e il mobbing

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e il mobbing
OPINIONI
LA CONDIZIONE MILITARE
E IL MOBBING
LA VITA DI UN FINANZIERE
CONTINUA IL CONTENUTO DEL LIBRO SCRITTO
DA UN FINANZIERE CON IL RACCONTO
DELLA PRIMA DESTINAZIONE
di Eununu
Proseguono gli “spezzoni” del lavoro
compiuto da un nostro sostenitore sul tema del Mobbing in ambiente militare.
In questo numero pubblichiamo il capitolo relativo alla 1° assegnazione.
Chiediamo di continuare il sostegno
all’iniziativa che vorremmo portare a
compimento, con i vostri interventi
sul “FORUM” del sito HYPERLINK
"http://www.ficiesse.it" che potranno
fornirci utili elementi per il successo editoriale.
Prima destinazione
Una volta terminato il corso tutti a destinazione.
La mia destinazione fu la regione Friuli
Venezia Giulia.
Quando l'ho saputo non ho parlato
per due giorni, non tanto per la loca-
lità ma perché avevo sperato in una località “ più vicino a casa”.
Non avevo ancora capito quanto fosse
importante non crearsi aspettative per
non rimanere delusi.
Caricati i bagagli in auto e salutato
amici e genitori eccomi partire alla
volta di Udine, località e zona a me
completamente sconosciuta. Una volta
giunto mi recai presso il comando dove aspettai insieme ad altri che ci venissero comunicate le destinazioni finali.
La provincia era quella di Udine ma le
caserme dislocate sul vasto territorio
erano molte per cui si poteva finire
ovunque.
Tengo a precisare che il Friuli è una
terra magnifica con zone e posti da
incanto e sono stato felice di esserci
stato.
(...)
Arrivato alla caserma di assegnazione
e parcheggiata l'auto suonai alla porta; venne ad aprirmi il piantone.
L'atmosfera era indescrivibile: un misto
tra una calma certa, data dal luogo
montano e una apparente, data dall'ambiente militare.
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OPINIONI
Nell'attesa mi fu assegnata provvisoriamente una stanza che sarebbe poi
diventata la definitiva dimora per tutta
la mia permanenza al confine. Quando vi entrai notai subito il parquet e
quattro letti con sopra coperte e trapunte. La penombra, le finestre vecchio
stile, l'atmosfera invernale mi faceva
vedere il tutto come un rifugio ove poter vivere tranquillo e in armonia con il
mondo intero. In quel momento, e purtroppo solo in quel momento, la caserma mi aveva trasmesso quel "calore",
quell’armonia che provavo ogni volta
che ero entrato in quelle vecchie baite
di montagna, un senso piacevole e
gradito di antico, di rustico.
Colsi l'occasione per sdraiarmi sul letto
ma arrivò subito il piantone che mi disse -"Ma sei matto, che fai? Alzati che il
comandante ti aspetta".Eh già mi trovavo in una caserma altro
che rifugio.
Scesi e mi misi in fila con altri colleghi
appena arrivati, tutti in attesa di andare a rapporto dal comandante. Quando arrivò il mio turno entrai nell'ufficio
mettendomi rigorosamente sull'attenti
battendo il piede ad una distanza angolare prevista dal Regolamento, saluto alla visiera e presentazione con voce
forte e chiara. Il tutto non andava bene
per cui lo dovetti ripetere per ben tre
volte di seguito.
Non scorderò facilmente le prime parole del comandante: un brigadiere!
-"Questo è un posto strano, c'è gente
strana e “starai” strano. Puoi andare."
- Battezzato!!!
Avendo un inquadramento dal corso
tutto era normale: il formalismo, l'attenti, il riposo, urlare etc. Questa atmosfera, assieme agli avvenimenti dei giorni
successivi, poi intuii, faceva parte di
quel rito di benvenuto che avviene in
ogni reparto nei confronti dei nuovi arrivati.
È un avvenimento sacro, intoccabile,
quasi una valvola di comprensibile sfogo dopo un anno di accumulo da parte dei militari neo assegnati che attendevano con ansia i nuovi arrivi, perché
no, anche come una rara occasione
per potersi innocentemente divertire.
Questo doveva essere un qualcosa di
iniziale per metterti alla prova ma alcuni ne approfittavano e si facevano
prendere la mano, anche con l'andar
del tempo. Non ricordo bene come fu
la prima notte, in quale luogo i miei
pensieri mi portarono, probabilmente
mi addormentai subito e dormii
profondamente.
Il giorno dopo alle 08.00 tutti in mimetica a disposizione.
Il primo periodo era destinato a familiarizzare con la caserma e con i servizi interni.
Per qualche giorno pulimmo la caserma in ogni suo millimetro quadrato nei
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posti più assurdi, tutto doveva brillare e
così fu.
L'impatto con gli altri militari, non eravamo in molti noi nuovi arrivati, era
caratterizzato dal tipo di carattere che
ognuno aveva.
Chi subito ti regalava un sorriso, chi
ti teneva lontano, a chi eri indifferente, chi aspettava ti facessi avanti per
primo.
Ci fu una riunione dedicata specificamente alla conoscenza completa di
tutti.
Capivo dallo sguardo e dall’atteggiamento dei “vecchi”, che molti erano
esasperati da quella vita particolare
che dovevano condurre consumata solo dalla speranza del trasferimento, alcuni erano rassegnati: si erano fidanzati o sposati con ragazze del luogo.
La libera scelta di poter stare o andare
è cosa certamente sacra, ma non dopo
logoranti e lunghissimi periodi.
Con i colleghi era concesso usare il
“tu”, mentre con i superiori, per una
forma di rispetto, del Lei a meno che
questi non permettessero il “tu”.
Col tempo. L'unico a cui non riuscii a
dare del “tu” fu il comandante e questi
pensò erroneamente che io volessi
mantenere le distanze. Trascorsi il primo periodo a svolgere il servizio di
piantone con turno 08.00-20.00. Questo voleva dire: aprire e chiudere la
porta della caserma, rispondere al telefono, pulire la caserma, svegliare i
militari che la sera precedente avevano
segnato l'orario in cui desideravano
essere svegliati (alcuni di questi dovevano essere chiamati più volte e magari stavano all'ultimo piano per cui su e
giù come somari), preparare la tavola
per il pranzo e la cena, preparare il
mangiare, pulire la cucina, pulire tutte
le stoviglie (senza lavastoviglie), praticamente tutte quelle mansioni di base
per il buon andamento della caserma.
Tra i compiti: preparare il caffè ai superiori.
Eri lo schiavo di turno.
OPINIONI
Devo fare un appunto sul compito del
“cucinare”.
Il cosiddetto cuoco scendeva verso le
nove, sceglieva il menù, dava le direttive tipo sbuccia le patate, lava l'insalata, etc, dopo di che usciva a fare la
spesa.
Poi arrivavano “quelli” degli uffici che
volevano il caffè: bisognava prepararlo! e questo per quattro, sei volte al
giorno. Eri sempre tenuto d'occhio, al
più banale accenno di riposo, magari
ti eri seduto un attimo, ti riprendevano.
Non importa se avevi appena finito di
sbucciare a mano cinque chili di pata-
te, ciò che importava era quello che
stavi facendo in quel momento. Comunque difficilmente avevi tempo per
fermarti. Quando rientrava il "cuoco"
avveniva lo spuntino di metà mattino a
cui mi consentivano di partecipare,
non tanto per farmi piacere, quanto
per il fatto che dopo avrei dovuto pulire. Assistendo al "banchetto" riuscivo a
limitare i danni dei commensali: pezzi
di pane volanti, briciole vaganti, posate usate in abbondanza, tovaglioli
sparsi, etc.
Eh sì! piccoli momenti di serena quotidianità.
I pasti principali erano distribuiti in due
tempi: per i montanti, coloro che dovevano iniziare il turno e per gli smontanti, quelli che lo finivano.
Solitamente mangiavo prima perchè
dopo ero troppo impegnato a servire a
tavola: portare le brocche di acqua
(brocche da circa 750cl che dopo
quattro bicchieri erano già vuote), lavare i piatti, ovviamente a mano (c'era
una lavastoviglie ma non ce la facevano usare e ancora mi chiedo il perchè),
tagliare il pane e altro.
Verso le quindici e trenta finivo il tutto
con il lavaggio del pavimento e l' accesso vigilato per la cucina in quanto
lustra.
Alle 17 riprendeva il tutto, idem come
sopra.
A proposito: in quell'ora e mezza di
cosiddetta pausa c'era sempre “il” o “i
caffè”.
Il servizio terminava verso le ore venti
cioè al cambio turno.
Condizioni fisiche : pietose;
condizioni mentali: idem;
stress: al massimo.
Ne feci tanti di servizi di piantone in
quanto ero portato a sorridere sempre, a chiedere il perché delle cose
per comprenderne il motivo o suggerire qualche possibile miglioria, a
parlare normalmente con entusiasmo
senza sorta di sottomissione e questo
fu interpretato come una presa in gi-
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ro per cui, gli anziani si erano dati il
compito di farmi cambiare a loro piacimento.
Al di fuori dalla caserma, prima di tutto e indipendentemente da tutto, l'immagine doveva essere sempre perfetta,
stile corso.
Capitò un giorno che in servizio arrivò
un ragazzo su una Ibiza ( ricordo bene
il modello di auto). Lo fermai e questi
mostrò il tesserino (...) dicendomi: "Ciao sono un collega"-. Lo guardai
fugacemente e gli dissi -"Vai pure"(Difficilmente dò immediatamente del
tu e anche questo mi causò molti problemi). L'avessi mai fatto. Questo mi fece uno di quei mega cazziatoni che
me lo ricordo ancora adesso.
Che dovevo fare?
Erano quattro giorni che prestavo servizio e credendo in ciò che mi avevano
insegnato non mi azzardai a parlare
per non iniziare una discussione di
fronte alla gente e in servizio. Praticamente, seppi poi, che quel ragazzo era
un neo graduato che, in presenza della propria ragazza, aveva voluto dimostrare la sua potenza-prepotenza e,
a mio avviso, anche la sua ignoranza.
Spesso mi pentivo di sforzarmi di essere una persona educata e a modo: capivo d'esser fuori luogo.
Ma avevo la testa dura.
Ero abituato a cercare il lato migliore
nelle persone e nelle varie situazioni,
perchè sapevo che solo così si porta ottimismo e positività.
Macchè!
Ogni "mossa" in tal senso, in quell’
ambiente, faceva pensare che ti burlavi
di tutti e di tutto.
Capitò che rappresentai una irregolarità, sia pur lieve, all'anziano e questi
mi rispose che c'era da compilare un
verbale ma che non ne aveva voglia
quasi ne fosse infastidito.
Gli risposi che l'avrei fatto io. Scocciato di questo indicò in quale armadio erano posti i verbali e mi lasciò al
caso.
OPINIONI
Dato che avevo voglia di fare, mi arrangiai.
Completato il verbale lo feci controllare
dall'anziano.
Quanti rimproveri!
Dovevo mettere solo il mio nome e tralasciare il suo, la data doveva essere
divisa da un punto e non dalla barra e
altri dettagli di questo tipo.
Dovetti rifarlo.
Una volta terminato, consegnai una
copia alla parte e tutto finì lì.
Feci altri servizi di piantone con turno
08.00-20.00.
In quella caserma il metodo per castigare era il far effettuare il turno di
piantone con orario 08.00 - 20.00,
durante il quale eri alla mercè di tutto e
tutti. Un altro tipo di servizio si faceva
con l'uso della propria autovettura in
quanto il mezzo dell’ amministrazione
rimaneva sempre in garage perché, dicevano, mancava la benzina.
(...)
Un giorno un Generale venne a trovarci.
Una visita breve ma molto significativa,
perlomeno per noi ultimi arrivati. Non
era cosa comune vedere un Generale
e vederne uno da vicino fa il suo effetto. Ci strinse la mano ad uno ad uno e
riuscì a trasmetterci un senso di calda
umanità.
A distanza di tempo credo che il comportamento “malevolo” di alcuni colleghi, a parte casi rari, fosse dovuto ad
uno stato di disagio ambientale per
cui, vedendo arrivare una nuova recluta, questa doveva subire quello che loro avevano subito.
(...)
In inverno la temperatura era sottozero
costante, specialmente la notte.
Il “gabbiotto” dove noi svolgevamo il
nostro servizio era senza riscaldamento e quello che c'era era dato da delle
stufe comprate con delle collette fra coloro che svolgevano quel servizio
Quando si montava di servizio diventavamo degli omini michelin, coperti
da calzamaglia, pippo e superpippo,
maglie, maglioni, imbottiture, etc.
Io poi essendo freddoloso sembravo un
pallone da quanta roba mi mettevo
addosso.
La notte, difatti, era un trauma.
Vicini a noi c'erano dei colleghi agenti,
qualcuno con cui parlare (si fa per dire), ma sempre considerati come concorrenza ai fini dei risultati di servizio.
Bisogna infatti sapere che tra le varie
forze in campo nel particolare settore
in Italia, esiste la competitività per
quanto riguarda i risultati di servizio, il
prestigio, la professionalità, etc.
Perfino all'interno dello stesso ordinamento, tra colleghi di diverse sezioni,
esiste questo tipo di differenza.
Anche durante il corso c'è questa tendenza all'etnocentrismo, proprio per
farci sentire appartenenti al corpo migliore.
Gli anziani raccontavano che il “gab-
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biotto” non era previsto e quello che
noi usavamo era per gentile concessione.
Il militare deve stare fuori con guanti e
cappello indossati, aspetto lindo, tutto
per l'immagine. Non osavo pensare a
venti anni addietro quanto fosse “dura” la vita militare.
Diciamo che questa esperienza è stata
la mia prima esperienza lavorativa.
Il primo contatto che ho avuto con un
ufficiale, un sottotenente, è stato quando è venuto a mettere un visto di controllo sul registro di servizio. Dopo
qualche quesito sulla mia preparazione tecnica mi riprese per la barba non
fatta. In effetti quella mattina la tralasciai ma non pensavo che un giorno di
mancata rasatura poteva essere ripreso se non al corso o in circostanze particolari. Comunque non ci furono conseguenze perché non era nelle intenzioni di quell'ufficiale procedere in tal
senso; era solo un appunto al non ripetersi.
Il problema non sussisteva perché c'erano gli anziani che ti curavano giornalmente.
Arrivati ad un certo punto non si riusciva, in alcune circostanze, a definire il
confine tra la realtà e l’assurdo.
Nel primo bimestre 1995 aria di trasferimento in arrivo.
Tra le tante destinazioni tremende ecco
un pò di fortuna, destinazione mare.
(...)
Arrivato alla nuova sede, la caserma
appariva come una mini reggia.
Stupenda!
Era stata rimessa a nuovo da pochi
anni.
Campo di bocce, di calcetto, da tennis
tutto con illuminazione notturna. Camerate grandi con tre posti letto, bagni
funzionali, parcheggio interno, un altro
mondo.
L'esperienza insegna che, nonostante
tutto possa essere paradisiaco, bisogna sempre fare i conti con il fattore
umano.
OPINIONI
Presentazione dal comandante: abituato al confine questi rimase un pò meravigliato, stupito e compiaciuto dalla rigorosa formalità cui ero abituato, e
che mi ero subito compiaciuto di dimostrare.
Il comandante era un militarista convinto ma con modi giusti e senza estremismi di sorta.
Il giusto al giusto e al momento adatto.
Era un uomo molto preparato sul da
farsi e nulla lasciava al caso.
Una persona molto cordiale sempre
pronta ad aiutarti.
La maggior parte dei colleghi di quella
caserma, sposati o scapoli che fossero,
erano tutti abbastanza anziani, militari
scelti e appuntati.
Si poteva instaurare un dialogo con
ognuno di essi in quanto persone alla
mano e rispettose degli altri.
Non era male tutto l'insieme, perlomeno era tutto più umano.
Non ricordo particolari episodi di cattiveria o ripercussione.
I servizi erano vari: principalmente cucina e piantone (noi ultimi arrivati eravamo lì per svolgere queste due mansioni, infatti facemmo gli esami medici
previsti per la manipolazione dei cibi).
Il servizio di piantone era limitato al rispondere al telefono, aprire e chiudere
i cancelli ed alla sorveglianza esterna
tramite monitor.
Non era previsto il compito di svegliare
i militari.
Finalmente si responsabilizzava la singola persona a svegliarsi da sola.
I colleghi anziani ti facevano fare, ti
guardavano, ti correggevano, ti insegnavano.
Un grande senso di professionalità,
uguaglianza e rispetto.
L'ambiente era tranquillo non avevi il
terrore di dover stare ossessionatamene attento a qualunque cosa facevi o
dicevi con l’incubo della punizione dopo la “sgridata”.
Quando si lavora con persone che non
impongono il grado ma altri valori,
che non hanno il timore di svelare i
trucchi del mestiere e che conoscono le
realtà di fatto, automaticamente nasce
la stima, il rispetto e la voglia di fare.
In quella caserma, insieme ai colleghi
ordinari, erano alloggiati anche i militari appartenenti a un corpo speciale.
Un reparto specializzato con una
realtà lavorativa diversa dalla nostra;
la maggior parte erano ragazzi giovani a cui, secondo loro, tutto era dovuto.
Il rispetto che taluni di questi aveva nei
confronti delle cose e dei colleghi era
minimo, a volte assente.
Gli scontri per fortuna non erano frequenti. Il nostro comandante e gli anziani si facevano valere.
Erano piccoli e isolati episodi ma che
disturbavano la quiete che si era instaurata tra noi ultimi arrivati.
In sala da pranzo era vietato entrare in
pantaloncini corti, in canottiera, in ciabatte ma c'era sempre chi considerava
il tutto una provocazione per cui le regole, da parte di alcuni non venivano
rispettate.
Quante discussioni. Quando eravamo
di servizio in cucina ognuno di noi cercava di dare il meglio che poteva fino
al punto di acquistare, a proprie spese,
ricettari o libri di cucina per avere nuove idee dato che cucinare è sicuramente un' arte.
I pasti, per il gruppetto di incontentabili, non andavano quasi mai bene.
Il sugo poteva essere diverso, la carne
poteva essere cucinata in altro modo,
la frutta più varia, l'acqua da bere era
sempre calda, ogni pretesto era buono
per far discussione.
Da premettere che avevamo un budget
giornaliero da spendere per fare la
spesa per cui non potevamo di certo
cucinare aragoste o servire dolci con
spumante anche se vi garantisco non
mancavano piatti particolari come risotto alle fragole o carne con funghi
porcini.
Questo gruppetto di divi era composto
da bravi ragazzi e in fondo nessuno
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ha mai agito con cattiveria o con
azioni premeditate. Certo alcuni erano proprio "pesanti" e sicuramente il
fatto era da collegare da un lato al loro carattere dall’altro a ciò che dovevano sopportare nel loro servizio, cose che io avrò modo di capire e provare in seguito.
Se penso a quel periodo devo ammettere che stavo proprio bene.
La zona offriva tantissimo divertimento, la gente del posto era cordiale e
poi, scusate se è poco, eravamo vicini
al mare dove in estate c'era un'affluenza di turisti non indifferente.
La vita per tali ragioni proseguiva tranquillamente finchè un giorno, chissà
cosa mi era frullato per la testa, mi dissi che era arrivato il tempo di non fare
più il cuciniere o il piantone (per questo ultimo servizio ammetto di provare
una profonda antipatia, pensavo di essermi arruolato per fare altro).
OPINIONI
Pensate quanti di noi, dopo un anno
di addestramento, vengono destinati
a fare il cuciniere e il portinaio per
anni. Fui indeciso per qualche tempo
e poi pensai di ritornare su una mia
vecchia decisione che a suo tempo
non avevo potuto concretizzare: presentare domanda per diventare un
appartenente al corpo speciale. Mi
informai in più parti e poi una mattina che ero di servizio di piantone
(tanto per cambiare), aspettai il comandante.
Arrivò puntuale come sempre alle ore
07.30 ( l’orario di servizio iniziava
alle 08.00).
Lo fermai e gli dissi che volevo presentare domanda ... Mi guardò stupito, poi guardò l'orologio e rispose: "Forse non sento bene perché è ancora presto passa più tardi, da me, in
ufficio"-.
Cosa che feci perché ormai ero deci-
so. Non era una scelta facile anche
perché svolgendo servizio a 450 chilometri da casa ed essere del nord
Italia, significava un profondo sacrificio.
In linea di massima, a parte i convinti
o quelli mandati d’ufficio, il volontario è un ragazzo del sud Italia perché
così ha la possibilità di avvicinarsi di
più alla regione di residenza.
Tutti e dico tutti i miei colleghi mi
sconsigliarono di farlo. Era più forte
di me. Avevo desiderio di lavorare in
prima linea e non di accontentarmi
ad alzare e abbassare una sbarra
perché altrimenti me ne sarei andato
a lavorare in qualche fabbrica dalle
mie parti o avrei continuato a fare
ciò che facevo prima di arruolarmi.
Dovete perdonarmi ma sono una persona che tende sempre a crescere, a
conoscere e spesso invidio chi riesce
ad accontentarsi perché, così facendo, non si fa del male.
La scelta che andavo ad affrontare
cambierà per sempre la mia vita.
Parlai anche al Comandante di compagnia, che godeva tra l'altro di giusta fama come ottimo ufficiale, il quale mi disse -"Se sei convinto prova, è
sempre una esperienza"-.
Sì, volevo cambiare tipologia di servizio e sentirmi più gratificato in ciò
che svolgevo.
La maggior parte giustamente mira
ad andare a casa nel più breve tempo possibile per cui la mia scelta portava a perdere gli anni di reparto acquisiti, fondamentali per il trasferimento, e finire chissà dove. Si vociferava profondo sud. A questo pensai
molto, per cui feci i miei progetti di
vita, al momento di questa scelta.
Presentai domanda, fui sottoposto a
severe, minuziose e lunghe visite mediche fino a che un giorno, dopo una
lunga attesa, arrivò la chiamata.
Ricordo che in uno di tali periodi di
attesa, visto che non avevo certezza
che la mia domanda fosse accettata
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definitivamente, telefonai al Comando per chiedere notizie.
Rispose un collega che si infuriò molto.
In modo sgarbato e maleducato, disse che quello non era un ufficio
informazioni e riattaccò.
A quel collega voglio dire: -"Ignorante"-(Senza offendere gli ignoranti
che sicuramente sono più educati).
I militari sono gli Uomini del Presidente, i Figli della Patria e i Fratelli
del Popolo ecco perché credo in
quello che faccio. Ci sono delle
realtà comunque che bisogna far conoscere affinché vengano del tutto
eliminati quegli status di contraddizione e sperpero che ancor oggi esistono.
I militari specializzati (MS) della categoria a cui appartengo, sono quelli
adibiti ai compiti più pericolosi. Per
questo devono essere valorizzati,
pienamente considerati e non abbandonati. Su di essi vengono scaricati i compiti più onerosi, sono i più
sacrificati e i meno considerati, spesso sono violati i loro principi morali,
professionali. Sono tenuti costantemente sotto pressione finché scoppiano, quasi fosse un gioco di strategia
psicologica. Dopo la permanenza
minima un MS può chiederne l’esonero e molto spesso non si vede l’ora
di rinunciare, spesso a malincuore,
pur di non essere più sottoposti a
trattamenti particolari. Ho perfino visto diversi ragazzi che si sono congedati e vi garantisco che non è da
tutti i giorni congedarsi.
Le nuove leve e coloro i quali credono nell'onestà e nei valori dello Stato
vengono messi a tacere con la paura
e questo è grave.
L'autocommiserazione determina solo ulteriore depressione.
Essere ottimisti non è forse facile, ma
pensare, volere e desiderare più che
mai di far trasparire la verità è un
dovere sacrosanto di ogni Uomo degno di tale nome.