Carcere di Gorizia “Se sei gay vai in isolamento” Libero fra 5 mesi
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Carcere di Gorizia “Se sei gay vai in isolamento” Libero fra 5 mesi
POLITICA 7 IL DUBBIO VENERDÌ 15 APRILE 2016 DOPPIA DISCRIMINAZIONE PER I DETENUTI OMOSESSUALI RINCHIUSI IN UNA SEZIONE SPECIALE Carcere di Gorizia “Se sei gay vai in isolamento” ANGELA AZZARO U na galera nella galera. È quella istituita nel carcere di Gorizia per “proteggere” tre detenuti gay. I tre uomini si trovano in una sorta di isolamento forzato: non posso partecipare alle attività con gli altri detenuti né avere un minimo di socialità. La galera per loro non lascia spazio a nient’altro che solitudine, noia, vuoto. La denuncia arriva dal Garante dei detenuti del Friuli Venezia Giulia, Pino Roveredo, che ieri mattina si è recato in carcere insieme al capogruppo di Sel in regione, Giulio Lauri. I tre dal mese di gennaio vivono questa condizione di estrema costrizione. Prima in una cella nell’ala vecchia del carcere, in condizioni disumane, come ha raccontato per primo don Alberto De Nadai, garante dei detenuti per la provincia di Gorizia. Adesso sono collocati nell’ala rinnovata del carcere. «Sono rimasto impressionato - denuncia Roveredo - dal totale isolamento in cui si trovano». La sezione “speciale” per gay sarebbe stata istituita ufficiosamente dal provveditore dell’amministrazione penitenziaria per il Triveneto, Enrico Sbriglia. Le intenzioni sulla carta potrebbero essere positive: proteg- gere le persone dal clima omofobo che regna in carcere. Il risultato è opposto: invece di isolare i violenti si è istituito un ghetto ulteriore per persone già di per sé discriminate. Il carcere di Gorizia è molto picco- LA DENUNCIA DEL GARANTE DEI DETENUTI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA, ROVEREDO: «ATTO INACCETTABILE». LAURI, SEL: «È POSSIBILE CHE ESISTA UNO SPAZIO DEL GENERE PER LEGGE? » lo, ci sono solo 48 detenuti. «Ma il personale - denuncia il garante non è sufficiente. Meno che mai per affrontare le richieste di una sezione speciale dove i detenuti vivono abbandonati a se stessi». Nei mesi scorsi uno di loro ha tentato il suicidio, un modo per attirare l’attenzione sulla sua condizione. Ma niente. Il programma di “protezione” speciale va avanti. Altre due carceri in Italia avrebbero una sezione simile dedicata ai gay: a Napoli e a Ivrea. Le motivazioni apparentemente nobili diventano, denuncia Roveredo, «un atto di vera e propria discriminazione». Nei prossimi giorni il ga- rante del Friuli Venezia Giulia incontrerà nuovamente il provveditore del Triveneto: «Vorrei capire se esiste un atto ufficiale con cui è stata istituita questa sezione e quando i tre detenuti potranno uscire dall’isolamento forzato». Uno di loro, nell’incontro di ieri, ha dichiarato di non essere gay e di essere finito nella sezione speciale dopo una richiesta di trasferimento. Molti detenuti chiedono di entrare nei programmi di protezione, sperando così di migliorare le loro condizioni di vita. Invece no. Non a Gorizia, almeno. La notizia è arrivata anche in consiglio regionale dove, durante un’audizione, Roveredo ha segnalato la condizione dei tre detenuti. Da qui la visita di ieri in carcere di Lauri. Che rilancia nel chiedere spiegazioni, e annuncia che nei prossimi giorni intende interessare della questione il Governo, il Garante nazionale dei detenuti e il Garante regionale dei diritti. «Pongo tre questioni. Uno: è l’ordinamento penitenziario a prevedere uno spazio del genere o siamo nel campo della libera interpretazione di un singolo provveditore? Due: non è accettabile che alcuni detenuti stiano in carcere separati da tutti gli altri senza poter accedere ai corsi e avere una socialità. Tre: il programma di protezione, qualora anche fosse richiesto dai diretti in- teressati, non può risolversi in una discriminazione, nella costruzione di un ghetto: il carcere non dovrebbe piuttosto isolare e curarsi di un programma particolare per i violenti? ». La domanda è reale. I detenuti gay spesso sono oggetto di aggressioni che li spingono a chiedere protezione. Ma la soluzione del problema non può diventare una ulteriore penalizzazione. I prossimi giorni si capirà come andrà a finire per i tre uomini detenuti a Gorizia. Ma la questione resta aperta per il carcere in generale: se si è gay si è doppiamente discriminati? CSM, VITTORIA IN COMMISSIONE PER L’EX PM DI MANI PULITE (E PER LA CORRENTE “AREA”) A Greco il primo round per la Procura di Milano GIOVANNI MARIA JACOBAZZI L a quinta Commissione del Csm ha scelto Francesco Greco per la poltrona di Procuratore di Milano. L’attuale aggiunto milanese, capo del pool per i reati finanziari, ha avuto la meglio su Alberto Nobili, anch’egli procuratore aggiunto a Milano, che coordina la sezione Criminalità organizzata, e su Giovanni Mellilo, capo di gabinetto del ministro Andrea Orlando. Erano questi i tre nomi rimasti in gara per la Procura più importante del Paese. Questi i risultati: 3 voti per Greco (Aschettino, presidente dalla commissione, togato di Area, Balducci, laico di Sel, Fracassi, togato di Area), un voto per Nobili (Galoppi, togato di Mi), un voto per Melillo (Alberti Casellati, laica di FI), astenuto Forciniti, togato di Unicost. Ora la parola passa al Plenum. Non c’è dubbio che la sfida sia stata tutta interna ad Area, la corrente di sinistra delle toghe che da sempre monopolizza con un suo esponente di punta l’ufficio al quarto piano del palazzo di giustizia milanese. Solo per citare qualche nome, Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio e da ultimo Edmondo Bruti Liberati. A riprova di ciò, dei dieci che avevano inizialmente presentato domanda, risultano legati ad Area anche Ilda Boccassini, altro aggiunto milanese, Francesco Gratteri, aggiunto a Reggio Calabria, e Cuno Tarfusser, il rappresentante italiano alla Corte penale internazionale. Nessuna chance, in quest’ottica correntizia, avevano i pur validi Gimmi Amato, procuratore di Trento, iscritto ad Unicost, o Francesco Saluzzo, procuratore di Novara in quota Magistratura indipendente. Se quindi la conferma del predominio sul palazzo di giustizia milanese di Area, che esprime anche il presidente del Tri- bunale Roberto Bichi, nominato l’estate scorsa al posto di Livia Pomodoro, non fa notizia, il nome di Francesco Greco, già pm di punta di Mani Pulite, potrebbe comunque segnare un cambiamento negli equilibri fra politica e giustizia, dopo gli scontri degli ultimi vent’anni che hanno segnato prima la fine della Prima Repubblica e poi del berlusconismo. Considerato un uomo pragmatico («meglio, per lo Stato, il recupero dei soldi evasi o nascosti nei paradisi fiscali che il carcere»), pur rappresentando la continuazione del cosiddetto “rito ambrosiano” della magistratura (dalla tangente Enimont alla “moratoria” sulla indagini Expo), è comunque ben inserito nei palazzi del potere romano. Greco, oltre ad aver legato il suo nome alle indagini sui crac Parmalat ed Antonveneta, è infatti presidente della Commissione ministeriale sull’Autoriciclaggio. Ben voluto da Matteo Renzi, pare non sia inviso anche ad Arcore. Due parole sugli “sconfitti”. Alberto Nobili, magistrato impegnato nella stagione dei sequestri di persona (a lui si deve la liberazione di Alessandra Sgarella), è persona molto equilibrata, poco mediatica e fuori dai giochi più strettamente correntizi. Un low profile che, in questo caso, si è rivelato un handicap. Giovanni Melillo ha invece pagato la sua stretta vicinanza ad un esecutivo che ha tagliato le ferie ai magistrati ed ha modificato la responsabilità civile delle toghe, provvedimenti visti con il fumo negli occhi dai suoi colleghi. VELLETRI Libero fra 5 mesi: si suicida I n carcere si continua a morire. Questa volta la vittima è un detenuto italiano di 58 anni che si è impiccato nel carcere di Velletri, in provincia di Roma. All’uomo era rimasto da scontare un residuo di pena di appena cinque mesi: sarebbe dovuto, infatti, uscire nel mese di settembre. La notizia è stata resa nota da Donato Capace, segretario generale del sindacato della polizia penitenziaria Sappe: «L’uomo si è impiccato in cella e nessuno si è purtroppo accorto di nulla, se non la pattuglia di polizia penitenziaria durante il giro di ronda che svolge, appunto, una vigilanza saltuaria. Ancora una conferma, se mai ve ne fosse bisogno, che regime penitenziario aperto e vigilanza dinamica a poco servono rispetto ai drammi umani che si compiono ogni giorno tra le sbarre delle carceri italiane. Drammi di cui il suicidio è purtroppo il terminale estremo, e che anzi testimonia come da quando sono stati introdotti vigilanza dinamica e regime detentivo aperto è aumentato anche il numero degli eventi critici nei penitenziari».