal lettore (articolo 71 del
decreto legislativo n. 507/1993) non è più in vigore. Secondo il comma 1 di quella norma, in caso di denuncia per l’assolvimento della tassa sui rifiuti solidi urbani infedele o incompleta, il Comune poteva emettere avviso di accertamento, a pena di decadenza, al massimo entro il 31 dicembre del
terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia stessa mentre, in caso di omesso adempimento, l’ufficio
aveva un anno di tempo in più per provvedere all’accertamento, potendo notificarlo fino al 31 dicembre del quarto
anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere
presentata.
Questa norma è stata abrogata, con decorrenza 1° gennaio
2007, dalla legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) che, con il
comma 161 dell’articolo 1, ha dettato una disposizione di carattere generale, fissando un unico termine di decadenza valido per tutti i tributi di competenza dei Comuni e per tutte le
tipologie di accertamento. È ora previsto che sia gli avvisi di
accertamento in rettifica (di dichiarazioni incomplete o infedeli ovvero di parziali o ritardati versamenti) sia quelli d’ufficio (in caso di omesse dichiarazioni o di omessi versamenti)
vadano notificati al contribuente, anche tramite raccomandata con avviso di ricevimento, entro il 31 dicembre del quinto
anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Pertanto, risulta tempestivo l’avviso di accertamento TARSU per
l’anno 2009 notificato entro il 2014.
Per completezza di informazione, ricordiamo che le stesse
regole si applicano anche alla TARI, l’attuale tributo sui rifiuti,
la cui norma istitutiva (legge n. 147/2013 – Stabilità 2014)
rinvia, per quanto riguarda le attività di accertamento, proprio
al comma 161 della legge n. 296/2006.
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GLI ESPERTI RISPON DONO
IMMOBILI
a cura di ANDREA SABINO
Diritto
di abitazione
alla sorella
Sono proprietario di una casa adibita ad abitazione principale dove abita anche mia sorella che ha 75 anni. Vorrei fare
un testamento olografo, lasciando a mia sorella, a scopo cautelativo, il diritto di abitazione fino a quando vivrà, mentre la
proprietà della casa la vorrei lasciare a mio nipote, sposato
con mogli e 4 figli.
Vorrei sapere se nel redigere il testamento olografo devo
indicare che lascio la casa a mio nipote in nuda proprietà oppure in piena proprietà.
Giovanni Deunzo - Ercolano (NA)
Nuda proprietà. L’importante comunque, al di là della terminologia usata, è che risulti chiara la volontà del testatore, di
modo che non si possano creare equivoci.
Acquisto
in separazione
dei beni
Sono sposato dal 1958. Durante questi anni di matrimonio
con tanti sacrifici abbiamo realizzato il nostro sogno di avere
una casa propria.
Mi hanno riferito che la casa, anche se intestata a me al
100%, ma realizzata durante il nostro matrimonio appartiene
anche a mia moglie al 50%, anche se non abbiamo la comunione dei beni.
Vorrei sapere se è vero quello che mi hanno riferito.
Michele Putignano - Trinitapoli (BT)
I rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge che si
preoccupa di dettare delle regole di natura economica e di
equiparare la posizione dei coniugi salvaguardando i diritti e i
doveri di contribuzione derivanti dal matrimonio. Oggi è previsto quale regime patrimoniale legale la comunione dei beni,
ma la legge, fermo restando gli obblighi e i doveri volti a soddisfare i bisogni della famiglia, lascia ampio spazio di libertà ai
coniugi che possono regolare autonomamente, mediante apposita convenzione, i loro rapporti di natura economica.
In passato, invece, si prevedeva quale regime patrimoniale
legale quello della separazione dei beni, vale a dire che ciascun coniuge rimaneva titolare esclusivo dei beni acquistati
durante il matrimonio, senza poter vantare alcun diritto sui
beni dell’altro coniuge.
Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 si è introdotto l’obbligo per entrambi i coniugi di contribuire alle esigenze
della famiglia con la conseguente applicazione di un nuovo
regime legale di tali rapporti, la comunione dei beni, diretto a
determinare la condivisione, da parte dei coniugi, degli incrementi di ricchezza conseguiti dalla coppia anche grazie all’attività separata di ciascuno di essi durante il matrimonio.
La nuova disciplina della comunione legale dei coniugi ha
trovato applicazione automatica soltanto per le coppie sposatesi dopo l’entrata in vigore della legge (20 settembre 1975).
Per le coppie già sposate in quella data è stato previsto un
periodo di pendenza di due anni (poi prorogato fino al
1978) durante il quale:
1. se uno qualsiasi dei coniugi, con atto ricevuto da notaio
o dall’ufficiale dello stato civile del luogo in cui fu celebrato il
matrimonio, ha dichiarato di non volere il regime di comunione legale, la coppia rimane assoggettata, come prima, al regime di separazione legale;
2. se nessuno dei due ha formato un simile atto, la coppia
è automaticamente assoggettata al regime della comunione
legale a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge
del 1975;
3. i coniugi potevano anche convenire che i beni da loro
acquistati individualmente prima dell’entrata in vigore della
riforma fossero assoggettati al regime della comunione.
Alla luce di quanto precede, se il lettore è rimasto inerte e
l’acquisto è intervenuto successivamente al 75, allora in effetti, la casa di cui al quesito è da ritenersi attratta nel regime
della comunione legale. Ciò, beninteso, sempreché l’acquisto
del cespite non sia avvenuto da parte del lettore con i soldi ricavati da beni a lui pervenuti in donazione o in successione,
successivamente venduti.
Successione
di fatto
e di diritto
I miei genitori, morti circa 20 anni fa, hanno assegnato a
parole (non dal notaio) a me una casa e ai miei due fratelli 6
terreni ciascuno. Tutto con pari valore. Nessuno dei tre
obiettò nulla. I miei due fratelli possiedono ciascuno già una
casa. Effettuata la successione, tutti siamo proprietari di tutto,
ma ciascuno sa ciò che è suo. Tra l’altro, pur non risiedendo
nello stesso comune, pago per intero io l’IMU (come seconda
casa) e la dichiarazione Irpef al 100%. Ho intestato a me tutti
i contratti di fornitura (telefono, luce, acqua).
Ora i miei fratelli si rifiutano di apporre le loro firme dal notaio per regolarizzare la divisione dei beni. Che mezzi giuridici
ho per costringere i miei fratelli a firmare? L’usucapione? Ma
in paese… basta un compiacente teste contrario! E allora?
A.A. – Reggio Calabria
Purtroppo la situazione descritta dal nostro lettore non è così
rara come può sembrare. Anzi, è frequente che, quando non
esista un atto scritto, si incomincino nel tempo a creare controversie su beni ereditari “assegnati” solo a parole. La via indicata
dell’usucapione può essere una soluzione ma è anche vero che
il fatto di aver pagato per l’intero le imposte locali e aver le utenze intestate a proprio nome non costituisce una base solida su
cui fondare una richiesta di questo tipo. Tutto ciò, senza contare
che una causa del genere potrebbe durare anni, al punto di interessare più che gli odierni litiganti i loro figli (o nipoti!).
Fatte queste debite premesse, visto, comunque, che senza
il consenso degli altri coeredi non vediamo altre vie d’uscita,
segnaliamo la sentenza della Cassazione n. 3208 del
15.5.1986, secondo cui il coerede può acquistare per usucapione la quota o il compendio ereditario per l’intero, ove egli
abbia posseduto (per il tempo necessario ad usucapire) in
modo esclusivo ed incompatibile con la possibilità di fatto di
un godimento comune con il coerede cui appartiene la quota
o con tutti gli altri coeredi. Abbia, insomma, goduto del bene
ereditato in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui. Se il lettore riuscirà a dimostrare ciò, e soprattutto
riuscirà a far capire ai suoi fratelli che ha questa carta che può
giocare in un eventuale giudizio, forse non sarà necessario
nemmeno ricorrere al giudice.
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Marzo 2015
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GLI ESPERTI RISPON DONO
IMMOBILI
Indennità
di esproprio
contestata
Il sindaco di Ravanusa (AG), per il completamento della rete fognaria dell’abitato, nel 1990, ha espropriato alcuni terreni. Per detto esproprio il sindaco di allora applicò l’indennità
sulla base di aree a destinazione agricola, mentre la zona, in
espansione, era già coperta in buona parte da fabbricati di civile abitazione, da una scuola media e da case popolari.
Nel 1994 la zona fu riconosciuta edificabile. L’indennità
provvisoria, pertanto, non venne accettata dai proprietari.
L’amministrazione comunale, fino ad oggi, non ha provveduto
a chiudere la partita, nonostante le varie richieste fatte dagli
interessati.
Quali procedure seguire per ottenere il dovuto?
Angelo Lauricella - Ravanusa (AG)
Non possiamo, ovviamente, entrare nel merito della vicenda non conoscendone i dettagli. Possiamo, pertanto, solo limitarci a segnalare che, se la questione è ancora aperta e
cioè si è avuta l’accortezza di non far maturare la prescrizione
rinnovando ciclicamente la richiesta di indennità, la soluzione
non può che essere quella di far valere i propri diritti (ritenuti
lesi) rivolgendosi all’autorità giudiziaria per tramite di un legale.
Un comodato
per ospitare
una famiglia
Nell’alloggio dove vivo e risiedo a Torino, vorrei ospitare una
famiglia di 3 persone (italiane, che prenderebbero la residenza
nella mia casa), contribuirebbe alle spese condominiali, nonché energia elettrica e gas senza percepire alcun canone.
Quali adempimenti devo eseguire col comune, fisco e polizia?
G.C. – Torino
Consigliamo di formalizzare il tutto con un contratto di comodato nel quale riversare l’accordo intervenuto. Dopodiché
di registrare l’atto anche ai fini del pagamento della Tasi. Con
la registrazione si potrà evitare anche la comunicazione all’autorità di P.S.
Rinuncia
all’eredità
e rappresentazione
De cuius muore lasciando erede solo il coniuge e il padre
(in tal caso quote ereditarie rispettivamente di 2/3 e 1/3). Se
però il padre rinuncia all’eredità, questa a chi va? Interamente
al coniuge? Il padre ha una sorella con una figlia.
G.M. - Siena
La rappresentazione è quell’istituto che fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i
casi in cui questi non possa o non voglia accettare l’eredità o il
legato. Per comprendere questo istituto è opportuno seguire
l’ordine del codice civile. L’art. 467, infatti, ci dice, in primo luogo, cos’è la rappresentazione. È un istituto abbastanza semplice, perché si riferisce al caso in cui soggetto, chiamato all’eredità, si trovi nella condizione di non potere o non volere accettare l’eredità (o il legato). Non vuole perché rinuncia, non può
perché, magari, è morto prima di aver accettato l’eredità.
Cosa accade in questi casi? Al posto del chiamato che
non può o non vuole accettare l’eredità, subentrano i suoi
discendenti, ma non vi subentrano semplicemente, ma nel
luogo e nel grado del loro ascendente, insomma si sostituiscono in tutto e per tutto al loro ascendente, ne prendono
il posto. Il che però non significa che ogni volta che qualcuno non può o non vuole accettare l’eredità ci sarà sempre e
➡
TRASFERIMENTO MUTUO DA BANCA A POSTE
n passato Banche e Poste non si
parlavano a causa del circuito
RID. E’ poi stato superato questo
ostacolo o è tutto rimasto come allora? Nell’evenienza che l’intralcio non
sussista più, posso trasferire il mio
mutuo casa, contratto con la banca
Barcleys ad una agenzia postale?
Qual è l’iter che devo seguire, cosa mi consigliate?
Eugenio Binaco – Roma
I
Chiariamo per tutti i nostri lettori
che la portabilità – o surroga – permette al debitore di sostituire la banca che ha erogato inizialmente il mutuo con una nuova banca, che ad
esempio propone condizioni migliori, mantenendo viva l’ipoteca originariamente costituita. Nel caso in cui si
decida di trasferire il mutuo ad altro
istituto bancario non è quindi più
necessaria la cancellazione della vecchia garanzia e l’attivazione di una
nuova, con riduzione di formalità e
soprattutto di costi notarili. La banca
che subentra provvederà a pagare il
debito che residua e si sostituirà a
quella precedente. Il debitore rimborserà il mutuo alle nuove condi-
zioni concordate.
Le recenti disposizioni normative
rendono il ricorso a tale facoltà più
agevole. E’ infatti prevista la nullità
delle clausole contrattuali che ne impediscono ovvero ne rendono oneroso l’esercizio per il cliente.
In argomento, peraltro, non può
passare sotto silenzio il fatto che nel
2014 il mercato dei mutui è cresciuto del 28% (dati Abi). E ciò proprio
grazie alle operazioni di surroga che
da fine 2013 sono continuamente
aumentate per via, in particolare, di
un fattore: le banche hanno iniziato
a perseguire una nuova strategia
commerciale che mira a promuovere
in particolare il prodotto surroga, azzerando o riducendo al minimo la
differenza di spread offerti sui mutui
di acquisto e i mutui di surroga. Nella prima metà del 2013 infatti, in
momenti in cui il costo della liquidità
e l’incertezza economica e finanziaria erano elevati, i mutui con finalità
surroga presentavano uno spread
ben superiore rispetto agli omologhi
mutui con finalità acquisto casa. Oggi questo differenziale è stato eliminato da molte banche. Contempora-
neamente numerosi istituti di credito
hanno cominciato a spingere, con
iniziative di comunicazione ad hoc,
la propria offerta mutui con finalità
surroga. Questi mutui infatti offrono
alla banca l’opportunità di acquisire
clientela di elevata qualità con un
profilo di rischio inferiore alla media,
poiché il nuovo mutuatario presenta
nella totalità dei casi una storia di
corretto rimborso di un finanziamento in corso di ammortamento che
presentava un pagamento mensile
di importo superiore rispetto alla
nuova rata del mutuo di surroga.
Venendo al quesito del nostro lettore, dalle informazioni in nostro
possesso sembrerebbe ora senz’altro
possibile (nel rispetto di alcune condizioni, però, fra cui che il mutuo originario sia stato contratto da almeno
12 mesi) effettuare l’indicata operazione. A questo punto al sig. Binaco
non resta che andare in Poste e verificare l’informazione. In caso di riscontro positivo, saranno le stesse
Poste ad avviare (e a portare a termine) tutta la pratica.
Marzo 2015
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GLI ESPERTI RISPON DONO
IMMOBILI
comunque rappresentazione. Bisogna vedere, infatti, che
rapporto di parentela c’era tra la persona che non ha voluto
o potuto accettare l’eredità, e il defunto. Per l’art. 468 la
rappresentazione opera rispetto al defunto in due modi, in
linea retta e in linea collaterale. In altre parole bisognerà
vedere se la persona che non ha voluto o potuto accettare
l’eredità era un discendente, anche figlio adottivo, del defunto (e quindi c’era un rapporto di parentela in linea retta)
o era fratello o sorella del defunto (quindi parentela in linea collaterale).
Solo in questi casi i discendenti di questi parenti succederanno per rappresentazione, mentre se il rapporto di parentela con il defunto era di altro tipo, per es. un ascendente del
defunto (il “padre”, quindi, di cui al quesito) che non ha potuto o voluto accettare l’eredità, non si avrà rappresentazione e
si applicheranno le normali regole previste per la successione.
Nel caso di specie, quindi, la quota andrà interamente al coniuge.
Compravendita
e certificato
energetico
Dovendo affittare un mio immobile e venderne un altro
vorrei sapere se esiste ancora la sanzione di nullità degli atti
in caso di mancata allegazione dell’attestato energetico.
E.T. - Roma
La sanzione della nullità per chi non adempie all’obbligo di
allegazione dell’attestato energetico non esiste più. Resta,
però, l’obbligo per chi vende o affitta di procurarsi l’attestato.
Vale la pena evidenziare, prima di fare il punto della situazione, che l’attestato di prestazione energetica (in sigla Ape
che ha sostituito il vecchio Ace-attestato di certificazione energetica) altro non è che un documento, rilasciato da un tecnico
a ciò abilitato, che fotografa l’efficienza energetica di un immobile, in pratica che indica quanto consuma un appartamento, un negozio, un capannone ecc. inserendolo in determinati classi che vanno dalla A+ (la più efficiente) alla G (la
più scadente); i costi di questo attestato variano da un minimo di 200 euro ad un massimo di qualche migliaio di euro
(per gli edifici di grandi dimensioni) e i riferimenti dei tecnici
cui rivolgersi possono reperirsi su Internet.
Ciò posto, occorre sapere anche che la materia è principalmente disciplinata dagli artt. 6 e 15 del decreto legislativo
192 del 2005 in tema di efficienza energetica.
Iniziamo dall’art. 6. Questa norma prevede che il proprietario dell’immobile sia tenuto a produrre l’Ape, in caso di vendita, di trasferimento a titolo gratuito o di nuova locazione e a
renderlo disponibile all’avvio trattative. La stessa norma stabilisce, poi, che nei contratti di vendita o nei nuovi contratti di
locazione soggetti a registrazione (restano escluse quindi le
locazioni di durata inferiore a 30 giorni) debba risultare – tramite apposita clausola – il ricevimento, da parte dell’acquirente o del conduttore, della documentazione in merito alla attestazione della prestazione energetica degli edifici; copia dell’attestato energetico, inoltre, deve essere allegato al contratto, tranne che nei casi di locazione di singole unità immobiliari; impone, infine, nell’annuncio commerciale di vendita o di
locazione, contenuto in qualsiasi mezzo di comunicazione,
l’obbligo di riportare l’indice di prestazione energetica e la
classe energetica dell’unita immobiliare.
Come detto l’inadempimento non è più punito dalla nullità
dell’atto; ci sono comunque delle sanzioni disciplinate, in parte, sempre dallo stesso art. 6, in parte dal successivo art. 15.
Nella compravendita, in caso di omessa dichiarazione (se
manca cioè la clausola di cui dicevamo), o allegazione, le parti sono soggette al pagamento, in solido e in quote uguali, di
una sanzione amministrativa compresa tra un minimo di
3.000 euro e un massimo di 18.000.
In caso di locazione superiore a trenta giorni (e non di singole unità immobiliari) le sanzioni sono eguali a quelle previste per la compravendita. In caso di locazione di singola unità
immobiliare l’omessa dichiarazione nel contratto comporta la
sanzione da 1.000 euro a 4.000 euro, che è ridotta della metà
se la durata della locazione non eccede i tre anni.
Accertare e contestare la violazione spetta al Ministero dello sviluppo economico su segnalazione dell’Agenzia delle Entrate.
Il pagamento della sanzione amministrativa non esenta comunque dall’obbligo di presentare – sempre al Ministero dello sviluppo economico – la dichiarazione o la copia dell’attestato di prestazione energetica entro quarantacinque giorni.
Proprietà
dell’immobile
e trascrizione
Devo a breve acquistare un immobile e vorrei sapere se poi
è entrata in vigore quella norma che imponeva di far transitare il denaro dell’operazione su un “conto corrente dedicato”
tenuto dal notaio?
A.S. - Milano
No. La previsione di interesse - contenuta nella legge di
Stabilità 2014 – manca ancora del decreto attuativo. Ricordiamo che lo scopo è quello di evitare che l’acquirente versi il
corrispettivo nelle mani del costruttore o del venditore di un
immobile prima che il trasferimento della proprietà sia regolarmente avvenuto o prima che il venditore abbia adempiuto
a tutte le proprie obbligazioni.
Si prevede, infatti, che il venditore non riceverà più il prezzo
del bene venduto il giorno del rogito; sarà il notaio a trasmettere il denaro dovutogli successivamente, e solo una volta che
sarà stata effettuata (con successo) la trascrizione dell’atto definitivo nei pubblici registri immobiliari.
In particolare, il notaio (o altro pubblico ufficiale incaricato
della compravendita, come un segretario comunale che stipula nell’interesse del suo Comune) dovrà versare, su conto corrente “dedicato”, per tutti gli atti da lui stipulati:
a) le somme dovutegli a titolo di onorari, tributi e rimborsi
di spese;
b) le somme affidategli in deposito fiduciario;
c) l’intero prezzo, o il saldo ancora dovuto.
Gli importi depositati nel conto corrente “dedicato” costituiranno un “patrimonio separato“: non saranno quindi né di
proprietà del notaio, né del venditore, e saranno impignorabili
a richiesta di chiunque.
Adesso la pratica prevede che, nel momento in cui si firma
il contratto di compravendita, il venditore metta sul tavolo le
chiavi e l’acquirente i soldi: si tratta però di una prassi che,
pur probabilmente “giustificata” sotto un punto di vista commerciale o psicologico, ha però scarso fondamento giuridico.
Questo perché, se è vero che la firma del contratto ha come
effetto il passaggio della proprietà dell’immobile dal venditore
all’acquirente, è pure vero che l’acquirente può (sono, beninteso, casi eccezionali) restare ugualmente raggirato: senza
soldi e senza immobile. Il motivo è che il codice civile dispone, nel caso in cui il proprietario venda contemporaneamente
lo stesso immobile a due acquirenti, che tra questi due prevalga non chi firma (e quindi acquista) per primo, ma chi per
primo esegue la trascrizione del proprio acquisto nei Registri
Immobiliari.
Per esempio, se Tizio vende lo stesso immobile a Caio prima
e a Sempronio poi, tra Caio e Sempronio (entrambi hanno pagato il prezzo a Tizio) vince chi prioritariamente trascrive il suo
acquisto. È poi vero che l’altro “acquirente” dovrebbe ricevere la
restituzione del prezzo da Tizio, ma in questi casi, di solito, capita che il venditore si renda improvvisamente irreperibile.
È chiaro che i notai fanno da sempre ogni possibile sforzo
per mettere in sicurezza i loro rogiti: nella fase istruttoria dei
➡
Marzo 2015
54
GLI ESPERTI RISPON DONO
IMMOBILI
contratti, moltiplicano le ispezioni immobiliari ed eseguendole
nel momento più prossimo possibile alla data di stipula; dopo
la stipula, cercano di eseguire rapidamente la pubblicità.
Ma esiste comunque un inevitabile rischio (tra il momento
dell’ultima ispezione e quello di esecuzione della pubblicità),
che non è tecnicamente possibile colmare, se non appunto
mediante l’adozione (spontanea o per obbligo di legge) di
una prassi che preveda il pagamento non al momento della
firma del contratto, ma posteriormente alla “messa in sicurezza” del contratto mediante la sua prescritta pubblicità.
Con la previsione che si è detto – semmai essa diverrà operativa a seguito dell’emanazione del previsto regolamento –
l’acquirente depositerà il prezzo al notaio, che consegnerà il
denaro al venditore dopo aver eseguito le formalità pubblicitarie occorrenti e controllato l’assenza di vincoli pregiudizievoli all’acquirente.
Questa disciplina riguarda, peraltro, solo gli importi da versarsi in sede di contratto definitivo (compresi quelli che l’acquirente ottiene dalla banca alla quale abbia richiesto un mutuo) e che siano – come detto – di valore superiore a 100mila euro. Restano esclusi, quindi, gli importi da versarsi anteriormente al contratto definitivo (in particolare, quelli da corrispondersi in sede di contrattazione preliminare o nel periodo
tra il “compromesso” e il rogito).
Il Fondo
di garanzia
per la prima casa
Ho letto da qualche parte che finalmente sarebbe diventato
operativo il Fondo di garanzia per la prima casa, su mutui ipotecari. E’ vero? E, se del caso, di cosa si tratta?
Annibale Cascone - Frosinone
Sì, è vero. Il “Fondo di garanzia per la prima casa, a prima
richiesta, su mutui ipotecari” è divenuto pienamente operativo con la recente pubblicazione di un primo elenco di banche
aderenti. Si tratta di una misura istituita dall’art. 1, comma 48,
della legge 147/2013 (legge di stabilità per il 2014), allo scopo di incentivare le famiglie ad acquistare la propria abitazione principale. La garanzia che esso rilascia rende più facile per
le banche recuperare (almeno in parte) il capitale prestato e
questo dovrebbe facilitare la concessione dei mutui.
Il nuovo fondo subentra ad un analogo strumento per il rilascio di fideiussioni concesse sui mutui accesi dalle giovani
coppie; ha ereditato le poche pratiche perfezionate sul vecchio fondo e anche la sua dotazione finanziaria (una cinquantina di milioni), ma è stato liberato dei vincoli e della restrizioni che ne avevano limitato l’operatività, tanto da convincere il
Governo a sopprimerlo.
I criteri per l’accesso al fondo sono stati dettagliati con un
decreto del ministero dell’Economia e finanze del 31 luglio
2014, eliminando ogni limite di reddito e di età per i potenziali beneficiari: la fideiussione può essere richiesta da tutte le
famiglie, purché l’acquisto riguardi la prima casa. È anche
possibile finanziare la ristrutturazione o l’accrescimento di efficienza energetica, sempre della prima casa.
Il mutuo per il quale si chiede la garanzia non può essere
utilizzato per acquistare un’abitazione con caratteristiche di
lusso oppure una villa, una villetta o un palazzo storico (in sostanza sono escluse le abitazioni con classificazione catastale
A1, A8 e A9). È posto un limite anche all’importo massimo
del mutuo ipotecario: 250 mila euro. La garanzia del fondo
copre fino ad un massimo del 50% del capitale mutuato, cioè
125 mila euro.
La banca, ovviamente, concede i finanziamenti anche (e
soprattutto) sulla base di un’autonoma valutazione del merito
di credito dei singoli clienti. I tassi di interesse applicati ai mutui assistiti dalla garanzia del fondo sono quelli di mercato ne-
goziati tra banca e mutuatario. Per le giovani coppie e gli altri
soggetti che accedono prioritariamente al fondo, il tasso effettivo globale non può essere superiore a quello medio calcolato ai fini dell’applicazione della normativa sull’usura.
Se l’iniziativa avrà successo contribuirà anche a rimettere in
moto il mercato immobiliare e a smaltire un po’ dello stock di
abitazioni invendute. La dote del fondo è notevole: 200 milioni di euro per ogni anno dal 2014 al 2016, ai quali si aggiungono i residui del fondo per le giovani coppie, per un totale di
circa 650 milioni di euro.
Quanto al funzionamento di questo fondo, la domanda di
accesso va presentata all’istituto di credito o all’intermediario
finanziario al quale si chiede la concessione del mutuo, utilizzando un apposito modulo che può essere scaricato dal sito
della Consap (www.consap.it), la società pubblica alla quale è
stata affidata la gestione.
Un protocollo d’intesa tra l’Associazione bancaria italiana
(Abi)e il Dipartimento del tesoro del Mef ha disciplinato l’adesione all’iniziativa delle singole istituzioni finanziarie. Il gestore del fondo ha redatto un manuale d’uso per illustrare i
termini e le modalità alle quali gli istituti di credito debbono
attenersi.
La prima lista di istituti disposti a concedere i mutui è – come abbiamo detto – già stata definita ed è pubblicata sui siti
internet di Abi (www.abi.it) e Consap. Si tratta soprattutto di
casse rurali e banche di credito cooperativo, con una scarsa
presenza delle banche locali del Sud; tra le grandi banche nazionali è presente l’Unicredit.
Successione
nel contratto
di locazione
I coniugi a cui avevo dato in locazione il mio appartamento
si sono lasciati e il giudice ha assegnato la casa alla moglie.
Ora, siccome il contratto è intestato al marito, cosa accadrà?
In caso di sfratto potrebbero sorgere complicazioni?
Adelina Crippa - Padova
Fossimo nei panni del lettore non saremmo particolarmente preoccupati. La descritta vicenda, infatti, trova la sua disciplina nell’art. 6 della legge 392/’78, il quale così testualmente
recita: “In caso di morte del conduttore, gli succedono nel
contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi.
In caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il
diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal
giudice a quest’ultimo.
In caso di separazione consensuale o di nullità matrimoniale al conduttore succede l’altro coniuge se tra i due si sia così
convenuto.”
Al riguardo la Cassazione ha chiarito che la norma in argomento “non modifica la natura del rapporto e la natura del diritto in base al quale il conduttore detiene la cosa locata, ma
solo consente a un soggetto diverso dall’originario conduttore
di sostituirsi nella titolarità del contratto, con attribuzione dei
relativi diritti ed assunzione delle obbligazioni che ne derivano (sent. n. 6804 del 18 giugno 1993). E sempre la Suprema
Corte ha anche precisato che verificandosi la successione di
cui trattasi, legittimato passivo, in un’eventuale azione di rilascio, verrebbe ad essere il coniuge subentrante (sent. n. 8613
del 23 agosto 1990).
Concludendo, si può affermare, pertanto, che la locazione,
nel caso di specie, proseguirà fino alla scadenza del rapporto
in capo alla moglie dell’intestatario del contratto, la quale diventa così anche, in caso di eventuali inadempienze, il soggetto nei confronti del quale agire legalmente.
Sarà comunque buona norma stipulare con la “nuova inquilina” un atto aggiuntivo integrativo della locazione in cui si
descrivono i fatti e si dà atto dell’intervenuta successione nel
contratto.
Marzo 2015
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GLI ESPERTI RISPON DONO
CONDOMINIO
a cura di CARLO PARODI
Condominio
e manutenzione
dell’ascensore
Condominio parziale per il solo ascensore. L’amministratore ha sempre pagato la ritenuta di acconto del 4%,
ha inviato la certificazione al manutentore e al controllo
della sicurezza. Ha compilato annualmente il mod.770/S
e il Modello AC da quando è stato installato.
Ora ho letto su alcuni quotidiani che bisogna inviare la
certificazione all’Agenzia delle Entrate. Qual è la normativa e l’iter da seguire?
G.F. – Bologna
E’ l’ultima novità per l’Agenzia delle entrate: la certificazione unica (C.U.) da trasmettere entro il 9 marzo, ma
sembra che i ritardatari non verranno sanzionati. Raccoglie i dati relativi alle retribuzioni liquidate ai dipendenti
ed alle ritenute d’acconto effettuate in relazione alle fatture per i servizi resi dai fornitori vari del condominio.
Anche nel condominio
chi rompe
paga
Sulle parti comuni di un condominio è legalmente riconosciuto il principio del: “CHI ROMPE PAGA” e che quindi
un danno che avviene per incuria o cafoneria di qualche
inquilino/i non debba essere imputato a tutti?
G.P. – Crotone
In ogni caso la responsabilità per danni può essere addebitata a chi li determina (se si ha la certezza dell’imputazione). Per un impegno formale di tutti i condomini
può essere fissata una sanzione pecuniaria in regolamento condominiale che l’amministratore può sollecitare (ma
occorre la delibera dell’assemblea).
Imputazione
delle spese
nel supercondominio
In un parco residenziale sono ubicate 12 palazzine, ciascuna costituita in singolo condominio ed amministrata
da un proprio amministratore. Suddivisi tra le varie palazzine, abitano 102 proprietari. Poiché le palazzine godono
di servizi e beni comuni, dopo la riforma del condominio
è stato costituito un supercondominio e ogni palazzina
ha provveduto a nominare il proprio rappresentante per
la partecipazione alle assemblee.
Nell’ultima assemblea, infatti, i dodici rappresentati sono stati convocati ad approvare il preventivo 2014 del supercondominio ed il suo riparto.
Si chiede se l’amministratore del supercondominio abbia fatto bene a riferire il riparto delle spese alle varie palazzine, a seconda dei millesimi di proprietà di queste,
come se il supercondominio fosse costituito da soli dodici condomini (le dodici palazzine), con l’intesa che poi la
somma sarebbe stata a sua volta ripartita all’interno delle
singole palazzine sui singoli proprietari delle unità private.
A parere dello scrivente si ritiene che, nell’ottica della
semplificazione della gestione, il supercondominio potrà
pretendere il pagamento direttamente dai condominii e
non, quindi, da ognuno dei 102 condòmini. E’ corretta tale impostazione?
Giulio Romano – Roma
L’amministratore del condominio dovrà gestire i servizi
e parti comuni (portierato, piscina, manutenzione del
verde, impianto riscaldamento, ecc.) previa ripartizione
delle spese approvate dall’assemblea dei rappresentanti.
Gli oneri ripartiti secondo le specifiche tabelle previste
per il supercondominio saranno incassati direttamente
dall’amministratore “unico” utilizzando uno specifico c/c
dove affluiranno le quote periodiche e sul quale verranno
disposti i pagamenti dovuti ai fornitori.
Prese elettriche
e parti
comuni
Con riferimento al manuale “Le regole del condominio”,
a pag. 54, quale norma di legge stabilisce che “non vi debbano essere prese elettriche nelle parti comuni di un condominio con dipendenti”?
Giordano Giordano - Padova
Premesso che le prese elettriche nelle parti comuni sono soltanto sconsigliabili in quanto …utilizzabili da tutti
(spesso nelle cantine vengono posizionati frigoriferi o altri impianti elettrici), ovviamente devono rispettare la
normativa di installazione anche ai fini della verifica biennale o quinquennale prevista dal DPR n. 462/2001.
Obblighi
dell’amministratore
e dei condòmini
Se un amministratore di condominio non ottempera
agli obblighi fiscali (versamenti F24 e compilazione 770),
i condomini sono perseguibili in solido o la responsabilità è solo dell’inadempiente?
G.M. – Modena
Il sostituto d’imposta è per legge il condominio, per cui le
sanzioni sono a carico dei relativi comproprietari. Tuttavia,
l’art. 1130 c.c. prevede proprio tra le attribuzioni dell’amministratore l’esecuzione degli adempimenti fiscali, per cui sarà
utile subordinare la nomina dello stesso amministratore alla
presentazione di una polizza assicurativa per la responsabilità
civile (terzo comma art. 1129 c.c.), che copre le conseguenze
di eventuali errori nell’adempimento delle mansioni.
Adesione
all’uso
dell’ascensore
➡
Nella installazione di un ascensore, non avendo trovato
leggi specifiche, come vengono ripartite le spese di in-
Marzo 2015
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GLI ESPERTI RISPON DONO
CONDOMINIO
stallazione, manutenzione e consumo, nel caso in cui un
condòmino volesse aderire all’uso dell’ascensore in un
secondo tempo? Quali sono le regole da seguire?
Sara Garbarino – Genova
Per quanto riguarda gli oneri ordinari di esercizio dell’impianto occorre attribuire un riferimento millesimale al
nuovo appartamento che utilizza il servizio, mentre per
gli oneri straordinari di installazione occorre conoscere
(possibilmente documentare) i costi a suo tempo sostenuti e con lo stesso riferimento millesimale effettuare il
conguaglio dovuto (art. 1121 c.c. terzo comma).
Cambio
d’uso
di un appartamento
Nel condominio in cui abito, un condòmino, proprietario di appartamenti al 4° piano, ha affittato dal 1° gennaio 2015 i suddetti appartamenti ad un medico pediatra
e ad uno psicologo, i quali li usano come studio medico.
Poiché il via vai continuo delle persone che chiedono le
prestazioni dei due professionisti turba la quiete condominiale che si aveva da molti anni, chiedo se il cambio
d’uso dei due appartamenti è soggetto anche all’approvazione dell’assemblea condominiale o è sufficiente la discrezionalità del proprietario?
Giampietro Valentini - Villa Bartolomea (VR)
Se nel regolamento di condominio eventualmente esistente c’è un divieto per l’uso non abitativo è possibile
segnalare agli interessati, eventualmente direttamente
dall’ammini stratore, il cambiamento non autorizzato; altrimenti non resterà che invitare gli stessi professionisti
(ed anche il proprietario dell’ap parta mento) al rispetto
delle cosiddette regole di buon vicinato, non scritte ma
utili ad evitare turbative agli altri residenti nello stabile.
Approvazione
tabelle
millesimali
Nel mio condominio hanno approvato, a maggioranza semplice e non qualificata, come alcuni di noi sostenevamo, le nuove tabelle millesimali. Premetto che
l’aumento dei millesimi in alcuni casi è stato superiore
ad 1/5, dato l’inseri mento dei giardini. Vi sembra giusto?
Roberto Tendi – Firenze
La giurisprudenza (Cassazione 27/7/2007 n. 16644:
vedi “Le nuove regole del condominio”) ha stabilito che
ai fini dell’attribu zione dei millesimi vanno considerati
anche i giardini che consentono un miglior godimento
dei singoli appartamenti.
Il nuovo terzo comma dell’art. 1138 c.c. stabilisce,
però, per l’ap prova zione del regolamento la maggioranza dei voti degli intervenuti in assemblea rappresentanti almeno la metà del valore millesimale dell’edificio .
Amministratore
pro-tempore
e riscaldamento
L’amministratore (pro-tempore) del condominio, può
chiedere ai vari condòmini se hanno provveduto al controllo/revisione annuale della caldaia che alimenta
l’impianto di riscaldamento dei vari appartamenti?
Giuseppe Bongiorno - Calascibetta (EN)
L’art. 1122 c.c. (Opere su parti di proprietà o uso individuale) stabilisce che “il condomino non può eseguire opere che rechino danno alla parti comuni o pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza ed al decoro architettonico dell’edificio”; in questa ottica la richiesta è legittima nell’inte resse di tutti i residenti nel condominio visto che l’ammini stratore è tenuto a richiedere (in sede
di anagrafe condominiale) “ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio”.
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GLI ESPERTI RISPON DONO
PREVIDENZA
a cura del Patronato ACLI
Indennità
di accompagnamento
negata
A seguito di aggravamento invalidità, nel mese di ottobre
2013 presento domanda di revisione, corredata da relativi referti medici. Nel mese di dicembre, dopo visita medica, l’invalidità passa dal 90 al 100%, senza indennità di accompagnamento.
Nel 2014, a seguito di alcune cadute, riporto la frattura della
spalla destra. Mi viene consigliato l’uso di deambulatore sia per
interno che per esterno. A maggio 2014 dopo una visita medica effettuata per controllare il gonfiore di piedi e gambe fino al
ginocchio che mi impediva di deambulare, costringendomi a rimanere seduto o coricato, mi viene prescritta una fasciatura
con unguento, in seguito il gambaletto elastico da tenere sempre. Per tutto il 2014, per qualsiasi movimento vengo assistito
ed aiutato, anche per timore di altra caduta.
Cosa devo fare per richiedere l’indennità di accompagnamento? La domanda deve essere fatta dal medico, oppure è
sufficiente che sia fatta dall’invalido o suo familiare, o da altra
struttura quale Caf e Patronati?
G.F. – Susa (TO)
Sulla base di quanto ci ha scritto Lei ha a sue mani un verbale di invalidità civile rilasciatole nel 2013 con riconosciuto il
100% di invalidità. Immaginiamo che avverso tale verbale Lei
non abbia proposto ricorso.
Ci scrive che il quadro clinico sembra peggiorato, pertanto
sembrano sussistere le condizioni per presentare domanda di
aggravamento dell’invalidità civile.
Pertanto deve rivolgersi al medico affinchè invii certificato
medico telematico all’INPS.
Il medico certificherà l’avvenuto aggravamento del suo quadro clinico rispetto al precedente verbale e descriverà le sue attuali condizioni, evidenziando la circostanza che sussistono i requisiti per ottenere l’accompagnamento vuoi perché non in
grado di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore, o
perché ha la necessità di assistenza continua nello svolgimento
degli atti della vita quotidiana.
Il medico le rilascerà la ricevuta dell’avvenuto invio del certificato telematico ed una copia dello stesso timbrata e firmata in
originale dal medico. Successivamente Lei (personalmente se
in possesso di codice PIN, o tramite un ufficio di patronato) entro 90 giorni dovrà inoltrare la domanda vera e propria volta ad
ottenere l’accertamento dell’aggravamento e dell’indennità di
accompagnamento.
Fondo casalinghe
ed altre
prestazioni
La percezione dell’assegno sociale da invalidità civile è compatibile con la titolarità di una pensione a carico del fondo casalinghe? E’ sufficiente rispettare i requisiti di reddito?
Per chi è già titolare di pensione a carico del fondo casalinghe è possibile chiedere la pensione supplementare in riferimento ai contributi versati nella gestione commercianti e non
sufficienti alla maturazione del diritto all’autonoma pensione di
vecchiaia?
L.T. – Trieste
Il Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di
cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari, detto anche “pensione casalinghe” è una forma di assicurazione previdenziale facoltativa e non obbligatoria.
Raggiunti i requisiti l’assicurato può chiedere la liquidazione
della suddetta pensione, calcolata col sistema contributivo e
quindi determinata esclusivamente dal montante dei contributi
versati e rivalutati.
Il reddito derivante dalla pensione suindicata è rilevante ai fini del superamento del limiti di reddito dell’assegno sociale da
invalido civile. Ma questo non vuole dire (visti anche i ridotti
importi di queste pensioni) che vi sia incompatibilità tra la prestazione assistenziale da invalidità civile e quella derivante
dall’assicurazione facoltativa.
Per quanto riguarda, invece, la possibilità di ottenere la pensione di vecchiaia supplementare utilizzando contributi da
commerciante essendo titolari di una “pensione casalinghe”, va
precisato che ciò non è possibile.
La norma che disciplina la pensione di vecchiaia supplementare prevede che questa prestazione pensionistica possa essere
erogata solo a coloro i quali siano titolari di una pensione principale a carico di un fondo di previdenza sostitutivo, esclusivo o
esonerativo di quello dell’assicurazione generale obbligatoria.
Le pensioni Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari, come abbiamo detto sono prestazioni di previdenza facoltativa: non obbligatoria sostitutiva o esclusiva od esonerativa
dell’AGO.
I permessi
del lavoratore
distaccato
Un lavoratore distaccato, per poter usufruire delle ferie o permessi, a chi dovrà inoltrare la domanda: al distaccante o al distaccatario?
F.D.R. – Siena
In linea generale va detto che durante un periodo di distacco
il lavoratore entra a far parte dell’organizzazione del distaccatario. È con quest’ultimo datore di lavoro, quindi, che il lavoratore
distaccato deve concordare permessi e ferie.
In realtà è necessario verificare come effettivamente si verifichi tale distacco. Tempo pieno o tempo parziale. Se il lavoratore è solo parzialmente distaccato, allora le richieste di ferie e
permessi dovranno essere comunicate e concordate sia col distaccante che col distaccatario.
Ma questo aspetti vanno esaminati con un consulente del lavoro esaminando il contratto di distacco.
Lavoratore
subordinato
e partita Iva
Può un lavoratore subordinato part-time (20 ore settimanali)
aprire una partita IVA come agente di commercio e iscriversi,
nel ruolo degli agenti, all’Inps commercianti, all’Enasarco, ecc.?
R.M. - Roma
➡
L’attività di lavoro dipendente part-time è compatibile con lo
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Marzo 2015
GLI ESPERTI RISPON DONO
PREVIDENZA
svolgimento di attività di lavoro autonomo.
L’attività di agente di commercio è regolamentata da apposite norme e prevede diverse modalità di esecuzione.
La decisione di intraprendere l’attività di agente di commercio, con apertura partita iva e conseguente versamenti contributivi alla gestione commercianti ed all’Enasarco richiede che l’attività svolta diventi quella prevalente.
È necessaria una attenta valutazione di quelle che sono le
proprie aspettative lavorative, dei costi e dei benefici di una simile scelta sin dall’origine. Opportuno altresì valutare i riflessi
pensionistici.
Dipendente
della Provincia
e invalidità
Sono una dipendente provinciale assegnata alla tutela e valorizzazione beni ambientali e paesaggistici. Alla luce della inedita situazione sul futuro delle province, posso far valere il riconoscimento di invalidità civile al 60% per evitare la messa in disponibilità obbligatoria con riduzione dello stipendio e successivo licenziamento?
Lavoro in una provincia del Veneto a statuto ordinario. ll mio
quesito è collegato all’articolo di gennaio 2015 “Legge di stabilità e risparmi di regioni e province”.
Lucia Malvestio – Treviso
criteri di individuazione del personale da collocare in mobilità o da esentare dovranno essere identificati sulla base di appositi decreti.
Si può ipotizzare che chiaramente i lavoratori riconosciuti
portatori di handicap potranno entro certi limiti opporsi al trasferimento di sede.
Il grado di invalidità potrà essere un altro criterio, ma garantirle che la percentuale riconosciutale sia sufficiente non è possibile. Quanti esuberi? Quali distanze? Quali disagi? Tante saranno le variabili.
ne all’atto dell’esonero stesso), la contribuzione previdenziale
complessivamente dovuta è comunque pari a quella del dipendente a tempo pieno?
La quota contributiva a carico del dipendente, la rivalsa da parte
del datore di lavoro si applica sulla quota commisurata alla indennità corrisposta o sulla retribuzione virtuale?
F.P – Siena
Il lavoratore che ha ottenuto l’esonero dal servizio ex art. 72, DL
112/2008 (prima della sua abrogazione) è un dipendente pubblico non cessato dal servizio, ma con una sospensione del rapporto
di impiego o di lavoro in cui il lavoratore non è tenuto ad effettuare la prestazione lavorativa presso l’amministrazione, ma percepisce un trattamento economico temporaneo (pari al 50% di quello
complessivamente goduto per competenze fisse ed accessorie al
momento del collocamento nella posizione di esonero) e matura i
contributi in misura intera.
Poiché il periodo di esonero è utile ai fini della pensione e del
trattamento di fine servizio, durante tale periodo il contributo agli
enti previdenziali deve essere effettuato dall’ente sulle retribuzioni
che ciascun dipendente avrebbe percepito, per le voci in godimento, se avesse continuato a svolgere la propria attività lavorativa.
Pertanto, dovranno essere aggiornate le basi di calcolo delle voci
fisse e continuative negli importi rideterminati per effetto dei rinnovi contrattuali o dei miglioramenti retributivi nel frattempo intervenuti, mentre per la retribuzione accessoria variabile, in assenza di
prestazione di servizio, non potrà che farsi riferimento agli importi
presi in considerazione per la determinazione del trattamento temporaneo spettante nel periodo di esonero dal servizio secondo i
criteri indicati nel presente paragrafo.
È IN EDICOLA
Contributi
insufficienti
per la pensione
Mia cognata, nata il 20 agosto 1948, ha lavorato come dipendente dal 1970 al 1979, cioè nove anni di contributi riconosciuti; nel 1980 si è sposata, poco dopo è nata una figlia e da
allora fa la casalinga.
Ha la possibilità di inoltrare una domanda di pensione?
I.R. – Rimini
Per un appartenente al sistema previdenziale retributivo (anche 1 solo contributo entro il 31 dicembre 1995) per avere liquidata una pensione di vecchiaia servono almeno 20 anni di
contribuzione (15 laddove ricorrano le deroghe di cui al più
volte richiamato dlgs 503/92).
Sua cognata, sulla base di quanto ci ha scritto, può far valere
poco più di 9 anni di contributi, non ha quindi raggiunto il requisito contributivo minimo né mediante attività lavorativa né
mediante versamenti volontari. Non ha quindi la possibilità di
avere liquidata la pensione di vecchiaia.
Qualora ricorressero le condizioni di disagio economico del
nucleo familiare potrebbe ottenere l’assegno sociale.
Esonero
dal servizio
e contributi
Per il caso di esonero dal servizio ex art. 72 D.L. 112/08 dei dipendenti pubblici (che consente di godere fino al collocamento a
riposo di una indennità pari al 50% ovvero al 70% della retribuzio-
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legislative che ti riguardano!
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Marzo 2015
59
ISTAT - COSTO DELLA VITA
INDICI ISTAT PER L’AGGIORNAMENTO DEGLI AFFITTI
orte calo a gennaio del costo della vita rispetto allo
stesso mese dell’anno precedente: - 0,7%.
Questi dati, ufficializzati dall’Istat,
sono quelli utili per l’aggior na mento dei canoni derivanti da contratti liberi per le abitazioni (non
interessano coloro che hanno applicato per il pagamento delle tasse
la cedolare secca) e per l’adeguamento degli affitti commerciali. Come è noto esistono più indici: c’è
l’indice Istat che indica il costo della vita per la collettività nazionale,
ed è quello che viene per lo più comunicato dai mass-media (giornali
e televisione); invece, per l’adeguamento dei canoni di affitto (ma anche per l’adeguamento dell’assegno del coniuge separato), l’indice
da prendere in considerazione è il
F
cosiddetto “indice del costo della
vita per le famiglie di operai ed impiegati”.
Risultato di questa assurda duplicazione è che spesso si registrano differenze tra i due indici (poiché diversi sono i beni presi in considerazione per stabilire l’aumento
dei prezzi).
La variazione dell’indice del costo della vita registrata a gennaio
2015 (non ancora ufficializzato sulla Gazzetta Ufficiale quando questo
giornale viene stampato), è il seguente:
● VARIAZIONE COSTO DELLA VITA
DA GENNAIO 2014 A GENNAIO 2015:
- 0,7% (ridotto al 75%: -0,525%).
● VARIAZIONE COSTO DELLA VITA
DA GENNAIO 2013 A GENNAIO 2015:
- 0,2% (ridotto al 75%: - 0,15%).
Riepiloghiamo, infine, le variazioni
ISTAT dei mesi precedenti (già ridotte
al 75% e quindi immediatamente
utilizzabili).
Mese
variaz.
annuale
variaz.
biennale
FEBBRAIO 2014
MARZO 2014
APRILE 2014
MAGGIO 2014
GIUGNO 2014
LUGLIO 2014
AGOSTO 2014
SETTEMBRE 2014
OTTOBRE 2014
NOVEMBRE 2014
DICEMBRE 2014
GENNAIO 2015
+ 0,37%
+ 0,225%
+ 0,375%
+ 0,3%
+ 0,225%
+ 0,075%
- 0,075%
- 0,075%
+ 0,075%
+ 0,15%
- 0,075%
- 0,525%
+ 1,72%
+ 1,425%
+ 1,2%
+ 1,2%
+ 1,125%
+ 0,975%
+ 0,75%
+ 0,525%
+ 0,06%
+ 0,06%
+ 0,375%
- 0,15%
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DOSSIER
MARZO 2015
COME PAGARE
MENO TASSE
a cura di ANNALISA D’ANTONIO
II
Marzo 2015
COME ALLEGGERIRE IL CONTO DELL’IRPEF
l più importante e impegnativo appuntamento fiscale dell’anno, la compilazione
e presentazione della dichiarazione dei redditi, è ormai alle porte. Sia che si utilizzi il 730 (ordinario o precompilato) sia che ci si avvalga del modello UNICO, è
opportuno prepararsi per tempo ad affrontare “consapevolmente” l’impegno. Come
ogni anno, leggi illustrate cercherà di rendervi il compito il meno gravoso possibile: ad aprile e maggio troverete i due inserti, dedicati rispettivamente al 730 (per
pensionati e titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati) e all’UNICO (per lavoratori autonomi), che vi guideranno rigo per rigo verso la corretta compilazione
della dichiarazione.
Prima di sederci a tavolino per affrontare il tortuoso percorso tra le decine e decine
di caselle, righi, sezioni, prospetti e quadri, vale la pena ricordare le numerose legittime opportunità, contemplate dalle stesse norme tributarie, di alleggerire il conto delle imposte da versare. Pagare le tasse, infatti, è un dovere, ma pagarne più
del dovuto è una sciocchezza.
Esiste una lunga serie di spese per le quali il legislatore, ritenendole di particolare
rilevanza sociale, ha deciso di riconoscere a chi le sostiene uno “sconto” dalle imposte sui redditi. È il caso, ad esempio, delle spese sanitarie, quelle per frequentare
l’università, per fare dentro casa lavori di ristrutturazione o finalizzati al risparmio
energetico, per gli interessi passivi del mutuo stipulato quando si acquista casa,
per i contributi previdenziali ed assistenziali. Queste le più note.
Ve ne sono, però, tante altre, la cui rilevanza fiscale non è nota a tutti, con la conseguenza che l’“ignaro” contribuente non beneficia dell’agevolazione che gli spetta,
finendo col pagare più IRPEF di quella dovuta. Probabilmente non tutti sanno che
tra gli oneri che consentono di fruire di sconti nella dichiarazione dei redditi, ci sono, ad esempio, i costi della palestra dei figli, la retta dell’asilo, i farmaci omeopatici, il test di ammissione ad un corso di laurea, i contributi volontari pagati alla
scuola. Sono spese che, magari, nel corso del 2014, abbiamo sostenuto e che non
sapevamo (o avevamo dimenticato) di poter scalare nel prossimo modello 730 (o
UNICO).
Per la stessa ragione, potrebbe essere necessario presentare la dichiarazione semplicemente per fruire delle detrazioni per i familiari a carico (magari un figlio nato
nel corso dell’anno), che il datore di lavoro non ha attribuito in busta paga perché
ci è sfuggito di comunicargli l’evento e la conseguente spettanza dello sconto
d’imposta.
I possibili vantaggi fiscali non vengono solo da oneri e spese. Il panorama legislativo tributario comprende una vasta gamma di detrazioni d’imposta (per familiari a
carico, per tipologia di reddito prodotto, per chi vive in affitto, ecc.) e di crediti
d’imposta (per il riacquisto della prima casa, per i canoni non percepiti, ecc.).
Il debutto del “730” precompilato certo non aiuta; anzi, sarà bene, specialmente
nella prima fase di rodaggio, che il contribuente controlli anche quei pochi oneri
già presi in considerazione dal Fisco: ci potrebbero essere errori ed omissioni.
I
Marzo 2015
III
Persone a carico:
coniuge, figli
e altri familiari
chi ha persone fiscalmente a carico, il
Tuir riconosce un beneficio sotto forma
di detrazioni d’imposta, cioè un importo
da scalare direttamente dall’IRPEF da pagare.
Per essere considerati a carico, bisogna avere
un reddito complessivo non superiore a
2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili;
nel conteggio, però, bisogna tener conto anche
di altri redditi che non partecipano a quello
complessivo perché soggetti a tassazione sostitutiva (canoni locativi in regime di cedolare secca, reddito di lavoro autonomo/impresa dei
“nuovi minimi”) o sono esenti (retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari, missioni,
dalla Santa Sede, franchigia riconosciuta ai lavoratori frontalieri”).
A
Quando la detrazione
non spetta
Se durante l’anno viene superato il tetto
di 2.840,51 euro, la detrazione non spetta
nemmeno parzialmente. Infatti, il limite
di reddito si riferisce all’intero periodo
d’imposta.
La detrazione per il coniuge e i figli spetta anche quando gli stessi non convivono con il contribuente o risiedono all’estero. Invece, gli altri
familiari (genitori, nonni, fratelli, sorelle, discendenti dei figli, suoceri, nuore, generi) devono
essere conviventi o, in alternativa, percepire dal
contribuente assegni alimentari non risultanti
da provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
L’importo delle detrazioni va sempre rapportato ai mesi dell’anno per i quali si sono verificati i presupposti.
Il beneficio decorre dal mese in cui si realizza
l’evento che ne determina il diritto, indipendentemente dal numero del giorno (ad esempio, in
caso di matrimonio contratto il 26 agosto, la detrazione per il coniuge a carico spetta per cinque mesi, da agosto a dicembre).
A lavoratori dipendenti e pensionati, le
detrazioni per carichi di famiglia sono riconosciute direttamente dal datore di lavoro, mese per mese, in busta paga (o
dall’ente sul rateo di pensione), sulla base di una comunicazione effettuata
dall’interessato all’inizio del rapporto di
lavoro o pensionistico.
Una volta fatta, la segnalazione vale anche per gli anni successivi. Va ripetuta
soltanto nel caso in cui intervengano variazioni, rispetto alle informazioni fornite
in precedenza, che incidono sulla spettanza delle detrazioni.
Potrebbe pertanto accadere che ci si dimentica di comunicare la nascita di un figlio, non mettendo il sostituto d’imposta
in condizione di attribuire la detrazione
sulle retribuzioni: in questa situazione, il
recupero del beneficio fiscale dovrà necessariamente avvenire tramite la dichiarazione dei redditi.
Analogamente, se non abbiamo segnalato
al datore di lavoro che, ad esempio, un figlio non è più a nostro carico (in questo
caso, l’omessa comunicazione è punibile
con una sanzione amministrativa da 258 a
2.065 euro) e, di conseguenza, abbiamo
continuato a fruire mensilmente della relativa detrazione, dovremo restituire
quanto indebitamente percepito dal sostituto d’imposta nel corso dell’anno:
l’operazione passa necessariamente attraverso la dichiarazione dei redditi che,
pertanto, potrebbe essere necessario presentare anche solo per restituire le detrazioni indebitamente percepite.
L’importo della detrazione varia in funzione
del reddito complessivo posseduto nell’anno,
azzerandosi quando si hanno redditi elevati. In
pratica, sono previste delle detrazioni di base
(o teoriche), il cui ammontare diminuisce man
mano che aumenta il reddito, fino ad annullarsi
quando il reddito complessivo arriva a 80.000
euro (coniuge e altri familiari) o a 95.000 (figli).
Le detrazioni
per il coniuge
La detrazione di partenza per il coniuge a carico è di 800 euro. Solo per i contribuenti con
reddito compreso tra 15.001 e 40.000 euro,
l’importo è fisso (690 euro), anche se per chi
ha reddito tra 29.001 e 35.200 euro è previsto
un leggero incremento, tra 10 e 30 euro.
Se entrambi i coniugi possono, in teoria, considerarsi l’uno a carico dell’altro (cioè, hanno
entrambi redditi al di sotto del limite di
2.840,51 euro), la detrazione spetta ad uno solo
di essi.
IV
Marzo 2015
DETRAZIONE PER CONIUGE A CARICO
Reddito complessivo (1)
Importo
della detrazione
Fino a 15.000 euro
Oltre 15.000 e fino a 29.000 euro
690
Oltre 29.000 e fino a 29.200 euro
690 + 10 = 700
Oltre 29.200 e fino a 34.700 euro
690 + 20 = 710
Oltre 34.700 e fino a 35.000 euro
690 + 30 = 720
Oltre 35.000 e fino a 35.100 euro
690 + 20 = 710
Oltre 35.100 e fino a 35.200 euro
690 + 10 = 700
Oltre 35.200 e fino a 40.000 euro
690
Oltre 40.000 e fino a 80.000 euro
690 x [(80.000 –
reddito complessivo
(1)
) / 40.000 (2)]
(1) Al netto della deduzione per l’abitazione principale
e relative pertinenze, ed aumentato dei redditi dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca
(2) Vanno considerate le prime quattro cifre decimali risultanti dalla divisione, con il sistema del troncamento
(a d esempio, se il risulta to del ra pporto è pa ri a
0,569499, il coefficiente è 0,5694)
Le detrazioni
per i figli
La detrazione di partenza per i figli è di 1.220 euro, se di età inferiore a tre anni, e di 950 euro, se di
età pari o superiore a tre anni. Questi importi aumentano di 200 euro per ciascun figlio, a partire dal
primo, quando i figli sono più di tre, e di 400 euro
per ciascun figlio disabile.
Per calcolare la detrazione effettivamente spettante, quella di partenza va moltiplicata per il coefficiente che si ottiene dividendo per 95.000 (numero
fisso) la differenza tra 95.000 e il reddito complessivo (al netto della deduzione per l’abitazione principale e relative pertinenze, ed aumentato dei redditi
dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca). In
pratica, va applicata la seguente formula:
detrazione di base x [(95.000 – reddito complessivo) / 95.000].
In presenza di più figli, l’importo di 95.000 va aumentato di 15.000 per ogni figlio successivo al primo, tanto al numeratore quanto al denominatore,
diventando, pertanto, 110.000 nel caso di due figli a
carico, 125.000 nel caso di tre figli, 140.000 per
quattro figli, e così via.
Facciamo l’esempio di una coppia con tre figli di
oltre tre anni (il primo coniuge ha 30.000 euro di
reddito complessivo, il secondo 25.000 euro).
La detrazione teorica totale è pari a 2.850 euro
(950 per ogni figlio), da ripartire al 50% tra i genitori
(1.425 euro ciascuno). A conti fatti:
● al primo coniuge spettano 1.083 euro, così calcolati:
1.425 x [(125.000 - 30.000)/125.000] = 1.425 x
0,76 = 1.083;
● al secondo coniuge spettano 1.140 euro, così
calcolati:
1.425 x [(125.000 - 25.000)/125.000] = 1.425 x
0,8 = 1.140.
Pertanto, a fronte di una detrazione teorica complessiva di 2.850 euro, ai due coniugi spetta una
detrazione effettiva di 2.223 euro (1.083 + 1.140).
La detrazione per i figli a carico va ripartita tra i
genitori al 50% ovvero, se c’è accordo, può essere
attribuita per intero a quello dei due che possiede
il reddito più elevato.
Conviene adottare questa soluzione in caso di
incapienza del genitore con reddito più basso, ossia quando le detrazioni che gli spettano risultano
maggiori dell’imposta lorda, circostanza che non
consentirebbe di sfruttarle per intero: meglio quindi attribuirle al 100% all’altro genitore, se quest’ultimo ha imposta sufficiente per utilizzarle. Naturalmente, se uno dei coniugi è a carico dell’altro,
la detrazione per i figli spetta a quest’ultimo per
l’intero importo.
In caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, la detrazione va al genitore affidatario,
salvo accordo per la ripartizione al 50% o per
l’attribuzione dell’intero importo al genitore con
reddito più elevato. Se l’affidamento è congiunto o
condiviso, la detrazione deve essere suddivisa al
50%, salvo accordo per attribuirla a chi ha il reddito maggiore.
Quando uno dei genitori manca (perché è morto
o non ha riconosciuto i figli naturali), l’altro, in relazione al primo figlio (il più anziano tra quelli a carico), può usufruire della detrazione prevista per il
coniuge a carico, se più conveniente.
DETRAZIONE PER FIGLI A CARICO
Età
Importo della detrazione
Minore di 3 1.220 (1) x [(95.000
anni
sivo (3)) / 95.000 (4)]
Maggiore di 950 (1) x [(95.000
3 anni
vo (3)) / 95.000 (4)]
(2)
(2)
– reddito comples-
– reddito complessi-
(1) Con più di tre figli, l’importo base è aumentato di
200 euro per cia scun fig lio a pa rtire da l primo.
L’importo è aumentato di 400 euro per ogni figlio portatore di handicap ai sensi della legge 104/1992
(2) In presenza di più figli, per ogni figlio successivo al
primo, l’importo di 95.000 è aumentato, sia al numeratore che al denominatore, di 15.000 euro
(3) Al netto della deduzione per l’abitazione principale
e relative pertinenze, ed aumentato dei redditi dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca
(4) Vanno considerate le prime quattro cifre decimali risultanti dalla divisione, con il sistema del troncamento
(a d esempio, se il risulta to del ra pporto è pa ri a
0,569499, il coefficiente è 0,5694)
Detrazione
supplementare
Un’agevolazione supplementare è riconosciuta alle
famiglie in cui sono presenti almeno quattro figli a
carico. In questi casi, spetta un’ulteriore detrazione, in
aggiunta a quelle ordinarie. È pari a 1.200 euro:
l’importo è fisso, cioè non aumenta se i figli sono più
di quattro. Non va ragguagliata al periodo dell’anno in
cui si verifica l’evento; ciò vuol dire che, se la condizione si realizza solo per una parte dell’anno, la detrazione spetta comunque per intero, anche nel caso limite in cui il quarto figlio nasca il 31 dicembre.
Marzo 2015
Non è legata al livello reddituale del beneficiario,
nel senso che non va messa in relazione con il suo
reddito complessivo, fermo restando, comunque,
che l’ulteriore detrazione spetta solo se già si fruisce
di quelle ordinarie per i figli a carico.
Va suddivisa al 50% tra i genitori, ma se uno dei
coniugi è a carico dell’altro, la detrazione spetta interamente a quest’ultimo (se il quarto figlio è tale
solo per uno dei genitori, l’ulteriore detrazione spetta per l’intero ammontare all’unico genitore che ha
quattro figli, pur se il coniuge non è a suo carico). In
caso di separazione/divorzio, la detrazione spetta in
proporzione agli affidamenti stabiliti dal giudice.
Non sono ammessi criteri diversi di ripartizione.
Anche la detrazione per famiglie numerose è
attribuita ai lavoratori dipendenti direttamente in busta paga; gli altri contribuenti
possono farla valere nella dichiarazione dei
redditi. Quando non c’è capienza, cioè quando l’Irpef lorda diminuita delle altre detrazioni spettanti non è sufficiente per sfruttare in
toto l’ulteriore detrazione, al contribuente
spetta un credito di importo pari alla quota
di detrazione “incapiente”. Ai lavoratori dipendenti, il credito è riconosciuto dallo stesso sostituto d’imposta; gli altri contribuenti
lo determinano nella dichiarazione dei redditi e possono utilizzarlo in compensazione tramite F24, computarlo in diminuzione
V
dell’Irpef relativa all’anno d’imposta successivo o richiederlo a rimborso.
Detrazioni
per altri familiari
La detrazione per gli altri familiari spetta se
questi convivono con il contribuente o da lui percepiscono assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. La detrazione base
è di 750 euro, ammontare che diminuisce man mano che cresce il reddito complessivo. Per calcolare
l’importo effettivamente spettante, occorre moltiplicare la detrazione base per il coefficiente che si ottiene dal rapporto tra 80.000, diminuito del reddito
complessivo, e 80.000. La detrazione va ripartita pro
quota tra coloro che ne hanno diritto.
DETRAZIONE PER ALTRI FAMILIARI A CARICO
Importo
della
detrazione
750 x [(80.000 – reddito complessivo (1))
/ 80.000 (2)]
(1) Al netto della deduzione per l’abitazione principale
e relative pertinenze, ed aumentato dei redditi dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca
(2) Vanno considerate le prime quattro cifre decimali risultanti dalla divisione, con il sistema del troncamento
(a d esempio, se il risulta to del ra pporto è pa ri a
0,569499, il coefficiente è 0,5694)
VI
Marzo 2015
Detrazioni
in base
al tipo di reddito
O
ltre che da quelle per i familiari a carico,
l’imposta lorda può essere ridotta da un altro tipo di detrazione, legata alla categoria
di reddito posseduto.
Detrazioni
per lavoro dipendente
Le detrazioni per i lavoratori dipendenti e i
pensionati vanno rapportate al periodo di lavoro
o di pensione espresso in giorni; le altre, invece,
spettano per intero, a prescindere dal periodo di
attività svolta nell’anno.
Quando si è titolari di più tipi di redditi, per
ciascuno dei quali spetterebbe una diversa detrazione, i benefici non sono cumulabili. Ad esempio, un pensionato, che svolge un’attività commerciale occasionale, deve scegliere tra detrazione per redditi di pensione e detrazione per altri
redditi di lavoro, potendo ovviamente optare per
quella più conveniente. La non cumulabilità va riferita al periodo dell’anno in cui si percepiscono
contemporaneamente, ad esempio, sia redditi di
DETRAZIONE PER REDDITI DI LAVORO
DIPENDENTE E ALCUNI ASSIMILATI (1)
Reddito
complessivo (2)
Importo della detrazione (rapportata
al periodo di lavoro nell’anno)
Oltre 8.000
978 + 902 x [(28.000 - reddito complese fino a
sivo (2)) / 20.000 (4)]
28.000 euro
978 x [(55.000 - reddito complessivo
/ 27.000 (4)]
Detrazioni
per redditi da pensione
Anche per calcolare le detrazioni sui redditi da
pensione vanno utilizzate formule fisse, diverse a seconda dello scaglione di reddito.
DETRAZIONE PER REDDITI DI PENSIONE (*)
(contribuenti che al 31 dicembre 2014 non hanno compiuto 75 anni)
Reddito
complessivo (1)
Importo della detrazione (rapportata
al periodo di pensione nell’anno)
Fino
1.725 (2)
a 7.500 euro
Fino
1.880 (3)
a 8.000 euro
Oltre 28.000
e fino a
55.000 euro
lavoro dipendente che una pensione. Invece, se i
due tipi di redditi riguardano periodi diversi,
spettano entrambe le detrazioni, ciascuna rapportata al relativo periodo di lavoro o di pensione.
Anche per le detrazioni “reddituali” è previsto
un importo di base, da “trattare” (utilizzando una
formula fissa) per arrivare alla cifra effettivamente spettante. Come quelle per i familiari a carico,
decrescono man mano che il reddito complessivo aumenta, fino ad annullarsi quando questo
raggiunge quota 55.000 euro.
(2)
)
(1) I redditi assimilati per i quali spetta la detrazione
per lavoro dipendente sono quelli prodotti da: soci di
cooperative di produzione e lavoro; lavoratori che percepiscono indennità da terzi per prestazioni rese in relazione alla loro qualità di lavoratori dipendenti; percettori di borse di studio, premi o sussidi corrisposti per fini
di studio o addestramento professionale; collaboratori
coordinati e continuativi; sacerdoti; titolari di trattamenti erogati dalla previdenza complementare; lavoratori
impiegati in attività socialmente utili
(2) Al netto della deduzione per l’abitazione principale
e relative pertinenze, ed aumentato dei redditi dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca
(3) L’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 690 euro per i rapporti
di lavoro a tempo indeterminato, a 1.380 euro per i
rapporti a tempo determinato, indipendentemente dal
periodo di lavoro nell’anno
(4) Se il quoziente è maggiore di 0 e minore di 1, va
assunto nelle prime quattro cifre decimali, con troncamento
Oltre 7.500
e fino a
15.000 euro
1.255 + 470 x [(15.000 - reddito complessivo (2)) / 7.500 (3)]
Oltre 15.000
e fino a
55.000 euro
1.255 x [(55.000 - reddito complessivo
(1)
) / 40.000 (3)]
(*)Spetta anche a chi percepisce assegni periodici,
esclusi quelli destinati al mantenimento dei figli, a seguito di separazione o di divorzio. In questo caso, però,
l’importo non va ra g g ua g lia to a d a lcun periodo
dell’anno
(1) Al netto della deduzione per l’abitazione principale
e relative pertinenze, ed aumentato dei redditi dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca
(2) L’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 690 euro
(3) Se il quoziente è maggiore di 0 e minore di 1, va
assunto nelle prime quattro cifre decimali, con troncamento
Marzo 2015
VII
DETRAZIONE PER REDDITI DI PENSIONE
(contribuenti che al 31 dicembre 2014 hanno compiuto 75 anni)
Reddito
complessivo (1)
Importo della detrazione (rapportata
al periodo di pensione nell’anno)
Fino a 7.750 1.783 (2)
euro
Oltre 7.750
e fino a
15.000 euro
1.297 + 486 x [(15.000 - reddito complessivo (1)) / 7.250 (3)]
Oltre 15.000
e fino a
55.000 euro
1.297 x [(55.000 - reddito complessivo
(1)
) / 40.000 (3)]
(1) Al netto della deduzione per l’abitazione principale
e relative pertinenze, ed aumentato dei redditi dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca
(2) L’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 713 euro
(3) Se il quoziente è maggiore di 0 e minore di 1, va
assunto nelle prime quattro cifre decimali, con troncamento
Detrazioni per altri
redditi di lavoro
Anche per il calcolo delle detrazioni per gli altri
redditi di lavoro, bisogna procedere utilizzando una
formula fissa.
DETRAZIONE PER ALTRI REDDITI DI LAVORO (1)
Reddito
complessivo (2)
Importo della detrazione
Fino
a 4.800 euro 1.104
Oltre 4.800
e fino a
55.000 euro
1.104 x [(55.000 - reddito complessivo
(2)
) / 50.200 (3)]
(1) Vi rientrano: redditi di lavoro autonomo e d’impresa
minore (esclusi “nuovi minimi”); redditi derivanti da attività commerciali e professionali non esercitate abitualmente e dall’assunzione di obblighi di fare, non fare e
permettere; redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente diversi da quelli per i quali spetta la detrazione
per redditi di lavoro dipendente (compensi per l’attività
intramuraria del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale; indennità e gettoni di presenza corrisposti da Sta to, Reg ioni, Province e Comuni per
l’esercizio di pubbliche funzioni; indennità per cariche
elettive; rendite vitalizie e a tempo determinato, diverse
da quelle aventi funzioni previdenziali; mance percepite
dai croupier). La detrazione spetta anche per i redditi
forfetari che però confluiscono nel reddito complessivo
(ad esempio, agriturismo)
(2) Al netto della deduzione per l’abitazione principale
e relative pertinenze, ed aumentato dei redditi dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca
(3) Se il quoziente è maggiore di 0 e minore di 1, va
assunto nelle prime quattro cifre decimali, con troncamento
VIII
Le spese e gli oneri
che riducono
l’Irpef
C
ome già accennato, alcune spese di particolare rilevanza sociale consentono di pagare meno imposte sul reddito delle persone fisiche. Il meccanismo di fruizione varia a
seconda del tipo di onere: o in diminuzione dal
reddito complessivo sul quale va poi calcolata
l’IRPEF o sottraendo direttamente dall’imposta
dovuta una percentuale del costo sostenuto. Nel
primo caso si parla di oneri deducibili, nel secondo di oneri detraibili.
Perché la spesa sia fiscalmente rilevante, dia
cioè diritto a deduzione o detrazione, occorre
che:
● rientri tra quelle previste dalla legge (l’elencazione è tassativa);
● sia supportata da idonea documentazione
(fattura, ricevuta, scontrino, bollettino di c/c postale, ecc.) che, comunque, non va allegata alla
dichiarazione, ma conservata in originale perlomeno fino a quando l’amministrazione finanziaria può richiederla (per i redditi 2014, fino al 31
dicembre 2019). Va invece esibita al CAF o al
professionista abilitato cui eventualmente ci si
rivolge in caso di presentazione del modello
730;
● sia stata sostenuta nel corso dell’anno di
imposta e sia rimasta effettivamente a carico del
contribuente. Ad esempio, se le spese mediche
sono state rimborsate dalla Asl o dal fondo assistenziale aziendale al quale il dipendente o il
datore di lavoro versa contributi esclusi dal reddito del dipendente, le stesse non si considerano rimaste a carico del contribuente e non sono
detraibili. Sono invece irrilevanti i rimborsi effettuati in base a contratti assicurativi i cui premi
non danno diritto a detrazione (ad esempio, le
polizze malattie) o per effetto di contributi o
premi che partecipano a formare il reddito del
contribuente.
In linea generale, le spese, perché siano
agevolabili, devono essere sostenute dal
contribuente nel suo interesse. Per alcuni
oneri, però, il beneficio spetta anche
quando sono sostenuti nell’interesse di
familiari a carico (spese mediche, scolastiche, assicurazioni sulla vita, contributi
previdenziali ed assistenziali) o anche non
fiscalmente a carico (spese mediche generiche e di assistenza specifica per i portatori di handicap, spese sanitarie per patologie esentate dalla partecipazione alla
spesa sanitaria pubblica) o, comunque,
nell’interesse della famiglia (contributi
per colf e badanti, spese per l’adozione di
minori stranieri, ecc.).
Marzo 2015
Quando l’onere è sostenuto per i figli, lo sconto spetta al genitore cui è intestato il documento
di spesa. Se questo però è intestato al figlio, il
costo va suddiviso al 50% tra i genitori che, tuttavia, possono scegliere una diversa ripartizione,
annotandola sullo stesso documento di spesa.
Se uno dei due coniugi è a carico dell’altro, quest’ultimo può “avocare” a sé l’intera spesa sostenuta.
Gli eredi possono “sfruttare” le spese sanitarie
sostenute per il defunto dopo il decesso.
Le spese che si possono
dedurre dal reddito
Sono le spese da far valere nel momento in
cui si calcola il reddito imponibile: lo riducono
prima del calcolo dell’imposta. Il beneficio fiscale è quindi pari all’aliquota massima raggiunta
dal contribuente; in pratica, uno stesso onere
deducibile si traduce in un risparmio d’imposta
diverso a seconda del reddito complessivo di chi
lo ha sostenuto.
Ad esempio, 1.000 euro di contributi pagati da
chi non va oltre i 15.000 euro di reddito (soggetto, pertanto, ad aliquota IRPEF del 23%) attribuiscono uno sconto di 230 euro, mentre versati
da chi è “posizionato” nell’ultimo scaglione, oltre i 75.000 euro (con aliquota marginale al
43%), danno una sforbiciata all’IRPEF di 430 euro.
Le spese che si possono
detrarre dall’imposta
Gli oneri e le spese detraibili danno diritto a
ridurre l’Irpef dov
uta, fino a concorrenza dell’imposta stessa.
Ciò vuol dire che, se la detrazione è maggiore
dell’imposta, la parte eccedente è persa, non
può essere chiesta a rimborso né è recuperabile
in altro modo (rinvio all’anno successivo, utilizzo
in compensazione, ecc.).
Nella maggior parte dei casi, la detrazione è
pari al 19% della spesa, spesso entro un certo limite massimo, sostenuta e rimasta effettivamente a carico del contribuente; in altre ipotesi, la
percentuale dello sconto è diversa oppure la detrazione è riconosciuta in una determinata misura.
Alcuni di questi oneri sono detraibili anche se
sostenuti nell’interesse di persone a carico; per
altri, l’agevolazione spetta anche quando sostenuti per familiari non a carico.
Marzo 2015
IX
ONERI DEDUCIBILI DAL REDDITO
SPESE SOSTENUTE NELL’INTERESSE PROPRIO O DEI FAMILIARI FISCALMENTE A CARICO
TIPO DI ONERE
Contributi previdenziali e assistenziali
Interamente deducibili
DOCUMENTI DA CONSERVARE
Ricevuta di versamento. Se pagati a rate, gli interessi non si
conteggiano
Contributi per i fondi integrativi del Servizio sanitario
nazionale
Ricevuta di versamento in c/c postale o di bonifico, quieDeducibili fino a un massimo di 3.615,20 euro (per le per- tanza
sone a carico, la sola parte da queste non dedotta)
Contributi per previdenza complementare
Deducibili fino a 5.164,57 euro (senza limiti per le forme
CU, certificazione del fondo da cui risulta che si
pensionistiche in squilibrio finanziario, con piano di riequi- Modello
librio approvato). In relazione ai familiari a carico, deduci- tratta di premi per forme pensionistiche individuali
bile solo la parte da questi non dedotta
SPESE SOSTENUTE NELL’INTERESSE PROPRIO O DEI FAMILIARI ANCHE NON FISCALMENTE A CARICO
TIPO DI ONERE
DOCUMENTI DA CONSERVARE
Spese mediche generiche e di assistenza specifica per Documentazione fiscale rilasciata da chi ha reso la prestapersone con disabilità
zione
Interamente deducibili
SPESE SOSTENUTE DAL CONTRIBUENTE NEL PROPRIO INTERESSE
TIPO DI ONERE
DOCUMENTI DA CONSERVARE
Assegni periodici corrisposti al coniuge separato/divorziato
Sentenza del tribunale e ricevuta del vaglia o del bonifico
Interamente deducibili (escluse le somme per il manteni- bancario
mento dei figli)
Contributi previdenziali e assistenziali versati per gli
addetti ai servizi domestici e familiari
Deducibili fino a 1.549,37 euro (la sola quota a carico del Bollettini di pagamento fronte/retro
datore di lavoro). (Vedi pagina XXV)
Erogazioni liberali a favore di istituzioni religiose
Deducibili fino a 1.032,91 euro per ciascun beneficiario
Erogazioni liberali a favore delle organizzazioni non
governative cooperanti con i Paesi in via di sviluppo
Deducibili nella misura massima del 2% del reddito complessivo
Ricevuta di versamento in c/c postale o di bonifico, quieErogazioni liberali a favore di Onlus, associazioni di tanza, estratto conto della carta di credito
promozione sociale, fondazioni e associazioni
Deducibili nel limite del 10% del reddito complessivo e,
comunque, per un importo massimo di 70.000 euro.
Erogazioni liberali a favore di università, enti di ricerca ed enti parco Interamente deducibili
Somme, erroneamente percepite e tassate in anni Modello CU o altra documentazione che attesta
precedenti restituite, al soggetto erogatore
l’operazione
Interamente deducibili
Rendite e vitalizi in base a testamento o donazione mo- Bonifici, attestazioni di versamento o ricevute rese dal sogdale, assegni alimentari decisi da autorità giudiziaria
getto beneficiario
Interamente deducibili
Canoni, livelli, censi e altri oneri gravanti sul reddito
degli immobili
Interamente deducibili (inclusi i contributi a consorzi obbli- Ricevute, cartelle quietanzate, bollettini di c/c postale
gatori per legge o in base a provvedimenti della PA)
Indennità per perdita dell’avviamento (c.d. “buonusciBonifico, attestazione di versamento o ricevuta resa da chi
ta” pagata a chi lascia negozio, ufficio, studio)
riceve la somma
Interamente deducibile
Imposte arretrate ante 1974, iscritte in ruoli la cui riscossione è iniziata nel 2014
Deducibili nella misura del 50%
Ricevute, cartelle quietanzate, bollettini di c/c postale
Somme tassate erroneamente (non dovevano concor- Documentazione attestante avvenuta tassazione e motivo
rere ai redditi di lavoro dipendente e assimilati)
di non tassabilità
Interamente deducibili
Erogazioni liberali per oneri difensivi dei soggetti che
fruiscono del patrocinio a spese dello Stato
Bonifici, ricevute o attestazioni di versamento
Interamente deducibili
X
Marzo 2015
ONERI DEDUCIBILI DAL REDDITO
SPESE SOSTENUTE DAL CONTRIBUENTE NEL PROPRIO INTERESSE
TIPO DI ONERE
DOCUMENTI DA CONSERVARE
Somme corrisposte ai dipendenti chiamati ad adem- Riguarda i non sostituti d’imposta, come i datori di lavoro
piere funzioni presso gli uffici elettorali
domestico
Interamente deducibili
Spese per la procedura di adozioni internazionali di Certificazione rilasciata dall’ente autorizzato incaricata delminori
la procedura
Deducibili al 50%
Acquisto o costruzione di abitazioni date in locazione
Deduzione del 20% su una spesa complessiva non supe- Rogito di acquisto o attestazione dell’impresa costruttrice
riore a 300.000 euro
Investimenti in start-up (società di nuova costituzione)
Deducibile per intero la quota di conferimento eccedente Documentazione rilasciata dalla società “trasparente”
il reddito complessivo trasferita da società trasparenti
ONERI DETRAIBILI DALL’IMPOSTA
SPESE CHE DANNO DIRITTO ALLA DETRAZIONE DEL 19%
SPESE SOSTENUTE NELL’INTERESSE PROPRIO O DEI FAMILIARI A CARICO
TIPO DI ONERE
DOCUMENTI DA CONSERVARE
Spese sanitarie
Detraibili per la parte delle spese eccedente i 129,11 euro
Fatture, ricevute o quietanze. Per i farmaci, scontrino fiscale “parlante”
Spese sanitarie per patologie esenti che danno diritto
all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria
pubblica (c.d. “patologie esenti”), sostenute nell’interesse Documento di spesa e certificazione dell’ASL attestante
di familiari non a carico
che la patologia è esente dal pagamento del ticket
Detraibile la parte che non trova capienza nell’imposta del diretto interessato, comunque entro 6.197,48 euro
Spese sanitarie per disabili
La detrazione spetta senza applicazione di franchigia – Per Documento di spesa. Per sussidi tecnici ed informatici, cerl’acquisto di mezzi necessari alla locomozione (autovettu- tificazione del medico che ne attesta l’utilità
re, motoveicoli, motocarrozzette, autocaravan), va calcolata
su una spesa massima di 18.075,99 euro
Acquisto di cani guida
Detrazione sull’intero ammontare del costo sostenuto
Fattura, ricevuta, quietanza
Addetti all’assistenza personale nell’interesse del
contribuente o di altri familiari non autosufficienti, Ricevuta rilasciata dall’addetto. Lo stato di non autosuffianche non fiscalmente a carico
Detrazione su un ammontare massimo di 2.100 euro, da cienza deve risultare da certificazione medica
ripartire tra gli aventi diritto
Spese per istruzione secondaria e universitaria
Interamente detraibili (per le università e gli istituti privati
o stranieri, la detrazione va calcolata nel limite delle tasse Bollettino di c/c postale, ricevuta di bonifico
e dei contributi previsti per gli equivalenti istituti o università statali italiani)
Attività sportive praticate da ragazzi (tra 5 e 18 anni) Ricevuta con: causale, importo pagato, dati del ragazzo, coDetrazione su un importo massimo di 210 euro per cia- dice fiscale di chi paga
scun ragazzo, eventualmente da dividere tra i genitori
Canoni di locazione sostenuti da studenti universitari
fuori sede
Detrazione, per singolo contribuente, su un importo massi- Copia del contratto di locazione registrato
mo di 2.633 euro
Riscatto corso di laurea per i familiari a carico, ancora Ricevuta di versamento. Se si paga a rate, gli interessi non
non in attività e non iscritti a previdenza obbligatoria si calcolano
Detrazione integrale
Frequenza di asili nido (bambini di età compresa fra i
tre mesi e i tre anni)
Detrazione su un importo massimo di 632 euro per ogni Fattura, bollettino bancario/postale, ricevuta o quietanza
figlio, eventualmente da dividere tra i due genitori
Premi per assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni
Detrazione su un importo massimo di 530 euro (rischio
morte e invalidità permanente non inferiore al 5%) ovvero Contratto e attestazione di pagamento dei premi
di 1.291,14 euro (rischio non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana)
Marzo 2015
XI
ONERI DETRAIBILI DALL’IMPOSTA
SPESE SOSTENUTE DAL CONTRIBUENTE NEL PROPRIO INTERESSE
TIPO DI ONERE
DOCUMENTI DA CONSERVARE
Interessi per mutui ipotecari per l’acquisto
dell’abitazione principale
Detrazione su un importo massimo di 4.000 euro, da sud- Rogito di acquisto, contratto di mutuo, quietanze delle rate
dividere tra gli aventi diritto
Interessi per mutui ipotecari per la costruzione
dell’abitazione principale
Contratto di mutuo, fatture/ricevute comprovanti le spese
Detrazione su un importo non superiore a 2.582,28 euro, di costruzione
da suddividere tra gli aventi diritto
Interessi per mutui ipotecari per l’acquisto di altri immobili
Detrazione su un importo massimo di 2.065,83 euro per
ogni intestatario. In quel limite vanno considerati anche gli Rogito di acquisto, contratto di mutuo, quietanze delle rate
eventuali interessi sul mutuo per l’acquisto dell’abitazione
principale
Interessi per mutui contratti nel 1997 per recupero
edilizio
Detrazione su un importo massimo di 2.582,28 euro, da ri- Contratto di mutuo, quietanze delle rate
partire in caso di contitolarità del contratto
Interessi per prestiti o mutui agrari
Detrazione nei limiti del reddito dei terreni dichiarati, inte- Contratto di mutuo, quietanze delle rate
so come somma dei redditi dominicali e agrari
Spese funebri (coniuge, figli e discendenti, genitori e
ascendenti, suoceri/e, generi, nuore, fratelli, sorelle)
Fattura con eventuale riparto pro-quota attestato sulla fatDetrazione su un importo massimo di 1.549,37 euro per tura stessa
decesso, da suddividere tra gli aventi diritto
Spese per intermediazione immobiliare
Detrazione su un importo massimo di 1.000 euro, diviso Fattura emessa dall’intermediario
tra gli aventi diritto in base alle percentuali di proprietà
Erogazioni liberali alle società e associazioni sportive Ricevuta di versamento bancario o postale, estratto conto
dilettantistiche
carta di credito
Detrazione su un importo massimo di 1.500 euro.
Erogazioni liberali alle società di mutuo soccorso
Detrazione su un importo massimo di 1.291,14 euro
Ricevuta di versamento bancario o postale, estratto conto
carta di credito
Erogazioni liberali a favore delle associazioni di pro- Ricevuta di versamento bancario o postale, estratto conto
mozione sociale
carta di credito
Detrazione su un importo massimo di 2.065,83 euro
Erogazioni liberali a favore della società di cultura
“La Biennale di Venezia”
Quietanza, versamento bancario o postale, estratto conto
Detrazione su un importo non superiore al 30% del reddi- carta di credito
to complessivo dichiarato
Spese per manutenzione, protezione o restauro dei
beni soggetti a regime vincolistico
Autocertificazione al competente ministero
Integralmente detraibili
Erogazioni liberali per attività culturali ed artistiche
Integralmente detraibili
Ricevuta di versamento bancario o postale, estratto conto
carta di credito
Erogazioni liberali a favore di enti operanti nello
spettacolo
Ricevuta di versamento bancario o postale, estratto conto
Detrazione su un importo non superiore al 2% del reddito carta di credito
complessivo dichiarato
Erogazioni liberali a favore di fondazioni operanti nel
settore musicale
Ricevuta di versamento bancario o postale, estratto conto
Detraibili su un importo non superiore al 2% del reddito carta di credito
complessivo dichiarato (in alcuni casi, 30%)
Spese veterinarie
Detrazione su un importo massimo di 387,34 euro, per la
parte che eccede 129,11 euro
Spese sostenute per servizi di interpretariato dai soggetti riconosciuti sordi
Integralmente detraibili
Erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di
ogni ordine e grado
Integralmente detraibili
Erogazioni liberali al Fondo per l’ammortamento dei
titoli di stato
Integralmente detraibili
Documentazione fiscale rilasciata dal professionista o dalla
farmacia
Documentazione fiscale rilasciata dal fornitore dei servizi
Ricevuta di versamento bancario o postale, estratto conto
carta di credito
Ricevuta di versamento bancario o postale
XII
Marzo 2015
ONERI DETRAIBILI DALL’IMPOSTA
SPESE CHE DANNO DIRITTO ALLA DETRAZIONE DEL 26%
TIPO DI ONERE
DOCUMENTI DA CONSERVARE
Erogazioni liberali alle ONLUS
Detrazione su un importo massimo di 2.065,83 euro.
Ricevuta di versamento bancario o postale, estratto conto
carta di credito
Erogazioni liberali ai partiti politici
Detrazione su un importo compreso tra 30 e 30.000 euro
Ricevuta di versamento bancario o postale
SPESE CHE DANNO DIRITTO ALLA DETRAZIONE DEL 50 E 65%
TIPO DI ONERE
DOCUMENTI DA CONSERVARE
Spese per gli interventi di recupero del patrimonio
edilizio (“bonus ristrutturazioni”)
Ricevuta di bonifico “parlante”, fattura di chi ha effettuato i
Detrazione del 50% su un importo massimo di 96.000 eu- lavori
ro per immobile, da dividere tra gli aventi diritto
Spese per l’acquisto o l’assegnazione di immobili facenti parte di edifici ristrutturati
Detrazione del 50% sul 25% del prezzo risultante dal rogi- Rogito di acquisto, fattura dell’impresa edile
to, comunque nel limite massimo di 96.000 per immobile,
da dividere tra gli aventi diritto
Spese per adozione di misure antisismiche ed esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica
Ricevuta di bonifico “parlante”, fattura di chi ha effettuato i
Detrazione del 65% su un importo massimo di 96.000 eu- lavori
ro per immobile, da dividere tra gli aventi diritto
Spese per l’acquisto di mobili relativi a immobili ristrutturati
Ricevuta di bonifico o di avvenuta transazione con addebiDetrazione del 50% su un importo massimo di 10.000 eu- to su c/c, fattura
ro per immobile, da dividere tra gli aventi diritto
Spese per interventi di riqualificazione energetica di
edifici esistenti
Detrazione del 65% su un importo massimo di 153.846,15
euro (detrazione massima: 100.000 euro)
Spese per interventi sull’involucro degli edifici esistenti
Detrazione del 65% su un importo massimo di 92.307 euRicevuta di bonifico “parlante” (tranne titolari di redditi
ro (detrazione massima: 60.000 euro)
d’impresa); asseverazione redatta da un tecnico abilitato;
ricevuta dell’invio della documentazione all’ENEA; fatture o
Spese per l’installazione di pannelli solari per la pro- ricevute fiscali
duzione di acqua calda
Detrazione del 65% su un importo massimo di 92.307 euro (detrazione massima: 60.000 euro)
Spese per la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale
Detrazione del 65% su un importo massimo di 46.153,85
euro (detrazione massima: 30.000 euro)
ALTRI ONERI DETRAIBILI
Investimenti in start up
Detrazione del 19 o del 25%, a seconda che si tratti di start up innovative oppure di start up a vocazione sociale o in
ambito energetico, su un importo massimo di 500.000 euro. Va conservata la certificazione rilasciata dalla start up
Spese di mantenimento dei cani guida Detrazione forfetaria di 516,46 euro
Borse di studio assegnate dalle Regioni o dalle Province autonome
Detrazione pari alla borsa di studio per la quale si è scelto di non ricevere direttamente la somma
Donazioni all’ente ospedaliero “Ospedali Galliera di Genova”
Detraibili nei limiti del 30% dell’imposta lorda dovuta
Marzo 2015
Gli sconti d’imposta
per chi vive
in affitto
G
li inquilini, in possesso di determinati requisiti, possono fruire di un beneficio fiscale, sotto
forma di detrazione d’imposta, per ridurre
l’IRPEF risultante dalla dichiarazione dei redditi. A favore dei conduttori di immobili adibiti ad abitazione
principale (intendendo per tale quella nella quale il
titolare del contratto o i suoi familiari dimorano abitualmente), con reddito complessivo entro precisi limiti, sono previste quattro diverse situazioni agevolabili:
● titolari di un qualsiasi contratto di locazione stipulato o rinnovato ai sensi della legge 431/1998;
● titolari di contratto di locazione a canone “concordato”;
● giovani tra i 20 e i 30 anni, titolari di un qualsiasi contratto di locazione ex legge 431/1998;
● lavoratori dipendenti che trasferiscono la residenza per motivi di lavoro.
XIII
più di una di esse, può scegliere quella più vantaggiosa. Tuttavia, quando per una parte dell’anno ci si
trova in una delle situazioni “tutelate” e per un altro
periodo in un’altra situazione anch’essa agevolabile,
è possibile fruire di più detrazioni, ciascuna rapportata al relativo periodo: in altre parole, è possibile
cumulare frazioni di detrazioni differenti, spettanti
per periodi diversi dell’anno.
Sconti
non cumulabili
Un ulteriore trattamento di favore è riservato, seppure al momento in via transitoria per
il solo triennio 2014-2016 (debutta quindi
nella dichiarazione dei redditi che ci accingiamo a presentare), ai conduttori di alloggi
popolari adibiti ad abitazione principale.
Spetta loro una detrazione di 900 euro, se
hanno reddito complessivo non superiore a
15.493,71 euro, ovvero di 450 euro, se il reddito complessivo supera quel limite ma non i
30.987,41 euro.
Le detrazioni per gli inquilini non sono cumulabili con i contributi del “Fondo affitti” erogati dagli enti locali a favore di determinate
categorie di persone. Sono invece fruibili assieme alla deduzione per l’abitazione principale. Ciò può accadere, per esempio, se il
contribuente, con reddito complessivo entro i
limiti richiesti dalla norma (li vedremo più
avanti), abita in un alloggio preso in locazione ed è proprietario di un appartamento adibito a dimora abituale di un familiare. In
questo caso, ha diritto sia ad una delle detrazioni d’imposta come inquilino sia alla deduzione dal reddito complessivo di un importo
pari alla rendita catastale dell’abitazione
principale che ha dato in uso gratuito al familiare.
Le detrazioni per canoni di locazione non sono
cumulabili tra loro: chi ha i requisiti per aver diritto a
Spettanza e misura della detrazione dipendono
dal reddito complessivo posseduto (vanno conteg-
IN CASO DI INCAPIENZA, NON SI PERDE L’AGEVOLAZIONE
uando l‘importo spettante della detrazione per gli inquilini risulta maggiore
dell’IRPEF lorda diminuita delle detrazioni
per carichi di famiglia e per tipologia di redditi
posseduti, non si perde la quota che non si riesce a sfruttare subito, a scomputo dell’imposta.
Tutto abbastanza semplice per i titolari di soli
redditi di lavoro dipendente (e assimilati) e di
pensione: questi, infatti, se hanno chiesto
l’attribuzione della detrazione al sostituto
d’imposta direttamente in busta paga o sulla
pensione (rilasciandogli una dichiarazione con
cui attestano la sussistenza dei necessari requisiti e l’assenza di redditi ulteriori rispetto a quelli
di lavoro dipendente e assimilati, ed indicano gli
estremi di registrazione del contratto di locazione e il numero dei mesi per i quali l’immobile è
adibito ad abitazione principale), ricevono anche
Q
l’eventuale somma “incapiente” in sede di conguaglio.
Per gli altri contribuenti (quelli cioè che hanno
anche o esclusivamente redditi diversi da quelli
di lavoro dipendente, assimilati o di pensione),
l’unica via per ottenere la detrazione ed eventualmente recuperare la quota che non trova capienza nell’imposta è rappresentata dalla dichiarazione dei redditi. L’importo lì evidenziato a
credito è utilizzabile in compensazione, mediante il modello F24, per pagare altri tributi o contributi. In alternativa, può essere portato in diminuzione dell’IRPEF relativa al periodo d’imposta
successivo ovvero richiesto a rimborso. Stessa
modalità per lavoratori dipendenti e pensionati
che non richiedono il riconoscimento della detrazione al proprio datore di lavoro o ente pensionistico.
XIV
giati anche gli eventuali redditi dei fabbricati assoggettati a cedolare secca). L’ammontare del beneficio
deve essere rapportato al periodo dell’anno durante
il quale l’immobile è adibito ad abitazione principale
e, in caso di contratto cointestato, va ripartito tra gli
aventi diritto, ciascuno dei quali dovrà fare riferimento al proprio reddito complessivo per stabilire
l’importo spettante. Prendiamo il caso di due contribuenti - con redditi pari, rispettivamente, a 15.000 e
a 30.000 euro - che sono cointestatari al 50% del
contratto di locazione a canone libero relativo
all’appartamento ove vivono. Per questo tipo di contratto è prevista una detrazione di 300 o di 150 euro
a seconda che il reddito complessivo non superi, rispettivamente, 15.493,71 ovvero 30.987,41 euro. I
due coinquilini hanno pertanto diritto:
● il primo, ad una detrazione di 150 euro (300 x
0,50);
● il secondo, ad una detrazione di 75 euro (150
x 0,50).
Se nel corso dell’anno ci sono variazioni che modificano le percentuali di spettanza, ne va calcolata
l’incidenza. Ad esempio, in caso di contratto di locazione intestato inizialmente a due soggetti, per 150
giorni, e successivamente, per i restanti 215 giorni,
ad uno solo di essi, la detrazione per chi resta unico
titolare del contratto spetta nella misura del
79,45%; infatti:
[(50 x 150) + (100 x 215)] / 150 + 215 = [7.500
+ 21.500] / 365 = 29.000 / 365 = 79,45.
Qualsiasi tipologia
di contratto
A chi è intestatario di un qualsiasi contratto di locazione di unità immobiliare adibita ad abitazione
principale, stipulato o rinnovato ai sensi della legge
n. 431/1998, spetta una detrazione IRPEF di: 300
euro, se il reddito complessivo non supera
15.493,71 euro; 150 euro, se il reddito complessivo
supera quel limite ma non 30.987,41 euro.
Può trattarsi, quindi, sia di contratti in regime di
“libero mercato” (c.d. “4 + 4”) sia di contratti “a canone concordato” (“3 + 2”) sia ancora di contratti di
durata transitoria, anche per soddisfare le esigenze
abitative degli studenti universitari (per i contratti a
canone concordato, in realtà, è prevista una specifica detrazione, più vantaggiosa, come vedremo nel
paragrafo successivo). In definitiva, è sufficiente che
si tratti di un contratto non in deroga alla disciplina
delle locazioni di immobili a uso abitativo (legge n.
431/1998), come ad esempio avviene per gli immobili vincolati.
Contratto
a “canone concordato”
I contribuenti intestatari di contratti di locazione
di unità immobiliari adibite ad abitazione principale, stipulati o rinnovati in base agli accordi definiti
in sede locale tra le associazioni degli inquilini e
Marzo 2015
quelle dei proprietari (cosiddetti contratti concordati o convenzionali), hanno diritto ad una detrazione
di: 495,80 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro; 247,90 euro, se il reddito
complessivo supera quel limite ma non 30.987,41
euro.
La detrazione non compete per i contratti a “libero mercato”, per quelli di durata transitoria (anche
per le esigenze abitative degli studenti universitari),
per i contratti di locazione stipulati con gli enti pubblici (ad esempio, gli Istituti autonomi case popolari) né per quelli stipulati prima dell’entrata in vigore
della legge n. 431/1998 (cioè prima del 30 dicembre 1998), anche se nel rispetto degli accordi locali
tra le organizzazioni dei proprietari e quelle degli inquilini.
Inquilini con 20-30 anni,
per qualsiasi contratto
I giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni, con
reddito complessivo non superiore a 15.493,71 euro, che stipulano un contratto di locazione ai sensi
della legge n. 431/1998 in relazione all’unità immobiliare da destinare a propria abitazione principale,
possono beneficiare di una detrazione IRPEF di
991,60 euro per i primi tre anni di contratto, cioè
quello in cui avviene la stipula e i due successivi.
Il requisito anagrafico va verificato in ciascuno dei
tre anni di durata della detrazione e si considera
sussistente anche se ricorre per una sola parte del
periodo d’imposta, vale a dire che, nell’annualità in
cui vengono raggiunti i 30 anni, la detrazione spetta
comunque per intero.
Dipendenti che spostano
la residenza per lavoro
Un’ulteriore ipotesi di detrazione a favore degli inquilini riguarda i lavoratori dipendenti (non anche
chi è titolare di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, ad esempio i co.co.co. e i “lavoratori a
progetto”) che spostano la residenza nel comune
dove lavorano o in uno di quelli limitrofi e stipulano
un qualunque tipo di contratto di locazione di unità
immobiliare destinata a propria abitazione principale, situata nel nuovo comune di residenza. Questo
deve trovarsi ad almeno 100 chilometri di distanza
dal precedente e, comunque, in un’altra regione. Per
i primi tre anni dal trasferimento della residenza
spetta una detrazione di: 991,60 euro, se il reddito
complessivo non supera 15.493,71 euro; 495,80 euro, se il reddito complessivo supera quel limite ma
non 30.987,41 euro.
Se il contratto di locazione è intestato a più persone, la detrazione va divisa tra i soli intestatari in
possesso della qualifica di lavoratori dipendenti, nella misura a ciascuno spettante in relazione al proprio reddito. Quando viene meno la qualifica di lavoratore dipendente, il diritto alla detrazione si perde dal periodo d’imposta successivo.
Marzo 2015
XV
LE DETRAZIONI D’IMPOSTA PER I CANONI DI LOCAZIONE
Destinatari
Tipo di contratto
Tutti i contribuenti
Qualsiasi ex legge 431/98
Tutti i contribuenti
A canone convenzionale
Tutti i contribuenti
Alloggi sociali (2)
Dipendenti trasferiti per moQualsiasi
tivi di lavoro (3)
Di età tra i 20 e i 30 ann
(3)
Qualsiasi ex legge 431/98
Detrazione
Limiti
300 euro
RC (1) fino a 15.493,71 euro
150 euro
RC (1) fino a 30.987,41 euro
495,80 euro
RC (1) fino a 15.493,71 euro
247,90 euro
RC (1) fino a 30.987,41 euro
900 euro
RC (1) fino a 15.493,71 euro
450 euro
RC (1) fino a 30.987,41 euro
991,60 euro
RC (1) fino a 15.493,71 euro
495,80 euro
RC (1) fino a 30.987,41 euro
991,60 euro
RC (1) fino a 15.493,71 euro
(1) RC = reddito complessivo (compresi i redditi dei fabbricati assoggettati alla cedolare secca)
(2) per il triennio 2014-2016
(3) per tre anni
XVI
Marzo 2015
I crediti
da far valere
nella dichiarazione
ltre alle detrazioni d’imposta e agli oneri deducibili/detraibili, esiste un’altra tipologia di
benefici fiscali, i crediti d’imposta, somme
che riducono ulteriormente l’IRPEF dovuta risultante
dopo aver scalato le varie detrazioni: se questa,
però, non consente di sfruttare per intero i crediti
(quando, cioè, non c’è capienza), in genere è possibile riportarne l’eccedenza all’anno successivo.
Alcuni crediti riguardano soltanto i titolari di redditi di impresa e vanno calcolati ed indicati nel quadro RU del modello Unico. Quelli che invece ricordiamo in questa sede possono interessare tutti i
contribuenti persone fisiche: trovano spazio nel quadro G del 730 o nel quadro CR di Unico.
O
Riacquisto
della prima casa
Quando si vende un immobile acquistato con le
agevolazioni per la prima casa ed entro un anno si
acquista un altro appartamento fruendo dello stesso
regime agevolato, si ha diritto ad un credito
d’imposta fino a concorrenza dell’imposta di registro
o dell’IVA corrisposta in relazione al primo acquisto
(in ogni caso, l’ammontare del credito non può essere superiore all’imposta dovuta per l’acquisto della nuova casa).
Per aver diritto al credito, l’acquisto della prima
casa, poi venduta, deve essere avvenuto a titolo
oneroso. Viceversa, il bonus non spetta: se il primo
immobile fu comprato senza benefici prima casa o
ricevuto per successione o donazione; se il nuovo
immobile non ha i requisiti prima casa; se il contribuente è decaduto dall’agevolazione in relazione al
primo acquisto.
Per beneficiare del credito, l’acquirente deve manifestarne la volontà nell’atto di acquisto del nuovo
immobile, precisando se intende utilizzarlo o meno
in detrazione dall’imposta di registro dovuta per lo
stesso atto. Infatti, invece che per abbattere
l’imposta dovuta sul nuovo acquisto, ci si può servire del credito per: diminuire le imposte di registro
ed ipocatastali ovvero quelle su successioni e donazioni dovute per altri atti e denunce presentati dopo
la data di acquisizione del credito; diminuire l’Irpef
dovuta in base alla prima dichiarazione dei redditi
presentata dopo il nuovo acquisto; compensare, tramite modello F24, il pagamento di altri tributi e contributi.
Quando il credito viene utilizzato in sede di dichiarazione dei redditi, se non c’è capienza di imposta (cioè, l’Irpef a debito non è sufficiente per sfruttare l’intero bonus), la parte eccedente è utilizzabile
per i versamenti successivi o rinviabile alla prossima
dichiarazione dei redditi.
Canoni di locazione
non percepiti
In relazione ai contratti di locazione di immobili
ad uso abitativo, in caso di morosità dell’inquilino, il
proprietario deve comunque dichiarare i canoni non
percepiti (e, quindi, pagarvi le relative imposte) fino
a quando non si conclude il procedimento di convalida di sfratto per morosità. Quando il giudice conferma la morosità dell’affittuario, al proprietario
spetta un credito d’imposta, di ammontare pari alle
imposte versate sui canoni scaduti e non percepiti,
utilizzabile nella prima dichiarazione dei redditi successiva alla conclusione del procedimento e, comunque, non oltre il termine ordinario di prescrizione decennale. In alternativa, si può richiedere
all’Agenzia delle entrate il rimborso dell’intero ammontare del credito spettante.
Per determinarne l’importo, è necessario riliquidare la dichiarazione dei redditi di ciascuno degli anni
per i quali sono state pagate maggiori imposte per
effetto di canoni non riscossi.
In caso di eventuale successiva riscossione
totale o parziale dei canoni per i quali si è
usufruito del credito d’imposta, il contribuente dovrà dichiarare, tra i redditi soggetti a
tassazione separata, il maggior reddito imponibile che ne deriva.
Immobili danneggiati
dal sisma in Abruzzo
L’agevolazione è riservata ai contribuenti danneggiati dal terremoto del 6 aprile 2009 in Abruzzo, più
precisamente a quelli che hanno sostenuto spese
per riparare o ricostruire immobili danneggiati o distrutti ovvero per acquistare una nuova abitazione
principale. Per accedere al credito, gli interessati dovevano presentare apposita domanda al Comune
nel cui territorio era situato l’immobile. Il bonus riconosciuto è fruibile, in diminuzione dell’Irpef, in venti
quote costanti se riguarda l’abitazione principale, in
cinque o dieci - a scelta del contribuente - per gli interventi effettuati sugli altri immobili.
In caso di credito d’imposta per l’abitazione
principale, se non c’è capienza, l’eccedenza
può essere trasferita nella successiva dichiarazione dei redditi. Viceversa, per il bonus relativo agli altri immobili, non è consentito riportare in avanti l’eventuale quota
che non trova capienza nel singolo anno; in
tale ipotesi, l’importo eccedente non è recuperabile.
Marzo 2015
Incremento
dell’occupazione
Il bonus occupazione spetta ai datori di lavoro privati che nel 2008 hanno incrementato, nelle aree
svantaggiate di Calabria, Campania, Puglia, Sicilia,
Basilicata, Sardegna, Abruzzo e Molise, il numero di
lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’agevolazione riguarda non solo
imprenditori e professionisti (i quali, per fruire del
credito, devono compilare il quadro RU del modello
Unico), ma anche i datori di lavoro privati per
l’assunzione di colf, badanti, ecc. (l’indicazione del
credito, in tal caso, deve avvenire nel quadro G del
730 o nel quadro CR di Unico). Nel 2014 può essere sfruttata la quota che non ha trovato capienza
nell’imposta degli anni passati ed è trasferita alle
successive dichiarazioni.
Reintegro anticipazioni
da fondi pensione
Ai contribuenti che, per determinate esigenze (ad
esempio, spese sanitarie, acquisto della prima casa),
hanno chiesto ed ottenuto un’anticipazione delle
somme di pensione complementare maturate subendo la relativa ritenuta d’imposta e che, per ricostituire la propria posizione individuale, hanno deciso di reintegrare gli importi anticipati, andando anche oltre i 5.164,57 euro annui (cioè l’importo massimo deducibile per i contributi versati alla previdenza complementare), spetta un credito d’imposta, per
le somme eccedenti quel limite, di importo pari
all’imposta pagata al momento dell’anticipazione, in
misura proporzionale all’importo reintegrato. Se non
c’è capienza, il credito è riportabile nella successiva
dichiarazione.
Attività di mediazione
per risolvere controversie
Il credito spetta a chi, nell’ambito di una controversia civile o commerciale, si è avvalso della
mediazione di un terzo soggetto. L’importo è
XVII
commisurato all’indennità corrisposta ai “mediatori”, raggiungendo al massimo 500 euro se
l’attività di mediazione va a buon fine; in caso di
insuccesso, il credito è dimezzato. La cifra spettante è comunicata all’interessato dal Ministero
della giustizia entro il 30 maggio di ciascun anno,
è utilizzabile da quel momento e, a pena di decadenza, va indicata nella dichiarazione dei redditi.
Il credito può essere sfruttato in compensazione
tramite modello F24; in alternativa, i non titolari
di redditi d’impresa o di lavoro autonomo possono anche portarlo in diminuzione delle imposte
sui redditi. Se non c’è capienza, l’eccedenza è riportabile nella dichiarazione successiva.
Redditi
prodotti all’estero
È il credito che spetta a chi ha percepito redditi
in un Paese estero, pagandovi imposte a titolo definitivo, cioè non più rimborsabili; pertanto, non
danno diritto a credito le imposte pagate in acconto o in via provvisoria e quelle per le quali è prevista la possibilità di rimborso totale o parziale.
Art
bonus
È il credito d’imposta spettante, nella misura
del 65% ed entro il limite del 15% del reddito
imponibile, per le erogazioni liberali in denaro
effettuate: a sostegno di interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali
pubblici; a sostegno di musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali; per realizzare nuove strutture e per restaurare e potenziare quelle esistenti delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni
pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono
esclusivamente attività nello spettacolo. È utilizzabile in tre quote annuali di pari importo.
L’eventuale quota annuale non sfruttata è fruibile
negli anni successivi, riportandola in avanti nelle
dichiarazioni dei redditi.
XVIII
Esenzioni, sconti
e agevolazioni
sui fabbricati
I
n linea generale, chi possiede fabbricati a titolo di
proprietà o di un altro diritto reale (ad esempio,
l’usufrutto) è tenuto al pagamento dell’imposta sul
reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali regionale e comunale; per le abitazioni date in affitto, in presenza di determinate condizioni, al posto
dell’IRPEF ordinaria, si può scegliere l’applicazione di
un regime di tassazione sostitutivo, quasi sempre più
favorevole, detto della “cedolare secca”.
Tuttavia, in alcune situazioni, è prevista la completa
esclusione dal pagamento dell’IRPEF: è il caso, innanzitutto, dell’abitazione principale. Ma, mentre questa
deve essere comunque evidenziata nella dichiarazione
dei redditi (anche se poi il relativo reddito fondiario è
neutralizzato da una deduzione di pari importo), vi è
anche tutta un’altra serie di fattispecie che si considerano non produttive di reddito di fabbricati e che, di
conseguenza, non vanno neanche indicate nel modello 730 o nell’UNICO. Esistono poi riduzioni forfetarie
per i canoni locativi in generale, sconti particolari per
gli immobili affittati a canone concordato in comuni
ad alta densità abitativa e per quelli dati in locazione
ai terremotati dell’Abruzzo, l’abbattimento del reddito
per gli immobili di interesse storico o artistico,
l’esclusione – a determinate condizioni – dei canoni
non percepiti per morosità dell’inquilino e di quelli relativi a locazioni interessate dalla sospensione della
procedura di sfratto. Insomma una casistica assai variegata, che è opportuno non perdere d’occhio per
evitare di pagare imposte in misura maggiore di quella
effettivamente dovuta.
Niente Irpef e addizionali
per l’abitazione principale
È considerata abitazione principale la casa nella
quale il contribuente (proprietario o titolare di altro
NUDI PROPRIETARI E COMODATARI
ono tenuti a dichiarare i redditi dei fabbricati (e a pagare le relative imposte) coloro
che ne risultano proprietari o titolari
dell’usufrutto o di un altro diritto reale (ad esempio, quello di abitazione che spetta, anche in riferimento alle relative pertinenze, al coniuge superstite). Pertanto, l’adempimento dichiarativo, essendo a carico di tali soggetti, non riguarda il titolare della sola “nuda proprietà”.
Analogamente, l’immobile concesso in comodato deve essere dichiarato dal proprietario e non
dal comodatario (ad esempio, il familiare che lo
utilizza gratuitamente).
S
Marzo 2015
AGEVOLAZIONI
diritto reale) o i suoi familiari (coniuge, parenti entro
il terzo grado ed affini entro il secondo grado) dimorano abitualmente.
Su di essa non si paga IRPEF, anche se la relativa
rendita catastale deve essere esposta nel quadro dei
redditi dei fabbricati (B del modello 730 ovvero RB
di UNICO) e, in caso di immobili classificati in categorie catastali diverse da A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici), concorre alla formazione del reddito complessivo: l’esclusione
dalla tassazione avviene successivamente attraverso
il riconoscimento di una deduzione di importo pari
all’ammontare della rendita catastale.
Invece, le abitazioni principali di maggior pregio
(quelle accatastate come A/1, A/8 o A/9), che scontano l’IMU, sono automaticamente escluse
dall’IRPEF e dalle relative addizionali comunale e regionale, proprio in virtù dell’effetto sostitutivo
dell’imposta sul reddito da parte del tributo comunale. Anch’esse devono essere evidenziate nel quadro B o RB, ma il loro reddito non deve essere fatto
confluire nel reddito complessivo (per questo motivo, parallelamente, non spetta la deduzione di importo pari alla rendita catastale).
In sostanza, la differenza concreta tra le due situazioni si avverte soltanto quando occorre far riferimento al reddito complessivo (nel quale, come detto, confluisce anche quello dell’abitazione principale
non classificata come A/1, A/8 o A/9) per stabilire la
spettanza e/o la misura di benefici, fiscali e non, collegati al possesso di requisiti reddituali.
Lo stesso trattamento dell’abitazione principale è
riservato anche alle relative pertinenze (box, cantina,
ecc.) dotate di rendita catastale autonoma. Si considerano pertinenze le unità immobiliari accatastate
in categorie diverse da quelle ad uso abitativo, destinate ed effettivamente utilizzate in modo durevole
al servizio dell’abitazione principale, anche se non
appartengono allo stesso fabbricato.
La deduzione per l’abitazione principale spetta
anche quando l’immobile costituisce la dimora principale soltanto dei familiari del contribuente che vi
risiedono. Bisogna tener presente, però, che il beneficio compete, comunque, per un solo immobile;
pertanto, il contribuente che ne possiede due, uno
adibito a propria abitazione principale ed uno utilizzato da un proprio familiare che vi dimora abitualmente, può fruire della deduzione esclusivamente in
riferimento all’immobile adibito a propria abitazione
principale.
La deduzione continua a spettare anche se si trasferisce la propria dimora abituale a seguito di ricovero permanente in un istituto di ricovero o sanitario, sempre che l’immobile non venga concesso in
locazione.
Marzo 2015
L’effetto sostitutivo dell’IMU riguarda tutti i
fabbricati non locati, compresi quelli concessi
in comodato d’uso gratuito, ed opera in tutte
le ipotesi in cui il tributo comunale è “giuridicamente” dovuto, anche nelle situazioni
dove poi, di fatto, non viene pagato perché
azzerato dalle detrazioni o perché di ammontare inferiore all’importo minimo che obbliga
al versamento (ossia, 12 euro o la diversa cifra stabilita dal Comune competente).
Dall’anno d’imposta 2013, però, è stata introdotta una parziale deroga al principio
Va riportato nel rigo RN50, colonna 1. Non concorre al
reddito complessivo perché l’Imu sostituisce l’Irpef e le
relative addizionali, ma può rilevare nell’ambito di
prestazioni assistenziali o previdenziali.
Va indicato il codice “1” per indicare l’immobile utilizzato
come abitazione principale, il codice “5” per le relative pertinenze. Il codice “1” può essere usato anche quando la casa è
la dimora abituale soltanto dei familiari del contribuente,
che lì risiedono, e quando si tratta dell’abitazione principale
che si lascia per ricovero permanente presso un istituto di ricovero o sanitario (purché la casa non venga affittata).
I fabbricati esenti
e da non dichiarare
Un altro errore da evitare è quello di inserire nel modello 730 o UNICO fabbricati che le norme tributarie
considerano non produttivi di redditi e che, pertanto,
non vanno affatto dichiarati. Vediamo quali sono:
● le costruzioni rurali (o loro porzioni) e relative
pertinenze, appartenenti al possessore o all’affittuario
dei terreni, adibite ad usi agricoli, più precisamente:
● all’abitazione delle persone (e dei familiari conviventi a loro carico) addette alla coltivazione della terra,
alla custodia dei fondi, del bestiame e degli edifici rurali
e alla vigilanza dei lavoratori agricoli;
● al ricovero degli animali;
● alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle
scorte occorrenti per la coltivazione;
● alla protezione delle piante, alla conservazione dei
prodotti agricoli e alle attività di manipolazione e trasformazione;
● all’agriturismo.
Il reddito di tali unità immobiliari non va dichiarato
autonomamente, perché si considera compreso nel
reddito (dominicale ed agrario) dei terreni che fanno
parte del fondo rustico.
● gli immobili destinati esclusivamente alla propria
attività commerciale e quelli che costituiscono beni
XIX
dell’effetto sostitutivo: il reddito degli immobili ad uso abitativo non locati e assoggettati
ad IMU, situati nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione
principale, concorre alla formazione della
base imponibile dell’IRPEF (e delle relative
addizionali) nella misura del 50%. Nella dichiarazione dei redditi, per rappresentare
questa situazione, deve essere indicato il codice “3” nella colonna 12 (“Casi particolari
IMU”) del quadro riservato ai redditi dei fabbricati.
Va riportato, assieme agli altri redditi, nel rigo RN1,
colonna 5 (“reddito complessivo”), e nel rigo RN2, come deduzione per l’abitazione principale.
Con il codice “2” si indicano l’abitazione principale (di categoria A/1, A/8 o A/9) e relative pertinenze soggette ad Imu:
per esse non sono dovute Irpef e addizionali, perché sostituite dall’Imu. Con il codice “3” si indica l’immobile a uso abitativo non locato, assoggettato ad Imu, situato nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione
principale: il reddito fondiario è imponibile al 50%.
strumentali per l’esercizio di arti o professioni (questi
immobili non producono reddito fondiario, ma concorrono alla formazione, rispettivamente, del reddito
d’impresa o del reddito di lavoro autonomo).
Vanno invece dichiarati gli immobili utilizzati in
modo promiscuo, cioè sia per usi personali o familiari sia per attività professionali, artigianali o
d’impresa, nonché gli immobili che, pur essendo
utilizzati per l’esercizio della propria attività,
non sono considerati relativi all’impresa in
quanto non sono stati indicati nell’inventario o
nel registro dei beni ammortizzabili oppure, in
base alle norme fiscali, sono stati esclusi dal patrimonio dell’impresa.
● gli immobili per i quali sono state rilasciate licenze,
concessioni o autorizzazioni per restauro, ristrutturazione edilizia o risanamento conservativo, nonché
quelli oggetto di demolizione e ricostruzione. Non vanno dichiarati solo per il periodo di validità del provvedimento e sempre che, durante questo periodo, non siano effettivamente utilizzati;
● gli immobili totalmente adibiti a musei, biblioteche, archivi, cineteche, emeroteche statali, aperti al
pubblico, per i quali il proprietario non percepisce alcun
reddito per l’intero anno. La circostanza va comunicata
XX
Marzo 2015
all’ufficio dell’Agenzia delle entrate entro tre mesi dalla
data in cui ha avuto inizio;
● gli immobili destinati esclusivamente all’esercizio
del culto (compresi i monasteri di clausura) e le loro
pertinenze, purché non siano dati in locazione.
Gli sconti
sui canoni locativi
In linea generale, quando si dà in affitto un fabbricato
(o una sua porzione), sia se si tratta di immobile a destinazione abitativa (anche per finalità di villeggiatura)
che di immobile destinato all’esercizio di attività commerciali, industriali, artigianali (negozi, opifici, studi, uffici, botteghe, ecc.) o di autorimessa (garage, box auto), il
reddito da assoggettare a tassazione (a meno che non
si applichi il regime della cedolare secca, che esamineremo più avanti) è rappresentato dal maggiore tra il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 5%, e la rendita catastale rivalutata del
5%.
L’abbattimento forfetario del 5% (fino al 2012 la riduzione era del 15%) è riconosciuto al proprietario a titolo di compensazione delle spese di mantenimento
dell’immobile e spetta indistintamente per tutti i canoni
di locazione (esclusi quelli soggetti alla cedolare secca).
Tuttavia, in alcuni casi, lo sconto sull’imponibile è più
elevato. È, infatti, del:
● 25% per i fabbricati situati nelle città di Venezia
centro e nelle isole lagunari della Giudecca, di Murano e
di Burano;
● 35% per i fabbricati di interesse storico o artistico.
Per questa tipologia di immobili, il reddito fondiario da
far concorrere al reddito complessivo è pari al maggiore
tra il 65% del canone risultante dal contratto e il 50%
(invece del 100% previsto per la generalità degli immobili) della rendita catastale, rivalutata del 5%. Si tratta
degli immobili che la competente Soprintendenza ha riconosciuto di interesse rilevante per motivi storici, artistici, archeologici, culturali, ecc. Il trattamento agevolato
rappresenta una sorta di compensazione per le limitazioni imposte ai proprietari dal vincolo ministeriale: non
si possono fare opere di demolizione, modifica o restauro dell’immobile o adibire quest’ultimo ad uso non
compatibile con il suo interesse storico o artistico o in
grado di recare pregiudizio alla sua conservazione ed in-
IMMOBILI CONDOMINIALI
nche le unità immobiliari condominiali (locali
per la portineria e l’alloggio del portiere, per la
lavanderia, per il riscaldamento centralizzato, per
gli stenditoi e per altri servizi simili in comune), che
hanno una rendita catastale autonoma, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del singolo
condomino, soltanto - però - se la quota di reddito fondiario imputabile a quest’ultimo non supera i 25,82 euro.
Tale valore non rappresenta una franchigia, ma semplicemente il limite per verificare l’imponibilità: se la
quota attribuita al singolo in proporzione ai millesimi di
proprietà supera quel tetto, la stessa deve essere dichiarata per l’intero ammontare, non solo per la parte
eccedente i 25,82 euro.
Questa regola non vale se l’unità immobiliare comune è un negozio oppure se il fabbricato è dato in affitto: in tali ultime circostanze, infatti, il reddito fondiario
imputabile pro quota deve essere inserito nella dichiarazione dei redditi e concorre in ogni caso a formare il
reddito complessivo del condomino, anche se di importo inferiore a 25,82 euro.
A
tegrità, senza preventiva autorizzazione ministeriale;
vanno obbligatoriamente sostenute le spese di conservazione, protezione o restauro; non si può stipulare alcun atto che trasferisca la proprietà dell’immobile, senza
comunicarlo preventivamente al Ministero dei beni culturali, cui è riconosciuta la prelazione; deve essere consentito l’eventuale accesso al pubblico.
Riepilogando, i canoni relativi agli immobili dati in locazione vanno riportati nell’apposita colonna 6 (“canone di locazione”) del modello dichiarativo, secondo le
seguenti percentuali:
● 100%, in caso di tassazione sostitutiva in base al
regime della cedolare secca;
● 95%, in caso di tassazione ordinaria;
● 75%, in caso di tassazione ordinaria per gli immobili situati a Venezia centro e nelle isole della Giudecca,
Murano e Burano;
● 65%, in caso di tassazione ordinaria per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico.
Nella colonna 5 (“codice canone”) deve essere indicato uno dei quattro codici che identifica la percentuale
di canone riportata nella colonna 6.
Va indicato il codice:
“1”, se nella successiva colonna 6 viene riportato il 95% del canone (tassazione ordinaria);
“2”, se nella successiva colonna 6 viene riportato il 75% del canone (tassazione ordinaria per gli immobili di Venezia e isole lagunari);
“3”, se nella successiva colonna 6 viene riportato il 100% del canone (opzione per il regime della cedolare secca);
“4”, se nella successiva colonna 6 viene riportato il 65% del canone (tassazione ordinaria per gli immobili di interesse artistico
o storico).
Marzo 2015
Canoni locativi
“convenzionali”
Un trattamento particolarmente favorevole è riservato ai contratti, riferiti esclusivamente a unità abitative
e relative pertinenze, stipulati a “canone convenzionale”, cioè sulla base di appositi accordi, conclusi in
sede locale, tra le organizzazioni dei proprietari e quelle degli inquilini; inoltre, perché si possa applicare il
regime di vantaggio, gli immobili devono essere ubicati nei comuni ad alta tensione abitativa, cioè quelli nei
quali sussistono particolari problemi di reperibilità di
alloggi, inseriti in un apposito elenco formato dal CIPE
(allegato A della delibera n. 87 del 13 novembre
2003).
In questi casi, il reddito fondiario, già determinato in
base al confronto tra il canone ridotto del 5% e la rendita catastale rivalutata del 5%, viene ridotto di un ulteriore 30%. Se si vuole risparmiare un passaggio matematico, basta confrontare il 66,5% del canone (ossia, il valore risultante dall’applicazione delle due riduzioni, prima la generica del 5% e poi quella specifica
del 30%) con il 73,5% della rendita iscritta al Catasto
(ossia, il valore risultante dall’applicazione
dell’abbattimento del 30% alla rendita catastale rivalutata del 5%): l’importo maggiore rappresenta il reddito fondiario degli immobili locati a “canone concorda-
XXI
to”. A Venezia centro e nelle isole della Laguna, dove
– come abbiamo visto – spetta una riduzione forfetaria più consistente (25% anziché 5%), è ovviamente
diverso il valore del canone da mettere a confronto
con il 73,5% della rendita catastale: non è il 66,5% come nel resto d’Italia, ma il 52,5%.
Per fruire dell’agevolazione, è necessario riportare
nella dichiarazione dei redditi: comune, provincia e codice catastale del comune di ubicazione
dell’immobile; gli estremi di registrazione del contratto
di locazione (data, numero e modalità, e codice identificativo dell’ufficio presso il quale è avvenuta la registrazione, che può essere recuperato dall’attestato di
versamento dell’imposta); l’anno di presentazione della denuncia dell’immobile ai fini dell’ICI o dell’IMU.
L’ulteriore abbattimento del reddito imponibile
nella misura del 30% spetta anche a chi, proprietario di immobili situati in Abruzzo, li ha
concessi in locazione a persone che erano residenti nei territori colpiti dal sisma del 6 aprile
2009 e si sono trovate con l’abitazione principale distrutta o dichiarata inagibile. Stessa
percentuale di sconto anche nel caso di concessione in comodato; in questa ipotesi, in
mancanza di canoni, la riduzione opera sulla
rendita catastale.
Va indicato il codice:
“8”, per indicare l’immobile situato in un comune ad alta densità abitativa concesso in locazione a canone “concordato”;
“14”, per l’immobile situato in Abruzzo e dato in locazione a chi ha perso la casa a seguito del sisma del 6 aprile 2009;
“15”, per l’immobile situato in Abruzzo e concesso in comodato a chi ha perso la casa a seguito del sisma del 6 aprile 2009.
Nel caso di applicazione della tassazione ordinaria, l’indicazione di uno di questi codici comporta la riduzione del 30% del reddito imponibile.
Inquilino moroso
ed IRPEF
Il principio generale di imputazione dei redditi fondiari (articolo 26 del TUIR) prevede che gli stessi
concorrono, indipendentemente dalla loro percezione, a formare il reddito complessivo di chi possiede
gli immobili a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso. Questo vuol dire che, in caso di immobili concessi in locazione, i relativi canoni di locazione devono essere dichiarati (e tassati) anche nel
caso in cui non vengano effettivamente incassati.
A tale principio, però, è prevista una deroga, seppure limitata ai soli contratti di locazione ad uso abi-
tativo. In caso di inadempienza da parte
dell’inquilino, i canoni non percepiti non devono essere dichiarati (e, quindi, non vengono assoggettati
all’imposta sul reddito delle persone fisiche) se, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei
redditi, si è concluso il procedimento giudiziale che
convalida lo sfratto per morosità del conduttore. In
tali circostanze, va comunque dichiarata la rendita
catastale.
Inoltre, quando il giudice conferma la morosità
dell’affittuario, al proprietario spetta anche un credito
d’imposta, di ammontare pari alle imposte versate
sui canoni scaduti e non percepiti (vedi paragrafo “I
crediti d’imposta da far valere nella dichiarazione
dei redditi”).
XXII
Marzo 2015
Va indicato il codice “4” quando l’immobile ad uso abitativo è stato locato, ma i canoni di locazione previsti dal contratto non
sono stati percepiti, in tutto o in parte, e il procedimento di convalida di sfratto per morosità si è concluso entro il termine di
presentazione della dichiarazione dei redditi. Se il canone di locazione è stato percepito solo per una parte dell’anno, va compilato un unico rigo, riportando in colonna 6 la quota di canone effettivamente percepita e indicando in colonna 7 il codice “4”.
Niente Irpef in caso
di proroga di sfratto
Un’altra agevolazione in favore dei proprietari di immobili riguarda gli appartamenti affittati a inquilini che
beneficiano della sospensione della procedura esecutiva di sfratto per finita locazione. In tali circostanze, è
prevista l’esclusione dal reddito imponibile del fabbricato della quota di reddito relativa al periodo per il
quale ha operato la sospensione (nel 2014 ha operato per tutto l’anno).
Il beneficio è riservato agli immobili adibiti ad
uso di abitazione situati:
● nei comuni capoluoghi di provincia;
● nei comuni confinanti con capoluoghi di provincia e aventi popolazione superiore a 10.000 abitanti;
● nei comuni ad alta densità abitativa (compresi
nell’elenco allegato alla delibera CIPE n. 87 del 13
novembre 2003), e locati a conduttori che si trovano in particolari condizioni di disagio, ossia che nello stesso tempo:
CHANCE ANCHE IN CASO DI MOROSITA’ PER CANONI NON ABITATIVI
a deroga al principio generale di imputazione dei redditi fondiari a prescindere
dalla loro percezione (espressamente
prevista dalle norme tributarie in riferimento
ai contratti di locazione di immobili ad uso
abitativo) non si applica anche alle locazioni
di immobili destinati ad un uso diverso (locali
commerciali, sudi professionali, capannoni industriali, alberghi, ecc.). Per questi immobili,
secondo l’Amministrazione finanziaria (circolare n. 150/E del 1999), anche in presenza di
un procedimento di convalida dello sfratto per
morosità del conduttore, il canone “va comunque sempre dichiarato così come risultante
dal contratto di locazione, ancorché non percepito, rilevando in tal caso il momento formativo del reddito e non quello percettivo”.
A favore dei proprietari “cornuti e mazziati”,
si è però pronunciata la Corte costituzionale
nella sentenza n. 362 del 2000, secondo la
quale la rilevanza reddituale del canone di locazione sussiste soltanto in vigenza del contratto, quindi fino al momento in cui lo stesso
esplica effetti giuridici: una volta intervenuta
una qualsiasi causa di risoluzione del contratto di locazione, per la determinazione del reddito fondiario di quell’immobile non rilevano
L
più i canoni di locazione pattuiti (e non riscossi) ma esclusivamente la rendita catastale, rivalutata del 5%. Perché ciò avvenga, è necessario conferire data certa alla risoluzione del
contratto, registrandola opportunamente presso il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate. Cause di risoluzione del contratto sono:
- l’esercizio della clausola risolutiva espressa, ad esempio quella a favore del locatore in
caso di mancato pagamento del canone da
parte del conduttore (in questo caso, il contratto cessa di avere effetti dal giorno successivo a quello in cui viene notificata alla controparte la volontà di avvalersi della clausola risolutiva);
- la diffida ad adempiere, concedendo almeno quindici giorni di tempo per provvedere
all’obbligazione (in tale ipotesi, il contratto è
risolto a partire dal giorno successivo al decorso del termine indicato nella diffida quale data
ultima per adempiere);
- la pronuncia giudiziale che sancisce la risoluzione del contratto (in questo caso, gli effetti retroagiscono, comportando la cessazione
del contratto dal momento in cui si e verificata
la causa della risoluzione, e non dal momento
in cui viene pronunciata la sentenza).
Marzo 2015
● hanno un reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro;
● sono o hanno nel proprio nucleo familiare persone con più di 65 anni, malati terminali o portatori di
handicap con invalidità superiore al 66%, ovvero hanno nel proprio nucleo familiare figli fiscalmente a carico;
● non posseggono altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza.
XXIII
Il possesso dei requisiti per beneficiare della sospensione delle procedure esecutive di rilascio degli
immobili deve essere autocertificata dagli interessati e
comunicata al proprietario dell’appartamento.
La sospensione non opera in caso di mancato regolare pagamento del canone di locazione oppure quando
il proprietario dimostra di trovarsi nelle stesse condizioni
richieste per beneficiare della sospensione e nelle condizioni di sopraggiunta necessità dell’abitazione.
Va indicato il codice “6” se per l’immobile, locato a soggetti che si trovano in particolari condizioni di disagio, è intervenuta la
sospensione della procedura esecutiva di sfratto.
Il canone, benché debba essere indicato in colonna 6, non concorre alla formazione del reddito complessivo: in questi casi, infatti, il reddito del fabbricato è pari a zero.
Immobili inagibili/distrutti
“per vecchiaia” o calamità
Per i fabbricati inagibili per accertato degrado fisico (immobili diroccati, pericolanti o fatiscenti) e per
obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica
(non superabile con meri interventi di manutenzione), sempre che di fatto non siano utilizzati, è possibile attivare una procedura catastale per ottenerne
la revisione della rendita, presentando all’Agenzia
delle entrate una specifica denuncia, corredata
dell’attestazione degli organi comunali o di eventuali ulteriori organi competenti. La denuncia va prodotta entro il 31 gennaio, con effetto per l’anno in
cui la denuncia è stata prodotta e per quelli successivi.
A quel punto, può essere utilizzata, ai fini delle
imposte sui redditi, la nuova rendita attribuita dai
competenti uffici delle Entrate o, in mancanza, quella presunta, in attesa che arrivi la definitiva. Se non
si segue l’iter descritto, cioè se non si presenta la
denuncia di variazione, la tassazione andrà operata
sulla base della vecchia rendita catastale. Invece, chi
ha attivato la procedura, oltre ad evidenziare il “caso
particolare” indicando il codice “3” nella colonna 7,
deve riportare in colonna 1 la nuova rendita attribuita dalle Entrate o, in mancanza, la rendita presunta.
Non c’è bisogno di presentare denuncia di variazione, se l’immobile è stato distrutto o reso inagibile
a seguito di eventi calamitosi e ciò risulta da un certificato del Comune che attesta la distruzione ovvero
l’inagibilità (totale o parziale) del fabbricato. In questo caso, il reddito del fabbricato è pari a zero.
Se l’evento calamitoso è avvenuto nel corso del
2014, nella prossima dichiarazione vanno compilati
due righi per lo stesso immobile: uno per il periodo
antecedente alla data della calamità ed un altro per
il periodo successivo, sino alla definitiva ricostruzione ed agibilità dell’immobile, indicando in colonna
7 il codice “1” e barrando la casella di colonna 8
(“continuazione”) per segnalare che si tratta dello
stesso fabbricato.
Nella colonna 7 (“casi particolari”) va indicato il codice:
“1”, se l’immobile è distrutto o è inagibile a seguito di eventi calamitosi (come attestato da certificato comunale) ed è stato escluso da
tassazione;
“3”, se l’immobile è inagibile per cause diverse da quelle di cui al codice “1” ed è stata richiesta la revisione della rendita catastale.
In entrambe le ipotesi, nella colonna 2 (“utilizzo”) va indicato il codice residuale “9”.
XXIV
Marzo 2015
MENO IMPOSTE SUI CANONI SCEGLIENDO LA CEDOLARE SECCA
a qualche anno (precisamente dal 2011), si può
scegliere di tassare i canoni derivanti dalla locazione di immobili ad uso abitativo (non anche quelli
destinati allo svolgimento di attività industriali, commerciali, artigianali, come uffici, negozi, opifici, ecc.) con la
cedolare secca (detta anche “tassa piatta”), applicando
cioè un’imposta sostitutiva, nella misura del 21%,
sull’intera cifra pattuita con l’inquilino.
L’aliquota è ancora più bassa (dal 2014 è fissata al
10%) per i contratti “a canone concordato” stipulati nei
comuni con carenze di disponibilità abitative e ad alta
tensione abitativa (li vedremo nel dettaglio più avanti).
L’aliquota agevolata del 10% si applica anche ai contratti di locazione a canone concordato stipulati nei comuni per i quali è stato deliberato, nei cinque anni precedenti la data di entrata in vigore della norma che ha introdotto la disposizione di vantaggio (cioè, il 28 maggio
2014), lo stato di emergenza a seguito del verificarsi di
eventi calamitosi.
Il regime della cedolare secca è alternativo a quello
della tassazione ordinaria, in base al quale, come già ricordato, generalmente il 95% dei canoni (ovvero il 75%
per i fabbricati situati a Venezia centro e nelle isole della
Giudecca, di Murano e di Burano) deve essere sommato
a tutti gli altri redditi posseduti e tassato, quindi, con le
aliquote IRPEF progressive per scaglioni di reddito (la più
bassa è del 23%, per i redditi fino a 15.000 euro; la più
alta è del 43%, per i redditi sopra i 75.000 euro).
D
Va indicato il codice “8” per gli immobili concessi a “canone concordato” nei comuni ad alta
densità abitativa e in quelli dove è stato deliberato lo stato di emergenza per eventi calamitosi (cedolare secca al 10%)
Per applicare la cedolare secca, la scelta però
deve risultare nel contratto registrato.
La cedolare secca può essere applicata anche ai
contratti di locazione per i quali non sussiste
l’obbligo di registrazione, quelli cioè non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata, di durata non superiore a 30 giorni
complessivi nell’anno (si tratta perlopiù di locazioni turistiche). In questo caso, la scelta può
essere fatta direttamente nella dichiarazione
dei redditi relativa all’anno nel quale è prodotto il reddito. Se però il contribuente registra volontariamente il contratto prima che venga presentata la dichiarazione dei redditi, l’opzione
per il regime sostitutivo va espressa in quella
sede.
Esempio: se lo scorso anno, la casa al mare è
stata data in affitto per il periodo 10-31 luglio
2014, senza registrare il contratto, la scelta per
la cedolare secca potrà avvenire direttamente
nella prossima dichiarazione per i redditi 2014
(modello 730/2015 o UNICO 2015 Persone fisiche). Se però, prima della presentazione delle
dichiarazione, il contratto viene portato volontariamente alla registrazione (mettiamo ad
aprile 2015), se si vuole applicare il regime della cedolare secca, l’opzione dovrà essere esercitata in quella circostanza.
In caso di applicazione della cedolare secca, va barrata la casella di colonna 11 e compilata
la sezione II “Dati relativi ai
contratti di locazione”
Il regime di tassazione sostitutiva - lo ricordiamo è applicabile solo in presenza di determinate condizioni:
● deve trattarsi di locazioni di unità immobiliari a
destinazione abitativa (quindi, accatastate nelle categorie da A/1 ad A/11, esclusa la A/10, riservata ad
uffici e studi privati), locate effettivamente per finalità
abitative, e delle relative pertinenze (cantine, box,
ecc.), se affittate congiuntamente all’appartamento;
● il proprietario o il titolare del diritto reale di godimento deve essere una persona fisica che non agi-
La casella 9 va barrata per i contratti a
“canone concordato”, con opzione per la
cedolare secca (al 10%), stipulati nei comuni per i quali è stato deliberato lo
stato di emergenza per eventi calamitosi
sce nell’esercizio di un’attività d’impresa o di arti e
professioni;
● il conduttore non deve agire nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, anche se
l’immobile è utilizzato per finalità abitative di collaboratori e dipendenti;
● il locatore che opta per la cedolare secca, per il
periodo nel corso del quale l’affitto è assoggettato a
questo tipo di tassazione, non può richiedere alcun
aggiornamento del canone, compresa la variazione
dell’indice ISTAT registrata nell’anno precedente.
Marzo 2015
Gli sconti
sui contributi
per i domestici
I
contributi versati all’Inps per la colf e la badante possono essere dedotti dal reddito complessivo, fino a un massimo di 1.549,37 euro
l’anno: valore corrispondente ai 3 milioni delle vecchie lire, mai adeguato da quando è stato introdotto con il decreto legislativo 347/2000. La quota
deducibile di contributi è quella a carico del datore
di lavoro. Dall’importo pagato va quindi detratta la
quota a carico della lavoratrice, anche se la maggior parte della famiglie di fatto non la trattiene.
Per avere un’idea di quanto si può risparmiare facciamo un esempio. Se una famiglia ha una colf per
25 ore alla settimana, con contratto a tempo indeterminato, verserà un contributo orario di 1,00 euro per
un ammontare annuo di 1.300 euro (25x52x1,00).
Togliendo da questo importo la quota a carico della
colf che è pari a 325,00 euro (25x52x0,25) si trova la
cifra, 975 euro, deducibile dal reddito imponibile. Il
calcolo è lo stesso anche se l’assunzione della colf è
con contratto di lavoro a termine, tenendo conto della diversa misura del contributo orario che c’è per via
dell’addizionale. In tal caso inoltre si tenga conto
che, qualora l’assunzione venga poi trasformata (da
a termine) a tempo indeterminato, il datore di lavoro
deve comunicare all’INPS la trasformazione del rapporto di lavoro e quindi potrà conguagliare nei successivi versamenti.
Registrazione
presso l’Inps
Può dedurre i contributi dal reddito solo chi è regolarmente registrato all’Inps come datore di lavoro. Non è ammesso quindi il trasferimento del carico contributivo da una persona all’altra. Se, ad
esempio, il datore di lavoro è la moglie, casalinga,
che non ha alcun reddito e quindi non paga l’Irpef,
ma chi versa i contributi è il marito questi non può
usufruire del beneficio fiscale.
Al bonus sui contributi previdenziali se ne può
aggiungere un altro più specifico, destinato a ridurre le spese sostenute dal contribuente per pagare
XXV
le persone addette alla sua assistenza personale
nel caso in cui non sia autosufficiente. In pratica si
può usufruire della detrazione d’imposta di misura
pari al 19% su un importo massimo di 2.100 euro
per spese sostenute, ma soltanto se il reddito familiare di chi la chiede non supera i 40.000 euro
all’anno. Se si verificano entrambe queste condizioni con la detrazione massima si possono recuperare 399 euro. La detrazione spetta in questo caso anche per i familiari indicati dall’articolo 433 del
codice civile, vale a dire per il coniuge, i figli, i genitori, fratelli e sorelle, suoceri, generi e nuore. Né è
vincolata al fatto che il familiare sia fiscalmente a
carico o convivente.
Persone
non autosufficienti
Condizione essenziale è che il soggetto per il
quale si chiede l’attribuzione del beneficio non sia
autosufficiente. Per ottenere il beneficio, i contribuenti interessati devono presentare un’idonea
documentazione, che può anche consistere in una
semplice ricevuta debitamente firmata dalla persona che ha prestato assistenza. Non sono richiesti quindi dei veri e propri prospetti di paga, ancora poco utilizzati nei rapporti di lavoro domestico.
È necessario però che la documentazione contenga i dati anagrafici e il codice fiscale sia del soggetto che ha corrisposto la retribuzione sia della
badante che ha prestato assistenza. Se la spesa è
stata sostenuta a favore di un familiare, nella ricevuta devono essere indicati anche i suoi estremi
anagrafici e il codice fiscale. È il caso di precisare
che le due agevolazioni, quella per i contributi
previdenziali e quella per le spese di assistenza, si
possono sommare. La differenza sta in questo:
mentre la deduzione sui contributi Inps spetta a
tutti i datori di lavoro domestico, la detrazione
d’imposta si riferisce solo agli oneri sostenuti per
gli addetti all’assistenza di persone non autosufficienti.
XXVI
Le spese che
riducono il reddito
professionale
I
redditi prodotti da coloro che esercitano abitualmente un’arte o una professione vengono
tecnicamente inquadrati dalle norme tributarie
come “di lavoro autonomo”. Le regole che ne disciplinano la determinazione sono contenute
nell’articolo 54 del Testo unico delle imposte sui
redditi (TUIR).
L’anno da considerare
(cassa o competenza)
La regola fondamentale alla base della tassazione
dei compensi e della deduzione dei costi da parte
di medici, avvocati, ingegneri, commercialisti,ecc., è
il cosiddetto “criterio di cassa”, in base al quale
concorrono alla formazione del reddito di un determinato anno d’imposta i compensi incassati e le
spese effettivamente pagate in quello stesso anno,
a prescindere dalla competenza economica.
Qualche difficoltà ad individuare esattamente quando le spese si intendono sostenute e,
quindi, fiscalmente rilevanti, potrebbe sorgere per i pagamenti effettuati con carta di credito verso la fine dell’anno. In questi casi, infatti, si crea uno sfasamento temporale tra il
momento in cui si determina la perdita di disponibilità del denaro da parte di chi paga e
il momento in cui chi riceve il pagamento acquisisce la disponibilità di quello stesso denaro, circostanza che invece non si determina
per le operazioni in contanti, quando il momento di pagamento per l’uno e il momento
di incasso per l’altro sono perfettamente
coincidenti.
Ebbene, per quanto riguarda le spese professionali sostenute con carta di credito, queste
dovrebbero avere rilevanza fiscale e, pertanto, essere deducibili nel momento in cui viene utilizzata la carta (ad esempio, le spese
contabilizzate a dicembre 2014 ed addebitate sull’estratto conto di gennaio 2015, si considerano sostenute nel mese di dicembre). In
tal senso, si è espressa anche la risoluzione
n. 77/E del 2007 dell’Agenzia delle entrate
che, nell’affrontare la questione, in relazione
però alla deducibilità dal reddito complessivo IRPEF dei contributi previdenziali pagati
da un professionista alla propria Cassa di
previdenza tramite carta di credito (pagamento effettuato il 15 dicembre, con addebito sul conto corrente del professionista il 15
gennaio dell’anno successivo), ha affermato
che il professionista può dedurre l’onere
nell’anno d’imposta in cui è stata utilizzata
Marzo 2015
la carta di credito, a prescindere dal momento in cui l’importo versato gli viene addebitato sul conto corrente.
Ogni regola, si sa, ha le sue eccezioni. Non sfugge
a questo principio, il criterio di cassa. È lo stesso articolo 54 del TUIR a prevedere tre fattispecie in cui la
deduzione deve avvenire nel periodo d’imposta cui
la spesa è riferibile (“criterio di competenza”) e non,
invece, nel momento in cui il costo è stato pagato.
Si tratta:
● delle quote di ammortamento dei beni strumentali di valore superiore a 516,46 euro, in riferimento ai quali non è possibile imputare per intero
la spesa nell’anno in cui avviene il pagamento ma,
nella previsione che abbiano una durata pluriennale,
va adottato un criterio di ripartizione in più anni, secondo determinati coefficienti di ammortamento, individuati dal decreto ministeriale 31 dicembre 1988;
● dei canoni di leasing di beni strumentali, deducibili nel periodo in cui maturano;
● delle quote di indennità di TFR (trattamento
di fine rapporto) e delle quote di indennità per la
cessazione dei rapporti di co.co.co. (collaborazione
coordinata e continuativa), deducibili in riferimento
all’importo maturato nel periodo d’imposta.
Altri requisiti necessari
per poter dedurre le spese
Perché un lavoratore autonomo possa dedurre
dal proprio reddito professionale le spese sostenute nello svolgimento dell’attività, occorre che le
stesse risultino inerenti e siano adeguatamente documentate e registrate.
Per quanto riguarda l’inerenza, è richiesto,
nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, che vi
sia correlazione della spesa all’attività professionale nel suo complesso, non è cioè necessario che vi
sia un nesso rigoroso con i singoli compensi. Sono
oggettivamente inerenti l’attività professionale tutti
i costi sostenuti direttamente per la realizzazione
del servizio e quelli indiretti, ma esclusivamente
destinati all’attività, ad esempio il canone di locazione dello studio per lo svolgimento della professione. Quando invece un acquisto non afferisce alla sola sfera professionale, ma è utilizzato anche
nella vita privata o familiare, l’inerenza è parziale e
la deducibilità del bene è limitata.
Relativamente invece alla documentazione dei
componenti negativi del reddito professionale e
alla registrazione delle spese, si tratta di requisiti
non richiesti dalla norma che disciplina la determinazione dei redditi di lavoro autonomo (il citato
articolo 54 del TUIR), ma che discendono da rego-
Marzo 2015
XXVII
AMMORTAMENTO DI UN BENE STRUMENTALE
er i beni strumentali relativi all’esercizio
di arti o professioni sono deducibili
quote annuali di ammortamento non
superiori a quelle che risultano dall’applicazione dei coefficienti ministeriali stabiliti dal
DM 31/12/1988. La quota così determinata
rappresenta il tetto massimo ammesso in deduzione in ciascun periodo d’imposta. Il professionista, se preferisce, può decidere di operare un ammortamento inferiore, recuperando
la differenza nei periodi d’imposta successivi,
nel rispetto comunque del limite indicato.
P
ESEMPIO
Acquisto nel 2014 di un’apparecchiatura
sanitaria (ecografo) da parte di un medico
al prezzo di 60.000 euro. Il bene rientra nel
gruppo 21 (Servizi sanitari) della tabella,
che attribuisce alla voce “attrezzatura specile generali dell’ordinamento tributario, ossia dal
principio dell’onere della prova e dagli obblighi
sulla tenuta delle scritture contabili degli esercenti
arti e professioni dettati dall’articolo 19 del DPR n.
600/1973 (“Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”). Documenti
idonei alla deducibilità delle spese per gli acquisti
di beni e servizi sono: la fattura, lo scontrino fiscale parlante (con indicazione, cioè, della natura,
qualità e quantità dei beni/servizi acquistati e del
codice fiscale dell’acquirente/committente), la ricevuta fiscale integrata, a cura di chi la emette,
con i dati identificativi del cliente. Per i carburanti,
occorre la “scheda carburante” debitamente compilata, ma senza indicazione dei chilometri, obbligo previsto solo per le imprese, non anche per i
professionisti.
Per quanto riguarda la deducibilità delle
spese pagate con carta di credito, è sufficiente la documentazione rilasciata dalla società che emette la carta, che costituisce titolo valido anche per l’annotazione nelle
scritture contabili. Se la carta è utilizzata
esclusivamente per spese inerenti l’attività
professionale, è deducibile anche il suo costo; non così, nel caso in cui con la stessa
vengano effettuati anche acquisti che non
presentano alcuna connessione con il reddito prodotto (risoluzione ministeriale 5 ottobre 1985, prot. n. 8/727).
I componenti negativi
del reddito professionale
Vediamo dunque tutte le spese che il lavoratore
autonomo può portare in deduzione in sede di determinazione del suo reddito professionale da sottoporre a tassazione IRPEF. Esaminiamole secondo
l’ordine di esposizione, rigo per rigo, nel quadro RE
(“reddito di lavoro autonomo derivante
dall’esercizio di arti e professioni”) del modello
UNICO.
fica” il coefficiente 12,5%. Vuol dire che
questa è la percentuale massima di spesa
deducibile per anno (nel caso specifico, pertanto, 7.500 euro all’anno). Occorrono quindi almeno otto anni per recuperare l’intera
spesa sostenuta.
Anno
Quota deducibile
(60.000 in otto anni)
2014
2015
2016
2017
2018
2019
2020
2021
7.500
7.500
7.500
7.500
7.500
7.500
7.500
7.500
Ammortamenti acquisto beni
non superiori a 516,46 euro (Rigo E7)
● spese sostenute nel 2014 per l’acquisto di
beni mobili strumentali (ad esempio, fax, computer, attrezzature d’ufficio, ecc.) di costo unitario non superiore a 516,46 euro. La deduzione
integrale di questi beni è una facoltà concessa
al contribuente, che può comunque scegliere,
anche per questi beni, l’ammortamento per
quote;
● quote di ammortamento dei beni mobili
strumentali, cioè utilizzati esclusivamente per
l’esercizio dell’arte o della professione, determinate secondo i coefficienti stabiliti dal decreto
ministeriale 31 dicembre 1998;
● 80% delle quote di ammortamento relative
ad apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica (telefoni fissi, cellulari,
modem, router, ecc.);
● 20% delle quote di ammortamento delle
autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli, limitatamente ad un solo veicolo, tenendo
conto dei limiti massimi di costo previsti per
ciascuna tipologia di mezzo: 18.075,99 euro per
autovetture e autocaravan, 4.131,66 euro per
motocicli, 2.065,83 euro per ciclomotori ( vedi
esempio). Non sono deducibili le quote di ammortamento relative agli aeromobili da turismo,
alle navi e alle imbarcazioni da diporto;
● 70% delle quote di ammortamento dei veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la
maggior parte del 2014.
Per le spese indicate al primo punto (beni
mobili strumentali di costo unitario non
superiore a 516,46 euro) e per le quote di
ammortamento indicate al secondo punto
(beni mobili strumentali), la deduzione è
ridotta al 50% se i beni sono utilizzati
promiscuamente, cioè sia per l’esercizio
dell’arte o della professione che per l’uso
personale o familiare del contribuente.
XXVIII
Marzo 2015
Casi
particolari
Non rientrano nel rigo E7 gli oggetti d’arte,
d’antiquariato e da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali per l’esercizio dell’attività professionale (si pensi, ad esempio, all’arredo di uno studio
professionale). Il costo d’acquisto o d’importazione di
tali beni rientra invece tra le spese di rappresentanza
(rigo E16, colonna 2), deducibili entro il limite dell’1%
dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
Anche il costo sostenuto per l’acquisto di una
banca dati su CD-ROM, contenente numerosi “file“
con schemi e modelli di diversi documenti (per
istanze, comunicazioni, ricorsi, contratti, atti societari, bilanci, ecc.), è ammortizzabile per quote costanti
in base ai coefficienti ministeriali (nel caso specifico,
è il 15% previsto per il gruppo residuale XXII - Attività non precedentemente specificate - Altre attività
- Attrezzature varie). Si tratta, infatti, di un bene materiale strumentale e non di un bene immateriale,
pertanto non integralmente deducibile nell’anno in
cui viene effettuato il pagamento, a meno che il suo
costo non superi i 516,46 euro (Agenzia delle entrate, risoluzione n. 72/2006).
AMMORTAMENTO DI UN’AUTOVETTURA
l costo massimo riconosciuto ai fini fiscali per
l’acquisto di un’autovettura è 18.075,99 euro,
indipendentemente da quanto realmente pagato. Pertanto, se si acquista un’auto ad un prezzo inferiore a quel limite, si può ammortizzare il
20% del costo effettivamente sostenuto; se invece il costo è maggiore di 18.075,99, la parte
complessivamente deducibile ammonta a
3.615,20 euro, ossia il 20% di 18.075,99.
I
ESEMPIO
Nel 2014, un professionista ha comprato
un’autovettura al prezzo di 27.500 euro. Considerato che può spesare al massimo 3.615,20 euro
Canoni di locazione finanziaria
relativi ai beni mobili (Rigo E8)
● canoni di locazione finanziaria maturati nel
2014 per i beni mobili strumentali. La deduzione è
ridotta al 50% se i beni sono utilizzati promiscuamente, cioè sia per l’esercizio dell’arte o della professione che per l’uso personale o familiare del contribuente;
● 20% dei canoni di locazione finanziaria per autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli, con
riferimento ad un solo veicolo. L’importo deducibile
è pari al rapporto proporzionale tra i “soliti” limiti di
spesa agevolabili (18.075,99 per autovetture e autocaravan, 4.131,66 euro per motocicli, 2.065,83 euro
per ciclomotori), ragguagliati ad anno, e il costo di
acquisto sostenuto dalla società di leasing. Non sono deducibili i canoni di locazione finanziaria relativi
agli aeromobili da turismo, alle navi e alle imbarcazioni da diporto;
● 70% dei canoni di locazione finanziaria dei veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del 2014;
● 80% del canone di locazione finanziaria relativo
ad apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica (telefoni fissi, cellulari, modem,
router, ecc.).
Per le voci indicate ai primi due punti, è rilevante la data di stipula del contratto di leasing (fino o dopo il 28 aprile 2012), con effetti
diversi a seconda che si tratti di veicoli o altri
beni mobili.
Relativamente a questi ultimi, per i contratti
stipulati fino al 28 aprile 2012, la deduzione
(ossia, il 20% di 18.075,99 euro) e che il coefficiente ministeriale previsto per quel tipo di bene
è fissato al 25%, in ciascuno degli anni dal 2014
al 2017 potrà dedurre una quota di ammortamento pari a 903,80 euro, (da arrotondare a 904
euro).
Anno
Quota deducibile
(20% di 18.075,99 in quattro anni)
2014
2015
2016
2017
903,80
903,80
903,80
903,80
è ammessa a condizione che la durata del
contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al
coefficiente stabilito dal decreto ministeriale;
invece, per i contratti stipulati dal 29 aprile
2012, la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente
ministeriale, prescindendo quindi dalla durata del contratto (in pratica, se il coefficiente
di ammortamento è pari al 25%, i canoni
vanno dedotti in un periodo non inferiore a
due anni).
In riferimento ai mezzi di trasporto, per i
contratti stipulati fino al 28 aprile 2012, la
deduzione è ammessa a condizione che la
durata del contratto non sia inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al
coefficiente stabilito dal decreto ministeriale;
invece, per i contratti stipulati dal 29 aprile
2012, la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore a quello di ammortamento
corrispondente al coefficiente ministeriale (in
pratica, nel caso di autovetture, i canoni vanno dedotti in un periodo non inferiore a
quattro anni).
Canoni di locazione non finanziaria
e/o di noleggio (Rigo E9)
● 80% dei canoni di locazione e/o di noleggio relativi ad apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica (telefoni fissi, cellulari, modem, router, ecc.);
● canoni di locazione e/o di noleggio per i beni
mobili strumentali. La deduzione è ridotta al 50% se
Marzo 2015
i beni sono utilizzati promiscuamente, cioè sia per
l’esercizio dell’arte o della professione che per l’uso
personale o familiare del contribuente;
● 20% dei canoni di locazione e/o di noleggio
per autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli, limitatamente ad un solo veicolo, tenendo conto
dei limiti massimi previsti per ciascuna tipologia di
mezzo (3.615,20 euro per autovetture e autocara-
XXIX
van, 774,69 euro per motocicli, 413,17 euro per ciclomotori), ragguagliati ad anno. Non sono deducibili i canoni di locazione e/o di noleggio relativi agli
aeromobili da turismo, alle navi e alle imbarcazioni
da diporto;
● 70% dei canoni di locazione e/o di noleggio
per i veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per
la maggior parte del 2014.
Per alcune categorie di beni strumentali, le quote di ammortamento (rigo RE7) non sono deducibili interamente, ma
in base a determinate percentuali:
- 80% per telefoni fissi, cellulari, modem, router, ecc.;
- 70% per veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte dell’anno;
- 20% per autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli (un solo veicolo).
Identiche percentuali di deducibilità anche per i canoni quando quegli stessi beni sono detenuti in leasing (rigo RE8)
oppure in locazione non finanziaria o noleggio (rigo RE9).
Spese relative
agli immobili (Rigo E10)
● 50% della rendita catastale dell’immobile di
proprietà o posseduto a titolo di usufrutto o altro diritto reale, utilizzato promiscuamente per l’esercizio
dell’arte o della professione e per l’uso personale o
familiare del contribuente, a condizione che il contribuente non disponga nello stesso comune di un altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio
dell’arte o professione; ovvero, in caso di immobili
acquisiti mediante locazione, 50% del canone pagato nel 2014, se utilizzato promiscuamente.
Per i contratti di leasing stipulati entro il 31 dicembre 2006, è deducibile il 50% della rendita catastale; per quelli stipulati dal 2007 e fino al 31 dicembre 2009, è deducibile il 50% del canone, a
condizione che il contratto abbia durata non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente ministeriale e, comunque,
con un minimo di otto anni ed un massimo di quindici anni; per i contratti stipulati dal 2010 e fino al
31 dicembre 2013, non è ammessa alcuna deduzione; per i contratti di locazione finanziaria stipulati
dal 2014, è ammessa la deduzione del 50% del canone per un periodo non inferiore a dodici anni;
● quota di ammortamento del costo di acquisto
o di costruzione dell’immobile strumentale acquistato o costruito entro il 14 giugno 1990 ovvero acquistato tra il 2007 ed il 31 dicembre 2009;
● canone di locazione pagato nel 2014 per
l’immobile utilizzato esclusivamente per l’esercizio
dell’arte o della professione;
● rendita catastale dell’immobile strumentale
utilizzato in base a contratto di leasing, per i contratti stipulati dal 15 giugno 1990 al 31 dicembre
2006, ovvero canone di leasing, per i contratti stipulati entro il 14 giugno 1990 e quelli stipulati dal
2007 fino al 31 dicembre 2009 (per questi ultimi,
la deduzione è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del
periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente ministeriale e, comunque, con un minimo
di otto anni e un massimo di quindici anni). Per i
contratti stipulati dal 2010 e fino al 31 dicembre
2013, non è ammessa alcuna deduzione. Per i
contratti stipulati dal 2014, la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore a dodici anni;
● quota delle spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione non imputabili ad
incremento del costo degli immobili utilizzati
nell’esercizio dell’arte o della professione, e quote
di competenza del 2014 delle stesse spese straordinarie sostenute in esercizi precedenti (vedi box);
● altre spese relative all’immobile strumentale
(ad esempio, condominiali, per riscaldamento,
ecc.), tranne nel caso della locazione finanziaria;
● 50% delle spese per servizi e della quota delle spese di ammodernamento, ristrutturazione e
manutenzione non imputabili ad incremento del
costo degli immobili utilizzati promiscuamente,
nonché quote di competenza del 2014 delle stesse spese straordinarie sostenute in esercizi precedenti.
SPESE DI AMMORTAMENTO, RISTRUTTURAZIONE E MANUTENZIONE
er gli immobili acquistati dal 2007, le
spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione relative all’immobile utilizzato esclusivamente per la professione, non imputate ad incremento del costo
del bene, sono deducibili nel limite del 5% del
valore di tutti i beni ammortizzabili esistenti al
1° gennaio dell’anno in cui è stata sostenuta la
P
spesa. L’eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque anni successivi.
Per gli immobili acquistati prima del 2007 e
per quelli in affitto, le spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria sono deducibili in quote costanti
nell’anno in cui sono sostenute e nei quattro
successivi.
XXX
Spese per prestazioni di lavoro
dipendente e assimilato (Rigo E11)
● retribuzioni corrisposte (compresi i compensi a
collaboratori coordinati e continuativi), al lordo delle
ritenute fiscali e dei contributi assistenziali e previdenziali (compresi quelli versati alla gestione separata dell’INPS), sia a carico del dipendente sia quelli
a carico del datore di lavoro. Le spese di vitto e alloggio per le trasferte fuori dal territorio comunale
dei lavoratori dipendenti sono deducibili per un ammontare giornaliero non superiore a 180,76 euro,
elevato 258,23 euro per le trasferte all’estero (il limite di deducibilità si riferisce alle sole spese rimborsate a piè di lista);
● quote di accantonamento TFR e indennità di fine rapporto maturate nel 2014 a favore di dipendenti e di co.co.co. e quote non accantonate in precedenza e pagate nel 2014, compresi gli acconti e le
anticipazioni;
● in alternativa alle quote di TFR, premi pagati alle compagnie di assicurazione relativi a polizze stipulate per coprire la maturazione del debito per il
TFR.
Non sono deducibili i compensi corrisposti,
per il lavoro prestato o l’opera svolta in qualità di lavoratore dipendente o assimilato (titolare di rapporto di co.co.co. o collaboratore
occasionale), al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età o permanentemente inabili al lavoro, nonché agli ascendenti (ad
esempio, i genitori). Ugualmente indeducibili,
gli accantonamenti di quiescenza e previdenza, nonché i premi pagati alle compagnie di
assicurazione che sostituiscono, in tutto o in
parte, gli accantonamenti medesimi.
Viceversa, possono essere scalati i contributi
previdenziali e assistenziali versati dal professionista per i suddetti familiari, così come
i compensi erogati per prestazioni di lavoro
autonomo artistico o professionale (nel successivo rigo E12).
Compensi
a terzi (Rigo E12)
●
compensi corrisposti a terzi per prestazioni professionali e servizi direttamente afferenti l’attività artistica o professionale del contribuente.
Interessi
passivi (Rigo E13)
● interessi passivi sostenuti nel 2014 per finanziamenti relativi all’attività artistica o professionale,
compresi quelli per l’acquisto dell’immobile strumentale, o pagati per dilazionare il pagamento di
beni acquistati per l’esercizio dell’arte o professione.
Non sono deducibili gli interessi versati dai
contribuenti che hanno optato per il versamento trimestrale dell’IVA.
Consumi
(Rigo E14)
● 80% delle spese sostenute nell’anno per servizi
telefonici (telefonia fissa, cellulari), compresi quelli
accessori (come internet, telefax, ecc.);
Marzo 2015
● consumi di energia elettrica. Se il servizio è utilizzato promiscuamente, la spesa è deducibile nella
misura del 50%.
Prestazioni alberghiere
e somministrazione di alimenti (Rigo E15)
● spese relative a prestazioni alberghiere e a
somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici
esercizi, sostenute dal committente per conto del
professionista e da questi addebitate in fattura;
● 75% delle stesse spese per alberghi, ristoranti e
bar, sostenute dal professionista, comunque per un
importo complessivamente non superiore al 2% dei
compensi percepiti nel 2014.
Spese di rappresentanza
(Rigo E16)
● 75% delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande,
qualificate come spese di rappresentanza (ad esempio, una cena di rappresentanza);
● altre spese di rappresentanza effettivamente sostenute e idoneamente documentate, comprese
quelle per l’acquisto o l’importazione di oggetti di
arte, di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali per l’esercizio dell’arte o
professione, e quelle per l’acquisto o l’importazione
di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito.
L’ammontare complessivo delle spese di rappresentanza deducibili non può essere superiore
all’1% del totale dei compensi percepiti nel 2014.
Spese per convegni
(Rigo E17)
● 75% delle spese di vitto e alloggio sostenute
per la partecipazione a convegni, congressi e simili o
a corsi di aggiornamento professionale;
● altre spese sostenute per la partecipazione a
convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale (ad esempio, spese di viaggio,
iscrizione all’evento, ecc.).
La somma delle spese indicate nei due punti
precedenti è deducibile nella misura del 50%.
Queste spese sono deducibili anche quando a
partecipare al convegno è un collaboratore o
un dipendente del professionista, a condizione che i documenti di spesa siano intestati a
quest’ultimo e la partecipazione all’evento
del collaboratore/dipendente avvenga
nell’interesse e per conto del professionista.
Minusvalenze
(Rigo E18)
● minusvalenze dei beni strumentali mobili e immobili (esclusi i beni il cui costo d’acquisto non è
ammortizzabile, come gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione), realizzate mediante la cessione a titolo oneroso o mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni. Sono irrilevanti le minusvalenze
da autoconsumo, cioè realizzate in seguito alla destinazione dei beni strumentali al consumo personale o familiare del professionista o a finalità estranee
Marzo 2015
alla professione. L’ammontare della minusvalenza
è dato dalla differenza negativa tra il corrispettivo
percepito e il costo non ammortizzato ovvero, in
assenza di corrispettivo, tra il valore normale del
bene e il costo non ammortizzato.
ESEMPIO
Nel 2014, un medico rivende a 5.000 euro
un’attrezzatura sanitaria che aveva acquistato nel
2012 a 8.000 euro e, in relazione alla quale, negli
anni 2012 e 2013 ha effettuato ammortamenti per
complessivi 2.000 euro.
8.000 euro
Prezzo di acquisto
Totale ammortamenti effettuati
2.000 euro
Costo non ammortizzato
6.000 euro
(8.000 – 2.000)
Corrispettivo percepito
5.000 euro
Minusvalenza
1.000 euro
(5.000 – 6.000)
Altre spese
documentate (Rigo E19)
● 80% delle spese di manutenzione relative ad
apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica (telefoni fissi, cellulari, modem, router, ecc.);
● 20% delle spese sostenute nel 2014, limitatamente a un solo veicolo, per l’acquisto di carburanti,
lubrificanti e simili (benzina, gasolio, metano, ecc.),
utilizzati per la trazione di autovetture, autocaravan,
ciclomotori e motocicli;
● 70% delle spese indicate al punto precedente
sostenute per i veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del 2014;
XXXI
● 20% per cento delle altre spese (diverse da
quelle sostenute per l’acquisto di carburanti, lubrificanti e simili), limitatamente ad un solo veicolo, relative ad autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli;
● 70% delle spese indicate al punto precedente
sostenute per i veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del 2014;
● 50% delle spese di impiego dei beni mobili adibiti promiscuamente sia all’esercizio della professione sia all’uso personale o familiare del contribuente
e utilizzati in base a contratto di locazione finanziaria o di noleggio;
● altre spese inerenti l’attività professionale effettivamente sostenute e debitamente documentate
(inclusi i premi di assicurazione per rischi professionali). Le spese afferenti beni e servizi utilizzati in
modo promiscuo sono deducibili nella misura del
50%;
● 10% dell’IRAP versata nel 2014 sia a titolo di
saldo che di acconti (questi ultimi rilevano nei limiti
dell’imposta effettivamente dovuta per il 2014), anche in caso di ravvedimento operoso o di iscrizione
a ruolo a seguito della liquidazione della dichiarazione o di attività di accertamento. La deduzione
spetta solo se sono stati sostenuti interessi passivi
(indeducibili ai fini IRAP) negli anni cui si riferisce il
versamento
● l’IRAP relativa alla quota imponibile delle spese
per il personale dipendente e assimilato, al netto
delle varie deduzioni (forfait per ogni dipendente,
contributi previdenziali e Inail, apprendisti, ecc.), versata nel 2014, sia a titolo di saldo che di acconto;
● 20% dell’IMU relativa agli immobili strumentali
versata nel 2014.
LE SPESE CHE RIDUCONO IL REDDITO DEI “MINIMI”
l reddito di lavoro autonomo o d’impresa dei
contribuenti che applicano il regime di vantaggio
per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (cosiddetti “nuovi minimi”) è dato dalla differenza tra l’ammontare dei compensi/ricavi percepiti/conseguiti nel periodo d’imposta e quello delle
spese sostenute nello stesso periodo nello svolgimento dell’attività, considerando anche le eventuali
plusvalenze e minusvalenze relative ai beni strumentali. I “nuovi minimi” determinano il reddito in
base al “criterio di cassa”, considerando cioè il momento di effettiva percezione del ricavo o del compenso e quello di effettivo sostenimento del costo o
della spesa. Insomma, lo stesso criterio in uso per i
redditi “ordinari” di lavoro autonomo, ma che,
nell’ambito di questo regime, è esteso anche al reddito d’impresa, per il quale invece, di norma, vige il
“criterio di competenza”.
Per la determinazione del reddito imprenditoriale/professionale, i “nuovi minimi” devono compilare
il quadro LM del modello UNICO. Le spese vanno riportate tutte nel rigo LM5. Vetrina a parte solo per i
contributi previdenziali e assistenziali obbligatori
(compresi quelli corrisposti per conto dei collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico e
quelli versati per i collaboratori non a carico, ma per
i quali il titolare non ha esercitato il diritto di rivalsa
sui collaboratori stessi), che entrano in scena nel ri-
I
go LM7, quando la differenza tra componenti positivi e componenti negativi è positiva e, quindi, c’è
reddito da abbattere; altrimenti, in presenza di altri
redditi, possono essere scalati dal reddito complessivo come un normale onere deducibile.
Le spese sostenute dai “nuovi minimi” sono interamente deducibili, a condizione che venga dimostrato, sulla base di criteri oggettivi, l’inerenza della
spesa all’attività d’impresa o di lavoro autonomo
esercitata.
Nel regime dei “nuovi minimi”, le spese relative a beni a deducibilità limitata (ad esempio, gli autoveicoli, le spese di telefonia) rilevano sempre nella misura del 50%, a prescindere dalle disposizioni del TUIR che, per la
generalità dei contribuenti, prevedono specifici limiti alla deducibilità (ad esempio, il
20% per autovetture e altri mezzi di trasporto).
Nel rigo LM5 (“totale componenti negativi”), dunque, vanno riportati:
● acquisti di materie prime, sussidiarie, semilavorati e merci, pagati nel 2014;
● 50% delle spese, sostenute nel 2014, relative a
beni ad uso promiscuo (autovetture, autocaravan,
ciclomotori, motocicli e telefonia, pertanto lubrifi-
XXXII
Marzo 2015
canti, manutenzioni, tasse di possesso, assicurazioni,
ecc.);
● canoni di leasing pagati nel 2014 (al 50%, se
relativi a beni promiscui);
● spese per omaggi, vitto e alloggio, sostenute
nel 2014, interamente deducibili se inerenti
all’esercizio dell’attività;
● costo di acquisto dei beni strumentali per i quali il pagamento è avvenuto nel 2014;
Va indicato il 75%
delle spese sostenute.
●
●
sopravvenienze passive realizzate nel 2014;
altre spese sostenute nel 2014.
Nel regime dei “nuovi minimi” non si applicano le deduzioni forfetarie per spese non documentate (ad esempio, quella prevista per
gli autotrasportatori), in quanto il regime si
fonda sul “principio di cassa”, che dà rilevanza alle sole spese effettivamente sostenute.
Vanno indicate per intero.
Va indicato il 20% dell’IMU
pagata nel 2014 per gli immobili strumentali.